In questo nuovo post della rubrica “Giovanissima Letteratura” ci occupiamo del volume “La Divina Commedia raccontata ai bambini” di Annamaria Piccione (Mondadori), intervistata da Daniela Sessa
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Dante è una favola! Parola di Annamaria Piccione
Se chiedi alla scrittrice Annamaria Piccione di presentarsi, lei esordisce con un “Siciliana doc” e chi ha dimestichezza con il doc di Sicilia capisce subito di trovarsi davanti una donna che è un misto acutezza e ingegno, di orgoglio e di un realismo che fa suo persino il sogno. Vive tra Siracusa, città di origine, e Palermo: forse per questo incarna le due anime dell’isola, mite e frenetica insieme per dirla con Gesualdo Bufalino. Ama i gatti in maniera viscerale. Il gatto è per lei un’icona: non ci si stupirebbe di trovarlo rappresentato su una parete della sua casa come la Marilyn di Andy Wharol.
Ha gli occhi penetranti e sfuggenti insieme come un gatto, ma diversamente dai gatti ha un sorriso accattivante ed è un’abile conversatrice. E ha un dono: saper incantare i bambini. Il suo gioco di prestigio è l’uso di parole che sprizzano veloci e impettite dalla sua fantasia. Fervida fantasia grazie alla quale si è ritagliata una stanza tutta per sé nel mondo dell’editoria per l’infanzia. Ad Annamaria Piccione piace prendere in mano la letteratura dei grandi e raccontarla ai bambini. Lo ha fatto con i capolavori di Verga, dei tragici greci e di Plauto. Poteva non farlo con Dante, il poeta cui va il merito, tra gli innumerevoli altri, di aver dato all’Italia con “La Divina Commedia” anche l’archetipo del genere fantastico? A noi lettori, prima adolescenti poi adulti, il viaggio di Dante, al netto dei patemi scolastici, è stato una fantasmagoria di colori, suoni, emozioni, sentimenti, facce, luoghi, mostri e prodigi. In quel mondo labirintico solo per le coscienze imperfette, i lettori di settecento anni hanno imparato che la scelta tra vizio e virtù non è una barbosa pausa tra le mille faccende della vita, ma può essere un volo verticale e avventuroso. Annamaria Piccione con la sua versione in prosa del capolavoro dantesco “La Divina Commedia raccontata ai bambini” prova a far prendere il volo pure ai più piccoli, quelli che hanno la fantasia stampata nel sorriso e negli occhi, quelli che devono imparare subito le mille sfumature dell’esistenza, perché Dante- per citare l’autrice- “rivolta come un calzino l’essere umano” . Annamaria Piccione mette in guardia i piccoli lettori sul messaggio del poeta fiorentino “comportati onestamente e conoscerai la gioia eterna, al contrario saranno cavoli amari, anzi amarissimi, soprattutto se sei attratto dalla ricchezza e dal potere”. Il libro è il risultato di un’operazione raffinata di linguaggio. Annamaria Piccione sintetizza il poema a partire non solo dall’ovvia selezione di personaggi ed episodi ma anche e soprattutto dalle scelte di stile: una lingua media e mai scontata, ricca di ironia e di lemmi colti, capace di ricreare le sonorità del testo dantesco: dagli acuti dell’Inferno alle melodie ovattate del Purgatorio fino alla dolcezza cristallina del Paradiso. “La Divina Commedia” di Annamaria Piccione meriterebbe proprio per questo una versione in audiolibro. La misura del linguaggio impedisce al libro di cadere nella trappola dell’aneddoto e di stringere con i piccoli lettori un patto: trattarli da grandi con la promessa (mantenuta) di non lederne l’ingenuità.
D. Collodi traduttore confessa: “Nel voltare in italiano i Racconti delle fate m’ingegnai, per quanto era in me, di serbarmi fedele al testo francese. Parafrasarli a mano libera mi sarebbe parso un mezzo sacrilegio. A ogni modo, qua e là mi feci lecite alcune leggerissime varianti, sia di vocabolo, sia di andatura di periodo, sia di modi di dire. Peccato confessato: mezzo perdonato”. Raccontare Dante è un po’ tradurlo. Tu hai qualcosa da confessare?
R. Ho cercato il più possibile di rimanere fedele all’intreccio narrativo della Commedia, sebbene abbia dovuto scegliere cosa e chi privilegiare nella variegata e inesauribile sequenza di eventi e personaggi. Ho accentuato, forse, il lato ironico di Dante e mi sono presa poche libertà, forse solo una davvero eclatante: sorridere ai suoi ripetuti svenimenti, già stigmatizzati ai tempi del Liceo quando durante un’interrogazione dichiarai che il Poeta era “una mammoletta”, suscitando le bonarie proteste del mio amato professore di italiano, Pietro Grillo. Lui era un grande ammiratore di Dante e per gli esami di maturità mi regalò i suoi appunti personali della Commedia, che conservo come reliquie.
A pensarci bene, ho però un segreto da confessare. Mentre scrivevo, non potevo fare a meno di osservare le persone intorno a me e, di volta in volta, le destinavo al cerchio, cornice o cielo che mi sembravano più adatti a loro. Mi sono divertita a costruire un aldilà personale ma, ultimata la scrittura, questo “gioco del Giudizio” è finito, per fortuna.
D. Quest’anno è l’anno di Dante. Le librerie pullulano di libri sul poeta. Perché i bambini dovrebbero conoscere Dante? Cosa, a tuo parere, colpirà di più i bambini che leggeranno il tuo libro?
R. La letteratura per ragazzi sta omaggiando Dante in molti modi: è appena uscita un’introduzione poetica alla Divina Commedia a firma di Daniele Aristarco e ho trovato spassosissimo Vai all’Inferno, Dante! di Luigi Garlando, per citarne solo due. La mia versione in prosa è però globale, raccontata come una sorta di avventura che ricalca la struttura essenziale del racconto fiabesco: inizio con difficoltà, sviluppo travagliato, finale lieto. Ai ragazzi e ragazze piacerà il movimento, la varietà, i continui colpi di scena, la stravaganza di molti personaggi, draghi, mostri, giganti: Dante è un’inesauribile fonte di ispirazione anche per un romanzo fantasy. Ad attrarli sarà però un motivo molto semplice: Dante ha raccontato una bella storia e le belle storie piacciono a tutti, a qualsiasi età.
D. Ritengo la tua “Divina Commedia” anche un libro per adulti, un libro che sfida le età e questo grazie a una di sintesi meditata tra scelte linguistiche e tematiche. Ed è un libro appassionato. Chi è Dante per Annamaria Piccione?
R. Una guida. Lui ebbe bisogno di guide per spostarsi nei regni ultraterreni, ma è diventato a sua volta stella polare di noi viventi e, in quanto tali, mortali. Chi legge attentamente la Commedia realizza subito che il fine di Dante non è raccontare un fatterello, per quanto accurato e scritto in modo sublime, ma mostrare una via. Sotto molti aspetti la Commedia ricorda un libro rivelato, più che inventato, che ci sembra dire: “Attento, bipede implume! Se non cambi rotta e non volgi lo sguardo in alto, cadrai per l’eternità”.
Quando scrive la sua opera straordinaria, Dante è un perseguitato, un reietto per i suoi concittadini. Conosce sulla propria pelle cosa sia l’arrogante ingiustizia del potere, ma sconosce la soggezione dei vinti. Non si arrende, non si piega, manda a quel paese chi gli offre il ritorno a Firenze a scapito della propria dignità.
Ecco perché lo amo tanto, perché è un combattente. Se non svenisse tanto, sarebbe il mio uomo ideale.
D. Anche con il volto paffuto disegnato dall’illustratore barcellonese Francesc Rovira? Il libro ha tavole di illustrazioni molto particolari, anche per la fisionomia data a Dante diversa dal volto tramandato. Quanto è importante l’illustrazione in un libro per bambini?
R. L’illustrazione è il lato artistico di un libro, squisitamente pedagogico perché educa alla bellezza e all’armonia, colora le parole, le valorizza e nutre dopo essersene nutrito. Io penso che tutti i libri avrebbero bisogno di questo arricchimento, non solo quelli per i piccoli. Ammetto che mi sono commossa quando ho visto per la prima volta le illustrazioni di Francesc Rovira e più le guardo, più mi rallegro. Francesc Rovira è un artista completo, le sue opere sollevano a dimensioni altre e alte, come se fluttuassero. Questo Dante vestito di rosso ricorda un bambino pieno di stupore che scopre i misteri della vita. Dovremmo seguirlo, per essere migliori.
D. Il libro rispetta la tripartizione come le tappe del viaggio di Dante, con un’irrinunciabile maggiore ampiezza data alla prima cantica. Pertanto, non puoi sfuggire alla domanda di rito: quale cantica preferisci?
R. Difficile sceglierne una sola. Cito invece tre canti, uno per ogni regno. Nel XIII canto dell’Inferno mi ha profondamente commosso la figura di Pier della Vigna, trasformato in pianta perché suicida. Ha subito un’ingiustizia, è stato vinto dalla disperazione, dunque si è tolto la vita, meritandosi la dannazione eterna. A differenza di Dante, io non riesco a condannarlo e provo pietà per lui, quindi mi piace ricordarlo.
Anche del Purgatorio è il XIII il mio canto preferito. La scena degli invidiosi con gli occhi cuciti è impressionante, ma significativa con riferimento al contrappasso: vedere gli altri con malevolenza ti toglierà la vista.
I canti che sento più miei sono quelli del Cielo del Sole nel Paradiso, dove splendono gli spiriti sapienti. Irresistibile la voglia di scaldarsi e danzare nella loro luce.
D. Ci sono due passi nel libro che colpiscono per la forza della rappresentazione: l’uscita dei pellegrini dall’Inferno con il volo all’incontrario sul corpo di Lucifero e i rimbrotti di Beatrice a Dante nel Purgatorio. In entrambi i casi forte è la componente ironica: per Lucifero c’è il vero rovesciamento di tecnica letteraria e di immagine; nel secondo caso c’è, oltre alla fedeltà al dettato dantesco, una sorta di rilettura dei personaggi femminili. Penso a Francesca e Piccarda cui hai dato poco spazio, mentre hai raccontato Matelda. C’è una tua idea di donna in questa scelta che vorresti trasmettere ai bambini?
R. Nelle scelte importanti sono stati naturalmente i miei gusti personali, i miei valori, l’indole non proprio accomodante. L’uscita di Dante dall’Inferno è un rovesciamento di prospettiva, un ribaltamento del percorso esistenziale. Perché si realizzi bisogna però vedere il Male in faccia, toccarlo, scalarlo e superarlo, per poi iniziare nuove salite con il peggio alle spalle.
In quanto alla rampogna di Beatrice, è uno dei momenti più divertenti dell’intera opera. Dante piagnucola perché Virgilio è sparito e lei, invece di consolarlo, lo tratta da bambino viziato, suscitando la riprovazione degli stessi angeli. Questa Beatrice è assai diversa dalla fanciulla angelicata, “gentile e onesta”, della Vita Nova: è la rappresentazione della Teologia, la più nobile delle discipline, che compensa i limiti della ragione e ci unisce a Dio. Dante rinnova la sua concezione della donna, da creatura da proteggere a protettrice. Non a caso la sua salvezza dipende dall’intervento iniziale di tre donne, Beatrice, Santa Lucia e la Madonna, e in seguito tante sono le figure femminili memorabili.
I canti di Francesca e Piccarda sono noti grazie agli splendidi versi, a me però interessava di più la narrazione. E Matelda mi ha conquistato: lei è la purificatrice, che immerge Dante nelle acque per mondarlo dal peccato. Il suo è un ruolo sacerdotale che richiama il battesimo, rituale riservato ai maschi. Dante in questo va persino oltre il nostro presente.
D. Più Vanni Fucci che Ulisse, grande spazio a Cacciaguida e un bellissimo ritratto di Brunetto Latini. Manca Maometto. Con quale criterio hai selezionato i personaggi?
R. Dante precorre sì i tempi, ma in alcuni casi è legato indissolubilmente al proprio contesto. Maometto per lui è un nemico da combattere, una concezione oggi inaccettabile, non solo per i ragazzi. Dunque, ho preferito non citarlo, per non generare questioni troppo spinose per una mente in boccio. In quanto ai vari personaggi, ho provato a dare spazio ai racconti più curiosi, divertenti e, perché no, esemplari.
Vanni Fucci è il dannato più blasfemo dell’Inferno, senza decoro, non a caso il suo soprannome è Bestia. In quanto a Ulisse, nel suo stesso capitolo in cui richiamo le “virtute e canoscenza” dei celebri versi, ho dato spazio a Guido da Montefeltro, di cui ho trovato simbolica la lite per la sua anima, subito dopo il trapasso, tra un diavolo e san Francesco. Non potevo tralasciare poi la figura di Cacciaguida, avo di Dante, anzi sua radice, poiché è un episodio chiave per capire l’intero pensiero dantesco. Mi sono fermata su Brunetto Latini perchè ho voluto dimostrare che, persino in un luogo orrendo come l’Inferno, è possibile non perdere la dignità.
Uno dei personaggi che mi hanno colpito di più è però frate Alberigo: Dante è convinto che sia ancora vivo, ma l’altro gli confessa di aver commesso un peccato così grave da essere scaraventato subito all’Inferno e al suo posto tra i vivi ora c’è un diavolo. Il nesso con la realtà è istintivo: quante volte, di fronte alle perfidie di qualcuno, ci siamo chiesti come abbia potuto commetterle. Ebbene, forse non si tratta di un essere umano, ma di un diavolo camuffato.
D. Raccontare i classici ai bambini è una sfida o un dovere?
R. Per me è divertimento puro. Quando ero piccola ho letteralmente divorato i riassunti dei classici riportati sull’Enciclopedia della donna in auge negli anni Sessanta, venti volumi con l’ambizioso intento di creare una “perfetta signora”. Se da quel lato ho miseramente fallito l’obiettivo, ho comunque imparato a memoria le trame di molti classici che poi ho letto da adolescente, proprio perché li conoscevo. Ecco perché oggi tento di avvicinare i piccoli alle belle storie: spero che le leggeranno per intero da grandi.
D. La Divina Commedia non è una favola ma del meccanismo fiabesco contiene tanti elementi, che ne hanno permesso la riproduzione in mille modi diversi: dai fumetti ai videogiochi. Molti tuoi colleghi si cimentano nella riscrittura dei classici e delle favole con l’intento di farne spesso manifesti civili o di calcare sull’ interpretazione psicanalitica. Ti faccio due esempi: Emma Dante con “E tutte vissero felici e contente” e Michael Cunningham con “Il cigno selvatico”. Cosa distingue la narrativa per l’infanzia dalla narrativa con l’infanzia?
R. Le operazioni di Emma Dante e di Michael Cunningham si pongono come obiettivo principale il superamento degli stereotipi, fine acclarato di tutta la letteratura per ragazzi contemporanea. Più che nelle distinzioni, io credo però che un buon libro di narrativa debba arrivare a più lettori possibile e non solo a una categoria circoscritta a una determinata età. Io ho sempre letto i libri per ragazzi, anche quando non scrivevo per loro, ma mi capita spesso di sentirmi dire: “Non ti leggo perché sono fuori età”. Senza neppure provarci, quasi che leggermi fosse una diminutio o, peggio, una perdita di tempo. Credo che uno stereotipo da contrastare sia proprio pensare i libri per ragazzi come letteratura a sé stante. Certo, ci sono dei libri che, per scrittura o argomenti, sono graditi più ai ragazzi che agli adulti. Però questo è un ostacolo facilmente superabile, se si vincono i pregiudizi.
D. Per raccontare ai bambini e ai ragazzi occorre di più, secondo te, la leggerezza del Perseo di Calvino o l’essenzialità di Saint- Exupery?
R. Per raccontare ai ragazzi e alle ragazze occorre trattarli da soggetti pensanti. Con rispetto e dignità. Secondo me, i libri – non solo per ragazzi – dovrebbero suscitare sentimenti sì forti, ma riuscire anche ad armonizzarli. Commuovere e divertire, irritare e placare, ma soprattutto stimolare tanti interrogativi. I libri non servono a darci risposte ma a farci porre innumerevoli domande.
D. Scrivere per un pubblico non adulto, vuol dire conservare in sé un’eterna fanciullezza? Quanto c’è in te di Peter Pan? O preferisci sentirti come Alice tra Bianconiglio e la Regina di cuori?
R. So di non essere più una bambina, ma dai piccoli imparo più di quanto insegno: per questo mi piace osservarli ed essere loro amica. Ne apprezzo la sincerità, la spontaneità, il senso di giustizia. Anche Dante, seguendo il dettame evangelico, sostiene che i bambini sono più vicini a Dio. Chi sento più simile tra i personaggi fantastici? Be’, io sono la Gatta con gli stivali. Non ho paura di sfidare gli orchi e, se è proprio necessario, riesco anche a sconfiggerli. Di solito preferisco però farmeli amici, perché anche il più crudele degli orchi possiede un briciolo di umanità ed è su quella che focalizzo il mio impegno. In fondo, anche un pentimento tardivo fa guadagnare la salvezza. Me lo ha insegnato Dante.
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