La giusta via è il romanzo d’esordio di un giovane sessantanovenne siciliano emigrato negli Stati Uniti d’America: Joseph Termini.
Il libro, edito dalla casa editrice senese Pascal, è ambientato tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900. Un siciliano, Giuseppe Bonelli, la cui stessa nascita è frutto di violenza, cerca la propria strada, la “giusta via”, per garantirsi dignità e benessere contro le ingiustizie, le prevaricazioni, le ipocrisie di un mondo violento e crudele. Tale ricerca lo costringerà ad abbandonare la sua isola per l’Africa e quindi per l’America, in un itinerario di lotte e di sangue che, al termine, lo ricondurrà in Sicilia. Ma lungo l’accidentato percorso, Bonelli conoscerà anche il bene, l’amore, l’amicizia, la solidarietà, il senso dell’onore.
Quella che segue è un’intervista rilasciata dall’autore del romanzo.
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– Joseph Termini, lei ha esordito con il romanzo "La giusta via " pubblicato l’anno scorso per i tipi della Pascal editrice. Il suo è un esordio particolare poiché è avvenuto all’età di sessantanove anni. Ci racconti un po’…
Il mio esordio letterario con il romanzo "La giusta via " per i tipi della Pascal editrice, mi sembra abbia suscitato stupori e curiosità a non finire perché, come lei indica, è avvenuto quando avevo sessantanove anni. A questo proposito mi consenta di ricordarle che la particolarità dell’evento che lei pone in evidenza non è, a mio avviso, da considerarsi unica. Tomasi di Lampedusa, figlio della nobilissima terra di Sicilia, autore di numerosi racconti, di saggi sulla narrativa francese dell’Ottocento, scrisse il romanzo " Il Gattopardo" tra il 1955 e il 1956 quando aveva già raggiunto l’età di sessant’anni. Sono convinto che gli anni non contano. Ha importanza, invece, il grado di fantasia creatrice di cui si è dotati, a parte la grandissima difficoltà che uno scrittore sconosciuto incontra a causa della… “mafia editoriale che pullula in Italia".
– Che tipo di romanzo è "La giusta via " ?
Rispondo così…
Di Cesari Mori, di quell’integerrimo funzionario governativo che per volere di Benito Mussolini fu inviato in Sicilia con pieni poteri per debellare la mafia, lo scrittore Arrigo Petacco, nel suo libro "Il Prefetto di Ferro" edito da Mondadori ,narrando la vita e le bell’imprese (sic) di codesto solerte ed incorruttibile sbirro,ci fa conoscere quali furono le opere che egli scrisse e i "pensieri" che volle tramandare ai posteri. Il "pensiero" che mi ha colpito maggiormente e’ il seguente: "La mafia e’ come una vecchia puttana che ama strofinarsi per adulare, circuire e incastrare."
Devo confessare che questo primo pensiero del Mori mi frullò nella mente per diversi giorni a tal punto che, sorridendo, ne creai un secondo che qui di seguito rendo noto: "Mafia , parola magica , e’ come il miele che attrae le api". Da qui, all’idea che avrei potuto, pur con sommo gaudio, narrare una storia di mafia il passo non sarebbe stato breve. Per non battere strade già percorse da scrittori di successo, conoscere tutto o quasi in merito al fenomeno mafioso a partire dal Pitré e fino alla saggistica di Hess, imparare dai lavori di Sciascia, di Puzo, di Pantaleone, Scorsese, Coppola e Francesco Rosi, avrebbe dovuto essere il mio obiettivo primario.
Per la situazione politica ed economica in Sicilia durante il 1860 e il 1870, invece, sarebbe stato importante rifarmi alle notizie storiche riportate da William Galt (Luigi Natoli) nella sua imponente "Storia di Sicilia ".
Per la crisi finanziaria che colpì gli Stati Uniti d’America nel 1929, avrei dovuto attenermi alle informazioni di cronaca che, senza dubbio, avrei trovate negli archivi delle biblioteche. E’ fuor di dubbio che descrivendo un personaggio mafioso sia pure immaginario, non si può evitare del tutto d’imbattersi nell’uso di comuni definizioni rischiando di finire impantanati nel cliché. E perché? Il mafioso, nella letteratura e nella vita ha un "modus vivendi" che è caratterizzato da un dire, da un gesticolare e da un ammiccare che lo rendono unico e comprensibile solamente a chi percorre il medesimo cammino mosso da identici intendimenti. L’importante, a mio avviso, per non dare l’impressione di essere andato a "scopiazzare ", è di evitare analogie.
E’, dunque, " La giusta via ", un romanzo di mafia? Certamente, ma esistono sostanziali differenze tra il mio primo mafioso descritto nel mio libro che ha nome "don Fernando Vega " e i mafiosi che conosciamo attraverso tutta una letteratura, una filmografia e dai fatti di cronaca riportati quasi ogni giorno, purtroppo, dai maggiori quotidiani.
Il mio "don Fernando " è nobile di antica schiatta. Uomo coltissimo, conosce la lingua francese, il latino e non ha nulla a che vedere anche con i mafiosi del passato che non sapevano né leggere e né scrivere .
Ma dopo avere raccolto sufficienti informazioni, sarei stato certo di potere iniziare a buttare giù qualche cartella ? Nossignori ! E perché? Il mio romanzo " La giusta via " scorre per un periodo di circa novant’anni e i personaggi, a parte i luoghi dove nascono, vivono, e passano a miglior vita, sono più di una ventina e avrei dovuto dividerli in buoni, cattivi e minchioni. Per queste differenze, per meglio dare il giusto carattere al Tizio o al Caio avrei dovuto indossare i panni di ciascuno di essi e cioe’ a dire: quelli di don Mariano, prete della parrocchia di Caccamo, quelli di un mendicante, del maniscalco, del dottor Placido, dell’imbelle Francesco, suo figlio, e anche quelli del mafioso. Le riflessioni sono state tante e non ho avuto ripensamenti una volta che decisi di iniziare a scrivere e a divertirmi. Se sono riuscito a narrare in modo scorrevole e comprensibile senza mettere le ali ?
Senza dubbio alcuno. La giusta via, il mio libro, ovvero il mio diletto, è di oltre trecento pagine e di tempo ne è occorso per portarlo a termine e le ali, per la fretta di concludere a tutti i costi, non hanno fatto parte del mio bagaglio. Lo spirito critico di cui sono convinto di essere dotato non me ne avrebbe concesso l’uso e ho preferito lasciarle al mitico Icaro per non evitare di essere arrostito. Per concludere, mi sia concesso di rammentare a chi ha letto il libro e di avvertire chi non l’avesse ancora sotto gli occhi, che la mafia non è il mondo dei bambini e delle donne che , erroneamente, autori di grido hanno introdotto nella narrazione. "I picciriddi ", i bambini, frequentano l’asilo e attendono al catechismo. " I fimmini ", le donne, invece, la mafia le mantiene con cura in cucina e in camera da letto.
– Da dove nasce l’ispirazione ?
Ho l’abitudine di prestare attenzione a ciò che mi circonda. Un albero dai lunghi rami contorti e privo di foglie, il sorriso di un bimbo, le sembianze dei miei simili e quando accade, il suono, il colore e il timbro delle loro voci.
Alterate, dopo una malaugurata ed improvvisa pestata sui piedi in un autobus affollato o sommessa e pregna di buone maniere di chi, domanda permesso per raggiungere la porta d’uscita.
Tutto ciò mi attrae e può, in particolari situazioni d’animo, essere di stimolo alla mia creatività e fare sorgere un idea che, da pensiero astratto, potrebbe andare a concretizzarsi in un contenuto razionale e comprensibile.
Ho intenzione di rivedere la mia terra, la mia Sicilia, e la prima cosa che farò sarà quella di recarmi fuori le mura di un paesino qualunque per scoprire cosa mi suggerirebbe l’immagine di una trazzera deserta, polverosa ed assolata. Se poi avessi tanta fortuna, una fila di carrette che tornano dal lavoro dei campi e udire il suono delle sonagliere che pendono dalle cavezze dei cavalli e il canto melanconico e dolcissimo dei contadini.
– Il suo libro è in qualche modo autobiografico?
Nel romanzo, Giuseppe Bonelli, figlio di Nunzia Bonelli, è un ragazzo di appena quattordici anni. Dopo le ore di scuola, dopo avere messo ordine tra i paramenti sacri per volere di don Mariano, si diverte a gironzolare per le strade del paese e curiosare. In via dei Calderai, dove osserva gli artigiani nella manifattura di padelle, pentole ed anfore di rame, presso l’officina di mastro Saverio il maniscalco ad ammirare i cavalli magnifici di don Fernando Vega che attendono di essere ferrati, oppure in via dei Cordari dove nascono le gomene che servono ai pescherecci ormeggiati alla fonda.
E’ in quest’unico caso che si può essere certi della mia autobiografia. Infatti, il personaggio del giovane Bonelli, nel racconto, indossa i medesimi panni e ha le identiche abitudini che Joseph Termini indossò ed ebbe all’età’ di quattordici anni al tempo in cui abitava a Termini Imerese.
Per quanto riguarda le tragedie che investono il Giuseppe Bonelli, che si trasforma in uomo anzitempo, che si arma di una arrugginita doppietta ed uccide Vito Vega e che poi fugge in Tunisia , è frutto di pura fantasia. Sono fantasie anche le avventure di Joe Bonelli in America e le arrampicate nel mondo della mafia che lo porteranno ad assumere preminenti posizioni di comando e di ricchezza.
– Progetti per il futuro?
Al momento lavoro a… ma cosa dico ? lavoro ?
Che brutta parola ! Per essere coerente devo dire, invece, che mi diverto a scrivere quasi ogni sera a parte le decine e decine di pagine che non mi convincono e getto nel secchio della carta straccia. Il lavoro e’ fatica, sudore che diventa, a seconda delle persone che lo spandono, insopportabile e nauseabondo. Scrivere e’ respirare aria fresca, ritrovarsi, essere liberi. Scrivere è come aprire magiche porte e trovarsi d’incanto in un mondo dove si può scorazzare a proprio piacimento. Ma per soddisfare la domanda , le confesso che… mi sto divertendo a scrivere due racconti contemporaneamente i cui rispettivi titoli, almeno fino ad ora , sono: " L’uomo tascabile " e "Bel visino tra la folla ".
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LA GIUSTA VIA di Joseph Termini
Pascal editrice, 2006
Pag. 307, euro 15
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Joseph Termini è nato a Cassino nel 1937 da famiglia di origine siciliana. Dopo gli studi di agraria ha esercitato svariati mestieri e attività: impiegato a Palermo, Parma e Perugia, benzinaio a Catania, cantante di night a Tunisi. Vent’anni fa si è, infine, trasferito negli Stati Uniti dove ha lavorato con ruolo dirigenziale per un’importante ditta di cosmetici; attualmente vive a Northport, Alabama. In realtà queste sue peregrinazioni erano essenzialmente tese a conoscere luoghi, ambienti, culture diverse, accumulare esperienze da tradurre sulla pagina, perché il vero sogno di Termini è sempre stato quello di diventare scrittore, un sogno che comincia a realizzare con questo romanzo.
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