Sono uno dei 500.000 italiani che hanno sottoscritto l’appello di Roberto Saviano lanciato contro la cosiddetta legge sul “processo breve”. E condivido punto per punto quanto da lui sostenuto nell’intervista rilasciata qui.
Non è una questione di orientamento politico, non è una questione di essere “di destra” o “di sinistra”. Si tratta di mettere in evidenza gli effetti di una legge sbagliata.
Sul fatto che – in Italia – i processi durino troppo, che la macchina della giustizia sia troppo lenta, non c’è dubbio alcuno.
Sul fatto che l’intero sistema giudiziario italiano necessiti di una grande riforma, siamo tutti d’accordo (una riforma che dia i mezzi al sistema giudiziario per operare in maniera efficiente ed efficace).
Il cittadino di uno stato moderno e di diritto, come l’Italia è (o dovrebbe essere), deve beneficiare di una giustizia capace di dare risposte in tempi ragionevolmente brevi. Ma il primo, assoluto, e inestinguibile diritto da garantire, è… che il cittadino riceva comunque “risposte” dalla giustizia. Stabilire che un processo debba concludersi entro un determinato lasso di tempo (garantendo comunque una “risposta” al cittadino), e fornendo di adeguati mezzi gli uffici giudiziari perché ciò sia possibile, è assolutamente giusto. Stabilire che un processo debba estinguersi se, entro un determinato lasso di tempo non arriva a conclusione, è iniquo e inaccettabile (e penalizzerebbe tantissimi italiani in cerca di giustizia… “di destra” o “di sinistra” che siano). In tal caso – peraltro – non avrebbe senso parlare di legge sul “processo breve”, ma di legge sul “processo morto”. Altrettanto inaccettabile (e incomprensibile) è l’introduzione dell’elemento della retroattività. Sarebbe più logico e giusto che la riforma operasse a partire dal momento in cui è effettivamente promulgata (e sui processi che vengono avviati a partire da quel momento) e all’esito di una generale riforma del sistema (e non dunque, con lo strumento del DDL che è tipico degli interventi legislativi dei momenti di urgenza).
Ecco perché spero che il DDL venga bloccato, o quantomeno fortemente riveduto, alla Camera dei Deputati.
Per il resto, rinvio alle parole chiare e incontrovertibili pronunciate da Roberto Saviano.
Qui di seguito, chi vorrà, avrà la possibilità di leggere alcune considerazioni tecniche che spiegano l’incongruenza del ddl in questione.
Massimo Maugeri
P.s. ho preferito disattivare la “funzione commenti” per evitare il rischio di strumentalizzazione di questo post
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OSSERVAZIONI SUL DDL RELATIVO AL COSIDDETTO ” PROCESSO BREVE”
(Fonti: relazione della sesta commissione del CSM – Federazione degli editori e la Federazione nazionale della stampa Fieg e Fnsi)
1) Riforma svincolata da una generale riforma della giustizia
Poiché tale riforma (così com’è) è del tutto svincolata da una generale riforma della giustizia, delle sue infrastrutture (servizi di cancelleria e risorse finanziarie adeguate, nonché revisione del territorio degli uffici giudiziari e numero dei magistrati in organico), la norma avrà nei fatti – e in concreto – l’effetto di una ”inedita amnistia processuale” per reati di “considerevole gravità”, a cominciare dalla corruzione e dai maltrattamenti in famiglia, e rischia di portare alla “paralisi” l’intera attività giudiziaria.
2) Articolo 111 e articolo 24 della Costituzione
Il ddl “non appare in linea con l’articolo 111″ (giusto processo), né con l’articolo 24 (diritto alla difesa) visto che “privilegia il rispetto della rapidità formale” ma non garantisce “che il processo si concluda necessariamente con una decisione di merito”. Inoltre “depotenzia lo strumento processuale e irragionevolmente sacrifica i diritti delle parti offese” a vantaggio dell’imputato con un arbitraria disuguaglianza tra parti processuali e depotenziamento della parte civile attraverso la quale lo Stato esercita la “pretesa punitiva”.
3) Rischio amnistia, sopratutto per corruzione
Si “rischia di impedire del tutto l’accertamento giudiziario” e dunque di “vanificare la lotta alla corruzione”, visto che questo reato – che tra l’altro “incide anche sull’affidabilità economica del Paese, è già stato pesantemente condizionato dai nuovi termini di prescrizione” previsti dalla ex Cirielli. Ma c’è di più: il ddl è in “netto contrasto con i principi sanciti dalla Convenzione dell’Onu contro la corruzione” poiché travolge i reati contro la PA.
4) Irragionevole disparità di trattamento.
Il Csm ne segnala più d’una, come la scelta di “riservare le nuove disposizioni al solo giudizio di primo grado”: così si riconosce “ad una categoria di imputati e di parti civili, casualmente identificati, il diritto alla celerità processuale che dovrebbe essere, viceversa, garantito a tutti”. “Irragionevole e discriminatoria” è anche l’esclusione dei recidivi, che oltretutto porterà a “un’assurda proliferazione dei processi, capace da sola, di favorire la paralisi dell’attività giudiziaria”. “Discutibile”, inoltre, la “parificazione fra le ipotesi di delitto punite assai gravemente con le contravvenzioni in materia di immigrazione”.
5) Certezza del diritto.
“Anziché avere certezze, abbiamo l’estinzione dei diritti, non la certezza della pena”, ha sottolineato il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, con la conseguenza che, anziché avere un’accelerazione, alla fine ci sarà un allungamento dei tempi dei processi, la loro estinzione e la riproduzione di conseguenze in campo civile con un ulteriore aggravio.
6) Libertà di stampa e intercettazioni.
Il disegno di legge della maggioranza sulle intercettazioni “distrugge” questo strumento investigativo. Lo ha detto il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Nicola Mancino nel corso del dibattito sul parere (fortemente negativo) espresso dalla Sesta commissione del Csm. La discussione si è conclusa con l’approvazione del documento a larghissima maggioranza. Nel mirino del vicepresidente del Csm c’è soprattutto la norma che autorizza le intercettazioni solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza. “Tutto questo distrugge la stessa possibilità delle intercettazioni – ha detto Mancino – o la limita fortemente”.
“Le disposizioni in esame colpiscono duramente giornalisti ed editori, imponendo loro il silenzio totale sulle indagini e sui loro sviluppi, anche quando non sussiste il segreto istruttorio. L’effetto è quello di impedire ai cittadini e all’opinione pubblica di conoscere fatti rilevanti della vita pubblica quali appunto le notizie sugli atti di indagine, non segreti. Se il disegno di legge dovesse essere approvato dal Parlamento, il divieto duramente sanzionato costituirebbe una autentica ‘pietra tombale’ della cronaca giudiziaria”.