Dicembre 21, 2024

155 thoughts on “LA LETTERATURA DEL TERRORE E SIMONETTA SANTAMARIA

  1. Come accennavo in premessa la letteratura del terrore – nelle sue vari declinazioni – ha già una sua storia il cui inizio coincide con le origini del romanzo gotico.

  2. Vi invito a dire la vostra sull’argomento.
    E chiedo a Sabina Marchesi – se ne ha la possibilità – di aiutarmi a moderare la parte “generale” della discussione.

  3. Ma il post è anche finalizzato a presentare il romanzo d’esordio di Simonetta Santamaria.
    Simonetta parteciperà alla discussione sul suo libro (la quale verà moderata ds Francesco Di Domenico ed Enrico Gregori).

  4. Vi anticipo che nei prossimi giorni sarò assente per motivi di lavoro (nel senso che difficilmente potrò intervenire).
    Tenterò comunque di connettermi da qualche Internet point.

  5. @Massimo: No, non mi terrorizza, ma lo ritengo non realistico e infatti non amo anche la fantascienza e il fantasy.
    Però, Lo strano caso del dottor Jeckill e del signor Hyde mi è piaciuto moltissimo, e non solo perchè l’ha scritto Stevenson, uno dei più grandi narratori che ci siano mai stati, ma perchè lì in fin dei conti c’è lo sdoppiamento della personalità che, per esigenze letterarie, ha caratteristiche vicine all’horror; non mi sentirei, tuttavia, di accostarlo a Frankestein e a Dracula, dove l’irreale invece domina.

  6. Amo Edgar Allan Poe: i suoi racconti sono autentiche piante carnovore che ti catturano dal primo rigo e non ti mollano più…
    Mi piace Stephen King, specie in “Cose preziose”, “Mucchio d’ossa”, che trovo bellissimo per le sue suggestioni da Melville – leggete anche l’autobiografia ON WRITING!!! – .
    Non mi attira lo splatter, ma il thriller sì, le suggestioni, e inquietudini che può offrire.

  7. Ho letto le opere che ricorda Massi – ciao, carissimo! Buon lavoro e tienici d’occhio… 🙂
    Le ho amate molto. Mi hanno regalato emozioni e brividi, perché un buon libro di genere come quelli citati non è solo effetti ma scende nelle pieghe nascoste dell’animo umano…
    GIRO DI VITE di Henry James è qualcosa di terrificante pur nella sua assenza di sangue…

  8. venero edgar allan poe. adoro la fantascienza (soprattutto p.k. dick). le apparizioni improvvise di giro di vite, le leggo e le rileggo spesso. come scrive maria lucia. non c’è sangue e la prosa di james è calibrata e inquieta perché mi terrorizza con quella sorta di suggestione psicologica. essendo appassionato di neuropsichiatria, m’è sempre piaciuto mescolare i disturbi psicotici e la fantascienza nei miei racconti. il terrore di vedersi apparire una realtà stravolta, dall’interno. magari senza uso di sostanza allucinogene. il terrore della pazzia. e in quella pazzia uno ci deve credere, sennò il lettore faticherà a impressionarsi.
    viva l’horror! 🙂

  9. ciao, non mi piace per niente e neppure la filmografia, la trovo veramente assurda e non amo troppo l’assurdo.

  10. Non amo la lettura del terrore, ma ne approfitto per esporre un mio breve commento sul grande Oscar Wilde.

    Oscar Wilde:
    Come ogni protagonista di rilievo, anche Oscar Wilde fu una necessità per il suo tempo.
    Fu un periodo della storia umana, dove la severità e rigididezza dominarono gli istinti dell’uomo, fino a renderlo schiavo di se stesso nel portarlo al limite della paura psicotica su ogni pensiero ed azione da mettere in atto.
    Fu un periodo di chiusura mentale assoluta dietro una facciata dettata dalla volontà di insapienti del potere di poter creare ordine ed armonia vietando addirittura di respirare il proprio alito.
    Con grandiosa abilità e fantasia Oscar Wilde riuscì a denunciare i difetti del suo tempo e lo fece nascondendosi dietro la satira che all’inizio divertì anche i più rigidi difensori dell’ordine vittoriano. Ma, come era da aspettarsi, prima o poi cadde lui stesso nella trappola da lui posta e dovette subirne le reazioni di un sistema che mai permise la trasgressione delle sue teorie diventate codice di vita.
    Fu un grande uomo che lasciò le impronte per una nuova era da venire, così come molti altri personaggi fecero assumendo nella loro epoca che li ha creati il ruolo di ispiratore della libertà espressiva e d’azione, l’unica sorgente del progresso umano, perché comprende che solo attraverso gli errori fatti l’uomo può imparare e raggiungere un po’ di maturità e serenità.
    Saluti.
    Lorenzo

  11. Poe è stato uno dei primi autori che mi hanno affascinato. Poi è venuto Lovecraft, che semplicemente adoro. Poi c’è stata la scoperta di Arthur Machen, autore inglese della prima metà del secolo scorso di vasta erudizione (fu anche traduttore di Rabelais), che al pari di Lovecraft affascinò anche Borges, e che meriterebbe maggior fama.
    Di Stephen King ho amato molto “Stand by me (ricordo di un’estate)” il bellissimo film di Rob Rainer dal racconto “Il corpo” e naturalmente “The Shining” (libro e film).
    Il libro della Santamaria non l’ho letto, ma Enrico Gregori me ne ha parlato molto bene, prima ancora di recensirlo qui, e credo ci sia da fidarsi. E anche di Francesco Di Domenico.

  12. Parto subito con un saluto (chiamata di correo?) per l’amico Enrico Gregori e per la sorellina Simonoir.
    L’horror mi ha sempre divertito per il suo lato fuorviantemente umoristico, per il suo essere così irriverente dello stato di cose presenti , da risultare per i suoi rovesciamenti della realtà molto simile alla scrittura comica e allo humour (e ne abbiamo uno splendido, ma non unico esempio in “Frankestein Junior” di Mel Brooks).
    Da adolescenti si andava a vedere i film dell’orrore armati di patatine Pai e disincanto, sghignazzando tra noi, ma poi, lasciati gli amici e varcato il portone di casa si facevano le scale a quattro: che fortuna trovare la mamma sveglia che ci sgridava, poi testa sotto le coperte a pensare all’indomani al compito di greco, che ormai non faceva più paura.

  13. Sperando di non tediarvi (speranza vana) e mentre il dibattito fa il suo rodaggio, vi volevo sottoporre un gioco che sovente faccio alle presentazioni di Simonetta e che scombussola un po’ l’ambiente un po’ tetro degli ospiti che si aspettano seriosi ragionamenti sul mistero.
    Tra l’altro, sottoponendovelo, svelo, se non erro, l’incipit del romanzo (Simonoir mi correggerà se sbaglio).

    “La Silenziosa” è una villa su cui incombe una terribile maledizione
    risalente agli antichi misteri egizi. Quando Sara decide di riaprire quella casa, che era appartenuta ai suoi genitori, si ritrova a piombare in un incubo senza via d’uscita. La maledizione torna a colpire attraverso il suo terribile emissario, l’Ouroboros, il serpente del diavolo. Il mese dei morti. Non c’è mese peggiore per morire. Tutto effonde morte, I giorni, le notti, l’aria stessa, il tempo. La gente si abbandona mesta ai ricordi; non pensa, commemora nel silenzio delle proprie angosce. Tutto è terribilmente triste. Il tempo non sempre è terapeutico. A volte incarognisce le sensazioni.
    Simonetta Santamaria

    “La Silenziosa” è una villa su cui incombe una terribile maledizione
    risalente agli antichi misteri egizi, vi sono stati ritrovati alcuni papiri raffiguranti Calderoli di profilo che racconta barzellette sconce a Nefertiti.
    Quando Sara decide di riaprire quella casa (che si trova a Chiaiano, con un’affaccio sulle cave),e che era appartenuta ai suoi genitori, si ritrova a piombare in un incubo senza via d’uscita: qualcuno ha tappezzato il tinello con foto in costume da bagno di Rosa Russo Iervolino.
    La maledizione torna a colpire attraverso il suo
    terribile emissario, l’Ouroboros, il serpente del diavolo, un esattore di Equitalia che lei trova seduto in soggiorno con in mano l’arma infernale, una penna Aurora e le dice: “Signora, firmi qui o le sequestriamo il motorino!”
    E’ novembre, il mese dei morti. Non c’è mese peggiore per morire. Tutto effonde morte, i giorni, le notti, l’aria stessa, il tempo e i peperoni fritti della sera precedente. La gente si abbandona mesta ai ricordi; non pensa, commemora nel silenzio delle proprie angosce. La signora Titina Centoletti, del primo piano ricorda ancora quando, vent’anni prima, si affacciava a fare la spesa in baby-doll e Raffaele, il fruttivendolo col treruote, restava ore guardando insù a commemorare la sua angoscia.
    Tutto è terribilmente triste. Il tempo non sempre è terapeutico.
    A volte incarognisce le sensazioni, specialmente quando il mattino si scambia per errore il tubetto di crema per le emorroidi con il dentifricio.

    Francesco Di Domenico

  14. Naturalmente le predilezioni e i gusti vanno rispettati e compresi.
    Per cui chi afferma “l’horror è un genere che non fa per me”, non dice alcunché di stravagante soprattutto se, per esempio, la persona ha una passione immensa per i saggi storici o le liriche d’amore.
    A puro titolo di cronaca, però, vorrei dire che mi sono spesso imbattuto in lettori che, a proposito di romanzi a loro poco congeniali, hanno detto “ah però, ma questo giallo non è solo…giallo”, “e questo noir non è solo…noir”. D’altro canto, è davvero possibile “liquidare” con un catagorico “poliziesco” tutto quello che Simenon ha scritto sul commissario Maigret? Oppure Rex Stout su Nero Wolfe? E Conan Doyle col suo Sherlock Holmes è davvero semplicemente “giallo”?
    Ho scomodato paragoni ingombranti solo perché si tratta di autori più o meno conosciuti da tutti. Ma, analogamente, credo che “Dove il silenzio muore” di Simonetta Santamaria sia un horror “ambientale” con molta attenzione alla natura e alla vita dei personaggi più che agli effetti shock.

  15. Sono d’accordo, Enrico. Credo che l’horror, il giallo, il noir abbiano un valore altissimo a livello narrativo, al di là dei gusti personali.
    Sono generi che consentono un affondo netto nei personaggi , a fil di lama, come un lucidissimo occhio interiore. Scrutano le nostre ambiguità senza tacerle, prendendo atto del mistero che ci abita, dello scontro con forze contrapposte.
    La straordinaria prospettiva di “giro di vite” ad esempio, è un io narrante solo in apparenza sano, che mostra progressivamente la propria instabilità. E’ un punto di vista geniale, modernissimo, lontano dal narratore onniscente, o dal narratore”distante” che sa mettere uno spazio emotivo tra se’ e i propri personaggi.
    Una simile angolatura, di sanità malata, e poi di malattia che scivola nell’immaterialità degli spettri, è quanto di più vicino all’animo umano sia mai stato raccontato.
    Proprio come se lo stesso cuore avesse mani per scrivere.

  16. Enrico ha ragione: le etichette vanno bene per i medicinali, ma non per le opere letterarie. Non c’è di solito un libro che rientri perfettamente in una categoria. Tende a debordare e incrociare le altre…
    Conan Doyle. Pur con tutto l’arsenale deduttivo di Holmes, era un convinto esoterista… e nei racconti e romanzi c’è un gran gusto per l’esotismo, il mistero, l’avventura… le suggestioni insomma sono più sottili.
    Per Lorenzerrimo: adoro Wilde e sono d’accordo con la tua analisi. C’è da dire che Wilde ci dà un fantasma delizioso, quello di Canterville, e lo carica di tutte le paure e attese che erano anche sue: il desiderio disperato di salvezza nascosto dal riso ironico, il mistero della salvezza che è tutt’uno con quello della vita e della morte…
    Come vediamo, guai ad etichettare un autore o un genere.

  17. Anch’io sono d’accordo con Enrico e Maria Lucia. Etichettare un libro significa ridurne i contenuti. Io in genere non amo i libri gialli, i noir e tutto quello che ha a che fare con il poliziesco, ma se mi capita tra le mani un libro di Sthepen king non riesco più a smettere di leggere. Così come i racconti del grottesco di Poe sono stati determinanti per la mia formazione. E anche Lovecraft. Suspence, orrore e fantastico si assemblano dando vita alle storie, sta all’abilità dello scrittore armonizzarle. Kafka non era forse un maestro dell’orrore? La metamorfosi si legge con l’angoscia, la sensazione sgradevole che ci sia uno dietro che ti soffia sul collo; ti fa provare i brividi, si incunea tra i labirinti della nostra immaginazione come una lama fredda e tagliente. Alla fine quello che conta è riuscire a trasmettere emozioni al lettore, renderlo partecipe delle tue. Auguri a Simonetta e complimenti ai relatori. Didò ma non eri un esperto di letteratura umoristica? Pure di brividi ti occupi? Non salirei sul tuo autobus nemmeno se fossi inseguito dal diavolo.

  18. Allora partiamo dal principio: adoro l’HORROR, probabilmente perché difficilmente un libro o un film di questo genere riesce veramente a spaventarmi. Sono una fan assoluta di Lovecraft, Stoker, Shelly e Poe. Adoro con tutto il cuore Stephen King fino al bellissimo “Mucchio d’ossa”, poi, vuoi perché ha avuto un grave incidente, vuoi perché per sua stessa ammissione ha smesso di far abuso di alcool e droghe, la sua scrittura si è persa. Fortuna che ci ha dato moltissimo da leggere e rileggere, ivi compresa la surreale saga della Torre Nera che spazia dalla fantascienza, al fantasy, all’horror passando per il western, l’epico e il sentimentale. Un capolavoro in sette libri (mi pare siano sette, adesso non mi va di andare a controllare in libreria) che è valso la pena aspettare, seguire e leggere in molti anni di gestazione. Credo che sia limitante precludersi una lettura in base al genere di appartenenza che, come dice Gregori, serve solo a sistemare i libri sugli scaffali delle librerie. Ma sono scelte.
    Riguardo la grande Simonoir, ho letto “Dove il silenzio muore” e ne sono rimasta affascinata. Romanzo bello, scritto benissimo, appassionante. E devo dire grazie a Gregori per avermelo consigliato. E a Simonetta per averlo creato.
    Laura

  19. Confortato da alcune opinioni qui sopra riportate da altri, continuo a pensare che la stragrande maggioranza dei libri (a prescindere dalla qualità e dal personale apprezzamento) abbiano molteplici elementi e che quindi l’etichetta di genere riguarda la generale atmosfera del romanzo. Per fare un paradosso, qualcuno se la sentirebbe di dire che l’Inferno di Dante è horror oppure gothic?
    Chiaro che ho scomodato un’opera inarrivabile, ma l’ho fatto solo nel tentativo di spiegarmi al meglio. Comunque, tornando al romanzo di Simonetta, sarebbe auspicabile che quanto prima l’autrice postasse un brano del suo libro, magari proprio uno dei tanti dal quale sia possibile rendersi conto che l’horror aleggia ma non è tutto e soltanto ciò che caratterizza “Dove il silenzio muore”.

  20. Innanziutto ringrazio Massimo che ha selto di ospitare il mio romanzo, Francesco ed Enrico che mi fanno da “padrini” e tutti voi che state partecipando alla discussione sull’horror.
    Purtroppo in questo momento sono fuori Napoli, e senza adsl, per cui sto facendo salti mortali per essere con voi: farò il possibile fino a domani sera, dopodiché potrò ripartire alla grande.
    @ Renzo: l’horror ha varie sfaccettature, secondo la classica accezione si ritiene un genere fantastico e poco attinente alla realtà ma da Poe a King, il Maestro, l’horror assume una veste più veritiera, ed è questo che contraddistingue i miei scritti. Come dico spesso, il mio è un horror “quotidiano”: non troverete vampiri e zombie in un contesto fantastico ma esseri fantastici inseriti in un contesto familiare, così vicini al lettore da sembrare quasi reali. Il nostro vicino di casa, la migliore amica di vostra moglie, un’adorabile bambina… E questi sono gli elementi che credo facciano più paura. Se ti lasci convincere e coinvolgere, credo che potresti cambiare idea 😉
    @Simona:Brava, hai centrato in pieno la psicologia di scrive horror, e noir; questi generi non sono altro che un affondo nel lato oscuro di tutti noi. Noi diamo voce e vista a quel mostro che vive silente in un angolo recondito del nostro io. Prendiamo una manciata di paure umane, le condiamo con la giusta dose di fantastico e le rendiamo fruibili: molti riescono a immedesimarsi, dipende da come ci si pone di fronte a un libro del genere. E’ come fare un giro sulle montagtne russe: chi sale sa che quando la barra ti inchioderà al sedile, non potrà più scendere. Se accetti, accetti di finire la corsa. Altrimenti non ci sali neppure.

    Più tardi cercherò di postare un paio di brevi brani tratti dal mio romanzo, e risponderò a tutti quelli che vorranno colloquiare su questo tema a cui tengo molto, proprio per sfatare il mito dell’horror come genere unicamente fanta-splatter. Il mio non è né l’uno né l’altro: è (o almeno cerca di essere) tensione, Paura, quella che ti fa scrutare nel buio dopo aver chiuso il libro. Ed è italiano, per dimostrare che anche noi lo sappiamo fare. Che anche noi donne lo sappiamo fare. Perché, cari signori uomini, voi non avete idea di quanto possa far paura una donna… 😉
    Intanto, per i più curiosi, vi rimando al mio sito, dove troverete qualcosa di più su questa “donna inquietante” che ha deciso di sfidare le firme d’oltreoceano puntando su un genere niente affatto facile, ancora troppo vittima di pregiudizi. L’horror è cambiato, provare per credere!
    A più tardi!

  21. arrivo buona ultima, e in fin dei conti solo per ribadire un concetto già più volte espresso.
    i generi sono scatolette ben ordinate ed etichettate in cui è comodo far rientrare tutto. ci sono libri che ci possono più o meno stare, e che non ne risentono in modo particolare.
    ma ce ne sono altri che tracimano, e sfuggono.
    puoi schiacciare finché vuoi, spingere, saltarci sopra (mi viene in mente la metro di tokio, con gli addetti al compattamento delle masse), ma quelli non ci possono entrare.
    perché hanno spessore e densità, perché hanno le ali.
    perché la sistematica linneana non è applicabile in letteratura.
    e, pensandoci bene, neanche nella vita.
    🙂

  22. @ isabella:
    quindi concorderai sul fatto che di sanguinolento nel libro di Simonoir c’è poco o nulla. Spesso, salvo esempi ragguardevoli, il calcare la mano su effetti spettacolari nasconde una povertà di contenuti.

  23. Ho sempre provato un istintivo senso di repulsione verso ogni forma di categorizzazione, un bisturi nelle mani di chi cerca di sezionare la fantasia.
    Nulla può risultare più orrido del quotidiano.
    Simonetta Santamaria ha del coraggio. Non tanto perchè sceglie, italiana più che donna, di competere con scrittori d’oltreoceano. Piuttosto per la scelta di esaltare le paure dell’ordinario. E lo fa con una determinazione davvero impressionante, tale da risultare attraente come ogni cosa che ci costringe a negoziare un nuovo rapporto con noi stessi.
    Forse dovremo sacrificare qualcosa per una simile lettura. Tuttavia ciò che perderemo sarà solo qualche brandello della nostra sclerotizzata, convenzionale razionalità.
    Solo chi ha perso ogni vitale velleità deve avere reale timore. Tutti gli altri possono avere una emozione al modico prezzo di un libro.

  24. Cara Simonetta, che voi donne lo sappiate fare è assodato. Il genere “gothic” non è forse nato anche con il fondamentale contributo di Mary Shelly?
    E poi dici ” ..cari signori uomini, voi non avete idea di quanto possa far paura una donna…” Credo che invece che un’idea ce l’abbiamo.
    Io almeno ce l’ho.
    🙂

  25. @ evento:
    credo tu abbia ragione da vendere. porsi davanti a un libro con la fantasia già condizionata e/o imbrigliata è una cosa negativa.
    Si può perdere qualche sorpresa. Io, per esempio, sono senza dubbio orientato verso il genere noir-giallo-poliziesco-thriller-gothic-horror :-). Ma ho ovviamente letto tanti libri di ben altro genere senza condizionamenti. Libri entusiasmanti.

  26. La strage di Verona di ieri, un’ordinaria notte di morte, con tre bambini di tre, sei e nove anni.
    La strage di Erba, quattro morti, tra cui un bambino.
    Prima, tempo prima (credo nel 1959), ad Holcomb, nell’Arkansas, due balordi, entrati in una casa privata col miraggio di una cassaforte, uccidono quattro persone, inutilmente, consentendo a Truman Capote di scrivere “A sangue freddo”, un capolavoro.
    Ecco, la quotidianità di Melania Mazzucco de “Un giorno perfetto”, ma anche degli orrori fantastici della Santamaria, delle fobie di Niccolò Ammanniti . Poco inventato, molto ragionato, tanto vero. L’orrore è talmente vicino, come nel movie “Salvate il soldato Ryan”, che è quasi inutile mettersi ad inventarlo, basta scovarlo nelle pieghe della cronaca.
    Non credete?

  27. @ DIDò:
    e lo chiedi a me? 🙂 Se ripenso a tutti gli episodi di cronaca dei quali mi sono occupato credo che ci sarebbe materiale a iosa. Ne citerò soltanto uno, che mi sembra particolarmente in tema e che fu definito “il caso delle mummie di Acilia”.
    C’era una piccola comunità di persone, aderenti a una strana setta, che conservava da anni in casa i cadaveri dei congiunti defunti. Nessuna sepoltura, nessun funerale. Ma una quotidiana adorazione in preghiera di quei corpi via via decomposti sempre di più. Quando le forze dell’ordine e i cronisti entrarono in quegli appartamenti trovarono l’Ade. Buio pesto rischiarato solo da piccole candele. Corpi saponificati e personaggi vestiti di nero che pregavano con un sottofondo di musica sepolcrale. Loro stessi, in fondo, erano dei sepolti vivi, sacerdoti di quell’assurda e macabra rappresentazione che, però, era realtà. Null’altro che raltà.

  28. @isabella: grazie infinite per aver pubblicato la mia intervista! spero possa essere chiarificatrice per chi ancora non mi conosce 🙂

    @carlos: simpatica risposta! 🙂 mi piace il tuo spirito (non mi rifersco al fantasma!) 🙂

  29. Primo round: DOVE IL SILENZIO MUORE – La trama

    “Dove il silenzio muore” (Cento Autori) è un romanzo ambientato a Napoli, come tutte le mie storie, in un borgo immaginario ai piedi della collina di Posillipo. Tutto parte da un antico manufatto egizio, l’Ouroboros, il serpente che si morde la coda simbolo di rigenerazione ed eternità, governato da Apopis, dio del Buio, che rivendica il suo potere su Cristo portando scompiglio e morte ai giorni nostri. C’e una villa, “La Silenziosa”, che torna a vivere dopo anni di abbandono e che rivelerà un mistero sepolto nelle sue viscere; c’è Sara che ha il dono, o la maledizione, di vedere, una sorta di capacità medianica fatta di strane visioni che lei stessa dovrà poi decifrare. Ci sono un prete, un archeologo, un ciabattino, un vecchio medico condotto, un pescatore: personaggi dissimili che però andranno a dar vita a un’unica storia. Nella narrazione passato e presente s’intrecciano fino a formare una sola, incalzante e soffocante traccia che porterà all’epilogo. Si parte da un capitolo Zero e si finisce con un capitolo Zero: e tutto riparte dal principio, proprio come per l’Ouroboros.

    C’e una villa, “La Silenziosa”, che torna a vivere dopo anni di abbandono e che rivelerà un mistero sepolto nelle sue viscere; c’è Sara che ha il dono, o la maledizione, di vedere, una sorta di capacità medianica fatta di strane visioni che lei stessa dovrà poi decifrare. Ci sono un prete, un archeologo, un ciabattino, un vecchio medico condotto, un pescatore: personaggi dissimili che però andranno a dar vita a un’unica storia. Nella narrazione passato e presente s’intrecciano fino a formare una sola, incalzante e soffocante traccia che porterà all’epilogo.

  30. Secondo round: DOVE IL SILENZIO MUORE – Un assaggio… (cap 13)

    “Ora ti faccio vedere io come i veri uomini trattano le donne come te!”. L’uomo la prende per i capelli e la sbatte per terra
    “Noo… Noo!”
    poi le salta su a cavalcioni. La guarda, così scarmigliata, con quegli occhi fiammeggianti d’odio. Annusa l’aria come un lupo. Lo sente. È l’odore della paura.
    Prima le lega i polsi dietro la schiena col suo foulard di seta, poi le strappa la camicetta. “Sei solo una cagna in calore”
    “Lurido bastardo!” Uno sputo in piena faccia.
    Schiaffo. “Una troia schifosa”
    Lei scalcia come una cavalla selvatica. Lui si eccita di più.
    Schiaffo.
    aaeeeeii oooouu…
    Schiaffo. Schiaffo.
    Le strappa gli slip. Lei sanguina dal naso.
    aaeeeeii oooouu…
    La penetra con impeto, con anelata cattiveria; lei inarca la schiena e urla, lui serra gli occhi in uno spasmo di acuto piacere.
    “Stai buona…(colpo di reni) Sì, buona…(colpo di reni)…”. Sente il corpo di lei che, lentamente, si ammorbidisce. “Ti piace, eh, puttana? Dimmelo, che ti piace il mio…”. Ora apre gli occhi, per guardarla ancora.
    Ma la donna non è più Sara “Frigida” Mattei. È un’orrenda figura semidecomposta, e gli sta sorridendo. La carne viscida, sotto la pressione delle mani, si disfa mettendo a nudo il biancore delle ossa.
    C’è sangue, sangue dappertutto.
    L’uomo tenta di liberarsi ma ora è lei che lo blocca tra le sue cosce.
    aaeeeeii oooouu…
    “Stai buono” gli dice, la voce impastata. “Ora ti faccio vedere io come le vere donne trattano gli uomini come te!”.
    L’uomo vede la sua pelle avvizzire, marcire.
    “Noo!”
    Lacerarsi.
    aaeeeeii oooouu
    Vermi. Vermi lattiginosi e viscidi che colano come acqua dalle sue carni putrescenti.
    “Oooohh!”
    Il suo corpo, quello del più bel muratore di Borgo e dintorni, tutto muscoli e testosterone, sta vomitando fiotti di grossi, pallidi, ripugnanti vermi.
    aaeeeeii oooouu
    “Schifosa… lascia… mi…”
    Buio.
    “Sono… sono morto.”

    Si svegliò in un bagno di sudore, scosso dai tremiti. Istintivamente, con la mano destra si tastò il corpo: c’era tutto. Poi, a tentoni riconobbe il suo letto.
    Un incubo. È stato solo… un fottuto incubo, pensò.
    Ma un senso di forte oppressione al torace gli impediva di respirare a sufficienza. Non riusciva a muovere il braccio sinistro: un piombo.
    Fame. Fame d’aria.
    All’improvviso il dolore gli esplose nel petto con la violenza di una granata.
    Oddio… oddio, mi scoppia il cuore! Non riesco a parlare… Che dolore! Non respiro!
    Cercò di toccare sua moglie, ma arrivò solo a schiaffeggiarsi la spalla sinistra. Lilia che dormiva raggomitolata su se stessa, o forse no, forse stava solo pregando la Madonna che lui non la toccasse più, non per quella notte, meglio se per sempre. Lilia, che non avrebbe più dimenticato suo marito che all’improvviso si era trasformato in una bestia. All’inizio le era anche un po’ piaciuto ma poi la sua foga l’aveva spaventata; così l’aveva supplicato di smetterla, di slegarle i polsi ormai dolenti ché quel gioco non le piaceva più ma le sue ritrosie, i suoi lamenti, pareva l’eccitassero maggiormente. E quello strano vecchio medaglione che oscillava sul suo petto, oscillava, oscillava, e lui che non faceva altro che ripetere vocali, vocali.
    Aiutami… ti prego… non ti farò più male, mai più… rispondimi…
    Troia schifosa, allora l’aveva chiamata. E l’aveva schiaffeggiata. Poi aveva preso da sotto il letto un arnese da lavoro, qualcosa con un grosso manico, e con quello le aveva fatto davvero tanto, troppo male. Ma l’amore non dovrebbe essere mai dolore, questo insegnano i giornaletti e le soap opera.
    Dolore… terribile… non riesco più… a respirare… sto morendo, sto…
    Buio. Nero, pastoso, profondo. Buio di tomba.
    aaeeeeii oooouu
    Davvero.

  31. Terzo round: DOVE IL SILENZIO MUORE – Se vi è piaciuto… un altro assaggio! (cap 50)

    Nella notte, in quella notte, nulla e nessuno era tranquillo.
    Nella notte, un vecchio dottore incapace di prendere sonno fissava il soffitto della sua camera da letto guardandosi bene dallo svegliare la moglie che gli ronfava affianco, pensando a quello che sarebbe stato il domani.
    Nella notte, un uomo solo e malinconico che nella vita aveva fatto il ciabattino, sedeva sotto il portico della sua casa guardando il temporale che si avvicinava. Come poteva, un povero solachianiello ignorante, trovarsi ad affrontare una cosa tanto più grande di lui? L’uomo non seppe darsi una risposta né gliene importava, in fondo. Tanto ormai non aveva più importanza. L’unica cosa che lo angustiava era che se fosse finito all’inferno non avrebbe più rivisto la sua Annarella.
    Nella notte, un giovane uomo con la passione per l’archeologia rileggeva antichi testi. Non tutto ciò che è antico è morto, pensò massaggiandosi lo stomaco afflitto dai crampi. Lui lo aveva constatato di persona. Ma questo, sui libri, non si trova scritto.
    Nella notte, un prete col cuore malandato pregava il suo Dio per i suoi amici. Nel silenzio della rianimazione, chiese per l’ultima volta perdono.
    Nella notte, un altro uomo e la sua donna stavano passeggiando stretti nelle loro giacche sul piccolo lungomare di un borgo disorientato e ventoso. Discorrevano del più e del meno, si sfioravano appena. C’era imbarazzo nelle loro voci, e lunghe pause tra un argomento e l’altro pesanti come pietre tombali, riempite soltanto dagli scrosci di un mare che minacciava tempesta. Tra poco sarebbero tornati a casa. In realtà, entrambi avrebbero voluto essere già a domani. A quando si sarebbero finalmente confessati di non amarsi più.
    Nella notte, un’altra donna si aggirava nel buio come uno spettro, in direzione della scogliera. Il desiderio si era fatto pressante, imperativo: lei non l’aveva mai avuta, una casa grande col giardino. Ci avrebbe piantato rose e buganvillee e limoni. E pomodori ciliegini. Avrebbe vissuto tra i fiori e il verde come una ninfa dei boschi e la sua mente si sarebbe quietata, allora. Un corvo nottambulo gracchiò. La Silenziosa la stava chiamando, le stava comandando di entrare e prenderne possesso. E lei avrebbe obbedito. A qualunque prezzo.
    Nella notte, un rombo di tuono squarciò il silenzio mentre nuvole nere si addensavano minacciose sul paese. Sì, su Borgo Marina Piccola stava per abbattersi un brutto temporale.

  32. Qualche incipit:
    ***
    La campana del convento suonava appena da cinque minuti, e già la chiesa dei Cappuccini era gremita di gente. Ce n’era dappertutto, perfino sulle ali dei cherubini. San Francesco e San Mauro portavano ciascuno il loro carico d’uomini.
    .
    (M. Gregory Lewis – Antonin Artaud, “Il monaco”)
    ***
    L’avvocato Utterson era un uomo dall’aspetto rude, non si illuminava mai di un sorriso; freddo, misurato e imbarazzato nel parlare, riservato nell’esprimere i propri sentimenti; era un uomo magro, lungo, polveroso e triste, eppure in un certo senso amabile.
    .
    (R.L. Stevenson, “Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde”)
    ***
    La luce della luna batte in fondo al mio letto. Vi si posa sopra come una pietra enorme, piatta e lucente.
    Man mano che il cerchio della nuova luna si rimpicciolisce, e il suo lato sinistro comincia a svanire – così agisce l’età su un volto umano, lasciando la sua traccia di rughe prima su una delle due guance che si vanno incavando – la mia anima diviene preda di una vaga inquietudine. Essa mi tormenta.
    .
    (G. Meyryink, “Il Golem”)
    ***
    “Che cosa vi fa pensare che potrei essere utile in questo caso?” domandò il dottor John Silence, osservando un po’ scettico la signora svedese dinanzi a lui.
    “Il vostro cuore sensibile e la vostra competenza in occultismo”.
    .
    (A. Blackwood, “John Silence, detective dell’occulto”)
    ***
    Un assolato pomeriggio d’autunno un bambino si allontanò dalla sua rustica casa, in un piccolo campo, ed entrò inosservato nella foresta.
    .
    (A. Bierce, “Chickamauga”)
    ***
    Quando il signor Peter Knoppert cominciò a studiare le lumache per hobby, non aveva la più pallida idea che i suoi pochi esemplari sarebbero diventati centinaia in un battibaleno.
    .
    (P. Highsmith, “L’uomo che guardava le lumache”)
    ***
    I cannot, for my soul, remember how, when, or even precisely where, I first became acquainted with the lady Ligeia.
    .
    (E. A. Poe, “Ligeia”)
    ***
    The ‘Red Death’ had long devasted the country. No pestilence had ever been so fatal, or so hideous. Blood was its Avatar and its seal – the redness and the horror of blood.
    .
    (E. A. Poe, “The masque of the Red Death”)
    ***

  33. ciao simonetta, qui #Stai buona…(colpo di reni) Sì, buona…(colpo di reni)…”. Sente il corpo di lei che, lentamente, si ammorbidisce. “Ti piace, eh, puttana? Dimmelo, che ti piace il mio…”.# e qui #Dolore… terribile… non riesco più… a respirare… sto morendo, sto…
    Buio. Nero, pastoso, profondo. Buio di tomba.
    aaeeeeii oooouu
    Davvero.#
    bello!
    mi sembra che un po’ di teatralità ci sia, molto fisicità. le vocali, poi, mi fanno pensare ad una sorta di metacoscienza linguistica.
    è così?
    in effetti la fisicità, la carnalità e la ‘sanguignità’ di molto horror, strizza l’occhio a un certo tipo di teatro, non quello borghese, di parola, ma quello che, appunto, lavora sul corpo facendone un campo di forte semantizzazione e ibridazione tecnologica. Questi assaggi mi ricordano molto questo aspetto.
    sbaglio?

  34. “L’incubo potrebbe essere una prova dell’esistenza dell’Inferno.
    Ero visitato dagli incubi due volte la settimana ed era molto spiacevole.
    Sono così orribili i miei incubi che non oso raccontarli, troppo disgustosi.
    C’è gente che non sogna, gente che non conosce gli incubi: tanto meglio per loro, io ne conosco fin troppi!
    La parola è strana: in spagnolo è molto brutta – ‘pesadilla’ – vale a dire ‘piccola pesantezza’, mentre in inglese è bella – ‘nightmare’ – che non ha niente a che vedere con i capelli ma piuttosto con il demone della notte ‘Mara’, ‘Nichte Mara’, o forse ‘fiaba della notte’ nel senso della parola tedesca ‘marchen’, racconto di fate.
    Anche in francese è una parola molto bella – ‘cauchemar’ – in cui si può scoprire un legame con ‘nightmare’. In tedesco è inoltre ‘alp’, cioè l’elfo che dorme sul nostro ventre, il cosiddetto succubo.
    Shakespeare ha impiegato la parola ‘incubo’ una sola volta, pensiamoci, una volta sola nella sua vasta opera…”
    .
    (J. L. Borges, “Testamento poetico letterario”)

  35. A Edgar Allan Poe è attribuita la frase: “Se guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso vorrà guardare in te.”
    * * *
    Chi scrive del “terrore”, chi racconta attraverso le parole e le immagini di terrore può essere disturbato mentalmente?
    * * *
    Di Poe si narra che lo fosse, Lovecfaft oltre ad avere un padre psicotico era a sua volta sofferente.
    * * *
    Ho la fortuna di conoscere personalmente Simonetta Santamaria e, viceversa, è una persona solare e allegra, l’unico elemento di follia in lei è la sua amicizia per me.

  36. Guardare nell’abisso che siamo, nel mistero che siamo non è pazzia. Non è malattia.
    E’ coraggio.
    E la scrittura si nutre di coraggio.
    Coraggio nel dirsi la verità su se stessi. Coraggio nel non tacersi che siamo male. E bene. E ancora male. E ancora bene.
    La scrittura non offre risposte, se non quella di trasformare la vita in parola. Ma aiuta a formulare le domande. O a resistere a chi vorrebbe importi di non formularle.
    Non fuggire la domanda. Questo è coraggio.
    D’altra parte l’horror non credo abbia a che fare col fantastico. Ma con la realtà interiore dell’uomo.
    C’è un romanzo “Cigni Selvatici” di Jung Chang che parla della storia di tre generazioni di donne cinesi dall’epoca imperiale fino a Mao. E’ un libro non fantastico, ma vero. Parla di esecuzioni. Bastonate. Torture.
    C’è un passaggio che può far pensare a un horror e invece è un ricordo.
    Ed è quando Chang racconta dell’arresto di sua madre, accusata di essere antirivoluzionaria e sottoposta a interrogatori duri e ininterrotti.
    Le carceriere dormivano nel suo letto per controllare se piangesse nel cuore della notte.
    Il pianto era infatti considerato “borghese” e sarebbe stata una prova delle sue colpe.Chang pensa che sua madre resistette all’incubo, all’orrore, alla violenza, scrivendo mentalmente. Scagliando parole contro l’oscurità. Contro la gabbia che la cingeva e cercava di penetrare dentro di lei.
    Non è diverso da ciò che fa un racconto horror: scagliare parole contro i nostri incubi.
    Ricordando che quelli peggiori,di incubi, non li partorisce la fantasia.
    Ma l’uomo.

  37. shakespeare, evidentemente, non aveva bisogno del vocabolo specifico per parlare di incubi, di cui la sua opera è piena.
    il buon willie è il padre di tutto l’orrore psicologico seguente.
    mani che grondano incancellabile sangue, padri fantasma che chiedono vendetta, vecchi accecati e perseguitati..
    al limite dello splatter, direi.
    🙂

  38. oddio, in effetti “il macbeth”, per esempio, non mi pare un cinepanettone. ma quello che ho letto di shakespeare (quasi tutto) mi sembra profondamente permeato di atmosfere che (oggi) chiamiamo gothic o orror. Peraltro anche il dr Faust…che ne dite?

  39. tutto il dramma elisabettiano, peraltro, deriva dalla tragedia classica latina.
    seneca in primis.
    la quale di suo era trucida assai..
    🙂

  40. Gea credo sia l’ennesima conferma, ove mai servisse, che le categorizzazioni non solo sono inutili, ma anche dannose. In molte opere potremmo trovare tracce di terrore, così come ha tentato di dire anche Enrico. Volevo introdurre anche Walt Disney, ma mi sembrava di sparare sulla croce rossa… 🙂
    Per fortuna la scrittura gode di maggiore libertà di quella che gli uomini vorrebbero conferirle.

  41. Personalmente non mi sono mai cimentata con l’horror, ma mi attrae, parecchio (come autrice, intendo). Sarà che fin da piccola ho avuto una straordinaria capacità di autosuggestione nel creare mostri dalle ombre, dalle macchie… Condivido con King la capacità di autoterrorizzarmi al pensiero di lasciar pendere una mano o un piede al di fuori del letto, in piena balia della cosa che vi si nasconde sotto, da sempre. E che attende silenziosa di colpire quando la razionalità ti ha ormai convinto che non c’è niente da temere…
    Ecco, tanto per ribadire il concetto che per scrivere di horror un qualche disturbo mentale può essere oggettivamente utile :-))))

  42. Chi ama il pericolo, perirà in esso, dice la Scrittura…
    In effetti c’è una vicinanza pericolosa tra scrittura e disturbi psicologici. Gli incubi di Poe o Lovecraft erano espressione e proiezione e rielaborazione dei vissuti e delle lacerazioni interiori… catarsi?
    Ma scrivere horror può anche essere terapeutico nel senso che può dare voce e sfogo alle energie profonde e magari nascoste che serpeggiano sotto la superficie… qui la specialista è Zauberei!
    Anch’io come Laura immagino “film” e “mostri” che traspaiono dalla superficie della realtà, il cui filo razionale si spezza ogni secondo se uno ha immaginazione.

  43. @ Francesco Di Domenico
    Io sapevo che la frase sull’abisso attribuita da te a Poe, molto citata, fosse invece di Nietzsche. Boh… bisognerebbe vedere, casomai, se Nietzsche, cronologicamente successivo a Poe, si sia impadronito d’una sua frase.
    ***
    E su Poe lascio un contributo tratto da un importante libro scritto da Julio Cortàzar, “Vita di Edgar Allan Poe”:
    .
    “Quanto rimaneva delle sue forze (visse altri cinque giorni in un ospedale di Baltimora) bruciò in terribili allucinazioni, nella lotta con le infermiere che lo legavano, nell’invocazione disperata a Reynolds, l’esploratore polare che aveva influenzato la composizione di ‘Gordon Pym’, e che ora, misteriosamente, si tramutava nel simbolo finale di quelle terre dell’aldilà che Edgar sembrava stesse vedendo, così come Pym aveva intravisto la gigantesca immagine di ghiaccio nell’ultimo istante del romanzo.
    Né ‘Muddie’, né Annie, né Elmira gli furono accanto, perchè ignoravano tutto.
    Pare che in un intervallo di lucidità abbia domandato se rimaneva qualche speranza. Poichè gli dissero che era molto grave, rettificò: ‘Non voglio dire questo. Voglio saere se c’è speranza per un miserabile come me’.
    Morì alle 3 del mattino del 7 ottobre 1949. ‘Che Dio aiuti la mia povera anima’, furono le sue ultime parole.”

  44. Ciao Maria Lucia. Abbiamo un amore condiviso. Per molti anni ho vissuto a pane e Borges… In Borges c’è la gioia pura della scrittura; per lui letteratura e vita erano inscindibili.
    Un abbraccio e buona domenica,
    Gaetano

  45. @Subhaga Gaetano Failla
    Borges, mio Dio ragazzi! Se c’è un paradiso il vecchio Jorge Luis starà confutando delle tesi all’Altissimo.
    Quelli del Nobel ad un certo punto hanno avuto paura di conferirglielo, paura che lo rifiutasse.
    Si, Gaetano, ci sono dubbi sulla frase.
    Come sull’ultima frase di Poe, sembra sia stata:”Aiutatemi, le volte del cielo mi stanno seppellendo!”
    * * *
    Ma le leggende sembrano aleggiare su tutti gli autori dell’horror.
    Anche su Simonetta c’è l’aneddoto (vero) che posso riportare.
    Alla presentazione del suo precedente libro “Donne in Noir”, in una dolce sera d’estate (l’estate dell’uragano Katrina), un uragano terrificante spazzolò Napoli, ma più che altro l’area della libreria Evaluna – mitica libreria delle donne partenopee- un’ora prima del reading, sradicando alberi ottocenteschi.
    Da quel tempo, oltre che Simonoir, il suo secondo pseudonimo è “L’uragano Filomena”, in memoria di un suo personaggio.

  46. ma sì, evento. mi vengono in mente alcune situazioni dei Promessi Sposi.
    l’innominato
    la monaca di monza
    la pestilenza
    vogliamo definire noir il romanzo manzoniano? oddio….volendo 🙂

  47. No Enrico, ci mancherebbe. Piuttosto per me è da “lista nera”, ma questo è altro tema.
    Siamo riusciti a far scappare Simonoir. Non è che ci arriva addosso qualche uragano virtuale ?
    p.s.
    Didò, Gaetano anche voi, dunque, vi siete fatti di Borges. Ora capisco certe affinità…

  48. @ Francesco
    Sì, sarebbe interessante andare a fondo nei documenti, soprattuto per quanto riguarda grandissimi autori come Poe (e per tornare a Borges, Poe era uno degli autori da lui considerato, insieme a Stevenson e pochi altri, un esempio ecccelso di stile letterario).
    Concludo la citazione di Cortàzar, con queste righe che seguono, sulla morte di Poe, a quelle da me prima citate:
    “Più tardi biografi entusiasti gli avrebbero fatto dire altre cose. La leggenda ebbe inizio quasi subito, ed Edgar si sarebbe divertito, se fosse stato presente, a collaborare, a inventare cose nuove, a confondere la gente, a mettere la sua impagabile immaginazione al servizio di una biografia mitica.”
    (J. Cortàzar, “Vita di Edgar Allan Poe”, Le Lettere, 2004)

  49. Ringrazio Gaetano Failla per la bellisima serie di incipit postata ieri.
    Io vi aggiungerei questo, splendido esempio per entrare in atmosfera horror con rara maestria:
    “Quando un giorno che secondo voi dovrebbe essere mercoledì, vi sembra fin dall’inizio domenica, potete stare certi che qualcosa non va. Ebbi questa impressione fin dal primo momento, svegliandomi.”
    (John Windham: “Il giorno dei trifidi”)

  50. Quanto a Borges la sua ammirazione non era solo per Poe, ma anche per Lovecraft e per Arthur Machen. A proposito di quest’ultimo, autore irlandese del “Grande Dio Pan” e di “I Tre Impostori”, che mai raggiunse la fama che meritava, sia da vivo che da morto, tra l’altro dice:
    “In quel volume della sua autobiografia che si intitola The London Adventure ricrea a memoria il mirabile racconto The Figure in the Carpet di Henry James; il breve riassunto di Machen, alleggerito di inutili tratti melodrammatici, è molto più commovente del laborioso originale.”

  51. ARIECCOMI!!
    Scusate, sono appena rientrata a Napoli e sono felice di vedere tanti post!
    @Eventounico: e quando scappa, Simonoir? 😉 No, niente uragano virtuale, io sono una buona, in fondo…
    @ Gianluca: le vocali. Questo è uno dei punti enigmatici del romanzo. Non vorrei anticipare qualcosa a coloro che, benevolmente, vorranno provare a leggerlo, ma copincollo un brano tratto dal cap. 29 che chiarirà un po’ la cosa:

    α α α α α α α
    ε ε ε ε ε ε
    η η η η η
    ι ι ι ι
    ο ο ο
    ω ω
    υ
    «È greco» disse Miranda inforcando gli occhiali. «Alfa, epsilon, eta, iota, sì… omicron, omega, ypsilon.»
    «Esatto. I suoni vocalici in greco. Secondo le teorie più accreditate, gli Egizi del periodo pre-tolemaico trovarono nell’alfabeto greco il sistema per estrarre e trascrivere le vocali che la loro scrittura non contemplava; essi furono letteralmente affascinati dai suoni che tali vocali isolate producevano, tanto da attribuirgli grandi poteri magici come quello di “respirare la vita”. Se noti bene, Luigi, la sequenza non è corretta: vedi, la ypsilon è scritta dopo l’omega. È per dare più forza ai suoni.»
    «Non ci arrivo, spiegati meglio» fece il dottore.
    Filippo si accomodò meglio sulla sedia. «La epsilon produce una e breve, l’eta una e lunga; insieme producono un suono continuo più durevole, una sorta di eee… Lo stesso vale per l’omicron e l’omega: è per lo stesso motivo che sono state scritte in sequenza. Ooo. È chiaro, ora?»
    Miranda lo guardò da sopra le lenti a lunetta. «Chiarissimo. E allora?»
    «L’Ouroboros con questa particolare incisione venne forgiato dagli Apofiti come portatore di rigenerazione e rinascita. Respirare la vita, ricordate? Provate a pronunciare le vocali in sequenza: aa eeee ii oooo uu…»
    Ognuno dei presenti provò generando senza volerlo una sorta di coro mistico.
    «Sentite come si espira? Come si emette fiato? Ecco cosa intendevano gli Egizi per respirare. Ora, nel caso di questa incisione» e puntò il dito sul foglio di carta, «il suono delle vocali pronunciate in questa sequenza da una sorta di portatore avrebbe catturato l’essenza vitale da un individuo per donarla al dio Apopis. È per lui che il Triangolo Magico, contrariamente a quello usato nei comuni rituali, ha il vertice puntato verso il basso. Verso gli Inferi.»

  52. “Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà.”
    (Shirley Jackson)

    Questo per dire che l’irreale fa parte del nostro reale più di quanto s’immagini. Dice King: “Di quante cose abbiamo paura? Abbiamo paura di spegnere la luce con le mani bagnate. Abbiamo paura di quello che può dirci il medico quando la visita è finita; o quando l’aereo precipita improvvisamente in un vuoto d’aria. Quando nostra figlia promette di essere a casa per le undici ma è ormai mezzanotte e un quarto…”
    Tutto questo per dire che la paura esiste, e che lo scrittore di horror non fa altro che tirarla fuori e rimaneggiarla. Lo stesso Poe, come giustamente dice anche Maria Lucia, giocava ai limiti di una razionalità in crisi , e faccio riferimento a racconti come Il cuore rivelatore e Il gatto nero.

    @Laura: validissimo il supporto di un eventuale disturbo mentale! 🙂 La capacità di creare autosuggestione è forse il più importante di tutti. Perché sì, dobbiamo crederci prima noi scrittori se vogliamo sperare che ci credano anche i lettori. E io ci credo, credo in tutto quello che scrivo, credo che quei pensieri infilati nella testa dei miei personaggi possano essere davvero pensati, partoriti da una mente sana.

    @Carlo: bellissima la citazione di Windham!

    @Eventounico: mica sbagliavi tanto a citare Disney, come pure Andersen o Grimm… Niente di più terrorizzante di una strega che mette all’ingrasso dei bambini per poi mangiarseli, o un lupo che divora la tua nonnina e poi si magna pure te (immaginate il bambino che si figura tra i denti del lupo, metre lo mastica…)

    @Didò: amicizia? Ma il nostro non era amore??? 🙂

  53. Ehilà, bella gente!!!
    Vedo che procedete bene.
    Ne approfitto per mandarvi un saluto dalla polare e innevata, ma sempre bella e affascinante, Strasburgo.
    Sarebbe bello ambientare qui una storia del terrore. La città si presta.
    E d’inverno si battono i denti anche senza paura…

  54. Provo a buttare lì una domanda delle mie.
    Decidete se raccoglierla o no… non importa.

    Se doveste scegliere il libro più rappresentativo della letteratura del terrore (nelle sue varie declinazioni)… quale scegliereste?
    E perché?
    Tu quale sceglieresti, Simonetta?

  55. Simonetta??
    Dichiarazioni pubbliche così sconcertanti?
    Certo che è amore, ma Diego tuo marito continua a fare il chirurgo e conosce centinaia di modi per uccidere, dai…continuiamo a parlare d’amicizia, è più salutare per me!

    Il libro più terrificante, Massimo? Bhè, non c’è dubbio: Pinocchio!
    Da bambino avevo paura d’incontrare un amico che potesse rivelarsi un “Lucignolo”, sarà per questo che ho solo amiche donne?

  56. grazie simonetta,
    e dell’influenza teatrale? che dici? c’è nel tuo libro il corpo ‘maciullato’ come campo di significati quotidiani?
    ciao!

  57. appunto. massimo sa perfettamente di aver posto una delle sue classiche domande impossibili. lui, peraltro, suscita il dibattito ben sapendo che una risposta è altrettanto impossibile. io, quindi, faccio un esempio. considerato l’ambiente “terrificante”, la qualità della scrittura, lo svolgersi della storia e il fascino dei personaggi, potrei suggerire “Il mastino del Baskerville” di sir Arthur Conan Doyle.

  58. @Massimo: ma ciao! Ricambio il saluto speciale! 🙂
    @Gianluca: francamente? Se c’è, è un parallelismo inconscio. Diciamo che in quella scena, che io ho postato apposta perchè forse è la massima espressione della descrittività orrorifica dell’intero romanzo (questo per appoggiare Enrico, Isabella, Laura e Didò che sostengono che nel mio romanzo non c’è splatter), l’uso del corpo è associato alla violenza spicciola, quella fisica e carnale, quella che fa più male, dentro e fuori. La teatralità forse è evocata dall’intreccio serrato fra dialogo ed evento, tra parole e suoni.
    Quando scrivo lascio che la storia mi porti con sé, che si racconti. Io parlo al monitor, ascolto il suono delle parole, la cadenza delle frasi, e se mi trasmettono quello che voglio trasmettano, allora è ok. Sarà un metodo un po’ terra terra come il conto della lavandaia ma è l’unico che mi sento nelle corde.
    E, IN RISPOSTA AL DOMANDONE DI MASSIMO: sarò di parte ma Frankenstein di Mary Shelley secondo me è un capolavoro. Partorito dalla mente geniale di una donna quando le donne si figuravano solo davanti a un focolare a fare la calzetta, mette a fuoco diverse sfaccettature terrificanti della mente umana, dal desiderio di potere alla presunzione di poter sconfiggere Dio e la Morte e quindi potersi paragonare a Dio stesso, al tema della diversità, della paura che suscita il cosiddetto “diverso.” L’ambientazione cupa, il taglio gotico, l’angoscia latente. C’è tutto ciò che io considero il meglio di un romanzo horror.

  59. #Io parlo al monitor# questa è una frase bellissima. anche io lo facevo quando avevo i miei blog. lasciarsi portare dalla storia. ho un groppo alla gola. quanta volte le storie mi trascinavano via! che bei tempi, l’infanzia dei sogni. poi la realtà orrorifica mi tranciò di netto le mani e i moncherini senza sangue, come due rami potati, si misero a ciondolare ai lati del corpo. le mani rimasero aggrappate alla tastiera con le dita che continuavano a battere e contorcersi sui tasti come le code di due lucertole impaurite. niente sangue. dieci di scrittura? niente affatto. deliri di uno psicotico morto convinto di essere vivo.
    ciao simonetta!
    🙂

  60. @Evento: infatti sui racconti non ho dubbi: Poe. Il suo horror “psicologico” lo sento molto. E King, my Master, ai tempi d’oro di A volte ritornano e Stagioni diverse.

    @Gianluca: ummaronna, mo’ lo fai venire a me il groppo… 😉

  61. @ Gea: quanto hai ragione in merito a Shakespeare. Ma lui non ha avuto etichette da portare addosso o sulle copertine dei suoi libri.

    Il fatto è che l’etichetta ancora non ce la siamo tolta di dosso, noi che ci cimentiamo nella cosiddetta (a torto) “letteratura di genere”… Conquistare un lettore è ogni volta un traguardo faticatissimo. Ottenere attenzione è un traguardo faticatissimo.
    Qualcuno di voi saprà che il mio romanzo (ora lo posso anche dire visto che le votazioni sono in chiusura) è stato selezionato al premio Giorgio Scerbanenco: un’altra conquista incredibile, il giallo e il noir che aprono le porte all’horror… Qualcosa sta cambiando? Me lo auguro. Potremo sperare di vedere un romanzo “di genere” candidato magari allo Strega? Speriamo. Perché non sta scritto da nessuna parte che i grandi premi debbano essere ghettizzati.

  62. Sono con Simonetta, e con Evento: Frankenstein della Shelley (forse proprio il più rappresentativo). E E.A. Poe per i racconti.
    Ma trovo altrettanto memorabili:
    La Storia del Sigillo Nero (Arthur Machen – 1897)
    La Casa sull’abisso (William Hope Hodgson- 1907)
    La Maschera di Innsmouth (H.P. Lovecraft – 1936)

  63. “Potremo sperare di vedere un romanzo “di genere” candidato magari allo Strega?”
    * * *
    @Simonetta, e gli altri amici che hanno parlato di abbattimento dei generi, colgono in pieno il senso di un mio ragionamento che estrapolo pari pari da un mio brano pubblicato sull’ultimo numero di “Viadellebelledonne”, la delicata rivista web curata da @Morena Fanti & Co.
    * * *
    “Poi è venuta la televisione che ha ucciso un po’ tutto. Molti scrittori, invece di fare il grande salto per tentare di passare dal racconto umoristico al romanzo pieno (estremamente faticoso per un umorista riuscire a tenere ritmo e percussione della battuta comica oltre le 50 pagine), si sono ridotti a scrivere battute, quasi barzellette, per i cabarettisti televisivi. Piccoli fenomeni isolati, come la brava Littizzetto, contano poco; c’è richiesta di letture brillanti e allegre ma vi è carenza di proposte (un autore sa che non arriverebbe mai al Campiello con un’opera comica).”
    Purtroppo esistono ancora gli scaffali nelle librerie.

  64. Vorrei aggiungere che anche Stephen King (che piaccia o non piaccia è indiscutibilmente la figura di maggior spicco oggi in questo genere) parla di tre capolavori immortali, quasi tre archetipi dell’horror, nel suo saggio “Dance macabre (anatomia della paura)”: Frankenstein, Dracula e Dr. Jekyll &Mr. Hyde, escludendo “Giro di vite ” di James perchè “..con la sua prosa elegante e da salotto e la logica psicologica di cui è fittamente intessuto, ha avuto scarsissima influenza sul corso della cultura di massa americana.”
    @Simonetta
    Sì, forse siamo rimasti in pochi, ma cattivi.

  65. @ simonetta:
    un romanzo “di genere” allo Strega? possibile, perché no.
    l’anno in cui le grosse case editrici non si saranno messe d’accordo prima sul vincitore. l’anno in cui non si candiderà uno che ci mette solo la faccia (da cazzarellone) con un libro scritto da altri. l’anno in cui la selezione sarà ad ampio spettro e non sempre e solo sulle case editrici che fanno mercato.
    insomma, nel 2009 ancora no
    🙂

  66. @ Enrico: però se trovassi due amici della domenica disposti a metterci la faccia, io un libro “di genere” glielo farei arrivare, a quelli dello Strega. Sarebbe una bella sfida, non ti pare? Però valli a trovare…

    @ Carlo: però King ha ragione, almeno per quanto riguarda la prosa elegante di Giro di vite: in certi generi una prosa più “realista” è maggiormente d’effetto. Non bisognerebbe aprtire dal presupposto di voler scrivere un capolavoro ma semplicemente una storia d’effetto.

    @ Didò: e come lo convinco, Carlo, a leggere il miol libro, sennò? 🙂

  67. Un ricordo personale: nel 1992, mi trovai a vivere nel Sudest londinese (Lambeth road, SE11, linea marrone della Metro. Vicino alla William Blake Estate perche’ l’autore dei ”Canti dell’innocenza” era vissuto li’ quando quella zona era ancora un paesino) e a frequentare una libreria a meta’ prezzo che stava nelle vicinanze. Ecco: li’ acquistai ”The turn of a screw” di Henry James (”Giro di vite”). Non l’ho mai letto completamente, ma capii subito che James era di un’eleganza vera, profonda, non ”salottiera” come dicono certi americani sovracitati – certo che l’America non ne e’ stata influenzata, lo si vede dal basso tenore di quel che in genere producono.
    Insomma, l’eleganza, l’umorismo e la vena ”nera” tutti assieme sono secondo me un modo raro e difficile, sublime, per togliere i fatti barbarici che vengono a comporre un’opera ”horror” dal loro proprio naturale contesto selvaggio, orribile e condannabile, ed inserirli in un discorso piu’ ampio e civilizzante, a volte addirittura poetico – vedasi Shakespeare, Properzio, Virgilio, Omero stesso. Ma va sottolineato che cio’ accade solo se il fatto di sangue rimane marginale o tutt’al piu’ complementare e non centrale rispetto all’intera narrazione.
    Sono certo che, infatti, che la nostra epoca non e’ capace di esprimere delle narrazioni che restino in un sano equilibrio, saldamente morale, pur mostrando delitti, assassini o apparizioni metafisicamente spietate. L’episodio di Palinuro nell’Eneide, ad esempio, e’ un ammirevole uso strumentale, per fini poetici, di una ”reincarnazione” di defunto in albero. La nostra modernita’, non avendo gran sensibilita’ (insomma: noi, scarsamente sensibili), non puo’ invece, purtroppo, ”manovrare” con gusto e per fini artisticamente encomiabili la violenza e/o derivati e conseguenze di essa.
    Sergio Sozi
    P.S.
    Ho citato Shakespeare per i drammi, Properzio per alcune elegie di angosciante intonazione funebre, Virgilio anche per i duelli dell’Eneide ed Omero per il puntiglioso ”grand guignol” pervadente molti passi dell’Iliade: il tutto e’ perfettamente giustificabile per la profonda religiosita’ dell’uomo antico. I ”nostri” noir, invece, cos’hanno dentro di altrettanto profondo e riverente? Quale filosofia, sentimento, dolcezza a farne da sfondo o contraltare, o fine inespresso ma presente? Nessuno, credo io.

  68. @ Sergio: forse stiamo spostando il discorso su un piano differente, stiamo citando autori che non possiamo paragonare (almeno non dal punto di vista stilistico) ai nostri attuali: troppi anni ci dividono, il modo di scrivere è cambiato, nel bene o nel male è cambiato. E non credo che noi “moderni” siamo meno sensibili anzi, forse lo siamo anche di più perché viviamo una realtà molto più cruda di allora. Facciamo costantemente i conti con una vita violenta, fatta di sangue e morte, la affrontiamo diversamente, meno poeticamente perché è dura ed è così; la mettiamo nei libri per esorcizzarla, per fingere che sia plasmabile, per poterci illudere che saremo noi a scrivere la parola fine quando e come vorremo. E se continueremo a paragonare la nostra letteratura (se mi passi il termine alto) ai mostri sacri d’altri tempi senza lasciare alcuno spiraglio, allora ci vedo poco scampo.
    Perché, se scrivo un noir, o un giallo, o un thriller, o un horror, dovrei (o vorrei) fare della filosofia? Io non voglio fare della filosofia, non è mio compito, ma a guardar bene potrei anche trovarcela. Idem per la dolcezza. Forse nel più cruento degli splatte potrebbe (e dico potrebbe) essere così ma, per fortuna, non è il nostro caso.

  69. Sono antagonista per natura agli editori, compreso il mio. Però, per l’appunto il mio, fa spesso un’osservazione che ritengo giusta paragonando la letteratura anteguerra a quella dopoguerra, osservazione che coinvolge quindi anche l’horror.
    EGLI sostiene che anni fa fosse indispensabile dedicare due pagine (per esempio) alla descrizione di un lugubre castello, in quanto la diffusione delle immagini era scarsa o confinata nelle illustrazioni. Oggi, grazie soprattutto alla televisione, più o meno tutti hanno avuto modo di vedere come è fatto il lugubre castello, quindi due pagine dedicate alla sua minuziosa descrizione rischiano di essere solo esercizio di scrittura e nulla più. chi scrive oggi, insomma, deve puntare più sullo stile e sull’emozione, piuttosto che sulla elaborata descrizione di uomini e cose.
    Proprio non vorrei, giuro, ma temo di essere d’accordo con il mio editore.
    🙂

  70. Perché, se scrivo un noir, o un giallo, o un thriller, o un horror, dovrei (o vorrei) fare della filosofia? Io non voglio fare della filosofia, non è mio compito, ma a guardar bene potrei anche trovarcela.

    Faccio mio il pensiero di Simonetta, in tutto e per tutto.

  71. @ Enrico: sono perfettamente d’accordo con te… e il tuo editore. E’ chiaro, lo stile letterario cambia, il modo di scrivere e di percepire è influenzato dai tempi e dalle tecnologie di cui disponiamo… Dico che non bisognerebbe restare ancorati a certi archetipi ma lasciare uno spiraglio anche ad altro. Altrimenti noi (intesi come nuova letteratura) dovremmo considerarci sconfitti in partenza.
    Ma perché uno che scrive La solitudine dei numeri primi (che, consentitemi, tratta argomento trito e ritrito…) viene accolto ci tappeti rossi e vende migliaia di copie e noi che scriviamo di altre emozioni ma pur sempre tali (tristezza e angoscia: Giordano scatena le lacrime, noi i brividi) dobbiamo penare tanto?? 🙁
    Enri’, ma sarà che ce le vogliamo proprio cercare, le rogne? 😉

  72. Ma perché uno che scrive La solitudine dei numeri primi (che, consentitemi, tratta argomento trito e ritrito…) viene accolto ci tappeti rossi e vende migliaia di copie e noi che scriviamo di altre emozioni ma pur sempre tali (tristezza e angoscia: Giordano scatena le lacrime, noi i brividi)

    SIMONETTA FOR PRESIDENT!!!!

  73. Mentre per restare in tema noir, ho scoperto in questi giorni “In nome di Ishmael” di Giuseppe Genna e vi assicuro che e’ libro che:
    a) fa pensare
    b) fa tremare
    c) non ti fa staccare dalla pagina.
    Non so come siano andate le vendite quando e’ uscito, ma io non lo conoscevo ed essendo una che frequenta le librerie… dubito abbia avuto pile e cataste come Giordano, Vespa e similia in previsione delle strenne natalizie.

  74. @ Laura: grazie, la solidarietà di una lettrice, prima di tutto, mi rincuora assai!
    Vedete, Laura io non la conosco, se non per via virtuale. Lei ha trovato me, ha letto il mio romanzo. Il romanzo di una sconosciuta. Ha investito 14 euro e pare che non li rimpianga perché poi mi ha scritto…
    Io ho subito comprato il secondo libro di Enrico (il primo l’ho letto quest’estate) e compro una quantità industriale di libri di autori italiani emergenti: se andate sulla mia libreria Anobii che sto riempiendo a poco a poco troverete forse un solo titolo americano nonostante io legga anche moltissimi autori stranieri. Perché la nostra editoria emergente ha bisogno di supporto.
    Quanti sarebbero disposti a investire 14 euro o a regalare un libro per Natale che non sia il solito bestseller? Mmm, non so… Magari poi chi lo riceve potrebbe pensare “ma che m’ha portato, questo? Io volevo Faletti…”
    E invece no, cari signori. Lo dico sempre e lo ripeto: non è sempre necessario comprare un bestseller per avere una buona lettura.

  75. @ Laura: SIMONETTA FOR PRESIDENT!!!! Ma se non sono riuscita neppure a mantenermi nei primi cinque posti allo Scerba: sono settima, pensa che sfiga… Ma ho preso nota del libro di Genna e lo comprerò. Madonna, se vedessi quant’è lunga quella lista… 🙂

  76. Molte grazie per la risposta, cara Simonetta,
    ovviamente non mi riferivo a Lei o ai presenti: il mio e’ un discorso generale, non particolare. Mi sembra infatti che proprio questa scarsita’ di profondita’ umana, di escavazione e di propositivita’, in breve di poesia – affinche’ la Letteratura faccia qualcosa per rendere piu’ sereno e sognante il nostro mondo – insomma questa scarsita’ di vitalita’ reale e speranzosa nel nostro prossimo, nell’uomo contemporaneo, mi sembra che siano ”la differenza” con il passato, col quale evitare un serio confronto sarebbe la nostra, se posso permettermi, ”tomba” creativo-letteraria. Credo che paragonarsi coi Grandi sia, infatti, l’unico modo per crescere noi stessi.
    Saluti Cordialissimi!
    Sozi

  77. @ Sergio: ma non è più bello darsi del tu? No, lo so che non c’erano riferimenti personali ma anche il mio era un tentativo di aprire in te una piccola breccia in favore di questa “nuova letteratura” (in cui senza onori mi ci ficco anch’io: hai visto mai che un giorno ti convincessi a leggere un mio libro?)
    😉
    Certo, i grandi autori devono essere i nostri riferimenti, un po’ come un genitore per un figlio. Ma poi questo figlio deve saper e poter crescere con le proprie gambe, seguendo il proprio istinto, e mai tentando di diventare un clone di chi lo ha generato.

    Non sarà che la letteratura di oggi si è maggiormente “compartimentata” rispetto al passato?

  78. @ Sergio
    Di Henry James voglio citare un racconto lungo, un esempio raro di stile e di bellezza: “The Beast in the Jungle” (il titolo ha un paio di traduzioni nelle edizioni italiane: “La bestia nella giungla”, “La tigre nella giungla”).
    E lascio, in relazione forse piuttosto generica al tuo ultimo commento, questo piccolo contributo:
    ***
    “Oggi tutti gli uomini sotto il cielo sono in dubbio sull’affermazione e la negazione e incerti sul vantaggio e lo svantaggio. Quando quelli che hanno l’identica malattia sono molti, nessuno se ne accorge.”
    .
    (Lieh-tzu, “Il vero libro della sublime virtù del cavo e del vuoto”)
    .
    Un abbraccio affettuoso,
    Gaetano
    .
    Tantissimi auguri al libro di Simonetta Santamaria “Dove il silenzio muore”.

  79. @Sergio Sozi,che scrive”I ”nostri” noir, invece, cos’hanno dentro di altrettanto profondo e riverente? Quale filosofia, sentimento, dolcezza a farne da sfondo o contraltare, o fine inespresso ma presente? Nessuno, credo io.”
    Sì, oggi manca la COMPASSIONE.Il patire per ed insieme all’altro.Presente persino nelle società pre-alfabetiche, la cui narrazione(meglio definirla poesia)era carica di sentimento, realista e corale.Un coacervo di voci espresse dalla persona loquens.Voci calde che sacralizzavano la morte, che bruciavano di vigore bellico, che supplicavano i loro dei, che invogliavano all’eros, che si difendevano dagli insulti oppure mutuavano atti e pensieri e davano vita a nuove forme organizzative; voci cariche di kratos(potere) positivo, il cui valore etico scaturiva dalla viscerale e spirituale necessità di vivere intensamente la propria vita. Quanta poesia nelle parole che Euripide mette in bocca a Medea!La poesia sta nell’incalzare del ritmo, che proprio perché incalzante spinge a pensare e nel riflesso del pensiero, come nello scudo di Penteo in cui era riflessa la Gorgone,vediamo ciò che ad occhio superfluo non é dato vedere.Grazie. Lucia

  80. Non ho letto il libro, ma conto di leggerlo presto. I vostri discorsi mi hanno incuriosito. E comunque in bocca al lupo a Simonetta.lucia arsì

  81. “…chi scrive oggi, insomma, deve puntare più sullo stile e sull’emozione, piuttosto che sulla elaborata descrizione di uomini e cose.”

    Maledetto @Gregori, pure a freccette mi batteresti, dovevi “morire di latte”, come diciamo a Napoli.
    Hai, pari pari (e sono convinto che non lo sapevo o non te lo ricordavi) rifatto il ragionamenteo che Jerome K. Jerome fa in “Tre uomini a zonzo”, solo che lui parla di fotografia al posto della tv.
    * * *
    Rispetto al “Siete rimasti soli?”, bhe vi siete rimasti un nocciolo atomico, io non riesco a starvi appresso, dovrei vivere due vite per recuperare le vostre letture, ma maledizione, siete tosti!

  82. Bella. la domanda – che accolgo sperando non fosse ”retorica” – di Simonetta (con la quale sin da ora mi daro’ ben volentieri del ”tu”). La copio qua sotto:

    ”Non sarà che la letteratura di oggi si è maggiormente “compartimentata” rispetto al passato?”

    Poi provo a rispondervi:
    Mi sembra proprio di si’, visto che la ”compartimentazione” (ma preferisco chiamarla, senza delicatezze, ”isolamento”) e’ una moda sociale e culturale che potrebbe ben rappresentare la nostra era a cavallo fra i secc. XX e XXI; di conseguenza, le ricadute artistiche sono le seguenti: fine delle scuole letterarie e di pensiero (in quanto aggregazioni fra sodali); emersione di libri ed autori nuovissimi quanto spesso esterni a qualsiasi ambiente letterario o accademico – due cose diverse, ovviamente, ma entrambi aggreganti i letterati fono a trent’anni fa circa.
    Insomma: oggi, da quale nucleo sociale di interesse condiviso fuoriesce alle stampe lo scrittore di grandi e piccoli editori? Nessuno. Solo individui in una societa’ individualistica, o meglio individualizzata, deregolamentata in senso assoluto, ovvero ”polverizzata”, ”atomizzata”.
    I lati positivi di questo fenomeno contemporaneo (in Italia) sono delle migliori possibilita’ di accesso all’editoria nazionale per tutti gli autori – una democratizzazione, insomma. I lati negativi stanno nel rischio di veder pubblicati troppi libri aventi una selezione a monte scarsa, insufficiente o arbitraria – mentre invece i caffe’ letterari, le associazioni spontanee dei ”salotti” eccetera, una volta offrivano una pratica/selezione/praticantato letteraria che garantiva una certa qualita’ di partenza, alla quale si aggiungevano, dopo, altre selezioni da parte dei lettori degli editori (i quali valutavano le opere proposte per la pubblicazione spesso in forma partecipata o collegiale). Questi filtri oggi sono caduti, come molti ponti col passato. Bene. Ma la qualita’ e’ aumentata?

    Saluti Cari
    Sozi

  83. Lucia Arsi’,
    condivido appieno. Lettura magistrale del passato. Ci resta solo di farlo continuare coi fatti… letterari!
    Ciao cara
    Sergio

  84. P.S. per Lucia Arsi’.
    pero’ ”pathos” equivale anche a ”sentire”, non solo ”patire” come per l’italiano. Ecco: dobbiamo sentire di piu’. Solo sentendo si ama. E l’amore e’ la conditio sine qua non della Letteratura, assieme all’alfabetizzazione.

  85. @ didò:
    la cosiderazione che ho riportato (e che io condivido) l’ha fatta il mio editore. ora, effettivamente io non lessi “tre uomini a zonzo”, ma probabilmente lo lesse il mio editore anche se non credo si sia ispirato a Jerome del quale, comunque, ricordo bene “tre uomini in barca”.

  86. Gaetano mi ha letto nel pensiero – nel senso che ha colto il senso ultimo di quel che dicevo ieri sera. Voglio riportarne qui la citazione, di cui purtroppo devo condividere l’analisi:
    ”“Oggi tutti gli uomini sotto il cielo sono in dubbio sull’affermazione e la negazione e incerti sul vantaggio e lo svantaggio. Quando quelli che hanno l’identica malattia sono molti, nessuno se ne accorge.”
    .
    (Lieh-tzu, “Il vero libro della sublime virtù del cavo e del vuoto”)”
    Ciao, Gaetano, grazie et multos abbraccioni!
    Sergio

  87. Certo che rispondere al magister Sozi è un problema.
    Ma, fossi tu, divin Sozi, fuori dal tempo?
    Fosse cambiata la letteratura? E se le lettere e i lettori sono altro da quello che ” è ” stato nel ‘900?
    Se le parole si sono evolute?
    Baricco un po’ l’ha detto ne “I nuovi Barbari”, stanno accadendo “cose”. Non dobbiamo essere appresso alle “cose”; ma intercettarle?
    Possiamo comprenderle?
    Bukovsky, che molti di voi hanno glorificato, e io sempre detestato, non è stato uno dei primi a stravolgere la letteratura yankee, rendendola urbana e senza regole?
    Prima cercate lo sperimentalismo e poi ve ne dolete?

  88. Io credo che sia impossibile prescindere dal passato (in generale e in letteratura).
    L’importante è che il confronto con il passato offra un’opportunità, e non una prigione.
    E con questa “massima” – o “massimata” – vi rinnovo i saluti da Strasburgo e vi auguro buona prosecuzione. 😉

  89. Ciao, Massimone! Torna presto!

    Dido’:
    Bukovski? Ne ho letto un libro – brutto – e poi non l’ho piu’ visto manco in fotografia. La colpa e’ degli editori d’un certo tipo e degi critici di un certo tipo – lo stesso ”tipo” di sovente. Una tipologia alla quale, come ben sai, io non appartengo affatto. Per me gia’ Baricco e’ troppo sperimentale.

  90. (In ogni caso le ”cesure storiche o temporali”, Dido’, sono un’invenzione bella e buona come l’Orcobubu’ o lo sperimentalismo assoluto: tutto continua dentro di noi, la Storia e’ un fiume, non una serie di dighe).

  91. In soldoni: l’isolamento degli scrittori di cui parlavo sopra con Simonetta non e’ cosa ”nuova” nella Storia, si tratta solo di piccoli particolari appena diversi… la cornice e’ differente, il quadro non cambia – rispetto per esempio all’epoca Augustea e l’appiattimento, l’individualita’ esasperata dell’epoca in cui, comunque, nacquero alle Lettere Virgilio, Orazio e altri grandi. Solo che oggi l’isolamento e’ anche sociale, ed allora un po’ meno!

  92. Laura Costantini,
    prima di tornare a leggere il mio libro – me ne vergogno un po’: per rilassarmi sto sulle ”Pantere di Algeri” di Salgari: roba cruenta, perdinci! – vorrei tanto sapere da te perche’ si debba escludere alcuni fra i tanti possibili significati profondi della scrittura (fra questi parlavamo della filosofia). Perche’, Laura? Andare al fondo delle cose e’ un’operazione ”naturalmente filosofica”, direi, mica una trattazione scientifica in senso stretto. Filosofia piccola piccola, magari. Perche’ no? Infatti, in Letteratura, i sentimenti e le emozioni piccole piccole tutti li ammettono; cos’avrebbe allora di ”diversamente piccolo” che non va la filosofia?

  93. DEVO una difesa in favore di (e si scrive così!) Bukowski! Prima di tutto: non fa letteratura sperimentale. E’ sulla scia della tradizione della grande letteratura americana (il riferimento principale è il primo Hemingway). I suoi debiti letterari – i suoi autori preferiti – sono Dostoevskij, Celine, Hamsun, Fante, ecc. Non c’entra nulla con la beat generation. In musica è ispirato dalle opere di Mahler. Grande autore, dotato di raffinatissimo stile nei dialoghi, di autoironia, di compassione (nel senso etimologico del “sentire” l’altro, precisato da Sergio). Equivocato come cattivo scrittore a causa della sua vita lontana dalle accademie e vicina alla strada. L’ultima sua opera, “Pulp”, un ennesimo tributo a Celine, è “Dedicata alla cattiva scrittura”, come si legge nella prima pagina. Il suo racconto “Come amano i morti” in “A Sud di nessun Nord” è tra i più belli che io abbia mai letto. Il sesso e le sbornie sono elementi della sua letteratura come lo possono essere gli spettri e gli spiritelli campestri per Shakespeare. L’analisi dei singoli elementi non ci fa cogliere la bellezza d’un’opera.
    Abbraccioni a Sergio e a Didò (e leggete il grande Hank! Ehm… Si capisce che sono un suo fan…?)
    Gaetano

  94. Urca, Gaeta’! E se tu fossi esistito ai tempi di Cristo contro Barabba la Storia sarebbe cambiata: Cicerone in confronto a te e’ un avvocato d’ufficio! Mi documentero’ meglio. Come avevo specificato all’inizio, infatti, io ho letto solo un libro di Bucoschi… ehm di Bukowski – ”Panino al prosciutto” che, appunto, non mi piacque. Se mi ravvedo, pero’, Gaetano mi spedira’ a Lubiana l’Opera Omnia bucoschiana (compresi gli idilli, le ballate, i sonetti e le odi, vero?).
    Eh eh eh…
    Ciaobello!
    Sergius Spiritosus

  95. Caro Gaetano, debbo confessare che anche io il bukowsky non l’ho mai approfondito come forse si dovea. Lo si associa troppo volentieri a Burroughs ed altri beat, facendo di tutto un fascio. Io lessi a suo tempo le storie di ordinaria follia (doppo aver visto il film di Ferreri) e non è che mi rimanesse molto impresso: lo trovai anzi noiosino. Ma il tuo commento incuriosisce..e invoglia a riprenderlo fra le mani.

  96. @ Sergio, gustosissimo il tuo commento tra Barabba e Cicerone…
    @ Carlo
    So che alcuni hanno associato Bukowski alla beat generation, ma, come dicevo prima, non c’entra proprio nulla. E per quanto riguarda Burroughs (che conosco molto bene e ho avuto la fortuna anche di incontrare durante il famoso festival di Castelporziano del 1979) è da lui ancora più distante. Nel film “Storie di ordinaria follia” di Ferreri recitava anche un mio amico, un attore del Living Theatre. Il film era pessimo (con una stucchevole Ornella Muti) e Bukowski dice di essersi alzato urlando prima della fine del film e di non aver mai ricevuto un soldo di diritti d’autore. C’è il bellissimo libro-intervista di Fernanda Pivano “Quel che mi importa è grattarmi sotto le ascelle” come introduzione a Bukowski.
    .
    Buonanotte a voi, Sergio e Carlo, scusandomi con Simonetta per il fuori tema.

  97. Gentile Massimo,

    sono poco – per non dire pochissimo – interessato all’horror e al giallo, però riconosco che il genere non è affatto da relegare in un cantoncino della narrativa – come pretendono più di un lettore e di un critico – specie se la trama è costruita con profonda sapienza (conoscenza) psicologica e con l’intento di divulgare messaggi dai contenuti antropologici, non necessariamente positivi.
    Horror o giallo, quindi, che riprendano fatti o vicende accadute nella realtà in modo che mi possa confrontare con i protagonisti, il loro vissuto, i loro mondi. Soprattutto i loro mondi.
    Fa indubbiamente bene alla psiche addentrarci nelle pieghe degli animi dei protagonisti per smascherarli e punirli, o magari esaltarli, sfogando i propri istinti e sentimenti, o mettendoli alla prova.
    Ma ci vuole un’indole (vocazione?) attirata dalle immersioni totali nel mistero o nell’irrazionalità, anche la più greve. E io quest’indole (vocazione?) non la possiedo. Mio malgrado.
    In bocca al lupo,
    G. Ausilio Bertoli

  98. Sto rileggendo “Il mago” di Somerset Maugham.
    Insuperabili i racconti di Poe, poi adoro Dracula e Frankenstein, i racconti di Lovecraft vi daranno incubi da qui al 2100…
    Rispondo a Bertoli: vero è che questo tipo di letteratura tratta dell’irrazionale e del mistero, ma rappresenta anche la lotta della ragione e della luce contro il buio delle paure, dei terrori, dell’inconscio.

  99. Sapete ho pensato a Mario Vargas Llosa e il “la zia Julia e lo scribacchino” un grandissimo romanzo ma anche una meravigliosa riflessione sulla scrittura e la scrittura di genere. Dove si fronteggiano una vera storia – la storia di Llosa con la sua zia:) che più in la gli procuerò una causa – e i racconti di un autore di radioromanzi rosa. Letteratura vs genere – con tutto sommato il medesimo soggetto, cioè una storia d’amore.
    La questione è non tanto il genere tout court ogni genere può essere un ottimo trampolino di lancio. Ma lo scribacchino di Vargas llosa e prigioniero di una specie di perversione chomskiana, una grammatica generativa del linguaggio della narrazione che ha delle regole fisse, personaggi fissi svolte fisse. L’altro è l’uomo che scrive vivendo, scrive flirtando con la vita reale scrive con l’imprevisto e la complicaizone della concretezza. Si guardano, si specchiano e ognuno ha qualcosa dell’altro – in fondo l’appartenenza a uno stesso orizzonte di trama. Pure rappresentano i poli opposti della cattiva e della buona letteratura.
    E in ogni codice narrativo – dall’horror in poi ci sono questi due estremi.

  100. di tutti quelli segnalati ho letto solo “il Dr. jekill e mr. hide” che all’epoca fece veramente scalpore – vedendo anche il film, con il bravo spencer tracy….era veramente sconvolgente..tenendo anche conto degli effetti speciali di allora…… – oggi veniamo sconvolti molto meno….abbiamo visto di tutto….. –
    un altro romanzo che ultimamente e’ riuscito a impaurirmi fu IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI – anche se non viene nominato in questa sede – fu eccezionale !! ed eccezionale fu la trasposizione in film –
    sono daccordo con giuseppe ausilio bertoli quando dice che addentrarci nella psiche dei protagonisti….fa indubbiamente bene – a volte ci fa apprezzare di piu’ la nostra semplice realta’ –
    saluti a tutti – anna di mauro

  101. @ bertoli & di mauro:
    le vostre osservazioni sono secondo me condivisibili. a bertoli in particolare vorrei dire che un romanzo, un qualunque romanzo, può risultare sminuito se andiamo sempre e comunque a cercare un messaggio o un insegnamento. o meglio, se pensiamo sempre che l’autore si sia sforzato di dirci qualcosa tra le righe. trovare, scoprire è compito di chi legge. questo, quindi, vale tanto per i romanzi d’amore quanto per l’horror.
    ad anna di mauro vorrei invece dire che ha perfettamente ragione quando afferma che oggi è più difficile sconvolgerci perché abbiamo visto di tutto.
    questo, secondo me, è il motivo essenziale per cui chi scrive (a prescindere dal genere) deve avere una forza comunicativa, uno stile, una identità che, in qualche modo, renda “originale” e godibile il già conosciuto.
    Il romanzo di Simonetta, secondo me percorre questa strada. Poi ovviamente ogni lettore deciderà se è riuscita ad arrivare a destinazione.

  102. Capperi, manco un solo giorno e guarda che caos! Ma come sono contenta, l’horror ha scatenato un allegro casino!!
    @ Massimo: bella, la tua riflessione sul passato. E’ vero, dev’essere un momento di raffronto ma mai di prigione. E questo credo valga per tutto, non solo in letteratura.
    @ Anna: hai ragione anche Il silenzio degli innocenti è un libro molto “carico”; poi ho letto Le origini del male e ci sono rimasta malissimo: secondo me fa cag… (oddio, non so se si può dire ‘sta parola, o finisce che maugeri mi banna…) Ma avete capito.
    @ Enrico: mi trovo con te in pieno. La forza comunicativa: è questo che io cerco in un libro! E forse è proprio perché abbiamo visto di tutto e di più che ce n’è bisogno in dose maggiore rispetto a prima. Nel campo dell’horror, ma anche del thriller e del noir, spaventare è diventato molto più difficile, il lettore non si scompone più come una volta accadeva davanti ai racconti di Poe. E’ difficile, gente, molto più difficile.

  103. Ah, volevo approfittare per invitare tutti gli amici di MILANO domani VENERDI 28 alla libreria Mondadori OCCASIONI D’INCHIOSTRO, via Ettore Ponti 21, alle ore 21, dove presenterò il mio romanzo DOVE IL SILENZIO MUORE.
    Mi farà da relatrice la grande Paola Barbato, sceneggiatrice di Dylan Dog. Ci sarà un reading musicale, e un buffet a fine serata. Non vi aspettate le canoniche presentazioni accademiche e pallose: dove ci sono io questo non accade MAI! 🙂
    Ingresso libero, ovviamente!
    Sarebbe un’occasione carina per incontrarsi e conoscersi, e magari per capire meglio di che si tratta.
    Perciò, FORZA AMICI DI MILANO!!

  104. Mi dispiace di non essere di Milano, e di non poterci stare domani. Reading musicale e buffet sono molto allettanti (specie se con ingresso libero). Oltre che il poter conoscere di persona Simonetta e la “cellula milanese” di questo sito di pericolosi sovversivi letteratitudiniani.

  105. @ Carlo 🙂 Mi piace, essere una sovversiva…

    @ Enrico: per lo Scerbanenco l’ultima parola spetta ancora alla giuria, anche se so che non sarò certo io a finire in cinquina, proprio perché scrivo horror… 😉

  106. @ Gaetano: ben vengano i fuori tema come il tuo! Confesso di non aver letto niente di Bukowski perchè anch’io mi feci influenzare dal pessimo film (non vedo mai unl film prima di leggere il libro, ma quella volta andò così…) però Pulp mi ha incuriosito e lo aggiungo alla lista dei libri da comprare.
    Però lui si faceva ispirare da Mahler, io spesso dall’hard rock e dal metal… Ossignore, sono grave? :))

  107. @ Simonetta
    “Pulp” è un romanzo (l’ultimo di Bukowski) affascinante, ironico, commovente che gioca con il genere hard boiled alla Chandler e alla Hammett.
    Per quanto riguarda la musica ispiratrice, tu la ascolti nel momento stesso in cui scrivi? E inoltre: hai delle ore della giornata, che tu preferisci, da dedicare alla scrittura? E infine: senti una “musica interna” che percorre le tua pagine, c’è la ricerca d’una sorta di colonna sonora?
    In bocca al lupo per la presentazione di domani (peccato, abito un po’ distante da Milano, in Toscana).
    Un caro saluto,
    Gaetano

  108. @ Gaetano: ascolto spesso musica, ma quando scrivo preferisco quella “pura”, solo strumentale, senza testo, altrimenti mi distraggo. L’hard rock (come King, guarda che combinazione) e il metal (solo symphonic e prog, però, quello troppo duro non mi piace) mi ispirano prima, nel momento in cui mi passano pensieri che devono essere tradotti in scrittura. Spesso l’ascolto quando vado in moto (io giro su una Yamaha 250 rosso sangue, con un casco nero con su un paio di teschi sulla mentoniera e sulla nuca e il logo del mio sito.)
    Per le ore, sono una nottambula perciò preferisco le serali, dalle 17 in poi; sarei capace di tirare l’alba, come a volte accade, ma spesso devo cedere alle esigenze di famiglia tipo cena, tv e quant’altro, se non voglio che mio marito (povero martire, mio prezioso consulente macabro-scientifico – è chirurgo, lui le vite le salva, non le sopprime come faccio io) mi butti fuori dal letto… 😉 Già è difficile convivere con una matta come me: lui dorme con un occhio solo… 🙂

  109. Simonetta è ironica e sembra molto simpatica… buon per lei e per il marito… che per prudenza dorme con un occhio solo!
    🙂
    Chi dorme con un artista non può stare tranquillo perché l’immaginazione è l’arma più pericolosa…
    “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” è un libro meraviglioso sul tema del doppio, dell’inconscio vittoriano in lotta con la repressione… bella anche la trasposizione con Julia Roberts nei panni della cameriera del dottore…

  110. @ Maria Lucia: grazie! Sì, l’ironia è una mia caratteristica. Ricordo quando ho pubblicato Donne in Noir: l’allora direttore di collana mi cancellò tutte le parti ironiche dicendomi che queste “incursioni” se le possono permettere solo i grandi scrittori… A questo punto chiamo in causa Dodò: lui può testimoniare sul mio essere!
    Dr Jekill e Mr Hide è un libro fantastico, che io amo tanto proprio perché affronta il tema del doppio che trovo affascinante. Non so più dove l’ho detto, ma ricordo ancora la serie tv con Albertazzi, era il ’69, io avevo 7 anni ma non l’ho più dimenticato.

  111. Cari amici, mi appresto a partire alla volta di Milano. Tornerò sabato sera e spero di trovarvi ancora tutti qui.
    Non mollate, mi raccomando, vi farò sapere se il mio romanzo riuscirà a conquistare le nebbie nordiche… 😉
    Un bacio a tutti!!

  112. Desidero ringraziarvi tutti per i commenti fin qui pervenuti (anche se confesso che non ho ancora avuto modo di leggerli tutti). L’impressione è che ne sia venuto fuori una discussione interessante (che spero possa continuare).
    Il prossimo post lo pubblicherò sabato (credo).
    E magari vi racconterò delle mie peripezie tra gli aeroporti di mezza Europa, vissute grazie ad Alitalia.
    Quasi più terrificante di un horror!:)

  113. M’ha chiamato Dodò, sono gli effetti che fa il Greg sulle donne, appena lo conoscono mi cassano dalla memoria.

    Ragazzi guardate che Simonoir è anche una brava umorista, infatti ci siamo conosciuti 5 anni fa quando abbiamo pubblicato insieme nella I° antologia degli umoristi napoletani.
    “La sindrome di Nonna Papera” era uno dei racconti più gustosi.

    Conoscere Simonetta e sapere che fa la “Horror” ti fa un attimo sghignazzare: “Dai e io sono Nilla Pizzi”.
    E’ una ragazza (?) talmente solare, con due pretoriani rock come figli, perchè non lo ha raccontato ma le belve santamariane sono prodigi emergenti del rock duro.
    Quel povero esile e raffinato chirurgo che ha avuto la sorte di prenderla nel talamo, e che oltre a dormire con un occhio aperto porta sotto il cuscino un bisturi (hai visto mai?), ritrovandosi al mattino con qualche taglietto nella mano (lo impugna al contrario), è lui il martire.

    Ma la follia ha tanti figli.
    Pensate che, per presentare il mio indecente libraccio surreal-psicotico (chiamare umorismo le mie sconcezze fa vergognare Benni & Serra) ho chiamato Simonetta, e lei senza dire sensatamente:”Scusa Didò, ma che c’azzecco io?” mi ha detto subito di si.
    Cosa faremo il pomeriggio del 16 dicembre al Maschio Angioino, dove si presenta: “Storie brillanti di eroi mediocri” di Francesco Di Domenico – CentoAutori Editore, Dio solo lo sa (almeno lui)!

  114. Un saluto a Maugger, prima di uscire di casa per andare alla festa ”natalizia” della Casa Editrice lubianese Studentska Zalozba, dove forse incontrero’ anche l’editor trentino Giuliano Geri.
    Una domanda al nostro Massimone: riuscirai a presentare alla Fiera del Libro di Roma ”Piu’ libri piu’ liberi” il libro letteratitudiniano?
    Abbraccioni
    Sergio

  115. Sono tornata!! Giornata da tregenda, quella di ieri: neve, vento bufera, treni in tilt, strade bloccate… Dovevo salire io a Milano per far scatenare tutto questo!
    Bella presentazione, una ballerina ha danzato sulle mie parole, un’attrice bravissima ha interpretato i miei incubi in modo splendido. Ma la prossima volta ci salgo in primavera (e guarderò prima le previsioni del tempo.)

    @ Didò: quel Dodò è un refuso (quella i accanto alla o…), come potrei cassarti dalla memoria, visto che mi hai pure chiesto di presentarti?

    Alla fiera di Roma Più libri più liberi ci sarà anche il mio editore (CentoAutori) perciò chi di voi volesse osare e provare a leggere DOVE IL SILENZIO MUORE lo troverà lì.
    🙂

  116. @ Sergio
    Sarò a Roma, per partecipare alla Fiera, venerdì 5 (tutto il giorno) e sabato 6 (solo la mattina).
    Presenteremo “Letteratitudine, il libro (vol. I)” presso lo stand della Azimut.
    Vi terrò informati con un apposito post.

  117. Detesto la splatter e sull’horror ho qualche perplessità, non tanto perchè mi impressioni, ma quanto perchè mi riesce difficile individuare lo stile per valutarlo. Ho piantato a metà, tanto tempo fa, un libro di Stephen King.
    Detto questo, Lo strano caso di Doctor Jeckill e Mr. Hide è e resta un grandissimo capolavoro!

  118. Massi sei tutti noiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
    In bocca al lupo anche a Simonetta e a tutti gli autori che sono passati da questo blog-salotto…
    A tutti i lettori, a tutti noi che amiamo leggere e scrivere, è proprio vero che un libro ci rende pìù LIBeRI…

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