Il Centro “Pannunzio”, a quarant’anni dalla sua fondazione, ancora oggi costituisce un ineguagliabile esempio di battaglie condotte all’insegna del pluralismo culturale per migliorare la società italiana
di Giovanni Venezia
Inquadrare la storia del “Mondo” di Mario Pannunzio nel contesto storico fra il dopoguerra e la fine delle pubblicazioni, da più parti, viene considerato un fatto necessario sebbene non se ne siano mai spiegate le ragioni del suo ruolo nella società del tempo fino al ’66.
Ci pare, invece, poter affermare con certezza, che Pannunzio volendo dare forte continuità al “Risorgimento Liberale”, sia riuscito a fare emergere da un’oscuro scantinato, sepolto dal fascismo prima, dalla guerra, dalle violente battaglie politico elettorali svoltesi all’indomani della scelta della Repubblica poi, la necessità per la nuova l’Italia di intransigenza morale, di una cultura laica e soprattutto fuori da ogni becero provincialismo, con un linguaggio mai accademico, senza forzature linguistiche, ma chiaro, adeguato all’ intellegibilità postulata dall’Italia ancora semianalfabeta. E, ci pare, non essere solo questo il fondamento della originalità e dell’attualità pannunziana quanto essere riuscito a coagulare “formazioni e generazioni di intellettuali di diversa estrazioni con un punto fondamentale in comune: l’antifascismo”.
Senz’altro “Il Mondo” può essere annoverato come il più autorevole periodico culturale del secolo scorso. Un giornale che ha avuto “peso notevole” nella trasformazione della società italiana.
Sappiamo benissimo quale era l’obiettivo di Mario Pannunzio (ritratto nella foto accanto) attraverso il Mondo: tracciare per la nuova Italia la strada della cultura laica, liberale con un soffio sostanzioso di libertarismo dovuto alla necessità di riconoscere al cittadino la sua dignità individuale nell’agorà della democrazia.
Un cammino difficile che non sortiva quasi mai nelle “adunanze” redazionali quanto piuttosto dalla lettura del “Mondo”. E’ stato, in conclusione, l’unico vero antagonista, una potenza, per così dire, contrapposta alla cultura della sinistra comunista.
“Fra queste opposte potenze , però, Il Mondo” – scrive Nello Ajello – “riuscì a scavarsi un proprio sentiero realizzando il problematico connubio fra due maniere di intendere la società e due modi diversi di studiare la storia: quella di Croce e quello di Salvemini . E Bobbio sottolineava che esso interpretò gli umori di quei laici progressisti che rappresentavano ” un blocco di ghiaccio, compatto, preso fra due correnti di flutti…”
Obiettivo di fondo rimase sempre “la battaglia contro il comunismo in difesa della libertà dello spirito come era intesa dalla scuola crociana. Non fu mai dolce contro la Dc di cui, attraverso le inchieste del Salvemini condannò con forza il regime instaurato. Anche lo stesso Ernesto Rossi, percorrendone la scia, denunciò gli scandali dei Monopoli e del malgoverno. Questa lezione oggi, attualissima, fa testo. Ed è storia.
Insomma, la forza del “Mondo” consisteva nei numerosi convegni su cui inizialmente Pannunzio nutriva dubbi, ma, successivamente, dietro le insistenze di Eugenio Scalfari e dello stesso Ernesto Rossi, Pannunzio cedette.
Quei convegni, dettati dai fatti della quotidianità, portarono a successi di lunga gittata (soprattutto se si pensa che negli anni Cinquanta erano protagoniste la polemica sulla libera concorrenza “strozzata” dalle grosse imprese conniventi i sindacati e la lotta contro i monopoli). L’influenza de “Il Mondo” si riversa in un tempo molto più lungo dell’arco di tempo che scorre tra il 1949 ed il 1966 anno della chiusura del settimanale.
Gli insegnamenti di Pannunzio e dei suoi collaboratori, avevano già dato una lezione profondamente seria e competente per consentire all’Italia di incamminarsi sul sentiero della libertà e della democrazia. Si discusse molto su temi caldi ed ancora oggi attualissimi quali – tra gli altri – l’energia elettrica, il Concordato, riforma della scuola, libertà di stampa, speculazione edilizia. Un mare agitato che ancora oggi lo fa da protagonista nella società disgregata dalla politica senza freni e lontana dai cittadini.
La scuola e la lezione del “Mondo” non potevano essere ossidati dal tempo ma postulava continuità.
Continuità è ancora. Il prof. Pier Franco Quaglieni fu a fianco del “maestro”, ne raccolse l’eredità e nel 1967, con certosina pazienza, ideali sinceri e sacrifici, raccolse attorno a sé un gruppo di giovani studiosi.
Nacque ufficialmente il Centro di cultura “Mario Pannunzio”. Ebbe vita difficile soprattutto nell’area torinese ove l’attività culturale veniva anche boicottata con conati di emarginazione inqualificabile. La forza delle idee, della concretezza e dei valori laici-culturali pannunziani allignarono lentamente fino ad avere una vera esplosione grazie al lavoro e l’impegno costante, alle iniziative di successo, al disprezzo per qualunque tentativo di condizionamento politico in nome della libertà e dei suoi valori.
Quarant’anni di battaglie culturali laico-liberal-libertarie, per rinnovare, ancora una volta, una società declassata, hanno portato al Centro “Pannunzio” onori e fama per avere influito non poco sulla formazione dei giovani, sulla cultura dell’azione e sugli ideali mai teorici.
E’ lo stesso prof. Pier Franco Quaglieni, fondatore-condottiero del Centro ed oggi Presidente, a darci un quadro esaustivo- pur nella sua “concinitas” – del ruolo che la cultura e l’opera di Pannunzio influiscono, ancora oggi, sulla società.
– Pannunzio ed “Il Mondo” , protagonisti della democrazia italiana, quale eredità hanno lasciato? Quali, oggi, i valori ancora attuali cui ispirarsi?
“Ci hanno lasciato una grande lezione di indipendenza, di impegno civile e di rigore morale. Ed anche una lezione di eleganza e di stile che l’Italia di oggi non può neppure immaginare cosa sia stata. Un’eredità scomoda, difficile, di una minoranza che resta e vuole restare minoranza perchè sa che certe battaglie sono proprie di pochi. Pannunzio ed i suoi amici erano gente che si sacrificava, volendo restare minoranza per impedire alle maggioranze di lasciarsi tentare da derive maggioritarie, come già intravedeva Tocqueville nell’8oo. La democrazia, senza il lievito del liberalismo, può facilmente divenire democrazia totalitaria, dittatura della maggioranza . Solo la democrazia liberale garantisce a tutti i cittadini i diritti insopprimibili ,vedendoli anche, mazzinianamente, come doveri. Il ’68 ha distrutto i doveri, noi dobbiamo ricostruire il concetto di diritto-dovere. Non è mai esistito il liberalismo di massa, così come non si può divenire liberali all’improvviso, provenendo dal comunismo o dal cattolicesimo. Il liberalismo è scuola di tolleranza e di equilibrio, richiede buone e faticose letture, ma soprattutto richiede quella che un grande storico, Adolfo Omodeo, definiva la “pratica della libertà”. Chi dice di essere liberale perché ha frequentato per qualche mese il Cepu della politica, non è in buona fede”.
– Il Centro “Pannunzio” di Torino, che da 40 anni di “ragionare laico” conduce con fierezza battaglie di elevata civiltà, di impegno culturale e sociale di notevole interesse, superando difficoltà non di poco conto soprattutto “scontri” contro ogni tentativo di soffocante condizionamento per imbrigliarne la voce, come riesce a trovare la vivacità, la coerente continuità e riuscire ad essere propositivo soprattutto verso i giovani per i quali costituisce un esempio di lealtà nell’ umana azione ?
“Noi abbiamo proposto un esempio ed indicato un percorso che è anche una scelta di vita. Senza mai fare i moralisti e senza mai volerci atteggiare a maestri. Se qualcuno vuole seguire il nostro esempio, ne saremo lieti. Ma non pretendiamo di convincere nessuno. Le scelte morali hanno significato solo se nascono dal profondo della nostra coscienza. Abbiamo provocato scontri, ma abbiamo anche sollecitato incontri perché non siamo persone faziose e non abbiamo un partito da difendere o da promuovere. Abbiamo anche commesso in quarant’anni tanti errori. Ma nell’insieme noi riteniamo le nostre scelte giuste: non per il consenso che oggi sembrano registrare, ma perché andavano fatte. A qualunque costo. Croce diceva che nell’Ottocento la parola liberale in Spagna aveva esattamente il senso opposto di “servile”. Ecco, questo è, in sintesi , il Centro “Pannunzio”.
– Quali riflessioni propone per dare lezioni di etica comportamentale politica a questa classe dirigente afona, ignorante ed opportunista e per far sì che gli italiani si riapproprino del diritto di cittadinanza e della democrazia?
“Noi, come ho detto, non vogliamo far lezione a nessuno, ma quello che è certo è che la classe dirigente che oggi abbiamo (in maggioranza e all’opposizione) è fatta in prevalenza da dilettanti, avventizi, ignorantelli, arroganti. Noi preferivamo la I^ Repubblica con tutti i suoi difetti , ma anche con uomini come De Gasperi, Einaudi, Croce, Sforza, Carandini, La Malfa, Saragat, Nenni, Almirante e persino Togliatti. Togliatti era meglio dei suoi attuali eredi che praticano un funesto cinismo togliattiano senza avere nè la cultura, nè l’esperienza di Togliatti. Non dimentichiamo che quegli uomini sono stati i protagonisti di una ricostruzione straordinaria dopo la sconfitta nella II^ guerra mondiale e la guerra civile che ha insanguinato il Nord Italia.
Non a caso, oggi, quegli uomini sono dimenticati. Provate a pensare agli omologhi odierni: c’ è da rabbrividire.”
Nel 40° dalla fondazione il Centro Pannunzio apre le pagine della riflessione sul passato nel presente e inizia un cammino – come progetto – per il futuro con uno sguardo soprattutto verso i giovani.
E’ quanto aveva previsto il “maestro Mario”: “il gruppo di amici e lettori non si sarebbe perso”.
Così è stato perché – scriveva Ignazio Silone – il vero continuatore del “Mondo” è il Centro “Pannunzio”.
Malagodi, con sdegno verso “i disobbedienti del Pli” abbe a dire che Mario Pannunzio ed il suo “Il Mondo”, sarebbe rimasta una “voce nel vuoto”. Il tempo ed i fatti lo hanno smentito.
Il Centro viene dal futuro con, alle spalle, un passato glorioso e la sua voce autenticamente laico-liberale, si rivolge ai nuovi giovani che numerosi si accostano alle lezioni pannunziane sulla insopprimibile funzione del pluralismo culturale. I suoi punti di forza.
Giovanni Venezia
–
Giovanni Venezia è il direttore dell’e-magazine Il Pungolo.
Ringrazio Giovanni Venezia per avermi inviato questo pezzo.
Tutti voi, se vi va, siete invitati a scrivere qualcosa su Mario Pannunzio.
Ne approfitto per sottolineare che in questi giorni molti quotidiani stanno pubblicando articoli su Gaetano Salvemini (uno dei co-fondatori, con Pannunzio, de “Il Mondo”): l’occasione è il cinquantesimo della morte.
Devo ammettere che Pannunzio lo conosco solo di fama. Di conseguenza, se dovessi applicare a me il titolo di questo post, temo di dover dire che la sua lezione rischia in effetti di rimanere una voce nel vuoto. Cercherò di recuperare, come sempre.
Smile
Forse quella di Pannunzio non è stata una voce nel vuoto, ma di certo oggi si sente il vuoto (nel senso di mancanza) della sua voce.
Scusate se intervengo.
Ci tenevo a inserire un contributo su “Il Mondo” preso proprio dal sito del Centro Pannunzio: http://www.centropannunzio.it/mondo/f_mondo.html
E poi vi prego di consentirmi una battuta veniale: Il Mondo di oggi non è più come quello di una volta.
* * *
“Il Mondo” è stato un settimanale di politica e cultura pubblicato a Roma negli anni 1949-66. Fondatore e direttore ne fu Mario Pannunzio che gli conferì una costante linea di impegno civile e di totale indipendenza rispetto al potere politico ed economico. Redattore capo fu Ennio Flaiano.
“Il Mondo” nacque dall’incontro della cultura crociana con quella salveminiana ed einaudiana ed ebbe tra i suoi collaboratori più importanti Ernesto Rossi, Carlo Antoni, Vittorio De Caprariis, Nicolò Carandini, Luigi Salvatorelli, Ugo La Malfa, Arturo Carlo Jemolo, Giovanni Spadolini, Aldo Garosci, Vittorio Gorresio.
L’obiettivo che il giornale cercò di realizzare fu quello di una terza forza liberale, democratica e laica, capace di inserirsi come alternativa ai due grandi blocchi, nati in Italia dalle elezioni del 1948, quello marxista e quello democristiano. L’impegno anticomunista de “Il Mondo” fu esemplare perché condotto in nome della libertà e non della difesa di privilegi economici precostituiti.
A partire dal 1955 Pannunzio organizzò i “Convegni del Mondo” come risposta laica all’arretratezza settaria dei marxisti e alla crisi del centrismo in Italia. Essi affrontarono temi come la lotta ai monopoli, i problemi della scuola, dell’energia elettrica e del nucleare, dei rapporti tra Stato e Chiesa, dell’economia e della borsa, dell’unificazione europea.
“Il Mondo” ebbe notevole importanza soprattutto sul piano culturale, in quanto fu la prima grande rivista di cultura stampata in rotocalco, rivolta quindi ad un pubblico notevolmente più ampio di quello tradizionale. Oltre a Croce, Salvemini ed Einaudi, collaborarono a “Il Mondo” scrittori come Mann ed Orwell, Moravia e Brancati, Soldati e Flaiano, Tobino e Comisso.
Sul versante non marxista e laico della cultura italiana “Il Mondo” rappresentò l’unica voce importante estranea agli schematismi politici e culturali allora predominanti. Il suo antifascismo fu sempre vivo e costante, la sua laicità mai astiosa, il suo fermo anticomunismo mai preconcetto. Fu accusato di essere élitario, espressione di un’aristocrazia intellettuale refrattaria alle grandi masse. E’ tuttavia certo che “Il Mondo” esercitò un’influenza di gran lunga superiore alla sua tiratura.
Edito inizialmente da Gianni Mazzocchi, ebbe negli ultimi dieci anni di vita come editori l’industriale Arrigo Olivetti e l’ambasciatore Nicolò Carandini che parteciparono direttamente alla vicenda politica del giornale. Pannunzio non fu solo il direttore, ma il vero ispiratore del settimanale che curava con attenzione artigianale in tutti i suoi aspetti: leggeva ogni articolo, faceva i titoli e le didascalie, sceglieva le fotografie, impaginava personalmente. Soprattutto suggeriva i temi da trattare ai molti collaboratori, in quanto egli non firmò mai nessun articolo anticipando il ruolo del moderno direttore di giornale. Sotto il profilo grafico il giornale si presentava con una eleganza tutta longanesiana, ma c’erano anche un rigore ed uno stile che superavano il giornalismo di Longanesi, di cui pure Pannunzio aveva subito il fascino.
Sono anche da ricordare le graffianti vignette di Mino Maccari e di Amerigo Bartoli e le fotografie che, insieme ad alcune vivaci rubriche, costituiscono un animato ritratto dell’Italia di quel periodo.
Ma perché hanno dato il Premio Pannunzio a Vittorio Feltri, quest’anno? Cosa c’entra con le battaglie di civiltà, cultura, indipendenza, diritti e riscatto sociale?
La libertà di Feltri non ha padroni, la cultura non è asservita, la provocazione è penetrante e concreta. Il premio conferitogli ci sta tutto. Al signor Scalfari, manca tutto questo.(Lo avrebbe potuto avere solo se un comportamento lineare con quanto “predicava” nel 1976 nei primi numeri di Repubblica). Egli è il “tutto del niente” pur con la sua vasta cultura. Filosofo? non lo è e s’è cimentato,le idee sono itineranti.Del riscatto sociale avalla le sinistre e mostruose depredatorie proposte dai rifondazionisti conservatori e populisti. Che vuuoi di più. A Scalfari una statua a futura memoria della statismo cultural-politico. Premio unico del genere come lo è il gionalista e le sue continue esternazioni. Ma, debbo riconoscere che se non ci fosse l’Italia, quest’Italia, se lo dovrenbbe inventare.Gloria
Qualcuno lo aveva candidato addirittura per la nomina a Senatore a Vita. Non sarebbe stata una cosa più vergognosa del nobel ad Arafat ma poco ci manca.
Eugenio Scalfari, “giornalista” abituato a scrivere a comando, zerbino di Craxi e poi suo principale accusatore, penna armata della peggiore sinistra Italiana (ma c’è n’è una buona?) nonchè umile servo di un esempio della peggior imprenditoria Italiana, oggi, se possibile, dà il peggio di sè inserisce tutto il veleno che ha accumulato nei 4 anni a guida Centro-destra.
Riusci ad infilarci di tutto. Iniziò con il paragonare quel periodo storico (in cui lui vede la caduta di Berlusconi) all’Italia del ‘43 quando venne arrestato Mussolini per finire con lo schiaffeggiare Prodi, reo di non essersi unito ai fischi all’indirizzo dell’ossessione dei Radicali e degli Integralisti laici passando per un diktat del perfetto indottrinato sul “perchè Tremonti ha rovinato e rovinerà l’talia”.Non vale la pena di ricordare a Scalfari la differenza tra una dittatura ed un Governo eletto democraticamente. Non solo prefersice le dittature (quella Sovietica e quella Irachena ad esempio) ma per lui il Democraticamente eletto non esiste. Come tutti i sinistrati pensa che un governo sia legittimo se e solo se è quello che ha votato lui.
Saluto Gcan… bentornato da queste parti, come ti va?
🙂
Non sapevo che il Pannunzio per il giornalismo fosse andato a Feltri. Ti ringrazio per il tuo intervento provocatorio che credo offrirà spunti per un dibattito (interessante e – spero – corretto).
In ogni caso giro le tue domande a Giovanni Venezia, l’autore dell’articolo.
–
@ Cato.
Intanto benvenuto a Letteratitudine.
Ti devo dire che alcuni tuoi passaggi mi sono sembrati un po’ troppo forti. Io non li condivido (e mi dissocio). E poi nessuno aveva tirato in ballo Eugenio Scalfari (che personalmente stimo). Immagino che tu abbia colto l’occasione per dire la tua contro Scalfari (e dietro pseudonimo).
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@ Tutti.
Mi preme ricordare che ognuno è libero di esprimere la propria opinione ricordandosi che “La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui” (vedi “Avvertenza” nella colonna di sinistra del blog).
Ho scritto di Pannunzio e della sua continuità nel presente attraverso il Centro , appunto, Pannunzio. Nell’articolo ho citato anche Scalfari che di Pannunzio è stato amico e collega e con cui ha condiviso battaglie nel nome della libertà e democrazia e di cui anch’io sono profondo estimatore per la sua cultura e per le sue critiche” perchè rispetto la libertà di espresione. La posizione di Cato, forse, “scaturisce dalle pesanti accuse nei confronti di Vittorio Feltri forse per “ruggini” del passato. Ritengo che nel suo editoriale di domenica Scalfari avrebbe potuto essere meno forte e duro e con giudizi categorici e a volte fuor di luogo.. La moderazione è un virtù dificile da gestire. La vis polemica quando è fine a se stessa e induce a strumentalizzazioni è da condannare. In questo caso vale la pena dire con il Vangelo secondo Giovanni: ” sia il vostro discorso sì,sì, no, no. Il resto è del maligno. Intelligenti pauca.
In questo caso spero davvero ulteriori e più compiuti interventi riguardanti il personaggio Pannunzio ed il Centro che proprio al Mondo si ispira guardando ai giovani. Grazie
Di sicuro non daranno mai il premio Pannunzio a Bertinotti. Segue la mia lettera alla quale non si è sognato di replicare, come non si è sognato di dirmi come potevamo risolvere il problema di mia moglie con Cuba…
Lupi
CARO BERTINOTTI, QUESTA SE LA POTEVA PROPRIO RISPARMIARE…
Leggo su internet un messaggio del Presidente della Camera dei Deputati, on. Fausto Bertinotti e non credo alle parole che scorrono sullo schermo, forse è uno scherzo di Carnevale, visto che a Cuba non è ancora finito.
Caro Presidente, un anniversario importante è l’occasione per gli auguri da parte di chi ha vissuto i lunghi anni della Sua importante presenza nel mondo, presenza congiunta al cammino della rivoluzione cubana. Nessuno dei dissensi che abbiamo lealmente espresso può cancellare le speranze e le emozioni che hanno suscitato nella mia generazione e nel mio paese le donne e gli uomini della Sierra Maestra. Poi Cuba ha camminato con le sue gambe e ha interpretato, insieme a Lei, l’orgoglio di un popolo e di un’isola che vuole vivere la sua indipendenza e decidere autonomamente del suo futuro e del suo destino in un mondo di pace. Buona fortuna a Lei e al Suo Popolo, Presidente. Lunga vita, caro Comandante, un abbraccio e auguri per la Sua salute.
Queste le sconcertanti parole di Bertinotti, un Presidente di una Camera dei Deputati legalmente eletta dal popolo che scrive a un dittatore che dal 1959 governa Cuba facendo il bello e il cattivo tempo, senza curarsi di indire nuove elezioni, ma restando al potere senza alcuna legittimazione. Ma lo sa Bertinotti che Cuba è il paese al mondo che produce il maggior numero di esuli per motivi politici? Ma lo sa Bertinotti che neppure dal Cile di Pinochet scappava tanta gente? Pare proprio di no, perché gli auguri del Presidente della Camera dei Deputati non si limitano alla festa di compleanno e alla speranza di buona salute, ma vanno ben oltre. Si parla di importante presenza nel mondo congiunta al cammino della Rivoluzione Cubana . Ma lo sa Bertinotti che un po’ di tempo fa, se fosse stato per Castro, sarebbe scoppiata la Terza Guerra Mondiale?
Nessuno nega che gli uomini della Sierra Maestra abbiano suscitato emozioni e speranze in tutti noi, ma analizziamo la storia e rendiamoci conto di quanti ex rivoluzionari hanno dovuto subire un ingiusto esilio. Huber Matos fu uno dei primi. Carlos Franqui è ancora uno di loro, scrive articoli e libri nei quali condanna il castrismo come una delle tante forme di caudillismo latinoamericano. Haidé Santamaria si è suicidata per la disillusione rivoluzionaria e perché non condivideva la svolta autoritaria del castrismo. Per tutta risposta il regime l’ha condannata alla scomparsa da tutti i libri di storia cubana, come si sono dissolti nel nulla Franqui, Matos e molti scrittori cubani dissidenti. Ma lo sa Bertinotti che a Cuba ci sono centinaia di prigionieri politici in carcere solo per aver espresso opinioni diverse da quelle del regime? Cuba ha camminato con le sue gambe e ha interpretato l’orgoglio di un popolo che vuole vivere la sua indipendenza … ma ci rendiamo conto delle assurdità affermate dal Presidente della Camera dei Deputati? Da quando in qua una dittatura, uno Stato di polizia, interpreta l’orgoglio e il sentimento del popolo? Non mi sono mai vergognato così tanto di essere italiano, neppure quando l’onorevole Silvio Berlusconi ci faceva fare magre figure internazionali ovunque andava. Caro Bertinotti, questa lettera di auguri se la poteva risparmiare, anche in considerazione di un ruolo che dovrebbe rappresentare l’unità nazionale. Non possiamo sentirci rappresentati da un uomo politico che glorifica un dittatore. Credo che lei non abbia mai letto Cabrera Infante, ma la invito a ponderare le pagine di Mea Cuba dove il grande scrittore cubano chiede che la storia giudichi i fiancheggiatori della dittatura castrista come complici di un governo liberticida che ha prodotto milioni di esuli. La storia non assolverà Castro, mi creda, ma non sarà tenera neppure con chi rende vita facile a un dittatore che ha obbligato gran parte del suo popolo a vivere in esilio.
Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
giovedì, agosto 16, 2007
Mi ha intervistato il Radio Giornale della Svizzera taliana sulla situazione a Cuba. Per chi fosse interessato, questo è il link (serve REAL PLAYER): http://real.xobix.ch/ramgen/rsi/rg/2007/rg_12_08132007.rm?start=0:09:49.0&end=0:16:16.5 La redazione del GR ha fatto anche un ottimo servizio sulla situazione politico – economica cubana. Per commenti vi rimando al blog: http://www.quasiquasifaccio.splinder.com
Gordiano Lupi
scalfari è uno dei più grandi intellettuali italiani. uno di quelli che ha contribuito enormemente alla crescita culturale di questo paese. uno di quelli che scrive, a volte anche duramente, ma prendendosi sempre le proprie responsabilità e firmandosi con nome e cognome. è facile, caro signor cato, scrivere e attaccare senza firmarsi, o usando un nick name, o in altre parole, lanciare il sasso e poi scappare.
Dai Gennaro, diamo una mano a evitare le polemiche. Se ci mettiamo anche noi frequentatori abituali rischiamo di rovinare lo spirito del blog, non credi?
Smile.
non ho ancora letto, ma comunque elektra hai ragione, sarà che è lunedì, ma di polemiche non ho voglia:) un sorriso a te
Ringrazio molto Elektra per il suo commento a “effetto rasserenante” (dovrei pagarti, cara! 🙂 ) e Alessandro per averlo sostenuto.
Ciò premesso mi piacerebbe tornare al tema centrale dell’articolo di Giovanni Venezia, ovvero: Pannunzio (e di conseguenza il centro che porta il suo nome).
Senza offesa, ma premiando Feltri si è voluto rendere omaggio al nulla, alla totale mancanza di autonomia etica e professionale. Niente di strano: al giorno d’oggi le cose vanno così.
Senza offesa
Pannunzio ha rivestito un ruolo importante. Così come Eugenio Scalfari. E Feltri è un bravo giornalista. Credo sia possibile riconoscere i valori dei singoli anche senza essere d\’accordo con l\’uno e con l\’altro. A meno che non si faccia parte degli schierati di professione.
La premiazione di Feltri ha dato fastidio a Tizio perché è amico di Caio e nemico di Sempronio.
La premiazione di Sempronio avrebbe dato fastidio a Filano perché è amico di Oldezio e nemico di Tizio.
Le cose sono sempre andate così. E vanno così anche al giorno d\’oggi.
A dire il vero Feltri che in passato era un giornalista che aveva qualche cosa da dire da un po’ di tempo si è messo con le vele a favore di vento e non dice nulla di diverso di quanto ci si possa attendere che dica un allineato.
So di essere un tipo “particolare”, ma stimo sia Feltri che Scalfari.
Ogni mattina compro sia “Repubblica” che “Libero” e mi diverto un mondo a confrontare notizie ed opinioni. Non sono un qualunquista, ma so bene che non esiste il bianco e il nero. Esiste il grigio, con le sue infinite tonalità. Leggo, e poi mi faccio le mie idee. Che rimangono mie e basta.
Scalfari può dare fastidio, ma anche Feltri. Ricordo le minacce delle nuove brigate rosse.
Mi scuso con il direttore del sito se sono andato fuori argomento.
Un saluto a Renzo Montagnoli e a Silvio Merli (new entry, se non sbaglio… giusto Silvio?)
Grazie per i vostri commenti, ma stiamo andando un po’ off topic. L’articolo non è incentrato né su Feltri, né su Scalfari, né sui vari Caio, Tizio, Sempronio, Filano, Oldezio.
(Oldezio? Ma chi è Oldezio?)
accetto la tirata d’orecchi da parte di elektra e mi scuso con massimo. non mi piace essere polemico. io non ho nulla contro i nickname, in fondo anche tu elektra usi un nick e mi sta benissimo. nei tuoi interventi sei sempre misurata e dolce. però nel momento in cui si passa a dire o a scrivere cose forti ritengo giusto che l’autore dell’intervento o del commento si firmi con nome e cognome assumendosene rischi e responsabilità. per es., gordiano lupi ha scritto una lettera aperta molto “forte” indirizzata a bertinotti. può essere condivisibile o meno. però ha avuto il coraggio di firmarsi.
tutto qui.
chiedo perdono a massimo per essere uscito ancora una volta fuori tema.
Mi pare che tra i testi in commercio scritti da Pannunzio sia disponibile il seguente: “L’ estremista moderato. La letteratura, il cinema, la politica”, edito da Marsilio nel 1993.
La sintesi recita così:
“Questo volume raccoglie tutti o quasi gli scritti, prima della stagione più nota della sua biografia intellettuale, di Pannunzio giornalista e critico impegnato in riviste e giornali e ci consente di mettere a fuoco, per la prima volta, la varietà dei suoi interessi culturali. E’ una sorta di tutto Pannunzio che ci dà la misura del suo impegno, senza esclusione di territori e della sua convinzione che la politica e la cultura debbano essere testimonianza e monito di vita, di giustizia e di libertà.”
Sapete se esistono altri testi di Pannunzio in commercio? Ed eventualmente dove sono disponibili?
Caro Massimo, confesso di non conoscere Pannunzio. Mi intrometto con un piccolo OT, per darti il mio “bentornato”! e ringraziarti per il tuo intervento da me. Ho davvero apprezzato.
buona serata
sabrina
Ciao Massimo, sono un commentatore un po’ intermittente, ma ti leggo. Non pensavo davvero di sollevare reazioni così accese semplicemente facendo una domanda, forse provocatoria, ma credo legittima sull’assegnazione del premio Pannunzio a Feltri. Si può essere ammiratori di Feltri, non dico di no, ma mi sfugge la relazione con Pannunzio. Non mi pare che Giovanni Venezia abbia risposto, però.
Posso raccontarvi un espisodio su Feltri?
Ho avuto a che fare con lui solo una volta e tanto, tantissimo tempo fa. Mi diede della masculinizzata! (???) Io non lo conoscevo, non sapevo che fosse lui, quello che saliva a Pontida (prendevamo lo stesso treno) e scendeva a Bergamo; io andavo a scuola e lui alla direzione del giornale cittadino. Erano gli anni caldi delle occupazioni scolastiche, e noi, “ragazze masculinizzate dell’artistico” in compagnia di “giovani barbuti” avevamo presidiato l’ingresso di un Istituto tecnico, L’Esperia, per “intimidire” i giovani proletari intenti alla “loro emancipazione sociale”. Ne prendemmo tante! Quei giovani proletari ci ruppero i bastoni delle bandiere sulla testa. Il giorno dopo in prima pagina sull’Eco di Bergamo campeggiava una foto ( io ero nel gruppo) con un titolo tremendo: Ragazze masculinizzate e giovani barbuti assediano l’Esperia. Avviliti nel corpo e nello spirito, i “ragazzi masculinizzati” mi prelevarono e a spalle mi portarono davanti a questo signorino vestito come Sceridan chiedendo: sarebbe lei la giovane masculinizzata ( peso 40 Kg, taglia 38)? Feltri sorrise (simpatico e sornione) e con prontissima faccia tosta riconobbe che forse non aveva visto bene, ero talmente minuta!
I suoi occhi furbissimi mi restarono in mente a lungo!
Miriam, davvero molto carino il tuo aneddoto 😉
Sono trascorsi 50 anni dalla morte di Gaetano Salvemini. Noi lo ricordiamo proponendovi la voce di wikipedia a lui dedicata.
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Gaetano Salvemini (Molfetta, 8 novembre 1873 – Sorrento, 6 settembre 1957) è stato uno storico, politico e antifascista italiano.
Laureatosi in lettere a Firenze nel 1896, inizialmente si dedicò alla storia medioevale dimostrandosi uno dei migliori giovani storici. Dopo aver insegnato latino in una scuola media di Palermo, ottenne a soli ventotto anni la cattedra di Storia moderna a Messina (1901). Qui nel 1908 fu sorpreso dal terremoto e perse la moglie, i cinque figli e la sorella, essendo l’unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia. Successivamente insegnò all’Università di Pisa e infine a quella di Firenze. Tra i suoi allievi vi furono Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, e Camillo Berneri.
Aderì al Partito Socialista Italiano e alla corrente meridionalista, collaborando, dal 1897, alla rivista Critica sociale, mostrandosi tenace sostenitore del suffragio universale e della soluzione della questione del Mezzogiorno, cercando di condurre su posizioni meridionaliste il movimento socialista e insistendo sulla necessità di un collegamento tra operai del nord e contadini del sud, sulla necessità dell’abolizione del protezionismo e delle tariffe doganali di Stato (che proteggono l’industria privilegiata e danneggiano i consumatori), e della formazione di una piccola proprietà contadina che liquidasse il latifondo.
Salvemini combatté il malcostume politico e le gravi responsabilità di Giolitti (crack della Banca Romana) con “Il ministro della malavita” (1910). Nel partito socialista si scontrò sui temi sopra citati con la corrente maggioritaria di Filippo Turati e, in seguito ad una mancata manifestazione del partito contro lo scoppio della guerra di Libia (1911), uscì dal partito socialista. Sulla scia di questo distacco, nel dicembre 1911 diede quindi vita ad un periodico, “L’Unità”, che diresse fino al 1920, perseguendo il tentativo di fondare un nuovo partito, la Lega democratica, meridionalista, socialista nei fini di giustizia e liberale nel metodo, contro ogni privilegio.
Nel 1914 mantenne posizioni interventiste, dichiarandosi convinto della necessità di superare gli anacronistici imperi austro-ungarico e tedesco, ma sul finire della guerra espresse la propria delusione per la mancata realizzazione delle speranze in un superamento delle rivalità antipopolari tra gli Stati e in una partecipazione democratica dei popoli alle decisioni dei governi.
Eletto deputato nel 1919, con l’avvento del fascismo si schiera da subito contro Mussolini e contro gli aventiniani, e stringe un profondo sodalizio ideale e politico con i fratelli Carlo Rosselli e Nello Rosselli e con Ernesto Rossi, che vedono in lui il comune maestro.
Nel 1925, Salvemini, i due Rosselli e Nello Traquandi fondano a Firenze il primo giornale antifascista clandestino: “Non Mollare”.
Arrestato a Roma dalla polizia fascista l’8 giugno del 1925, successivamente, processato insieme a Ernesto Rossi, usufruisce di un’amnistia ed in agosto si rifugia clandestinamente in Francia.
A Parigi sarà raggiunto poi dai fratelli Rosselli e nel novembre del 1929 è tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà (GL), nato per iniziativa dei fratelli Rosselli e di altri intellettuali democratici tra cui Emilio Lussu, Alberto Tarchiani e Alberto Cianca.
Gruppi di GL si formarono in Italia soprattutto tra studenti universitari. Molti degli aderenti di GL (tra cui Ernesto Rossi, Ferruccio Parri, Leone Ginzburg) furono arrestati e condannati a lunghe pene detentive.
Si trasferisce poi in Gran Bretagna, dove è protagonista di una dura polemica con George Bernard Shaw, in quanto socialista gradualista e ammiratore di Mussolini.
Nel 1934 si trasferisce negli Stati Uniti, dove insegna storia della civiltà italiana all’Università di Harvard e prenderà anche la cittadinanza statunitense.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Salvemini negli USA, ma anche in Gran Bretagna e Francia, con conferenze e lezioni universitarie, si batte per una politica contro fascismo, comunismo, clericalismo e monarchia italiana. Nel 1939 fonda la “Mazzini Society”, insieme ad un gruppo di aderenti a GL, di repubblicani e di antifascisti democratici, tra cui Lionello Venturi, Giuseppe Antonio Borgese, Randolfo Pacciardi, Michele Cantarella, Aldo Garosci, Carlo Sforza, Alberto Tarchiani e Max Ascoli. La loro posizione è contraria alla monarchia e all’accordo stipulato a Tolosa fra comunisti (stalinisti), socialisti e altri aderenti a GL.
In questo periodo di esilio pubblica vari volumi in lingua inglese, tra i quali “The Fascist Dictatorship in Italy” (1928), “Under the Axe of Fascism” (1936) e “Prelude to World War II”.
Tornato in Italia nel 1947 riprende l’insegnamento all’Università di Firenze e continua a vari livelli la sua lotta politica ispirata a una visione laica della vita, all’avversione contro i dogmatismi e le fumosità ideologiche, contro la burocrazia, il clericalismo e lo statalismo, a posizioni di riformismo democratico, in comunità d’intenti con Ernesto Rossi. Si oppone al regime democristiano e al Fronte Democratico Popolare, espressione del totalitarismo di sinistra, sostiene la necessità di abrogare il Concordato e i Patti Lateranensi voluti da Mussolini, e difende la scuola pubblica contro le riforme reazionarie dei governi.
Nel 1955 ottiene dall’Accademia dei Lincei il premio internazionale Feltrinelli per la storia e la laurea “honoris causa” dall’Università di Oxford.