Dedichiamo questa nuova puntata di Letteratitudine Cinema a LA LINGUA DEI FURFANTI. Romanino in Valle Camonica: un film d’arte di Elisabetta Sgarbi presentato al 34° Torino Film Festival (oggi disponibile in cofanetto con Dvd e libro allegato su IBS e Amazon). In coda al post pubblichiamo i video della conferenza stampa e della presentazione del film al 34° Torino Film Festival.
regia di Elisabetta Sgarbi / produzione a cura di Betty Wrong / soggetto di Giovanni Reale, Eugenio Lio / testi: Luca Doninelli / interpretati da: Toni Servillo / musica a cura di Franco Battiato / direzione della fotografia: Andrés Arce Maldonado, Elio Bisignani / montaggio di Andrés Arce Maldonado, Elisabetta Sgarbi / scenografia di Luca Volpatti
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Credo che l’amore di Elisabetta Sgarbi per la virtuosa commistione delle Arti emerga con forza da questo suo nuovo film intitolato “La lingua dei furfanti. Romanino in Valle Camonica” (prodotto da Betty Wrong nel 2016). Il film, presentato al 34° Torino Film Festival – dedicato alla pittura di Romanino (Girolamo Romani, nato a Brescia tra il 1484 e il 1487 – morto dopo il 1562) – è impreziosito dagli ottimi testi di Luca Doninelli, interpretati magistralmente dalla voce di Toni Servillo, e dalla musica di impianto classico curata da Franco Battiato. L’opera pittorica del Romanino in Valle Camonica diventa protagonista delle sequenze filmiche della Sgarbi, i testi letterari di Doninelli ne esaltano i particolari, la voce di Servillo ce li offre alle orecchie, al cuore e alla mente, la musica di Battiato conferisce ulteriore spessore al perfetto equilibrio tra immagini e parole.
La regia della Sgarbi si concentra nel ciclo di affreschi che Romanino realizzò, tra il 1532 e il 1541, a Pisogne, a Breno, a Bienno in provincia di Brescia; ma va oltre, si sofferma sui luoghi, sulle facciate delle chiese, sui volti delle persone che quei luoghi li abitano.
C’è questa anziana donna, per esempio, che viene ripresa mentre ricama. Un “personaggio romaniniano” che compare all’inizio del film e poi ritorna, più volte. Quel continuo atto del ricamare, diventa – ai miei occhi di spettatore – metafora dell’arte di unire le arti, della capacità di intrecciarle magistralmente in quell’equilibro narrativo di immagini, parole e suoni a cui facevo riferimento prima. Non si può che essere concordi con il commento di Giorgio Ficara quando sostiene che «Comporre nello sguardo forze diverse, e apparentemente unilaterali è, non da oggi, l’impresa di Elisabetta Sgarbi». E, a proposito di sguardi, più in là – tra le inquadrature – comparirà il volto di un vecchio (gli occhi fissi sull’obiettivo della cinepresa, a bucare lo schermo). Un viso che pare quasi traslato dalle immagini pittoriche di Romanino e dalle espressioni che conferisce ai suoi personaggi.
«Un film ininterrotto, questo, che mi segue da anni», commenta la regista. «Anzi da cui sono inseguita da anni, da prima di conoscere la Valle Camonica, da prima di conoscere Romanino: da quando mio zio Bruno, mia madre Rina, e poi mio fratello Vittorio, si arrampicavano sin lassù, precedendomi. Così che questo film, così personale nei modi, mi sembra una strana biografia familiare, un mio nascosto romanzo di formazione, che ho condiviso con un altro amico e compagno di avventure, Giovanni Reale.»
Giovanni Reale aveva molto a cuore il commento critico di Giovanni Testori. E le parole di Testori, in effetti, sottolineano la “furfanteria” insita nei personaggi che si ergono dagli affreschi del Romanino. Giovanni Testori scriveva come «a Pisogne, a Breno, a Bienno Romanino tiri a far ‘cagnara’, non v’ha dubbio alcuno. Egli sembra costringere i suoi personaggi a venire sulla scena a furia di calci nel sedere; e non è meraviglia che, una volta lì, essi, tra impetuosa incapacità a organizzarsi, in lingua e vergogna, finiscano col gonfiar tutto; a cominciare dalle loro stesse membra per finire alle parole che ruttan fuori quasi nubi di fumetti odoranti d’osteria, e alle piume dei cappellacci, che si rizzano, unte e bisunte, come quelli di tacchini incazzati.»
Ed eccoli, i furfanti partoriti dal pennello “moderno e innovativo” del Romanino. Passano attraverso l’occhio sapiente della macchina da presa di Elisabetta Sgarbi, giungono sullo schermo, ci parlano, ci raccontano storie, ci offrono la possibilità di condividere un’esperienza che travalica i limiti determinati dalle dimensioni anguste del tempo e dello spazio, come sempre l’arte dovrebbe fare.
Ultimata la visione del film, questa esperienza di condivisione continua attraverso la lettura del libro curato da Elisabetta Sgarbi e Eugenio Lio. Un altro gioiellino (104 pagine con immagini a colori: fotografie di Andrea Samaritani) che contiene testi di Giovanni Reale, di Sergio Risaliti, di Vittorio Sgarbi, nonché i testi scritti da Luca Doninelli appositamente per il film.
Il libro apre con una prefazione della stessa Sgarbi intitolata “Una strana biografia familiare” (di cui uno stralcio è già stato riportato nella parte iniziale di questo articolo). Il concetto di “biografia familiare” è confermato anche da Vittorio Sgarbi che – nel suo contributo intitolato “Una pittura che rincorre il pensiero” – scrive: «Il grande Romanino a Pisogne non è per me Romanino a Pisogne, ma è Bruno Cavallini, mio zio, a Iseo. Doveva essere tra il ’65 e il ’68, lui professore di greco e latino al liceo Ariosto di Ferrara, io studente dello stesso liceo. L’estate, poi, ci si ritrovava a Ro, reduce, lui, dagli esami di maturità, membro di commissione o presidente. Così in uno di quegli anni, se non forse addirittura prima (ma io il ginnasio lo avevo fatto in collegio, a Este, non a Ferrara), lo zio tornò con l’entusiasmo negli occhi per quegli affreschi di un pittore, allora poco ricordato, nella chiesa dal poetico nove di Santa Maria della Neve a Pisogne, sul lago, poco lontano da Iseo. (…)».
A seguire il volume offre un ulteriore testo di Vittorio Sgarbi (“Uno sguardo sulla pittura bresciana”) con contributi critici su Savoldo, Altobello Melone, Romanino (naturalmente), Moretto da Brescia, Giovanni Battista Moroni.
Il contributo di Giovanni Reale si concentra su “La dimensione religiosa negli affreschi di Santa Maria della Neve”, mentre quello di Sergio Risaliti riguarda “Gli affreschi di Romanino a Breno e Bienno”.
La seconda parte del libro ospita i testi di Luca Doninelli (“Variazioni su Romanino a Bienno, Breno e Pisogne”) scritti per il film e interpretati da Toni Servillo. Colgo l’occasione per offrire uno stralcio della prima “variazione” dedicata a un particolare dell’opera Sposalizio di Maria (ospitata tra gli affreschi della chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno), che apre – per l’appunto – il contributo di Doninelli: «Commuove l’espressione saggia del vecchio sposo, il vedovo Giuseppe. Una dura consapevolezza segna il suo viso. La sua mano si allunga tremante verso quella di Maria, ma non verrà ritirata. Si è fidato di un sogno, di una fragile apparizione notturna. Eppure il suo “Sì” è certo come davanti a una tavola di legno stagionato. Tutta la storia del suo popolo, da Abramo a Mosè, a Elia, sostiene ora quel “Sì”. Dio è fedele alle sue promesse. (…)».
La chiusura del volume è affidata al brillante commento critico sul film firmato da Giorgio Ficara e intitolato “Fiabesco furfante”.
Di seguito, i video della conferenza stampa e della presentazione del film al 34° Torino Film Festival e una “rassegna” di immagini.
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regia di Elisabetta Sgarbi
produzione a cura di Betty Wrong
soggetto di Giovanni Reale, Eugenio Lio
testi: Luca Doninelli
interpretati da: Toni Servillo
musica a cura di Franco Battiato
direzione della fotografia: Andrés Arce Maldonado, Elio Bisignani
montaggio di Andrés Arce Maldonado, Elisabetta Sgarbi
scenografia di Luca Volpatti
Produzione: Betty Wrong, 2017
Distribuzione: Terminal Video
Durata: 33 min
Lingua audio: Italiano
Area 2
Allegati: Libro
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