Novembre 15, 2024

115 thoughts on “LA MIA STIRPE di Ferdinando Camon

  1. Ecco un nuovo post, su un tema che ritengo molto interessante e che (in un modo o nell’altro) ci coinvolge tutti.
    Il tema è quello dell’appartenenza a… una stirpe.

  2. Avremo modo di approfondire la conoscenza di questo nuovo libro di Camon nel corso della discussione (peraltro lo stesso autore parteciperà al dibattito).
    Sul post ho provato a “sintetizzare” alcuni aspetti del libro.
    Di seguito riporto una breve scheda…

  3. “La mia stirpe” di Ferdinando Camon (Garzanti)
    – scheda del libro –

    “La mia stirpe” è il racconto dell’immortalità attraverso la specie: il protagonista sente che, quando non ci sarà più, la nipotina che ora tiene in braccio lo farà rinascere, ma sente anche di essere stato presente, prima di nascere, nell’amore tra il ragazzo e la ragazza che saranno i suoi genitori.
    È l’amore del primo Novecento, quando la ragazza temeva di restare incinta per il bacio di un uomo.
    Ereditando le vite dei padri, il figlio eredita il dovere di realizzarne le missioni incompiute: vendicarsi per quel che han patito nella prima e nella seconda guerra, qui rievocate per squarci fulminei e potenti, e arrivare a un contatto con la più alta istituzione della Terra, custode e garante della verità in cui credono.
    È la loro «gita al faro», l’impresa che dà un senso all’esistenza. Il padre e suo padre non ci sono riusciti. Ora tocca al figlio.
    L’incontro col successore di chi ha portato la verità sulla Terra avviene davanti al Giudizio Universale di Michelangelo e trova le parole umili e commosse delle grandi narrazioni mistiche.

  4. (un brano tratto dal libro)

    «Lavorare in campagna. Lavorare la terra è un lavoro sano, ed è scritto nel Vangelo. Se uno ha un campo, può segnarlo con un puntino sul mappamondo.
    Ma se uno ha una cattedra all’università, cosa segna? Una guerra distrugge le città, ma non distrugge la terra. Non sei pentito di quel che fanno i tuoi figli?», «Sono contento, perché fanno quel che vogliono», «Non ti riconosco più! Non sei mio figlio! Non voglio avere un figlio così!».
    In quel disconoscimento sentivo una condanna biblica, come se mi mandasse ramingo sulla Terra.

  5. Ferdinando Camon è nato in provincia di Padova. In una dozzina di romanzi (tutti pubblicati con Garzanti) ha raccontato la morte della civiltà contadina (Il quinto stato, La vita eterna, Un altare per la madre – Premio Strega 1978), il terrorismo (Occidente, Storia di Sirio), la psicoanalisi (La malattia chiamata uomo, La donna dei fili), e lo scontro di civiltà, con l’arrivo degli extracomunitari (La Terra è di tutti). È tradotto in 22 paesi. Il suo ultimo romanzo è La cavallina, la ragazza e il diavolo (2004). Il suo sito è http://www.ferdinandocamon.it

  6. Come ho già detto, avremo modo di approfondire la conoscenza di questo libro.
    Prendendo spunto dai temi proposti dal nuovo romanzo di Ferdinando Camon, vi invito a esprimere le vostre opinioni e riflessioni sul concetto di “stirpe”.
    Seguono le solite domande finalizzate ad avviare e stimolare la discussione…

  7. 2. Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?

  8. Questo post ci terrà compagnia per un po’ di giorni.
    Nella speranza che possa appassionarvi, o comunque suscitare il vostro interesse e la vostra curiosità, ne approfitto per augurare a tutti voi una serena notte.

  9. Ho letto (e apprezzato) quasi tutti i libri di Ferdinando Camon non solo per interrogare me stesso e riflettere sul mondo, bensì anche per ritrovare la mia infanzia, la mia terra, i miei avi, la mia stirpe.
    Questo suo nuovo libro credo mi servira a riflettere ulteriormente su tutto ciò che ho concluso o desiderato di concludere, senza poi riuscirvi, nella vita e tra la mia stirpe.
    I miei erano agricoltori, attaccati alla tradizione per non soccombere – penso – alle trame della Natura o del Destino, o del Caso.
    Da loro ho imparato a confrontarmi direttamente, a tu per tu, con la terra, la Natura, e persino a sfidarla. Come credo abbia fatto Camon, anche lui figlio di agricoltori.
    Ma ho sempre voluto guardare altre terre, altre tradizioni, spinto da un’inquietudine, da uno spirito di novità e avventura che non riuscivo a placare, né ci riuscivano i miei, dal momento che non volevano mi allontanassi, temendo fossi travolto da forze estranee, da altre stirpi.
    La stirpe quale emblema di consolazione e protezione, per loro. E anche continuità, immortalità. “Trovati una tosa e spòsati” ripeteva mio nonno a me, ragazzo, alla presenza – a volte – del parroco del paese, suo caro amico, il quale doveva sorbirsi la consueta ramanzina quando insisteva nel convincermi a entrare in seminario. “Non riempirgli la testa, non straviarlo!” lo ammoniva. “Se ti darà retta, perderemo la razza”.
    La razza, cioè la stirpe e le sue peculiarità, tra cui la giustificazione – forse – dei sacrifici suoi per incrementare la proprietà e tramandarla ai posteri affinché la memoria e il ricordo di lui (e dei suoi figli) non venisse cancellato o disperso. In altre parole, affinché non fosse vissuto invano (stando alle sue idee).
    Detto questo, credo che la stirpe condizioni qualsiasi esistenza umana, essendo come un marchio indelebile, stampigliato sull’anima. Un marchio di appartenenza, che torna comunque buono quando le angosce o le amarezze più o meno cocenti s’impossessano del subconscio.
    Un ossequio cordiale a Ferdinando Camon, oltre che a te, Massimo, e ai lettori.

  10. Anche io ho letto e apprezzato molti dei libri di Ferdinando Camon. In essi ho trovato delle chiavi per interpretare la mia esistenza.
    Questo nuovo credo approfondisca temi già in parte trattati e sarò ben felice di leggerlo.
    Sulla stirpe proverò a dire la mia in seguito, magari provando a rispondere alle domande di Massimo Maugeri.

  11. Ringrazio anche per la segnalazione dell’intervista radiofonica su Fahrenheit, che mi era sfuggita. La ascolterò con piacere.
    Un saluto al grande Ferdinando Camon, se mi legge.

  12. “Una è la vita eterna e mai finita, in effetti non moriamo ma ci trasformiamo in forme ed esseri diversi.. ”

    IO E TE A SPASSO NELL’UNIVERSO CIELO

    “Editrice nuovi autori”

    Autore: Francesco Musella

  13. Carissimo Dottor Maugeri, carissimo Dottor Camon,
    è vero, siamo stirpe, siamo qui sulla terra perchè eredi di un misterioso lascito. E a nostra volta, fondiamo stirpi, sigliamo altri eredi, siamo noi pure fattori e creature, ora ladri,ora derubati. Ma l’immortalità non è solo nella vita, è anche nella morte dell’altro, di chi ti precede e ti segue, perchè se l’uno ti lascia, tu devi fare i conti con una perdita che è la tua perdita, e se sei tu a lasciarli, devi pensare che non andrai solo, ti seguiranno, almeno con la preghiera.
    E allora prendiamo atto che se siamo catene infinite di nati e nascituri, di progenitori e antenati, non siamo liberi di fare il male. Non siamo liberi di odiare neanche un anello di questa matassa. Perchè sarebbe come odiare noi stessi.
    Un immenso animale, allora, siamo, d’altra parte lo diceva Paolo nelle lettere, un corpo unico, una massa inceduta, che può darsi o ritrarsi solo tutta insieme, che non può salvarsi o perdersi da sola, ma per mezzo di tutti.
    Mi pare che affermare questo in tempi di esasperato individualismo, definirsi non popolo, non nazione, non razza, ma umanità, ma corpo di passato che rivive e ricrea, sia un preziosissimo dono. Non solo della parola, ma del cuore.
    Grazie dottor Camon.
    Grazie dottor Maugeri…
    Vostro affezionato
    Professor Emilio

  14. Faccio tanti complimenti al prof. Camon per la pubblicazione di questo suo nuovo libro. Lo leggerò senz’altro.
    Provo a rispondere alle domande.

  15. 1. Vi è mai capitato di trovare in voi alcuni elementi di somiglianza con i vostri genitori e nonni che, magari, vi hanno colto di sorpresa?

    Devo ammettere di sì. Utilizzo la parola ammettere non a caso. Da ragazza odiavo certi atteggiamenti di mia madre nei miei confronti. Qualche tempo fa mi sono accorta che, senza nemmeno esserne consapevole, stavo adottando gli stessi identici atteggiamenti con mia figlia.
    Mi sono molto interrogata in proposito. Mi sono chiesta se questa “riproduzione” di comportamenti e atteggiamenti dipensesse dal fatto di averli subiti, o da appartenenza di sangue.
    Non sono riuscita a trovare risposta.

  16. Carissimo Massimo,
    certo che guardando mio figlio mi rivedo, certo. Ma la cosa sorprendente è che in lui trovo anche suo padre, proprio il padre che mi ha rifiutata, proprio il padre perduto, e allora, per mezzo di mio figlio, mi riconcilio, perchè un discendente non è solo una congiunzione al bene perduto, ma anche al male perdonato.
    Vedere infatti le fattezze di quel male in chi ami, non può coesistere a lungo nel cuore di una madre.
    Una madre è la vera chiave dell’immortalità, anche quando non genera che spiritualmente, perchè è l’unica che può accettare tutto, sopportare tutto, vedere un figlio in tutti.
    La stirpe è allora il vero luogo delle madri, caro Massimo, carissimo Signor Camon, quello di cui sono custodi e sentinelle.
    un abbraccio di grande affetto a entrambi….Gioia

  17. 2. Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?

    Mi è capitato, ma in maniera meno traumatica rispetto a quanto ho scritto sul post precedente. La speranza è che possano trasmettersi solo i tratti e gli atteggiamenti positivi. Ma non credo sia così semplice…

  18. 3. Appartenere a una “stirpe” è più un vincolo, una consolazione o una responsabilità? O cos’altro?
    Bella domanda. Un po’ tutto credo. Ma vista nell’ottica della “immortalità” temo sia più “consolazione”.

  19. 4. In certi casi, può essere una condanna?
    Temo proprio di sì. Non è difficile imbattersi in persone che rinnegano l’appartenenza a un contesto familiare o ai propri ascendenti. Vale anche il contrario, nel senso che ci sono persone che più o meno esplicitamente vengono espulse dalla “stirpe”. Penso, per esempio, allee cosiddette “pecore nere” delle famiglie.

  20. 5. Fino a che punto l’appartenenza a una stirpe può essere considerata il “viatico” per sopravvivere a se stessi?
    Non saprei. Credo sia una cosa soggettiva. Credo però che sia importante riconoscere il proprio ruolo nella continuazione della specie. I miei figli e i miei nipoti esisteranno solo perché io ho deciso di farmi “anello della catena”. Nel momento in cui loro esistono per me, io esisto e continuerò ad esistere per loro.

  21. non so se camon interverrà nella discussione, spero davvero di sì. vorrei chiedergli: che rapporto c’è tra scrittura e stirpe? non è forse la scrittura un modo per registrare i passaggi? non è la grande segretaria della memoria?
    buona lettura a tutti

  22. Quando si parla di stirpe, si parla di discendenti e ascendenti. Per certi versi si parla di radici. Non è un caso che lo schema che indica l’elenco degli antenati si chiami albero genealogico.
    Comprerò il llibro di Ferdinando Camon, perché voglio capire bene cosa significhi per lui “stirpe”. Come si sia relazionato rispetto ad essa.

  23. Non so se può essere utile, ma metto a disposizione questa definizione di albero genealogico (me ne interesso per hobby, diciamo così).
    L’albero genealogico è generalmente l’elenco completo degli antenati, o più specificamente, un grafico utilizzato nella genealogia per mostrare i rapporti familiari tra individui.
    Abitualmente l’albero genealogico viene realizzato utilizzando delle caselle, quadrate per i maschi e circolari per le femmine, contenenti i nomi di ciascuna persona, spesso corredati di informazioni aggiuntive, quali luogo e data di nascita e morte, in alcuni casi inserendo l’occupazione o la professione. Tali simboli, disposti dall’alto verso il basso in ordine cronologico, sono connessi da vari tipi di linee che rappresentano i matrimoni e unioni extra coniugali e la discendenza.
    Alcuni limitano l’utilizzo del termine ad indicare esclusivamente le discendenze patrilineari, anche se nell’uso comune il termine è utilizzato anche più in generale.
    In alcuni casi, se non è possibile ad esempio inserire un grafico, è possibile descrivere gli antenati di una persona utilizzando una tavola genealogica.

  24. Che non si vanti de’ grand’ avi suoi | Chi poi non gli somiglia.
    (Luigi Fiacchi)

  25. Chiunque ha degli antenati; il solo problema è andare abbastanza indietro nel tempo per trovarne uno buono.
    (Howard Kenneth Nixon)

  26. Così, quando vai in battaglia, ricordati dei tuoi antenati e dei tuoi discendenti.
    (Publio Cornelio Tacito)

  27. I genitori si compatiscono, dei nonni si sorride, gli antenati si venerano.
    (Alessandro Morandotti)

  28. I nostri antenati sono certo brava gente, ma sono l’ultimo genere di persone che vorrei essere costretto a visitare.
    (Richard Brinsley Sheridan)

  29. Il mulo è uno che non vanta antenati e non ha speranza di posteri.
    (John Garland Pollard)

  30. Non uno dei tuoi antenati è morto giovane. Si sono tutti accoppiati almeno una volta.
    (Richard Dawkins)

  31. Ogni re deriva da una stirpe di schiavi ed ogni schiavo ha dei re tra i suoi antenati.
    (Platone)

  32. Ogni uomo è un omnibus in cui viaggiano i suoi antenati.
    (Oliver Wendell Holmes (figlio))

  33. ho provato ad apportare il mio contributo al dibattito con queste citazioni sugli antenati. qualcuna di queste può aiutare a far riflettere.
    spero di aver fatto cosa gradita.
    buona prosecuzione.

  34. Voglio assolutamente leggere questo libro di Ferdinando Camon. Anche a me il tema interessa molto.
    Ma voglio provare a “rompere le uova nel paniere” inserendo un articolo che scompiglia un po’ gli schemi della “stirpe”.
    Lo copio nel post dopo questo.

  35. Dagli Usa i figli sosia capaci di rendere “inutili” i genitori
    di Gianfranco Amato
    ….
    La California Cryobank, Inc. è una delle più prestigiose e famose banche del seme a livello mondiale. Opera nel settore da più di trent’anni e si vanta di essere azienda leader del baby design. Ai clienti offre un’incredibile gamma di possibilità. Sono ben nove, ad esempio, le diverse tonalità cromatiche dei capelli in catalogo per i nascituri (neri, biondi, castani, biondi scuri, castani scuri, castani chiari, rossi, rossi scuri, rossi fragola), capelli che possono essere ricci, lisci od ondulati, mentre arrivano a sei i differenti colori degli occhi (nero, azzurro, marrone, verde, grigio, verde scuro).

    Si possono scegliere fino a dodici tipologie di razze, mentre per la carnagione le opzioni arrivano a cinque, e nove sono i gruppi sanguigni messi a disposizione. Trenta sono le aree di professione dei potenziali donatori (dall’agricoltura al trasporto, in rigoroso ordine alfabetico) e ben sette i differenti livelli di istruzione, mentre centotre sono le nazionalità di provenienza del seme.

    Colpisce il fatto che tra le varie offerte vi sia pure l’opzione religiosa, come se la fede fosse connessa al Dna. Nel delirio genetico, infatti, la California Cryobank concede l’alternativa di ben dieci religioni, dimenticando che la fede può nascere solo da un’educazione o dalla grazia di un incontro e non ha nulla a che vedere con l’acido desossiribonucleico.

    Scott Brown, Communications Director della California Cryobank si vanta di precisare che l’azienda «offre un servizio sociale e democratico a donne single e coppie gay, che rappresentano il sessanta per cento della clientela», e «a coniugi sterili che possono coronare il sogno di avere un figlio simile al poster che avevano appeso da ragazzi in camera da letto».

    Ebbene, proprio la California Cryobank, Inc. è tornata ancora una volta alla ribalta delle cronache per l’iniziativa denominata CCB Donor Look-a-Likes™. Si tratta della possibilità concessa alle mamme che leggono i rotocalchi rosa, che amano il cinema e la televisione, o ai padri appassionati di sport, di poter scegliere il seme da donatori somiglianti a celebrità. La California Cryobank sul punto è chiara: «si può scegliere tra attori, atleti, musicisti, o chiunque altro sia abbastanza famoso da essere finito sul web».

    La lista è lunghissima (più di 600 nomi che vanno dall’attore canadese Aaron J. Buckley a quello taiwanese Zheng Yuan Chang) e non è ancorata a particolari canoni estetici, visto che vi si possono trovare anche personaggi come Bill Gates. Sebbene si tratti più che altro di un’illusione, priva di fondamento scientifico, l’iniziativa ha avuto un successo insperato e il numero delle mamme che desiderano un figlio sosia di Tom Cruise e George Clooney cresce a livello esponenziale.

    C’è, però, qualcosa di patologico in una cultura che tende all’omologazione persino nei tratti somatici. Una società in cui tutti si assomigliano secondo criteri e parametri predeterminati, è qualcosa che fa venire i brividi, e più che ricordare le farneticazioni eugenetiche naziste del Neue Mensch, richiama le profezie distopiche di Aldous Huxley. Sembra l’avveramento del New Brave World, romanzo del 1932, nel quale si preconizzava la produzione in serie applicata anche alla riproduzione umana, attraverso la fecondazione artificiale.

    Fortunatamente, per ora, la scienza non è ancora giunta al livello delle aberrazioni genetiche huxleyane, e la clonazione ai fini riproduttivi è ancora vietata in tutto il mondo, per cui la CCB Donor Look-a-Likes™ si riduce, in realtà, a poco più che un’esagerazione pubblicitaria.

    Per una volta tanto possiamo essere d’accordo con il laicissimo, e quindi insospettabile, Los Angeles Times, che, dopo aver bollato l’iniziativa della California Cryobank come «incredibilmente stupida», ha aggiunto: «Se qualcuno desidera un figlio che assomigli a una celebrità, forse non è ancora davvero pronto per essere un genitore». Non si può dargli torto.
    …..
    Fonte: Il Sussidiario 8/10/2010

  36. Cosa ne pensate di questo articolo?
    Non scompiglia un po’ gli schemi della “stirpe” anche rispetto alle domande poste da Massimo Maugeri?
    Cosa ne pensa Ferdinando Camon?
    Ciao a tutti.

  37. Trovo meraviglioso questo sangue che scorre di corpo in corpo, che unifica ed eterna, che si fa portatore di una sola anima.
    Compiere l’incompiuto dei padri. Assolvere ai loro obblighi o rimediare al sospeso, condonare debiti, riscuotere oboli.
    E’ commovente questo voler chiudere ciò che l’altro non riesce a portare fino alle sue estreme conseguenze, non solo le vendette, ma anche i progetti, le speranze.
    E’ come se la cura di chi amiamo non avesse mai scadenza, ma si perpetuasse in un tentativo estremo di rendere a ciascun anello dell’infinita catena il suo spazio, il suo specialissimo significato, il suo adempimento.
    Ecco…è bella l’idea della stirpe, ma ancor più bello è questo viaggio che il protagonista compie perchè la fine non coincida con una interruzione ma con un appagamento. Come se finire, morire, terminare non potesse in fondo riconciliarci con la nostra scintilla eterna se non dopo questa pietosa restituzione a un nostro ultimo, dolente, desiderio.
    Grazie , Ferdinando Camon, per questa attenzione a ciò che ci identifica e ci salva: i nostri sogni.

  38. Una prima personale domanda a Ferdinando Camon.
    Una domanda “classica”, forse banale, ma che pongo sempre perché le risposte ricevute sono tutt’altro che scontate…
    Così le chiedo… come nasce “La mia stirpe”?
    Da quale esigenza (se un’esigenza c’è stata)?
    O da cosa altro?

  39. sto leggendo questo nuovo romanzo di Camon e lo consiglio a tutti. è un viaggio tra le generazioni, all’insegna della stirpe. spero di poter dire altro più in là. ciao.

  40. “Una grande e commovente domanda di Senso arriva ad incalzarci. (…) Libro importante, questo di Camon, e non solo perché, dentro la sua vicenda di scrittore, sanziona, epperò senza tradirsi, il ritorno del figlio al padre. Ma importante, diciamo così, per le sue implicazioni di metafisica: là dove individua nella più profana e terrena delle ossessioni, quella della stirpe (magari assicurata dalla trasmissione d’una cisti sulla testa), il suo risvolto di trascendenza. È dentro tale assillo psicologico e psicagogico, infatti, che tutta la storia di famiglia gli s’agglutina: il nonno e la grande guerra, di fanti mandati al massacro (struggenti le pagine del capitolo Avanti Savoia!); il padre, la Resistenza e i Nazisti; l’amore tra i suoi genitori, prima della sua nascita, tra totem e tabù. Per un intenso romanzo sulla salvezza, scritto proprio dal cattolico meno in pace con se stesso della stirpe”.

    Massimo Onofri, “Avvenire”, 16 aprile 2011

  41. “Camon, che ha scritto in anni lontani “Un altare per la madre”, riferendosi a un manufatto di pietra, compie adesso una operazione analoga erigendo alla figura paterna un monumento di parole. Anche lui si presta a comporre, senza parere, una inedita epica familiare che travalica le generazioni e i secoli, che affonda nell’indistinto delle origini”.

    Lorenzo Mondo, “La Stampa –Tuttolibri”, 16 aprile 2011

  42. “Con “La mia stirpe” Ferdidando Camon riprende i temi privilegiati della terra, dell’uomo precipitato nel tempo, dei significati della parola e dell’arte, dei valori che si disfano come castelli di sabbia, e lo fa con un romanzo, nella forma dell’autofiction, brillante e potente, politicamente scorretto, divertente e profondo”.

    Pietro Spirito, “Il Piccolo”, 4 aprile 2011

  43. “La stirpe” di Camon, vero romanziere in un mondo di sedicenti scrittori

    “Gli altri sono allegri da malati. Noi siamo tristi anche da sani”. Al capezzale del padre colpito da ictus Ferdinando Camon tiene il conto delle benedizioni (altrui) e delle maledizioni (proprie). Ha appena scoperto che il genitore contadino, a cui ha comprato una cartellina con l’alfabeto perché riuscisse a spiegarsi un po’ – indicando le lettere della parola che non riesce a pronunciare, il metodo usato dal giornalista francese Jean-Dominique Bauby per scrivere “Lo scafandro e la farfalla” muovendo solo la palpebra sinistra – non sa l’ordine alfabetico. Si aspetta di trovar subito le lettere che gli interessano, disposte come in una tastiera: le più frequenti a portata di dito. Le iniziali dei nomi dei suoi amici, e la “P” del Papa, dovrebbero risaltare tra le altre, meno utili alla bisogna.
    “La mia stirpe” racconta quattro generazioni Camon. Il castissimo corteggiamento tra il padre e la madre (si vedevano in chiesa la domenica), ricostruito con le brutte copie delle lettere vergate sulle pagine bianche di un vecchio atlante, ancora con le colonie. La nipotina settenne che parla di fidanzati e spiega a una signora sul treno come si fanno i bambini (“si deve far mettere un semino dal marito”). Il padre che andava a trovare le figlie guidando il trattore, a una certa età meno pericoloso dell’automobile. Il figlio che, dopo aver scritto un capitolo, si mette i pesi alle caviglie e passeggia di notte per Padova fino allo stremo delle forze, perché un vero lavoro deve stancare il corpo. Su tutto, l’idea che la scrittura sia apparentata con la nevrosi e con la santità: una condizione, un modo di vivere, nulla a che vedere con l’intelligenza, e forse neppure con la volontà.
    Capita così che Ferdinando Camon, in un mondo di romanzieri che stabiliscono di essere tali (è meglio che lavorare e l’orecchio per la pagina ben scritta è più scarso dell’orecchio musicale, quindi raramente vieni smascherato), sia letto e celebrato meno di quel che merita. Eppure nessuno meglio di lui ha saputo raccontare il mondo contadino – quello vero e atroce, di chi si iniettava acqua infetta nel ginocchio per non partire in guerra. E la psicoanalisi, da Cesare Musatti che spifferava le analisi dei colleghi scrittori (per questo Camon smise) alle adunate di Massimo Fagioli. E le badanti, quando ancora nessuno ne parlava.
    E i superbaby cresciuti ascoltando Mozart nella pancia della mamma.
    Tra gli episodi de “La mia stirpe”, anche un’udienza papale. Convocati da Benedetto XVI, trecento artisti di tutto il mondo. Ferdinando Camon mette il vestito buono, e sotto la camicia tiene le fotografie del padre e del nonno, rivolte verso il Papa (era il loro sogno, mai realizzato). Qualche sedia più in là, un regista di cui si sussurra: “Sta girando un film sul Papa in analisi”. È Nanni Moretti, sicuro che sua Santità entrerà dalla porticina di destra sotto il “Giudizio Universale”. Il professorino sbaglia. Arriverà da dietro, con la veste che lascia scoperte le scarpe rosse e le calze bianche.

    Mariarosa Mancuso, “Il Foglio”, 11-05- 2011

  44. Caro Massimo sul senso di appartenenza alla stirpe e sulla sua apparente eternità, ho scritto un romanzo storico, dedicato, appunto, ad una delle più straordinarie “stirpi” vissute nella Napoli ottocentesca: “Ritratto di famiglia. I Meuricoffre”. In questo si può trovare una risposta alla tue domande finali, nel senso che il sentirsi ultimo – come condanna o come responsabilità – proprio ultimo, erede di una stirpe ti dà la risposta definitiva alla domanda se la vita umana sia intrisa o meno di vanità. La fine definitiva di una forte e durevole stirpe, che a molti, a tanti – sia come suoi esponenti sia in quanto semplici osservatori contemporanei – sembrava composta di materia più compatta della roccia o più eterna di una secolare sequoia, dà ragione alla famosa frase di Karl Marx secondo cui “tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria…”. In effetti, in una società come quella moderna, dove ogni apparente progresso è destinato “a dissolversi nell’aria”, i membri di una stirpe cercano di lasciare, di trasmettere qualcosa di stabile, da conservare e incrementare, in tutti gli aspetti, materiali ed immateriali, almeno fino a quando la sorte è loro amica, ma inutilmente.

  45. Con questo bel romanzo Camon torna sui temi che gli sono propri (il mondo contadino e la sua scomparsa), rivisitati con uguale e partecipe emozione, ma con una più matura e sottilmente ironica visione di ciò che in questi decenni siamo riusciti a raggiungere,o a perdere,come collettività. L’incipit della vicenda, sempre radicata nella storia della famiglia originaria dell’autore, è la malattia del padre,colpito da ictus e privato della facoltà di parlare. Intorno alla sua stanza d’ospedale si radunano i figli ormai maturi, e tutti in qualche modo estranei. Soprattutto ha tralignato lo scrittore,allontanandosi dalla civiltà contadina che l’ha partorito e cresciuto, dai suoi valori eterni e soffocanti, guadagnando in consapevolezza e forse in infelicità. Eppure al capezzale del padre, il figlio intellettuale si ritrova a considerare le sue origini come fondanti e vive, fertili e castranti insieme: sente la colpa di avere tradito e l’orgoglio di aver osato percorrere nuove strade,rinunciando a tradizioni millenarie, ma anche a superstizioni ottuse. Nel padre morente rivede i suoi lineamenti, quelli dei suoi figli e nipoti,le stesse abitudini fisiche e malattie che si tramandano da generazioni.Ripercorre quindi la storia del nonno e del padre, soldati nelle guerre mondiali: entrambi avevano fatto il voto,mai mantenuto,di andare in pellegrinaggio dal Papa in atto di riconoscenza e sottomissione. Tocca al figlio scrittore, ora,rispondere a quella chiamata: al suo cattolicesimo mai rinnegato, ma certo più annacquato e critico di quello dei parenti contadini.Il papa tedesco lo convoca insieme a 250 artisti internazionali cui viene demandata la trasmissione del messaggio cristiano nel mondo. Lui, ironico e contrito,si genuflette davanti al Vicario di Cristo,offrendo alla sua benedizione le fotografie dei parenti che nasconde sotto la camicia,a implorare un viatico per tutta la famiglia, dispersa in luoghi e abitudini lontane. Destini diversi, un’unica stirpe.

  46. faccio gli auguri a Ferdinando Camon per il suo libro. ho ascoltato la bella intervista su fahrenheit. condivido quasi tutto quello che ha detto.

  47. trovo molto stimolante l’artcolo pubblicato da Lorenza martedì, 31 maggio 2011 alle 4:29.
    siamo di fronte a un caso di “selezione della specie”, più che di “continuazione della specie”.
    una sorta di antistirpe.

  48. Di Ferdinando Camon, ho letto “La malattia chiamata uomo”, presentato su questo blog e non me ne sono pentito.
    Libro bellissimo, per cui leggerò anche “La mia stirpe”.
    Non avendolo ancora letto, però, non posso aggiungere altro. Quindi passo alle domande e alle mie risposte.

  49. 1. Vi è mai capitato di trovare in voi alcuni elementi di somiglianza con i vostri genitori e nonni che, magari, vi hanno colto di sorpresa?
    Lo so che vi sembrerà strano, ma onestamente no. Io sono un caso un po’ particolare nella mia famiglia. Da piccolo mio zio, scherzando, diceva che veniv da un altro pianeta, rispetto alla famiglia. Insomma, non posso vantare né lamentare somiglianze particolari con i miei genitori o avi.

  50. 2. Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?
    Idem come sopra. Però non ho figli. Solo due nipoti, figli di mia sorella. Dunque non “faccio testo”.

  51. 3. Appartenere a una “stirpe” è più un vincolo, una consolazione o una responsabilità? O cos’altro?
    Dipende dalla “stirpe”. Un conto è una “stirpe reale”, un conto è la stirpe del sig. Rossi.
    Per i primi vedo più il vincolo e la responsabilità, per il secondo vedo più consolazione.

  52. 4. In certi casi, può essere una condanna?
    Sì. Se uno che è un tipo onesto e proviene da una famiglia di delinquenti, non credo possa essere il massimo appartenere a quella stirpe.

  53. 5. Fino a che punto l’appartenenza a una stirpe può essere considerata il “viatico” per sopravvivere a se stessi?
    Dipende dalla forza e dal vincolo del legame. Più sono intensi, più la discendenza può esser considerata “viatico” per sopravvivere a se stessi.
    E viceversa.

  54. “La mia stirpe” di Ferdinando Camon
    .
    di Paolo Petroni
    .
    Una frase che sappiamo di aver gia’ sentito, anche se non ricordiamo quando, un segno sulla carne che si ripete, un gesto, che riportano a altre persone, che in una nipote ricordano la nonna: ”Come sei cambiata mamma…. Ma ti riconosco: sei sempre tu, tre generazioni dopo, rinata bambina”, come scrive Ferdinando Camon a conclusione di questo suo nuovo romanzo, dedicato alla figura del padre, ma che appunto termina con quella cui aveva dedicato uno dei suoi libri piu’ fortunati, ‘Un altare per la madre’, premio Strega 1978.

    Quello lo aveva definito la chiusura del suo ‘Ciclo degli ultimi’, dedicato alla sua gente e alle sue origini contadine, cui e’ come si aggiungesse invece un nuovo capitolo, quasi a chiudere un cerchio di quella sua narrazione epica, che ora pare unire le generazioni nel tempo, di rinnovarsi e perpetuarsi eguale ogni volta, ad ogni nuova nascita e vita: e’ per Camon, attraverso questa narrazione, la presa di coscienza del senso della stirpe, che in ognuno e’ tutti quelli che esistettero prima di lui e tutti quelli che esisteranno dopo.

    Il padre e’ colpito da un ictus e incapace di comunicare: ”E’ come fossi stato richiamato al fronte”, annota lo scrittore, che davanti a quell’uomo in difficolta’ eppure sempre fiero, riconosce quella coerenza e intransigente integrita’ contadina in cui si rispecchiano i suoi antenati, ma anche i figli e nipoti, in un susseguirsi di vite che paiono integrarsi, ripetersi, completarsi come nel procedere di un’unica, complessiva esistenza.

    Ed i ricordi, le riflessioni, il sentirsi divenuto ”altro” e per questo non piu’ riconosciuto dal padre, perche’ ha permesso i figli andassero lontano (uno vive in America) e il giorno che morisse si troverebbe solo come un cane, mentre un uomo deve morire con tutti i figli intorno. ”In quel disconoscimento sentivo una condanna biblica, come se mi mandasse ramingo sulla terra” e poi ”Piangendo la sua morte, in realta’ piango la mia”. E lo stesso vale per la fatica nei campi: ”Lavorare la terra e’ un lavoro sano, ed e’ scritto nel Vangelo. Se uno ha un campo puo’ segnarlo con un puntino sul mappamondo, ma se uno ha una cattedra universitaria cosa segna?”. Questo altare per il padre, scritto con una lingua icastica, semplice, diretta, si costruisce cosi’ in un mondo profondamente cambiato e, per esempio, in ospedale, il compagno di stanza musulmano chiede venga tolto il Crocifisso. Poi c’e’ il ricordo ossessivo di Mussolini e ancor piu’ del Re, che lo avevano illuso e tradito, quanto il Papa che non era mai riuscito a incontrare, come del resto era capitato a suo padre, tanto che Camon, quando sara’ invitato nella Cappella Sistina per un incontro del Pontefice col mondo degli artisti, si portera’ sotto la camicia le foto del padre e del nonno, come a metterli finalmente al cospetto di Sua Santita’, anche se questi ormai e’ piu’ sedotto dalle star televisive, che da scrittori e pittori. Ma li’, sotto la michelangiolesca Genesi, avverte chiaro il senso di quella infinita catena che tutti ci collega: ”La nostra vita e’ scritta da secoli. Cio’ che non riusciamo a esprimere e’ gia’ stato espresso infinite volte”. Dai problemi con l’alfabeto del padre, che non riconosce le lettere e la loro posizione nella tabella che gli viene presentata, Camon arriva infine a parlare inevitabilmente del proprio lavoro che delude il vecchio, perche’ lui scrive della vita non della Ri-vita: ‘La gente ha bisogno di sapere cosa farebbe se tornasse a vivere…. nessuno ha bisogno di sapere cosa fa mentre vive”. Ma la verita’, quella del libro e della vita dello scrittore, sono nella confessione che ”Scrittura, nevrosi e santita’ sono sorelle, camminano affiancate, tutte e tre hanno a monte un oscuro senso di colpa e a valle un interminabile bisogno di espiazione”.

    @ Ansa.it – un libro al giorno

  55. L’esempio più perfetto di continuità nella stirpe però non sono riuscito a metterlo nel romanzo. L’avevo in mente ogni mattina, quando mi rimettevo a scrivere, ma non ho mai trovato l’aggancio. Come tutti coloro che scrivono libri e articoli, ricevo pacchi di libri dagli editori, 2 o 3 volte al giorno. Gli editori sperano che l’autore legga qualcuno dei loro libri, gli piaccia e ne scriva su qualche giornale: la recensione è più efficace di qualunque pubblicità, e non costa niente. Per questi libri che ricevo, e per quelli che ogni giorno compro, i libri si sono accumulati nel mio appartamento, è venuto l’amministratore del condominio e mi ha detto: “Caro professore, così non va. La carta pesa. Questo appartamento rischia di crollare. Lei deve acquistarne un altro, e trasferirvi una parte di questi libri”. Così ho fatto. I libri sono tutti schedati al computer. Quando me ne serve uno, lo cerco, lo trovo e lo leggo. Io ho un sistema tutto mio di leggere i libri: traccio una riga verticale dritta a matita, sul margine destro o sinistro della pagina, per indicare i punti che ho trovato esteticamente belli, una riga ondeggiante se il brano contiene un insegnamento, un asterisco se penso di utilizzarlo prima o poi. A volte mi càpita di prendere in mano un libro, scorrerlo, e trovarvi quei segni, esattamente nei punti che per me sono belli, o istruttivi, o utili. Ma poi scopro che quel libro io non l’ho mai letto. Allora, chi l’ha letto e ha fatti quei segni? Uno dei miei due figli, che ora non vivono più con me. Perciò penso: anche quando non ci sarò più, ci sarà un altro-io che leggerà i libri che io leggerei, avendo le reazioni che io avrei. Come lettore, io non morirò. Ferdinando Camon, fercamon@alice.it

  56. Quello che ha scritto nel commento qui sopra è significativo e… “forte”, direi.
    Scoprire che un libro è segnato da nostro figlio nello stesso modo (e con lo stesso senso) in cui l’avremmo segnato noi è, per certi versi, la dimostrazione di quell’enunciato che troviamo nella copertina del libro: “Eravamo nella stirpe prima di nascere, saremo nella stirpe dopo la morte”.

  57. Buon 2 giugno… viva la Repubblica italiana e viva i suoi scrittori che l’hanno inventata tanti secoli prima.
    La stirpe… forse non ci pensiamo mai che siamo come degli anelli di una catena che è iniziata tanti secoli prima di noi e che continuerà anche dopo la nostra scomparsa fisica. In ogni caso noi siamo lì, tessere di un mosaico di cui forse nell’aldilà capiremo il senso e la bellezza.

  58. Bentornato naturalmente a Ferdinando Camon, che qui ci tengo a salutare in modo particolare, perché quando scrisse la recensione a LETTERATITUDINE, IL LIBRO citò alcune delle mie parole postate qui (quelle sulla voce di Dio…).
    Tranquillo, non le farò crollare la casa sotto il peso delle 440 pagine del mio romanzo!
    🙂
    Tornando seri, quella considerazione su scrittura santità e nevrosi è forte e verissima.
    E la sua umiltà di lettore – più che di scrittore – commovente.

  59. Mi colpisce molto la copertina nel nuovo libro di Federico Camon: un grossa quercia attaccata alla terra tramite portentose radici ed una verticalità che, nel protendersi verso il cielo, è fatta di ramificazioni sempre più sottili, fino all’arrivo di nuove gemme, nuovi frutti, dove ogni singola fogliolina riporta la struttura dell’albero che l’ha generata. Incantevole la sua simmetria in verticale. Poi, seguendo le stagioni, foglie e frutti si rigenerano in fretta e qualche seme trasportato dai venti in luoghi lontani o vicini, questo è molto importante, riprodurrà un suo simile.
    A pensarci bene è un po’ la fine che fanno tutte le famiglie e, nel concetto moderno del distacco e dell’allontanamento, nella rigenerazione di sé stessi attraverso una potatura o un raccolto, l’albero riprende la sua vitalità. Se ogni cambiamento segue una stagione ben precisa impòsta dalla natura, ogni elemento si svilupperà in modo tanto più armonioso quanto più i tempi saranno maturi, ecco perché l’improvvisa morte di mio padre da giovane ed ancora la recente perdita di mia madre, mi ha costretto a fare il punto su mè stessa , per l’esattezza a verificare il mio insoddisfacente stato di cose.
    Certo è che se la mia simpatica mamma non manifestava il suo amore con baci e carezze ma preferiva il salotto e le sigarette persino con i figli, lo deve anche a mia nonna, altrettanto simpatica novantenne che non ha mai mollato la bacchetta ed un acuto occhialetto da vista, frigida educanda insieme alle sorelle in nobili collegi siciliani. Altrettanto certo è che mio padre era un uomo a cui piaceva la cultura, il dialogo, ad entrambi devo molto, nel bene e nel male, ma ricordatevi che i bambini sono paragonabili a fogli di carta bianchi e non sempre l’educazione rispetta la loro essenza. Di questo i più sensibili ed intelligenti ne pagano il fio da adulti.
    Una volta fatto il punto su sé stessi e sui perché , raggiunto ogni processo di causa-effetto, la maturazione individuale ha soltanto una svolta: il perdono. Una naturale accettazione di quello che un ramo ormai alto e con generose fronde verso il cielo compie nei confronti delle radici che proseguono verso il basso, affondando nella terra. La verticalità dettata dall’altezza impone l’assenza di contatto, tuttavia la linfa è motivo di vita per chi sta in alto come per chi sta in basso, ecco , personalmente penso di aver fatto quanto era possibile per mia madre, infatti nelle ultime ore della sua vita, dilaniata dai dolori di un tumore al fegato, non desiderava altro che essere baciata e accarezzata da me.
    Infatti, avendo la sottoscritta sentito il bisogno di abbandonare la stirpe, tanto per loro sono sempre stata “strana”, non ritiene di dover portare nella successiva fase dell’immortalità elementi che non sono di beneficio allo spirito, fase che ha già avuto inizio un bel pò di tempo fa, esattamente nel momento in cui mi sono accorta dei bisogni della mia individualità.
    saluti

  60. chiedo scusa Dr. Ferdinando Camon, ho iniziato il mio intervento con Federico, a volte una è stanca, fa un sacco di cose, la sera mi sento una donna dai fili staccati . . . a presto.
    Rossella Grasso

  61. Così come Rossella, anche a me ha colpito molto la copertina del libro. Immagino renda bene i contenuti del libro…

  62. Che bello il commento di Ferdinando Camon sulla lettura e come anche la lettura può diventare occasione per riscoprire l’appartenenza ad una stirpe.
    D’ora in poi ogni volta che sottolinierò un libro penserò sempre a queste parole di Camon ed a ciò che potrebbe pensare chi riaprirà quel libro dopo di me.
    saluti a tutti.

  63. un giorno ho tossito ed ho sentito mio padre che tossiva, ma mio padre non cìera più da anni. la tosse se l’era portato via. io ero mio padre.
    Orazio Caruso

  64. Ho letto e apprezzato questo libro di Camon, veritiero al massimo, perché l’autore cerca un sogno di immortalità, e, come ho scritto nella mia recensione (La mia stirpe è il racconto appassionato di un credente che aspira a un’immortalità terrena grazie alla stirpe di cui è parte; è forse un sogno a occhi aperti, ma credetemi se vi dico che è un bellissimo sogno.), rivela l’umana debolezza, che è di tutti, di lasciare una traccia di sé, affinché il passaggio non sia solo una cronologia di date, ma abbia un senso non tanto in ciò che è, ma in quel che sarà.

    1.Vi è mai capitato di trovare in voi alcuni elementi di somiglianza con i vostri genitori e nonni che, magari, vi hanno colto di sorpresa?
    No, le somiglianze ci sono perché sono parte di una stirpe e quindi non ci può essere nulla di insolito che mi possa stupire.
    2.Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?
    Quello che vale per me vale anche per i successori.

    3.Appartenere a una “stirpe” è più un vincolo, una consolazione o una responsabilità? O cos’altro?
    Né vincolo, né responsabilità, né condanna: io sono solo io, anche se parte di una stirpe.

    4.In certi casi, può essere una condanna?
    Casi rari, ma non impossibili. Pensiamo solo al figlio di un famosissimo attore che voglia seguire le orme del padre, ben sapendo che tutti faranno immediatamente dei raffonti con il genitore e che questi, normalmente, saranno impietosi, perché i geni dell’arte, in famiglia, sono sempre rari.
    5.Fino a che punto l’appartenenza a una stirpe può essere considerata il “viatico” per sopravvivere a se stessi?
    La risposta sta nel periodo della mia recensione che ho sopra riportato: è un sogno, se pur bello, pensare di essere presenti in futuro nelle caratteristiche dei nostri discendenti; del resto in tal modo la stirpe diventa un “continuum” per andare oltre ogni logica: se ci sarà qualcosa di me in chi verrà dopo è come se io non fossi morto e la vera fonte di vita, e al medesimo tempo la vita stessa, è solo la stirpe.

  65. “Come lettore, io non morirò”.
    questa frase di Camon mi ha colpito. anche io ho fatto la stessa riflessione che ha fatto Vale, ma in senso diverso. personalmente non sottolineo nulla perché ho una specie di rispetto sacrale per il libro. lasciare un segno, per me, è come commettere un sacrilegio.
    però, un mio discendente che leggerà quel libro dopo di me non troverà nulla di me. d’altro canto se ha le mie stesse caratteristiche, neppure lui dovrebbe segnare il libro.
    forse comincerò a sottolineare i miei libri.

  66. domande
    1. Vi è mai capitato di trovare in voi alcuni elementi di somiglianza con i vostri genitori e nonni che, magari, vi hanno colto di sorpresa?
    soprattutto crescendo. tempo fa, mentre imprecavo in preda alla rabbia, mi sono accorto che era lo stesso modo di imprecare di mio padre……

  67. 2. Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?
    si, mi hanno fatto notare che un mio nipotino ha il mio stesso modo di ridere. Quando me ne sono accorto, mi ha fatto impressione.

  68. 3. Appartenere a una “stirpe” è più un vincolo, una consolazione o una responsabilità? O cos’altro?
    secondo me è più un vincolo, ma non in senso negativo. Nel senso di “Legame”, intendo.

  69. 4. In certi casi, può essere una condanna?
    si, quando non ti ci riconosci ma rimani invischiato tra le maglie famigliari e di tutto quello che ne deriva

  70. 5. Fino a che punto l’appartenenza a una stirpe può essere considerata il “viatico” per sopravvivere a se stessi?

    non lo so. io non ho discendenti diretti, ma non mi pongo il problema.
    grazie per le riflessioni. saluti a tutti

  71. Acquisterò il libro di Camon e lo leggerò. Però il mio pensiero sulla stirpe va in altra direzione rispetto alla maggior parte delle vostre opinioni.
    Il rapporto tra me e mio padre è caratterizzato da un giustificato e reciproco odio. Se un giorno dovessi scoprirmi uguale a lui, la tentazione di buttarmi giù dal primo ponte sarebbe molto forte.

  72. L’argomento del libro di Camon mi affascina perchè ha il sapore di una domanda collettiva.
    Chi non si è fatta la domanda sulla propria stirpe? Farsi questa domanda è chiedersi da dove veniamo anche se siamo più preoccupati a sapere dove andiamo, ma non lo possiamo mai ipotizzare se non sappiamo proprio da dove veniamo.
    La stirpe la perpetua il padre.E’ lui che porta la scintilla. La madre è la casa che accoglie la stirpe, l’umano letto.
    Guardo i miei figli ed a volte è come se fossi estranea. Una volta quando l’educazione e la formazione avveniva soltanto nella famiglia e nel vicinato l’impronta della madre si evidenziava, oggi che molti sono i canali formativi
    l’impronta culturale materna si è smarrita nella colletività generazionale
    e della lontananza delle nostre origini resta soltanto la somiglianza fisica (e psichica) con il padre perchè è quella che si è fermata nel tempo perchè questa è la stirpe.Anche la vita affettiva che era un tempo dono materno, si è allargata nel mondo vicino e lontano dove si è trasformata in solidarietà, convivialità….valori un tempo appannaggio soltanto della famiglia dove la madre ne era esempio.
    Con queste affermazioni posso anche rendere un cattivo servizio alla donna
    ma le mie riflessioni sulla stirpe e gli esperimenti che nel tempo si sono fatti sui bambini”lupo”, le ricerche sul DNA, e soprattutto il fatto che trovandomi tra gente che non mi conosceva ,ma conosceva mio padre mi dicesse “tu sei la figlia del signor Mondì” mi portano a dire che la stirpe la perpetua il padre.Oggi, per il prevalere di pseudo libertà e la ricerca di diritti personali, molti delle nuove generazioni crescono senza padre. Peccato! perchè in quel padre mancato hanno perso il senso della loro stirpe anche se non hanno perso il seme della stirpe.

  73. Appartenere ad una stirpe , secondo me non vuol dire nulla. E’ ciò che si sente dentro per l’appartenenza a quella deteterminata stirpe che conta. L’uomo ha bisogno di appartenenza per non smarrirsi nel labirinto delle vie e delle ipotesi.Detto così sembrerebbe contraddire il principio dell’unicità, e anche di libertà se non posassimo i piedi a terra e non si riflettesse sul fatto che l’uomo ha bisogno sempre di una bussola.La stirpe è come la bussola che ti permette di orientarti e di capirti. Ecco perchè la stirpe prima di generare consolazione o altro genera orgoglio. Tu hai uno strumento per sapere chi sei e dove vai.Per capire se sei della stirpe che prende o di quella che dà o si dona: di una stirpe trascendente o immanente…… di una stirpe di pace o di guerrafondaia, generosa o avida…. perchè la stirpe porta con sè caratteri immutabili che la sapienza materna può canalizzare verso obiettivi umani ma mai modificare in assoluto.

  74. Caro Alberto, vedrai che un giorno amerai tuo padre. Nessuno muore mai con un padre sopra il cuore perchè lui e già dentro il cuore.
    Dipende da ciascuno di noi scoprirlo, capirlo, accettarlo! Ciao

  75. ==> Mela Mondi
    Grazie per il messaggio. Forse perché il figlio ami un padre è necessario che il padre ami il figlio.
    Comunque grazie. Spero che quel giorno che dice lei, prima o poi arrivi.

  76. Oggi comprerò il libro di Camon. Mi interessa come il tema viene affrontato nel libro.

  77. Salve a tutti. Torno a partecipare alle discussioni di Letteratitudine dopo qualche mese di assenza. Torno adesso attratta dalle tematiche del post e dalla stima per Ferdinando Camon come autore.

  78. Sto leggendo “la mia stirpe” e come spesso capita con i libri di Camon, rimango affascinata dai suoi ragionamenti e da come riesce a traslarli in maniera originale e nuova sulla pagina. Che bello il passaggio in cui mette in evidenza il fatto che la sua venuta al mondo è stata appesa a un filo ed è dipesa da una serie di circostanze e di coincidenze che han fatto sì che quell’uomo e quella donna che sarebbero diventati i suoi genitori si unissero.
    Non è stato così per ciascuno di noi?

  79. scusate è partito il commento mentre scrivevo.
    1. Vi è mai capitato di trovare in voi alcuni elementi di somiglianza con i vostri genitori e nonni che, magari, vi hanno colto di sorpresa?
    Sì. Ed è sempre stata una gioia. Sento molto la responsabilità di avere in me tali elementi di somiglianza.

  80. 2. Analogamente, vi è mai capitato di riconoscervi in alcuni tratti, atteggiamenti, modi di pensare dei vostri figli e nipoti (al punto da rimanere meravigliati della somiglianza)?
    non ho figli, ma sono zia. C’è una nipotina che mi assomiglia tanto. Dalle foto di quand’ero piccola noto una somiglianza impressionante.
    Ogni volta che guardo mia nipote vedo una piccola me, e a volte mi commuovo.

  81. 3. Appartenere a una “stirpe” è più un vincolo, una consolazione o una responsabilità? O cos’altro?
    Come ho detto prima, una responsabilità

  82. 4. In certi casi, può essere una condanna?
    Solo se l’appartenenza, per un qualunque motivo, è vista come una cosa sgradita e sconveniente

  83. 5. Fino a che punto l’appartenenza a una stirpe può essere considerata il “viatico” per sopravvivere a se stessi?
    Fino al punto in cui si è in grado di aprire il cuore e riconoscere in certi segni un atto d’amore del Creato nei nostri confronti.

  84. se ci sforzassimo di sentirci tutti “anelli di una catena”, se ci sentissimo davvero parte di un “qualcosa” che viene prima di noi e proseguirà dopo di noi, credo che vivremmo tutti in un mondo migliore.

  85. leggerò questo libro e ( credo ) lo regalerò a qualche amico che ha scelto di non mettere al mondo figli. forse può fungere da stimolo.
    penso che una società che continua ad invecchiare non può avere moltissimo futuro.

  86. Ciao Alberto, un figlio può anche insegnare ad un padre ad amare, amandolo.Sembra duro ed impossibile ma ti assicuro che è possibile.
    Ti voglio bene. Pensa a Camon che va dal Papa con la foto del padre sotto la camicia. Metti la foto di tuo padre nel tuo portafogli e mostrala con orgoglio.

  87. Grazie, ma non è facile. Con mio padre non ci sentiamo da anni. Credo di non averla nemmeno, una sua foto. Ma proverò. Ci proverò.

  88. Ho letto “La mia stirpe” dopo aver seguito il dibattito qui. E’ un libro bellissimo, grazie per avermelo fatto scoprire.
    Mari.

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