Novembre 18, 2024

73 thoughts on “LA SCRITTURA TRA SOLITUDINE E LIBERTA’ (Gao Xingjian)

  1. Un autore che mi piacerebbe scoprire insieme a te, Enrico, e a tutti gli amici di letteratitudine.
    Ti chiedo di “armarti” di serietà e di contribuire al dibattito.
    Come rispondi alle tre domande finali?
    🙂

  2. – La letteratura è solitudine?

    – La solitudine è davvero una necessità assoluta per uno scrittore?

    Parto dal basso per lasciare una prima osservazione.
    La solitudine è una condizione necessaria, secondo me, nella fase di stesura/fissaggio/tratteggio cioè quando è indispensabile raccogliere le idee, riunire le ricerche, lasciare spazio ai personaggi, permettere alle scene di arrivare e lasciarsi andare. Qui davvero la solitudine è oro.
    Però.
    Secondo me la fase precedente e quella successiva necessitano di dialogo, rapporto con l’esterno (sia dal mondo della scrittura che non). La solitudine ha il difetto che può portare facilmente chi scrive a disimparare ad ascoltare, cioè ci si chiude, e magari si perdono occasioni importanti per ‘osservare la vita’, lasciare che gli occhi memorizzino e le orecchie registrino. Non credo si possa scrivere solo inventando o costruendo sulla base del proprio piccolo orticello. E’necessario uscire. Guardare il mondo, la vita che si muove, ascoltando le testimonianze richieste quanto arrivate per caso.
    In un certo senso è lo stesso per la lettura. C’è un momento in cui ci si rinchiude, si ha bisogno di rimanere soli col testo. Saggiarlo. Annusarlo. Immergersi e ragionare. Poi.
    Poi anche qui io credo molto nella condivisione. E’uno stimolo in più. Un modo per liberare le proprie impressioni sul libro letto, confrontarsi con gli altri (che magari hanno trovato altro nella lettura o comunque hanno notato elementi diversi). La lettura è soggettiva, è il suo bello e se si legge per poi tenere per se le proprie emozioni, impressioni, sensazioni sul testo… mi sembra si perda una parte del gusto.
    Saper dosare i momenti di solitudine, saperli gestire con intelligenza è la chiave per un proprio, personale e soggettivo, rapporto equilibrato con la letteratura, in my opinion.

  3. 1-La letteratura può solo essere la voce dell’individuo (nel senso che se è al servizio di una patria, di una nazione, di un partito o di un ceto perde ogni significato)?…………………
    Credo che chi scrive deve essere “intellettualmente” autonomo. Ciò non toglie che l’opera possa essere a servizio di patria etc, ma solo con un processo naturale e inevitabile. Insomma, se a uno gli viene in mente un libro/reportage di un viaggio e invece dice “no, anche se mi viene lo soffoco e scrivo una cosa a servizio del partito”, secondo me ha messo la prima pietra per costruire una probabile cazzata.

    2-La letteratura è solitudine?……..
    ritengo che, pur volendo partecipare agli altri il più possibile, in un libro ci saranno comunque elementi usciti da una “stanza segreta” nella quale persino l’autore medesimo mette i piedi di rado.

    3-La solitudine è davvero una necessità assoluta per uno scrittore?…..
    qui credo che sia questione personale. Magari capita che lo scrittore vorrebbe gente intorno e poi sono gli altri che lo emarginano perché lo ritengono, chessò, un introverso. Mi sembra una situazione da gioco delle parti o troppo condizionata da eventi, umori e sensazioni.

    ps: sono stato sufficientemente serio o per il prossimo commento devo parafrasare “I Sepolcri” del Foscolo?

  4. @ Barbara:
    Secondo te per un autore come Gao Xingjian – considerando la sua storia personale – la solitudine può avere un ruolo diverso? Più importante? “Più necessario”?

  5. @ Enrico:
    Dici: “Credo che chi scrive deve essere “intellettualmente” autonomo. Ciò non toglie che l’opera possa essere a servizio di patria etc, ma solo con un processo naturale e inevitabile.”

    Puoi farmi qualche esempio di un’opera messa a servizio di patria etc, ma solo con un processo naturale e inevitabile?

  6. Altra domanda.
    Per tutti.

    Secondo voi uno scrittore che vive all’interno del proprio paese in un contesto politico/sociale difficile e pericoloso ha più possibilità di esprimere arte rispetto a un altro? Ha più possibilità di fare “letteratura utile”?

  7. Altra domanda.
    Per tutti.

    Secondo voi uno scrittore che vive all’interno del proprio paese in un contesto politico/sociale difficile e pericoloso ha più possibilità di esprimere arte rispetto a un altro? Ha più possibilità di fare “letteratura utile”?

    caro massimo, mi duole informarti che anche Marzullo ha iniziato così, poi ha finito col chiedere “ma la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?”. Ti metto in guardia perché sei ancora in tempo per riprenderti. Altrimenti la tua prossima domanda potrebbe essere: “ma è meglio pagare l’Ici al 40 per cento oppure al 3 per cento?”.
    E ringrazia che Vito Ferro è così vanesio che entra solo per guardare il suo post. Se facesse un salto qui ti tratterebbe come un cane in chiesa. Con affetto 🙂

  8. @ Enrico:
    Se mi scrivi “anche Marzullo ha iniziato così” non fai altro che incitarmi; dirò di più, aizzarmi. Hai visto Marzullo dov’è arrivato?
    La domanda: “ma è meglio pagare l’Ici al 40 per cento oppure al 3 per cento?” è una domanda alla Catalano, non alla Marzullo.
    😉

    Ti ringrazio per l’umorismo che doni, Enrico. Però torno serio (Sepolcri” o no). Sai perché? Perché provo a mettermi nei panni di questi scrittori che hanno vissuto, o che vivono, in contesti difficili (contesti di morte). E penso, chissà se al loro posto avrei lo stesso coraggio.
    Buonanotte.

  9. Posso essere d’accordo con te da un punto di vista “teorico”, il ché con vuol dire superficiale. Resta però il fatto che il lettore acquista e/o apprezza ciò che gli “arriva”. Può darsi quindi che faccia la lettiera del gatto con il romanzo di un premio Nobel birmano sopravvissuto alla repressione militare di Rangoon. E che, invece, collochi tra la Divina Commedia e I Promessi Sposi il romanzo scritto da un tizio ospite fisso del “Danieli” dove condivide la suite con tre puttane circasse.
    C’est la vie…come direbbe Catalano 🙂

  10. bel post. interessante.
    la letteratura è solitudine?
    io non scrivo, dunque parlo da lettore. secondo me, sì. è soprattutto solitudine. anche dal punto di vista di chi legge. nel senso che è possibile ascoltare anche in gruppo dei brani scelti estratti da un certo libro. ma la lettura vera è quella che coinvolge te lettore con il mondo racchiuso nelle pagine del libro che hai scelto per condividere tempo e, in fondo, anche esperienze. per questo credo che la “spettacolarizzazione” del mondo del libro (mi riferisco ai vari festival ed eventi vari) incontri dei limiti proprio nel concetto di “letteratura come solitudine”. e quisi potrebbe aprire un altro dibattito.

  11. dimenticavo di dire che non conosco il cinese gao ecc.
    nell’eventualità che mi decidessi a leggere un suo libro cosa mi consigliate?

  12. Gennaro, il romanzo più rappresentativo è senz’altro “La montagna dell’anima”, come si evince dall’intervista. Forse converrebbe cominciare da lì.

  13. La Montagna dell’Anima è l’opera monumentale che ha consacrato Gao Xingjian come uno dei maestri del nostro tempo. È il racconto di un lungo viaggio tra le montagne, le foreste, le riserve naturali, i villaggi della Cina del sud e del sud-ovest, narrato, a capitoli alterni, in seconda e in prima persona: un tu che, sul treno, ascolta un altro viaggiatore parlare delle meraviglie di Lingshan – la Montagna dell’Anima, dove tutto è allo stato originario – e decide di gettarsi alla sua ricerca; e un io che, come Gao, è uno scrittore perseguitato dal regime, ha dovuto allontanarsi da Pechino e ha completamente cambiato la propria visione del mondo dopo che un medico, per errore, gli ha diagnosticato un cancro al polmone. Il viaggio è dunque l’occasione di un bilancio esistenziale e la fonte inesauribile di nuove esperienze. E l’autobiografia diviene romanzo picaresco in cui si intrecciano avventure di feroci briganti e tristi vicende di fanciulle suicide per amore, saggio enciclopedico (sugli animali e le piante della foresta vergine, sugli usi, le credenze, le leggende delle popolazioni tribali, sui fossili degli ominidi più antichi e sulle tracce della presenza dell’«uomo selvatico»), storia della Cina dalle antiche dinastie alla Lunga Marcia, dalla tabula rasa della Rivoluzione culturale al presente (e precario) compromesso fra sviluppo economico e autoritarismo politico, riflessione sul senso e lo scopo della letteratura, tormentata storia d’amore, ricerca filosofica della natura dell’anima, della propria identità, della verità dell’essere, di Dio che nell’ultimo capitolo si manifesta in forma di minuscola rana e parla il linguaggio incomprensibile di una palpebra che si alza e si abbassa… Erede sia della tradizione letteraria cinese sia delle più inquiete esperienze europee del Novecento, Gao riesce a fondere i diversi materiali narrativi grazie al supremo controllo dello stile. E questo romanzo, uno dei più importanti degli ultimi vent’anni, diventa un’appassionata professione di fede nella necessità della letteratura.
    =
    Autore: Gao Xingjian
    Editore: Rizzoli, Milano
    Prima edizione: giugno 2002
    Pagg. 647
    Traduzione dal cinese di Mirella Fratamico
    Titolo originale Lingshan – © Gao Xingjian, Paris
    =
    Fonte: Tuttocina.it
    http://www.tuttocina.it/editoria/montanim.htm

  14. L’opera di Gao Xingjian, premio Nobel per la letteratura nel 2000, è stata rifiutata dalla patria cinese, che il versatile artista di Pechino ha abbandonato nel 1987 per vivere a Parigi. Il suo capolavoro, “La Montagna dell’Anima”, non può tuttavia essere considerato un romanzo strettamente politico, per quanto contenga alcuni passaggi critici nei confronti della Rivoluzione Culturale. Ha molta importanza anche la descrizione dei paesaggi, delle tradizioni e delle popolazioni della Cina sudorientale, ma neppure il viaggio (fisico) può dirsi tema centrale del libro. “La scrittura, se diventa ode a un Paese, modello di una nazione o voce di un partito, perde la sua natura. Non è più letteratura. Gli scrittori non lavorano per essere pubblicati, ma per conoscere se stessi”, spiega infatti Gao Xingjiang in un’intervista a un giornalista francese di Le Monde.
    “La Montagna dell’Anima”, difficile da classificare e scomporre, è un’opera che parla di se stessa e riflette sul significato della letteratura e della vita. E’ simile a uno specchio, dove l’autore e il lettore possono osservare la propria immagine, suddivisa in mille riflessi di luce e ombra. Ci troviamo di fronte a un “io”, che segue il percorso del Fiume Azzurro, e di fronte a un “tu”, che cerca la Montagna dell’Anima e racconta storie a una “lei”, incontrata per strada. I luoghi del romanzo hanno un nome, che evoca antiche leggende ed eventi storici, ma ai personaggi basta un pronome, perché sono tutte emanazioni di uno stesso soggetto, che nella scrittura si scompone per cercare la propria anima. “Lascia le questioni metafisiche ai filosofi e pensa solo ad andare per la tua strada”, scrive Gao Xingjian, che preferisce tornare a domande essenziali, semplici e disarmanti: cosa cerca l’uomo? e soprattutto, vi è ancora qualcosa che valga la pena di cercare? non saremmo più sereni senza pensare continuamente al nostro ego?

    “La Montagna dell’Anima”, ispirato a un viaggio compiuto dopo un’errata diagnosi di tumore, fu edito per la prima volta a Taiwan nel 1991 e vendette pochissime copie. Per molto tempo l’attività di Gao Xingjian rimase nell’ombra: la sua opera, grazie al riconoscimento dell’Accademia svedese, è ora diffusa in molte parti del mondo. In Italia sarà integralmente tradotta da Rizzoli, che ha già pubblicato “Una canna da pesca per mio nonno” (raccolta di racconti) e “Per un’altra estetica” (catalogo di una mostra della sua produzione figurativa).

    Mara Pace
    =
    Fonte: Corriere.it
    http://www.corriere.it/Rubriche/Libri/2002/10_Ottobre/14/librogiorno.shtml

  15. La letteratura è oltre la solitudine perché la solitudine non esiste dato che ci sono la penna, il foglio, i tasti. Essendoci tali entità, ben più vive di un essere umano, lo scrittore e la scrittrice sono soli, col loro mondo. Ma il mondo reale è quello fantastico, perché nella scrittura vivono i sogni, e dai sogni nasce il cinema. Lo schermo riflette il pensiero animato, l’anima-nazione, il ceto bacato di una società che non è mai esistita come ora. Con quattro formule matematiche si è in grado di comunicare a distanza, dando la sensazione di essere uniti, al caos. Le torri crollano, i semafori offrono lavoro, i dibattiti rossi proliferano e il clima piange. Le foglie cadono come capelli marroni e si trasformano in fogli. Prima di parlare di solitudine occorre definirla, come stato sociale individuale o collettivo, longitudinale e latitudinale, il monte offre rifugio e routine, ma la routine è mentale, occorre fare uno sforzo per non potenziarla. Negare, negare sempre tutto, smantellare ogni chiodo, ogni nozione temporale, perché? Esiste un motivo per parlare di solitudine, o solo per parlare? Cosa è la solitudine, da dove viene, quale è la radice semantica, il concetto implicito, se esiste un modo di comunicare come lo scrivere? Per esempio la pittura espleta la solitudine, il quadro diventa materia divina, le linee spezzate di un rettangolo contengono l’anima squarciata in tela da un coltello giallo, il pastore porta il suo gregge al suicidio ma la pecora vola, e se ne frega.

    Nicola Castellini

  16. Gao Xingjian è un bravo autore.
    Chi volesse conoscere altri autori cinesi contemporanei, tra i più meritevoli consiglierei l’approfondimento di:
    – MAO DUN, pseudonimo di Shen Yan-bing (1890-1981). Autore poliedrico (romanziere, novellista, drammaturgo, oratore, critico letterario). Il suo libro più famoso è Zi Ye “Mezzanotte” ambientato nella Shanghai degli anni Venti.
    – BA JIN, pseudonimo di Li Feigan (n. 1904) autore di una trilogia “Jia”, “Chun”, “Qiu” (“Famiglia, Primavera, Autunno”) che si pone in contrasto con le imposizioni della società tradizionale.
    Complimenti al responsabile del sito per aver dato spazio ad autori e letterature meno note da noi in Italia.

  17. questa parte della biografia è raccapricciante:
    “Dopo l’inizio della Rivoluzione culturale venne mandato in un campo di rieducazione; in quel periodo fu costretto a bruciare un’intera valigia di propri manoscritti non ancora pubblicati.”
    “bruciare un’intera valigia di propri manoscritti non ancora pubblicati”: chissà che capolavori c’erano li dentro e sono andati in fumo.

  18. grazie per l’indicazione. se devo essere sincero sono tentato da “una canna da pesca per mio nonno” che è solo di 140 pag., se ho visto bene.
    gli altri mi sembrano mallopponi.
    scusate, sto diventando un lettore pigro.

  19. guarda gennaro, sono usciti a strretto giro di posta due libri meravigliosi e tra loro molto diversi. “L’ho lasciata perchè l’amavo troppo” di Vito Ferro (pagine 93) e “Un tè prima di morire” (138 pagine) scritto da un presuntuoso emulo di James Ellroy. Io ovviamente ti informo soltanto per gesto di liberalità 🙂

  20. A mio avviso, la solitudine va intesa come “libertà dell’individuo”.
    Una libertà che non deve assolutamente diventare cinica con l’intenzione di estraniare gli altri dalla tua vita.
    Parlo quindi di sana solitudine, soprattutto quando i tuoi pensieri si trasformano in un qualcosa di importante e vorresti esternarli con la scrittura (unico modo per rivelare le tue sensazioni, le emozioni, i sogni, la realtà).
    Scrivere è quindi una realizzazione del proprio “io” e, senza la solitudine, lo scritto non si concretizza….finisce con il trasformarsi in parole senza senso che neppure l’autore riconosce più.

  21. Vi ringrazio tutti per i commenti.
    In particolare:
    – Cicerone 1 per lo sforzo profuso per l’attività di ricerca (ottimi i risultati)
    =
    Un saluto particolare alla scrittrice Susanna Sarti, autrice “Giraldi” e “Edizioni Creative”

  22. Se avete tempo vi consiglio di leggere con particolare attenzione l’intervista di Francesca Di Mattia: INCONTRO A PARIGI CON GAO XINGJIAN – gennaio 2007.
    Credo si possano trovare spunti molto interessanti.
    Leggete e poi ditemi cosa ne pensate.
    =
    Vi faccio notare solo questo passaggio che riguarda tutti noi poiché Gao esprime la sua opinione in merito alla scrittura su Internet (e sull’autopubblicazione su Internet):
    * * *
    “È un fenomeno importante, assolutamente nuovo. Ognuno può pubblicare ciò che vuole. Ma ci sono lati positivi e negativi. Nell’insieme penso: perché no? Internet è una vetrina, rappresenta una possibilità di esprimersi liberamente, perché tutti hanno bisogno di esprimersi, anche se il più delle volte non si trovano testi di qualità. Bisogna selezionare, cercare. C’è di tutto, ma sta a te scegliere. Se si seguono delle buone piste, si possono trovare delle cose belle, serie. Ma la presenza su Internet non sostituisce la pubblicazione su carta, che per me resta il luogo della grande letteratura. Se esiste qualcosa veramente valido l’autore può trovare, col tempo, il modo di farsi pubblicare e conoscere, come in ogni epoca. Tutti i grandi scrittori hanno avuto questo problema. In questo senso la società non è cambiata.”
    * * *
    Parola di uno che ha avuto grandissime difficoltà a pubblicare e a trovare editori… ma che poi è diventato Premio Nobel per la Letteratura.

  23. Poi vi ripropongo le tre domande:

    1. La letteratura può solo essere la voce dell’individuo (nel senso che se è al servizio di una patria, di una nazione, di un partito o di un ceto perde ogni significato)?

    2. La letteratura è solitudine?

    3. La solitudine è davvero una necessità assoluta per uno scrittore?

  24. ‘Se si seguono delle buone piste, si possono trovare delle cose belle, serie. Ma la presenza su Internet non sostituisce la pubblicazione su carta, che per me resta il luogo della grande letteratura. Se esiste qualcosa veramente valido l’autore può trovare, col tempo, il modo di farsi pubblicare e conoscere, come in ogni epoca.’

    Sono d’accordissimo.
    Internet può essere un veicolo di divulgazione iniziale. Un modo per farsi leggere e magari ricevere commenti o annotazioni costruttive.
    Leggevo prima dell’estate delle proiezioni che vedano la carta stampata defraudata del suo ruolo fra venti o quarant’anni. Non credo sia realistico.
    Probabilmente l’uso della rete aumenterà, le nuove generazioni si rivolgeranno al calderone e impareranno a usarlo anche per farsi conoscere o ‘liberare’ testi che parlano di loro, di come sono e della maturazione narrativa raggiunta. Di un percoso avviato insomma. Forse si diffonderanno di più gli ebook. Forse. Magari con mezzi tecnologici che li renderanno fruibili come i libri di carta.
    Però la carta è un’altra cosa.
    Se anche si ridurranno le pubblicazioni non vedo come potrà scomparire o ridursi notevolmente.
    Aggiungo un’annotazione che è il rovescio della medaglia: pubblicando testi propri on line si diventa facilmente leggibili e rintracciabili anche da parte dei cosìdetti ‘reclutatori’ che non sempre hanno intenzioni serie o proposte limpide. Occhio quindi.

  25. Non vorrei sembrare né invadente, né sabotatore, né tantomeno irriguardoso nei confronti del padrone di casa. Ma a me viene in mente una domanda, una sola, e fors’anche demagogica che vorrei porre. Se qualcuno avrà voglia e tempo di rispondere bene, altrimenti rimarrà interrogativa retorica.
    Quanto conta, nel successo di un libro, l’effettivo livello dell’opera medesima?……a corredo butto lì un po’ di elementi: lungimiranza e coraggio dell’editore, fortuna mediatica, argomento di tendenza, accordi espliciti e/o impliciti tra casa editrice e divulgatori a vario titolo. Ossequi

  26. Non resisto e provo a rispondere anch’io alle tre domande del padrone di casa.
    1. Secondo me, in generale, la letteratura è al servizio della società, anche quando è la voce dell’individuo. E’ vero: tutto è gia stato scritto, ma tutto si può riscrivere in maniera diversa, ricorrendo alla propria individualità, che però non è (o almeno non è solo) la propria biografia. Per intenderci: Kafka, Proust e Pirandello hanno fatto del buon soggettivismo, perché dall’individuale sono risaliti all’universale. Il cattivo soggetivismo, invece, è quello di chi si limita a parlare del proprio ombelico, dimenticando di “allargare l’inquadratura”.
    2. Si dice che leggere sia importante appunto perché è (quasi sempre) un’attività solitaria. Ma leggere vuol dire ascoltare senza interrompere. E l’ascolto di un monologo, di questi tempi, è meno solitario di un dialogo fra sordi che si insultano.
    3. Attualmente credo (e temo) di no. Quella dello “scrittore solitario” oggi viene da molti considerata una retorica superata. Però qualche scrittore contemporaneo persiste nel dichiararsi solitario: Erri De Luca, per esempio, lo ha ammesso più volte. Se ce l’ha fatta un solitario come lui, forse, ma dico FORSE, possono farcela anche gli aspiranti scrittori solitari come il sottoscritto.
    Bel post, comunque: prima o poi devo leggere qualcosa di questo Gao Xingjian.

  27. @ Enrico:
    Non mi sei sembrato né invadente, né sabotatore, né tantomeno irriguardoso nei confronti del padrone di casa. Anzi, tutt’altro. La tua è una domanda seria è ben posta.
    Ti rispondo, intanto, con due considerazioni:
    1. A mio modo di vedere l’elemento principale che, oggi, decreta il vero successo commerciale del libro è il “passaparola” tra i lettori (certo, il libro deve essere ben visibile e ben distribuito; altrimenti il passaparola muore).
    2. La storia della letteratura ci insegna che in moltissimi casi libri ritenuti in seguito come fondamentali non sono stati accompagnati da successo commerciale.
    Quindi, secondo il mio modesto parere, l’effettivo “livello” dell’opera medesima conta fino a un certo punto.
    Nello specifico credo di poter dire che Gao Xingjian è stato pressoché sconosciuto prima dell’assegnazione del Nobel. E dopo il Nobel ha venduto ma non con i numeri esorbitanti degli autori da top ten mondiale.
    Grazie per la domanda, Enrico.

  28. @ Vincenzo Manna:
    Intanto grazie per i complimenti finali.
    Le tue osservazioni mi sembrano tutt’altro che campate in aria. Vediamo cosa ne pensano gli altri frequentatori del blog.
    🙂

  29. @ Barbara Gozzi:
    dici bene cara Barbara.
    Aggiungo una ulteriore annotazione alle tue considerazioni. Molti editori nostrani stanno guardando con attenzione a Internet. La domanda è: cosa è stato portato alla luce finora?
    Non aggiungo altro perché non vorrei costringervi ad andare “off topic” (cosa che considero, come sapete, deleteria).

  30. Ringrazio Massimo per la risposta e aggiungo. Gao Xingjian è un caso eclatante di misconosciuto successivamente scoperto fino ad arrivare al Nobel. Peraltro (e non sarà certo il caso dello scrittore cinese) ma quando un premio si sotanzia in circa 2 miliardi delle vecchie lire ai quali vanno aggiunti i ricavati delle vendite che (inevitabilmente) aumentano dopo il Nobel, beh, io qualche dubbio sull’attribuzione del riconoscimento ce l’ho. Come diceva Andreotti: “pensar male è brutto, ma ci si indovina quasi sempre”.

  31. Enrico, mi sento di poter dire che Gao Xingjian è un autore di valore. Peraltro non è l’unico caso di “misconosciutismo” pre-premio Nobel (basta dare un’occhiata all’albo d’oro). Certo, oltre al “valore” dell’autore (ne abbiamo discusso ampiamente nel post precedente) subentrano altri “pesi”, tra cui quello politico (e non necessariamente in senso negativo).

  32. Adesso non vorrei passare per colui che ritiene che un vincitore del Nobel usurpi, in realtà, un Franco Califano che ci ha “finalmente” fatto grazia di un libro con il dettagliato resoconto di tutte le sue trombate. Credo semplicemente che spesso (Nobel a parte) vengano presi in considerazione quegli autori che fanno fare la figura da “intellighenti” a chi li celebra. Sai che ti dico? Se un giorno il Nobel lo vincesse Joanne Kathleen Rowling io non andrei a manifestare nudo per le strade di Stoccolma…anche perché fa un freddo di merda 🙂

  33. @ Enrico:
    Scrivi: “Credo semplicemente che spesso (Nobel a parte) vengano presi in considerazione quegli autori che fanno fare la figura da “intellighenti” a chi li celebra”.
    È vero. Ma è anche vero che, d’altro canto, c’è gente che “snobba” gli scrittori cosiddetti più difficili – e chi li celebra – perché non è abituata a un genere di lettura più impegnata o impegnativa.
    Forse sarebbe bene dotarsi della capacità di leggere con piacere libri “impegnati” o “difficili” senza perdere il gusto di perdersi in letture più “leggere” o più “di intrattenimento”.
    Io mi sforzo di fare entrambe le cose.

  34. @ Enrico (di nuovo… e fuori argomento):
    Quello della Rowling è un classico esempio di successo nato con il “passaparola” dei lettori e poi abilmente cavalcato e amplificato da efficaci campagne di Marketing. Il “problema” è che nessuno ha la ricetta del successo editoriale. Se fosse così semplice basterebbe fare gli editori per diventare ricchi.
    Sappiamo che non è così.
    P.S. Inutile dire che, oggi come oggi, per la Rowling il milione di euro (una tantum) del Nobel varrebbe come spiccioli per noi comuni mortali.
    Della Rowling avevo fatto (simpaticamente) cenno in questo post qui:
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/07/01/l%e2%80%99influenza-delle-celebrita%e2%80%99/
    —–
    Pongo una domanda, ma vi invito a rispondere nel post dedicato al premio nobel: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/24/il-vostro-nobel-per-la-letteratura-2007/
    Secondo voi quale dovrebbe essere la funzione di un premio importante come il Nobel per la letteratura?

  35. La letteratura è frutto di una continua interazione fra l’io e il mondo in cui è presente; il lavoro di un letterato, ma il termine lavoro mi sembra inidoneo, e preferirei il termine missione, è di ricercare di spiegare le contraddizioni dei comportamenti umani, di rifletterli in se stesso al fine di giungere a un’analisi organica comprensiva di cause ed effetti. Per questo non può essere al servizio di nessuno e da qui nasce la sua solitudine, intesa come uno stato di sospensione in cui, libero dai retaggi atavici, cerca di addentrarsi nei meandri di ciò che lo circonda.
    Non è una solitudine materiale, ma una sorta di repulsione ad essere inglobato in un sistema, qualsiasi esso sia.

  36. Ciao Renzo, trovo il tuo commento molto bello.
    Tu definisci l’attività del letterato come missione, più che come lavoro.
    Ti domando: secondo te, oggi, in tutta sincerità, ce ne sono ancora tanti di letterati-missionari?

  37. “Quid est veritas?”, Massimo…
    Spero che nessuno risponda “io”. Soprattutto i non letterati.
    *
    Grazie per questo nuovo articolo, e a tutti per l’interessante confronto.

  38. Mi è piaciuto tanto il commento di renzo Montagnoli… pure poi mi sono accorta di non condividerlo.
    Uno scrive perchè deve. deve per una serie di cose sue, per lui è come bere, o che so averci la fissa di saltare i mattoni rotti. Poi scrive in un certo modo perchè è fatto in un certo modo, e scrive di certe cose, perchè così sono i suoi sapori e le ricerche di sapori. Ci piace pensare che di mezzo ci sia una nobiltà, ma la nobiltà è un’invenzione letteraria, niente si fa per nobiltà. Manco il medico, o il pompiere. Chi compie la strada che ha potuto scegliere, perchè Dio gli ha dato più che altro il bene della coerenza, ha tuttalpiù una missione verso se stesso. Il bene collettivo è pura contingenza.

  39. (è una prospettiva più umana. Storicamente, quando un regime o un movimento sostiene di avere “veritas” dalla sua parte, cominciano le guerre di ogni genere. Pensaci:) )

  40. Ho letto ora l’altra domanda di Massimo! Quella se uno scrittore in un paese tristo ci ha più possibilità di scrivere cose di utilità collettiva… No perchè i commenti sono una barcata e ora li pilucco in ordine sparso…

    Beh, un motivo in più ce l’ha. Noi adesso se vediamo Grillo per esempio abbiamo perso lo shit detector, quello che suona quando arriva un comportamento demagogico, uno che vive in una dittatura fresca fresca di confezione, ci ha invece il detector nuovo nuovo di zecca. E siccome l’ha comprato spesso DOPO l’avvento del capo, ora è li che studia con noi le istruzioni.

    Massimo capiscime, l’ora è tarda…

  41. L’ora è indubbiamente tarda. Per questo vi ringrazio particolarmente per i vostri commenti (mi riferisco a Gianfranco e a Zauberei).
    Vi auguro la buonanotte scrivendovi un paio di frasi tratte dall’articolo di Alfonso Berardinelli, che il Domenicale del Sole 24Ore di oggi – sarebbe meglio dire ieri – (domenica, 30 settembre 2007) pubblica in prima pagina. Berardinelli, riferendosi agli intellettuali, scrive: “anche come prodotto sociale gli intellettuali sono e funzionano soprattutto come individui. La loro attività e il loro modo di essere consistono in una valorizzazione pubblica dell’individuo. Difendendo se stessi difendono di fatto, lo vogliano o no, l’individualità di tutti, gli spazi di libertà (e anche di solitudine) di cui un individuo ha bisogno per esistere.”
    Che ne pensate?
    Buonanotte.
    😉

  42. Scrivere ha molto a che fare con la condivisione. Una storia nasce dall’osservazione e dall’immedesimazione con l’altro. Si scrive sempre in uno stato di convivenza spirituale o psichica con altri esseri. Altre vite possibili, o gli stessi antenati che ci sostengono con la Storia.
    La solitudine fisica a volte é necessaria, ma non sempre; poiché l’atto di stesura cartacea é solo la sintesi finale di lungo e infinito processo di partecipazione mistica con la realtà visibile e invisibile che ci circonda.
    La voce dell’io narrante non é mai una voce solitaria, parla a nome di quelli che non hanno voce. Per questo ci piace leggere perché altri raccontano per noi, quello che ci é proibito raccontare, per pudore, paura,analfabetizzazione coatta.
    Esiste un museo dei diari, dove é esposta sotto una teca di vetro la storia di Clelia, contadina semianalfabeta padana. Clelia ha narrato la sua vita su un lenzuolo, quello del corredo nuziale. Ha scritto tutto, con la lucidità di Diotima e la profondità lieve di chi maneggia la terra.
    “E giusto che certe cose si sappiano” scrive Clelia. Questo dover “far sapere” é il primo impegno civile e politico di chi fa scrittura.
    Poi i percorsi fortuiti della pubblicazione sono impossibili da conoscere.
    Giancarlo De Cataldo in un’intervista rilasciatami per Leggere Tutti, ha detto che diversi fattori concorrono a fare la fortuna d una scrittore, conosciamo quali, ma ci sfugge il perché e il come.
    Credo che l’energia vitale che si trasferisce nel libro o nell’opera d’arte apre la strada ai sentieri della condivisione.
    Se Gao Xinjian é arrivato al Nobel é sicuramente perché ha incontrato molti destini sulla sua strada solitaria.
    “Noi siamo fatti degli altri” é il titolo di un bellissimo libro di Fausta leoni pubblicato negli anni cinquanta dalla Rizzoli.
    Isabel Allende e Gioconda Belli hanno scritto i loro capolavori, sui tavoli della cucina, con i figli che giocavano intorno e le pentole sul fuoco.
    Complimenti a Massimo per come cura e imposta le discussioni.

  43. Io di Berardinelli ho una grande stima: confermata da quel che Massimo ha appena riportato dal Domenicale del ”Sole”. Pero’ credo che l’intellettuale (autentico) sia una esatta bilancia di paura, fede, solitudine e speranza nel prossimo suo.
    Un uomo ”solo-e-in-compagnia” mai del tutto solo e mai in vera compagnia di qualcuno. Purtroppo per lui.
    Sergio

  44. Caro Massimo, rispondo in uno alla tua domanda e anche ad altre osservazioni. Il senso di missione non deve essere inteso necessariamente nel significato più alto di tale termine, perchè l’esigenza del letterato è soprattutto di scrivere per se stesso, per scoprire di volta in volta qualche cosa di sè, spogliandosi di fatti, di consuetudini, di retaggi che accompagnano ognuno di noi. E’ sostanzialmente un ritorno al proprio io spogliato dagli orpelli della civiltà. In questo senso l’esperienza che il letterato acquisisce può essere traslata su suoi lettori, con tutti i benefici che ne conseguono.
    E poi si deve intendere anche come una missione perchè la stragrande maggioranza dei letterati non campa con questa attività e sono pochi quelli che si possono permettere di vivere dignitosamente con i proventi dei diritti d’autore. Questi ultimi diventano inevitabilmente conservativi di una logica di profitto che li porta ad esprimersi più in funzione degli altri che di se stessi.

  45. A Massimo.
    Solo per farti tanti complimenti e per ringraziarti per l’ottimo lavoro che stai facendo.
    Mi sono salvata il post in una cartella e appena troverò il tempo ne farò oggetto di studio sulla figura di Gao Xingjian.
    Grazie ancora.
    Smile

  46. Sono d’accordo solla tua citazione domenicaltarda/lunedinescapresta Massimo. e’ che insomma, ci ho avuto un sacco di amichetti valenti scribacchini, io stessa sono una scribacchina sporadicamente pentita, e se uno si distrae, perde la misura delle proporzioni, della relatività di un ruolo e del fatto che la funzione sociale e l’etica in genere, si esercitano meglio quando sono il risultato di una contingenza, non di una determinazione cosciente.

    Tu pensi che non ci entra niente. studiai un tempo Pietro Pomponazzi. Fico sto Pomponazzi, perchè sosteneva che la pecca etica dell’agire cristiano, era l’etica sporca. Cioè l’agire in vista di un beneficio riconosciuto in conseguenza del proprio agire retto – ovvero il posto in paradiso. se tu scrivi cose sante et giuste, perchè cerchi il posto in paradiso sei fottuto. Io naturallement mi riferisco al paradiso dell’opinione intellettuale, dell’opinione pubblica, e persino il paradiso del martirio. L’etica è un colore che ti vedono gli altri.

    detto ciò, credo che ci siano molti scrittori che portino questo colore. scrivono per comunicare, per dirsi. Ma è una cosa loro. Il nostro vantaggio è una contingenza.

  47. Ho letto un paio di anni fa il libro in questione.
    Effettivamente il ritmo inizialmente e` piuttosto lento e sincopato, ma dopo un po` di fatica iniziale tutto scorre quietamente.

    Sottoscrivo la sua opinione sulla solitudine dello scrittore.
    Credo pero` che la solitudine non debba essere intesa solo in senso sociale e politico. L`esperienza diretta ha probabilmente forgiato la sua opinione.
    Io credo che un narratore possa essere ugualmente esistenzialmente solo anche nelle nostre democrazie.
    In fondo leggendo Bukowski oppure Nathaniel West, per citarne due a caso, si percepisce la stessa estraneita` nei confronti del mondo circostante e lo stesso dolore presente negli scritti di un narratore sottoposto o costretto alla censura da una dittatura.

  48. Per una serie di ragioni e su molti argomenti esiste da sempre una distinzione tra “paese ideale e paese reale”. Laddove la critica esercita il suo sacrosanto diritto-dovere, spesso si contrappone il gusto del “fruitore”. Alla fin fine hanno ragione tutti, un po’ come all’indomani delle elezioni quando tutti hanno vinto o, come minimo, nessuno ha perso.
    Nel mentre scrivo queste righe confuse, il post che riguarda me e Vito Ferro ha 70 commenti. Quello su Gao Xingjian ne ha 60. E’ ovvio che non significa nulla, ed è altrettanto ovvio che Enrico Gregori sta a Gao Xingjian come Gigi D’Alessio sta a Mozart. Però il colpo d’occhio è imbarazzante.
    A proposito delle questioni fin qui trattate mi viene in mente una mediazione impossibile. I lettori provino ad avvicinarsi di più anche ai libri ritenuti “impegnativi”; la critica provi a non ritenere degni solo quei testi che ti si “ripropongono” come la peperonata.

  49. Gentile Enrico, il colpo d’occhio sarà pure imbarazzante. Ma nel post dedicato a lei e Vito Ferro scrivono i vostri amici debitamente e giustamente allertati. Qui non credo ci siano amici di Gao Xingjian
    Cordialmente 🙂

  50. Gentilissima Rosa, spero di essere stato abbastanza esplicito nell’aver esposto una sorta di “paradosso” che mi serviva a esprimere un’opinione. Che il post su me e Ferro veda (anche) la partecipazione di nostri conoscenti è verissimo. Come è scontato che il numero di interventi non è direttamente proporzionale alla qualità dei libri.
    E’ molto probabile che se Maugeri dedicasse un post alla Divina Commedia, gli interventi sarebbero pochissimi. Giacchè, se gli amici di Gao Xingjian hanno difficoltà tecniche a intervenire, quelli di Dante Alighieri potrebbero farlo solo in una seduta spiritica.
    Stracordialmente 🙂

  51. Ad Outworks 110.
    Insomma il libro di Gao Xingjian (immagino ti riferisca alla “Montagna incantata”, giusto?) ce lo consigli oppure no?
    Smile

  52. Al sig. Montagnoli,
    belle, le Sue osservazioni, ma credo che un ”proprio io spogliato degli orpelli della civilta”’ purtroppo (o per fortuna?) nessuno lo possa ottenere, almeno nella scrittura – ed eccetto magari qualche poeta (il Sommo si’, Virgilio ed omero anche). Ma si parla di persone vissute in altre epoche. Oggi, con un Mondaccio infame che ti preme alla nuca e ti disgrega ogni Sacra Tradizione nazionale e familiare, intima, dove lo vediamo il Vate, lo scrittore-filosofo che segue la tradizione (nel caso di noi europei) del pensiero Greco-romano?
    Accontentiamoci degli scrittori ”medi” e che parlano anche tramite la mediazione degli usi e costumi del proprio popolo… che’ l’alternativa e’ Coelho, ossia l’autore globalizzato e furbacchione.
    Saluti Cari
    Sozi

  53. Spero di non rubare tempo al dotto Sozi ponendogli questa domanda: potresti fare qualche nome di scrittore (secondo te) “medio?”. Anticipatamente ringrazio

  54. Il tempo rubato e’ quello perso dietro alle cose che non ci piacciono; invece la Letteratura e’ una bella cosa.
    Dunque: qualche nome di scrittore bravo ma non eccellente – secondo il sottoscritto. Bene. Li faro’ piu’ compiutamente appena avro’ finito di preparare la pastasciutta col sugo di funghi freschi, prosciutto e panna per la mia famiglia. Arrivo verso l’ora di cena e cito. Pardon.
    Per adesso eccone uno: Camilleri.
    Sozi

  55. X Elektra
    non conosco i tuoi gusti letterari.
    diciamo che non si tratta di un libro d`azione, ma e` piuttosto introspettivo. le difficolta` che l`autore citava nell`intervista per la sua pubblicazione sono piuttosto indicative.
    io credo che ne valga la pena, poiche` rappresenta un`evasione.
    evasione in senso tradizionale trattandosi di un libro, ed in senso piu` ampio poiche` si tratta di un libro, lungo intimistico e dai toni dimessi.
    caratteristiche che nella nostra societa` si riscontrano molto raramente.

  56. Grazie mille per i nuovi commenti e un saluto speciale a Francesca Serra (una scrittrice che lavora in Rai: accoppiata interessante!)

    @ Sergio:
    dovessi passare dalle tue parti pretendo di essere invitato a gustare la tua pastasciutta col sugo di funghi freschi, prosciutto e panna 😉

    Tra un po’ il nostro Outworks 110 sarà protagonista (basta leggere il nuovo post. Intervenite, mi raccomando).

  57. Caro Massimo Maugeri, sei stupefacente! Sei riuscito partendo da un premio Nobel 2000, assegnato a GAO XINGJIAN e ricandidato nel 2007 a produrre interventi profondi e generosi dai tuoi amici e colleghi del forum: riesci a stupire e a meravigliare gli animi.La solitudine “il poeta aveva….inclinazione alla solitudine, alla contemplazione, al raccoglimento (De Sanctis).Gao Xingjia, è pervaso dalla solitudine,personale o cercata, che trasforma in creatività, che lo riporta e lo ricongiunge alla società in cui vive; verosimilmente, viene riconosciuto come artista e nasce una seconda volta: non si può scrivere per se stessi, bisogna restituire agli altri, le emozioni, le idee partite da molto lontano, da autori che ci hanno preceduto. Il “divenire” del genere umano che aspira a sublimare la realtà e non disperdere la memoria storica.Volendo sdrammatizzare, la nostra emotività deve essere pronta ad integrare i fatti con l’amore, il dolore personale vissuti e convissuti.(qualsiasi sia l’origine esistenziale o rivoluzionaria)L’intervista della scrittrice Francesca di Mattia al premio Nobel Gao Xingjian è un piccolo affresco di sentimenti, d’emozioni e successione d’immagini nitide, che riescono a farti conoscere e amare con rispetto il rigoroso autore,reso armonioso dalla sua pratica Zen, della “Montagna dell’anima” .Grazie a Barbara Gozzi,Nicola Castellini,Vincenzo Manna,Renzo Montagnoli, per il Vs. post scritto con sincerità: la peculiarità principe di Gao Xingjian: la “SINCERITA’. Certo noi la chiameremmo etica, responsabilità, dello scrittore.Cicerone1, in piena “solitudine” e generosità, è riuscito a sottolineare la grandezza di Gao Xingjian, facendoci meglio comprendere a chi ci stavamo avvicinando: “Il Crampo” racconto, che ci immerge e trasporta in un mare magnum di solitudine e libertà; tutto ciò è inelettubaile, se riusciremo a riconoscere i pericoli e la speranza che ci verranno incontro nella vita di ciascuno di Noi .Grazie anche all’Istituzione del premio Nobel di Svezia, che da sempre crede nella “globalizzazione” e contaminazione,anche, della letteratura mondiale.Certo, caro Massimo, il tuo amico Enrico Gregori ha perfettamente ragione a fare i conti del venduto editoriale nel mercato, non sempre a favore dei premiati col Nobel: 2005 assegnato a Dario Fo, 2006 assegnato a Orhan Pamuk. Una domanda nasce spontanea: è meglio entrare nella storia della letteratura mondiale o diventare come Dan Brown in testa alle classifiche dei best-seller? Grazie Massimo, per l’ospitalità, mi sono dilungato.Luca Gallina

  58. Per Enrico Gregori.
    Guardi che il buon Massimo Maugeri ha già parlato di Dante e della Divina commedia, riscontrando un buon successo mi pare.
    Vediamo se riesco a inserire qua il collegamento internet senza combinare pasticci…
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/07/06/torniamo-a-dante/
    Ecco fatto. L’articolo si chiamava Torniamo a Dante. Perché non ci va anche lei e vi partecipa.
    Stra-stracordialmente 🙂

  59. @ Luca Gallina:
    grazie mille, Luca, per il tuo bel commento e per i complimenti. Sei riuscito a fare – e ottimamente – un efficace sunto del post e degli interventi più salienti-

    @ Rosa Fazzi:
    grazie per il tu assist. Ho già provveduto ad allertare Enrico Gregori in altra sede letteratitudiniana.

  60. Da Enrico Gregori….per Rosa Fazzi: grazie. In effetti avevo già sbirciato quel post e ho anche mandato un commento da qualche parte. Forse lì, forse altrove, forse dal pc al frigorifero, non so. Ma in questo mare di post e argomenti mi perdo e mi confondo come l’ultimo soldato giapponese al quale nessuno disse che la guerra era finita. Sayonara.

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