Dicembre 21, 2024

240 thoughts on “LA SPOSA VERMIGLIA. Incontro con Tea Ranno

  1. Come ho scritto sul post, sono molto felice di coinvolgere, in un nuovo spazio/dibattito di Letteratitudine, la mia cara Tea, in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo “La sposa vermiglia” (Mondadori).

  2. Avremo modo, con la partecipazione della stessa Tea, di approfondire la conoscenza di questo suo nuovo ottimo romanzo e di approfondire le tematiche da esso affrontate.

  3. Si “riforma” un’accoppiata vincente già sperimentata nel novembre 2007…
    Per l’occorrenza ho chiesto, infatti, a Simona Lo Iacono, già coinvolta nel dibattito sul precedente romanzo di Tea – “In una lingua che non so più dire” – del novembre 2007 -, di scrivere un’apposita recensione per questa discussione…
    Per chi volesse sbirciare, ecco il link di quel vecchio post
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/19/in-una-lingua-che-non-so-piu-dire-di-tea-ranno-recensione-di-simona-lo-iacono/

  4. Il libro di Tea è ambientato nella Sicilia del 1926.
    La protagonista è Vincenzina Sparviero (realmente esistita).
    È lei la sposa vermiglia.
    (Per dettagli vi rimando alla scheda del libro e alla recensione di Simona).

  5. 1. Il libro di Tea offre una riflessione profonda sulla natura dell’amore sognato, che prorompe nella realtà con una forza straordinaria, soprattutto quando è amore negato.
    È più la negazione a dare forza all’amore, o è la sua autenticità?

  6. 3. Vincenzina e Filippo Gonzales non si scambiano neanche un bacio, eppure sono una delle figure più forti e struggenti di amanti che la letteratura ci abbia donato.
    Allora, si può essere amanti senza mai unire i corpi? E cos’è essere amanti?

  7. 4. È quanto dice Besson? “Essere amanti è questo: usare le stesse parole per parlare delle medesime cose senza aver mai sentito l’altro usare quelle parole” (Philippe Besson, “Un amico di Marcel Proust”)?

  8. A voi le risposte… (e grazie in anticipo per la partecipazione)

    p.s. in coda di post (andate su), trovate due video: le parole della editor Giulia Ichino e la lettura della prima pagina del romanzo…

  9. @ Simona e Tea
    Qualche settimana fa Simona ha realizzato, a Siracusa, una bella trasposizione del romanzo in… opera dei pupi (bellissima! ero presente anch’io).
    Che cosa è stata quella esperienza per voi?
    Raccontateci, su…

  10. Sono molto interessanti gli argomenti e le domande di questo dibattito. Ed il libro di Tea Ranno sarà probabilmente la mia prossima lettura.
    Mi piace molto la copertina del libro. Davvero bella.
    Ciao a tutti.

  11. Sono molto legata ai libri di Tea.
    Hanno sempre segnato un inizio. Una vita rinnovata.
    Fin dal primo incontro nel 2006 ad un convegno letterario: “Scrivere donna”.
    Lei parlava del suo meraviglioso “Cenere” (e/o). Io presentavo un mio racconto , “I semi delle fave”…
    Mi rincorse mentre scappavo con il mio Nanni monellissimo, che recalcitrava. Ti ho ancora negli occhi, Tea. Sulle scale della camera di commercio, la luce di Siracusa a bagnarci in un Maggio di fuoco. Tu col mio racconto in mano e gli indirizzi di posta elettronica scambiati così, al volo.
    Grazie per essermi corsa dietro, mia Tea. Grazie per non avermi lasciato scappare.

  12. E poi un altro inizio. La mia presenza nel tuo blog, caro Massi, coincide proprio con Tea. Quando uscì il suo bellissimo “In una lingua che non so più dire” (e/o), che aveva come protagonista un magistrato, mi hai proposto (ricordi?): Simo, quale migliore occasione per recensire? Tu sei un magistrato….
    E io, sorpresa da morire: Io??????
    Era il novembre 2007.

  13. La sparviera non è più solo un personaggio per me…è cosa viva, creata.
    L’ho letta, amata, riletta, trasposta in sceneggiatura, pensata e infine …vestita con l’aiuto della compagnia dei pupari Vaccaro-Mauceri.
    Quando finalmente l’ho vista muoversi sul palco, durante le prove al teatrino dei pupi, metà donna e metà uccello, mi sono detta che Tea ci ha donato una delle voci più forti e maestose che la letteratura abbia mai pensato.
    Una voce d’amore. Una voce di dolore.
    Un urlo, feroce, di libertà.

  14. Mia Tea, parlaci di Vincenzina Sparviero.
    Chi è? Che destino alato nasconde il suo nome? Lo sparviero è infatti un falchetto della nostra Sicilia. In certe albe lo si può vedere compiere grandi giri sulla città ancora addormentata. Vola alto, lo sparviero, vola senza mai toccare terra…

  15. Nei prossimi giorni cercherò anche di rispondere alle domande, che in apparenza sembrano semplici. Ma solo in apparenza.

  16. E Ottavio Licata. Lo sposo promesso. Un uomo molto più anziano. Viscido. Lascivo. Che pare la fanfara delle tante bande che , nel periodo dei fasci, facevano chiasso con la loro propaganda.
    Un uomo, però, dalla immensa ricchezza…
    Perchè la famiglia di Vincenzina gli consegna la figlia?

  17. E poi, Ottavio Licata…lo sposo promesso.
    Molto più anziano di Vincenzina, ma ricchissimo, sebbene lascivo.
    Perchè la famiglia Sparviero gli promette in sposa la figlia?

  18. c’ero anche io, alla feltrinelli di catania, lo scorso aprile, quando tea ranno ha presentato con angela bonanno il suo bellissimo libro. letto. divorato…non dico il finale…ma sono senza fiato.signora ranno…da quale spunto è nato il libro? ho letto su la repubblica di palermo che è tratto da una storia vera…ma è davvero così?

  19. Io non ho letto il libro, ma date le parole con cui lo presentate, correrò in libreria.
    Per il momento posso rispondere solo alle domande…chi sono gli amanti.
    Difficile e sublime domanda.
    Urge un caffè. Poi rispondo.
    Bravo, caro Massimo. Un post meraviglioso.

  20. Dottor Maugeri carissimo,
    e chi può perdersi l’appuntamento con una simile domanda?
    Chi sono gli amanti?
    Mi sembra opportuno il consiglio della signora Renata Mangiagli. E reputo che la discussione meriti una colazione importante.
    Quanto alla sig.ra Tea Ranno: enchantè.
    A dopo.
    Il suo affezionato,
    Professor Emilio

  21. Ma frattanto come non dire…
    « Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
    prese costui de la bella persona
    che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

    Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
    mi prese del costui piacer sì forte,
    che, come vedi, ancor non m’abbandona.

    Amor condusse noi ad una morte.
    Caina attende chi a vita ci spense.
    Queste parole da lor ci fuor porte. »
    (Dante Alighieri, Inferno V, 100-108)

  22. Bellissimo tema, intanto mentre prendo tempo sufficiente per riflettere, il titolo: è un titolo intenso “La sposa vermiglia” .Si colora subito dinanzi allo
    sguardo, racconta di passione ma anche di un presagio e di un mistero. Perché mai una sposa notoriamente vestita di bianco dovrebbe essere vermiglia?Basterebbe già questo cara Tea a farmi incuriosire e spingermi alla lettura. Ma c’è la magnifica recensione di Simona, tutta carica di promesse sensibili e di un’amore verso la protagonista della storia che già ce la pone affianco come sorella, come tante donne a cui fu imposto un amore, una vita non scelta.Un buon giorno a tutti, a Massimo e a più tardi alle vostre domande interessanti.Ciao ciao a tutti voi!
    P.s. strane alchimie empatiche di Letteratitudine, in questi giorni sto studiando e seguendo un seminario indovinate su cosa? Il Mito dell’amore impossibile! 😉

  23. ..naturalmenet devo prendere anch e un buon caffè visto che ho battuto un amore con apostrofo di troppo… eh eh e chissà quanto altro…a più tardi!

  24. Caffè preso. Idee riordinate…
    torno agli amanti.
    E allora, da buona discendente di famiglia palermitana, la storia narrata da Tea Ranno mi fa subito venire in mente quella della baronessa di Carini.
    La tratteggio di seguito a beneficio di chi non è siciliano.

  25. Don Cesare Lanza, Barone di Trabia e Conte di Mussomeli è un uomo potente, dal carattere duro e violento, con precedenti penali sulle spalle che, nonostante tutto, continua a tenere dritte senza vergogna. Sua figlia Laura a 14 anni è già bella, bellissima e la sua bellezza nella Sicilia del 1500 può essere molto utile. Laura viene data in sposa a Vincenzo La Grua Talamanca, signore e barone di Carini, discendente di un’antica famiglia Pisana arrivata in Sicilia intorno al 1300. A soli 14 anni diviene la Baronessa di Carini. Sposa di un uomo molto più vecchio di lei, interessato esclusivamente alla caccia e alla cura dei suoi interessi economici.

  26. Il che mi offre modo di riflettere che…
    la parola lega gli amanti, sì. Soprattutto se è amore contrastato, nascosto, proibito.
    L’unico legame resta la parola carpita al volo, mantenuta viva dentro di sè, rimandata all’altro, fatta passare attraverso i muri.
    Credo che gli amanti siano coloro che parlano.
    E che la scrittura sia la terra degli amanti.
    E questo è quanto ha prodotto il caffè delle 8,30.
    A dopo. Aspetto con ansia l’arrivo di Tea Ranno.

  27. Eccomi qui, pronta a rispondere a tutte le domande, le curiosità e i dubbi intorno a Vincenzina Sparviero e alla sua storia di sposa vermiglia.
    Intanto ringrazio i miei carissimi Simona e Massimo che mi permettono di raccontare qui il mio libro (nei limiti del possibile, visto che la trama impone alcuni veti drastici). Una storia che mia madre mi raccontava da piccola, accaduta a Melilli – ma non nei termini in cui la romanzo – nel 1927 e che io ho anticipato al 1926. Una storia d’amore impossibile, sì Francesca, una di quelle che si leggono nei libri ma, purtroppo, spesso anche sui giornali come fatti di cronaca che non vorremmo conoscere.
    Ringrazio gli intervenuti e quanti interverranno. Mi terrò nei pressi per illustrare come meglio potrò la mia Sposa

  28. La baronessa di Carini. Sì, certo, i versi che aprono il libro “Amuri ca mi teni e’ to’ cumanni, unni mi porti, duci amuri unni?” sono appunto quelli della ballata “L’amaro caso della baronessa di Carini”. Quei versi ricorrono spesso nel romanzo, perché è davvero un interrogarsi sull’amore quello che circola nel libro, ma l’amore come spinta a rompere, come bisogno di mettersi un paio d’ali e volare oltre le meschinità. Anche Vincenzina è costretta dalla famiglia a sposare un uomo molto vecchio, fascista, mafioso e ricchissimo. Ma la sua costrizione nasce più da dentro: è accaduto un fatto grave, di cui Vincenzina si sente responsabile, e in virtù di esso, giura per sempre obbedienza al padre e alla madre, ai dettami della famiglia, anche se questo significa per lei morire dentro, essere tormentata da dolori atroci che sono la “rappresentazione psicosomatica”, diciamo così, della libertà castrata, della vita costretta dentro cappi e catene metaforiche che impediscono il respiro. Ma Vincenzina è Sparviera, e lo sparviero, come ha detto Simona, è rapace che domina il cielo, e Vincenzina saprà farsi sparviera, saprà conquistarsi, pure lei, il suo pezzo grande di cielo.

  29. Un romanzo da leggere tutto d’un fiato per le forti emozioni che sa suscitare.Un crescente ricordo di sapori, colori, profumi dei luoghi vissuti e fortemente amati.
    Un amore grandissimo, immenso, che viene soffocato dentro l’anima ma che desidera solamente esplodere a costo di dover lottare contro tutto e tutti per poter vivere finalmente senza doversi nascondere e senza dover nascondere quanto forte sia il bisogno di stare l’uno accanto all’altro.
    Ma qualcosa va storto, qualcosa di inaspettato, di inaudito, un pazzo. tradito nel suo orgoglio, non permette che questo sentimento possa spiccare il volo e così senza timore, senza perplessità lo tronca sul nascere.
    Grazie Tea.

  30. Avevo sbirciato e leggiucchiato qua e là in libreria il romanzo di Tea Ranno. Leggevo là dove a caso si apriva il libro ed ogni volta, nonostante la confusione di una grande libreria, mi accorgevo che quei racconti mi provocavano delle emozioni.
    Ho riflettuto su queste mie reazioni e mi son chiesto e chiedo all’autrice se nello scrivere il suo romanzo provasse anche lei le emozioni che suscita il romanzo, o meglio: E’ la sig.ra Ranno che prova delle emozioni e le fa scrivere alla sua mano di scrittrice, o è la scrittrice che prova emozioni e si affida alle abilità espressive e competenze della sig.ra Ranno?
    Guglielmo

  31. Ho avuto il piacere di leggere il libro di Tea e l’onore di presentarlo. Un romanzo bello, intenso, di alta scrittura. Personaggi “viventi”, nelle pagine, così come nell’anima e nella testa dell’autrice. Anche io mi sono fatta qualche domanda simile a quelle lanciate da Massimo. Può esistere un amore così forte, a distanza, a prima vista? Sì, se è l’amore giovanile, se è l’amore non filtrato dalle convenzioni e dai fantasmi che finiscono per invadere, col tempo, la nostra personalità.
    Sono amori forti e autentici, probabilmente destinati a durare anche parecchio. C’è la passione ad accendere il desiderio. Si possono sottovalutare questi aspetti in un rapporto a due ( e in un racconto d’amore)? secondo me Besson aveva ragione.
    E poi, sì Massimo, credo che la scrittura sia un amante. E’ un po’ amare se stessi Che male c’è?.

  32. . I personaggi tutti straordinari nella loro descrizione, sembra di vederli mentre si muovono sulla scena, figure che emergono, in movimento, e prendono vita come figure reali, sembra quasi di incontrarli scendendo in piazza, su quella piazza: pagine bellissime dove si raccontano sguardi che non sfuggono a Don Alfonso il farmacista, in cui ho trovato la bonarietà di un uomo che sa riconoscere i sentimenti e vorrebbe far qualcosa per far sì che non rimangano inespressi, incapsulati, così come avvenuto in lui. I suoi sentimenti ora son proiettati su Filippo, lo vorrebbe addirittura come figlio per poter giustificare la sua identificazione, cosa che fa il lettore ad ogni passo.

  33. un inchino alla brava tea ranno, con la promessa e l’impegno di leggere questo suo libro, il cui fascino oltrepassa i freddi circuiti cibernetici che raggiungono lo schermo del mio pc.

  34. molto bella la recensione di simona, che aggiunge fascino a fascino.
    come dice max maugeri, siete proprio una bella coppia.
    torno piu’ tardi. o al massimo domani.

  35. Mamma sai il libro parla di una storia vera accaduta qua a ….. in estate voglio leggerlo….queste le parole di un ragazzino di 14anni al ritorno della presentazione del libro “La sposa vermiglia”.Carissima Tea…proprio così spinta dal fervore del mio ragazzino ho voluto leggerlo subito già dalla prima pagina capivo ke nn leggevo ma ero dentro il libro cm una spettatrice messa in un angolo ad osservare le scene svolgersi …..nei luoghi ke solo ki è nata in questo paesino riesce a ricrearsi ….e le parole di Vincenzina ke sogna e vive l’amore in maniera platonica è qualkosa di sublime + forte dell’amore carnale ke ha portato il disgraziato Licata alla pazzia ….un romanzo ke parla tanto di un amore impossibile ke si nutre di sguardi e di pensieri …e quei genitori x cosa? hanno sacrificato la loro figlia ….ma Vincenzina mi kiedo era così cm tu la descrivi ??…a presto…

  36. Un ragazzino, Giuseppe, che si è presentato con il libro in mano perché glielo firmassi, timido, e però anche un poco contento di essere lì. Che lo voglia leggere in estate mi onora, anche se mi hanno detto che questa è più una storia “per femmine”, troppo legata al sentimento, alle emozioni, a quel mondo delle donne che le donne sanno così bene tessersi intorno. Non lo so se è davvero così, alcuni uomini che hanno letto il romanzo mi hanno ringraziato perché sono riuscita a farli entrare nel cuore delle donne, nel loro modo di sentire, di percepire il sentimento. Spero che sia così, in fondo raccontare una storia significa permettere a chi legge di diventare parte del mondo raccontato.
    Il paese è Melilli, sì, nelle sue strade e nelle sue piazze, nei giochi d’acqua delle fontane e nel caldo di certe giornate. E Vincenzina è la protagonista di un sogno. Già. Perché certe volte l’amore non è possibile, troppi divieti, troppi limiti imposti dalle convenzioni e da una società legata ai suoi schemi, alle regole non scritte che sono più forti di un intero corpo di leggi.
    Vincenzina non lo so proprio com’era nella realtà, non sono riuscita a sapere molto di lei, anzi, quasi nulla. Così ho giocato a inventarla, a mettermi nel suo cuore e nella sua persona, a immaginare le sue emozioni, a provare lo schifo verso il vecchio e l’amore immenso verso quel giovanotto che le ha tolto la pace.
    Un amore platonico, fatto di sguardi e di sogni – ad occhi chiusi e ad occhi aperti – ma anche carnale, quando l’immaginazione diventa così forte da farti sentire sopra di te le mani dell’uomo amato.

  37. E’ vero, Elsa, qualcosa va storto, si cerca di rimediare, si cercano altre strade, si lavora – non più con la fantasia – perché la realtà coincida col desiderio… E poi… la storia va dove deve andare, perchè, per quanto l’autore sia tentato di stravolgere il finale, c’è un rigore al quale non ci si può sottrarre.

  38. Ed eccomi qui.
    Caffè di rito, nero, a bevuta lenta. Sguardo sull’Etna. E poi al mare. Oggi cobalto, luminescente come uno specchio.
    E riflessioni.
    Dunque, cara Signora Ranno. E dunque, caro dottor Maugeri.
    Mi dedicherò a questo ottimo libro che scesi stamane a comprare alla Feltrinelli nell’adusato mestier mio: passeggiare.
    Bella copertina. Vermiglia.
    Letto incipit e prima pagina in piedi, lì tra gli scaffali della Feltrinelli, perchè un vero lettore sa quanto piacere si ricavi dal leggere accussì. In libreria e con la paura che qualcuno pensi che il libro, invece di comprarlo, vuoi leggerlo a sbafo.
    Mai fatto. Al più ho valutato l’approdo dell’emozione. La schiena che s’intricava di brividelli.
    Lessi lì, tra altre copertine e …mi piacque, signora Ranno. Mi piacque assai.
    Dal che passo a confermare che la vera amante è la scrittura.
    Gran seduttrice, mio buon Maugeri. Capace di lusingare, accattivare, prendere, tenere il fiato sospeso.
    D’altra parte…l’amore non si regge sulle aspettative? Non scema quando tutto è chiaro, anche il finale?
    Ecco. La scrittura è l’arte di amare all’infinito. L’arte di tenere il rapporto amoroso in perenne incantamento.
    I veri amati della letteratura sono: lo scrittore e il suo lettore.
    E così volto le spalle al vulcano.
    Ho il libro della signora Ranno in mano.
    Proseguo ciò che iniziai in libreria e senza tema di esser tacciato come un abusivo. La mia posizione è regolarizzata: ho acquistato questo bel volume.
    E me lo leggo.
    Abbiatemi vostro
    Professor Emilio

  39. La presentazione di Rosa Maria di Natale, alla Feltrinelli di Catania, è stata bellissima, competente ma soprattutto coinvolgente.
    Sei riuscita a entrare nel cuore del libro, Rosa Maria, a respirarne l’aria, a non lasciarti influenzare da quella che avrebbe potuto essere una storia stucchevole d’inizio Novecento, con amori impossibili, languori, charleston e quant’altro. La storia di Vincenzina è più profonda, è il racconto di ribellioni autoimpedite, di una vitalità repressa con la volontà, di una bisogno di vita che troppo spesso si specchia in un “destino” di morte. Vincenzina è la ragazza che nessuno ha voluto perché non può fare figli “e una femmina che non fa figli, che femmina è?”. E’ ragazza che si porta nel cuore il peso di una responsabilità grandissima, che ha promesso l’ubbidienza ma lotta ogni giorno, sulla sua pelle, contro quella ubbidienza. L’amore e il sogno diventano le fughe, ma anche il luogo in cui sconfinare per sottrarsi da una realtà amarissima, che promette ciò che non è gradito, anche se si tratta di immensa ricchezza. Non ci sono solo i soldi, nella vita, e neppure le case, i terreni, i gioielli, le macchine. Non c’è solo la materialità. Lei s’innamora di una inconsistenza, di un ragazzo-sogno, di un essere di cui sa pochissimo, che non le promette niente, solo la guarda. Ma ci può essere sentimento in uno sguardo? Certo che sì. E non solo all’inzio del secolo scorso. Ci si innamora per un battito di ciglia, poi, adesso, si scantona in una plausibile carnalità, ma è il cuore che sbanda a dare la misura di quanto il sentimento, l’emozione, possano essere dirompenti.
    In quanto alla scrittura, sì, è un amante, di quelli più pericolosi e indomabili, di quelli che ti tengono sul filo, che non ti si danno mai fino in fondo, perché scrivere, spesso, è penare, ma scrivere, talvolta, ti porta in Paradiso.

  40. Caro Guglielmo, mi chiedi: è la signora Ranno che prova le emozioni e le fa scrivere dalla scrittrice o, viceversa, la scrittrice che influenza con la sua arte la signora Ranno? Bah. Quello che mi sento di dire è che non c’è cesura netta tra la persona e la scrittrice. La signora Ranno è Tea che scrive ma anche Mattiuzza che guarda, è Vincenzina che sogna, è don Alfonso che segue quei due e vorrebbe scardinare l’armatura di regole in cui si sono trincerati, è persino Licata, il vecchi pazzo che, come tutti i personaggi, non è solo cattivo, nero nero: anche lui – sebbene “pazzo” – vuole bene a Vincenzina, è attratto da lei, dalla sua innocenza. Le vuole bene a modo suo, si prepara, a chiederle il permesso di toccarla…
    Sai, la scrittura ha dalla sua una potente magaria: i personaggi diventano vivi e tu che li crei sei costretto a ubbidire; acquistano autonomia, parola, libertà di scelta, ti confondono, ti guidano, ti spingono a interrogarti, ti mettono in discussioni. E non è retorica, è davvero così. Dunque la scrittrice, i personaggi, Tea, la signora Ranno, diventano parte di un unicum, la storia che prende vita in virtù di un foglio e di una penna. Il resto è affidato al lettore, che interagisce, mischia i suoi bisogni, le sue visioni a quelle del romanzo e… completa l’opera.

  41. Caro professor Emilio, magnifico piacere quello di leggere in piedi accanto allo scaffale della libreria, sbirciando di qua e di là per scorgere l’eventuale qualcuno che guardi brutto, di traverso, che pensi a una lettura a sbafo. Ma i libri, è così che si scelgono: si toccano, si annusano, se ne guarda l’incipit, si dà ascolto ai brividi – se ci sono – che corrono giù per la schiena, e poi, se convincono, li si porta a casa. E io sono onorata di essere venuta con lei, nelle vesti di Vincenzina Sparviero e di un nugolo di signori che mettono in scena la sua storia. E se poi, a lettura ultimata, vorrà condividere le sue impressioni con me, ne sarò felice.
    Dunque l’augurio di una buona lettura.
    Un’ultima cosa: ha ragione, l’amore si regge sulle aspettative, quanto più sono alte tanto più sarà magnifico il piacere. Anche solo del guardarsi.

  42. Buongiorno. Passo solo per un saluto. Ho paura di scrivere stupidaggini, per cui mi autocensuro. Tuttavia desideravo ringraziare Tea Ranno per questo suo romanzo che ho divorato nei giorni scorsi e che mi ha fatto molto emozionare.
    Andreina da Brescia.

  43. Cara Tea, le domande, davanti a un romanzo eccellente come questo si affollano, ma due vorrei fartele:
    1) ho sempre dubitato che ci fosse una scrittura al femminile, ma davanti a una tale profondità di sentimenti e di sensibilità, a una capacità di scavare nell’interno i personaggi mi chiedo: è questa la scrittura al femminile?
    2) la struttura è davvero un compendio di regole e antiregole della scrittura, l’uso dei tempi verbali ne è un mirabile esempio, tutto studiato a tavolino, oppure, come spesso accade, semplicemente venuto dal “cuore”?

  44. Grazie Andreina. Bello sapere che la Sparviera è volata fino a Brescia e lì ha molto emozionato.

  45. Caro Nicola, certo che non sono domande facili. Provo a risponderti.
    1) la scrittura al femminile. Non so, mi è sempre piaciuto pensare che la scrittura prescinda dal maschile e dal femminile e s’imponga per quello che è: un modo per trasmettere quel “film” che ogni autore ha dentro la testa quando scrive un romanzo. Tuttavia, ciò che affermi riguardo alla particolare attenzione alle emozioni mi trova concorde con te. E’ vero che noi donne possediamo la tendenza a scandagliare, ad andare nel profondo, a cercare il senso e il significato di ciò che accade, ma di cercarlo, soprattutto, a livello emotivo. E’ il mondo dell’anima, dell’inconscio che si manifesta attraverso il sogno, della intuizione che permette di vedere oltre l’apparenza.
    2) Per ciò che invece riguarda la struttura del romanzo, non è stata studiata a tavolino, o meglio: è nata così, con quell’irruzione del futuro che ha stupito prima di tutto me stessa facendomi capire, davvero, di essere – in quel contesto – una narratrice onnisciente che domina i fatti e il tempo, che può permettersi il passato, il futuro e il presente. Dunque la struttura è stata sollecitata dalla narrazione. Solo che poi, condurre il gioco fino alla fine, quello sì che è stato un lavoro di precisione, di concordanza, di consecutio temporum, un procedere per analessi e prolessi, lo sforzo di coerenza che si imponeva come supremo, pena la burla.
    Ciò che però ha guidato la mano, che ha dato linfa alla tecnica, è stato il cuore.

  46. Grazie a lei. Davvero. Adesso il romanzo lo sta leggendo mio marito ( lettore attento e severo, ma che già mi ha anticipato impressioni positive ). Ed a fine mese lo regalerò ad una mia cara amica, perché ci sono alcune parti della trama che sfiorano la sua esistenza. Ancora grazie.

  47. Ho già letto il libro di Tea, mi ha commosso, mi ha divertito e mi ha anche angosciata. Offro uno spunto di riflessione:
    ma perchè le donne soffrono sempre e sono oggetto, dalla notte dei tempi ed ancora oggi, delle violenze fisiche e psicologiche dei maschi spesso a loro vicini? I loro stessi parenti. Perchè Vincenzina, ha avuto contro o meglio non è stata compresa nemmeno da suo fratello il Sacerdote? E l’altro fratello che l’ha abbandonata a se stessa? Il padre che l’ha promessa a chi voleva lui? E perchè la mamma non l’ha protetta?
    Io credo che purtroppo queste realtà siano vive ancora oggi, anche nella nostra società “moderna”.
    Comunque, cara Tea, grazie di averci fatto questo regalo. La Sposa Vermiglia mi è rimasta nel cuore, è sempre con me. Ciao Antonella

  48. Leggo adesso il post di Antonella, che ha scritto in contemporanea a me. Lo condivido in pieno. Da questo punto di vista, ahimè, La sposa vermiglia presenta forti componenti di attualità. Forse dipende anche da ciò la forte emozione che trasmette. Un libro ambientato in un tempo apparentemente lontano, ma che ci sta ancora addosso.

  49. Eppure il femminile si legge,riga per riga,in tutto il romanzo.
    A tratti abbiamo avuto la sensazione di trovarci di fronte ad un affresco della femminilità tutta attraverso tutte le donne che prendono vita nella Sposa.
    Quasi una presentazione “corale” di tutte le sfumature che la donna può essere.Vincenzina sognatrice e innamorata ma non per questo meno realista; Gioconda,suo alter ego. E le loro madri,coscienti del peso della tragedia e dell’amore negato.
    Per noi la Sposa è stata anche un’analisi profonda e accurata dell’universo femminile,e di questo siamo grati alla scrittrice.
    Signora Ranno,buonasera! E’ sempre un piacere incontrarla,qui o altrove! 😉

  50. Buonasera, io l’ho divorato… finito in un batter d’occhio, sono stata travolta dalle emozioni, immersa profondamente, ho vissuto attimo per attimo ero anche io in simbiosi assoluta con la sparviera. Anche io ho ringraziato Tea più volte, nel suo libro c’è una piccola parte di ognuno di noi. Grazie grazie ancora grazie!

  51. Ma quanti “io” ho scritto??? …. c’è un motivo per cui c’è chi scrive i libri e chi si limita a leggerli…ahahhahahh scusatemi.!

  52. Ah…che lettura godibile, fantasiosa, colma, ricca!
    Mi sta piacendo moltissimo, cara Sig.ra Ranno, lo sa? Son debitore al Maugeri e alla dott.ssa Lo Iacono che la interpretò a dovere!
    Sarei stato parimenti ben lieto di assistere alla rappresentazione che si tenne presso il teatro dei pupi.
    Non mi capacito di come sia stata possibile siffatta trasposizione.
    Mi vuol dire, cara signora Ranno?
    Com’è stato che Vincenza Sparviero si trasformò in paladino di Francia?
    Son curioso assai e vorrei sapere.
    Ci sono foto dell’inusitata rappresentazione?
    I miei omaggi
    Professor Emilio

  53. Anche io c’ero al teatrino dei pupi! Gran ressa, però, perchè la folla accorsa era tantissima!
    E allora, caro professor Emilio. Non è che Vincenzina Sparviero si sia trasformata in Orlando o Rinaldo!!!!
    Ma nooooooo!!!!
    La dott.ssa Lo Iacono l’ha fatta metà donna e metà uccello (alludendo, appunto, alla metafora dello sparviero e del desiderio di libertà!).
    E poi ha ripreso molti personaggi in chiave ironica o malinconica…
    E ad accompagnarla tra presentazione e parole c’erano musiche bellissime, un charleston se l’atmosfera era allegra, un meraviglioso adattamento delle musiche di “Nuovo cinema paradiso” se invece la scena era nostalgica.
    Per consegnarci infine un ballo finale tra Vincenzina e il suo Filippo Gonzales indimenticabile….. lei metà donna e metà uccello, lui fatto di niente, con la sola tuba e il vestito a volteggiare con la sua amata.
    Una metafora del sogno che a volte è l’amore…ma anche il preludio dell’unico modo in cui Vincenzina e Filippo potranno amarsi….
    Ma non glielo dico perchè sta leggendo il romanzo e non voglio sciuparle il finale…..
    Ti saluto caro Massimo. E’ stato bello rivederti in Ortigia, alla presentazione organizzata da Simona.

  54. cara Tea, il tuo libro è un viaggio dell’anima. I giorni della lettura sono finiti troppo velocemente…..quando entro in un romanzo è come se vivessi con i personaggi. Vincenzina è come se mi avesse accompagnato in quei gironi ad esplorare un mondo interiore…che non era solo il suo e quello del suo tempo, è il mondo di chi ama e in quell’amore il tempo non ha più limiti e contorni.
    scusa se non rispondo a nessuna domanda….ho letto il libro assaporando la forza di ogni parola, ho pianto per tutto ciò che ho sentito come negazione della gioia, per quel fare dell’uomo che si oppone stupidamente a un disegno più grande….e finisce inevitabilmente con il Perdersi…
    devo andare….
    a presto

  55. Che poi la storia di Vincenzina è la storia di tutti quelli che hanno amato ma di nascosto,di quelli che il proprio innamorato l’hanno guardato da lontano,da dietro una finestra o con la coda dell’occhio, passando in motorino o fingendo di prendere qualcosa al bar. Di quelli che hanno sognato e hanno fantasticato di una realtà inafferrabile.
    Eppure, pur trasudando fantasia,incubi e immaginazione, questo romanzo appare verissimo. Filippo Gonzales,nelle ultime pagine,è il personaggio che rivela tutta questa verità,che rivela questo amore; diventa testimone dei fatti e della storia.
    Intensissimo.
    Grazie.

  56. Caro Massi,
    chiedi se ancora oggi esistano matrimoni di interesse.
    La risposta è sì. Vi è un incremento di matrimoni per ottenere la cittadinanza italiana . Si tratta di unioni contratte a questo solo scopo e che hanno indotto il legislatore ad intervenire.

  57. Il cd.” pacchetto sicurezza” (l. 94 del 2009) e’ intervenuto sulla disciplina della cittadinanza italiana a seguito di matrimonio (art. 5 della legge n. 91 del 1992), modificandone i requisiti in senso decisamente piu’ restrittivo proprio per evitare o limitare gli abusi.
    La cittadinanza italiana puo’ ora essere richiesta se lo straniero risiede legalmente in Italia da due anni dopo il matrimonio (un anno in presenza di figli) – anziche’ sei mesi come era previsto nella precedente normativa; al momento dell’adozione del decreto di cittadinanza non deve essere intervenuta separazione legale dei coniugi, o scioglimento/annullamento/cessazione degli effetti civili del matrimonio – mentre nella formulazione precedente non era indicato il “momento” del controllo, potendosi dunque presupporre che tale momento fosse quello della presentazione dell’istanza

  58. Sebbene quindi per scopi diversi, il matrimonio di interesse esiste ancora. Così come esistono le imposizioni familiari specie in comunità islamiche presenti in Italia, dove maturano oppressioni e abusi.
    Il tribunale registra di continuo fughe dai tetti coniugali e filiali, violenze, minacce.
    La famiglia italiana sembra lievemente più emancipata. Ma i casi di violenza psicologica e fisica non sono affatto rari.
    Tea ci ha narrato una storia familiare attuale e viva, facendoci toccare con mano che l’imposizione attraverso la forza, l’obbedienza al dovere (vero o presunto) ci appartengono , purtroppo.
    Tanta emozione che nasce dalla lettura di questo libro è data proprio dal fatto che il crescendo di emozioni, silenzi, desideri troppo a lungo soffocati…è nostro, ancora oggi nostro.

  59. Mia Tea, parlaci anche dei personaggi “secondari”…compartecipi di quel coro che è il mondo siciliano di Vincenzina. Il farmacista, la cugina Gioconda, la madre di Licata. E i paesaggi maestosi, i giardini d’aranci, i gelsomini dagli odori pastosi e dolcissimi. Parlaci della nostra Sicilia, mia Tea.
    Una buona notte, amici. Buona notte, sparviera.

  60. c’ero anch’io a Siracusa quando si è rappresentanta “la sposa vermiglia” al teatro dei pupi a Siracusa grazie all’organizzazione di Simona. Che bella esperienza, che meravigliosa occasione per vedere alcuni brani del romanzo sceneggiati e “recitati” dai pupi. Il momento più bello, in cui ridevamo tutti fino alle lacrime ce l’ha offferto la scena in cui era protagonista la “suocera” di Vincenzina, anziana e un po’ demente che si fa ripetere tante volte le stesse risposte…e i vestiti…dovevate vedere l’abito di Vincenzina: un abito vermiglio con un mantello il cuo cappuccio è una testa d’uccello…la sparviera. Bello, bellissimo tutto.

  61. L’amore è l’unico sentimento che non conosce convenzioni sociali, di luogo e anagrafiche. Non si inquadra, nel momento in cui si rinchiude in una definizione si sminuisce. Le parole uccidono pensieri, diceva un grande filosofo russo..Mi è venuto in mente questo quando leggevo della Sparviera che teneva tutto per se. Lo conosciamo per quelli che sono gli effetti, non attraverso una definizione. E’ una chiave biologica che ognuno porta, scritto nel DNA. E’ l’ambiente a trascriverlo. Tea è stata bravissima a trascrivere e sequenziare gli effetti, colorandoli con la sicilitudine del tempo, in una cornice di profumi e contesto che solo la Sicilia possiede. Lei il puparo che ha mosso il filo delle emozioni.

  62. La sposa vermiglia è un romanzo appassionante. Racconta la storia di Vincenzina Sparviero, giovane di nobile famiglia siciliana, destinata alla monacazione. Vincenzina non vuole farsi monaca e spera che un miracolo la salvi da quel destino di alienazione. La morte della sorella cambia la sua sorte. Non più il convento, ma il matrimonio. Viene promessa infatti al vecchio e ricco Ottavio Licata, che si sente attratto dalla sua giovane età e dalla sua purezza e le promette mari e monti per conquistarla. Vincenzina ha un profondo senso di colpa per la morte della sorella ed è pronta ad accettare quel matrimonio pur di espiare. Il destino però rimescola le carte e le fa incontrare Filippo Gonzales, di cui si innamora. Si tratta di un amore che lei vive nel suo cuore e nei suoi sogni, ma è un amore che alla fine le darà la forza di ribellarsi.
    Belle le atmosfere create da Tea Ranno e le sospensioni emotive, che danno corpo a questo romanzo in cui spiccano la debolezza- forza di Vincenzina e la forza- debolezza di Ottavio Licata. Sfumata in atmosfere di sogno la figura di Filippo Gonzales, il giovane dagli occhi irresistibili. Questo romanzo è l’ennesima prova della forza narrativa di Tea Ranno e della sua sensibilità artistica. Affascinante anche a drammatizzazione che ne ha fatto Simona Lo Iacono al Teatro dei pupi di Siracusa, in un pomeriggio d’aprile che ci ha visti in molti ad applaudire questo modo nuovo e accattivante di presentare un romanzo. I miei complimenti vanno anche ai pupari che sono stati bravissimi. Bellissimi i costumi e la deliziosa bambolina che, rappresentava la sposa vermiglia, data in dono a Tea Ranno.
    Appassionante la conversazione che si è sviluppata tra Tea e Simona su questo romanzo, che ha ci ha dato la possibilità di ascoltare due scrittrici di grande talento e di grande spessore culturale.

    Un caro saluto
    Maria Rita Pennisi

    Un bacio anche da Orazio

  63. Eè vero Livia, l’amore non può in alcun modo essere catalogato, nè misurato. Non esiste il “tanto” o il “poco” amore…l’amore c’è o non c’è. E nel libro di Tea stupisce l’amore di Vincenzina, così profondo così tenace, nonostante l’assoluta assenza di contatti con l’amato. Una o due parole in tutto e qualche ricordo d’infanzia. Un amico con cui si commentava il romanzo mi chiedeva: ma si può amare così senza “toccare” l’oggetto della propria passione? E’ ancora possibile, oggi, che possa accadere una cosa simile? E a quella domanda ho risposto con un sì istintivo: sì, si può amare un uomo sognandolo, si può vivere un amore sognato. Ma l’amore sognato e l’amore reale, per rispondere ad una delle domande di Simona, non si incontrano quasi mai. Vivono a due livelli diversi, poggiano su piani non comunicanti. Quando succede che si incontrano è un miracolo, o diventa letteratura…

  64. Hai ragione, Adriana, l’amore non può essere catalogato né misurato, non esiste il “tanto” o “poco”: l’amore c’è o non c’è. E quando c’è, ed è impedito, pericolosamente si espande, diventa forza terribile capace di travolgere tutto, di mettere in gioco tutto: la reputazione, l’onore, la rispettabilità, le convenzioni. Solo che poi intervengono altre forze, ugualmente devastanti: l’orgoglio vilipeso, il bisogno di imporsi come padrone (mi riferisco a Ottavio Licata), la persona considerata come “roba”, cioè oggetto di possesso. E tutta la volontà di ribellione deve fare i conti con la potenza di quelle forze che molto spesso virano verso la pazzia, quella irrazionalità, cioè, che spariglia le carte e sfocia nella tragedia.
    Anche Livia ha ragione quando dice che l’amore è sentimento che non conosce convenzioni, che non si inquadra, non si comanda. La Sparviera tiene tutto per sé, non lascia intravedere il tormento, affida a un taccuino, prima in forma criptica e poi sempre più esplicita, l’impossibilità del suo sentire. E’ il taccuino il vero compagno, l’unico luogo in cui le parole si depositano per aiutare a sopportare la giornata, per permettere al tempo di trascorrere senza stagnare nell’angoscia.

  65. Cara Antonella, il libro ti ha dato angoscia, lo so; pure io quando scrivevo stavo male: avrei voluto cambiare tutto, scivolare nella facilità. Purtroppo la realtà era diversa (sia quella a cui ho attinto, sia quella del romanzo) e non potevo scegliere un happy end quando la vita – e lo leggiamo spesso nei giornali – intoppa proprio lì, sulla persona delle donne, sul loro destino, spesso, di vittime che, quando si ribellano, vanno incontro a una pena troppo grande.
    La storia della Sparviera, come ha sottolineato Andreina, è una storia attuale, che, pur essendo ambientata in un tempo lontano, ci sta addosso, con il suo carico di violenza, con la grettezza di personaggi che credono di essere forti solo perché possono piegare con l’arbitrio di un potere d’accatto i più deboli.
    Ed è bello quello che ha scritto Luigi: “(…) ho pianto per tutto ciò che ho sentito come negazione della gioia, per quel fare dell’uomo che si oppone stupidamente a un destino più grande e finisce inevitabilmente con il perdersi…”. Negazione della gioia, sì, in vista di interessi, di una materialità che non può soddisfare il cuore.

  66. Caro professor Emilio, sono contenta che la lettura sia di suo gradimento, che sia godibile, fantasiosa e ricca. A Catania, nel suo intervento di presentazione della mia Sposa, Angela Bonanno ha detto che il romanzo è come il pane, buono, che sazia, anzi, più che semplice pane: “E’ pani cunzatu” ha detto. E mi è sembrata una definizione così bella. “Pani cunzatu”,che sazia e dà piacere al palato coi suoi profumi, la fragranza dell’olio, e dell’origano. Pane nostro, pane di casa, denso e spugnoso, che messo nel forno a scaldare manda odori di Paradiso.

  67. La rappresentazione al teatro dell’opera dei pupi è stata magnifica idea di Simona Lo Iacono. Come ha fatto? Ha tracciato i caratteri di alcuni personaggi e li ha messi in scena, così Filippo, l’evanescente, il sogno, è diventato un mantello e un cilindro, e per il resto fatto d’aria, e Vincenzina s’è fatta vera sparviera, metà donna e metà uccello, figura d’aria anche lei che spicca il volo.
    Simona mi chiede di parlare anche dei personaggi di contorno, Gioconda, per esempio. Ebbene, Gioconda è l’alter ego di Vincenzina, l’altra faccia della medaglia, tanto Vincenzina è sottile, alta, slanciata, bruna di capelli e d’occhi, tanto Gioconda è normanna, dunque bionda, colma di seno, occhi azzurri, “tutta femmina”. Sono diverse anche come temperamento: forzatamente ubbidiente Vincenzina, ribelle Gioconda, acquiescente l’una, dirompente l’altra. Figure che si completano, che rappresentano due diversi aspetti femminili, entrambi veri, potenti.
    Altra figura amatissima è quella del farmacista, don Alfonso. Un uomo saggio, che sa e giudica, che vede, che non si lascia sfuggire nulla, che si oppone a Licata e gli tiene testa, che cerca il senso della vita, che scruta nei cuori e invita alla ribellione, alla sfida. E’ l’uomo colto che non s’è imbarbarito, che non s’è lasciato illudere dal fascismo, che ha conservato la limpidezza del cuore, ma anche il disincanto, quella estrema lucidità che viene dall’aver sofferto, dall’aver partecipato alla guerra, dall’aver condiviso il dolore.

  68. Un grazie a Maria Rita e a Orazio per la bella sintesi della trama e per il racconto della rappresentazione al teatro dellOpera dei Pupi. E’ vero, Simona ha saputo cogliere le sfumature più significative del romanzo e dare vita a personaggi che ne hanno espresso l’essenza. Bellissimo il “pupo” – una Vincenzina Sparviero metà donna e metà uccello – che Simona mi ha regalto e che è stato realizzato dai pupari della compagnia Vaccaro-Mauceri.

  69. Cara Tea, sono davvero molto felice di ritrovarti qui e di leggere tutti questi riscontri positivi per “La sposa vermiglia”.
    E ovviamente grazie, cara Tea, per la tua generosa partecipazione.

  70. In quanto alla esplorazione dell’universo femminile, messo così bene in luce da Carmen e Concetta della libreria Ubik di Parma (dove, il 29 aprile, ho presentato per la prima volta la mia Sparviera), devo convenire che è così: mi sono immersa nel mondo delle donne, la casa, la cucina, i vestiti, gli sguardi, le passioni, il bene profondo tra una balia e la sua bimba, i capricci della suocera malata che dimentica ciò che le viene detto, i timori stupidi di una madre che non riesce a ribellarsi al marito, ma anche la tenerezza, la nostalgia, il calore di una stanza accogliente, il sapore di un “biancomangiare” servito su foglie di limone. E poi i morti, che tornano a interagire coi vivi, sempre donne: Mattiuzza e la sorella del prete ucciso. E poi donna Iolanda Cutò, la cuntatrice che incarna l’anima sicula della voce narrante…

  71. Grazie a te, Massimo, per aver messo a disposizione della mia Sposa questo tuo spazio magnifico d’incontro. E’ bello stare qui, ascoltare le voci di chi ha letto il libro e ne ha ricevuto qualcosa in termini di emozioni e di ricchezza interiore.

  72. Saluti e ringraziamenti anche per: Vale, terzo anno di lettere moderne, Renata Mangiagli, il prof. Emilio, Giacomo Tessani, Francesca Giulia, Elsa, Guglielmo, Rosa Maria, Donatella…

  73. Cara Tea, vorrei chiederti di donarci qualche brano a tua scelta tratto da “La sposa vermiglia”… per far assaggiare il romanzo a chi non ha ancora avuto modo di leggerlo.
    Ti andrebbe?

  74. Altrettanto importanti, le considerazioni volte a evidenziare come il tema della violenza alle donne (in qualunque sua forma) – una delle problematiche affrontate nel romanzo di Tea – sia purtroppo attualissimo.
    Ne hanno fatto cenno, tra le altre, Antonella e Andreina.

  75. Una piccola “comunicazione di servizio”…
    Qualcuno dei vostri commenti, purtroppo, è rimasto vittima del sistema antispam del blog.
    È capitato, per esempio, a Maria Rita e alla stessa Tea (e a qualcun altro di voi).
    Sono riuscito a recuperare quasi tutti i commenti. Qualcun altro purtroppo è andato perduto (ma, credetemi, il sistema antispam è sovraccarico: arrivano migliaia di messaggi pubblicitari di ogni tipo… spesse volte vera e propria immondizia rivoltante).
    Scusatemi per il disagio, dunque…

  76. Bene, ecco qui, allora, da pag. 152:
    “Da quando si sono incontrati a Bidduzza, anche lui pare mangiato dallo stesso bisogno: di vederla, di parlarle.
    E passa. Il cappello in testa, il passo non più tranquillo, una specie di febbre negli occhi, un sostare alla farmacia di don Torrisi – che è proprio di fronte a palazzo Sparviero, dall’altra parte della piazza -, un sostare con le spalle alla vetrina e gli occhi che puntano la figura seduta dietro la finestra. E subito un divagare, un impedire che chiunque s’accorga, che una qualunque voce cominci a mormorare che quei due da una punta all’altra della piazza si talìunu, perché già il taliarsi, il guardarsi, può compromettere una ragazza che – soprattutto se di buona famiglia, e a maggior ragione se promessa a qualcuno – non dovrebbe neppure affacciarsi. Ma la figlia dello Sparviero chi vuoi che la guardi? E’ malata, è promessa al Pazzo, mischina, se prende un poco d’aria che male c’è?
    E nessuno sembra far caso al figlio dei Gonzales, che troppo spesso si ferma davanti alla farmacia; nessuno fa caso alla ragazza col telaio. Che aspetta, sempre aspetta di vederlo, di scoprire se oggi è più allegro di ieri, se sulla bocca, per caso, gli spunta un sorriso”.

    Buona notte. E ancora grazie.

  77. “…raccontare una storia significa permettere a chi legge di diventare parte del mondo raccontato.”
    Cosi Tea Ranno scrive in uno dei post precedenti, ed è proprio quello che è accaduto a me, lettrice appassionata de “La sposa vermiglia”. Facevo fatica tutte le volte che chiudevo il libro (terminato proprio ieri notte a tarda ora… arrivata alle ultime 50 pagine, non si può chiudere il libro senza averlo terminato!), facevo fatica, dicevo, a ritornare alla realtà, a lasciare quei luoghi e quelle persone tra le quali la Sparviera mi aveva condotta. E questo è dono raro!
    Leggendo il suo romanzo, non è stato difficile per me comprendere -e condividere- la stima e l’affetto che mio Nonno Michele, melillese innamorato della sua Melilli, nutre per Tea. Tea ha fatto rivivere luoghi e persone (che anche io ho riconosciuto per averli “vissuti” attraverso i racconti di mio Nonno), perpetuandone così la memoria sine die… e lo ha fatto con la sua capacità di scrivere che è musica e ti porta via con sé, ti fa volare alto dove solo le emozioni possono portarti.
    Grazie, cara Tea.

  78. un brano molto bello. dolce e struggente. parole in dialetto mischiate con equilibrio nella lingua italiana. sarebbe bello fermare il tempo della storia, entare tra le righe e urlare ai due personaggi ‘fuggite, fuggite finche’ siete in tempo’. ma non si può. non ci rimane che accompagnarli fino all’ultima riga.
    brava, tea.

  79. Questi sono temi a me poco affini dato che scrivo noir surreali, comunque proverò a dire la mia. L’amore sognato non esiste, è solo un tentativo della mente umana di imbrigliare la realtà che è molto più prosaica. La scrittura è il luogo dove possono convergere mondi paralleli, quindi tutto è possibile. L’unione dei corpi è solo l’atto finale e non sempre necessario di queste convergenze. Il matrimonio di interesse esiste perché ci sono uomini e donne pronti a prostituirsi, anziché farlo con tutti lo fanno con una sola persona, ma la sostanza non cambia.

  80. Sa Valeria, sono stati i racconti delle nonne, delle zie, a formare quel substrato narrativo che poi ha dato vita al romanzo. Ricostruire una Melilli d’inzio secolo non era facile, però avevo continuamente nelle orecchie i “cunti”, e davanti agli occhi i visi che quietamente – o in maniera terrorizzante – mimavano le emozioni via via suscitate dal racconto. E poi c’era nonno Ciccio, l’amico di suo nonno Michele, il Principe delle mie fantasie di bambina: bello, signorile, distinto, che mi parlava delle terre e dei cavalli, delle cacciate, del mondo, ormai perduto, di quando era un ragazzo. Quando parlo con suo nonno, mi sembra di risentire il mio, di riavere davanti agli occhi la meraviglia di luoghi che nella realtà, forse, non sono mai esistiti, evocati dalla nostalgia e rivestiti di quel’aura di meraviglia che solo i luoghi dell’anima possiedono. Perciò suo nonno mi è caro, perciò è naturale che vada a trovarlo ogni volta che vengo in Sicilia. Lui parla di quel tempo carissimo che abbiamo in comune, e m’incanta.
    Sono contenta di essere riuscita a farla entrare nel mondo della Sparviera, che è anche quello di don Michele Santacroce, entrato nella storia coi suoi occhi azzurrissimi e il suo portamento da gran signore.

  81. Fuggite, sì, fuggite finché siete in tempo. E’ questo che io per prima avrei voluto dire a quei personaggi così cari. Ma non era possibile: a quasi cent’anni da quei fatti, la realtà si è cristallizzata intorno alla tragedia, ed era la tragedia che io volevo raccontare, perché se ne conservasse memoria.
    Grazie, Giacomo.

  82. Troppo duro, mi sembra, il suo giudizio, Maria Antonietta. Penso che la prostituzione – come lei intende lo svendersi del corpo anche nei matrimoni d’interesse – esiste solo quando c’è una precisa volontà di trarre dal matrimonio un tornaconto. E’ questo mi pare anche un diritto di chi compie scelte tornacontiste. Nessun giudizio, né pregiudizio, al riguardo. Ma non cancelli il sogno. Credo che anche le prostitute, i prostituti, sognino: è l’unico modo per sopportare la vita, certe volte.

  83. Caro Massimo, argomento interessantissimo.
    E complimenti a Tea Ranno che mette il dito nell’evento più forte che a un individuo sia dato sperimentare: l’innamoramento.
    Come psicoterapeuta e seguace della Gestalt mi sia permesso dire che è uno dei fenomeni più indagati e misteriosi della letteratura, della psicologia e dell’arte.

  84. E dunque. La dottoressa Lo Iacono chiede cos’è, in realtà essere amanti.
    Domanda stimolante perchè presuppone appunto il movimento dell’amore scisso da ciò che comunemente si definisce “amante”. E cioè colui che si congiunge fisicamente all’altro. Tant’è che nel caso di mancata coniunctio carnale si preferisce parlare di amore platonico, di amore spirituale, di unione d’anima.
    In realtà amans è colui che opera un rivolgimento del proprio destino attraverso l’amore.

  85. A mio avviso, e lo dico anche da terapeuta, resta validissima l’affermazione di Francesco Alberoni sull’innamoramento ( e quindi sul chi debba essere considerato un amante).
    Per Alberoni l’innamoramento è un processo che può essere paragonato a quello della conversione religiosa o politica. “Noi ci innamoriamo quando siamo pronti a mutare, quando i tentativi di salvare le nostre relazioni amorose precedenti sono falliti”. In quel preciso momento “la precedente relazione va in pezzi e noi ricostruiamo il nostro mondo e il nostro futuro facendo perno sulla persona amata”. Così l’individuo diventa di nuovo capace di fondersi con un’altra persona, per creare una nuova collettività. “Di qui la celebre definizione: l’innamoramento è lo stato nascente di un movimento collettivo formato da due sole persone”.

  86. E dunque.
    I veri amanti sono dei rivoluzionari.
    Può trattarsi di una rivoluzione silenziosa, inimmaginabile ai più. Ma chi ama sbaraglia gli equilibri precedenti, sia che si unisca sia che non si unisca fisicamente all’altro.

  87. Gli amanati sono coloro che si appropriano di nuovo di se stessi, perchè reclamando l’altro reclamano il diritto alla propria libertà, e perchè scegliendo pongono le fondamenta di una vita nuova, e dunque di un nuovo modo di essere.

  88. Credo quindi che il libro di Tea Ranno sia in tal senso esemplificativo.
    L’atto di amare è giustamente accostato a una ribellione.
    Ma tale sarebbe stato anche senza l’imposizione paterna, anche senza un ostacolo effettivo.
    L’ostacolo fa semplicemente prorompere la realtà interiore riversandola all’esterno, ma già l’allestimento di un sogno dentro se stessi è un segnale inequivocabile di libertà.
    Ecco perchè concordo con Tea Ranno. Mai uccidere il sogno.
    E non perchè esso appartenga all’astratto regno della fantasia.
    Ma perchè ci identifica, perchè ci dice chi siamo, perchè ci suggerisce la strada da imboccare e la persona da amare.
    Quando sbagliamo (anche la persona da amare) è perchè non abbiamo dato giusta interpretazione proprio ai nostri sogni.
    Bella discussione. Vi seguo.

  89. Belle queste figure di donne che covano ribellioni o silenzio sotto vite in apparenza semplici. Innestate sulla realtà quotidiana.
    E’ questo il compito della scrittura: svelare. Dire il non detto. Raccontare ciò che non si vede.
    Credo che un esempio meraviglioso si trovi anche in Svevo.
    Svevo dedica alle donne all’interno de “La coscienza di Zeno” moltissima attenzione, evidenziando tre figure femminili in particolare.

    La prima è senza dubbio Ada, la donna che Zeno aveva deciso di sposare sin dal primo incontro e che mai ricambiò il suo amore. Ada viene presentata come una donna molto sicura di sè e generalmente poco incline al riso; la serietà è una delle prime caratteristiche che Zeno riconosce e ammira in lei. Questa è una donna con tutte le carte in regola per giungere al successo nella vita; ma che , per ironia della sorte, si ritroverà in una situazione assai peggiore di quella dell’inetto Zeno.

    La seconda è la maggiore delle sorelle Malfenti, Augusta, la moglie di Zeno. Questa donna viene dipinta come moglie ideale, essa infatti si occupa della casa e della famiglia seguendo un codice di regole non scritte senza mai chiedersi se esse siano giuste o meno. Inizialmente questa caratteristica di Augusta viene definita “salute”; ma poi lo stesso Zeno comprende che “rifugiarsi nel presente” sia forse la malattia peggiore, poiché non ci si rende neppure conto di essere ammalati.

    L’ultima è l’amante di Zeno, Carla, definita da lui “una povera fanciulla” che però alla fine della vicenda sarà abbastanza forte da lasciarlo e sposare un altro uomo.

  90. Tutte donne che – come Vincenzina Sparviero – la realtà avrebbe catalogato ubbidienti.
    E che la scrittura ci riconsegna, ridefinisce, riconsacra a una verità diversa, più complessa, più dolorosa.
    Grazie per la bellissima discussione.

  91. Permettetemi un’intromissione tutta siracusana, in coincidenza con l’inizio del XLVIII Ciclo di Rappresentazioni Classiche dell’INDA al teatro greco.
    La tragedia è un genere letterario che non ha tempo. Non ha stagioni, perciò è sempre attuale, universale espressione dei tormenti che dilaniano l’animo umano. La tragedia si sintetizza tutta nel contrasto fra il dover essere e l’essere, tutte le volte che nella vita non coincidono.
    A mio avviso questo accade ne “La sposa vermiglia”, che punta al cuore ed evidenzia il contrasto già dal titolo, ove “sposa” richiama in mente il dover essere, l’idea bianca di candore, e “vermiglia” indica l’essere, il rosso lacerante del dolore che inonda la storia, di un amore impossibile, di un macerarsi che ferisce dall’interno tutti i personaggi, non solo Vincenzina, ma anche coloro che le ruotano intorno, straziati fra ciò che è imposto loro dal ruolo che occupano nel mondo e ciò che invece vorrebbero dire e fare. Restano paralizzati nel loro involucro di dover essere, finché l’epilogo tragico non li riscuoterà, ponendoli davanti all’orrore di ciò che hanno fatto. Tragedia assoluta e corale, che coinvolge tutti i personaggi e lascia ciascuno sospeso a chiedersi se davvero il destino di Vincenzina non si potesse mutare.
    Così appaiono tutti come personaggi degni della migliore tragedia greca, a cominciare dal padre e dalla madre, che devono assicurare il miglior futuro possibile alla figlia. Essi vedono l’amore come un fuoco fatuo, un inconsistente puntello per l’esistenza, destinato a soffocare presto fra i problemi concreti del sopravvivere quotidiano. Ben altra cosa è il dio potere-denaro, che tutto aggiusta e permette.
    Vincenzina è sacrificata sull’altare del dio potere.
    Vincenzina come “Prometeo” di Eschilo, ribelle e incatenata al suo destino ingrato, Vincenzina che non cede e, pur di non sottomettersi, preferisce la morte.
    Vincenzina la Sparviera (uno degli “Uccelli” del Coro di Aristofane), che forse vorrebbe volare lontano, forse verso la mitica città del cielo, quella Nubicuculia a metà strada fra uomini e dei, ove si decreta la guerra alle vecchie divinità che impongono sacrifici crudeli e mortificazioni. Vincenzina squartata e ricucita (realmente e metaforicamente) dal principio alla fine del romanzo, proprio come nei macabri riti delle “Baccanti” di Euripide, che compiono i loro riti bestiali immerse in fiumi di vino rosso misto a sangue…
    La lettura del romanzo mi ha molto coinvolto ed emozionato perché ne traspare una sofferenza autentica, non solo perché è “storico” e tratto da fatti veri, ma perché ha la dote rarissima di saper cogliere e sviscerare con limpida lucidità il nocciolo sempre attuale dell’universale dramma umano.
    A Tea un grazie di cuore.

  92. Che magnifica lettura, Elvira. Grazie. Vincenzina sacrificata sull’altare del dio potere, incatenata al destino, alla brama di denaro, lei che, pur di non sottomersi, si lascia uccidere. Vincenzina squartata e ricucita (realmente e metaforicamente) per tutto il romanzo. Vero, verissimo, è così, la aprono e la chiudono le attese: si spalanca al sollievo quando Filippo passa, si mortifica nel dolore quando lui sparisce. Si può amare un folletto? Uno che ora c’è e l’attimo dopo è sparito? Puoi amare un uomo che non ti può appartenere perché non ti è destinato? Perché la sua vita nella tua altererebbe l’ordine inventato dagli altri?
    Che dirti? E’ vero, la tragedia palpita in tutto il romanzo, anche se ci sono pagine di perfetta quotidianità, e poi la festa di Bidduzza, un giorno in cui tutti sono felici, tutti, pure Vincenzina, pure Filippo, pure Gioconda, pure il farmacista e il dottore, un giorno spensierato, di quelli che la vita dispensa con parsimonia e che però inzuppano il cuore di felicità quieta, inaccessibile persino al più perfido dio.

  93. XLVIII Ciclo di rappresentazioni classiche: Siracusa
    ————————————————

    Bravissima Elvira Siringo.
    Questo mi offre modo di dire che nel Maggio – Giugno 2012….

    Al Teatro Greco di Siracusa vanno in scena per tutto il periodo le seguenti tragedie greche:

    -“Il Prometeo” di Eschilo

    -“Le Baccanti” di Euripide

    – “Gli Uccelli” di Aristofane
    ————————-
    Venite numerosi!

  94. Bello quello che scrivi, Stefano, te ne ringrazio. E’ vero, mai uccidere il sogno, perché ci identifica, ci dice chi siamo. In questi giorni sono alle prese con Jung, quindi capisco perfettamente a cosa ti riferisci. Il sogno è la porta che ci permettere di accedere all’inconscio, a quella realtà di cui sappiamo pochissimo e che però ci governa, che stabilisce il come e il quanto di noi, che ci fa essere pavidi o eroici nel senso mitico del termine. Gli amanti sono dei rivoluzionari, sì, sovvertono un ordine, si appropriano del tempo e lo piegano ai loro bisogni, perché pure il tempo diventa creta nelle mani dell’amore e un minuto è lungo cent’anni e cent’anni un battito di ciglia a seconda di come canta il nostro cuore.

  95. Sì, Renata, il compito della scrittura è svelare, dire il non detto, frugare nel cuore e restituire l’incanto di emozioni che altrimenti resterebbero pura percezione. La parola scritta eternizza il sentimento, lo ferma, ma senza ucciderlo, senza privarlo di quella vitalità che lo rende continuamente palpitante, dotato di un senso in cui ciascuno si può riconoscere, o che può rinnegare perché lo sente come distante da sé. In ogni caso c’è un coinvolgimento emotivo, perché solo così, quando la scrittura suscita emozioni, si può dire che ha creato l’empatia con il lettore, che si riconosce (come ha detto perfettamente Stefano) nell’altro “di carta” e partecipa di lui ritrovandovi istanze proprie.
    Donne che covano amore. E’ bello. Perché l’amore è come il sogno, un rinascere, un reinventarsi, vedersi con gli occhi dell’altro. Quand’è che Vincenzina osa? Quando capisce che pure Filippo prova il suo stesso sentimento, quando capisce che la fantasia non è fantasia. E’ allora che la colombella mansa diventa Sparviera, affila rostro e artigli e si prepara alla guerra. Che sarà guerra sì, coi suoi morti e il suo sangue. Ma non solo. Perché la morte non ferma la vita, la morte è solo un passaggio, il romanzo si chiude infatti su una “porta di paradiso spalancata verso una terra” in cui una magnifica Sparviera sta aspettando il suo (conquistato col sangue) Filippo.

  96. E’ proprio vero, Tea.
    I tuoi personaggi riescono a indicarci anche la via della semplicità, per essere felici e gioire delle piccole cose quotidiane, per sottrarci alla perfidia degli dei. La saggezza dello schiavo “libero pur in catene”, perché lo spirito non lo si può incatenare, esso vola in alto libero, nonostante tutto. Proprio come l’amore, e come la tua Sparviera che morendo vince su tutte le meschinerie umane.
    Mi viene in mente un altro paragone (azzardo?) quasi come una resurrezione dello spirito sulla carne, o anche come la rinascita ciclica dalla terra, dalla morte a nuova vita.
    Così l’amore di Vincenzina per Filippo è un sentimento troppo grande per potersi imbrigliare nella quotidianità e solo con la morte diventa possibile, inviolabile, reale e finalmente eterno.

  97. Non finisce qui, Elvira. Vincenzina rappresenta il mio credere – religioso in senso lato – che tutto continua. E’ lei che infila dita d’aria nella gola della signora che viene da Roma e le dà il respiro, che si fa campana di vetro sopra il suo corpo mentre le mani del chirurgo le frugano nella pancia; è Mattiuzza che torna ad avvisarla, è la sorella del prete che racconta un pezzetto di storia… Questa della Sparviera è la storia di come la vita e la morte vanno a braccetto, di come tutto ha un senso, che magari adesso non capiamo, ma che ci conforta. E’ la religiosità di Jung (che ne dici Guglielmo? Che te ne pare, Stefano?) quell’andare oltre di cui, in fondo in fondo siamo consapevoli, perché è la natura che sa, siamo noi che, “inconsciamente” siamo onniscienti.

  98. Tea Ranno non si ricorderà di me, ma io di lei sì! Partecipai nel dicembre 2007 al biblios caffè di Siracusa alla presentazione di “In una lingua che non so più dire”. Anche allora la presentazione era curata da Simona Lo Iacono.
    In “La sposa Vermiglia” ho trovato anche un accenno alla storia di Andrea, il magistrato innamorato di Teresa.
    E mi è sembrato che Andrea ami Teresa come Vincenzina ama Filippo.
    In entrambi un amore “cresciuto” nel cuore a dispetto della realtà.
    Mi pare cioè che il modo in cui questi personaggi amano sia in fondo lo stesso: creando in sè l’altro, richiamandolo nella vita reale come una presenza, evocandolo alla mente con un procedimento creativo, di continua raffigurazione.
    Come se la vera “madre” di queste creature amate fosse l’immaginazione….è così cara Sig.ra Ranno?
    Mi pare anche una metafora del lavoro che fa lo scrittore quando scrive: non è forse vero che scrivendo “creiamo” il personaggio, lo evochiamo sulla realtà, lo costruiamo come Andrea e Vincenzina costruiscono i loro amori?
    Concordo quindi che il luogo dell’amore è la scrittura.
    Anzi, che scrivere equivale ad amare.
    Grazie per il bellissimo argomento.

  99. Carissima Tea,
    bella la riflessione su Jung. In effetti è così.
    Poichè in noi esistono archetipi, simboli cioè che inconsciamente fanno parte del nostro essere, siamo già onniscenti, salvo a….scoprirlo strada facendo….
    Quindi la vita è un procedimento graduale di apprendimento che ci fa sempre andare OLTRE.
    Uno degli strumenti, il fondamentale anzi, per progredire nella conoscenza è l’amore.
    In questo la favola d’amore e psiche rivisitata proprio da Jung resta esemplare del cammino che deve fare psiche per conoscere amore, e del ruolo che ha amore nell’uomo (tale da elevarlo al rango di un dio).
    Il che fa comprendere anche perchè esercizio del potere e amore siano in contraddizione assoluta.
    Perchè il potere ostacola la conoscenza, la graduale esperienza dell’amore.
    Il suo romanzo, cara Tea, si muove proprio in quest’ottica. Potere (imposizione familiare) e amore non riescono a convivere.
    Come diceva Jung:“Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore. L’uno è l’ombra dell’altro“.

  100. Cara Tea, come sai tra le maledizioni della scrittura professionale c’è quella di diventare un lettore disincantato e troppo esigente mentre la lettura vuole la sospensione del giudizio e l’abbandono all’incanto del racconto. E’ molto difficile, insomma, che un libro mi prenda, che mi tenga sveglio e che mi dia un po’ di sana invidia per l’autore quando mi fa pensare “per la miseria, questa pagina avrei voltuto proprio scriverla io”. Con il tuo libro mi è successo molte volte e molte volte, dopo, il sonno ha tardato ad arrivare (leggo a letto, la sera) perché ero rimasto intrappolato nel tuo mondo. Due i motivi. Nella storia della letteratura ci sono pochi personaggi femminili credibili. O meglio sono credibili, ma non sono abbastanza femminili. Si sente che sono scaturiti da menti maschili (anche una scrittrice può avere una mente maschile, è ovvio). La tua Vincenzina invece è femmina, non cè dubbio. E questo incanta il vecchio Licata che è in me. Ma incanta anche il ragazzo che sono stato, non in Sicilia ma in Salento al tempo in cui uno sguardo era ancora uno sguardo. E poteva dire tutto. Oggi in cui tutto è permesso, se una donna riceve uno di quegli sguardi di una volta rimane sorpresa. Non se l’aspetta, non sa più cosa farne, come interpretarlo. Dunque grazie per avermi riportato con il tuo romanzo al tempo degli sguardi, dei sottintesi, degli accenni, dell’eccitante separazione assoluta tra società maschile e femminile, tempo in cui però il maschile e il femminile si cercavano e si trovavano come magneti di polo opposto. Bello anche il tuo farmacista pragmatico e sognatore, rintanato nella sua bottega e pronto a proteggere il sogno altrui anche perché non è riuscito a trovare il coraggio di proteggere il proprio. Magnifica la sua ultima apparizione, la promessa…
    Il mio incanto nel leggere della tua sparviera viene anche dalla conoscenza dei tuoi stati d’animo precedenti a questa bella avventura. Il miracolo della scrittura che lenisce e guarisce e proprio per questo non può mai essere considerata solo un mestiere. Grazie dunque per avermi ricordato che è nostro dovere di scrittori inseguire con caparbia insistenza e volontà il miraclo della parola scritta che si fa mondo e vita. Un abbraccio Luigi

  101. Straordinaria la lettura di Elvira Siringo, bellissime le conseguenti considerazioni di Tea sul nostro essere “inconsciamente” onniscienti, che mi fanno venire in mente parte di una poesia di Gibran a me molto cara:
    “Siamo
    più di quel che pensiamo.
    Siamo
    più di quel che sappiamo.”
    Ma c’è anche un altro aspetto che riguarda le donne di questo romanzo e sul quale vorrei interrogare Tea: Lola, Melina Sòllima, le ragazze del festino… Ma soprattutto Lola, che incarna quel tipo di donna che deve vendersi per campare e però, in certi momenti, tira fuori lo struggimento. In fondo anche Gioconda è carnale, sensuale… e anche la stessa Vincenzina quando evoca Filippo sopra di sé.
    Cosa ci dici, Tea, di quest’altro aspetto, così diverso eppure così reale, delle donne uscite dalla tua penna?
    Un abbraccio

    P.S. Quegli occhi azzurrissimi e il portamento da gran signore di don Michele Santacroce li ho subito riconosciuti!

  102. “Scrivere equivale ad amare” che bella espressione, Angela. E’ vero, sì. Anche perché spesso la scrittura è il luogo dell’amore, quello in cui la passione viene rappresentata e dotata di una carnalità che le permette di essere condivisa.
    Andrea ama Teresa come Vincenzina ama Filippo? Può darsi. Anche se Filippo – pur nella sua inconsistenza di bravo ragazzo che se la fa alla larga da una donna promessa a un altro – interagisce con Vincenzina: le parla nel salotto di Marietta, passando la saluta, la ferma all’uscita della chiesa, la incontra a Bidduzza, solleva gli occhi verso la sua finestra. Insomma, c’è una correlazione tra i due, una corrispondenza. Tra Andrea e Teresa no: Andrea è partito e non è più tornato, e Teresa… Teresa ha fatto la sua scelta. L’amore di Andrea è davvero un amore effimero, che nutre lui e soltanto lui, che gli serve per viver; un amore egoista che niente dà e a niente si espone. Infatti, poi, venuto meno il cardine-Teresa, la vita di Andrea perde di ogni senso.
    Però è vero che si parla di amore cresciuto nel cuore a dispetto della realtà. E, nel romanzo di Vincenzina, la storia di Andrea e Teresa ha un epilogo diverso, un lieto fine che riscatta almeno loro due e li colma di vita.

  103. Carissimo Stefano,
    in noi esistono gli archetipi, è vero, una sorta di inconscio collettivo che affonda nell’esperienza comune, nella memoria cromosomica – così mi viene di chiamarla – che si tramanda di generazione in generazione e ci fa figli di una razza primitiva che si rappresenta il mondo attraverso i simboli. Siamo onniscienti in divenire, è vero, mano a mano che progrediamo nella scoperta di noi e abbiamo il coraggio di affrontare l’ombra per giungere finalmente a una compenetrazione tra il nostro Io e il nostro Sé.
    L’amore è strumento di conoscenza perché ci permette di uscire da noi e di proiettarci verso l’altro, ma è anche mezzo stupefacente di scandaglio, precipizio verso le abissali profondità in cui si annida l’essere primitivo che talvolta ci governa. Non è questa la passione? (Forse la sto provocando, Stefano). E non è la passione – il patire – che ci obbliga alla ribellione? Che ci porta a sbaragliare ogni forma di potere che si frappone tra noi e la proiezione del nostro Sé nell’altro? Non è a quel Sé, così tanto simile al nostro, che tendiamo? In cui ci riconosciamo? Con il quale vogliamo a tutti i costi realizzare una fusione intellettiva e corporale?
    Ecco, mi piacerebbe conoscere il suo pensiero al riguardo

  104. Che belle cose mi scrivi, Luigi, te ne sono grata, perché il riconoscimento di un collega vale oro.
    Vincenzina è femmina, sì, nel suo essere più profondo, ed è femmina in un’epoca in cui il sottinteso, il gesto appena accennato, la parola non detta infuocano più di un discorso sboccato, di una esibizione del corpo.
    E’ femmina nel sentire, nel far traspirare il suo sentimento e disperderlo come vapore nell’aria, è femmina nel silenzio e nella scrittura, in quel taccuino che racchiude i suoi tormenti e li affida alla parola scritta che talvolta salva e spesso lenisce, guarisce. Sì, Luigi, è proprio così. Una gran bella avventura quella della Sparviera, anche per ciò che riguarda me, il mio percorso di guarigione e di maturazione, di chiarimento delle meccaniche emotive che danno senso alla vita e trasfondono la vita nella narrazione.
    Amatissimo il farmacista, una figura nata per caso a Bidduzza (avevo bisogno di una “spalla” per il dottore) e poi entrata di prepotenza nel romanzo, con la sua aria di satiro benevolo, che punge e offende con la parola chi della parola è indegno. Un uomo che ha lasciato morire il suo sogno e che dunque, a posteriori, capisce di quale forza esso è dotato; ma soprattutto un uomo libero, che non soggiace alla forma e alle soverchierie della politica, che ha cuore puro e pensiero limpido e cova in una “stanza del sole” la parte specchiante di sé.
    Un abbraccio

  105. Il corpo delle donne. Grazie Valeria.
    Fino a ora abbiamo parlato dell’amore puro, del sogno, dell’evanescenza, del comunicare con gli sguardi, del non detto. Eppure, nel romanzo ci sono altre figure di donna che esprimono carnalità e sensualità: le ragazze del festino, nude e sboccate, spaventate dai giochi di Licata, e poi Lola, la puttana, quella che meglio di ogni altro incarna l’ideale di femmina procace: vogliosa la bocca, il seno colmo, le gambe lunghe, i capelli morbidi, gli occhi bistrati. Carne da letto. Ma non solo. C’è struggimento in lei, nella sua condizione di femmina che per campare deve svendersi, che ha perso ogni pudore e guarda con indifferenza al suo corpo nudo. Un corpo che poi, d’un tratto, ha cura di rivestire, di gratificare con una canzone che sbalestra gli uomini in fregola. E poi Melina Sòllima, che sempre spera di maritarsi e ostenta un abbigliamento sobrio, che fa del suo corpo strumento di piacere per trarne guadagno e non si preoccupa di scandagliare il cuore. O forse sì, perché pure lei si innamora, e proprio di quel pazzo Licata che tanto orrore ispira. Una sensualità gridata la sua, che serve a procurarle clientela, a differenza di Lola, “ca si fici bbuttana sulu pi’ fami” e nel cuore resta signora. Sensualità diversa è quella di Gioconda, “tutta femmina, tutta precisa nel contorno di desiderio che gli uomini le ritagliano intorno”. Una sensualità pudica, che non ostenta, che è così per natura, per indole e temperamento, che allaccia gli uomini con lo sguardo e li stronca con l’irriverenza.
    Sono sempre stata attratta dal tema del corpo, mi sembra imprescindibile per chi voglia raccontare le donne nella loro completezza, nella loro intimità, che non è soltanto quella del sentimento. Anche Vincenzzina ha un corpo, che soffre perché castrato, e però corpo che desidera, che s’inturgida quando l’evocazione di Filippo è così intensa che le sembra di avercelo addosso.
    Donne a tutto tondo, insomma, che si riconoscono come compendio di spirito e carne, di corpo e di pensiero, di parola e di fiato, di sguardi e d’intenzioni.
    Un abbraccio, Valeria, e ancora grazie.

  106. “Scrivo o non scrivo? Lascio un commento o evito?”. Dopo un pò di dubbi amletici se partecipare anche io a questa discussione (temo di dire cose troppo banali e magari anche stupide), mi armo di coraggio e scrivo le mie impressioni. Anche io c’ero alla presentazione del libro di Tea Ranno a Siracusa, con i pupari che rappresentavano in maniera sorprendente l’affascinante storia di Vincenzina.
    Complimenti, Tea Ranno, per le emozioni che hai regalato con questo libro! E complimenti a Simona Lo Iacono per la sceneggiatura! Splendida l’idea di rappresentare la protagonista metà donna e metà sparviero. Bravissime! Siete anche voi due sparvieri, che riuscite a librarvi nell’aria grazie alla letteratura e alle vostre passioni. Sapete volare!
    Posso fare un pò di pubblicità su uno spettacolo organizzato dalla vulcanica Simona Lo Iacono? Il 30 giugno alle 20, nel magico scenario della chiesa di san Giovannello a Siracusa, ci sarà un vero e proprio spettacolo : un percorso di musica e canto abbinato ai testi letterari, mentre un pittore in estemporanea realizzerà le tele che raffigureranno i personaggi delle storie. E’ un progetto di contaminazione tra arti: ci sarà la musica, il canto, la letteratura, la recitazione, la scenografia, la pittura! Per chi è di Siracusa o delle zone limitrofe non perdete quest’appuntamento!

  107. Menegota, Rosetta e Niluzza: sono le donne di cui vorrei sentire Tea parlare. Depositarie dei segreti di generazioni di famiglie dabbene, ricche e colte, queste donne, ignoranti e povere, hanno dalla loro la potenza della saggezza popolare, la forza che viene dai sentimenti veraci, l’umiltà di chi sa di non sapere eppure vede – quasi fosse un profeta – là dove le menti illuminate dei colti e degli illuminati restano abbagliate dal fulgore della conoscenza libresca. E mi vengono in mente le parole di De Gregori: «quelli che hanno letto un milione di libri / e quelli che non sanno neanche parlare / ed è per questo che la storia dà i brividi / perché nessuno la può fermare. / La storia siamo noi: nessuno si senta escluso». E, allora, non dimentichiamole queste figure: ché danno anche a noi sollievo, nonostante le mani piene di calli, il viso bruciato dal sole, le braccia e le gambe distrutte da decenni di lavoro fisico. Chi più e meglio di Niluzza intuisce, senza che mai Vincenzina gliene parli, le angosce, i sogni e le speranze? È tutto detto già nella prima pagina: «E ti chiamàunu stidda persa, cuori can un quagghia, notti can un porta cunsigghiu. […] Cchi ni sanu, iddi, d’o focu ca ti squagghia ‘i catini e ti fa abbulàri comu ‘na spruvèra?».

  108. Una considerazione sui personaggi maschili di Tea: come le sue donne sono femmine, i suoi uomini sono maschi dentro e fuori. Quando ho letto In una lingua che non so più dire, ho apprezzato, stimato, forse anche un po’ invidiato, la capacità di leggere, analizzare, vivere l’universo maschile dal quale troppo spesso noi donne fuggiamo, che troppo spesso sottovalutiamo perché lo riteniamo più semplice, più lineare, meno complicato del nostro. E, invece, la scrittura di Tea, da Cenere a La sposa vermiglia ci presenta questo “nuovo” mondo: poetico ed evanescente, oserei dire fragile, qual è quello di Andrea e di Filippo, irretito nelle maglie di un sistema familiare che inghiotte anche la volontà dei figli quello di Lucio, inerme, attonito, lontano, impotente quello di Corrado. Lucio e Corrado rappresentano entrambi – è così Tea nella tua volontà? – l’incapacità di prendere una posizione, di liberarsi dai vincoli paterni: l’uno ne segue pedissequamente i dettami, l’altro li fugge ma non li affronta. Entrambi distanti da una sorella vessata dall’uno, illusa dall’altro. Ma Lucio resta più vivido nella mia fantasia: non è, al pari della sorella, vittima? Del padre, della vita del collegio, del sacramento sacerdotale? Davvero siamo di fronte solo alla violenza contro le donne e non anche a quella, parimenti subdola e sottile, perpetrata nei confronti dei figli a prescindere dal loro sesso?

  109. Che bella l’espressione di Stefano, che definisce gli amanti come rivoluzionari!
    Mi piace anche ricordare la definizione di Alda Merini. Gli amanti sono coloro ai quali le stelle mormorano all’orecchio…
    __________________________
    Io non ho bisogno di denaro
    ho bisogno di sentimenti
    di parole
    di parole scelte sapientemente
    di fiori detti pensieri
    di rose dette presenze
    di sogni che abitino gli alberi
    di canzoni che facciano danzare le statue
    di stelle che mormorino
    all’orecchio degli amanti.
    Ho bisogno di poesia
    questa magia che brucia
    la pesantezza delle parole
    che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

  110. Mia Tea,
    com’è bella questa tua riflessione su morte e vita che vanno a braccetto!
    E’ anche il tema delle tragedie classiche, sapientemente richiamate dalla carissima Elvira Siringo.
    La tragedia classica è il luogo della vita che convive con l’imminenza della fine, e si snoda tutta in questa attesa. Anzi, di questa attesa fa il luogo della riflessione, il tempo dell’indagine, e se anche non riesce a dipanare il mistero, può raccontarlo, cantarlo, dirlo alla luna, a chi – ancora – si riunisce sulle pietre del teatro, a chi è scosso dalle medesime, eterne domande. A noi, insomma, che contiamo i giorni nella stessa attesa.

  111. Ecco le parole bellissime dedicate ad Eros nelle “Trachinie”…
    Parole che ancora oggi parlano al nostro cuore, che ancora adesso ci dicono della potenza della passione, del suo mistero insondabile ed eterno:
    “Chi si erge contro Eros, come un pugile, per lottare con lui, è soltanto uno stolto. Persino sugli dei Eros domina a suo piacimento, e su di me, certo: e perché non su un’altra donna come lo sono io? Sarei proprio folle, dunque, se biasimassi il mio sposo, colpito da tale malattia, oppure questa donna, sua complice in una cosa che per me non è affatto una vergogna né un male”

  112. La sposa vermiglia evoca dunque tutto questo: la celebrazione della vita. Gli altari della morte. I canti del lutto. Quelli della speranza.
    E poi, mia Tea.
    Una nostalgia imprendibile non solo per l’amore, ma per il senso che questo amore adempie. Per il significato di cui colma l’esperienza personale di Vincenzina.
    Potremmo dire che senza questo amore, pur con le sue stimmate, pur con le sue crocifissioni, la Sparviera non avrebbe volato, cara Tea?

  113. E adesso…buona notte a tutti! Il mio bimbo reclama una super cena, i miei gatti pure. Sono nel terrazzo di casa e posso vedere il mare che si oscura gradualmente, le prime lampare che agitano le onde come lucciole, il velo serale che cala in silenzio, mascherando di rosso le sagome delle case.
    E’ tutto così irreale, tutto così sospeso da qui, che posso quasi scorgere l’ombra nera di un volatile agitarsi sulla mia testa.
    Ha ali grandi, coda ritta, occhio terso.
    Non c’è dubbio: è uno sparviero.

  114. Cara Simo,
    auguro buona cena a te, al tuo bimbo e ai tuoi gatti. E ancora una volta grazie per la bella recensione e per la tua preziosa partecipazione a questo post.

  115. Ne approfitto per salutare e ringraziare gli altri partecipanti a questa ricca discussione… e per scusarmi con coloro che sono “rimasti vittima” del sistema antispam del blog. Ho cercato di recuperare i commenti dispersi in mezzo ai migliaia di messaggi/immondizia che il filtro del blog riesce a bloccare. Ma qualcuno potrebbe essermi sfuggito. Eventualmente scrivetemi all’indirizzo del blog (quello segnalato in alto a destra del sito).

  116. Saluti e ringraziamenti a: Giacomo Tessani, Valeria, Maria Antonietta Pinna, Stefano, Renata Mangiagli, Elvira Siringo, Riccardo G., Angela, Luigi, Alessandra Leone, Alessandra Privitera.

  117. Nel pomeriggio ho avuto modo di sentire Tea al telefono. Tra le altre cose le ho detto che, tutti insieme, state scrivendo (stiamo scrivendo) un libro sul romanzo di Tea.
    Un libro nato dai commenti che si accavallano, da considerazioni che ne stimolano altre, da riflessioni che aprono nuove finestre di discussione.
    Mi pare davvero un dibattito di alto livello.
    E ne sono felice.
    Grazie a tutti!

  118. …Ma anche precipitare agli inferi, scrutarne l’abisso, anche l’ombra in cui la passione può gettarci….non è conoscenza, cara signora Ranno ? (felice di rispondere alla sua simpatica provocazione)
    L’ombra, pur esprimendo la parte inaccettata, contiene energie e potenzialità che non sappiamo o temiamo di utilizzare. Questa ambivalenza trova la sua espressione nell’immagine del dio-briccone, clown, ingannatore e soccorritore. E’ il trickster , figura caratteristica in molte culture , studiata dagli etnologi soprattutto negli indiani Winnebagos.
    Jung ha dimostrato che questo dio, il cui comportamento ci fa pensare ad Hermes, è uno degli aspetti dell’ombra. Anche Conrad in un suo racconto :- La linea d’ombra-, narra di quell’inevocabile passaggio tra la giovinezza e la maturità il cui lato negativo del destino si palesa come confronto di fronte al quale l’unico vero peccato è il rifiuto o la fuga. Negare l’ombra è negare quella parte di noi che esige un confronto dialettico tra le parti della nostra psiche. Il rifiuto dell’ombra conduce alla non crescita, verso ruoli rigidi della Persona (il cui significato latino è maschera). Jung sottolinea che:

    “Si può mancare non solo la propria felicità, ma anche la propria colpa decisiva senza la quale un uomo non raggiunge mai la propria totalità”.

  119. Mia cara Signora Ranno
    lessi e tutto d’un fiato.
    Il cuore non mi regge.
    E dunque domani le dirò meglio…senza svelare il finale ai fortunati lettori che avranno la gioia di addentrarsi in queste pagine.
    Questa sera mi sovviene questo solo pensiero, amaro, in verità, ma colmo della pienezza che la lettura di questa creatura alata mi donò (conquistandomi per la sua grazia…sarà che un po’ di Licata è in tutti noi uomini):”Sorte miserabile quella dell’eroe che non muore, dell’eroe che sopravvive a se stesso”(Luigi Pirandello)
    A domani.
    Stasera sognerò di una sparviera.
    Suo devoto
    professor Emilio

  120. Che dire…un libro strabiliante,la suspense aumenta pagina dopo pagina, ogni volta Tea Ranno sa inserire quel dettaglio che non solo impreziosisce la scrittura, ma che sa anche incuriorisire, coinvolgendoci personalmente nell’amore fantastico della protagonista. Complimenti Tea!

  121. Menegota, Rosetta, Niluzza, sono le custodi, Alessandra, le custodi della casa, del focolare, le “serve” che stanno a fianco dei padroni non tanto – non solo – per servire quanto, piuttosto per accompagnarli in quel cammino tormentoso che talvolta è la vita. Sono donne tenaci, cresciute all’ombra di qualche altro: Stèfana per Menegota, Andrea per Rosetta, Vincenzina per Niluzza, donne silenzione, che guardano e comprendono più di quanto le parole non dicono, che hanno sensibilità acuta e percezione profondissima, che amano senza riserve e portano sulle proprie spalle il peso della sofferenza altrui. Sono donne buone, che amo inserire sempre nelle mie narrazioni perché mi danno il senso della pienezza femminile, quella che si sacrifica, che non rinfaccia, che serve con dignità, che ama senza riserve, che sa farsi indietro quando è necessario, che azzarda e mette a repentaglio la vita quando è necessario.
    Per ciò che invece riguarda gli uomini, sì, sono chiusi dentro uno stereotipo che temono di abbandonare per impedirsi la disgregazione e invece non si rendono conto che la disgregazione è avvenuta da tempo e lo stereotipo è l’armatura che consente loro di restare ancora in piedi. Così Lucio, che soffre, sì, è una vittima del sistema eppure abilissimo nel rivoltare, secondo il proprio tornaconto, le carte in tavola. Corrrado invece è un debole, è quello che ha paura a tornare, anche se non lo ammetterebbe mai. E’ l’uomo che promette e non mantiene, che scappa e non si volta indietro. Forse per non rimanere pietrificato in una sola lacrima di sale, come capitò alla moglie di Lot. Sono dei vinti? Può darsi. E la scelta di Vincenzina li mette di fronte allo specchio atroce che è la propria coscienza.

  122. Sì, l’ombra è conoscenza, Stefano, dell’irrisolto che evolve nel risolvibile, del potenziale che si fa potenza, del dubbio che ingenera verità, del fastidio che diventa offesa, dell’incerto che si cambia in certezza… o tutto il contrario: bifronte, l’ombra, anzi, multicefala, incantatoria come le sirene di Ulisse, ambigua come una meretrice, spaventosa come l’Idra. E si può andare avanti così all’infinito giocando con l’Imbroglione (così ho conosciuto quello che lei chiama “dio-briccone”), con l’Ombra, appunto, il Vecchio Saggio, l’Animus e l’Anima, il Sé. Un lungo processo di individuazione alla fine del quale dovremmo identificarci nell’unico Io-Sé. Dovremmo, appunto, perché nel gioco dell’Imbroglione tutto torna a mischiarsi e si ricomincia. Perché la conoscenza è “in progress” e non giunge mai a una completezza che imprigiona in una forma.
    Ha ragione: l’unico vero peccato è il rifiuto o la fuga. “Negare l’ombra è negare quella parte di noi che esige un confronto dialettico tra le parti della nostra psiche. Il rifiuto dell’ombra conduce alla non crescita, verso ruoli rigidi della Persona (il cui significato latino è maschera)”.
    E’ così.
    Dunque l’amore come benzina? Come torcia che precipita nell’abisso e lo infiamma? Come fragore nell’immenso silenzio?
    A lei la parola.

  123. Mio caro professor Emilio, la sua lettura tutta d’un fiato mi confonde. L’aspetto. Curiosa di sentire le sue impressioni. E intanto le auguro una notte buona tra le ali della Sparviera.

  124. Che meraviglioso spettacolo dal terrazzo di casa tua, Simo, buona cena al bimbo magnifico, allora, e pure ai gatti.
    Bellissima la citazione da “Le Trachinie”, è così, Eros domina a suo piacimento persino sugli dei e chi si oppone a lui è soltanto uno stolto.
    Gioconda lo dice in un’altra maniera: “Ché l’amore questo è, Vincenzina mia, una pazzia, un’ubriachezza, un camminare senza poggiare i piedi per terra”.
    E chi l’ha sperimentato sa che è davvero così.

  125. Mio caro Massimo, eccoci alla fine di quest’altra giornata. Bellissimi commenti, ringrazio tutti e non nomino ciascuno per timore di dimenticare anche solo un nome.
    Domani partirò per Palermo, venerdì 18 alle ore 18.00, presso la Mondadori di via Ruggero Settimo, presenterò ancora la mia Sposa vermiglia. Chi si trovasse da quelle parti e volesse partecipare, sarebbe il benvenuto.
    Buona notte.

  126. “Può una donna essere diversa per eccesso di fragilità?
    Per eccesso di fragilità, ma anche per quel candore che la fa assomigliare a una bambina rimasta chiusa troppo a lungo nella stanza dei giochi e dunque inadatta alle complicazioni della realtà. Una bambina che nel frattempo è diventata donna, e però continua a mantenere quella circospezione che hanno le bambine quando un adulto invade la loro stanza dei giochi.
    Come amano le donne bambine? Come desiderano?
    Ecco. E’ stata questa la deviazione inattesa del destino: una curiosità da soddisfare, il pretesto per un nuovo gioco”. (pag. 150)

  127. Salve a tutti!
    felice di essere nuovamente in questo “luogo”. Scusate se inizio con sdolcinati complimenti nei confronti di Tea che, anche questa volta, ha regalato a me e a tutti noi, parole, suoni, odori, immagini di una terra tanto amata.
    Ancora una volta grazie cara amica, per alleviare la “sicilitudine” di cui sono, fortunatamente, affetto.
    Sto rileggendo il romanzo e sono affascinato da tutti i personaggi secondari che danno forma all’amore, a quella pazzia, a quella ubriachezza, a quel camminare senza poggiare i piedi per terra!
    E mi rivedo anche io, come Cosimo Di Maria, a ridare forma a Vincenzina, in un tratto nervoso di matita su un foglio, a imperitura testimonianza che l’amore è ed è vissuto, sognato o reale che sia, in una scrittura piena di note, suoni e dolori che vengono dalla pancia.

  128. Carissima signora Ranno
    a quest’ora lei sarà in quel di Palermo a ragguagliare fortunati lettori sulla sua bellissima sposa.
    E’ un romanzo davvero classico, il suo, nel senso che non ha tempo, che parla al cuore di tutti, che semina suggestioni al di là delle mode e delle evenienze.
    Il libro classico è quello che resta, mia cara signora Ranno, e non è facile all’età mia (ottuagenario e più) leggere un libro di oggi come un classico.
    Ma così ha voluto Dio. Che ancora mi fosse dato simile libro tra le mani.
    Trovo l’impianto fascinoso, con scoli temporali potenti, presente, futuro, passato.
    E poi personaggi dolentissimi,un’idea del destino e della profezia da vera abitante della magna Grecia,l’intero flusso della narrazione costruito come adempimento di un antica leggenda.
    E sì, perchè ciò che ancora non s’è detto è che in questo libro l’epilogo viene infine dato come il misterioso compiersi di una antica diceria.
    Ed è tutta di noi meridionali questa capacità di credere alle maledizioni, alle visioni preannunciate, alle superstiziose voci della gente.
    Mi dica, signora Ranno carissima: è vero ciò che dissi sulla profezia?
    Mi abbia suo devoto
    Professor Emilio

  129. Sì, carissima Tea.
    L’amore come benzina. Allora (ai tempi della sua Vincenzina) come adesso.
    Lo vediamo ovunque e soprattutto oggi.
    Quanto bisogno d’amore. Di sguardi, Di incanto.
    Si discute tanto degli amori in internet, di piccole e grandi infedeltà via chat, di nuove unioni virtuali…
    ma ci siamo davvero chiesti perchè?
    Non sarà che abbiamo bisogno proprio di quegli sguardi che lei descrive così bene tra Vincenzina e Filippo? Non sarà che la realtà, con la sua accessibilità, ha detto troppo? Ha concesso troppo?
    Non sarà che il video del computer equivale a quella finestra da cui Vincenza si sporgeva fingendo di ricamare e sulla quale Filippo Gonzales lanciava occhiate?
    Sì. Abbiamo ancora bisogno di amore. E di una qualità dell’amore che ci faccia sognare, che pungoli l’immaginazione, che sia come gli sguardi tra la sparviera e il suo amato. Da interpretare. Su cui imbastire storie, miraggi, significati.
    Ora e sempre sentiamo per intuito che ciò che davvero ci identifica e ci salva è l’amore

  130. Bellissimo il brano sulla fragilità, mia Tea. Uno dei miei preferiti.
    Anche perchè mette in evidenza la bellezza della fragilità, il suo candore, la sua innocenza.
    La fragilità che descrivi tu, cara Tea, non è un attributo negativo.
    E’ uno spaesamento dal mondo al quale si sente di non appartenere fino in fondo perchè se ne ignorano le logiche.
    E’ uno sguardo diverso, che si posa sulle cose con più lentezza, laddove quello degli altri corre già saziato. E’ una tenerezza diversa, che quasi vuole appropriarsi del cielo, e che reclama quindi un bozzolo, un nido da cui essere protetta.
    E’ quasi una povertà dello spirito e dell’anima che tanto mi fa pensare a certe poesie di Quasimodo, al Dio della croce che lui definisce gentile.
    Quasimodo, poeta fragilissimo, della fragilità umana amava proprio il suo essere nuda, vestita di niente.
    Diceva di se stesso “in povertà di carne come sono eccomi Signore. Polvere di strada che il vento leva appena il suo perdono”

  131. Credo che sia proprio questa fragilità ad attrarre Ottavio Licata.
    Lui che ha sempre giocato tutto sulla carne. Lui che della donna ama il lato bestiale, caprigno. Lui che a tutto dà un prezzo e che anche ai baci conteggia un interesse.
    Questa diversità fatta di lontananza dal mondo (e dal suo mondo in particolare) si ammanta in fondo di sacralità, di seducentissima scoperta.
    Vincenzina non è solo bella, fa intuire anche una bellezza interiore e questo disarma persino un vecchio volpone come lui, che non si fa certo scrupolo di appropriarsi delle donne, di usarne le membra come un vestito.

  132. Buona notte a te, cara Simo. E grazie per l’amore, la cura e la competenza con cui stai animando questa discussione dedicata a “La sposa vermiglia”.
    Se continuerai a intervenire sul blog dalla tua terrazza, prima o poi i tuoi gatti diventeranno dei veri esperti di letteratura.
    😉

  133. Cara Tea, grazie per il nuovo brano che ci hai donato e per le tue belle risposte.
    Naturalmente aspettiamo il tuo rientro da Palermo (mi raccomando: raccontaci come è andata).

  134. Intanto, come sempre, ne approfitto per salutare e ringraziare gli autori degli ultimi interventi.
    Grazie mille a Stefano, al prof. Emilio, a Elisa, a Fabio Midolo.

  135. Vi ri-propongo le domande del post…

    1. Il libro di Tea offre una riflessione profonda sulla natura dell’amore sognato, che prorompe nella realtà con una forza straordinaria, soprattutto quando è amore negato.
    È più la negazione a dare forza all’amore, o è la sua autenticità?

    2. Amore sognato e amore reale.
    In quale punto convergono? O in quale luogo? (Può essere la scrittura il luogo?)

    3. Vincenzina e Filippo Gonzales non si scambiano neanche un bacio, eppure sono una delle figure più forti e struggenti di amanti che la letteratura ci abbia donato.
    Allora, si può essere amanti senza mai unire i corpi? E cos’è essere amanti?

    4. È quanto dice Besson? “Essere amanti è questo: usare le stesse parole per parlare delle medesime cose senza aver mai sentito l’altro usare quelle parole” (Philippe Besson, “Un amico di Marcel Proust”)?

    5. Se essere amanti si gioca sul piano delle parole… la scrittura è un amante?

    6. Il cosiddetto matrimonio d’interesse (scelto o imposto che sia) è solo un “retaggio” del passato, o trova ancora riscontro ai nostri giorni?

    (Magari qualcuno avrà voglia di sbilanciarsi un po’ e di fornire le”sue” risposte!)

  136. Vi racconto una cosa. Oggi, a pranzo, si parlava con mio marito del libro di Tea Ranno, di questo blog ( che abbiamo scoperto da poco ) e del forum che si sta sviluppando.
    Opinione di mio marito: il libro di Tea Ranno è un “libro che cattura”, ed è scritto con una “cura della parola assai rara oggi”. In genere mio marito legge saggi, quasi mai romanzi. E quando li legge è molto duro, perché dice che la maggior parte delle storie narrate sono inutili. Quindi le sue parole ed i suoi complimenti hanno un grande peso specifico.
    Ecco. Ci tenevo a scrivere queste cose.

  137. Mi permetto di porgere una domanda per Tea Ranno.
    Che rapporto c’è fra la pratica della scrittura e la cura del “dolore interiore” (con cui tutti noi, chi più chi meno, dobbiamo convivere)?

  138. Bellissime tutte le risposte e le suggestioni nate da questo tema e dal romanzo di Tea che leggerò con enorme gioia e curiosità.
    !.Certo che la negazione, l’ostacolo è da sempre un grande motore della spinta amorosa, della passione impossibile a raggiungere. Dal romanzo romantico, ai miti degli amori impossibili, dalle tragedie di Shakespeare ai grandi film come che ci hanno trasmesso l’idea che quanto si frapponga un ostacolo fra noi e l’oggetto amato-desiderato tanto più l’ardore di raggiungerlo ci divora.Tuttavia oggi le convenzioni sociali che nel passato erano l’ostacolo più difficile da abbattere, si sono fatte più deboli probabilmente per lasciare il posto ad altri tipi di ostacoli. Che sia più vero l’una forma dell’altra non saprei dire, l’amore o c’è o non c’è ed è esprimibile in tante forme non sempre riconoscibili facilmente.

  139. Vincenzina e Filippo, come Romeo e Giuletta, come il Tristano medievale, tutti amori non risolvibili nello spazio e nel tempo di una relazione conforme alla quotidianità.Ogni amore ostacolato, negato e privato della possibilità di esplicarsi fisicamente può dar luce ad una grande narrazione. I baci mai dati possono diventare parole ancora più intense ed infuocate di qualunque contatto fisico. E qui mi sovviene anche il bellissimo, superbo, “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman, dove proprio la distanza fisica fra i due protagonisti nutre una relazione che servirà a scavare nel profondo dell’animo dei due amanti, incidendo come un coltello affilato l’identità personale e la vita nelle sue scelte più estreme. Esiste sempre una diretta correlazione fra l’amore impossibile e il processo di individualizzazione dell’essere umano, forse ha necessità la passione irrealizzabile di attraversare il buio delle solitudini umane, di rompere i muri di una incomunicabilità individuale che anche Vincenzina viveva per se stessa.

  140. Essere amanti è tante cose messe insieme ed anche altre cose che non s’incontreranno mai, è più nella privazione, nella mancanza che nella condivisione.Perchè dentro di noi sappiamo che esiste un’illusione che mai potrà essere colmata anche dall’amore più grande o più completo.La finitezza del nostro essere umani. L’amore impossibile lo sa. Sente che per quanto possa avvicinarsi l’uno all’altra, ci sarà un punto del cammino in cui ci si separerà.Perciò è disperato e termina in tragedia.
    La scrittura è la più perfida delle amanti.E’ tentatrice, ammaliatrice, e visionaria. E’ la capacità di vedere e toccare e annusare l’essere amato anche in sua assenza.La scrittura ci rende tutti i nostri fantasmi indietro.

  141. Matrimonio d’interesse non credo morirà mai. Muta la faccia degli interessi, oggi forse più mascherati, ma quanta gente sceglie tristemente per convenienza, per utilità, per solitudine, o mancanza di coraggio, per prendere la via più facile. No, l’interessa nasce con l’uomo e mai scomparirà.Penso inoltre ad altri paesi dove esiste ancora la prassi dei matrimoni scelti dalle famiglie e subiti dalle donne, in alcuni strati sociali.Tuttavia le scelte peggiori sono quelle fatte in assoluta consapevolezza ed autonomia, esclusivamente per interesse.

    E vi saluto con affetto, augurando al libro di Tea Ranno un lungo appassionato cammino nelle mani e nei cuori dei lettori!

  142. Un abbraccio alla Simo sempre bravissima ed accattivante con l’arte della parola, ha scritto una bellissima recensione.
    Perché non venite a Napoli tutte e due, magari anche con Massimo, a presentare questo romanzo? 😉

  143. Ci riprovo. Carissima leggere i tuoi racconti per me è come starci dentro, leggo la descrizione di un paesaggio, un personaggio, un ambiente, mi fermo e dico: “ecco si, lo sto vedendo” e vivo così ogni pagina, ogni emozione, tutta la passione che tu riesci a regalarci con la tua penna. Grazie Tea.

  144. Funziona allora!
    Ed i personaggi, tutti hanno il loro particolare fascino. Provo a pensare un attimo la storia senza uno solo di loro ed come se mancasse quel pizzico di sale che dà il buon sapore alla minestra. Il farmacista, Gioconda, Albino, Melina: seguire il loro pensiero, le emozioni e sentirsi parte della tua storia. Ancora grazie Tea.

  145. @ Linda Saraceno
    Grazie per i tuoi commenti, cara Linda. Immagino che nei giorni precedenti anche tu abbia avuto qualche problema con il filtro antispam del blog (che ha bloccato qualcuno dei commenti scritti dai partecipanti di questo forum)…

  146. @ Francesca Giulia
    Cara Fran, grazie mille anche a te per la partecipazione. Devo dire che sarebbe bello e allettante fare un salto da te, a Napoli. Forse l’area partenopea rientra negli itinerari di volo della sparviera?
    Chissà!
    Intanto, grazie per l’invito! 😉

  147. A me pare che la storia della Sparviero sia un buon esempio di “gabbie mentali”. Il pregiudizio, il parere della gente (è malata, non può avere figli), l’educazione ricevuta (il voto di obbedienza), la cultura dominante (incarnata dal padre, dal fratello prete e dalla madre che non c’è mai quando serve) siano servite a Vincenzina per costruirsi la sua gabbia. Anche in questa storia è il sentimento, l’emozione dell’abbraccio del suo amato davanti all’altare che spingono la Sparviera a spiccare il “volo” ma la conclusione è tragica.
    Libro scritto bene, con maestria, coinvolge il lettore in un crescendo di emozioni degno di una sinfonia di Rossini. Bravissima Tea.

  148. Sììììììììììììììì!!!! Che bello sarebbe venire a Napoli da te, carissima Francesca!!!
    Però a patto che anche tu faccia un salto qui da noi in Sicilia!! Ricordi? Me lo avevi promesso tempo fa e io ti avevo preannunciato un’accoglienza da regina!
    Ti aspetto!
    La tua Simo

  149. Io, intanto, ne approfitto per salutarvi.
    Nei prossimi giorni sarò fuori sede e non avrò la possibilità di intervenire sul blog (né di aggiornarlo con nuovi post).
    Vi auguro, dunque, buona prosecuzione, buon sabato sera, buona domenica e buon inizio settimana!

  150. Appena tornata da Palermo, vi leggo e mi vengono i brividi, per le cose belle che mi avete scritto, perché mi date la possibilità di conoscere il vostro giudizio di lettori, ma soprattutto perché condividete con me le vostre emozioni.
    A Palermo sono stata accolta da un carissimo amico Riccardo, straordinario padrone di casa, che mi ha mostrato la città nei suoi angoli meno conosciuti, diciamo più autentici e umani, cominciando dalla Ucciria e finendo ai quartieri della Cala; grazie a Riccardo, ho conosciuto Luigi, che ha contribuito alla visita della città portandomi in moto fino a Mondello e facendomi fare il giro delle piazze, dei vicoli e delle chiese più importanti. Bellissimo.
    In quanto alla presentazione, molto brava la relatrice, Eleonora Lombardo. Insieme abbiamo cercato di tracciare le figure dei protagonisti, l’epoca, l’ambientazione, il carattere di Vincenzina e di Gioconda, le sfaccettature di Licata. E’ venuto fuori un bel dibattito con i presenti in sala riguardo il rapporto uomo-donna nella Sicilia di un tempo e in quella di adesso, con incursioni nella matriarcalità e in un dominio delle donne come depositarie di un potere più forte di quello maschio perché fondato sull’istinto, sull’emotività, sulla passione.
    Voi, al riguardo (matriarcalità, dominio delle donne…) che vi sentite di aggiungere?

  151. Carissimo Stefano, che cose importanti che scrive. La virtualità, sì, certo, gli innamoramenti via chat, le parole che fluttuano per l’aria, che giungono o si perdono, che possono decidere di un amore. E poi il video, già, è la finestra da cui Vincenzina s’affaccia e il luogo in cui Filippo viene a sbirciare. Bellissima riconduzione della storia ai nostri giorni, alle nostre maniere d’amare, perché l’amore è la nostra benzina, sì: senza amore non si può vivere. Abbiamo bisogno di occhi innamorati che ci guardano per darci ogni giorno un senso nuovo, abbiamo necessità di sapere che ci sono quegli occhi per impedirci la sciatteria, per dare al nostro sguardo un guizzo più vivo, per curarci nel vestire, per rendere meno pesante il nostro andare. Quando siamo innamorati davvero non poggiamo i piedi per terra, e davvero l’amore è un’ebbrezza, un’ubriachezza, un andare senza porsi troppe domande. Che cosa sarebbe la giornata senza la speranza di uno sguardo ricambiato, di un sms che arriva, di una mail, un messaggio, una canzone? Vincenzina forse rappresenta proprio questa necessità di amare, anche da lontano, anche accontentandosi…
    Ma non ci si accontenta, questo ribadivo a Palermo. Mi chiedevano se può bastare un amore effimero: nel caso di Vincenzina no, perché lei, poi, comincia a desiderare lui, le sue mani, la sua bocca, il suo corpo, desidera di fondersi in una stessa carne. Non credo che l’amore si accontenti, può farsi bastare la lontananza quando non c’è altra soluzione, può godere della clandestinità, ma non si accontenta, perché è tipico dell’amore volere di più.

  152. E’ la sicilitudine, caro Fabio – come ci siamo detti tante volte – la miccia che per me innesca la scrittura. E’ il bisogno di ricreare quel mondo che qui non ho, di risentire quella parlata, di riavere quei colori, percepire quegli odori che poi me li fa evocare e posare sulla pagina. Non lo so come sarebbe stato se io non fossi andata via, forse sarebbero venue fuori altre storie, con altri personaggi, altre tematiche, forse avrei cantato la fuga, piuttosto che il ritorno, non lo so, fatto sta che odori, suoni, sapori, luci, barbagli del mare me li porto dentro e vivono prima di tutto per me in un teatro che è rappresentazione di quell’altra vita, di quell’altro luogo in cui mi vorrei ancora trovare. E lo dico proprio adesso che continuo ad avere nelle orecchie il suono della cadenza palermitana (e il riverbero del mare e la luce specialissima e il fluire di tante rondini), e in bocca il sapore di un cannolo che… meritava, altroché!
    Grazie per aver evocato Cosimo Di Maria, la sua mano che traccia con struggimento una figura fatta d’aria.

  153. Sì, carissimo professor Emilio, è proprio vero quanto ha detto a proposito della profezia. A volte c’è come una predestinazione, la scrittura di un destino nel momento in cui certe parole vengono pronunciate; nel caso di Vincenzina è la maledizione del prete: il prete ha maledetto e s’è maledtto, e ora, ora che si trova in quell’altro mondo, quale giubilo ne può trarre? Le parole sono state dette, bisogna che qualcuno paghi: “Fino alle settima generazione”.
    E’ dunque necessario che ci sia uno che raccolga la “cutra” e se la butti sopra le spalle. Certo, può anche avvenire che ci sia la contro-profezia e la morte venga bellamente beffata. In ogni caso, le parole dette tracciano una strada, e qualcuno sarà spinto nel solco di essa e dovrà necessariamente andare avanti, seguirla fino alla fine, fino alla morte. Non è fatalismo, rassegnazione, no, è come se ci fosse una mente onnisciente che abbia già preannunciato l’evento e lanciato l’avvertimento: state attenti!
    Ma attenti a che?
    E si continua a vivere senza preoccuparsi di rimanere incagliati nelle spire delle parole dette.
    Grazie per aver definito “classico” il mio libro, professore. E’ un onore. Spero tanto che la lettura di esso le abbia riservato dei momenti di gioia, quella semplice che nasce dall’avere tra le mani un libro che in qualche modo ci parla.

  154. Cara Andreina, grazie per le parole che mi riporta, per l’apprezzamento di suo marito: ne sono contenta, vuol dire che la Sparviera ha trovato il modo per coinvolgerlo nella sua storia e non annoiarlo.

    E’ bella la sua domanda: che rapporto c’è tra la pratica della scrittura e la cura del dolore interiore. Un rapporto forte, fortissimo direi. La penna è strumento di scandaglio, s’insinua dove il male è più forte, raggiunge l’infezione, la virulenza, ed è lì che opera, talvolta tagliando come un bisturi, talaltra spalmando unguenti per togliere l’infiammazione.
    Ho scritto la Sparviera durante un post operatorio durato tre mesi: male dentro e male fuori, rifare i conti con la vita, non è poco. Perciò posso dire che la scrittura mi ha aiutato a guarire, a mettere in luce ciò che tendeva a restare in ombra e che dunque faceva più male, perchè è nello scuro che si addensa lo sconosciuto più aggressivo: finché illumini, finché chiarifichi, soffri, ma ti doti, anche, della forza per guarire.

    Scrivere il proprio dolore significa oggettivarlo, tirarlo fuori, guardarlo, trattarlo come “altro da sé”, e già nel fare ciò si comincia a guarire.
    Questa è la mia esperienza, che credo possa valere anche per alcuni altri.

  155. Cara Francesca, è appunto l’impossibilità, come tu perfettamente scrivi, a rendere possibile il coltello che scava dentro di noi, a permettere l’approfondimento, lo scandaglio, l’analisi e la parola, il tutto per ricreare l’amato, per avercelo a portata d’occhi e di bocca, per sentirlo come vorremmo che fosse, per averlo come forse non potrà mai essere. E’ vero che nell’amore impossibile c’è il punto di separazione che schiude alla tragedia: è tragedia già il fatto di non vedersi più, per esempio, di non parlarsi, non scorgersi da lontano, non ricevere più una lettera, una e-mail – per restare nell’attualità evocata da Stefano. E’ la mancanza che fomenta l’amore, la privazione che induce talvolta al colpo d’ala che segna l’inizio della tragedia.

  156. Sai Linda, quello che mi piace avvenga, ogni volta che scrivo, è di trasmettere sulla pagina il film che scorre nella mia mente. E’ tutto lì: la cura nel tracciare i dettagli, nel restituire suoni e odori, nell’evocare il caldo o il freddo, la pioggia, il vento fastidioso. E’ importante, cioè, che il lettore venga coinvolto attraverso tutti i sensi e sia con me dentro la storia. Perciò sono contenta di quello che mi scrivi, vuol dire che il “film” è passato sulla pagina e con la stessa carica emotiva che ha per me.
    I personaggi hanno tutti un posto nel mio cuore, anche i più turpi, come Verra o Licata, segnano il passo della tragedia, scandiscono la progressione dei fatti, la sequenza dell’ansia. Gioconda e Vincenzina sono quelle che invece scrivono la vita quotidiana, l’essere donne in un contesto familiare, in una coerenza di gesti che poi la mano del Pazzo stravolgerà.

  157. Sì Ettore, sono gabbie mentali quelle che chiudono i personaggi di questa storia, anche se poi, però, subentra la rabbia ed è quella la cesoia più forte che permette alla griglia di saltare. Credo infatti che ci si acquieti dentro una gabbia quando la vita non ha sussulti, quando si accetta una condizione perché si crede di non poterne fare a meno, quando non si ha la forza di combattere la soverchieria. Poi, però, irrompe la violenza della vittima che non ne può più di essere vittima e allora salta tutto, per questo poi si arriva alla tragedia, anche se talvolta, per fortuna, rompere la gabbia significa eludere la tragedia e davvero conquistarsi la libertà.

  158. Cara Tea, mi sono appena immersa nella lettura della Sparviera che ho scoperto proprio attraverso il dibattito su questo sito. Il corriere mi ha consegnato il suo libro venerdì e stamattina ho iniziato a leggerlo. Sto vivendo nel mondo che la sua penna ha tratteggiato e che mi attira come un bellissimo gorgo di parole. Grazie.

  159. Grazie a lei, Lucrezia. Spero che la mia Sparviera riesca a incantarla. L’aspetto qui, se vuole, a fine lettura.

  160. La stanza del sole:

    “La precede lungo un corridoio stretto, quasi buio, che sa di mele e di vino, di noce moscata: un odore di frutti che maturano nell’ombra e nell’ombra sprigionano sentori d’autunno. Perciò, poi, deve chiudere gli occhi per l’impatto forte con la luce. Non una luce violenta, no, piuttosto una luminosità dorata che le tende, anch’esse del colore del sole, fanno d’una gradazione più vicina al miele, e che i quadri – gli innumerevoli quadri alle pareti che tutti raffigurano l’estate – moltiplicano e come ravvivano. Vicino a una delle finestre c’è una specchiera su cui si riflette il solo dipinto che raffigura il mare. In tutti gli altri è la campagna che predomina coi suoi campi di grano, le spighe, i girasoli, i papaveri e il sole, un gran sole che magnifico splende”. (pag. 216)

  161. Letti l’intensa, calda recensione di Simona Lo Iacono e parecchi interessantissimi interventi dei lettori, sono davvero attirato da questa prova narrativa di Tea Ranno sulla natura, le dimensioni, gli intrecci, gli ingorghi sia dell’amore reale sia di quello cercato, sognato.
    Che bella questione, Massimo!
    Che cos’è anzitutto l’amore reale?, mi chiedo spesso, dal momento che l’amore sognato è la vis, la forza creativa per eccellenza, quello da cui sgorga la poesia più alta, quello senza il quale le cose perdono di significato, riducendosi a meri momenti meccanici, carnali, o anche passionali, dove la sete di eternità, immortalità, trascendenza, svanisce sulla terra, quasi naufragando.
    Ne deriva che dal naufragio dell’amore reale, quello cioè che scaturisce dall’istinto sessuale e dalle regole (esigenze) della natura e perfino dalle imposizioni della società, che si eleva il sogno dell’amore. Quello appunto sublime, indispensabile alla vita.
    Secondo me, ovvio.
    Un ad maiora! a Tea Ranno e un saluto cordiale a tutti. A. B.

  162. Carissima Straordinaria Tea,Straordinaria perché ci hai fatto un grande regalo con la “Sparviera” del tuo libro che,nonostante tutte le vicissitudini, alla fine si è liberata dai doveri,pregiudizi,dalle violenze per coronare il tanto agoniato “Amore” e raggiungere il suo Amato Filippo.Non è un finale a lieto fine per noi comuni mortali,ma chi ha fede e crede nell’aldilà è qualcosa di veramente straordinario ecco perché tu sei Straordinaria. Solo tu potevi,attraverso fonti di fatti veramente vissuti,esprimere con sviscerati sentimenti, il senso del vero ”Amore” che oggi,ho l’impressione sia un po’ superficiale ed evanescente. Nel tuo libro si va incontro ad un passato remoto,fatto di ingiustizie per il periodo storico di cui la protagonista attraversa con tutti i dettami in cui la patria podestà e la sottomissione della donna non ha limiti ne rispetto. Credo di avere amato da subito questo romanzo. E’ stato proprio nel momento in cui,con la Rappresentazione dei Pupi ,che mi sono sentita coinvolta,anzi travolta nella vicenda di “Vincenzina” . Questa storia oltre ad appassionarmi mi ha fatto riflettere ,ma anche se i tempi sono cambiati,se ci fosse una “lente” particolare che lasciasse trasparire i vari problemi della vita (in generale),sai quanti “SPARVIERI” si vedono librare nell’aria per sciogliersi dalle catene dei pregiudizi che logorano l’uomo. Ti auguro un mondo di bene e scusami se non ho approfondito sul tuo capolavoro,mi riprometto di discuterne con te quando verrai in Sicilia,ma soprattutto colgo l’occasione per gustarmi la cultura che emani da tutto il tuo essere. Baci!

  163. Ciao Massimo, ciao Simona, ciao Tea. Un saluto a tutti da Berlino. Non ho partecipato alla discussione proprio perché mi trovo all’estero. Ma vi penso e ci tenevo a mandarvi un saluto da un internet point del centro.

  164. E’ vero Ausilio, l’amore sognato è la forza, l’impeto che permette la poesia, la scrittura, ma anche la trasfigurazione della carnalità, un dare a essa caratteri misteriosi, recondite possibilità. L’amore sognato è quello che mantiene la febbre, che attribuisce valore ai dettagli, che cura e trasfigura, e non fa morire, mai, neppure quando giunge la tragedia, perché quell’amore è più forte della tragedia, più forte del male, di ogni violenza.
    E’ dal naufragio dell’amore reale che si eleva il sogno, dice lei. Sì, può darsi. A me piace pensare che l’amore sognato, invece, nobilita l’amore reale e attribuisce a esso caratteri che lo rendono prezioso, degno di essere vissuto e non svilito.

  165. Carissima Martina, che belle cose mi scrivi. Sai, pensavo – quando scrivevo il romanzo – che la Sparviera fosse una storia “per signore”, troppo diversa dalla realtà in cui vivete oggi voi ragazzi, troppo pudica, piena di costrizioni, impedimenti, sospiri, languori, sogni… insomma, cosa che ormai fa ridere. E invece mi stupisco nel constatare che sono molte le ragazze come te che mi scrivono con entusiasmo della mia Vincenzina. E addirittura mi dicono che si riconoscono in lei, perché lei vive l’Amore, e lo vive non da perdente, come a prima vista potrebbe sembrare, ma da vittoriosa, da donna di ferro che riesce a superare ogni ostacolo e a relizzare, comunque, il suo sogno.
    Sono contenta che il libro ti abbia dato spunti di riflessione, che non si sia ridotto a una semplice storia da leggere e poi dimenticare. E’ vero, ci sono tante Sparivere oggi, ma anche tanti Sparvieri, tanti uomini che lottano contro il pregiudizio, la privazione della libertà, la negazione della dignità. Si potesse guardare oltre le apparenze, sì, quante persone in difficoltà si scoprirebbero, persone che hanno l’umiltà del silenzio, ma anche la costrizione del bavaglio, persone che scelgono di non parlare e persone che sono obbligate a non parlare. E le omertà degli altri, i silenzi vigliacchi, la resa di chi non ha il coraggio di imporsi sulla violenza…
    Un abbraccio forte forte, Martina, e, appena vengo in Sicilia, una bella chiacchierata davanti a una brioche col gelato. O a una bella granita.

  166. La sposa vermiglia è un romanzo stupendo che bisogna leggere lentamente per poterne assaporare tutta la bellezza.
    La magistrale scrittura, i contenuti profondi, la sottintesa psicologia dei personaggi così ben delineati, hanno bisogno di essere assorbiti; alcune pagine addirittura rilette come per volersele imprimere nella memoria.
    Una storia vera, appassionante, molto difficile che solo una grande scrittrice ha potuto far rivivere.

  167. Carissima Tea, rieccomi! Mi tuffo con rinnovato entusiasmo in questo splendido ed eccezionale dibattito e adesso provo a rispondere alle domande di Massimo:
    1. È più la negazione a dare forza all’amore, o è la sua autenticità?
    L’amore se è negato rimane sul piano del sogno e, se è troppo sognato, difficilmente si adegua all’amore comunemente incontrato nella realtà. Perciò finché è sognato sopravvive intatto, con tutta la sua forza. Finché è negato non può misurarsi col logorio della quotidianità. L’amore concreto è un’altra cosa, si distacca dal sogno e scende con i piedi per terra, accetta compromessi e limiti, ciò lo rende vero, autentico, “terrestre”.
    E forse proprio questo stesso amore, carnale e di possesso, trasforma in omicida chi non ha mai conosciuto altro e non è mai stato capace di sognare.

  168. 2. Amore sognato e amore reale.
    In quale punto convergono? O in quale luogo? (Può essere la scrittura il luogo?)
    Ahimè, ribadisco: amore sognato e amore reale non possono mai coincidere ma possono convivere in due luoghi diversi: nella scrittura (e nella lettura) l’amore è come noi lo sogniamo; nella vita l’amore è da prendere con tutti i suoi “spigoli” di materialità.

    3. Vincenzina e Filippo Gonzales non si scambiano neanche un bacio, eppure sono una delle figure più forti e struggenti di amanti che la letteratura ci abbia donato.
    Allora, si può essere amanti senza mai unire i corpi? E cos’è essere amanti?
    L’amore sognato è puro e perfetto, è ciò che unisce le anime, è con – fusione di intenti e desideri. Si è amanti di un sogno, amanti dell’amore che prende una sembianza, ma rimane eterea. È l’amore platonico, la forza divina che irresistibilmente attrae l’oggetto distante, è “l’amor che muove il mondo e le altre stelle”. Ciò riesce assai bene finché si rimane distanti, sul piano spirituale e teorico. I dolori iniziano scendendo al piano materiale e tentandone … l’applicazione pratica.

  169. 4. È quanto dice Besson? “Essere amanti è questo: usare le stesse parole per parlare delle medesime cose senza aver mai sentito l’altro usare quelle parole” (Philippe Besson, “Un amico di Marcel Proust”)?

    Su questo punto invece sono pienamente d’accordo. Però la piena sintonia è un traguardo difficile che passa attraverso un lungo percorso di condivisione e si raggiunge solo se c’è la ferma volontà di proseguire uno accanto all’altro, nonostante tutto. Ci si perde e ci si ritrova così tante volte da smussare infine tutti gli “spigoli” di cui sopra. Solo allora si passa alla con-fusione concreta, quotidiana, reale, con l’altro. Quando si riesce ad accettare i limiti (e i difetti), propri e dell’altro, con umiltà, come se fossero un dono prezioso di unicità irripetibile, allora si diventa davvero una sola persona.

  170. 5. Se essere amanti si gioca sul piano delle parole… la scrittura è un amante?
    La scrittura è un amante furtiva che può insinuarsi e rubare tempo e attenzioni, oppure si può trasformare in oggetto d’amore condiviso, come un figlio da far crescere insieme.

    6. Il cosiddetto matrimonio d’interesse (scelto o imposto che sia) è solo un “retaggio” del passato, o trova ancora riscontro ai nostri giorni?
    Purtroppo guardandomi intorno mi accorgo che l’aridità si sta diffondendo terribilmente, e dovunque ci sia crisi di valori subentra il calcolo, anche fra i giovanissimi.

  171. Infine vorrei rispondere a Tea sulla “matriarcalità”:
    credo che le donne vere siano da sempre depositarie di una grande forza che consiste nel saper modulare il raziocinio con l’emotività.
    Le nostre nonne non si vergognavano di portare baffi e rotoli di ciccia, sapevano di possedere un potere ben più grande dell’apparire, erano il deposito dei valori incrollabili, il punto di riferimento, la fonte di saggezza indiscussa, le custodi del sentimento che teneva unita la famiglia. Esercitavano il loro dominio indiscusso dalla cucina deliziando i loro uomini, “riempiendoli” e inchiodandoli al godimento.
    Era amore, ma era anche potere.
    Il femminismo ha spazzato buona parte di tutto questo. Il postfemminismo ora ci impone di uniformarci quantomeno a cliché botulinici. Le nonne si strizzano nei pantacollant delle nipoti, i nonni indossano pancere, parrucchini e moto ruggenti. Le fiabe non le racconta più nessuno.
    Le ragazze di oggi mi sembrano in buona parte impaurite, schiacciate da modelli inarrivabili di donne plastificate, e molto spesso sole. Ne incontro tante, a scuola e fuori, trincerate dietro gli auricolari degli i-pod. Parliamo molto, quando abbassano la guardia diventano avide di confronto. Credo che le buone letture (che fiaba magica, incantata e possente è “La sposa vermiglia”!) possano costituire un valido appiglio, un’ancora di salvezza in questo moderno oceano di solitudini, un sostituto assai valido a quegli antichi pilastri che abbiamo demolito imprudentemente, anche ad evitare che il mondo, prima o poi, ci caschi addosso.

  172. Grazie Carla, è una storia complessa, sì, che indaga i sentimenti e ha bisogno di lentezza per essere assaporata. Anche se molti mi dicono che leggono tutto d’un fiato. Ma a ognuno il suo metodo, il suo approccio con la storia.

  173. Bellissimi i tuoi commenti, Elvira, te ne ringrazio molto. E’ vero, le nostre nonne non si vergognavano del proprio corpo, non lo costringevano a digiuni per farlo stare in un vestito ragazzino, non si dipingevano la faccia e non passavano le ore dal parrucchiere, eppure intorno a loro girava la famiglia. Per quanto gli uomini tendessero a imporre una legge, esse, poi, trovavano il modo per disattenderla. Erano l’anima della casa, quelle che sapevano quando parlare e quando tacere, che intuivano con uno sguardo l’umore del marito e sapevano come comportarsi. E’ anche vero, però, che erano consapevoli di essere libere nel cerchio di una prigione: la casa, la famiglia, le convenzioni, chi sgarrava finiva per strada. Anche nelle famiglie colte. E poi era sempre l’uomo che aveva diritto di parola, la moglie integrava, semmai, il discorso.
    Oggi sì, le ragazzine sono avide di confronto, hanno bisogno di una concretezza che non trovano nelle modelle di plastica, hanno necessità di sentimento, di un amore che non sia soltanto svendita del corpo, e soprattutto – per quello che posso constatare – hanno bisogno di sentirsi parte di una società che le accetti, non per gli innumerevoli oggetti elettronici di cui si circondano, ma per quello che sono, con i limiti e le paure, le ansie, e soprattutto il bisogno di amore.

  174. Ho da poco finito di leggere La sposa vermiglia , e mi pare di sentire ancora sulla pelle il calore del sole e del vento di scirocco, i profumi i colori e una sensazione di dolcezza e languore che non ho mai provato con altri libri. La grandezza di questo romanzo per me è proprio nel farti sentire, fin dalle prime pagine, non un semplice spettatore delle vicende narrate. ma completamente partecipe della storia , anzi dentro la storia stessa…nelle stanze fresche e ombrose di palazzo Sparviero a condividere le emozioni, le sofferenze e le pene d’amore di Vincenzina, sentendo l’ineluttabilità di un destino che è già scritto e contro il quale vorremmo lottare con tutte le nostre forze. Bellissima la narrazione di questo amore che si nutre di sogni, di sguardi furtivi, di emozioni meravigliose, che nasce e divampa pur senza il minimo contatto fisico tra i due innamorati, e forse proprio per questo ci cattura e ci prende facendoci arrivare tutto d’un fiato alla fine della vicenda. “

  175. Quando leggo un romanzo mi capita di cogliere in esso un significato, una chiave di lettura, uno spunto (magari affidato ad una sola parola “chiave”) che tocca le corde in profondità. “La sposa vermiglia” è un romanzo bellissimo: dalla prima parte che si snoda attraverso la conoscenza dei luoghi (sembra di sentire il profumo della terra di Sicilia), dei personaggi (la protagonista, fra tutti, disegnata minuziosamente) del linguaggio (le frasi in dialetto che rendono più reale la narrazione) degli usi e costumi dell’epoca (che prendono spunto da fatti vissuti), ad una seconda parte in cui il ritmo accelera, diventa più incalzante, quasi come quel vento impetuoso “che non fa parte del copione” ma che spinge il lettore a concludere il romanzo, divorandolo tutto d’un fiato. In questo contesto una parola (la mia chiave di lettura) ha raccolto in sé la grandezza della protagonista e dell’intero romanzo: VOLO, lo voglio, espressione imposta dal rituale sacro, espressione imposta dall’obbligo di obbedienza a regole imprescindibili che Vincenzina stessa si è dettata, e parallelamente, anzi, in antitesi, VOLO, spicco il volo, rifiuto quelle medesime regole che mi hanno impedito di vivere la vita desiderata, divento la Sparviera per andare in cerca di una libertà mai vissuta. Penso che ciascuna di noi donne (almeno a me è accaduto) possa ritrovarsi in questa figura femminile, vissuta a metà degli anni Venti ma assolutamente contemporanea, nel suo essere mansueta, vulnerabile ma allo stesso tempo tenace e perseverante, nel suo voler credere con forza in un sentimento, nemmeno sperimentato, che le ha dato il coraggio di scegliere. Concludo dicendo che, al termine del romanzo ero dispiaciuta…non avrei voluto che fìnisse. Grazie Tea, per averci regalato questo capolavoro.

  176. Un saluto al volo e un ringraziamento a Tea e agli autori dei nuovi commenti.
    Un dibattito davvero ricco di approfondimenti, questo dedicato alla “Sparviera” di Tea.

  177. Grazie per quello che scrivi, Daniela.
    Raccontare la storia di Vincenzina, per me, è stato entrare nel cuore delle donne che la vita non lascia libere di scegliere. Un bisogno di capire quanto le imposizioni esterne siano limitanti, e quanto, invece, il coraggio possa essere dirompente. C’è un momento in cui ogni recinto, ogni carcere diventa impossibile da sopportare e allora si tenta la fuga, che è quella del sogno, quando non ci sono alternative possibili, e quella del corpo che materialmente si libera da ogni laccio quando la prigione non si può sopportare più. Una libertà anche a costo della vita. Ma non è a questo destino a cui spesso vanno incontro tante donne? Il famoso “femminicidio” di cui tanto si parla non è un tentativo di libertà impedito da uomini che si sentono padroni e dunque in diritto di disporre della vita e della morte delle loro vittime?

  178. Sì Angela, è proprio VOLO la parola chiave, il volo è l’essenza di tutto il romanzo, anche perché, chiamando “Sparviera” la mia protagonista ho dato a essa il destino di una creatura d’aria, capace di continui voli con la fantasia, di straniamenti che la portano oltre la realtà gretta in cui si trova a vivere. Ed è proprio quando Vincenzina diventa Sparviera – smettendo di essere la palombella docile che tutti vedevano in lei – che il suo destino si compie, perché gli uomini – certi uomini – hanno paura delle donne libere e dunque fanno di tutto per chiuderle in una prigione, rifulgente d’oro, nel suo caso, ma sempre prigione. Un destino che si compie proprio attraverso la parola “volo”, intesa nell’accezione latina di “lo voglio” nella formula matrimoniale pronunciata in chiesa, ma anche di volo come colpo d’ala verso la libertà.
    E’ vero, molte donne (ne ho avuto conferma attraverso i commenti che mi sono giunti e che continuano a giungermi) si ritrovano in Vincenzina, perché l’amore che vive lei è l’amore che tutti, almeno una volta nella vita abbiamo sperimentato: un sentimento potente, fatto di sguardi e di mezze parole, di attese, di delusioni, di repentini battiti del cuore, di quella dolcezza che viene quando s’intravede la persona amata e le si vorrebbe raccontare questo mondo e quell’altro e invece non si riesce a spiccicare manco una parola.
    Grazie Angela, un abbraccio.

  179. Gentili Massimo e Tea,
    permettetemi di rivolgere un caloroso apprezzamento a Simona Lo Iacono per il suo punto di vista espresso nel dossier “Le nuove regole della fedeltà” pubblicato nella rivista Psychologies di maggio.
    A proposito, condivido la sua affermazione “L’infedeltà, paradossalmente, ci riconsegna a noi stessi”.
    Grazie, cordialmente, A. B.

  180. Sto iniziando a leggere “La sposa vermiglia” incuriosito da questo dibattito. Le aspettative erano molto alte, ma la lettura delle prime 50 pag. le soddisfano tutte. Sono certo che sarà così anche per il seguito.

  181. Avrei una domanda per Tea (mi permetto di dare del tu).
    Quali sono le tue letture favorite? Con la lettura di quali romanzi si è formata la scrittrice Tea Ranno?
    Complimenti e saluti.

  182. Certo che ci possiamo dare del “tu”, Claudio.
    Le mie letture: amo molto la Némirovsky, Magda Szabò, Maugham, Simenon, Marai, Tolstoj, Cechov, Flaubert, Arpino, Landolfi; sono innamorata di Rosetta Loy e della Morante, di Lalla Romano, della Yourcenar. In quanto alla mia formazione: Stefano D’Arrigo, Vittorini, Brancati, Patti, De Roberto, Sciascia, Pirandello, Bufalino, Tomasi Di Lampedusa. Questi gli autori che adesso mi vengono in mente, e poi le infinite altre letture che continuamente mi nutrono. In questo periodo, come credo emerga dai miei interventi, sto leggendo Jung, ma anche Romana Petri, anche Bonaventura Tecchi e il Mann de “La montagna incantata”.
    In quanto al tuo approccio con “La sposa vermiglia”: è terribile quando si comincia a leggere un libro con aspettative molto alte… il rischio di restare delusi è altissimo. Incrocio le dita.

  183. Carissimo Ausilio, grazie di cuore per il tuo apprezzamento!
    Carissima Tea, cara sparviera, i commenti che precedono sono tutti bellissimi, e dicono tanto dell’anima di questo libro.
    Vorresti lasciarci un altro pezzetto di te? Un altro brano che ci faccia accarezzare ancora Vincenzina?
    Mille baci da questa notte stellata!

  184. Desideravo ringraziare e salutare gli autori dei comemnti pervenuti in questi ultimi due giorni, a partire da: Lucrezia, Ausilio Bertoli, Martina, Amelia Corsi, Carla Pillot, Elvira Siringo, Daniela Tiberi, Angela Tiber, Claudio.

  185. Un ringraziamento speciale, ancora una volta, a Simona e – ovviamente – a Tea.
    Credo che la Sparviera ci abbia davvero donato una grande occasione di scambio e di confronto.
    E spero che il dibattito possa ancora offrire ulteriori spunti…

  186. Cara Tea,
    desideravo porgerti un paio di domande sulla tua attività di scrittrice (e sulle tue abitudini di scrittura).
    Eccole…
    – C’è un momento della giornata che dedichi prevalentemente alla scrittura (la mattina, il pomeriggio, la sera)?
    – Quando inizi a lavorare a una storia, in genere, scrivi ogni giorno… o procedi “a singhiozzo”?

  187. Sai Tea hai proprio ragione, ognuno con i suoi tempi. Io sto rileggendo “La sposa vermiglia” e, forse per la fretta di finire, nella prima lettura non ho colto molte sfumature, ma adesso ho come la sensazione di assaporare ogni parola, ogni descrizione, sentire e partecipare ai dialoghi. La prima volta l’ho letto col cuore e con la passione, adesso lo leggo col cuore, con i sensi e con la ragione.

  188. Mia cara Simo, avevo risposto anche a te, a quel bellissimo commento sulla fragilità, ma il commento non lo trovo, così provo a riprendere i fili di quel discorso.
    Quella di Vincenzina è la fragilità del corpo che non accetta l’ubbidienza e si ribella accanendosi proprio su se stesso. Spesso capita che la rabbia, la delusione, l’amarezza sfoghino sullo stomaco, sulla pelle, sulla testa, provocando dolori forti e difficili da guarire. E’ dunque una debolezza del corpo “malato” che non sa come gridare il suo dolore e se lo riversa addosso, soffrendo per dare a esso voce. Nello stesso tempo, però, quello di Vincenzina è un modo di vivere: la solitudine, la fantasia, il sogno, una realtà fittizia che si sovrappone a una quotidianità dura da accettare, tutti elementi che permettono di dare a quella realtà connotati nuovi, un senso più pregnante.
    E’ una sguardo diverso, hai ragione Simo, un guardare alla vita con una fame diversa, fame di bellezza e di candore, di un amore che si faccia vita per davvero.
    Bellissimo il riferimento a Quasimodo, che amava della fragilità umana “il suo essere nuda, vestita di niente (…) Polvere di strada che il vento leva appena il suo perdono”. Grazie Simo.

  189. Veniamo alle tue domande, Massimo.
    Scrivo ovunque, sulla metro, alla Posta quando sono in fila, nella sala d’attesa del medico, in macchina, in treno. E’ una scrittura a mano, sul taccuino, che mi aiuta a fermare un’idea, una possibilità di dialogo, un’intuizione che poi darà vita a pagine più lunghe e complesse. Questo mi capita quando la storia è nel suo compiersi. Poi, appena le pagine sul taccuino cominciano a essere numerose e sostanziose, ha inizio il lavoro vero, quello al computer: soprattutto la mattina. Copio le pagine scritte a mano facendone una sorta di canovaccio che poi vado via via riempiendo, dividendo in capitoli, organizzando per tempi, personaggi, ambienti.
    Non seguo nessuna scaletta, anzi, mi piace procedere “al buio” lasciando che la storia sorprenda me per prima.
    Poi, finita la prima stesura, comincia il lavoro durissimo sulla lingua. Ogni frase deve “suonare”, ogni parola deve essere precisa – dotata di quel preciso significato – ma anche armonica, capace , cioè, di inserirsi in un contesto metrico che dia ritmo alla narrazione. Questa è la fase più intensa: ho già la storia, ho già la suddivisioni in capitoli, ho già un epilogo, si tratta quindi di dare al romanzo, anche una “veste sonora”. A questo punto, su una pagina posso lavorare anche una settimana, tornarci dopo un mese e restarci giorni e giorni, fino a quando la lettura non scorre come acqua.

    Quando lavoro a una storia, scrivo sempre, ogni giorno. Poi, però, mi capita di fermarmi, per raccogliere altre emozioni. E’ così, infatti, sono le emozioni la benzina che fa camminare la mia scrittura: se non partecipo emotivamente, i personaggi restano appiccicati sulla pagina, figurine di carta che non riescono a saltare fuori e giungere al cuore di chi legge.

  190. Grazie Linda, che belle cose mi scrivi. Non solo leggere, ma anche rileggere. Però è vero, la prima lettura è spesso guidata dal bisogno di sapere “come va a finire”. Una rilettura permette di cogliere meglio i vari passaggi, le sfumature psicologiche, gli indugi sul paesaggio che diventano anche tempi di riflessione.

  191. Cara Tea, grazie mille per la tua splendida risposta… da cui si evince la grandissima cura, nonché la passione, che nutri per la parola e per la scrittura.
    Davvero bellissimo il riferimento alla “sonorità” delle frasi e di ciascuna singola parola.
    Brava. Brava davvero!

  192. Grazie a te, Massimo, per aver ospitato la mia Sparviera in questo tuo bellissimo blog.
    E grazie a tutti quelli che hanno animato il dibattito con le loro osservazioni e i loro commenti.
    Una buona serata.

  193. Ciao Tea, ciao a tutti.
    Il libro non l’ho divorato, l’ho pasteggiato. Era per me la tua scrittura sapientemente “antica” un continuo passeggiare tra piazze e cortili, tra atmosfere e ricordi che afferiscono ad un passato comune.
    Tutti i personaggi sembrano venire, volutamente, dalla cornice del Decameron. Non hanno impegni, non si imperla di sudore la loro fronte. Stanno tutti economicamente bene. Mancano i cafoni ed i braccianti, i “viddani” della Melilli degli anni ’20. Solo pochi personaggi, in subordine, appartengono ai ceti più disagiati ed affamati e sono comunque portatori di saggezze “altre”, come Niluzza. Sembra evidente che sia questo il contesto migliore dove parlare di amore…al di là degli affanni della sopravvivenza.Ma siamo sicuri che sia l’amore il vero punto focale del romanzo? Per me il romanzo, così ben costruito su arcate classiche, sebbene sfalsato continuamente tra anticipazioni e ricordi, tra analessi e prolessi, è incentrato su una storia di violenza.
    Vincenzina è la vittima sacrificale di una famiglia che la immola per sete della ricchezza infinita, pur non vivendo certo in difficoltà. La immola don Antonio, vile servo del dio denaro. La immola la protervia dell’oscurantista “vossia” Lucio. La immola il disinteresse del figlio maggiore, troppo distratto dall’America. La immola la madre, divisa tra le sue paure e quel voler conservare le apparenze, quell’attenzione all'”occhio sociale” così ben osservata in tutti i paesini del mondo. La immola il ricordo della morte della sorella ed il senso di colpa che ne deriva. La immola l’immondo Orazio Licata, fascista, violento, frutto perverso di quelle “iene” e di quegli “sciacalli” che la migliore letteratura siciliana ha predetto e raccontato.
    La immola infine anche la figura dell'”aiutante”, il ben giovine figlio dei Gonzales. Un giovane incapace di sottrarla al suo segnatissimo destino tragico. Quel Filippo, incapace di agire nei momenti in cui occorreva farlo. Quel Filippo, incapace di sottrarla a quell’improvvida sventura. E che ritorna quando oramai è troppo tardi.
    Vincenzina vive il “suo”dramma nella solitudine del suo amore, in quell’impossibilità di manifestarlo e persino narrarlo (se non alla complice cugina Gioconda…nomina numina)
    Lasciata sola la “sparviera/spruvera” soccombe senza piegare mai il capo. Osservando sempre il mondo dall’alto del suo balcone in giù. La sua è la storia di tante, troppe donne. Che con modi e forme diverse, pagano con la loro vita il non piegarsi al potere altrui. Al potere dei maschi, ma anche delle tante altre donne, che non sanno proteggere le vittime in un cerchio solidale.
    Vincenzina non si lascia sporcare da nulla. Difende la propri verginità allo stremo. Simbolo e metafora della propria integrità da quel mondo. Ed ha tutti i crismi della figura cristologica. E come donna “cristofora” è anche portatrice di salvezza, anche attraverso la sua morte. Purifica e salvifica.
    E ci ha donato la sua storia, grazie a Tea, capace di tirar fuori dalla memoria collettiva, le storie che non si ascoltano più, nella Melilli troppo piena di cellulari e nuove mode.
    Grazie per questo bellissimo romanzo e spero di non essere “troppo”oltre il tempo massimo!

  194. E’ vero, Antonio, quella di Vincenzina è la storia di troppe donne che pagano con la vita il non piegarsi al potere all’ultrui, all’altrui volere; donne che vogliono mantenere intatta la dignità e si sottraggono alle umilianti forme di possesso che spesso vengono imposte “per il loro bene”. Troppo lungo sarebbe l’elenco di quelle che vengono soppresse perché si ribellano. E troppo umiliante il riferimento a chi potrebbe evitare la tragedia e non lo fa. Per paura? Per un malinteso senso del rispetto? Di quelle regole non scritte che sono più imperative di un intero corpo di leggi? A ognuno la sua ragione, la sua omissione.
    Grazie per questa tua lettura così precisa, competente, e anche appassionata. Un abbraccio

  195. Ancora una volta grazie a Antonio Micciulla per il suo bel commento. E grazie alla splendida Tea per le sue successive considerazioni.
    La “Sparviera” continua a volare…

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