Sull’onda del filone “letteratura e infanzia, letteratura e adolescenza”, affrontato anche in altri post (vedi qui, qui, qui e qui) ne approfitto per presentare un’ulteriore piccola casa editrice – la Leconte – e uno degli autori del suo catalogo. Si tratta di Attilio del Giudice (1935), casertano, che vive a Santa Marinella (Roma). Del Giudice è stato pittore e filmaker, ha militato nei gruppi d’avanguardia attivi nella ricerca visiva degli anni 70 e 80 (alcuni suoi filmati sono stati selezionati per l’Archivio Storico delle Arti Visive della Biennale di Venezia e sono stati oggetto di studio e di esami al Dams di Bologna e nel corso di Storia del Cinema presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trieste). Dopo le raccolte di racconti (Eventi Precipitati, Storie Terrestri e Non), è approdato al Romanzo nel 1998 con Morte di un Carabiniere (ed. Minimum Fax), ha pubblicato, poi, nel 2000 Città Amara (ed.Minimum Fax), nel 2004 Bloody Muzzare’ (ed.Leconte) e nel 2006 La Vita Incagliata (ed. Leconte).
Oggetto di questo post è, appunto, il suo romanzo più recente (La vita incagliata): il protagonista è un ragazzino del Sud, figlio di un camorrista. Ce ne fa cenno lo stesso Del Giudice, qui di seguito.
Seguiranno alcuni brani estratti dall’opera e una recensione di Sergio Sozi.
Considerati anche i precedenti post che hanno affrontato il tema letteratura e infanzia o letteratura e adolescenza ne approfitto per lanciare un dibattito collaterale a quello che avrà per oggetto questo libro.
Vi domando: fino a che punto la letteratura è in grado di cogliere il disagio di infanzie e adolescenze turbate, se non dilaniate, dalla ferocia di certi ambienti sociali?
(Massimo Maugeri)
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di Attilio del Giudice
Ho pubblicato La Vita Incagliata (ed. Leconte) nell’aprile del 2006, il romanzo, con una postfazione di Francesco Piccolo, è costituito da cinquantadue capitoletti. Qui, nello spazio, che Massimo Maugeri mi offre su Letteratitudine, ne propongo quattro, fra i primi. Spero che possano introdurre il mondo di Nino (il protagonista e narratore). Li faccio precedere da una breve nota, (fu richiesta dall’editore per un risvolto di copertina), che è, in qualche modo, una dichiarazione di intenti.
Caro lettore, forse, prima di acquistare e leggere questo libro, prima di fruire di una qualche qualità espressiva, vuoi sapere quali siano state le intenzioni dell’autore. Si sa che le intenzioni sono una piccola cosa fallibile e un romanzo, una volta scritto, aspira ad andare oltre e a camminare per conto suo, ma per quel po’ che possono valere, te le dico in due parole.Ho inteso parlare di un ragazzino di dieci anni e, attraverso il suo linguaggio,della sua condotta psicologica: le inquiete morbosità di adolescente, la levità, gli affanni; attraverso i suoi affetti e i suoi rapporti umani, ho inteso parlare di una comunità contadina, arcaica in alcuni riti e valori, ma brutalmente ammodernata dalla cultura del sopruso e della violenza. Un concentrato di drammatiche contraddizioni, un disagio nella vita civile che investe intere regioni del Mezzogiorno. Questo non era il mondo della mia infanzia lontana (altre, semmai, furono le lacerazioni), ma mi sono convinto che gli scrittori del Sud e anche i più umili facitori di storie non possono eluderlo, se vogliono rinforzare le esili e scabre ragioni della scrittura narrativa col peso della realtà e cercare l’incontro coi lettori su un terreno più sicuro.
a. d. g.
http://attiliodelgiudice.wordpress.com
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LA VITA INCAGLIATA
Maestre
1
Da dieci giorni abbiamo una nuova maestra. La nuova maestra parla tischitoschi, perché viene da una città dell’Alta Italia che si chiama Forlì, e tiene la faccia uguale uguale all’Arcangelo Gabriele che sta pittato nella chiesa di Santa Rita, subito entrando a destra.La nuova maestra ci ha detto che faceva giusto un anno da quando ammazzarono a Vincenzino Laquaglia e il fratello più grande nel bar California.
Vincenzino Laquaglia era un nostro compagno, un tipo vispo, che rideva sempre e faceva, di nascosto, le pernacchie al Signor Direttore.La nuova maestra ci ha detto che nessuno, delle otto persone che stavano nel bar California, ha dichiarato ai carabinieri di conoscere gli assassini e che noi dovevamo scrivere le nostre riflessioni.
Io ho fatto le riflessioni e poi ho scritto: “Chi sa, deve parlare! Se no, è scurnacchiato.”
Ho fatto subito subito, così, dopo, mi sono messo a penzare a lei, alla nuova maestra.
Io la penzo sempre alla nuova maestra. Per esempio, penzo che stiamo noi due soli in campagna, e io ci dico che mio padre ci dà un sacco di mazzate a mia madre. E quella volta che io ci ho detto a mio padre: “Mo la vuoi finire?” lui dicette che ci avevo mancato di rispetto e mi dette le cinghiate sulla schiena, che ne tengo ancora i segni.
Allora, la nuova maestra vuole vedere le cicatrici, io alzo la maglia e lei si mette a piangere e mi dà un sacco di baci dolci dolci.
Invece Michele, che è il mio compagno di banco, dice che la nuova maestra è troppo secca e che a lui ci piace di più la maestra che ci stava prima.
La maestra che ci stava prima era chiatta e gridava sempre e, quando si arrabbiava con uno di noi, si faceva rossa rossa e diceva: “Mo ci hai scassato a minchia!”Però a Michele ci piace di più la maestra che ci stava prima, perché, quando si sedeva, teneva sempre le cosce aperte, che si vedevano pure le mutande.
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Panna e cioccolata 2
Oggi è morta la nonna. Ieri sera stava una bellezza, invece, stanotte, nel tramente che dormiva, è morta. La mamma se n’è accorta per prima che non respirava più. Poi è scesa per preparare la zuppa di latte, café e savoiardi per mio padre, che è venuto a mangiare in cucina. Mia mamma piangeva e ha detto a mio padre: “E’ morta tua madre”. Mio padre subito s’è incazzato: “E che maronna, me lo dici mo che sto mangiando?”“E quando te lo dovevo dire? Io mo me ne so’ accorta”.
Mio padre ha finito di corsa la zuppa e poi è andato a vedere.
Mia nonna teneva settantadue anni. Cioè, lei diceva che teneva settantadue anni, ma mia madre dice che ne teneva settantasette. Però era molto scetata, e pure che era sorda come una campana, capiva tutte le parole, guardando il movimento della bocca, quando uno parlava. E tutte le volte che mio padre bestemmiava la Madonna, lei diceva: “Statti zitto, disgraziato, che Dio un giorno o l’altro ti fulmina!”
Io me lo aspettavo che Dio lo fulminava e ci penzavo sempre, specialmente quando pioveva e c’erano lampi e tuoni.Però, secondo me, Dio s’era un poco distratto, perché a mio padre non lo fulminava mai. Invece fulminai a Carmelo Cantatore, che stava raccogliendo le zucchine sotto la pioggia, se no marcivano. Carmelo Cantatore era uno bravo, con gli occhi celesti celesti e quando vedeva a mio padre, diceva sempre: “Don Alfo’, servo vostro, a disposizione, a disposizione!” Poi ho visto nella televisione che hanno fatto una legge per un tipo inzisto, che pure se ha fatto qualche reato, non deve essere punito. Allora, ho penzato che pure in cielo avranno fatto una legge che i tipi inzisti non devono essere puniti.
Mio padre è un tipo inzisto. Anzi, mo ti conto il fatto di don Salvatore, così si capisce che mio padre è un tipo inzisto pure lui.
Don Salvatore tiene un bar in paese in via Caduti sul Lavoro, dove ci sta la saletta del biliardo. Io ci vado qualche volta e mi metto a guardare i giocatori di biliardo, perché mi piace assai e appena mi faccio grande, voglio diventare giocatore di biliardo.
Sabato scorso, a giocare, ci stavano Murrone ‘u zuoppo e don Nicola Tariello, che sono due campioni e, ogni tanto, si sfidano e una volta vince uno e una volta vince l’altro e chi perde deve pagare o un café o un sanbittér.
Io mi ero preso un gelato di cioccolato con due palline, quelle che si fanno con la macchinetta e ci avevo fatto mettere pure un poco di panna e mi stavo allicreando a leccare e a guardare la partita.
A un certo punto, Murrone ha fatto un tiro veramente super. A tre sponde, ha preso il filetto e ha lasciato le palle impallate, che era una cosa sopraffina. Io mi sono un poco piegato sul biliardo per vedere bene come stava messo il pallino. Allora, don Nicola ha detto: “Guaglio’, levati alloca!” Io subito ho ubbidito, ma, nel fare la mossa di scatto, mi è caduto mezzo gelato sul tavolo.
“Mannaggia, non l’ho fatta apposta” ho detto io. Però, quelli, i giocatori, si sono un poco incazzati e hanno chiamato a don Salvatore per fare pulire il panno verde.
Don Salvatore, quando ha visto che là stava tutto sporco di cioccolata, ha detto: “Guaglio’ vattenne se no ti piglio a calci in culo!”
Il fatto che don Salvatore mi voleva pigliare a calci in culo, io ce l’ho contato a mio padre. Laperlà mio padre non ha detto niente, però ha fatto quella faccia brutta che fa quando sta con la luna storta e se la piglia con mia madre. Il giorno dopo, a prima matina, mi ha detto:”Guaglio’, vestiti, che dobbiamo uscire!”
“Dove andate a quest’ora?” ha detto mia madre.
“Sono cazzi nostri!” ha detto mio padre.
E così siamo usciti, io e lui. Lui camminava veloce e io ogni tanto mi dovevo fare una corsetta, se no rimanevo indietro. Siamo andati al bar di don Salvatore che apre presto, pure la domenica.
Don Salvatore stava a lavare per terra con lo straccio. Appena ha visto a mio padre, ha detto: “Don Alfonso, che onore! In che cosa vi posso servire?”
Mio padre ha detto: “Dammi una marsala e un cono di gelato al cioccolato!”
Don Salvatore ha messo il bicchierino di marsala sul bancone e ha dato il gelato in mano a me, che me l’ho messo a lecca’. Mio padre si è bevuto il marsala in un solo sorzo e, poi, ha detto: “Aspetta, non mangiare, vieni con me!” Mi ha portato nella saletta del biliardo e ha detto: ”Metti il gelato qua!” Cioè che lo dovevo mettere proprio al centro, dove si mette il birillo rosso. Don Salvatore stava là a guardare, allora mio padre ha detto: “Salvato’, mio figlio ha inguacchiato il biliardo. Tu che vuoi fare? Lo vuoi prendere a calci in culo?”
“No, no, nonziamai! – Ha detto don Salvatore, che ha capito subito – Io non lo sapevo che era vostro figlio. Perlamorediddio!”Allora mio padre ci ha dato due schiaffi in faccia. Uno con la palma della mana e un altro, veloce veloce, con la mana smerza. “Questo ti serve come avvertimento! E mo inginocchiati!
”Don Salvatore si è messo a ridere, ma no assai, un poco poco.
“Don Alfo’, ve lo giuro…”
Don Salvatore si capiva che si stava cacando sotto, ma non si inginocchiava ancora. Mio padre, allora, ha inzistito e ha detto: “Inginocchiati, omm’e merda!”Allora don Salvatore si è inginocchiato.
“E mo – ha detto mio padre – leccami le scarpe!”
Don Salvatore ha alzato la testa. “Lecca, strunzo!”
Forse don Salvatore avrà penzato: “Evvabé, mo mi trovo.”
E, così, ha leccato tutte e due le scarpe di mio padre.
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E come vi permettete?
5
Quando mia madre cucina i supplì di riso coi piselli dentro, e i crocché con la mozzarella di bufala dentro, allora si capisce che deve venire l’Onorevole. Perché, all’onorevole, i supplì e i crocché, come li fa mia madre, ci piaciono assaissimo.
L’Onorevole, quando viene, viene sempre di sera tardi, pure passata mezzanotte, certe volte. Arriva con la biemmevù blu, lucida lucida.
Con l’Onorevole viene pure uno, un poco tarchiato, che lo chiamano: “U’ ragioniere”, che porta le lente scure, che non se le leva mai, pure di notte.La machina la porta l’autista, Vittorio, che lo chiamano: “U Bambinello”. Però, non è bambinello, anzi è un pezzo d’uomo e tiene pure un poco di panza.Quando viene l’Onorevole, a me mi mandano a letto, pure se non me ne tiene. Mia madre porta la robba da mangiare nella sala da pranzo e, poi, se ne va a letto pure lei, perché quelli devono parlare di certi fatti importantissimi.
Vittorio, u’ Bambinello, no. Vittorio deve restare in machina a aspettare.P
erò, quando fa caldo, Vittorio si leva la giacchetta, che si vede il cinturone con la pistola e si mette a camminare sopra e sotto, e a parlare col cellulare, e a fumarsi le sigarette.
Mia madre, prima di coricarsi, ci porta pure a lui un piatto con quattro o cinque supplì e quattro o cinque crocché e una birra.
Una volta, io stavo nascosto dietro il muretto del terrazzo e loro non mi potevono vedere, io, però, li vedevo bene, perché c’era la luna.
Allora, mia madre teneva le mane impegnate, perché teneva il piatto in una mana e la birra nell’altra mana. “Questo è per voi!” dicette mia madre.
Bambinello, invece di prendere il piatto e la birra, mettette tutte e due le mane sul culo di mia madre. Mia madre si scanzò un poco e dicette: “Vitto’, e come vi permettete?”
Vittorio si mettette a ridere e dicette: “Angeli’, con voi nessuno può resistere!” Poi si pigliai il piatto e la birra.
Mia madre si fece una risella e dicette: “Non lo dovete fare più!”
U’ Bambinello prima si mettette a ridere e, poi, si mettette a muovere la lingua, come se se la voleva leccare tutta quanta a mia madre. Però lei non l’ha visto che faceva la mossa, perché già s’era girata per entrare in casa.
Io ho penzato che se ce lo dicevo a mio padre, mio padre lo sparava a Bambinello. Però, se ci dicevo che mia madre non s’era incazzata molto e s’era fatto una risella, lui sparava pure a mia madre. E se il fatto della risella, non ce lo dicevo, lui sparava a Bambinello, ma chi sa quanti pugni ci dava a mia madre, che non ci aveva detto niente a lui.
Perciò mi sono stato zitto.
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Un ottimo lavoro
6
Ieri sera tardi sono venuti: l’Onorevole, il Ragioniere e Bambiniello.
A me già mi avevano mandato a letto. Però, invece di nascondermi dietro il muretto del terrazzo, mi sono nascosto nella scala interna, che tiene una finestrella con la grata di ferro, che affaccia nella camera da pranzo, così di giorno entra un po’ di luce nella scala.
Ho aspettato che mia madre se ne andava a letto e senza fare rumore, piano piano, so’ sceso. Loro: mio padre, l’Onorevole e il ragioniere si sono abbuffati di crocché e supplì e si sono bevuti un sacco di birre. Poi mio padre ha levato dal tavolo i piatti e le bottiglie. L’Onorevole ha detto: “Allora, Alfo’, il materiale ci sta o non ci sta?”
“Ci sta, ci sta!”- Ha detto mio padre.
“E, allora, vediamo di che si tratta.” – Ha detto l’Onorevole.
Mio padre ha cacciato una chiave e ha aperto un armadietto, dove sopra ci sta il compactdisco, e ha preso un borza. Si è seduto, ha aperta la borza, che si apre coi numeri, e ha cacciato una busta rossa.“
Ecco il materiale!” – ha detto.
L’Onorevole ha aperto la busta e ha cacciato un sacco di fotografie. Si è messo gli occhiali e, appena ha cominciato a vedere le fotografie, ha detto: “Azzò! E questa, secondo me, non è ancora mestuata!”
Io questa parola non la so, però così ha detto. Sono sicuro, perché mio padre e il ragioniere parlano che si capisce e non si capisce, invece l’Onorevole parla forte, perché lui è abituato a fare i comizi in piazza e si capisce ogni parola.
“E qua – ha detto – si vede bene pure la penetrazione. Alfo’, questa quanti anni potrà avere?”
“Tredici, quattordici al massimo.”
“Noo! – Ha detto l’Onorevole – Quattordici non li tiene, e, forse, nemmeno tredici.”
Il Ragioniere si è andato a mettere dietro all’Onorevole, per vedere bene pure lui e ha detto: “Però, Onore’, a onor del vero, tiene nu bellu culillo!”
“Ah, su questo non ci sono dubbi. E’ invitante.”Allora si sono messi a ridere tutti e tre. Poi si sono messi a vedere le altre fotografie e, ogni tanto, dicevano: “Azzo!”
“E noi – Ha detto l’Onorevole – con questa robba lo teniamo in pugno, lo incastriamo una volta per sempre”.
Pareva contento l’Onorevole e ci ha detto a mio padre: “Bravo! Bravo Alfonso, hai fatto un ottimo lavoro!”
Si vedeva che pure mio padre era contento.
Mio padre all’onorevole ci porta rispetto. L’Onorevole ci dice a mio padre: “Mi raccomando, Alfo’, non fare cazzate!” E mio padre non si incazza e ride un poco e risponne: “Non vi preoccupate, Onore’, state tranquillo!” Dice così, perché ci porta rispetto. Però, questa volta, l’Onorevole non ci ha detto:” Non fare cazzate!” ma ci ha detto: “Bravo, Alfonso, hai fatto un ottimo lavoro, così il fetente sta in mano nostra completamente e senza spargimento di sangue.
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Modeste glosse a La vita incagliata di Attilio del Giudice (Leconte, Roma 2006)
di Sergio Sozi
Di questi tempi, leggere la nuova narrativa italiana è come fare una scelta di campo, soprattutto dal punto di vista linguistico: o con l’abusato, sciatto, impersonale italiano medio di molti, o nelle intricate vie lessicali dei realisti – o di chi al realismo s’ispira in un modo o nell’altro. Pochi autori stanno fuori da questi due schieramenti o dimostrano acume interpretativo, pur restando nei ”correntoni” attuali.Dunque, sarà perché il sottoscritto (almeno come narratore) non riesce a soggiacere a questa banale miseria generalizzata; sarà per via di una simpatia istintiva che queste pagine inducono in me; o forse sarà a causa della mia convinzione secondo cui ogni opera contemporanea debba esser vagliata alla luce della Storia Letteraria italiana. Ne sia quel che ne sia il motivo di fondo, credo di non dire una sciocchezza a cuor leggero se ora dichiarerò la riuscita operazione drammaturgico-letteraria consistente nella quarta opera narrativa di Attilio Del Giudice, scrittore casertano prima in forza alla casa editrice romana Minimum Fax e ora pubblicato dalla, sempre capitolina, Leconte. E come mai rappresenterebbe un’operazione drammaturgico-letteraria, questo La vita incagliata? Diversi sono i motivi per vederlo cosí: l’aspetto drammaturgico sono i capitoli-sequenza, scritti nel proprio diario dalla voce narrante, il bambino campano Nino: dei quadretti di quotidiana sopravvivenza che tanto ci rimandano visivamente al neorealismo di Pasolini. L’aspetto strettamente letterario è l’accuratezza della scrittura, poiché resta chiara l’elaborazione letteraria dei termini dialettali campani, trascritti con le giuste regole segniche dell’elisione eccetera. Le forme espressive dialettali (largo uso dell’erroneo ausiliare ”avere”, del pronome personale ”ci” per ”gli”, ecc.) sono veraci e credibili. Nel complesso ne risulta un italiano esteticamente vicino a quello di Gadda e Camilleri – mutatis mutandis naturalmente.
Ma il vero lato interessante di questa tristissima e commovente storia risiede nella violenza della quale è intrisa la vita di Nino, nove anni d’età (un bambino che sarebbe l’alter ego di Giamburrasca – tanto egli resta scanzonato e puro – se non gli fosse toccata la malaugurata sorte di aver un padre brutale e delinquente in un’Italia del Sud tremendamente novimillenaria): la violenza e le connesse perversioni qui divengono quasi una pagana accettazione della bruttura moderna, quasi come se l’incontro con uno schifoso riccone pedofilo (Al Mitreo, p. 67) fosse la rievocazione di un rito, appunto, concernente il dio Mitra. Il fondamentale particolare che, però, priva di fascino mitico la violenza serpeggiante in primo piano nel corpo di questi racconti, sta nella deficiente intelligenza del mondo in cui Nino, anima candidissima, nuota senza provarne disgusto: una provincia ottusamente autoreferenziale (direi autistica), depressa e affamata di spersonalizzazione e denaro, una provincia che non vede l’ora di dimenticare qualsiasi propria origine antica per buttarsi anima e corpo nella pomposa straniazione filo-americana. Niente di diverso rispetto alla provincia lombarda, umbra o sarda, dopotutto. Dunque niente di nuovo rispetto all’Italia post-bellica: violenza, sradicamento e solitudine di massa.
Dunque, in questo senso, La vita incagliata non straborda, per fortuna sua, nel mero ritratto della decadenza, processo spirituale e storico che purtroppo vediamo anche senza andarci a leggere dei libri che lo descrivano; appunto, il neorealismo che ne costituisce le fondamenta evita di cadere nella trappola dell’esagerazione e dell’iperbole ma ricorre piuttosto (secondo me salvificamente) alla letteraria tenerezza, alla poetica dolcezza con le quali Nino acquisisce il suo vero volto spirituale: quello, all’apparenza neutro come un foglio di carta bianco, che ci offre la soluzione per i mali italiani profondi e piú labirintici: resistere dentro, solo dentro di noi – nel limbo della nostra complessa, atavica semplicità – a questa brutale privazione del vissuto collettivo che ci costringe a rinunciare alla cura dell’infanzia (soprattutto a quella che abbiamo sempre viva nel cuore) in favore di una stonata idea della vita adulta.
E un indiretto manifesto della malsana crescita (degli altri, di molti altri italiani), questo romanzo-centonovelle dipinge, a veder bene, per mezzo della buona crescita che (alla faccia delle circostanze aberranti) il nostro Nino forse avrà. Anzi che sicuramente avrà, sempre che riesca a sopravvivere al padre insanus senex da cui è maltrattato e agli altri stolti. Molto plausibilmente noi tutti, gli adulti. Adulti solo nell’egoismo e nell’inciviltà.
Sergio Sozi
Ringrazio intanto Attilio Del Giudice e le edizioni Leconte per i brani dell’opera messi a disposizione.
Vi invito a discutere di questo libro e – contestualmente – a portare avanti il dibattito collaterale sulla base della domanda che riscrivo qui di seguito:
fino a che punto la letteratura è in grado di cogliere il disagio di infanzie e adolescenze turbate, se non dilaniate, dalla ferocia di certi ambienti sociali?
Mi rendo conto che la domanda è strana però vi invito lo stesso a rifletterci.
E vi ringrazio in anticipo.
Sergio Sozi conosce molto bene Attilio Del Giudice… da qui la sua recensione.
Nomino Sergio co-moderatore e co-conduttore di questo post.
Ovviamente Attilio Del Giudice è invitato a partecipare al dibattito.
Scusate… un’ultima precisazione. La domanda riportata sopra non dev’essere riferita solo a questo libro, ma anche agli altri libri su cui abbiamo discusso in precedenza (e che avevano a che fare con l’infanzia e l’adolescenza).
Posso cominciare subito proponendo qualche altra domanda altrettanto ”strana”?
Ecco:
1) Qual e’ la differenza tra un bambino e un adulto, oggi e – eventualmente – sempre?
2) Da dove nasce la violenza fisica umana?
3) Il mondo della natura e’ considerabile ”violento”?
4) La poesia (in senso anche tecnico-scrittorio: rime versi, ecc., oltre che concettuale) puo’ essere inserita nella narrativa di questo tipo, intermezzandola ed integrandola con qualcosa di… di… ditelo voi!
Sergio
Ho letto il brano estrapolato dal libro di Del Giudice. mi piace molto. E credo che il punto di vista del bambino sia sempre universalmente valido;
Uno dei pezzi puù belli della letteratura moderno-contemporanea é quello che riguarda la bambina con gli occhiali ne”Il mare non bagna Napoli” di Annamaria Ortese.
Ma anche i racconti della Parrella sono esaustivi in questo senso.
Per rispondere alle domande di Sergio, la differenza tra un adulto e un bambino, é la stessa che c’é tra il mondo dei morti e quello dei vivi.
il bambino é un essere vivente. L’adulto é un essere morente, quando non é già morto prima.
Nelle terre miserevoli, estreme, del sud del mondo, delle periferie abbandonate, a Rio come a Tor Bella Monaca, il bambino impara a morire. E’ l’ unica forma di sopravvivenza, che gli rimane, morire a se stesso.
E spesso per non soccombere, uccide l’altro.
Questa violenza, rintracciabile persino nei reperti dei crani fracassati degli austrolopitechi, é fatalmente inevitabile.
La sostanza del male é banale, quella del bene richiede un processo di lavorazione lungo e faticoso.
Questo processo include la cura, soprattutto dei piccoli. Per questo, anche la peggiore delle madri se vuole ti può salvare.
Magari cantando una poesia.
Leggerò il libro di Del Giudice, lo trovo interessante anche per il tipo di linguaggio, utilizzato.
Sergio posso provare a rispondere ai tuoi quesiti?
O sono domande retoriche
🙂
@ fausta:
puoi rispondere tranquillamente, credo. va da se che, dato l’amore viscerale per l’aulico e italiano idioma, se non concordasse il Sozi ti replicherà “Madonna Rigo, ella non percepisce nel suo intelletto il benché minimo svolazzar d’augello”. Tradotto: non capisci un cazzo. Ma sarai accomunata a molti in questo destino
🙂
Ci provo va’ …
!) La differenza tra un bimbo ed un adulto sta, per me, solo nell’atteggiamento, in quello che il mio amato Salinger definisce la zavorra. Ovvero quel peso che con gli anni aumenta e ci costringe a camminare sulla terra invece che sulle nuvole. Gli adulti a mio parere sono solo bambini che fanno giochi più complicati e a volte meno divertenti.
2) La violenza è associata all’istinto di conservazione. Aumenta con la fame o con la frustrazione.
3) Gli animali o le piante non hanno pietas, giusto? La natura più che violenta è impietosa. Un po’ come il giudizio di certi editori 🙂
Sulla poesia non mi pronuncio, non sono all’altezza
🙂
i brani sono molto credibili. mi piace l’idea della scrittura che nasca dalla mente del bambino. complimenti
che nasce…… scusate
@ luisa:
andava bene anche “nasca” se al “che” si attribuisce significato di “qualora”……e mica solo Sozi conosce l’italiano!
🙂
Grego, tra qualche tempo Sozi scriverà un’invettiva col punteruolo circa le me mie capacità di scribacchina 🙂 quindi me sto a allena’
🙂
@ Gregori: E che miseria, già stai sveglio? Poi c’è Sozi, altro che zuppa di latte ti devi fare!
…
@Sergio Sozi: “…Nel complesso ne risulta un italiano esteticamente vicino a quello di Gadda e Camilleri – mutatis mutandis naturalmente.”
Questo l’hai già detto, noi che diciamo? Sergione sei troppo esaustivo nelle tue recensioni!
Trovo estremamente affascinante il linguaggio usato da Del Giudice e estremamente “romantico”, quindi un po’ datato (vista anche l’età e la lontananza dalle frequentazioni campane dell’autore) e contrapposto al freddo e tagliente “napoletanismo” resocontato nei libri di G. Montesano.
L’autore asserisce nel suo prefato che intende scrutare i mutamenti della società post-contadina “usando” il bambino ed ha ragione; il bambino è però un tramite per la sua affabulazione, tutti siamo stati bambini, ma tutti, intesi in senso autorale, potremmo parlare con la “mente” del bambino che siamo stati, mai con quella dell’oggi, nessuno di noi credo possa avere “gli occhi” di un bambino di oggi.
Del Giudice lo afferma anche “…Questo non era il mondo della mia infanzia lontana (altre, semmai, furono le lacerazioni)…”, ma non penso che il ragionamento che fa valga solo per il sud, credo abbia una valenza universale ( anche in altri contesti e per altre dinamiche sociali).
Resta una costruzione letteraria molto bella e, da Campano, non posso che fargli i complimenti sinceri.
Non so se leggerò il libro, il mio stipendio non mi consente di comprare un libro a settimana.
Anche a me i brani letti sono piaciuti. Pongo all’autore questa domanda.
Perché ha deciso di dare voce a questo bambino?
Smile
@ elektra:
interventi rari ma tutti fondamentali. grazie di esistere
🙂
Oggi ho l’influenza: – so’ cavoli vostraPPP
–
A me questi stralci sono piaciuti molto. faccio i complimenti all’autore, per questo linguaggio, questa mimesi. Molto bello.
Le domande poste: quella di Massimo (ciao Massimo:) )
– la letteratura può tutto, se la mette in pratica chi ha un certo tipo di talento (non l’unico per altro, credo, in fatto di scrittura).Ma se ci ha quel tipo, può dire l’infanzia, può dire il dolore, può dire la follia. Ma ci deve essere un talento speciale, e non è solo talento narrativo è il talento di sapersi mettere nei panni di qualcuno che non siamo noi, di saper essere altro. Non tutti gli scrittori hanno questo talento. Mi viene il paragone con gli attori. Ci sono attori che fanno sempre lo stesso personaggio. Possono essere bellocci decorativi, e anche bravi a ricordarsi come sono se stessi quando sono incazzati, se stessi quando sono innamorati, se stessi quando sono tristi. Ma da li non escono. Quando Woody Allen fa l’attore questo fa. Quando lo fa Dustin Hofmann si veste da donna e fa la donna, si veste da impresario e fa l’impresario, si veste da paziente autistico e diventa autistico. Quello è un grande attore. se si vuole parlare da bambini, bisognerà copiare la mimesi di un attore solido.
Naturalmente non è l’unico modo di fare buona letteratura.
Sulle domande di segio…(ciao sergio:)) ma non saranno un tantinello troppo ampie? che cosa si può rispondere in un post?
– certo che i bambini sono diversi dagli adulti. E’ bella la risposta di Gea. Quella cosa della zavorra ci sta sul naso, e sono i nostri occhiali di adulti – ce li hanno fatti gli altri, li abbiamo fatti noi con gli altri, e non ce ne stavamo acorgendo. Il bambino è questa purezza che si costruisce una prospettiva, non lo sa, non sa se va costruendosi una casa o una gabbia. Non sa quante porte ci metterà, non sa chi è quello li che costruisce con lui. se è sfortunanto passerà tutta la vita a dover aprire delle porte, in una casa con delle pareti troppo spesse.
– la natura è violenta ed è ovunque. Finchè ci siamo noi c’è lei. fincè siamo naturali siamo violenti. dopo di che questa nostra origine violenta prende gli itinerari delle nostre individualità storiche, psichiche e determinate. Ma la frustrazione, la sofferenza, la cattiveria, sono canali di sfogo, non cause. La causa è hobbesiana, cioè che l’individuo di per se ha qualcosa di santo, ma ha parecchi tratti raccapriccianti.
@ Elektra: ma Del Giudice non l’aveva già detto nella lettera al lettore?
…
@Maugeri:
“…fino a che punto la letteratura è in grado di cogliere il disagio di infanzie e adolescenze turbate, se non dilaniate, dalla ferocia di certi ambienti sociali? …” :
La letteratura non può.
In una società dove i mutamenti sono semestrali, se non mensili, la letteratura non può, se non prendere atto e trasfigurare “l’accaduto”, renderlo fantastico, poetizzarlo, altrimenti diverrebbe saggistica scientifica, è quello è “altro da se”.
Molto armonica e piacevole la scrittura di Del Giudice, quel suo dare voce in un dialetto italianizzato a un bambino che vede senza poter realmente guardare.
I bambini sono la parte sana dell’umanità e in questo sta la fondamentale differenza con gli adulti, gravati da pesanti sovrastrutture che snaturalizzano, brutalizzano un’indole che di per sé nasce genuina. Un bambino ha la capacità di creare un mondo-rifugio in cui gli avvenimenti assumono valenze diverse e sfumature più accettabili. Il che non vuol dire stupidità, ma capacità di creare un’alternativa.
E lo so, questo è quello che con parole più auliche ha già espresso Sergio (ciao Sergio, bella recensione….anzi, per come direbbe Nino, bella recenzione!) con il quale mi sento in sintonia.
La letteratura secondo me è in grado di cogliere il disagio di infanzie turbate e dilaniate, ma non può essere fino in fondo specchio fedele di storie che hanno radici profonde e che sono mondi a sé, tutti uguali eppure tutti diversi.
Però sono voci, quelle degli autori, che è giusto ascoltare. Forse non capiremo mai di quali dolori, quali infanzie negate ci stiano parlando. Forse non sapremo mai che esiste un orrore ancora peggiore di quello descritto. Ma è sicuramente il modo migliore per prenderne coscienza, valutarne il peso e la portata e –soprattutto- rifletterci.
Buongiorno.
Provo a rispondere e, pur sapendo che non è un esame, confido nella clemenza della Cort… ehm no, non sono in tribunale (e comunque giuro che la formula vive solo in certi film americani…).
Orsudunque… e per non annoiare oltre, limito il campo d’ indagine alle domande 2 e 4.
La violenza nasce dalla paura. Che è forse il primo moto dell’animo che l’uomo sperimenta nella vita. La paura dell’abbandono materno. Segue una serie indefinita di paure più o meno intese e più o meno fondate. Ma che possono dare origine allo stesso comportamento, alla violenza, appunto. Ci sarà pure una predisposizione (altrimenti tutti, nella vita, dovremmo ridurre male qualcuno), ma la relazione, a mio avviso, non è biunivoca: non tutti coloro i quali hanno paura reagiscono violentemente, ma quelli che lo fanno, lo fanno mossi dalla paura.
Spesso soltanto dalla paura di non essere. Di non essere riconosciuti come “esistenti”. Una prova, paradossale, di esistenza.
Il che, ovviamente, non può giustificare l’agire violento, ma forse spiega il motivo per il quale è così ricorrente.
La poesia, nella narrativa di questo tipo, è possibile. Direi auspicabile. Perché non sempre si “ragiona”. A volte si pensa seguendo altre direzioni. E quel pensiero, trasposto su carta da chi è in grado di farlo, può essere poesia. Che si integra alla prosa e dà luce ai pensieri dei personaggi, alle loro emozioni fino a quel momento inespresse.
Grazie 🙂
M.
Complimenti a Del Giudice al quale chiedo: dal momento che la storia non ha elementi autobiografici, ha fatto delle ricerche specifiche, si è affidato ad avvenimenti che le hanno raccontato, o ha solo immaginato traendo forza e sostanza da un vissuto collettivo? grazie
mi scuso per il commento laconico, ma st pendolareggiando tra roma e milano. mi interessa molto il punto 4 di Sergio. Trovo che l’accostamento della poeisa ad altre forme ed altri registri sia possibile ed auspicabile (sono molto in linea con Marcellina) proprio per la forza sinergica che può venire all’efficacia ed all’estetica della narrazione. Una perla nella sabbia spicca tanto quanto un fiore nel desert o. Pensate all’uso del violino nel rock…
@ evento:
io ci penso. vediamo a te quanti gruppi rock che usavano il violino (italiani e stranieri) vengono in mente
🙂
@ Sergio. Ho letto la tua recensione con dolcezza. Per il suo porre l’attenzione sull’aspetto interiore e non esteriore della vicenda. Per quell’atto supremo di resistenza che il bambino fa alla prima aggressione della realtà.
Ciò che mi stupisce sempre del mondo dei bambini osservando mio figlio è la straordinaria capacità di adattamento a tutte le situazioni, persino le più dure. Adattamento che – però – non vuol dire indifferenza, nè capacità di assimilazione. Il bambino si adatta quasi per necessità, perchè nel suo essere piccolo non può fare altro. E però in questo sforzo di sopravvivenza e in quest’attesa inconsapevole di un cambiamento il bambino si evolve. Non sempre in modo completo, nè sempre in modo indolore.
Per rispondere quindi alla tua domanda, caro Sergio, direi che tra l’adulto e il bambino che è stato non esiste alcuna differenza. Che siamo i bambini di ieri, quelli che si portano dietro una caduta o una ferita.
Che, semmai, la differenza sta nell’abitudine a fronteggiare la realtà, nell’esperienza acquisita. Nella resitenza protratta.
Ma dentro , laddove risuona sempre la stessa voce, dove aleggia lo stesso incanto , dove -comunque – esigiamo la stessa attenzione , lo stesso amore di quando eravamo bambini , siamo sempre gli stessi, solo con qualche giorno in più.
@ Del Giudice: Comprerò il suo libro che mi ha rapita. Mi ricorda l’esperimento letterario fatto qualche anno orsono con “Pericle il Nero” da Giuseppe Ferrandino, non so se lo ha letto. Anche lì la vicenda si svolgeva in un contesto dolorante. Anche lì costruzione lessicale e sintattica attingevano dal parlato vivo e dal dialetto. L’impasto mi incantò, così come mi è accaduto leggendo i frammenti del suo brano.Nonostante la forza di alcune scene sento affiorare molta intensità e delicatezza.
@zaub
non ero io quella, era fausta.
a me l’unica risposta che viene alla domanda sulla differenza tra adulti e bambini è che gli adulti sono grossi e pesanti, e i bambini sono piccoli e leggeri.
sono tonta di mio, e oggi in modo particolare.
curati, tesoro, che ci servi in forma.
🙂
@enrico
banco, pfm italiani
e street, van morrison, waterboys,( tutti gli irlandesi in genere), dylan..
intanto questi. me ne verranno altri di sicuro ma sono appena arrivata ed è stata una mattina difficile.
🙂
@gea
Sei sempre la più lucida, anche quando sei tonta. Ma che ti fai le pere col Sidol ?
Altri gruppi con violino: Fairport Convention (al violino Dave Swarbrick)/ King Crimson (in un paio di album- al violino c’era se non sbaglio David Cross), Gentle Giant (mi pare) ……e forse me ne verranno in mente anche altri
string driven thing, curved air, high tide, hawkwind, family, steeleye span, velvet underground (viola, per essere precisi), quella vecchia locanda, pogues, darryl way’s wolf….per l’intanto
@ gea:
il banco usava il violino così come io uso i tampax
🙂
@ enrico
sui tampax non mi pronuncio, ma io ho visto un concerto del banco (anno boh, 74 o75 credo) con violino. dopodichè onestamente tutti i miei ricordi dell’epoca sono alquanto nebulosi, e siccome preferivo altri gruppi non ho nessuna prova di quanto dico e nessuna certezza assoluta.
tranne quella che i pogues sono irlandesi, e quindi erano sottintesi.
🙂
@Greg:
piantala con questi quiz da maikbongiornismo di ritorno, penso che Del Giudice ci creda tutti fenomenalmente legati alle attenzioni di Umberto Eco.
@Event: per favore non fare più metafore rockettare che il ragazzo va’ in larsen! Da bambino gli scappò (al Greg) la bacchetta che Gegè Di Giacomo (non Francesco) gli lancio per toglierselo dalle palle; fu Carosone a salvargli la vita con la frase “Vattènne guagliò, che ‘nun é aria!”
è arrivato ‘o pazzariello
🙂
Non c’è parametro, ne’ confronto per le sensibilità: quando si lavora con i bimbi, o si è in stretto contatto con loro, tutto è nuovo, unico e purtroppo irripetibile. Hai davanti molti mondi, ogni bimbo è un universo in formazione e un’espressione degli adulti che lo circondano. Io ho smesso di angosciarmi, cerco di vivere con “leggerezza” ogni incontro con loro, ma le riflessioni che si muovono sono infinite. Ti senti addosso gli occhi e i pensieri, le aspettative e la tua responsabilità è così grande che trabocca, confondendo sensibilità e determinazione. Forse è anche per questo che la scuola, la nostra scuola italiana, versa in condizioni che oscillano fra poli contrapposti; avere e essere. Non è facile confrontarsi con le nuove vite in formazione, ma è anche un fatto naturale e forse, è proprio in quest’ottica che dovremmo collocare il nostro rapporto con l’infanzia. Perché niente è più nocivo del riversare sui piccoli il senso, significato, della nostra vita. Su queste cose, rifletto ogni giorno; poi chiudo i pensieri e mi concentro sugli obiettivi del momento, augurandomi che le aspirazioni di fondo siano quelle giuste.
🙂
@Gea.
probabilmente era Lucio Fabbri, prestato dai nemici Pfm al Banco, lo ricordo anch’io, Enrico era a Londra in quel periodo…senza genitori!
@ didò:
ogni medaglia ha il suo rovescio. io andavo a londra per non vedere i miei genitori. i tuoi genitori scappavano a londra per non vedere te. come biasimarli?
Avete ragione a punzecchiarmi. Purtroppo è un periodo particolare e vado sempre di fretta. Probabilmente quando una non ha tempo, invece di scrivere, farebbe bene a esercitare il silenzio.
Avete ragione e mi scuso.
Ma non perdo il buon umore.
Smile
@ elektra:
ma ci prendi sul serio? allora sei proprio bollita!
In effetti mi sento proprio dentro una pentola a pressione.
Comunque grazie
Smile
Rinnovo saluti e complimenti a Massimo, Del Giudice, Sozi e a tutti voi.
Ritorno in pentola.
Smile
@ Elektra
mi dispiace sentirti così giù, cara. Forza, esci dalla pentola!! 🙂
kiss
@ Elektra
Non farti intimorire dalle battute ( leggi, dai maschiacci)! SMILE
🙂
enrico io ricordavo quelli che hai detto tu 😉
comunque dovevi dirne di meno. Altrimenti l’eccezionalità dove sarebbe ?
Questo tema era poco angosciante per i miei stantard…
Miriam ha scritto che ”Niente è più nocivo del riversare sui piccoli il senso, significato, della nostra vita.”
Desidero riportare questo breve passo perche’ lo apprezzo veramente e lo condivido. Personalmente credo che la vitalita’ profonda dei bambini sia un toccasana per gli adulti… pertanto sarebbe meglio lasciare che siano loro a riversarla dentro di noi! Seguiamo i bambini: sanno sempre dove andare per salvarci dalle nostre (sciocche spesso) angosce! Seguiamoli e non diciamo loro di seguirci; tutt’al piu’ proponiamo loro qualcosa dei nostri lati migliori, sani, vitali ed amorevoli.
Sergio
P.S.
I bambini sono seri e capiscono sempre quando qualcuno finge. Siamo veri con loro, ripaghiamoli della stessa cortesia che ci fanno scoprendo le nostre falsita’!
Non so, non ho ancora letto il libro di Del Giudice, ma i passi da lui riportati assomigliano terribilmente all’atmosfera creata da Ammaniti in “Io non ho paura”…
Stesso fil rouge, la realtà, quel tipo di realtà, vista con gli occhi di un bimbo.
Probabilmente il padre delinque in modo diverso, ma il succo è quello.
IMHO, in ogni caso.
Ne approfitto per salutare il “Papero” 🙂
E’ molto probabile che il libro di Del Giudice lo leggerò. Mi piace il linguaggio, mi piace il contesto, mi piace il tema. Lo stile-non stile del bambino ricorda un po’ “Io speriamo che me la cavo” ma qui, ovviamente, si percepisce un dramma che va ben oltre il disagio degli scolari del maestro D’Orta.
Da quello che ho letto negli estratti, l’autore si sforza di “essere” bambino e non di scimmiottarne uno.
Lo sforzo mi pare riuscito e spero che venga premiato.
@ gluck:
STOP! 4 PICCHE!
Alla domanda n.3 posta dall’Egr.Buccimpero: quando in un contenitore la energia (=forza interna) si accumula oltre un cerco livello (invece di fluire gradatamente) si genera violenza. Questo vale per il fiume/diga come per il cervello ed è un meccanismo a monte della paura (che comprime l’essere minacciandolo). A monte ancora di tutto c’è la Volontà di vivere, ‘cieco, irresistibile impeto che vediamo già apparire nella natura inorganica e vegetale, così come nella parte vegetativa della nostra vita’ (Schopenhauer). CitAzionista.
Didò, un bacio, mi dimentico sempre di salutarti, smakkete.
🙂
Sì, forse anche io lo leggerò, devo prima finire non so che “beach” di Ian McEwan.
@ tutti, per favore chiariamo se il Banco ha avuto un violinista o meno, se non altro sapremo se Grego usa veramente i tampax.
🙂
Gentilissimo Signor Attilio Del Giudice, sono rimasta positivamente affascinata dalla nitida freschezza e dalla spontaneità con la quale ha fatto parlare i bambini e da come ha saputo descrivere ambienti e personaggi che si stagliano vivi , per noi, dalle sue dolenti umanissime pagine.Il simpatico capitolo “La maestra” mi ha molto commosso, mi sono rivista giovane ed inesperta, al primo incarico di supplenza annuale a Palazzone, vicino a San Casciano Bagni . Il minuscolo borgo era composto da tre casucce simile a “RIO BO” ,dominate dall’annoso castello delle Fighine, posto in cima al severo monte.Insegnavo con molto entusiasmo ad una pluriclasse delle elementari. I miei alunni , quasi tutti molto poveri, prima di giungere a scuola, percorrevano diversi chilometri a piedi. Alcuni arrivavano stanchi, infreddoliti , ma venivano a scuola, persino quando era caduta una fitta neve. La mattina del lunedì erano tutti fieri ed impettiti, ad aspettarmi alla fermata, dell’ ansimante corriera . Ogni settimana portavo loro un sacchetto di dolciumi e qualche giocattolo, che avesse anche una funzione educativa. ll loro riso argentino e l’affetto che mi dimostravano, mi ripagava ampiamente della levataccia, alle quattro del mattino, e della corsa affanosa per non perdere il treno che arrivava solo a Chiusi .
Mi colpiva la loro serena semplicità ed innocenza. Cercavo di rendere le lezioni piacevoli e fruttuose . Così disegnavo molti cartelloni colorati per rendere allegra la nostra scialba aula. Loro assorbivano le lezioni più interessanti come intonse spugne. Serena, una biondina della quinta classe, aveva il compito di raccogliere i mazzi di fiori di campo e le foglie del bosco più caratteristiche per poterle disegnare . Poi li facevo gareggiare con dei piccolli premi per coloro che per primi cercavano il nome esatto de fiori e delle foglie sul vecchio vocabolario. I temi dei miei bambini erano un vero spasso. Ricordo di aver assegnato un componimento,nel quale dovevano parlare della propria famiglia . Nando con la sua incerta grafia, scrisse sul quaderno:- “La mia mamma é bionda e grassoccia. Mio padre lavora molto, taglia la legna, porta le vacche al pascolo poi governa i maiali. In paese dicono che è becco…! Nel temino di Piero, sulla infanzia di Gesù, dopo gli altri pensierini , lui così terminò:- “San Giuseppe aveva la barba e la Madonna invece no”. Erano tempi diversi e irripetibili. Mi scuso con Lei se mi sono lasciata prendere la mano, da una ventata di ricordi, il merito è tutto delle sue avvincenti pagine più reali della vita.
Grazie di averci fatto il dono di questa struggente lettura. Le esprimo
tutta la mia ammirazione, che include anche la visione delle le sue significative ed originali tele.
M. Teresa detta Tessy
Nella fretta, ho infiorettato come i miei alunni, alcuni strafalcioni come “affannosa” “piccoli premi” e altre inesattezze da me commesse.
Mi scuso con voi e buona serata.
Tessy
Provo a rispondere…
1. I bambini sono sinceri e in questo ha ragione Sergio. Durante i miei sei anni come insegnante elementare ho provato ad entrare nel loro mondo e, come dice benissimo Miriam, ho spesso provato angoscia, senso di inadeguatezza. Ma come sperimenta ogni giorno Simona, i bambini ce la fanno ad andare avanti comunque perchè in loro la forza della vita scorre con una potenza a noi sconosciuta. Sono più vicini alla sorgente, mentre noi siamo quasi alla foce e scorrere è per noi più difficile, fangoso e petroso…
Un certo nazareno disse che se non diventeremo come i bambini non entreremo nel Regno dei cieli. Perché i bambini ci vincono in: fiducia, capacità di accettazione, senso del presente, del qui ed ora, della gioia e del dolore di adesso, nel focalizzare subito quello che è importante.
2. La violenza è nell’uomo da sempre e lo sarà sempre. E’ un cane feroce da tenere a bada, sempre, con la perseveranza, che è una virtù trascurata ma è quella che dovremmo coltivare e chiedere perché è fondamentale, con l’esercizio della pazienza, con la tolleranza, con il miglioramento continuo di noi stessi. E qui l’arte è fondamentale. Ma è l’amore quello che ci salva davvero, perdonate la banalità. Lo sceneggiato su Teglio con Castellitto era scritto da cani ma il finale, con lui che parla alla figlia su male e bene, vale la pena. La bambina chiede perché la vita non sia una favola. Il padre risponde che la vita è come un lago. Ci saranno sempre l’acqua pura e pulita e quella fangosa e putrida ma sta a noi saper distinguere senza mescolarle e cercare sempre la superficie e il fondo limpidi.
3. La natura non è violenta. Il coniglietto che corre per sfuggire alla volpe ma che poi, braccato, si arrende quasi come ad un fato ineluttabile, in fondo accetta delle leggi severissime ma in fondo, a loro modo, oneste. Il pericolo è estendere al dominio umano quelle leggi – sopravvivenza per adattamento del più forte, del più “furbo”… – che vediamo operare in natura. Forse il senso dell’esistenza dell’essere umano sulla terra è la dimostrazione che può essere possibile vivere in questo mondo piegando le leggi necessarie della natura in nome della legge dell’amore. Altrimenti dovremmo accettare l’eugenetica…
4. Ma non ha senso distinguere in una narrazione poesia e prosa! Quando Manzoni racconta e poi fa uno stacco lirico con l’Addio ai monti, che è quasi un’aria da opera lirica dopo l’Ouverture e quattro accordi in larghetto come introduzione, fa poesia o no? Quando si racconta si utilizzano gli strumenti più adatti, si cambia tempo con allargati e stretti, c’è la marcia e l’adagio, c’è recitativo e aria… Bene fa l’autore di questo libro a filtrare tutto attraverso la lingua di Nino. Mi ricorda un po’ mutatis mutandis – eh sì, la sozite! – Marcello D’Orta. Anch’io ho letto “Pericle il Nero”, che però non aveva l’innocente leggerezza di Nino. Che è meraviglioso in questa sua precaria età dell’innocenza, che non durerà. Oh Peter Pan! A due anni non c’è più nulla da fare…
Bellissima analisi, Maria Lucia! Soprattutto il punto tre, che e’ come se l’avessi scritto io!!
Pero’ la poesia in senso stretto – io la intendevo cosi’, non come generico ”spirito poetico” – ha le sue regole tecniche, diversissime dalla prosa. Almeno per i conservatori come me. Da questa distinzione aprioristica vengon le mie domandine.
Sergio
P.S.
Ma naturalmente esiste anche la sperimentazione: Vincenzo Consolo, per esempio: prosa poetica.
… o meglio ”prosa d’arte”…
Il Biccimpero saluta il CitAzionista e lo ringrazia per la sciopenauerata.
Buccimpero
Interessante mi sembra come il bambino esprime le sue ancora imperfette capacita’ di giudizio su cio’ che vede o prova dentro di se’.sicuramente ha gia’ capito che il padre e’ un violento,tipo ”inziste”,e quindi lo ripudia come modello,sognando che i segni di quelle violenze siano baciati dalla maestra,coniuga la speranza di una conferma sociale esterna di questa ripulsa ai primi imprecisi impulsi sessuali.altri episodi li vede e li descrive senza capirne la valenza e rimarranno nei suoi ricordi e nella sua coscienza finche’ non sara’ in grado di associravi un giudizio moralmente positivo o negativo.questo per noi adulti e’ il fascino dell’innocenza di nino,che come ogni bambino e’ materia in divenire,tutto cio’ che per noi e’ scontato, per lui ,al momento,e’solo meraviglia di scoperta.
questo per quanto riguarda la differenza ,di oggi o di sempre,tra adulto e bambino,riguardo al quesito se inframezzare alla prosa dei versi di poesie, o famosi adagi tratti dalla lirica o filastrocche popolari,ecc,secondo me,non è consigliabile.seppure nn sia inconsueto,è prova difficile e spesso controproducente,in quanto l’attinenza al testo di solito e’ personale,e poi sicuramente distoglie dal racconto e spezza il ritmo della lettura.Questa e’ la mia opinione sulla base dell’esperienza di lettrice,potrei sempre ricredermi se mi imbattessi in una ammirevole eccezione.
a presto.
Copioincollo qui l’ottima risposta di Maria Lucia:
”La natura non è violenta. Il coniglietto che corre per sfuggire alla volpe ma che poi, braccato, si arrende quasi come ad un fato ineluttabile, in fondo accetta delle leggi severissime ma in fondo, a loro modo, oneste. Il pericolo è estendere al dominio umano quelle leggi – sopravvivenza per adattamento del più forte, del più “furbo”… – che vediamo operare in natura. Forse il senso dell’esistenza dell’essere umano sulla terra è la dimostrazione che può essere possibile vivere in questo mondo piegando le leggi necessarie della natura in nome della legge dell’amore. Altrimenti dovremmo accettare l’eugenetica…”
Cosa ne pensate? (Sarei curioso di sentire un commento anche dal Greg e da Dido’, e magari anche da Germano).
Poi ringrazio Maria Teresa Scibona: ho insegnato anch’io alle elementari per sette anni… a Perugia e a Trieste… commovente quanto scrive lei!
Sergio Buccimpero Sozi
Alla cara M.G.,
be’… io sarei meno drastico. Se l’inserimento poetico e’ funzionale alla trama oppure e’ messo al punto giusto come momento lirico per smorzare una narrazione molto intensa, puo’ essere un toccasana per la riuscita complessiva del racconto:
”La lastra di marmo con lo gnomone conficcato nel mezzo stava sempre la’, sopra i gradini di pietra grigia della fonte, a segnare le ore della bassa; sulla sua base in muratura una scritta ammoniva:
TEMPORA METIMUR
SONITU UMBRA
PULVERE ET UNDA
NAM SONUS ET LACRIMA
PULVIS ET UMBRA SUMUS
(”Misuriamo le ore / Col suono e con l’ombra / Con la polvere e con l’onda / Perche’ noi stessi siamo polvere e ombra / Rumore e lacrime” e nient’altro); ma sulla riva opposta dello stagno erano stati tolti i due blocchi di marmo (…)”
(Da ”La chimera” di Sebastiano Vassalli, p.85)
Saluti Cari
Sozi
Notevole, secondo me, anche questo pezzettino del commento di Simona:
”direi che tra l’adulto e il bambino che è stato non esiste alcuna differenza. Che siamo i bambini di ieri, quelli che si portano dietro una caduta o una ferita.
Che, semmai, la differenza sta nell’abitudine a fronteggiare la realtà, nell’esperienza acquisita. Nella resitenza protratta.
Ma dentro , laddove risuona sempre la stessa voce, dove aleggia lo stesso incanto , dove -comunque – esigiamo la stessa attenzione , lo stesso amore di quando eravamo bambini , siamo sempre gli stessi, solo con qualche giorno in più.”
La risposta mi sembra chiara. Io aggiungo: difendere questo bambino ”necesse est”, altrimenti ci accade solo di imbruttirci. Meritatamente.
S.
Un intervento al volo per ringraziarvi per i commenti (non li ho ancora letti… lo farò più tardi).
A dopo!
Ed Eventounico sintetizza molto bene anche una sua opinione che credo possa esser adottata da molti narratori:
”Trovo che l’accostamento della poeisa ad altre forme ed altri registri sia possibile ed auspicabile (sono molto in linea con Marcellina) proprio per la forza sinergica che può venire all’efficacia ed all’estetica della narrazione. Una perla nella sabbia spicca tanto quanto un fiore nel desert o. Pensate all’uso del violino nel rock…”
Marcellina, per motivi che credo validissimi, precisa:
”La poesia, nella narrativa di questo tipo, è possibile. Direi auspicabile. Perché non sempre si “ragiona”. A volte si pensa seguendo altre direzioni. E quel pensiero, trasposto su carta da chi è in grado di farlo, può essere poesia. Che si integra alla prosa e dà luce ai pensieri dei personaggi, alle loro emozioni fino a quel momento inespresse.”
Insomma dice che ”certa” prosa non puo’ fare a meno di degli inserti poetici, che ne costituiscono dunque le indispensabili espansioni, precisazioni. Perche’ – sottintende Marcellina – a volte l’uomo fa poesia in maniera naturale, dunque come si riporta un pensiero in prosa ne va restituito uno in rime o similia.
Sergio
Ciao, Silvia, grazie per l’ ”aulico”, spero di meritarmelo.
Sergio
Faustina Rigo,
tranquilla… col punteruolo ho appena placato la mia sete di sangue letterario massacrando Brina Svit in traduzione italiana. Per qualche giorno non avro’ ulteriore sete.
Sergio Buccimpero Sozi
Sulla questione ”violenza umana” e’ interessante da valutare questa affermazione di Zauberei – che rinunciando al condizionale stavolta ha proprio zauberato come si deve:
”la natura è violenta ed è ovunque. Finchè ci siamo noi c’è lei. fincè siamo naturali siamo violenti. dopo di che questa nostra origine violenta prende gli itinerari delle nostre individualità storiche, psichiche e determinate. Ma la frustrazione, la sofferenza, la cattiveria, sono canali di sfogo, non cause. La causa è hobbesiana, cioè che l’individuo di per se ha qualcosa di santo, ma ha parecchi tratti raccapriccianti.”
Insomma siamo delle anime da Antinferno dantesco o purgatoriali, Zau? Illuminaci ancor!
Sergio
Ciao, Dido’: bacetti sulle guance per il tuo ”esaustivo”. Magari lo fossi veramente!
A TUTTI:
Spero che Attilio Del Giudice intervenga quanto prima per rispondere. Per il momento lo ringrazio di tutto.
Sozi
Ci si rivede, Attilio, inopinatamente in questo spazio letterario.
non ho letto il tuo libro,ma ne conosco alcuni stralci ed altre tue scritture, nonchè i bellissimi ritrattini caricaturali del “matrimonio”.
Un grande in bocca lupo.
ciao
Bene ora vi ho letto tutti e vi ringrazio ulteriormente. Splendidi come sempre!
Consentitemi di ringraziare a parte Maria Teresa per averci donato quel bel racconto.
Thank you, Tessy!
@ Sergio
Stai conducendo bene. Continua così che ti rilascio la patente.
😉
@ Attilio Del Giudice
Sei stato invitato a partecipare il dibattito. Non fare il timido, altrimenti ti mando il padre di Nino!
🙂
I bambini sono sinceri, sì. Ma i bambini sanno essere anche cattivi. E violenti.
Avevo sette anni quando un gruppetto di compagni di classe, miei coetanei, mi portò dentro il bagno della scuola per massacrarmi di calci. Non c’era nessun motivo. il branco aveva deciso così. Il branco.
Sì, il branco esiste anche tra i bambini.
sasso nello stagno.
qualcuno ricorda ‘il signore delle mosche’ ?
🙂
Jack:
evidentemente erano dei bambini che erano stati maleducati da qualche adulto. Se gli adulti sono sani, queste pazzie difficilmente accadono.
Gea,
lo ricordo si’: lo lessi con angoscia. E oggi non ne condivido l’assunto – almeno sulla naturale perfidia umana: l’uomo ha sfaccettature buone e lati cattivi. Se la societa’ di un Paese fa prevalere i secondi, i bambini si comportano purtroppo di conseguenza. In ogni caso la colpa e’ la nostra. Degli adulti, intendasi.
Era una scuola elementare cattolica. Tutti figli di buona famiglia. E quel ricordo lo conservo ancora.
Anche i bambini possono essere cattivi. Negarlo è un luogo comune. Sì, conosco “il signore delle mosche”. Rende perfettamente l’idea.
@ gea
io! 🙂 E il motivo per cui i bambini, in branco, ti rubano la merenda, fanno la spia, ti prendono a calci nel bagno, ti aspettano fuori della scuola e ti massacrano a librate è…perché sono bambini. Più bambini della vittima e quindi si associano per dimostrare che in realtà i grandi e i forti sono loro.
Il novanta per cento di quegli episodi che oggi vengono chiamati “bullismo” mi fanno ridere.
Non so cosa ne pensano Miriam e Zauberei ma, per me, impedire a un bambino di fare il bambino e, quindi, anche il bambino cattivo è un danno. Gli impedisci di fare a cazzotti oggi, poi domani (magari) gonfio di rabbia ignota, prende la doppietta e ammazza il padre. Così, senza branco.
@ Maria Lucia Riccioli: molto bello il tuo intervento, personalmente però penso che la tua frase ‘la violenza è nell’uomo da sempre’ andrebbe precisata, uomo= maschio = predatore (in senso lato, coniglio = preda). Ci sono ovviamente le eccezioni (maschi miti e femmine aggressive) ma in genere è nel maschio che la Volontà si esplica più ciecamente. Ciao.
Ricordo che quando lessi “Il signore delle mosche” avevo più o meno la stessa età dei protagonisti. Eppure, quel libro non mi sconvolse più di tanto.
Peraltro, nel libro, i ragazzi cominciano a “inselvaggirsi” proprio perché non sono più sotto il controllo degli adulti.
William Golding, l’autore, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1983. Una buona fetta del premio è dovuta proprio al signore delle mosche.
Il libro, dagli stralci qui riportati, mi pare parecchio attraente. Mi interessa l’operazione sul linguaggio (il dialetto rielaborato con accuratezza), mi interessa ancora di più quella su una violenta realtà reinterpretata dall’occhio innocente di un bambino. Come è già stato fatto notare Ammanniti era giunto a risultati apprezzabili su questo tema con un’opera a mio parere convincente, molto più delle precedenti (Io non ho paura). Una situazione forse meno tragica, ma altrettanto dolorosa e pesante per un bambino (la separazione dalla madre) e in questo caso aggravata dall’autismo, è narrata in un romanzo dell’inglese Mark Haddon che mi ha molto colpito: “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte”. Anche qui è il bambino a narrare in prima persona, e seguendo i fili logici di una persona affetta da autismo. C’è tutta un’interpretazione del mondo trasfigurata da questa sindrome, oltre che dall’occhio infantile ed in questo risiede buona parte del fascino del libro. E’ stato anche un piccolo caso letterario per il successo riscontarto un pò ovunque e penso anche che molti di voi l’avranno forse letto. Una segnalazione probabilmente a vuoto quindi. E Sergio spero mi scuserà per avere sviato verso la solita letteratura anglofona.
@ Jack
Lo ha appena precisato Enrico (che saluto). Credo che se andassimo indietro nel tempo, con la mente, probabilmente riusciremmo un po’ tutti a ricordare episodi che ci hanno visto vittime (o protagonisti) di “cattiverie” da bambini.
È vero o no?
Credo sia normale.
Un saluto a Carlo, a Enrico a Sergio e a tutti coloro che in questo momento sono on line.
A voi e a tutti gli altri auguro una buona notte.
E buona prosecuzione!
@ Sergio & C.
Signora Torre, qual’è stato il suo impegno nei suoi films per quanto riguarda i problemi sociali e la mafia? –
Personalmente non mi occupo di questo, la sua domanda la deve rivolgere all’assessore qui accanto. Se con i miei films ho suscitato l’interesse del pubblico su certi temi l’ho fatto a prescindere, io faccio arte, capisce cosa voglio dire, mi occupo di arte…- rispose
Ottima risposta la sua, ma il neorealismo (libri, films, etc.) spesso non basta, intendo come genere, a portare i benefici desiderati e neppure a mettere a posto le cose.
Un problema solo quando lo si conosce bene ed è avvenuta una sorta di metabolizzazione profonda, incide. Altrimenti mi scusi ma è solo fumo negli occhi. Se ha avuto successo deve ringraziare quei poveri cristi che hanno creduto in lei, sperando che qualcuno finalmente si fosse occupato dei loro problemi! –
Non lo so, non mi interessa, nei miei film mi sono sempre divertita – disse ancora la giovane regista – con un autobus pieno di ragazzini di strada, gente presa dai quartieri poveri, non sapevano neppure dove eravamo diretti nè sapevano parlare italiano, solo il dialetto, abbiamo percorso l’Italia e siamo arrivati a Venezia per un premio, una vera avventura…comunque certe domande fatele ai politici, io non c’entro, la sensibilizzazione ai problemi non l’ho mai calcolata, io faccio arte – continuò a ripetere.
Cosa ne pensi?
Il singolo intervento di violenza fa parte della vita di ognuno di noi. E’ la ripetitività di quella situazione che, a mio avviso, deve destare preocupazione.
Mentre scrivevo il precedente post siete andati a parare da un’altra parte. Il signore delle mosche lo lessi a 12 o 13 anni e a me fece un certo effetto. Non tanto perchè mostrava come i bambini potessero essere naturalmente malvagi (in fondo lo sapevo già: tutti i bambini, chi più chi meno, lo sperimentano sulla propria pelle), ma perchè mi accorgevo, forse per la prima volta consciamente, che quel lato oscuro che è dentro di noi è capace di esercitare una certa attrazione.
@ carlo:
bravo! e mi pare che è la prima volta che te lo dico. in realtà hai detto una stronzata delle solite, ma da qualche parte di internet hai parlato bene del mio libro e allora ti do un po’ di guazza
🙂
@ enrico
E credi di cavartela così? Guarda che tu mi avevi dato del Signor Veneranda e io avrei potuto anche dire che il tuo libro mi ricordava Chico Pipa (per rimanere in tema manzoniano).
Ora siamo propri sicuri che la violenza è slegata dal non avere un grado di civiltà che separa l’uomo dall’animale feroce, ultimo sbocco di problematiche economiche, assetti sociali specchio di degrado dove l’infanzia paga come ultimo anello di catene di disordini?
Dai ragazzi, Ammanniti ha dei problemi non risolti e “narra” da bambino i “suoi” question’s; Del Giudice costruisce un romanzo usando un “bambinismo”, è speculare il suo percorso, usa una semantica della narrazione molto più alta: l’Attilio non ha problemi, inventa e affascina; Niccolò ha creato dei sequel, è un po’ il Montalbano dell’infanzia (forse, detto questo, Del Giudice mi spedisce il libro a gratis, hai visto mai?).
oops…sono andato anonimo, proprio quando non mi serviva!
Sarà sud, sarà nord o sarà centro. I bambini, come gli adulti, possono essere condizionati da dove vivono e da cosa vedono. Ma, comunque, ci sono dappertutto il bambini che fanno “Oh” come quelli di Povia, e i bambini che fanno “porca troia”, come quelli che vedono Totti che segna.
Non ci credo ai bambini cattivi. Credo agli adulti stronzi.
Credo che se quando un padre sta in macchina col figlio passa davanti a una prostituta, abbassa il finestrino e urla “ah zoccolaaaaaaa”, non si vede per quale motivo quel ragazzino, due anni dopo, debba trovare fuoriluogo andare dalla stessa prostituta a lanciarle in faccia una bottiglia di vetriolo. “E io so’ più bravo de papà”, dirà al pubblico ministero. Il quale, la legge è legge, sbatterà in galera il pargolo invece che sparare con la lupara caricata a chiodi nelle palle del genitore.
Il bambino cattivo è la cattiva coscienza dei grandi. Non sono disposto a trattare.
Cara Rossella,
penso che non so di cosa stai parlando: un film intitolato come? di una regista che si chiama Torre, mi sembra. Ma penso di non poter rispondere ad una domanda che riguardi cose imprecisate. Io parlo su cio’ che conosco.
Grazie, comunque.
Sergio
@ didò:
rasserenati. tu sei anonimo sempre
@ sergio:
invidioso! vuoi che non si capisca un cazzo solo quando scrivii tu?
🙂
Sempre a Rossella:
in riferimento al tuo ultimo intervento, posso risponderti con sicurezza: si’ – ma l’ho gia’ affermato prima – secondo la violenza ha ANCHE delle forti radici sociali: borghesi, proletarie o quant’altro. I ceti sociali non sono mai pacifici per definizione. Ma questo non esaurisce il discorso sull’ontologia della violenza.
Sergio
@Elektra,
non ti punzecchierò mai più, è pericoloso (poi se ti esce qualche stilla c’è il Greg pronto a succhiare).
Su con la vita (disse il boia a Saddam, il cappio è ancora largo)!
…Enrico: hai avuto un’infanzia serena ma un presente che… ehhhhh. Ti capisco, povero, sfortunato amico mio! Le violenze di gruppo di certi turpi ambienti giornalisti incidono e feriscono. Chiama il telefono… Celeste!
”Il bambino cattivo è la cattiva coscienza dei grandi. Non sono disposto a trattare.”
(L’avreste detto mai che io citassi il mio aguzzino Gregori? Rob de matt! Pero’ concordo, mannaggia…)
Va be’, torniamo seri, su.
La violenza e’ una cosa e il Male in parte un’altra, pur essendo questi per forza collegati. La violenza nasce dal Male e da una societa’ maligna, anche. Ma il Male puo’ esprimersi anche senza violenza – almeno fisica. La diversita’ sta in questo, forse (dico semplificando). Comunque la metafisica del Male mi affascina – a distanza, molta distanza – per capire cosa sia il Bene – che mi affascina da vicino, mooolto vicino.
Molto bello, a proposito di Male e Bene, quanto detto dalla Francesca Serra:
”La sostanza del male é banale, quella del bene richiede un processo di lavorazione lungo e faticoso.
Questo processo include la cura, soprattutto dei piccoli. Per questo, anche la peggiore delle madri se vuole ti può salvare.
Magari cantando una poesia.”
Cosa ne pensate? (Mi piacerebbe saperlo soprattutto dal dolcissimo Dido’).
Ciao Carlo,
quel libro non l’ho letto. Comunque certa Letteratura britannica mi interessa molto: Blake, Milton, Aldous Huxley, Orwell, ecc. Un filone, insomma, ben preciso – e ne ho parlato anche in passato e in altri luoghi. Ma qui stiamo trattando di altro e dunque credo che tu faccia bene a dirci qualcosa di piu’ di quel libro, che, a quanto mi sembra di capirne, potrebbe molto avere a che fare con la realta’ italiana di oggidi’. I tuoi interventi sono sempre stati, finora, di straordinario interesse e precisione: dunque avanti… non credere che tutti conoscano Mark Haddon. Parlacene piu’ diffusamente, se tui fa piacere, e magari trova dei collegamenti con il nostro Del Giudice. Da te questo e altro.
Sergio
sono le sei del mattino, e vi prego di tenerlo presente. sono ancora un po’ scollegata.
in classe di mia figlia, terza media, c’è un ragazzino che promette piuttosto bene. bullo, tendenzialmente violento, ha come principale bersaglio le femmine, di ogni età. le disprezza profondamente, dalla coetanea alla prof, in quanto inferiori per natura, e non perde occasione per proclamarlo e dimostrarlo. ovviamente mia figlia ,essendo colta, tosta e molto più intelligente di lui è la vittima preferita.
l’anno scorso venne assegnato alla classe un tema dal titolo: il giorno più bello della mia vita (credevo avessero smesso, ma evidentemente..) e questo piccolo mostro scrisse più o meno che per lui fu quello in cui suo padre lo aveva portato a caccia di cinghiali in ungheria (non è lumpenproletariaet..) gli aveva messo in mano un fucile e lui aveva ucciso per la prima volta, ‘perchè quel giorno sono diventato uomo.’
si sono capite molte cose.
appunto.
buona giornata a tutti
Enrico devi assolutamente dirmi cosa avevi assunto quando hai scritto “Il bambino cattivo è la cattiva coscienza dei grandi. Non sono disposto a trattare.”. Quello che hai preso doveva essere di ottima qualità, visto che la frase è piaciuta persino a Sergio.
Inoltre potrei farne qualche flebo qualora pensassi mai di scrivere un sequel…
@ gea:
appunto. come ipotizzai in un precedente intervento, è possibile che un giorno, quel ragazzino, in un ozioso pomeriggio triestino privo, vieppiù, di passaggi di cinghiali, prenda il calibro dodici “mono-palla” e spari una schioppettata in fronte al padre medesimo. Meraviglia poca, soddisfazione tanta.
Però, e questo non so se è in qualche modo parte del libro di Del Giudice, è anche possibile che assistere a violenze, soprusi e varie angherie, porti il bambino a un rifiuto di tutto ciò che è prevaricazione. Su questo potrebbe illuminarci Sergio o chi il libro l’ho a letto tutto.
Un buongiorno a tutti.
a me sempbra che Enrico Gregori, l’uomo che ha una sola cosa che ragiona, ma non sempre male evidentemente, a dispetto delle apparenze, abbia detto delle cose veramente giuste e belle.
Penso anche che alle volte però, al genitore di merda si combina un temperamento difficile, che fin dall’inizio radicalizza i comportamenti di certi genitori al peggio. Mi fermo per evitare la deriva neurofisiologica che sarebbe off topic, ma che ci starebbe a fagiolo.
–
Gea, per il compagnuccio della tua pargola, hai tutta la nostra solidarietà. Ma pensa che pena questo poveretto, che per avere l’amore del padre, per poter finalmente dire evviva sono come lui, che è una cosa santa e giusta e diritto di tutte le infanzie, la differenza viene poi deve venire poi, insomma sto poraccio deve ammazzà. Se ci pensi, è una vita votata all’inferno. Da uno così tua figlia può scappare. Lui da se stesso no.
–
Il male e la violenza non sono la stessa cosa?
Si, se si decide che la violenza è solo questione di fisico. Se no, credo che la disgiunzione non è così ovvia.
@ Sergio e anche a Massimo per rispondere alla tua iniziale domada sulla letteratura:
Sì, quel bambino che ancora siamo va difeso. Atraverso l’arte, la letteratura, l’immaginazione.
Quello è il mondo in cui -anche da adulto-il bambino può vivere senza contraddizioni e senza doversi nascondere ad occhi più disincantati. Rinnovando giochi di cui ora conosce il senso, risvegliando sogni che sa bene essere fallaci e da cui, con un pizzico di saggezza in più, può lasciarsi incantare fingendo che non debbano ancora ferirlo.
Perchè la letteratura è il mondo del possibile, del verosimile. Quello in cui presente e passato fondono voci e lamenti, in cui la finzione si fa verità e la verità campeggia mascherata, intabarrata in vesti e allegorie.
In questi mondi, tra queste vie, i bambini che covano nelle nostre pareti possono spadroneggiare.
Quando poi emergiamo dal sogno, quando ne abbiamo scritto miscelando silenzi, poesia, prosa o soltanto balbettii, allora possiamo dirci adulti.
Rinsaviti, colmati. Guariti.
@ zauberei:
costretta, soffrendo, a darmi ragione. del resto è tipico dei paranoici. tu che sei del ramo, del resto, sai benissmo la differenza che c’è tra uno schizofrenico e un paranoico.
per lo schizofrenico 2+2 fa 13.769,31
per il paranoico 2+2 fa 4…..ma gli rode tanto il culo!
Enrico, la fai finita di infastidire Zau? 😛
Silvia cara già me stai simpatica:)))
Non ti preoccupare di quel poverino, che fa sempre confusione – vede una donna e la prende a testate! (e Enrichissimo caro sappi che no, non ti do sempre ragione. Ma solo nei casi in cui riesci a discernere quale è la testa che serve per pensare. Come sopra hai dimostrato di saper fare.PPPP ci ha due cippe:))
@ zaub:
e con una semplce frase me le rompi tutte e due
@zaub
è quello che ho spiegato a mia figlia. che ha capito, condivide, ma ha tredici anni anche lei, e alle volte ci sta male. e così, per salvare capra e cavoli, all’ennesima prevaricazione e alzata di mani (lei le ha prese, ma orgogliosamente devo dire che ne ha pure date, e non me la sono sentita di censurarla più di tanto) il figlio grande è andato ad aspettarla fuori scuola con un paio di amici. si sono presentati come i fratelli di antonia, e gli hanno fatto esclusivamente notare che la ragazza non è sola…
è servito.
purtroppo alle volte bisogna avvicinarsi, non troppo, al linguaggio dell’interlocutore.
“I giovani sono violenti perchè altrimenti non sopravvivrebbero nel mondo degli adulti”…
Appena letta su uno di quei giornali tipo Metro.
A che età finisce il mondo dei bambini ? Forse, sta finendo sempre prima perchè noi adulti riempiamo i loro spazi, logici e non, con contenuti appunto sempre più da adulti ?
Certo è che se confronto la mia vita da “bambino” fino ai 14-15 anni con quelli attuali ci vedo una differenza abissale. Ed è passata una sola generazione, non 20.
La storia dei figli dei gea col grande che va a difendere la piccola mi piace da morire, e, come dice, talvolta bisogna avvicinarsi al linguaggio dell’interlocutore. Ciò è vero anche tra gli adulti, ma ormai suggerisco di farlo con una mazza da baseball a portata di mano. e la distanza dell’avvicinamento consigliata è appunto data dalla somma della lunghezza del braccio + la lunghezza della mazza stessa.
I bambini sono resistenti. Su questo ho riflettuto spesso. Un po’ per esperienza personale, nel senso che la mia infanzia è stata così violentemente intensa, e poi, ora, guardandomi attorno, soprattutto a scuola. Capitano cose nella quotidianità che sono di una violenza e di un’aggressione insopportabile; con le insegnanti, nei giochi, in famiglia. E se ci soffermiamo ad analizzare i nostri comportamenti, di noi grandi verso i piccoli, non può che coglierci uno sconforto abissale. Eppure li vedi reagire, ma i segni che certi avvenimenti possono lasciare non sono visibili. L’altro giorno, entrando in classe, ho assistito ad una scena grave. “Vorrei finalmente vederti piangere, così capiresti quanto tu sei stupido rispetto agli altri”. La maestra sgridava un bimbo, piccolo – prima classe elementare- colpevole di aver riferito a casa “cose della scuola, non vere” e colpevole di essere un “asino”, non uguale agli altri. Tempo fa avrei reagito prendendo di petto la maestra; invece mi sono limitata a deglutire in silenzio e poi, a calma “ritrovata” ho coinvolto il piccolo in un compito “gratificante”. Che fare, in certe situazioni? Qual è la cosa giusta? Eppure quel episodio è abbastanza normale, così come è scontato ritrovare in certi ragazzi “insofferenti” decine di storie come queste. Io mi regolo con il cuore, ma non sono un’insegnante, sono solo un’esperta esterna, che con il grande mezzo dell’arte cerca di educare i piccoli a guardare.
Gea hanno fatto quello che si doveva fare. Non si può sempre andar via. Quando si sta in strada, se necessario, solo se necessario, bisogna conoscerne il linguaggio ed utilizzarlo. Bisona parlare la lingua dell’altro (come direbbe de Certau). Non ci sono alternative. Probabilmente anche il ragazzo in questione sarà più disposto ad ascoltare tua figlia ora e potranno, forse, trovare un punto di incontro utile soprattutto a lui per capire che la vita può essere diversa da quella che, purtroppo, gli hanno insegnato.
@gluck
però mi rifiuto di entrare nella logica degenerata di questi, e di farci entrare i miei figli..
non credo risolva molto, peraltro.
e poi spesso è sufficiente un display di forza, senza usarla.
come tra gli animali: le corna più grosse, il ruggito più forte, i colori più vivaci, e non è necessario arrivare allo scontro.
dal quale si esce perdenti in tre: tu, lui e la civiltà.
@Simona
Rinsaviti da cosa ? Colmati di che ? Guariti da che ? Parti con “va difeso quel bambino che è in noi”, ma poi sembra quasi che lo paragoni ad una malattia.
Ti chiedo perdono, ma non ho capito se fai il tifo per l’immaginazione o per il pragmatismo.
Personalmente, nel momento in cui capissi veramente che i miei sogni sono per lo più irrealizzabili, capirei contestualmente di essere arrivato alla frutta.
@gea
certo, d’accordo, ma quell’evento (che spero non sia così ricorrente) ha regalato ai tuoi figli, e a chi ha voluto capirlo, anche il messaggio della necessità, talvolta, che il potente difenda il debole.
Quindi, secondo me ne è valsa la pena.
Gea mi sembra che tutto sia andato per il meglio. Ci saranno altre occasioni occasioni in cui la gea picciridda dovrà tenere un occhio alla bestialità e uno alla civiltà. Ahò, così è la vita.
Mi piace pure l’iintervento di Miriam – ahò, ai visto mai…. – la maestra sarebbe da farla a strisce, ma è andata bene così. Negli studi psicologici, o psichiatrici, è tutta qui la questione, che cos’è che lede e che cos’è che miracolosamente resiste. il miracolosamente resistente è nell’avecce un genoma botta de culo, a mio avviso. Una cosa che ti farà esprimere in un certo modo nelle peggio avversità. Ma la cosa devastante per i bambini credo, non è tanto il fornire loro mondi non loro propri, che da un punto di vista strettamente logico filosofico, noi grandi quanto je la potemo fa a fa diversamente? ci proviamo come possiamo, ma in fondo un mondo concettuale in prestito è quello che dobbiamo fornire.
La cosa micidiale è la percezione conscia o inconscia dell’adulto che che se ne accorga o meno, ti vuole fare male. Ti vuole demolire. Per delle cose anche tristissime sue, per il problema della trasmissione dell’infelicità.
Io voglio vederti piangere. La maestra che dice così mi può far pena. devo dire, mi fa pena. Ma se dovrebbe fa curà -oppure dimettersi.
scusate eventuali strafalci, già so rintronata de mio – oggi deppiù.
@ gluk: faccio il tifo per l’immaginazione. Che mi consente di convivere con quel pragmatismo che l’esistenza quotidiana, infarcita di doveri e fatiche, necessariamente comporta.
Ma quel bambino che sento in me non è una malattia. Al contrario. La malattia, semmai, è per me la vita adulta. Rientrando nei panni dei piccoli con l’immaginazione e con la letteratura posso ringiovanire e trarre la forza per affrontare la realtà.
Ti ringrazio per l’occasione di chiarimento e ti abbraccio.
Zaub non preoccuparti. Ormai abbiamo capito che il rintronamento è una delle misure del tuo fascino.
Ho letto 7 volte il post di Zaub ma lo dovrò fare ancora.
Alla trentesima volta già so che mi cederà il nervo, ed avrò bisogno di qualcuno che me lo spieghi. (Purchè non sia Enrico Gregori, chè non ho abbastanza Momendol Act appresso)
O forse sono solo più rintronato di lei, boh. 🙂
@Miriam
nel ricordare che non solo le piante amano vivere in pace (:) ), ritengo interessantissime le tue opinioni. Ma… secondo te è sufficiente regolarsi col cuore, o è solo condizione necessaria ma insufficiente ?
finitela de prenderme in giro che oggi ero chiarissima:))
un siete mica tutti de coccio come gregori:)
gluck, se te serve quarcosa chiedi ammè che cerco de rinsavire.
eventerrimo grazie:)
@ gluck:
tranquillo, chiunque riesca a capire quello che dice zauberei rischia che gli venga strappato il cervello e studiato all’università
Enrico e se costruissimo un signore molto alto con parti del corpo recuperate qua e là ? Potremmo inviare Igor a prelevare un certo cervello…
@ evento:
ma questi viaggi roma-milano-roma li fai a balzelloni sulla testa?
Enrico…speravo che Frankestein Junior fosse un cult anche per te.
non mi ha mai entusiasmato
…si…può…fareeeeeeee….
E….. lupo ululà…. castello ululì, dove lo mettiamo ?
🙂
@ gluck:
girati
Caro Sergio Sozi, ho letto la tua recensione di “LA VITA INCAGLIATA di Attilio Del Giudice”, che condivido e ho apprezzato per la tua sensibilità, e letto gli stralci del libro che l’autore benevolmente ha messo in lettura; prima ancora i commenti e le risposte ai tuoi quesiti, dei nostri cari amici di scrittura.
Ritengo che l’autore abbia saputo e voluto mantenere una sceneggiatura, un affresco della realtà attraverso: soprattutto la levità, una raffinata innocenza dell’autore stesso, forse il ricordo delle visioni di lui bambino, che dimostrano come si possano trattare le brutture, le ingiustizie, e le atrocità della vita che coinvolgono bambini-adulti, adulti-bambini, delinquenti e disgraziati senza riscatto, senza le fiamme dell’inferno nel narrare.
La scrittura di Del Giudice è, secondo me, musicale e disincantata con il suo sguardo sempre pieno di meraviglia con una leggera ironia per sdrammatizzare quello che racconta: vuole credere e farci credere nella speranza di riscatto dei suoi personaggi.
Mi sono proprio divertito riflettendoci un po’ su e voglio leggere anche gli altri affreschi !
Grazie all’autore e al mio mentore Sergio Sozi.
Luca Gallina
@Sergio
I tuoi quesiti nell’ordine:
1) Gli adulti e i bambini sono sempre frutto del loro tempo e beneficiano della civiltà e benessere familiare e della società che li accolgono, quando queste risorse sono presenti: la differenza generazionale tra un adulto e un bambino può anche produrre incomunicabilità: un adulto nato nel 1940 e un bambino nato nel 1975, per esempio, molto meglio adulto del 1975 e bambino del 1995; la società cambia troppo velocemente, l’hi-tech è di consumo ed indispensabile e la cultura classica con i suoi valori è sempre meno spendibile come collante tra differenti generazioni, nella maggior parte delle relazioni interpersonali.
2– 3)Il tema della violenza riguarda sia la natura umana che quella degli elementi della natura, il luogo, in cui viviamo.
Perché, recenti studi scientifici, hanno dimostrato l’influenza del clima sul nostro sistema nervoso e fisiologico attraverso la meteoropatia, che è anche paragonabile alla somatizzazione dei disagi umani vissuti, con lo studio dell’eziologia in medicina.
Quello che succede in natura dallo shunami, all’eruzione dei vulcani è sintomatico dell’assestamento della crosta terrestre, senza tralasciare le precipitazioni atmosferiche; certo, non credo che siano eventi divini contro l’uomo. Mentre nella natura umana, in parte, è correlata la violenza con un sistema di energie influenzabili che provengono dall’ambiente naturale, sociale, e la parte più rilevante,però, è frutto dell’uso maldestro del nostro “LIBERO ARBITRIO”.
Mentre in diritto – il nostro ordinamento giuridico -, per sdrammatizzare, sono ammissibili le attenuanti generiche ma non quelle che giustificano la “natura” dell’uomo.
4) su questo punto non ho dubbi: la scrittura di Attilio Del Giudice e già poesia e se la
lasci libera all’aria aperta, per assurdo, si materializza in un istante in immagine,suono,colore.
Leggendo i suoi capoversi ho sentito la voce del bambino e visto le immagini che si svolgevano dal suo racconto: potrei realizzare subito un filmatino: I BAMBINI CI AMANO, CI GUARDANO CON INNOCENZA, CREDONO IN NOI CON RICONOSCENZA, CHE PUR
CONTINUIAMO AD IGNORARE SENZA PRENDERLI SUL SERIO E PROTEGGERE CON AMORE TALVOLTA:
POVERI NOI ADULTI!
Caro Sergio, ora mi e ti chiedo ho risposte a delle tue domande perché, a che pro, me lo spieghi?
Sei forte, sei un amico, grazie!
Luca Gallina
Uh sergio!
Mica me n’ero accorta che avevi detto che ero interessante. Graaazie:)))
Ah però Dio bbono, e più interessante de così mica ce riesco! quello che posso fa è solo riformulare meglio, una cosa a cui mi sono rassegnata avendo fatto una tesi sul male, e lavorando adesso colli adolescenti tristi.
Te ci hai un adolescente triste, che potrebbe essere anche un adolescente trist-o. nel senso di stronzo. Per esempio uno che è approdato in terapia in quanto che ce l’ha mandato il tribunale. In quanto che insieme ad altri compagnucci ha stuprato una compagna di scuola. Tutti di anni 15. oppure perchè, ha provato ad ammazzare una compagna di scuola. Sempre anni 15.
Poi un tuo collega segue i genitori. I genitori sono degli stronzi sovraumani. Ma dopo un po’, quesgli stronzi sovraumani scopri che sono dei bambini soli, bambini in fuga bambini che scappano o attaccano. La vecchia storia dei figli e le colpe dei padri. questa è la parte della storia. Cioè la fenomenologia del male nella storia. Io dico quello che vedo nel mio campo. Ma se uno si occupa di storia lo vede nel suo. Nelle guerre non ci sono mai vincitori e vinti, perchè vincere è costato troppi morti. Non c’è guerra che non lasci miseria, e povertà. Non c’è vicenda politica. e così. Fenomenolgia del male.
uno dice: (arendt) il male c’è perchè non si pensa abbastanza. ok. allora cominciamo a pensare. pensi e costruisci un mondo. il mondo si impone, l’imposizione si trasforma zelantemente in tirannide, e nel tempo di una sera siamo già dei pezzi di merda. (adorno e horkheimer, dialettica dell’illuminismo) è la storia della rivoluzione francese, di quella russa, e quanto non vorrei dirlo, ma è la storia di Israele.
Sicchè, io ho questa sensazione filosofica: c’è una specie di male metafisico che ci affligge, a cui siamo costretti nostro malgrado, certe volte sento che è connesso alla capacità di discriminare, di giudicare. (ma questo è un altro post. l’ultima volta che l’ho scritto da Luciano Comida qualcuno ha pensato che fossi fascista, penzumpo’) Come se il male è quel prezzo che paghiamo per poter vedere le forme sullo sfondo.
Sicchè laviamo, continuamente quelle macchie che ci servono per vedere. Come Sisifo siamo. Ma si ci fermassimo, non avremmo più niente di buono e oh, ne moriremmo.
sappiate che ci ho l’influenza, è colpa di Sergio e la febbre di sera sale.
@Gluk :
certo che il cuore non basta! Però se è ben disposto ci si può sempre fare un po’ d’ affidamento.
🙂
Vi ringrazio ancora una volta per i vostri commenti.
Ringrazio soprattutto coloro che si sonosforzatidi rispondere alle mia domanda e a quelle di Sergio Sozi.
Siete degli eroi.
🙂
Andando indietro con la memoria alla mia infanzia non riesco a ricordare nessun episodio di bullismo.A volte mi sembra di aver vissuto in un’altra epoca o in un altro continente,sebbene al sud ci si aspetterebbe una problematica sociale incline alla violenza.eppure ho ottimi ricordi di classi eccezionali sotto questo punto di vista.se qualcuno provava a dare fastidio a una bambina i maschi facevano quadrato intorno a lei,e nn c’era alcun bisogno di chiamare il fratello maggiore,non c’era indifferenza riguardo alle vicende altrui,belle o brutte che fossero,si faceva parte di un gruppo in cui c’era forte coesione cameratesca.
anzi,mi viene in mente un episodio quasi da libro cuore,lo voglio raccontare.Un giorno un bambino scendendo dalle scale,sara’ stato per la ressa del momento della fatidica campanella,venne spinto,e cadde rompendosi gli occhiali,con grave rischio di farsi male agli occhi.Noi della classe sapevamo che nessuno di noi poteva essere stato,tuttavia ci vedemmo piombare in classe un preside inferocito,che ci minaccio’che se non avessimo immediatamente svelato il colpevole l’intera classe sarebbe stata sospesa dalle lezioni per diversi giorni.Silenzio totale.un compagno alzo’ la mano e disse”sono stato io”.noi tutti ci opponemmo all’autoaccusa,smentendolo e discolpandolo,autoaccusandoci ciascuno a sua volta.Il preside rimase talmente commosso da questo coraggio e spirito di sacrificio verso i compagni che gli smonto’ tutta la rabbia e rinunciando a qualsiasi punizione, si complimentò per il nostro senso di civilta’.
Riguardo alle classi violente cito invece un episodio accadutoi a mio padre tanti anni fa.Lui era un maestro e dovendoci traferire a napoli,aveva trovato posto unicamente nel circolo didattico di poggioreale.Il primo giorno di scuola,apri’ la porta della sua nuova classe e disse”buongiorno bambini”,una sedia lo sfioro’ a due centimetri dalla fronte.Non si mise in aspettativa,ma affrontò la classe per quello che era,e alla fine dell’anno diceva con orgoglio di essere riuscito,non a svolgere il programma ministeriale,che sarebbe stata pura utopia,ma che tutti i bambini rimanevano seduti nei loro banchi per tutta la durata delle lezioni,e lo ascoltavano estasiati.Conoscendolo per come lui e’ accattivante e affabile,pieno di creativita’ e di sani principi,capace di raccontare favole e storielle con ovvi fini morali,io penso che molti di quei bambini figli di detenuti e famiglie molto disagiate socialmente,nn saranno diventati professionisti o intellettuali,ma sicuramnte nn hanno seguito la strada dei padri.
saluti dalla vostra mg sempre BASTIAN CONTRARIO.Scusate, ma a me nn dispiace.:-)
Cara m.g.
grazie. Molto belli i tuoi racconti/ricordi
m.g. mi ha fatto venire in mente com’ero a scuola elementare. La mia maestra era una donna grande, sempre ben vestita e truccata, una “signora”, e la nostra scuola era in ortigia, a quell’epoca un quartiere popolare. Nella mia classe c’erano due tipologie nette di bambine: quelle “povere” che, chissà perchè, non erano brave, e le “signorine” che occupavano tutte le prime file dei banchi. Le seconde avevano quaderni con la carta bianchissima, avevano astucci pieni di colori e per merenda portavano brioches profumate. Erano quasi sempre preparate, e quando una di loro non sapeva rispondere, la maestra l’aiutava, se la metteva vicina e le carezzava la testa. Io non appartenevo a nessuno dei due gruppi, mio padre aveva una grande pasticceria vicino alla scuola, ma non ero certo una “signorina”, anzi.
Però ero studiosa e la maestra mi teneva con il gruppo delle brave.
A volte ero invitata a qualche festicciola in case molto belle, dove c’erano mamme con fili di perle e bambinaie con i capelli raccolti. Mi sentivo sempre sola e a disagio in quelle occasioni. E in classe sentivo che qualcosa non andava anche se, tutto sommato, ero felice di sentirmi “privilegiata”. Non so, non credo che la violenza verso i bambini si possa ridurre agli atti di bullsmo, spintoni e sputi in bocca. Certe violenze apparentemente morbide sono forse quelle che lasciano i segni più profondi
A richiesta di Sergio, provo a scrivere qualche cosa di più sul libro di Mark Haddon “Lo strano caso del cane ucciso a mezanotte”.
Come ho già detto non ho letto il libro di Del Giudice, se non per i brevi stralci qui riportati e la recensione di Sergio stesso. Difficile è quindi per me riscontrare gli eventuali punti di contatto, se non quelli, come già detto nel precedente mio intervento, della descrizione del mondo circostante dal punto di vista di un bambino, usandone il linguaggio ed i limiti (se limiti sono, o forse meglio ‘orizzonti’) della mentalità infantile. E ciò di fronte a situazioni di disagio e di sofferenza causate, come sempre, dai grandi, dal mondo degli adulti, con le sue regole incomprensibili o comunque non condivisibili e tali da imporre l’elaborazione di originali strategie di difesa.
Nel libro di Haddon (che in gioventù ha lavorato per organizzazioni sociali, occupandosi di bambini ed adulti con una varietà di problemi mentali e fisici) il tutto è aggravato da un disagio ulteriore, di tipo mentale. Il protagonista del libro, Christopher, che come nel libro di Del Giudice è l’io narrante, non solo è un bambino, ma è anche affetto dal morbo di Asperger, una forma di autismo. La realtà che descrive, in forma di diario, è pertanto deformata anche da tale sindrome, che lo induce a seguire regole ferree autoimposte che lo condizionano pesantemente, ad esempio riguardo ai colori delle auto che passano (che possono prestabilire l’andamento di una giornata), dei cibi che assume (che non devono minimamente ‘contaminarsi’ l’uno con l’altro), dei contatti fisici di alcun tipo (assolutamente preclusi anche i semplici abbracci o le carezze dei genitori).
Cristopher ha una mente assolutamente non avvezza ai rapporti umani, ma “straordinariamente allenata alla matematica. Ama gli schemi, gli elenchi e la deduzione logica. Non è mai andato più in là del negozio dietro l’angolo, ma quando scopre il cane della vicina trafitto da un forcone capisce di trovarsi di fronte a uno di quei misteri che il suo eroe, Sherlock Holmes, era così bravo a risolvere. E Inizia così a indagare” (dalle note di copertina).
La trama, che ha la struttura del giallo anche se l’unico cadavere è quello del cane, lo porterà a scoprire il “cinicida” (si dice così ?) molto più vicino di quanto potesse aspettarsi, ma soprattutto a rivelargli molte verità riguardo ai suoi genitori che gli erano state nascoste, che forse non avrebbe mai compreso altrimenti, e che condizionavano i rapporti tra i 3 membri della famiglia e la sua vita stessa. Il percorso verso queste soluzioni (compresa una ardua e sofferta fuga dalla sua cittadina fino a Londra) è un quindi un percorso di crescita. Christopher alla fine riuscirà a trovare una sorta di equilibrio nei rapporti con i genitori che all’inizio del libro sembrava perduto irrimediabilmente, seppure in una situazione di rapporti familiari che rimane definitivamente “guasta”.
Il tono del libro rimane tuttavia lieve, nonostante i temi anche pesanti trattati, e talvolta sconfina apertamente nell’umorismo. Anche in questo c’è probabilmente qualche attinenza con il libro di Del Giudice.
Un’ultima curiosità: “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” è stato pubblicato in Inghilterra in due vesti, una per i ragazzi e una per gli adulti, ed è stato un vero caso editoriale che ha riscosso molto successo in tutto il mondo, presso entrambi i pubblici.
Ma… io è da tempo che vi faccio “due palle” con mio figlio, l’ho detto quando non era il tema del post ed ora, quando ce ne sarebbe stata l’opportunità, lo stavo tacendo.
Mio figlio prese uno schiaffo alle medie, essendo miope non vide più nulla dopo la caduta degli occhiali, quei bulli lo riempirono di schiaffi, perchè era (è) diverso, amava il rock e non la musica neo-melodica para-camorrista che si sente ad alto volume nelle mini-car; ogni tanto asserisce di essere anarchico (robe da ragazzi, fisse da teen-agers), loro al liceo non “capiscono” e lo picchiano ancora, perchè è diverso, non veste firmato, adora Ac/dc e porta i capelli lunghi a coda e non stuccati col gel; mio figlio non è contento quando, passando la polizia, i suoi colleghi studenti dicono :”sono passati gli infami”, gli salta di dirlo e, ancora botte. Ora non ha tanta voglia di uscire, soffre di una leggera agorafobia e, quando gli dico di tenersi le opinioni “dentro” lui mi risponde che la democrazia e la voglia di pace non si possono nascondere, però non esce o quando lo fa devo accompagnarlo in macchina, perchè comincia ad aver paura del mondo, del mondo della sua età.
anonimo
@ Adriana
Grazie per averci raccontato il tuo aneddoto. Preciso che Ortigia è un quartiere centrale di Siracusa (ma anche un’isola attaccata alla città)
@ Carlo
Grazie per la tua recensione de “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” e per la critica comparata con il libro di Del Giudice.
@ Francesco
Grazie anche te per averci raccontato la tua esperienza (l’avevi già accennata… è vero).
Tuo figlio è uno che ragiona con la sua testa. E questa è una cosa buona.
Per quanto concerne il resto… è solo una fase, vedrai. Passerà crescendo. Tu però continua a stargli dietro.
Sergio: bel dibattito hai suscitato con le tue domande! Sì, anche a me piace sperimentare alla Consolo. Prosa e poesia così diventano un tutt’uno. Prima ero più attenta alle etichette di genere, però la Mazzucco ad esempio, che mescola nei suoi romanzi tanti tipi diversi di scrittura, mi affascina molto. Amo i pastiche linguistici, la La Spina con la sua lingua-dialetto forte e immaginosa…
@ Gluck: la letteratura è antidoto, è vaccino, è risarcimento. Tutta la vera arte lo è. Ci raccontiamo storie per capire chi siamo. Come i bambini. Se raccontassimo loro più fiabe e favole e miti forse… non so.
Il bullismo… anche i bambini possono essere cattivi. La cattiva coscienza dei genitori è uno dei fattori principali. E qui ha ragione Gregori. Ma l’ontologia del male resta sempre misteriosa.
@ m.g.
bè, che dire? a volte riesci a darmi qualche motivo per essere contento di conoscerti
🙂
@ didò:
comprendo la situazione di tuo figlio. uno status che ho visto moooooooolto da vicino e non posso certo censurare il suo comportamento, anzi, lo ammiro. e ovviamente mi dispiace il disagio nel quale visse e vive.
penso però, sommessamente, che sia bello portare i capelli lunghi, ascoltare il progressive ed entusiasmarsi per gli Ac/Dc e che tutto questo non confligga con il fatto, per esempio, di prendere un bloccapedali e sbatterlo in faccia a un paio di quelli lì.
se avesse fatto ciò, credo che oggi tuo figlio starebbe meglio.
Se, come dicevano tanti buontemponi, “uccidere un fascista non è reato”, figuriamoci se può esserlo far cadere una fila di denti a un guappo demmerda.
@enrico
al di là del reato, e delle considerazioni morali sulla spirale della violenza e blablabla, se tu sei solo e loro sono tanti mi pare alquanto pericoloso.
🙂
@ gea:
dai il mio celluare al figlio di didò. spiego a lui
🙂
@Sergio e Gea e Enrico che non tratta!
Per catena di disordini intendo molte cose che, ovviamente (non è comunque una regola fissa) favoriscono la violenza dove mancano i mezzi economici. Comunque mi sembra che un po’ tutti si servano della tv come baby-sitter, ignorati i libri di fiabe, lo sguardo vitreo dei super manga che educano alla guerra continua, disco roteante mozzateste, robots, avanzare fino alla completa distruzione ragazzi!
Quand’ero ragazza andavo a fare le ricerche in biblioteca con il mio quadernone a quadretti trascrivevo che era una bellezza. Oggi con computer trovano ciò che vogliono senza neppure sentire l’odore del libro: la ricerca avviene in 5 minuti, poi non so cosa vanno a cercare in internet, ma è abbastanza chiaro che quando escono di casa sembrano gorilloni appena usciti dalle gabbie, coi capelli zuppi di gel dritti e rigidi come i chiodi. Guardate come camminano, Fonzie in confronto è un apostolo!
Non è difficile capire che sono soltanto il termometro di una società adulta abbastanza malata fatta di genitori palestrati e paninari con in testa la telematica, nonni figli dei fiori nostalgici di libertà e pantaloni a zampa, famiglie multiallargate dove la mamma convive con l’amico del figlio, il papà ha preferito la collega o chissachi, ed anche il pensionato non scherza con quei quattro flaconi di viagra in tasca (non si sa mai ritornassero i bei tempi!). Tutti insieme appassionatamente, compresi barbies e big gim, computer in mano e votati unanimemente al culto edonistico dell’oggetto e della sua alienazione, tanto con un bel lifting dall’autunno si può ritornare alla primavera, una tiratina ed anche l’ultimo nato viene sfidato a riconoscere età e stagioni, figuriamoci il resto!
Con quale dei pupi vogliamo prendercela?
ecco, dev’essere colpa del gel che hanno sulla testa se quei 4 stronzi di cui sopra picchiano il figlio di didò. se poi uno ha un padre che porta i jeans scampanati, cazzo, ma ce lo vuoi chiudere o no in riformatorio?
Ah ma io mica faccio sconti, eh no! Ieri mattina ho visto un ragazzino che camminava più dinoccolato di Fonzie. Non ci ho pensato mica due volte. Ho premuto sull’acceleratore e l’ho investito. Poi sono passato sul cadavere a marcia indietro. E così altre tre-quattro volte finché non gli si sono stirati quei cazzo di capelli che prima erano dritti e rigidi come chiodi. Cazzo, ho rischiato di forare tutti e quattro i copertoni. Ma alla fine l’ho eliminato, quel criminale!
Riconducendomi al tema più sopra espresso del Bene e del Male, magari dico una scempiaggine, ma personalmente ritengo che quest’ultimo sia insito nella natura stessa dell’uomo in quanto concepita nella forma della dualità, che non può non essere scevra, di conseguenza, da conflitti e scelte spesso impossibili e drammatiche.
Per fortuna di questo stato maligno ne sono esenti i bambini, ma direi, anche per mia esperienza di genitrice, fino circa ai due anni perchè, superata questa breve età, anch’essi già cominciano a costruire quelle strategie che con l’età adulta si traformeranno nella maggior parte dei casi in corazze assai rigide e imprigionanti.
Apprezzo molto il linguaggio fresco e popolare dell’autore Del Giudice, di cui ho letto i godibilissimi brani estrapolati dal suo romanzo, soprattutto per la rara e ammirevole capacità che denota di sapersi abbandonare, libero da qualsiasi zavorra, a quel flusso interiore dove bisogni e desideri fluiscono in armonia e sinergia con le emozioni e i sentimenti, e che tutti , bambini e adulti, dovremmo cercare di imitare per mantenerci in uno stato di spontanea e confidente vitalità e felicità.
Per quel che riguarda la poesia, non disdegno testi poliedrici che affrontino magari lo stesso tema servendosi di diversi generi letterari.
Io stessa ho sperimentato un tentativo del genere con un testo dove si alternano saggistica, narrativa,poesia (esergo di ogni racconto) e lirica teatrale; direi che il risultato mi è sembrato armonioso, equilibrato e soddisfacente. Ma quanto sono di parte e narcisista!
Porgo miei complimenti a tutti e, in particolare, all’eccellente conduttore di queste serate, Sergio Sozi.
A tutti un caro saluto,
Cyprea
risono le sei, ma di un altro mattino.
sono ai minimi storici in quanto a sidol, e so che ne verrà fuori un caos, però devo proprio.
fermo restando che sì, i comportamenti devianti dei ragazzi nascono spesso da situazioni familiari problematiche, o per lo meno da genitori fuori ruolo, avrei parecchio da ridire sulla descrizione data sopra di famiglia disfunzionale e sul rapporto cause- effetto tra come uno sceglie di vestirsi e come sta dentro.
non avrò un campione statisticamente significativo, ma i peggio bulli incontrati nel tempo venivano da famiglie ”tradizionali” e chiuse a riccio nel loro micromondo. il familismo amorale (right or wrong, my people) nasce da una sottocultura arcaica, dal clan. è il germe della mafiosità.
in qualche caso i genitori erano separati, in altri no. non è un divorzio a creare il mostro, è l’abdicare dei genitori alla loro funzione educativa. e questo lo si può fare benissimo restando insieme. anzi, a volte viene meglio. due persone unite e concordi, convinte di avere ragione nel difendere oltre ogni logica i pargoli preziosi, possono fare più danni di chi si separa e si confronta dialetticamente con qualcun altro.
la Famiglia maiuscola, roccaforte della Tradizione, in cui tutti si vestono in maniera non appariscente e consona al ruolo, tutto è lindo, perfetto, senza un’ombra, si deve sempre mangiare tutti insieme e guai un volo di fantasia, dove una trasgressione anche minima è un affronto alla santità dell’istituzione, può essere un verminaio di rancori, perversioni e schifezze varie molto più di una minuscola, dove magari si litiga, i calzini si spaiano, l’unica con i capelli corti è la madre, l’abbigliamento dei figli va a fasi, come picasso (il periodo nero, il periodo sciatto, il periodo verde) ma si parla, si legge, si ride e ci si sostiene a vicenda senza mai difendere l’indifendibile, e senza mai dare per scontato niente.
non sono gel, capelli lunghi o piercing il problema. la mancanza di ascolto lo è. e la scarsa credibilità di chi predica di etica ma dietro la facciata per bene nasconde opportunismi, furberie, egoismo e microcrudeltà.
tanto, basta che non si sappia, no?
Qualche schiaffo non ha mai cambiato le idee, anzi.
All’ospedale “perché non te ne sei andato”, risposta “perché volevo che si ponessero questa domanda”. Certo in gioventù se ne commettono tante di fesserie, ma il vero problema è se non si possono raccontare a nessun genitore, qualunque sia l’abbigliamento o il taglio di capelli.
@gea
Come “La famiglia Winshaw” (ottimo romanzo di J. Coe).
@Enrico e Gea e Carlo e Evento Unico
No, non propongo mica esempi come la pubblicità del mulino bianco! Voglio semplicemente segnalare che c’è confusione nella società e i giovani sono cresciuti nella confusione di figure educative alle quali fare riferimento. Concordiamo quando parliamo di abdicazione del ruolo educativo, mamme – sorelle delle figlie e padri – amichetti, tanto vicini ai pargoli cresciuti soprattutto con l’idea di dover accettare passivamente ogni loro periodo blu, rosso, verde.
In tutto questo c’è anche l’influenza generazionale di quelli che prima si sono arrabbiati contro coloro che compravano frigoriferi e lucidatrici e che cantavano le canzoni di Modugno, ma che poi (fischiettando i Beatles) con una mano cucinavano con la pentola a pressione e con l’altra passavano l’aspirapolvere, abbandonati i pantaloni a zampa e convertiti al doppiopetto della banca!
La contraddizione è palese ed ha democraticamente portato il ragazzo a sentirsi libero solo quando esce di casa e vaga col motorino a tutto gas : – Che bella l’aria fra i capelli! oggi fa freddo ma chi se importa c’è il sole! –
C’è stato un edonistico egoismo camuffato da un apparente apertura, votati alle cose così come i perbenisti (più formali e stucchevoli). Tant’è vero che la microcrudeltà non è affatto scomparsa e che il bullismo è raddoppiato, gli adulti ridono e fanno quello che gli pare, la comitiva è aperta al dialogo, tutto è permesso e non è poco se riescono a vantarsene con un filmato da mostrare agli altri.
Conclusione.
L’affettività è anche il calore che istintivamente si dona, così come stringere un bimbo al petto; non importa se l’impatto è con i peli del padre o con la setosità del seno materno, ma non dovrebbe essere l’animalità della specie ad organizzargli la vita, voler bene è un sentimento che si avvale anche della ragione. Chi non ha pensato alle conseguenze dei propri egoismi non solo non ha amato ma non ha neppure ragionato.
Quindi, non rompano le scatole né i falsi perbenisti né gli sfrenati baccanici fautori di libertà, il caos e la mancanza di Senso è l’ovvio risvolto educativo di queste generazioni di cui si condanna la follia.
Saluti
Torno adesso dalla rutilante Bagdad del mediterraneo (per fortuna il compagno iracheno di mia figlia non comprende l’italiano – è dietro di me che cucina un profumato e saporoso riso che si chiama Chima e si mangia durante la festa sciita della Sura – altrimenti si offenderebbe: a Bagdad non fanno la pinna coi motorini).
Dicevo torno dai mie pellegrinaggi in bus a Napoli dove iersera, oltre ai blocchi canonici e all’immondizia bruciata, dei ragazzini hanno minacciato col coltello un mio collega sequestrandogli il bus (i bus poi sono passati a due) poi hanno fatto l’autopsia ai copertoni (700 euro a gomma, che pagate voi del nord, Bossi un tantinello ha ragione).
Ora mi chiedo e vi chiedo, da democratico, pacifista, no global, antimilitarista, antirazzista (che belli i gol del Mario nero ierisera), ma…non è che la dovremmo risolvere con un leggero coprifuoco militare?
Le mummie di Roma (non parlo di te Enrico, ti voglio bene.) parlano di “emergenza democratica” per la caduta del governo, a me sembra che l’emergenza sia in altri posti, non pensate che una “Tolleranza zero” a Napoli potrebbe risolvere anche i problemi, chessò di Cantù?
Sembra una provocazione amici miei, ma a Napoli siamo oltre “la frutta”!
@Gea,
importante la tua risposta a Rossella, ma credo che non avessi compreso appieno il senso delle sue parole e
@Rossella le ha replicate in modo dignitosamente “esemplare”, sono d’accordo con lei (e non definiteci maggioranza silenziosa).
@Rossella,
avendolo già trascritto in questo blog, anche se in altro post, non voglio esagerare, ma qui:
.
http://eventounico.blog.kataweb.it/2007/04/23/rap-porto-sulla-gioventu
.
puoi capire quanto possa essere daccordo.
@ Rossella
Questa volta sono pienamente d’accordo con te. E forse avrei potuto esserlo anche le altre, se ci fossimo spiegati un pò meglio invece di prenderci di petto.
Ciao
@ Didò
Questo Paese è tutto un’emergenza. Da decenni (chiamala emergenza !!!)
@ I quadernoni si usano ancora e nelle biblioteche è facile imbattersi in gruppi di ragazzini intenti a scrivere su quei quadernoni rivestiti di plastica, perché così si è più ordinati. Prima d’ogni mio intervento (educazione all’immagine) scrivo un testo che poi leggo in classe; sulla scansione delle parole e delle frasi imposto il programma. In una prima elementare ci stiamo occupando dell’estinzione dei dinosauri, la scuola si trova in un importante sito geologico e per preparare i ragazzi ad una visita in loco, propongo attività di “sensibilizzazione curiosa”. E’ intatta nei bimbi la voglia di poesia e di sogno, proprio com’è intatta anche per noi adulti. Anzi è così preponderante, che noi mamme-papà e adulti in genere, scambiamo per poesia ciò, che nella maggior parte delle volte non è. Cito Carotone “un mondo difficile, futuro incerto, felicità a momenti”.
A volte, mi sembra di cogliere fra chi parla di bambini e adolescenti, una posizione distante, contrapposta; quasi un noi contro loro, o meglio, il nostro passato contro il loro presente, e sostanzialmente contro il nostro futuro.
A proposito di bullismo, Gluck, ieri, intervenendo qui, ha sottolineato, rispondendo a Gea, una cosa importante: l’evento ha regalato a chi ha voluto capirlo, anche il messaggio della necessità, talvolta, che il potente difenda il debole.
L’utopia non aiuta, anzi, confonde rendendoci paladini di un conflitto inesistente. Forse è più salutistico il confronto su un’immagine: noi, tutti, immersi nella stessa piscina e obbligati, da una forza esterna che sta ai bordi, a nuotare, aiutando chi non riesce ancora a farlo nel rispetto dell’angusto spazio delle corsie.
Buongiorno, scusate il ritardo.
Nell’ intervento in questo dibattito, che tocca anche il mio piccolo romanzo, devo fare una premessa: io credo che mai uno scrittore può o debba essere l’avvocato delle sue storielle. Se gli va bene, gli tocca il ruolo dell’imputato. Dico “se gli va bene”, perché non sono pochi in Italia i talenti che per una serie di variabili estranee alla qualità della scrittura, non arrivano alla pubblicazione e non vengono mai letti e giudicati.
In qualità di imputato ne esco felicemente. Mi pare di essere stato assolto con formula piena. Ne ricavo una indelebile gratificazione. Per un editore, per un libraio, per un distributore, nell’esercizio tecnico delle specifiche funzioni, tutti i lettori sono uguali di fronte alle sacre….leggi del mercato. Per un autore non è così. Le analisi favorevoli sulla Vita Incagliata, emerse da questo dibattito, mi fanno piacere particolarmente, perché so bene che i frequentatori di Letteratitudine, rappresentano un’elite intellettuale e, a suffragare questa dimensione, taluni hanno dipanato emozioni, esperienze personali e grazia formale. Non mi resta, quindi, che ringraziare tutti. Sono, poi, molto grato a Sergio Sozi per l’importante recensione. Sergio è mio amico, ma è, soprattutto, un illustre critico e scrittore. Naturalmente, ringrazio Massimo Maugeri, del cui talento a nessuno verrebbe in mente di dubitare, mi ha generosamente ospitato. Colgo l’occasione per salutare Cristina Bove, che incontro in questo dibattito, la incontro dopo alcuni anni e ricordo di aver apprezzato la sua problematica profondità di pensiero e l’intensità poetica.
Il mio intervento potrebbe concludersi qui, se non avessi l’obbligo di rispondere ad alcune precise domande, che si potrebbero riassumere in questi interrogativi: su quali basi e presupposti ho scelto di parlare di quell’ambiente, di quel degrado e di un ragazzino di dieci anni? La risposta è che non lo so. Nei miei romanzi precedenti i personaggi sono adulti. Forse qui, nella Vita Incagliata si erano sedimentate alcune esperienze sul campo, una curiosità e sensibilità sociale e, forse, anche i miei precedenti lavorativi: per molti anni ho esercitato la professione di psicologo nelle pubbliche istituzioni preposte alla consulenza psicopedagogica. Ma vorrei dire un’altra cosa più generale: il luogo comune che vede i vecchi psicologicamente simili ai bambini, secondo me, non è campato in aria. I bambini hanno i sentimenti (non parlo solo dei buoni sentimenti), per così dire, scoperti. I bambini vivono sentimenti veri e naturali, non ne conoscono la deriva, ignorano il sentimentalismo, non sono sufficientemente sperimentati dalla vita per crearsi maschere, schermi, scudi protettivi. I vecchi, invece, non ne hanno più bisogno. Nel breve tempo che hanno da vivere, le catene dei ruoli sociali si allentano, le prigioni si aprono, possono andare all’aperto, liberi e senza maschere e vivere anche loro, come i bambini, i sentimenti in maniera naturale. Lo scarto psicologico, insomma, si annulla o di molto si riduce. Infine, quelli che scrivono letterariamente (vi risparmio citazioni leopardiane o pascoliane) hanno a che fare per necessità interiore e, per certi versi, deontologicamente, con l’evocazione delle matrici psicologiche originarie della propria vita, questo anche se le tematiche e i contenuti narrativi non riguardano l’infanzia.
Sul tema principale del dibattito, proposto da Maugeri, sono, evidentemente, la persona meno adatta a rispondere, questo perché io ci ho provato, ho provato a raccontare, in qualche modo, di un bambino succube di un ambiente familiare e sociale violento. Forse mi sento di dire, umilmente, che un viaggio narrativo che abbia per protagonista un ragazzino, presenta una miriade di difficoltà non solo nello scandaglio psicologico, ma anche, e soprattutto, nei processi di “inveramento” linguistico. A questo punto vorrei dire una cosa quasi blasfema: in Agostino di Moravia (un capolavoro fondamentale), i ragazzi di vita, che entrano nella vicenda, non mi convincono, mi lasciano un po’ perplesso proprio per l’uso della lingua, e la stessa cosa direi per Io Non Ho Paura di Ammanniti, uno scrittore che, tuttavia, amo molto.
Ne discutevo, pochi giorni fa, con Andrea Carraro, che cura una collana di Gaffi Editore, col quale uscirà ad aprile un mio libro (spudorata pubblicità!!!). Carraro mi confortava in questa mia opinione un po’ audace. Chissà se può essere accolta anche da voi.
@ Attilio:
intervento chiarifcatore quanto essenziale. Per quel che vale concordo pienamente sull’osservazione in merito a “Agostino” di Moravia e, proprio per questo, io non lo ritengo affatto un capolavoro fondamentale.
Ciao, Attilio. Grazie.
L’importante e’ mantenere ben distaccata la realta’ dalla Letteratura. Che si ”gaddeggi” o si ”pasolineggi” (o si e’ semplicemente se stessi, meglio) sia sempre chiaro per il lettore e l’autore quel processo di elaborazione artistico contraddistinguente la quotidianita’ dalla sua interpretazione scrittorio-narrativa. Parola di antirealista; insomma di chi, come me, ha dei tabu’ (lo ammetto e ne sono felice, per quanto mi riguarda personalmente): il primo dei quali riguarda le esasperazioni d’ordine sociale. Infatti, preferisco di solito apprendere la dura, violenta, realta’ italiana da fonti come i giornali e l’informazione, o dalla realta’ quotidiana stessa, che non ci risparmia niente di stupido e ottuso. La Letteratura preferisco invece vederla (e farla) come via di fuga dalla realta’ o tutt’al piu’ come fattore di meta-realismo: una specie di realismo trasognato, propositivo ed artistico, diverso perche’ filtrato e pregno di valori e sentimenti, di amore per l’uomo e per la Natura. Ecco perche’ ho pensato ad Attilio Del Giudice.
Sergio
Scusate per qualche sbagliuccio en passant.
a massimo
sono lusingata dagli apprezzamenti,e quasi tentata dal raccontare altri episodi della mia lontana ormai,vita scolastica,anche piu’ divertenti se volete.forse potrebbe sdrammatizzare le tematiche di questo blog,sulle quali non mi sono espressa,non per disinteresse,ma in quanto credo che la genesi ontologica,come dice Sergio del male o dei comportamenti violenti,sia un tema tropo complesso per afrontarlo in questa sede.ogni intervento contiene innegabilmente delle verita’,ma non e’ esaustivo e nessuna analisi e’ definitiva.mi sento di esprimere tutta la mia solidarieta’ alle piccole vittime dei vari episodi di bullismo che sono stati raccontati.ma io nn ho una ricetta per risolvere il problema.per cui evito di pontificare.
Fa bene allora enrico che la butta sul ridere,con la sua tagliente ironia,che stigmatizza ,paradossalmente e laconicamente,certi malcostumi adolescenziali.Grazie alla sua acuta quanto insana intelligenza ha semlicemente capito che in certi casi l’ironia e il sarcasmo,sebbene venati di amaro rammarico, sono l’unico commento possibile.
Riscrivo il testo con piu’ correttezza sintattica.
Ciao, Attilio. Grazie.
L’importante e’ mantenere ben distaccata la realta’ dalla Letteratura. Che si ”gaddeggi” o si ”pasolineggi” (o si sia semplicemente se stessi, meglio) sempre sia chiaro per il lettore e l’autore quel processo di elaborazione artistica contraddistinguente la quotidianita’ dalla sua interpretazione scrittorio-narrativa. Parola di antirealista; insomma di chi, come me, ha dei tabu’ (lo ammetto e ne sono felice, per quanto mi riguarda personalmente): il primo dei quali riguarda le esasperazioni d’ordine sociale. Infatti, preferisco di solito apprendere la dura, violenta, realta’ italiana da fonti come i giornali e l’informazione, o dalla realta’ quotidiana stessa, che non ci risparmia niente di stupido e ottuso. La Letteratura preferisco invece vederla (e farla) come via di fuga dalla realta’ o tutt’al piu’ come fattore di meta-realismo: una specie di realismo trasognato, propositivo ed artistico, diverso perche’ filtrato e pregno di valori e sentimenti, di amore per l’uomo e per la Natura. Ecco perche’ ho pensato ad Attilio Del Giudice.
Sergio
Grazie, M.G.,
pero’ credo sia di vitale importanza che un Paese trovi una via comune anche in fatto di pedagogia o rapporto con i figli. Senza pontificare, certo. Pero’ sarebbe bello che in Italia ci si unificasse rispetto a certi valori e a certi comportamenti e linguaggi da tenere con i bambini. Perche’ i figli di chi ci vive accanto sono anche i nostri figli.
Sergio
O.T.
Sergio hai problemi con la posta. Ho usato quella vecchia.
@sergio
a me non sembra sia possibile, in un Paese, trovare una via comune in fatto di pedagogia e di rapporto con i figli. Nel nostro paese, e in molti paesi come il nostro la realtà sociale è così sfaccettata che ognuno fa a misura della propria sensibilità, educazione, capacità e, soprattutto, possibilità. Si tratta di una faccenda estremamente complessa. Mi risulta che molti genitori non si preoccupano affatto di trasmettere valori o di individuare comportamenti e linguaggi da tenere con i figli, bambini o ragazzi che siano. Nè se ne preoccupa la società. Ma ragioniamo: chi è la società? Io lavoro nell’ambiente della scuola, un luogo sicuramente fondamentale per la formazione dei giovani. Ma spesso accade che “quel che si sa” risulta prevalente, quando realmente si può “misurare”, rispetto a “quel che si è” . Chi si preoccupa di cosa accade dentro e fuori dalle aule scolastiche? E chi si preoccupa di controllare se l’insegnante, oltre a somministrare una disciplina qualsiasi, è in grado di comunicare qualcosa che possa essere utile per la formazione civile e, direi, umana del giovane? Ho un alunno dello Sri Lanka, ha due cognomi lunghissimi e illeggibili pieni di y e j e w. Il suo nome è Samith. Bene, tutti i miei colleghi insegnanti lo chiamano per nome (ma chiamano tutti gli altri per cognome) e persino nel registro scrivono Samith è assente o Samith ha giustificato. Ho chiesto loro perchè, mi hanno risposto tutti che non hanno tempo per trascrivere un nome così difficile…
Cara Adriana,
la scommessa e’ questa – al di la’ del tuo alunno, che mi sembra cosa da poco rispetto alla sostanza dell’educazione. La scommessa e’ trovare un modo nazionale di rapportarsi coi figli. Io vivo all’estero e avrei da dirti che questo generalmente esiste, con le debite sfaccettature, certo, che comunque non inficiano mai il corpo tradizionale del sistema valoriale nazionale. L’Italia invece e’ un po’ sballatina, mi pare…
Eventounico (personale),
arrivato tutto e gia’ risposto. Comunque riprova anche all’indirizzo a mio nome. Di solito funziona perfettamente. Grazie.
Sergio
@ Attilio Del Giudice
Ti ringrazio molto per il tuo intervento (ottimo). È stato un vero piacere averti ospitato (ringrazio ancora Sergio per la recensione e la co-conduzione del post).
In bocca al lupo per la tua prossima uscita. Salutami tanto Alberto Gaffi e Andrea Carraro, eh?
–
@ M.g
Sono lusingato che tu sia lusingata
😉
Enrico,
neanche a me ”Agostino” di Moravia sembra un capolavoro (sulla poca amicizia con Moravia siamo in sintonia, vero?)… eppure… forse sara’ un libro che qualcun altro ed io proporremo per una traduzione! Meglio lui che altri, dopotutto. Cosa ne pensi? Mi trovi ambiguo? In fin dei conti bisogna anche mangiare… e Moravia non e’ l’ultimo arrivato.
@sergio:
tra capolavoro e boiata ci passa l’oceano. per me Agostino è in quell’oceano con tendenza verso un libro decisamente interessante, che credo vada letto. potrei anche dire che forse è il migliore di Moravia che, indubbiamente, non è l’ultimo arrivato. Lo riconosco come un autore significativo e seminale ma, per me, leggerlo è sempre stato come leccare una lastra di ghiaccio.