Conosco Davide Barilli dai tempi di Musica per lo Zar.
Non so se qualcuno l’ha mai fatto prima, ma osservando la foto che vedete qui sulla sinistra ho appena deciso di ribattezzare Barilli come il Tom Selleck della letteratura italiana.
Ciò premesso (e tornando seri) bisogna dire che Barilli è un ottimo romanziere dalla penna raffinata (uno di quelli che, già leggendo le prime pagine dei suoi libri, capisci subito che sa scrivere Storie con la esse maiuscola e ama la letteratura); fa parte della redazione della «Gazzetta di Parma» (si occupa di cronaca giudiziaria e della pagina culturale) e per la sua attività di giornalista ha vinto la prima edizione del Premio «Egisto Corradi». Oltre al già citato Musica per lo zar ha pubblicato il romanzo La fascia del turco e alcuni libri di racconti, Poltrona per acqua, La casa sul torrente e Piombo e argento.
Ho deciso di invitare Davide Barilli qui a Letteratitudine per approfondire la conoscenza del suo nuovo romanzo “Le cere di Baracoa” (Mursia, 2009, € 17).
Riporto il testo che trovate sulla bandella laterale del libro.
Novembre 1944. Durante una rappresaglia scoppia un incendio in una cereria della Bassa Padana. Muoiono due ragazzi: i fratelli Gabbi. Per oltre mezzo secolo Celso, il fratello maggiore emigrato in Centro America, cova la vendetta che, al suo ritorno, sfocia in un omicidio.
Risucchiato dalle leggende di un uomo dal sangue zingaro e incuriosito da una vecchia cartolina in bianco e nero, un misterioso narratore ripercorre la vita dell’assassino per inseguire un delitto privo di enigmi investigativi, ma ricco di misteri.
Dai nebbiosi argini del Po comincia un avvincente viaggio in una Cuba inedita, lontana dai luoghi comuni del turismo di massa, un peregrinare durante il quale il protagonista incontra le ombre, spesso appena accennate, di personaggi realmente esistiti: dal campione di scacchi cubano Capablanca a un inedito e immaginario Italo Calvino bambino, da Errol Flynn a Magdalena Rovieskuya, la cantante lirica russa che scappò dalla rivoluzione dei bolscevichi per gestire un hotel nell’antica città di Baracoa; ma anche Gino Donè Paro, l’ex partigiano veneto che sbarcò sull’isola con Fidel Castro per liberarla dalla dittatura di Batista. E poi il bicicletero Barroso, il tapizero Orlando e tanti altri anomali personaggi che affollano le assolate strade cubane.
“Le cere di Baracoa” (lo sto leggendo in questi giorni) è un romanzo avvincente, ben scritto, ambientato in una Cuba diversa da quella “solita”. Ma è anche un romanzo che tocca diverse tematiche: c’è il tema della vendetta, quello della ricerca, quello del viaggio… e quello degli incontri.
E proprio rispetto a quest’ultimo mi piacerebbe aprire una discussione parallela.
Provo a porvi un paio di domande…
Cosa rimane degli incontri che facciamo nel corso della vita… durante il nostro peregrinare… nei nostri viaggi?
Quando e perché un incontro – piuttosto che un altro – riesce a incidere nelle nostre esistenze?
Davide Barilli parteciperà alla discussione.
Di seguito vi propongo la recensione di Giovanni Tesio, apparsa su Tuttolibri di sabato scorso e l’articolo – in esclusiva per Letteratitudine – di Francesca Giulia Marone (che mi darà una mano a animare il dibattito)
Massimo Maugeri
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DAVIDE BARILLI tra la Bassa e Cuba
di Giovanni Tesio
Due storie che s’incrociano e che si rimescolano fino a perdersi in una sorta di sentiero interrotto, che appartiene alla natura dei sogni. Le cere di Baracoa (Mursia, pp. 234, e 17), è il terzo romanzo di Davide Barilli, cinquantenne giornalista della «Gazzetta di Parma», che a partire da un delitto commesso nel clima avvelenato della guerra civile approda ai grovigli dei misteri cubani.
Non importa cercare quanto di documentabile e quanto di inventato ci sia in questo romanzo che associa le figure del cronista, del viaggiatore e del romanziere, perché di fatto a muovere le cose non è tanto la ricerca di una soluzione, ma piuttosto il filo segreto che lega i destini più remoti, la romantica suggestione che viene da una natura (non solo umana) così inafferrabile.
Ecco perché il filo del movente (la ricerca di un uomo di cui rimane solo la traccia di una cartolina), più che collegarsi al tema di una vendetta lungamente annunciata (e anche compiuta), si muove dentro un viaggio che si trasforma a poco a poco nella vera e più segreta – più inafferrabile – ragione del cercare. Cercare un uomo dentro un universo continuamente fuggiasco, trovando tante altre storie: uno scacchista di prodigiosa lentezza, un italiano finito sulla Sierra in compagnia dei barbudos di Fidel, un tedesco che tenta di catturare il rumore del silenzio, e così via, tra emarginati, avventurieri, dispersi.
Come già nel romanzo precedente, dove Parma si congiungeva alla Russia zarista, Barilli annoda qui il vicino e il lontano, la Bassa più sua alla Cuba meno turistica. E tutto impasta in un linguaggio che assomiglia alla sorprendente e surreale foresta dello Yunque (paesaggio-personaggio) che anima buona parte delle pagine finali.
Giovanni Tesio
(Fonte: Tuttolibri di sabato 18 luglio 2009)
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Davide Barilli e il suo ultimo romanzo “Le cere di Baracoa” edito da Mursia
di Francesca Giulia Marone (nella foto)
Anno 1944: da una tragedia consumata in una cereria della bassa padana si dipana la storia misteriosa dell’avvincente romanzo di Davide Barilli che ci conduce su un doppio binario tra realtà e invenzione, tra passato e futuro nelle maglie di una vicenda che si snoda dagli argini del Po fino alla magia di una Cuba lontana, per l’esattezza nell’atmosfera dell’antica città di Baracoa. Un concentrato di storie, di suggestioni, di ricordi che ci aprono ad immagini colorate, dense di profumi della realtà cubana e delle nebbie della bassa padana, conducendoci in un viaggio che è uno svelarsi di enigmi e di destini che si incrociano.
Alla fine della guerra, due ragazzi perdono la vita per una rappresaglia crudele e ingiusta. Il fratello Celso giurerà vendetta per questa morte, che riscatterà -o almeno crederà di averlo fatto- con l’uccisione del responsabile, tornando dopo essere stato cinquant’anni a Cuba.
Perché una vendetta covata nell’animo per mezzo secolo? Come ha vissuto Celso in questi lunghi anni lontano dalla sua terra?
La misteriosa voce dell’io narrante ci accompagnerà nella indagine della vita e dell’animo di Celso e del quarto fratello, Valdemaro, di cui sappiamo ben poco perché scomparso senza lasciare tracce. In un tortuoso peregrinare l’io narrante ripercorre la vita dell’assassino, sulle orme del fratello scomparso, ondeggiando fra passato e futuro, in continue anticipazioni e flashback narrativi che spingono l’azione oltre le caratteristiche tipiche del “giallo”, disegnando una cornice narrativa a cavallo fra il reportage e l’indagine psicologica di tipi umani poco comuni ma sempre veri. Fra storia e invenzione, con la forza di una capacità evocativa straordinaria, l’autore tiene in piedi piani temporali e spaziali differenti attraversando i temi dell’amicizia, della guerra, della morte tessendo i fili di una trama che – come già anticipato – sa fondere insieme ambientazioni fosche della bassa padana e scenari inediti e carichi di profumi magici della Cuba sconosciuta ai più. Con un linguaggio fluente, intessuto di un lessico alto ed elegante, frammisto ad espressioni linguistiche cubane, (di cui l’autore si è premurato di dare spiegazioni in un piccolo e utile glossario) l’autore mette in scena personaggi surreali, in bilico fra realtà e finzione: come lo scacchista Capablanca, l’Italo Calvino bambino, la cantante lirica russa sfuggita ai bolscevichi, l’ex partigiano veneto… e altri ancora.
Sorprende, inoltre, piacevolmente, la struttura narrativa in cui perde di importanza la centralità del protagonista per schiudersi in una storia polifonica ben orchestrata entro cui ogni voce, primaria o secondaria che sia, sa dare il suo contributo originale e avvincente.
E’ una ricerca tra indagine non convenzionale di una storia noir e un viaggio nel mistero dei luoghi delle strade del mondo, ma ancor più nelle pieghe enigmatiche dell’animo umano. Tutto dipanato di fronte allo sguardo del lettore come su uno schermo con l’occhio attento e obiettivo della visione disincantata, da esperto viaggiatore, dell’autore.
Barilli narra, inventa, mostra e viaggia portando il lettore a scavare sotto la crosta dell’apparenza in una incessante ricerca di luce. “Ho sempre cercato di guardare oltre le apparenze, convinto che le nebbie celino sempre una realtà più segreta di ogni altra cosa che emerge allo scoperto… ma a volte non è così… a volte accade che la realtà si presenti come un incubo così vero e concreto da lasciarti a bocca aperta e interdetto”.
Non ci resta che abbandonarci all’avventura.
Francesca Giulia Marone
E sì… più guardo la foto di Davide e più mi viene in mente Tom Selleck…
Del resto, Selleck è famoso anche per il suo abbigliamento in stile hawaiano… mentre Barilli ha viaggiato a lungo tra il Centro America e le isole caraibiche.
@ Davide Barilli
Presumo di non essere il primo a fare questo accostamento, vero?
Tornando seri…
per me Davide Barilli è un autore davvero raffinato. E mi piace molto sentirlo parlare quando racconta i suoi aneddoti legati alla sua attività di giornalista (che, in alcuni casi, credo sia un’importante fonte di ispirazione).
@ Davide Barilli
Davide, come nasce questo romanzo? Da quale idea primigenia?
Come ho scritto sul post questo nuovo romanzo di Davide Barilli tocca diverse tematiche: c’è il tema della vendetta, quello della ricerca, quello del viaggio… e quello degli incontri.
E proprio rispetto a quest’ultimo mi piacerebbe aprire una discussione parallela.
Provo a porvi un paio di domande…
Cosa rimane degli incontri che facciamo nel corso della vita… durante il nostro peregrinare… nei nostri viaggi?
Quando e perché un incontro – piuttosto che un altro – riesce a incidere nelle nostre esistenze?
Se volete – ovviamente – possiamo discutere anche degli altri “temi”…
Ma soprattutto proveremo ad approfondire la conoscenza di questo romanzo grazie alla presenza dell’autore.
Vi invito a leggere la recensione di Giovanni Tesio e l’articolo di Francesca Giulia Marone.
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Francesca Giulia (che ringrazio per il “pezzo” inviatomi) mi darà una mano ad animare e moderare la discussione…
Per il momento chiudo qui, augurando a tutti una serena notte.
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Davide Barilli interverrà al più presto (interagite con lui, se possibile…)
Buon giorno a tutti,grazie a Massimo per q
Grazie a Massimo per questo post interessante e i miei complimenti all’autore per il romanzo.Volevo riallacciarmi alle domande di Massimo pensando alla vita come ad un insieme di incontri,più fortunati e meno fortunati,che l’individuo ha l’opportunità di incrociare sulla sua strada e da cui certamente trae qualcosa e lascia qualcosa,piccoli e grandi segni impressi nella nostra memoria che fanno la storia personale di ognuno di noi.Perciò il romanzo di Barilli mi piacerebbe definirlo soprattutto una storia di memoria e mi interesserebbe sentire l’autore in proposito.Inoltre vorrei chiedere quanto la sua scrittura in genere sia stata ispirata dalla sua attività di cronista giudiziario.
da quello che ho letto qui sembrerebbe un romanzo interessante. sono sempre stata affascinata dai ‘viaggi della memoria’. in questo libro, se non ho capito male, si mescolano viaggio, ricerca e vendetta. elementi di indubbio interesse
le domande di massimo sono interssanti:
***Cosa rimane degli incontri che facciamo nel corso della vita… durante il nostro peregrinare… nei nostri viaggi?***
a volte non rimane nulla. è una cosa tristissima. ci ho pensato molte volte. ci sono persone che ho incontrato con cui mi sono sentita legatissima e che poi ho perso per via degli eventi. qualcuno l’ho pure dimenticato
***Quando e perché un incontro – piuttosto che un altro – riesce a incidere nelle nostre esistenze?***
bella domanda. e chi lo sa? il caso? le circostanze della vita? il nostro stato d’animo in quel preciso momento? chi lo sa?
divertente l’accostamento a tom selleck 🙂
Cara Sandra secondo me nulla si dimentica veramente,anche se gli eventi della vita allontanano e separano,ogni incontro,soprattutto se come dici creava un’alchimia,lascia qualcosa dentro di noi,che prima o poi salterà fuori sotto altra forma.Tutto ciò che siamo è dato in relazione ad un altro essere,per un attimo di incontro o per la vita,ma credo che esista l’altro per significarci.
cara francesca, è vero. eppure se ripenso al mio passato *rivedo* ombre che mi sfuggono, presenze che mi hanno attraversata ma che poi purtroppo sono evaporate fuori di me.
ma mi piace pensare che quell’*attraversamento* abbia comunque lasciato un segno in me, anche se mi sfugge
Mi piace molto la copertina del libro. Colorata, vivace.
E’ l’immagine di una strada cubana? Mi piacerebbe saperne di più.
Ci sono incontri che lasciano segni più profondi di altri. In questo caso, anche se non si hanno più rapporti con quella persona, noi conserviamo qualcosa di lei.
Gli incontri (quelli che contano davvero) ci cambiano sempre.
Il romanzo di Barilli sembra molto interessante. Da ciò che scrivi, Massimo, nel romanzo l’autore tratta diversi temi che sono anche temi della nostra quotidianità, della vita di tutti.
Molto bella anche la recensione di Francesca Giulia Marone.
Complimenti per il libro che pare interessante e per le recensioni.
Sono molto affascinata dal c.d. tema della vendetta in letteratura. Il primo romanzo che viene in mente è Il conte di Montecristo
Su ‘vendetta in letteratura’ ho trovato in rete un articolo carino di una ragazza che raffronta il Conte di Montecristo con un romanzo di Paolo Maurensig
http://web.tiscalinet.it/pathway/n6/lb-vendt.html
Saluti a tutti
@sandra sì è proprio quello che intedevo dire,un segno che resta dentro anche se pare essere impercettibile,il valore sta in quel tuo”mi piace pensare che…”.
@morena grazie mille, sei molto gentile.Sono d’accordo con te sugli incontri.Anche sul fatto che pur raccontando di luoghi lontani e apparentemente distanti da noi,si può parlare della nostra quotidianità e ritrovarla proprio dove ci pare sia impossibile perchè lontano da noi.Mi piace lo sguardo di Barilli sui mondi lontani per restituirci qualcosa di noi stessi,credo sia quel senso di ricerca che ogni vero viaggiatore deve possedere,per viaggi fuori e dentro di noi.
La mia terra è polesine. Polesine è la parte orientale della Pianura Padana. Non ci sono origini certe sul termine polesine, ma sembra che derivi da radice greca col significato di “molte isole”, trasformato poi in latino in POLLICINIUM. Molte isole perché esprimeva la caratteristica del territorio, un insieme di bacini colmi d’acqua e con parti emerse a diversi livelli.
La mia terra è la bassa padania, con strati di nebbia diversa in ogni stagione.
La mia terra è legata alle acque più di qualsiasi città di mare, più di qualsiasi isola. Chi l’avrebbe mai detto, che per la mia terra di Pianura esisteva persino un Magistrato delle Acque…
La mia terra è un sogno oppure è reale? come le acque del Po, come la coltivazione della canapa, non so davvero se siano esistite realmente o solo nella mia memoria.
La mia terra è anche sogno politico, malnata e frenata migrazione da campagna a fabbrica, resistenza di cooperative, con l’ostinazione sul modello collettivo al di fuori della statalizzazione, con l’utopia del voler credere e realizzare, fino all’ultimo respingimento dell’iniziativa privata, del capitalismo.
Forse per questo, forse proprio per questo miglior alloggio, miglior incontro, miglior seno di una storia di bassa padania dentro Cuba, non c’è…
La mia terra è nido nel basso ferrarese in cui si perdono gli incontri più belli e quelli più inutili – per rispondere un po’ a Massimo – è tessuto spugnoso dei miei polmoni: attraverso di essi transitano i miei respiri….
lontani ormai da più di 25 anni di storia e geografia riscritta.
Aspetto con ansia e direi quasi con piacere nostalgico, di leggere le parole di Davide Barilli sul suo lavoro e su una terra a me cara.
hai ragione francesca giulia. è importante pensare positivo. e allora, forse, la risposta vera è che quando incontriamo qualcuno in un modo o nell’altro riceviamo sempre qualcosa
ed a questo punto mi verrebbe da domandare a davide barilli: il protagonista della storia che cosa *riceve* dalle persone che incontra lungo il suo percorso?
Che fantasia! Incontri immaginari e immaginifici con personaggi straordinari – curiosa di leggere Calvino cubano, forse non ci aveva mai pensato nessuno: cosa è rimasto al razionalissimo illuminista Calvino di una terra latina e destabilizzante come Cuba?
Concordo: nessun incontro avviene per caso e anche se non ci si sente e vede e scrive più il seme dell’incontro germoglia e fruttifica a suo tempo.
Nella sua recensione Giovanni Tesio scrive che “Non importa cercare quanto di documentabile e quanto di inventato ci sia in questo romanzo che associa le figure del cronista, del viaggiatore e del romanziere…..”
Io invece sono curioso e chiedo a Barilli quale è la percentuale di invezione pura e quale quella di fatti documentati.
Degli incontri resta una suggestione, a volte, un oggetto, un gesto che sa parlare. Ricordo i miei viaggi da Roma a Siracusa all’epoca del concorso in magistratura come discese dal cielo al mare e di nuovo al cielo, sfiorata da parlate continentali, arabe, calabresi.
Città nelle città erano i viaggi, e a volte anche un dormiveglia sfiorato dall’altalenante cingolare dei binari.
Nessun viaggio organizzato, dopo, nessuna città d’arte, nessun tour, mi ha restituito quell’immersione nell’umanità in transito, quel suo dibattersi tra valigie stipate e pianti di neonati.Erano viaggi umili, in autobus o in treni di seconda classe, in cui il caldo diventava liquido e pastoso sulla camicia dell’autista o del controllore.
Erano viaggi odrosi, anche. Sughi cotti che evaporavano da barattoli in vetro. Ferraglia. Sigarette spente che fumigavano gli ultimi vapori.
Eppure scoprivo la vita dai frammenti che lasciava dietro di sè. Nomi invocati. Saluti. Una volta un giornale scordato su un posto vuoto accanto a me e in cui trovai, tra le pagine, una rosa.
Tutto quello che si impiglia nella memoria trasmigra in noi e ci abita, ci riflette, conribuisce a crearci.
Resti…forse.
Ho parlato di percentuale, ma è chiaro che è solo un modo di dire. La sostanza è capire quanto c’è di fiction e quanto di realtà, in questa storia che sembrerebbe molto affascinante.
Saluti a tutti, Complimenti a Francesca Giulia Marone per la recensione, a Maugeri per il post ed auguri all’autore per questo libro.
Innanzitutto grazie a Massimo (anche per la somiglianza trovata) e a tutti coloro che stanno partecipando a questa chiacchierata. Andando in ordine sparso vorrei dire che la storia trae spunto, ma molto liberamente, da una vicenda accaduta nella Bassa mantovana una ventina di anni fa: un uomo ultrasessantenne che torna dopo mezzo secolo trascorso in Sudamerica per uccidere il coetaneo che ritiene responsabile dell’incendio della sua casa e della morte delle sue mucche nel ’44. Mi colpì molto, oltre al tempo siderale trascorso per lasciare sedimentare questa vendetta, il fatto che l’assassino scelse di scontare la sua pena in modo preventivo. Gli anni trascorsi in Sudamerica, infatti, li vive in una foresta in totalesolitudine se si escludono certi sporadici contatti con gli indios. Le cere di Baracoa è soprattutto un libro sulla memoria. Le storie che si rincorrono a cerchi concentrici nel libro fluttuano in un passato – presente ambiguo. L’infanzia, la guerra, la vecchiaia, sono le tappe comuni, ma il senso generale che mi interessava far emergere è il senso del destino, per ognuno segnato dal caso e da un desiderio di uscire dagli schemi. Gente che rifiuta di raccogliere i frutti delle proprie azioni (come il partigiano Gino Donè Paro) per cercare nuove strade di ribellismo. Queste storie dal vero, tutte queste voci, mi hanno fatto capire che per ogni vita non esiste la parola fine. Ma non tanto perché parlarne significa non farle morire, ma perché raccontandosi, era come se mi parlassero di qualcosa d’altro da sè. Qualcosa che stava loro accanto, come un’ombra. In questo, credo, consiste il raccontare: far muovere ombre
Molti mi chiedono perchè il libro è ambientato tra Bassa Padana, Cuba e Panama.
“Sono mondi che amo, anche se molto diversi. La Bassa, a ben pensarci, ha un che di sudamericano, con le sue distese infinite e nebbiose che ricordano la pampa. Luoghi dove è facile perdersi. C’è nella tradizione letteraria emiliana un lunatico immaginare stravolto da un orizzonte paesaggistico privo di limiti, dilatato, che scioglie i confini e materializza i fantasmi. È un imprinting che ho ritrovato, per certi versi, a Cuba. Non certo nei luoghi privilegiati dal turismo, ma nelle aree periferiche, desolate, come la parte orientale dell’isola, quella che a Cuba chiamano Palestina, una zona depressa fatta di città che si chiamano Moa, Banes o Mayarì, ma straordinariamente ricca di umanità e di storie. Mi piace imbattermi, come accade in questa Cuba povera e allegra , in personaggi anomali, inimitabili, a volte assurdi, come il mio giocatore di scacchi sordomuto, allievo del grande Capablanca, oppure Barroso il bicicletero o i vecchi guajiros delle campagne. Gente curiosa e aperta al prossimo, gente che sa ancora raccontare storie, gente che ama il dialogo degli sguardi, conscia che ogni incontro è un luogo di vita.
E Panama? “Conosco una piccola parte di Panama, ma molto significativa: una zona della foresta del Darien, al confine con la Colombia dove ho vissuto un paio di settimane in mezzo a una comunità di indios Emberà. Panama, va detto che è un mondo completamente diverso dall’Isla di Fidel. Si sente, fortissima, l’influenza americana. Ma basta spostarsi dalla capitale per trovare tribù indie autentiche, dai Kuna dell’arcipelago di San Blas agli Emberà con il corpo ricoperto da tatuaggi che vivono nelle foreste del Darien, al confine con la Colombia o lungo il rio Changres. Come detto ho vissuto con loro qualche tempo, mentre scrivevo il romanzo: è gente straordinaria, prima di andarmene mi hanno regalato un tatuaggio che porterò per sempre impresso sul mio braccio sinistro, rappresenta il ciclo della vita.
Un’altra cosa che vorrei raccontarvi, dal momento che penso siate tutti appassionati di letteratura, è l’esperienza che ho avuto pochi mesi fa alla fiera internazionale del libro all’Havana, giunta alla 18° edizione. Un’esperienza interessante. Dimenticando l’aspetto propagandistico, particolarmente accentuato da opuscoli, raccolte e libri stampati in occasione del mezzo secolo di Revolucion, si respira, cosa che accade sempre più di rado nei festival culturali italiani, un clima di partecipazione collettiva gioiosa. Sarà merito del luogo, il castello del Morro, un posto suggestivo e carico di storia proprio sulla baia dell’Havana, o della voglia di cultura che anima i partecipanti, ma certamente si vive un’atmosfera di spontanea voglia di cultura che coinvolge giovani intellettuali, famiglie, studenti universitari. È la parte nuova di Cuba, assetata di novità che arrivano da altri Paesi, quella che fa sperare in un futuro migliore. Ogni cubano ripete come una litania una frase: No es facil. Ma la parola che meglio rappresenta la Cuba di questo periodo è un’altra. Ricordo un tipo che trasportava sulla bici, in una strada piena di buche, vicino alla città di Banes, un paio di grossi maiali legati per le zampe. Su di essi aveva appeso un cartello con la scritta “Eventual”. Ecco, questa e’ la parola. Tutto è eventuale e possibile in questa Cuba che si sta preparando al dopo Fidel. Come e’ sempre stato, la provincia vive un clima di attesa sonnolenta. Molto diversa e’ la situazione nella capitale. La gente, rispetto ad alcuni anni fa, non ha paura ad esprimere la propria opinione, almeno fra le quattro pareti domestiche. Molti riconoscono che la casa e la sanità, praticamente entrambe gratuite, sono una conquista importante della rivoluzione castrista, ma sono stanchi delle difficoltà economiche e della impossibilità di uscire dal Paese. C’è un’incredibile fame di ciò che arriva da fuori. Tutti sanno che esiste un commercio clandestino di dvd, che con i satelliti si può vedere ciò che accade ad di fuori dell’Isla. Pochi mesi fa all’Havana hanno aperto un centro commerciale enorme, il Trasval, dove si vende ogni ben di dio in campo tecnologico, dagli Mp 4 ai forni a micro onde digitali che costano 135 dollari cubani, i cosiddetti cuc. Ma anche set di cacciavite (23 dollari), piccoli elettrodomestici per la casa, attrezzatura per campeggio. La merce è quasi tutta cinese, speso un trionfo del kitsch, dai cani di ceramica ai quadretti fosforescenti che rappresentano paesaggi alpestri o campi di girasole. Questo negozio è una sorta di cattedrale nel deserto che convive con la povertà dei negozi frequentati da gran parte dei cubani. Fuori, a pochi metri, ci sono le bodegas dove per pochi pesos si vendono riso e fagioli neri con la libreta. Oppure antichi cinema che stanno per crollare trasformati in empori dove i cubani che guadagnano gli stipendi in pesos (venticinque pesos equivalgono a un dollaro) trovano abiti riciclati, lampadine, candele, rotoli di carta igienica sfusi e altra mercanzia povera e triste. È solo uno degli esempi tangibili della doppia economia che vige nel Paese. Un medico guadagna circa venti, venticinque dollari al mese; un impiegato quindici. Chi può permettersi quel forno a micro onde? Pochissimi, chi riceve i soldi dai parenti scappati a Miami oppure chi traffica con i turisti, non a caso – le rimesse dall’America e il turismo – le due voci più significative dell’economia cubana”.
@Davide Barilli: credo che un viaggio sia sempre – anche – a ritroso. E che viaggiare sia spesso solo scoprire le ragioni del viaggio….non crede ? Le suggestioni che semina nel suo romanzo sono davvero bellissime…ci può postare qualche brano?
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@Francesca Giulia: la tua recensione mi è piaciuta tantissimo! Molto bello quel viaggio che tu e l’autore suggerite: fuori e dentro di sè.
Un bacio
Una volta sulla poltrona di un treno, nel corso di un viaggio, ho trovato un libro. Era un romanzo di Stephen King. Dentro, a pagina uno, c’era un frase breve scritta a penna. Solo due parole: per te.
Ho preso il libro e ho detto, è per me. Mi sono sempre chiesta a chi fosse appartenuto. Chi ci fosse dietro quelle due parole, quale passato avesse vissuto.
Altre volte, chiacchierando con sconosciuti, mi si sono aperti mondi.
Questo per dire che ogni viaggio, ogni spostamento, lascia tracce. Fuori e dentro di noi.
Sempre. Anche se non ce ne accorgiamo.
Sono grato a Francesca Giulia per la sua lettura così approfondita di un libro che, volutamente, ho cercato di far galleggiare su più piani (temporali, geografici, e di lettura appunto). Le cere può essere visto come un romanzo di avventure, come un reportage della memoria nelle terre padane ormai divorate dall’omologazione, come un baedaker per una Cuba anomala, tra sogno e realtà.
il contesto padano diventa solo un’occasione, una sorta di repertorio entro il quale scovare radici e umori che, come ha scritto un critrico, ”lo scrittore reinventa attraverso una sorta di enigmatica e visionaria condizione sudamericana”.
Padania è una parola che mi inorridisce. E questo a prescindere da motivi politici. Non mi piace perchè evoca, linguisticamente, qualcosa di troppo pieno, di unto, di strabocchevole, di eccessivo (privo di sfumature, non detti, allusioni). Qualcosa dove non circola aria, un’assenza di spifferi e di vento largo lontana dalla mia sensibilità di scrittore. Una delle cose che ho maggiormente apprezzato in Calvino è – nei Six memos – proprio l’alternativa tra leggerezza e pesantezza. Sono leggeri, D’Arzo e Delfini, i due padani che amo di più. Entrambi però sono due finti padani. La loro, anche se parrebbe il contrario, è a ben guardare, una finta leggerezza. Ciò che li tormenta è la sindrome del labirinto, la disperazione, il non sapere trovare vie d’uscita. Entrambi cercano risposte assolute, sono fondamentalmente senza speranze. In altre parole penso che il segreto e la forza della padania, come nozione geografica e terra di scrittori – paradossalmente e al contrario di quanto viene creduto – sia quella di essere un genere neutro. Padania è un contenitore vuoto – non c’era forse il mare qualche millennio fa? – una scatola da prestigiatore. Al di la di quello che è stato scritto, se ne può estrarre di tutto. E così avremo la grazia proustiana di Bertolucci, il sociologismo nazional popolare di Guareschi, la tabula rasa del penultimo Celati, e poi la ricerca di Tondelli, anche se l’epigonismo ha portato a radicare sulla via Emilia un giovanilismo di autostrade e discoteche che mi sembra banalizzi un po’ il discorso. La geografia padana rischia di trabordare sempre in un teatrino un po’ scontato. L’Emilia grassa, con le porcilaie, i gnocchi, il lambrusco che lascia macchie ovunque. Ma sotto le rotondità, come in ogni corpo, si nascondono gli elementi vitali, i nervi dei luoghi. Personalmente credo all’utilità di un luogo, al suo essere senza sponde. Insomma, padania come fondale di cartapesta in cui cercare sortilegi e misteri. Un non luogo in cui evocare presenze e storie.
VI POSTO LA RECENSIONE USCITA TRE MESI FA SU REPUBBLICA
Quell’oscuro mistero tra il Po e Cuba
L’ultimo romanzo dello scritttore e giornalista parmigiano Davide Barilli, un viaggio negli oscuri enigmi dell’anima
di Alessandro Castellari
In una fabbrica di candele sulla riva del Po vivono quattro fratelli. Li ha tratti dall´orfanotrofio il padrone della cereria e ha dato loro il cognome, ma la gente dice che siano tutti figli dello zingaro Josefo, quello che durante le feste paesane suonava tutta la notte due violini inchiavardati fra loro, quello che custodiva il segreto di candele gitane di mistura speciale che sprigionavano luce e illuminazioni e che passava come il vento nei pioppeti del Po a ingravidare le donne della Bassa.
Valdemaro, il maggiore, parte alla ricerca di Josefo e lascia dietro di sé il silenzio a parte un´unica traccia: una cartolina illustrata proveniente da Cuba che lo ritrae in abito gessato accanto ad una danzatrice mulatta che regge in mano un minuscolo cero. Poi, verso la fine della guerra, un ragazzetto, William Bonardi, con un lanciafiamme dà fuoco alla cereria. I due fratellini più piccoli, per sfuggire al fuoco, annegano nel Po; e Celso, rimasto solo, parte per l´America sulle tracce di Valdemaro, portando con sé la cartolina illustrata del fratello e covando una vendetta che realizzerà dopo sessant´anni, quando tornerà vecchio e malato nei luoghi dell´infanzia, alla cereria ormai diroccata.
Il romanzo di Davide Barilli, Le cere di Baracoa (Mursia), mette in scena un narratore che è stato confidente del vecchio Bonardi e custode della sua angoscia per quel gesto insensato di ragazzo, e che decide, dopo la morte dei due vecchi, di intraprendere un viaggio a Cuba sulle tracce di Valdemaro e del passato di Celso, dentro quelle nebbie dell´esistenza che “celano sempre una realtà più segreta”.
Questo viaggio, come avviene spesso nei racconti di qualità ha la sua ragion d´essere non nella chiarificazione di un mistero, ma nel progressivo e faticoso avvicinarsi agli enigmi esistenziali di tanti personaggi ambigui: Celso che, invece di raggiungere a Cuba il fratello, s´interna nella foresta tropicale di Panama a fare l´infermiere; il tedesco, che forse ha frequentato Valdemaro, cacciatore dei canti degli uccelli ma che lascia incisi su una bobina solo “i suoni del silenzio”; Lenin che, come diceva Eraclito dell´oracolo delfico, “non dice né nasconde ma accenna”, e percorre ininterrottamente i sentieri del monte Yunque o se ne sta “pomeriggi interi immobile, intento a cogliere il vuoto e il nulla”.
Personaggi di solitudini e silenzi che Barilli coglie spesso con pochi tratti essenziali, per accenni, con una magia stilistica che ricorda certe atmosfere narrative di Silvio D´Arzo. Anche il paesaggio di Cuba è intimamente connesso a questa visitazione del mistero: lande desertiche, coste battute dal vento, città coloniali dalle strade dissestate e dalle case pericolanti, grate rugginose e decorazioni scrostate di sontuosi edifici liberty diroccati.
Per Salvatore Antoci: la foto della copertina è stata scattata nella città cubana di Trinidad.
Cari amici, vi ringrazio molto per i vostri commenti.
Intanto saluto Davide Barilli e lo ringrazio per i suoi corposi interventi…
Caro Davide, c’è un passaggio – in particolare – che mi piace mettere in evidenza… cioè quando tu scrivi: “Le cere di Baracoa è soprattutto un libro sulla memoria. Le storie che si rincorrono a cerchi concentrici nel libro fluttuano in un passato – presente ambiguo. L’infanzia, la guerra, la vecchiaia, sono le tappe comuni, ma il senso generale che mi interessava far emergere è il senso del destino, per ognuno segnato dal caso e da un desiderio di uscire dagli schemi. Gente che rifiuta di raccogliere i frutti delle proprie azioni (come il partigiano Gino Donè Paro) per cercare nuove strade di ribellismo.”
Molto bella l’immagine delle storie che “si rincorrono a cerchi concentrici”.
E poi emergono altri due temi:
1. quello della memoria (strettamente connesso agli altri: ricerca, viaggio)
2. quello del destino
Molto interessante.
Per ognuno di questi temi potremmo aprire nuove partenesi di discussioni e continuare fino a Natale:-)
Il senso del destino, per esempio…
Davide scrive: “ognuno segnato dal caso e da un desiderio di uscire dagli schemi”.
E poi: “Gente che rifiuta di raccogliere i frutti delle proprie azioni”.
Bello. Sembra quasi un ossimoro. Da un lato il destino segnato dal caso, dall’altro quello segnato dalle proprie azioni (anche se c’è il rifiuto di raccoglierne i frutti).
Per cui, mi verrebbe da domandarvi (e domandarmi):
quanto il destino è frutto di “puro caso”, e quanto – invece – può essere influenzato dalle nostre azioni?
Una domanda “classica”, ma pur sempre da un milione di dollari.
Bello anche lo scambio tra Sandra e Francesca Giulia sui “frutti” degli incontri… (a cui fa seguito il commento di Maria Lucia).
–
Poetico e forte il commento di Francesca Cenerelli: “La mia terra è…”.-
–
E questa frase di Simona: “Tutto quello che si impiglia nella memoria trasmigra in noi e ci abita, ci riflette, conribuisce a crearci”.
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(Scusatemi se non vi cito tutti)
Bene. Per il momento devo chiudere qui…
Non sono sicuro di riuscire a intervenire nei prossimi due giorni. In ogni caso lascio il coordinamento del post all’ottima Francesca Giulia (ne approfitto ancora una volta per salutarla e ringraziarla).
Buona prosecuzione!
😉
Ringrazio gli amici per la gentilezza dei commenti nei confronti della mia recensione,ma soprattutto l’autore che saluto e che ammiro per la sensibilità di viaggiatore vero oltre che di capace scrittore.I suoi riferimenti mi hanno riportato alla mente tante immagini, tanti colori di paesaggi e volti visti e qualche volta solo immaginati,ma per rispondere a Filippo-pensiero del tutto personale- su quanto ci sia di immaginario e di reale nella storia di Barilli,io direi che spesso il reale si confonde con l’immaginario e questo diventa reale e la letteratura,quella buona,ci restituisce l’immagine nuova che non è più nè reale nè immaginata,ma figlia di entrambe le cose.
@Davide Barilli Sai che sono stata tra i kuna delle San Blas anch’io tanti anni fa?Quelle bambine con abiti tutti colorati che ridevano con pappagalli sulle spalle e le donne che cucivano insieme pezzi di stoffa di ogni genere e ne ricavavano cose meravigliose,i tramonti sullo specchio di mare sotto piccole palafitte e le birre calde perchè non c’era il frigo.Insomma con le tue parole mi hai fatto sognare di nuovo il viaggio e la sua magia,grazie mille.
Volevo chiederti se è possibile qualcosa sulla struttura.Il tuo è un romanzo dove non esiste un personaggio centrale,un eroe che sovrasta gli altri,in un certo senso è una storia polifonica da cui emergono tante voci interessanti e storie parlallele che si intrecciano,come hai pensato a questa struttura e perchè?
Ho tentato di cercare l’altrove il più vicino possibile, dietro casa, ma anche oltreoceano. I personaggi del libro ‘ sono preda di ossessioni personali, gente prigioniera di sogni che scoppiano come bolle di sapone, destinati – inevitabilmente – a un finale tragico e a volte grottesco. Ecco, credo che il senso tragico del libro sia da leggere in controluce, come se la geografia che ho raccontato sia specchio di una disarmonia universale, senza futuro, dove la storia si specchia nei detriti, nei flash di memoria e di immaginazione, e dove ognuno può ritrovarsi e perdersi all’infinito. Le piccole odissee individuali dei miei irregolari trovano forse un senso comune nel loro essere una quete (una ricerca) priva di speranza.
Francesca Giulia, stai dicendo e scrivendo cose bellissime che mi emozionano. Tu, come le persone che stanno partecipando a questa chiacchierata…
Grazie a te Davide,ci hai consegnato qualcosa di te nel parlare della tua scrittura.Una domanda personale,da ciò che ci racconti sappiamo che sei uno scrittore apprezzato e un viaggiatore appassionato e assiduo di mete affascinanti da cui trae nutrimento anche la tua stessa scrittura,oggi quale tra le due esigenze senti più pressante,il viaggiare o lo scrivere?Possiamo ritenerti il Chatwin italiano? La tua ricerca placa un senso d’inquietudine che emerge dal fondo oppure è un percorso che alimenta altre domande?
grazie mille per il tuo intervento.
Ci sentiamo domani, vi dispiace?
belli i commenti di davide barilli. a domani. a me non dispiace 🙂
Sì sì a domani,ho fatto anche troppe domande a Davide,ma chi vuole intervenire stasera lo faccia apertamente.
Saluti a tutti
mi è venuta voglia di leggerlo
orsù, aspettiamo domani! chè la recensione mi ha fatto venir voglia di sapere di più!!
“Quanto il destino è frutto di “puro caso”, e quanto – invece – può essere influenzato dalle nostre azioni?”. Questa domanda di Massimo mi solletica non poco. Secondo me il destino e il caso sono due entità che si intrecciano e si confondono tra loro, due entità strettamente correlate. Vi voglio raccontare un aneddoto. Dal 2007 la mia famiglia si è arricchita di un altro componente: un bel gattone giallo. Nel 2007, quando l’ho trovato, aveva circa un mese. L’ho trovato in mezzo a una strada molto trafficata, è spuntato proprio mentre passavo io, facciamo alle 12,00. Se fossi passata alle 11,57 non l’avrei visto; se fossi passata alle 12,03 avrei visto una macchietta gialla e rossa sull’asfalto. Ma cosa ha fatto sì che passassi di lì a quell’ora anziché a un’altra? Le mie azioni: cioè tutto quello che ho fatto o non ho fatto nelle ore precedenti. E lo stesso vale per il felino in questione (sempre che non siano stati la natura e l’istinto a dirgli: “Quando vedi una macchina blu, piazzati in mezzo alla strada: è Barbara, di lei ti puoi fidare”). E lo stesso vale per i destini umani: ogni destino è frutto di azioni, di scelte, che si sono o non si sono fatte, giuste o sbagliate. Ma allora rilancio la questione con un’altra domanda: cosa e perché ci fa compiere determinate azioni piuttosto che altre?
Sì, quello del destino è un bel tema.
Io sono convinto che il destino ce lo costruiamo con le nostre mani. Sarebbe troppo comodo credere il contrario, almeno secondo me.
Auguri a Davide Barilli per questo romanzo. Se ha la stessa intensità dei commenti che ho letto dev’essere senz’altro un ottimo libro.
Un grazie a maria rosaria e alinola per i loro commenti.
@barbara x è vero ciò che dici del destino e il caso,ma c’è una terza componente secondo me,che si ricollega a quello che dice carmine,”le nostre mani”.Spesso il destino ci mette davanti al cammino persone e opportunità che se il nostro sguardo non è predisposto a cogliere,perchè distratto o perchè guarda altrove,ecco che il destino da solo non basta a offrirci qualcosa da vivere.
……………………….
Ripensando al romanzo di Davide Barilli,pensavo al tema della vendetta.Che tipo di rapporto avete con il sentimento vendicativo,vi è capitato mai di provarlo?Non vi pare già una punizione per uno dei personaggi della storia vivere 50 anni macinando nell’animo voglia di vendetta?Credo che la sofferenza più grande sia soffocare se stessi nella voglia di vendicarsi e vivere consapevoli di non conoscere l’arte del perdono,deve essere già un bell’inferno.
Non ho avuto il tempo di seguire nei dettagli questo dibattito, desidero solo fare i miei complimenti a Barbara x per la qualità dei suoi interventi e a Francesca Giulia per la recensione e la padronanza con cui lo sta conducendo.
@salvo ti ringrazio di cuore,però se hai tempo mi piacerebbe sapere cosa pensi di una vendetta incubata nell’animo per 50 anni e poi sfogata in un omicidio.oppure in genere cosa pensi del sentimento vendicativo nell’essere umano,e in te se lo hai mai provato.
@FG. Ho provato più di una volta il desiderio irrefrenabile, incontenibile di stringere il collo di mia moglie. Ma alla fine ho preferito usare la psicologia. Mi è capitato qualche brutto incontro nel corso del mio cammino. Con il passare degli anni ho imparato che le persone vanno accettate così come sono, con tutte le loro meschinità o debolezze, non possiamo modificarle, nè migliorarle. Una vendetta incubata nell’animo per 50 anni è tremenda perché ti fa vivere nell’ossessione, ti ruba il tempo per pensare ad altre cose e gioire delle piccole quotidianità. Ti fa vivere nel rancore, ti annienta, occupa tutta la tua vita. Oggi ho raggiunto una maturità tale che il desiderio di vendetta mi fa ridere, significa attribuire ad altri una tale importanza per le azioni negative ai nostri danni (o ciò che riteniamo tali) da permettere loro di condizionare la nostra esistenza. E non vale assolutamente la pena di vivere in funzione dell’operato di altri. Non è perdono il mio, ma indifferenza nei confronti di chi ritengo non meriti di interagire con la mia vita. Vado avanti, consapevole della mia forza e dei miei limiti. Il resto non mi interessa.
Insomma, qui viene applicato alla perfezione il detto secondo cui la vendetta è un piatto che va consumato freddo… Ma sono cose che io non riesco a capire. Però capisco la rabbia che può provare una persona dopo aver subito un determinato torto. E io -come molti, del resto- ne so qualcosa. Come dicono i commentatori burini dei blog, io “quoto” Salvo Zappulla, nel senso che sottoscrivo in pieno le affermazioni del suo ultimo commento, anche se è spesso difficoltoso rimanere indifferenti a certe bassezze (Salvo, se scrivi ancora il mio cognome d’arte -X- in minuscolo, fra 50 anni mi vendicherò di te)
Barbara X
Oh Gesù!!! Questa X mi è andata proprio di traverso. Prometto che scriverò sulla lavagna 50 volte il tuo nome corretto. Comunque sto migliorando, rispetto a prima, che pareva il nome di un lassativo: “Dottore, mi sento appesantito”.
“Chè è successò?”
“Mi è rimasto sullo stomaco l’ultimo post di Maugeri”.
” Prenda 5 gocce di barbarax”.
Scherziamo ogni tanto.
Spero che Davide Barilli non se la prenda se divaghiamo. Mi sembra uno che sa il fatto suo.
@salvo e barbara fate bene a scherzare,non credo che Davide Barilli se la prenderà,anche a me pare un “uomo di mondo” in tutti i sensi, e poi parliamo di cendetta che è uno dei temi forti a cui ci ha portato lui con la sua storia.In linea con le parole vostre amici penso che sia una tremenda punizione covare tanto odio vendicativo dentro da non lasciare spazio alla vita migliore da vivere,ma questi tempi che viviamo anche nel quotidiano purtroppo ci narrano di piccole e talvolta drammatiche storie di vendette,spesso fra adolescenti che per uno “sgarro” subito tornano sui loro passi meditando e attuando vendette anche fatali.E’ molto triste.Personalmente il sentimento di vendetta in me qualche volta è nato dopo un torto subito,ma più di una volta la rabbia è sbollita male,in ritardo e verso un bersaglio sbagliato,ma meglio così.Diciamo che una rabbia emotivamente naturale non è assimilabile ad una vendetta premeditata come atto.E non parlo solo giuridicamente( qui ci dovrebbe venire in soccorso il pensiero di Simona Lo Iacono).
errata corrige :vendetta( era chiaro,pare che non riesco a scriverlo nemmeno…)
Hai detto benissimo, cara Francesca Giulia…perchè sussista la premeditazione non è sufficiente uno stato emotivo, anche se intenso…La giurisprudenza dice che la premeditazione presuppone due elementi: quello “cronologico”, costituito da un apprezzabile lasso di tempo tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di questo, e quello “ideologico”, consistente nella ferma risoluzione criminosa perdurante nell’animo dell’agente senza soluzioni di continuità fino alla commissione dei crimine…
Un affettuoso saluto a tutti e …@Davide Brarilli: ci parlerebbe di Calvino bambino? Come lo ha immaginato?
Sì, speriamo che Davide torni presto, anche per soddisfare la curiosità (che è pure mia) di Simona, relativa al Calvino bambino. La premeditazione, il rancore, la vendetta congelata nel tempo: umano, troppo umano.
Chi avrà voglia di leggere il romanzo si accorgerà che la vittima della vendetta, William BOnardi, in realtà, non aspettava altro che quel momento quando si ritrova faccia a faccia con Celso dei Gabbi, in una nebbiosa piazza di un paese padano per la resa dei conti finale. Una storia di vecchi, dimenticati dal mondo che mettono fine alla propria storia dopo mezzo secolo con una ”questione privata” (e qui c’è un sottile richiamo a Fenoglio). Ciò che spinge poi l’io narrante a mettersi in viaggio verso Panama e Cuba alla ricerca del passato di Celso dei Gabbi nasce proprio dal senso di colpa per non aver capito che quei due, in realtà, erano uniti da una sorta di patto segreto.
Calvino a Cuba? Ho scoperto, attraverso ricerche documentarie il nome della tata del piccolo Italo (che visse fino all’età di due anni a Santiago de la Vegas, un paesino a pochi chilometri da Havana dove i genitori, botanici, hanno vissuto e lavoro per alcuni anni). Ho saputo che amava i trenini di legno che suo padre gli portava da ogni viaggio. E ho così raccontato un episodio, di pura invenzione, legato a qui trenini…..
Caro Davide grazie per la tua disponibilità.Partendo da Fenoglio,mi ricollego all’interrogativo più sopra espresso: la tua è una scrittura che si nutre molto dell’esperienza del viaggio,ma anche della tua esperienza di cronaca giudiziaria,possiamo dire di vita in genere.Che tipo di letture ti hanno formato e ti appassionano oggi?
Ho sempre cercato di non confondere il mestiere di cronista con quello di scrittore: usando un paradosso, il primo informa, il secondo DEFORMA la realtà. Non ho mai utilizzato trame di cronaca giudiziaria per i miei libri, solo con la vicenda di Celso dei Gabbi mi sono concesso una deroga: perché – appunto – era una vicenda paradossale, deformata…
Il primo libro che mio padre (era un pittore, figlio e nipote di pittori…) mi ha letto è stato L’isola del tesoro. Da ragazzo non leggevo tanto, preferivo trascorrere le mie ore nel torrente che scorre sotto la mia casa, una palazzina a picco, simile a un bastimento pronto a partire. Un’infanzia da ragazzo selvaggio, fra guerre di bande, viaggi lungo il torrente, avventure indimenticabili. A diciassette anni, grazie a un lontano parente che lavorava come rappresentante di una casa editrice, ho comperato 500 romanzi, da Henry James a Proust, da Musil a Roth, da Stevenson a Conrad: insomma, i grandi classici. La mia piccola biblioteca è via via cresciuta nel tempo: mi divertivo a trovare libri di eccentrici, scrittori di nicchia, da Wilcock a Delfini e D’Arzo (oggi strafamosi) da Rulfo a Hol, da Robert Walser a Augusto Monterroso, solo per citarne alcuni. Oggi sinceramente leggo meno, preferisco rileggere, anche se quando vado in libreria esercito ancora con grande piacere l’arte di scoprire un libro sfogliandone le pagine, leggendone qua
e là dei brani, scorrendo la bandella. E quando ne trovo qualcuno che mi affascina non posso fare a meno di comperarlo. Ecco, il fascino di un libro: cosa è? Penso sia il suo essere irripetibile, il suo salvare o raccontare un pezzettino di mondo (di vita, di personaggio) che merita di sopravvivere al nulla. Un po’ come diceva il poeta: ”gli incendi del tempo”….
…il poeta era Paul Celan… e gli ”incendi del tempo” sono quegli attimi destinati a scomparire per sempre se qualcuno non li salva scrivendone.
Perfettamente d’accordo con te sulla differenza di utilizzo della realtà fra cronista e scrittore,anche se negli ultimi anni si sono confuse un pò le acque,tentando di screditare quella letteratura che è stata a mio avviso la Letteratura con la elle maiuscola tipica del genere narrativo.Deforma o trasforma,comunque si serve della realtà per renderla a chi legge sublimata dal potere immaginifico enorme della parola scritta.E’ molto bella la descrizione dell’infanzia che hai fatto, i luoghi del passato ricorrono spesso nei tuoi scritti?
Il libro sì, direi anch’io, ha il fascino delle cose perdute e raccontate accanto al fuoco, la memoria della nostra storia ma mai uguale a se stessa perchè la memoria è traditrice,ogni volta che la rievochiamo,oralmente oppure attraverso la parola scritta, si presenta rinnovata.Forse è per questo motivo anche che è affascinante come le cose misteriose della vita.
Cara Francesca, ti lascio poche righe per ringraziarti dell’attenta recensione: mi hai affascinato e incuriosito. Paeseggi, intrighi, pieghe dell’animo umano e una densa e suggestiva Cuba(che nel ricordo ancora intenso porto sempre con me.) Interessante e coinvolgente l’intervista con l’autore grazie alle tue domande ben poste. Spero, dopo aver letto il romanzo, di poterne discutere sul sito.
Ancora un brava per come conduci il tuo spazio.
Aureliana
@Fg. Io farei un distinguo netto tra giornalismo e letteratura. Il giornalismo è cronaca, esige chiarezza espositiva, commenti e dettagli svelati nella massima trasparenza. L’arte del narrare è finzione, affabulazione, identità stilistica. In questo caso lo scrittore non deve mai svelare ma lasciar decifrare al lettore il suo messaggio. E’ chiaro poi che ogni scrittore in fondo racconta sempre se stesso, i suoi percorsi di vita, i suoi sogni, gli incubi ( solo i più grandi riescono a mettere su carta i propri incubi); prende spunto dalla realtà per deformarla e manipolarla a suo piacimento.
Cari amici, davvero bella la piega che ha preso la discussione…
Vi mando un saluto da una calda Pisa (mi trovo qui per motivi tutt’altro che vacanzieri).
Un grande ringraziamento alla splendida Francesca Giulia (per la conduzione del dibattito) e a tutti voi
Caro Davide, ci hai fatto un bellissimo regalo con i tuoi nuovi commenti: dal riferimento ai trenini di legno di Calvino bimbo, all’amore per la letteratura e i libri… con l’acquisto di 500 libri per la tua prima biblioteca.
L’amore per la lettura e i libri è condizione imprescindibile per ogni scrittore…
Un grazie di cuore ad Aureliana.
Con Salvo sono in sintonia sui bei concetti espressi sull’arte del narrare.
@Massimo un saluto speciale a te e un grande in bocca al lupo per la tua permamenza a Pisa( pss non ve lo volevo dire ma Massimo è lì per raddrizzare la torre!!) Sono io che ti ringrazio per la tua generosa disponibilità a concedermi un angolino del tuo spazio preziosissimo su Letteratitudine e darmi l’opportunità di imparare tante cose nuove dai commenti scambiati con gli altri.Tu hai davvero le chiavi per la porta internazionale della condivisione di una passione.
Colloquiare con Davide,lo pensano anche gli altri intervenuti, è piacevolissimo.
A Salvo: bisogna anche tener conto che troppo spesso nella letteratura di oggi si scambia la cronaca per i contenuti. Ci sono tante opere di narrativa dove vengono descritti meri fatti di cronaca, anche nera, ma che niente hanno a che vedere con un contenuto finalizzato all’Impegno, cioè alla quintessenza della letteratura, per l’appunto. Per il resto condivido la tua definizione dell’arte del narrare, anche se la finzione non dovrebbe mai essere fine a se stessa.
@Barbara X era proprio ciò che cercavo di dire quando sopra ho detto che ultimamente si tende a confondere un pò le acque portando il ragionamento alle estreme conseguenze dopo che libri rivelazione che trattano di cronaca sono stati portati come unico esempio di ottima letteratura,ma io la penso come te, e come tanti altri.
Mi fa tanta tenerezza ed emozione pensare che il primo libro che ha letto Davide Barilli sia stato “L’isola del tesoro”, è lo stesso che ha letto mio figlio come primo libro serio. E pensate la magia della buona letteratura: gli è piaciuto moltissimo!!
Buongiorno a tutti,senza pensare di ingabbiare il romanzo di Davide Barilli in un sol genere,come abbiamo detto abbraccia un genere ampio,possiamo dire che è una storia che dona grande impulso alla letteratura di viaggio.Pensate che attualmente in Italia si dia abbastanza spazio a questo tipo di letteratura o che sia terra poco battuta sorpassata da una tendenza letteraria di aspetto decisamente più autoreferenziale e intimistico?Siete affascinati dalla letteratura di viaggio?Io sì personalmente,ma la preferisco quando sa mescolarsi a temi quotidiani e in un certo senso universali uscendo dalle righe convenzionali del reportage.Un pò come ha fatto Barilli nel suo romanzo!
@Barbara X (ne mettiamo un’altra per sicurezza X)
I contenuti e la cronaca. Non credo esistano regole precise per realizzare una grande opera letteraria, l’Arte è di per sé anarchica. Quello che fa la differenza è lo stato di grazia dell’autore. Prendiamo una storia banalissima: una donna che ha sposato un uomo mediocre e lo tradisce ripetutamente. La storia è tutta qui, ma scritta da Flaubert diventa Madame Bovary. Prendiamo un altro romanzo più recente: “Nel cuore che ti cerca” di Paolo di Stefano. Si sviluppa tutto su un fatto di cronaca nera: una ragazza rapita da un maniaco, costretta a subire violenze per otto anni. Scritta con la delicatezza, l’eleganza, la raffinatezza che ha usato Paolo, diventa una pregevole opera letteraria. Un altro magari avrebbe indugiato sui particolari scabrosi, stimolato la morbosità dei lettori, ne avrebbe fatto un romanzo più commerciale che avrebbe garantito maggiore cassetta. Ecco, a mio parere, lo scrittore deve mantenere la sua purezza di linguaggio, estraniandosi da tutti i risvolti collaterali che ruotano attorno al prodotto libro. Deve rimanere incontaminato, immergersi con uno scafandro nella profondità dei suoi abissi e scrivere scrivere scrivere.
Ho letto con piacere il libro di Barilli. Davvero buono. Mi dispiace dover sottolineare il fatto che non mi sembra adeguatamente distribuito, nel senso che non si trova dovunque. a differenza di altri romanzi di molto meno pregio.
E’ difficile dire quanto gli incontri che facciamo incidono sulla nostra vita. Intanto è un discorso che si fa sempre ex post, spesso dopo molto tempo. però accade che il tempo contamina i nostri ricordi, e quello che rimane diventa una derivazione del ricordo di un incontro condizionata da altri elementi.
non sapevo che calvino avesse vissuto i primi anni della sua vita a cuba. pensavo che ci fosse solo nato per poi tornare subito in italia con i suoi. ci sono testi di riferimento, saggi, o altri volumi che forniscono informazioni dettagliate? mi interesserebbe molto. grazie.
Sono un appassionato di storie di viaggio. Grazie per la segnalazione. Mi pare che questo libro rientri nella categoria.
Grazie a tutti i nuovi amici intervenuti,in particolare a Luciana a cui è piaciuto molto il romanzo di Barilli,sulla distribuzione bisognerebbe chiedere a lui,credo sia una questione da far presente alla casa editrice.Un pò è un cattiva abitudine delle librerie mettere in evidenza solo e sempre quei pochi romanzi e/o scrittori “di tendenza” che già da soli venderebbero facilmente perchè stra conosciuti al mercato,perciò esistono luoghi come il blog di Maugeri grazie a Dio che sanno dare spazio e visibilità a tanti romanzi di cui si parla di meno,e di certo non perchè non lo meritino.
“lo scrittore deve mantenere la sua purezza di linguaggio, estraniandosi da tutti i risvolti collaterali che ruotano attorno al prodotto libro. Deve rimanere incontaminato, immergersi con uno scafandro nella profondità dei suoi abissi e scrivere scrivere scrivere.”
@salvo grazie per queste parole sono molto belle,però poi qualcuno deve accompagnare lo scrittore in superficie dove altri possano vederlo e apprezzarne le qualità,perchè la sua scrittura venga condivisa con i lettori.La fase finale è che il libro è un prodotto,perciò conta molto anche come viene trattato nell’ambito del mercato- e qui sappiamo che esistono logiche meno nobili della purezza del linguaggio dello scrittore.
un abbraccio
Luciana, purtroppo quello della distribuzione è un problema che riguarda la maggior parte dei libri. Anche quelli Mondadori, per dire, quando l’autore non è un bestsellerista.
interessante la discussione e stimolanti i commenti di barilli.
sugli incontri dico che tutta la nostra esperienza umana è il frutto degli incontri che facciamo, siano essi fondamentali siano essi meno importanti.
poi c’è un tipo di incontro particolarissimo, dal quale a volte sfuggiamo: quello con noi stessi.
vogliamo parlarne?
Dunque, innanzitutto buon giorno a tutti. Ho un debito di alcune risposte arretrate. Cerco di venirne a capo. Calvino bambino? Ho trovato informazioni in una raccolta di saggi pubblicati da una fondazione campana, creo si chiami Duns Scoto, scritti da Domenico Capolongo, che si è a lungo occupato di Emigrazione italiana a Cuba. E poi alcuni vecchi articoli di giornale (tra cui credo Europeo e Espresso) di una ventina di anni fa.
Problema distribuzione: trovo che Mursia sia distribuito in modo discreto, anche perché ha una distribuzione autonoma, slegata dalle Messaggerie. Il problema sono a volte i librai che, semmai, comprano a scatola chiusa la narrativa di editori grandi come Einaudi, Rizzoli ecc o collane molto sponsorizzate di editori più piccoli, mentre su Mursia sono maggiormente ancorati alla collane storiche, mostrando magari meno curiosità verso quelle, come la narrativa, più difficilmente etichettabili. Nella collana romanzi Mursia, infatti, c’è un po’ di tutto: libri ottimi, altri meno, grandi testi classici insieme a cose più leggere. Ma paradossalmente è stato proprio il suo essere ”territorio ampio”, slegato da conventicole e padrini a piacermi, inducendomi a proporre il mio romanzo alla storica casa editrice del grande Ugo, siciliano di Carini (se non sbaglio). Mi pareva un territorio vergine. E infatti nessuno, ripeto nessuno, in mursia mi ha chiesto di cambiare una VIRGOLA del mio romanzo. (Beh, sto esagerando: magari qualche virgola sì, nel momento della correzione delle bozze, ma nient’altro). Dico queste cose per far capire che con gli editori non sempre ciò accade. Non sempre si ha questa libertà (e qui mi rivolgo a Salvo di cui condivido in pieno le opinioni). Fortunatamente fino ad oggi – e non è fatto così scontato: conosco scrittori, specie quelli che hanno un agente, i cui testi originari vengono completamente modificati – i miei editori hanno accettato le mie regole. O così o non se ne fa nulla. Scusate la semplificazione di ciò che sto cercando di spiegare. E cioè che il lavoro dello scrittore non si conclude con la SCRITTURA. Occore RESISTENZA nel difendere la propria opera, fiducia in se stessi, CORAGGIO di dire (come Bartebly) PREFERIREI DI NO. Conosco scrittori (specie fra gli esordienti) che, pur di pubblicare, accettano compromessi: accettano che un editor riscriva il loro testo o lo tagli vigorosamente.
Ho recensito il libro di Barilli, che come me ama e racconta Cuba, la Cuba vera non quella sognata. In bocca al lupo!
Mursia fa un editing formale, leggero, accettabile. Ho pubblicato pure io con loro e con l’editor mi sono trovato bene. Ci sono editori che riscrivono i libri e in quel caso sarebbe meglio avere il coraggio di dire “No, grazie”.
Lupi
@ davide barilli
grazie!
e grazie anche per il concetto di ‘scrittura come resistenza’
Sempre sull’editing: pure Eumeswil fa un editing serio. Al mio ultimo romanzo (Sangue habanero) abbiamo cambiato il finale, di comune accordo con l’editor, perchè lui lo riteneva debole (e io ho condiviso), ma l’ho riscritto io… Perdisa, invece, non ha toccato una virgola dal romanzo che uscirà a settembre (Una terribile eredità) e il direttore di collana si chiama Luigi BErnardi, uno che di narrativa se ne intende parecchio…
Lupi
Problema distribuzione. Non è vero. Mursia ha tanti difetti (che non sto a dire), ma non certo quello della poca distribuzione. Certo, non potete aspettarvi che il librod i Barilli giunga impilato alla Faletti, ma i libri di Mursia si trovano molto bene. Tra i medi editori, forse solo Newton si trova meglio. Il problema distributivo è comune a tutti i medi editori, per non parlare die piccoli… I librai vorrebbero tenere solo i libri che si vendono all’ingrosso!
Ma i miei commenti sono stati cancellati?
Lupi
Scusate, era solo un mio problema di visualizzazione.
Lupi
@ gordiano lupi
i suoi commenti li vedo. interessanti i riferimenti all’editing all’interno delle case editrici. una curiosità: ma quando ad uno scrittore vengono proposte delle modifiche, anche se sono giuste, non da comunque fastidio?
@Complimenti Davide. Sono d’accordissimo col tuo ultimo intervento, sia per il discorso distribuzione, che sulla RESISTENZA. E poi se il tuo romanzo lo ha recensito il Maestro Lupi, lo vado a comprare di corsa. Mi sto rovinando da quando frequento questo blog.
@FG. E tu che ci stai a fare? Sto pensando di assumerti come addetto stampa.
come si comporta uno scrittore di fronte ad un editor? non si sente “giudicato”?
scusate, forse sto andando fuori tema
@Davide Barilli ti ringrazio per le tue corpose risposte,ma soprattutto per quel bel concetto di resistenza e di fiducia in se stessi di cui hai parlato,bravo, mille volte bravo,spero che possano leggere le tue parole scrittori emergenti meno “navigati” ed esperti di te,anche se in cuor mio credo che un margine di dubbio e di incertezze faccia parte dell’animo dello scrittore fino a quando la sua creatura non cammini nel mondo esterno,anche dopo,ma col dubbio si cresce non di certo con le certezze che non fanno bene a nessuno.
@Gordiano Lupi un ringraziamento speciale per il tuo intervento-lo faccio anche da parte del titolare che mi ha lasciato delega ufficiale :-)- sicuramente la tua conoscenza della terra e della realtà cubana e la tua esperienza nel campo letterario hanno saputo dare parole perfette al romanzo di Barilli,puoi aggiungere qualche ulteriore spunto di dialogo sulla letteratura di viaggio in genere?Pensi che sia abbastanza tenuta in considerazione oggi in Italia?
@salvo :-))))))), sono a tua disposizione come addetto stampa,promoter e guida turistica se vieni a Napoli.
@antonio migliorini secondo me uno scrittore bravo e onesto con se stesso dovrebbe sentirsi dapprima giudicato dal suo revisore interno,che è cosa più difficile da raggiungere,poi accettare, se il rapporto con chi fa editing è corretto e rispettoso,lo sguardo e le correzioni necessarie dell’occhio esterno,ma naturalmente nel totale rispetto del pensiero espresso e della forma scelta.Penso anch’io che scendere a compromessi che modifichino sostanzialmente la propria forma scritta solo per farsi pubblicare sia mortificante ed umiliante,spesso è fatto per mere ragioni commerciali,per adeguare un testo alle richieste di mercato, perciò secondo me non solo con gli esordienti,semplicemente con chi crede meno nella propria qualità di scrittore e nell’autenticità del mestiere.
@Fg. Mi hai fatto ricordare che sarò a Napoli giorno 2 Agosto, ospite di Francesco di Domenico. Fatti sentire.
@Migliorini. L’editor non va visto come un avversario pronto a calpestare la dignità del povero scrittore. Di solito è una persona esperta, in grado di dare qualche buon consiglio. Si discute con lui pacatamente e serenamente. Io ho appena finito il lavoro di editing al mio ultimo romanzo con l’editor di Del Vecchio, Sergio Ceccarelli, un ragazzo squisito, il quale con molto garbo e intelligenza mi ha fatto notare alcune cosette che, a suo parere, potevano essere modificate. Lasciando sempre a me l’ultima parola. Tutto questo nell’interesse del romanzo.
CIAO A TUTTI. ho letto il libro di davide che conosco e apprezzo fin dal libro “musica per lo zar”. Secondo me è un pittore di parole. le sue pagine sembrano dipinte, i paesaggi che descrive sembra di vederli e si riescono a cogliere sfumature di parole e colore incredibili. Della “sua” Cuba si sentono perfino i profumi, gli odori, si sentono i rumori..anche quello del silenzio.
e poi ve lo devo dire, non sfigura per niente di persona. L’ ho incontrato a milano ed è proprio affascinante sia nel modo di parlare che nel modo di fare. un po’ dandy e un po’ banderas. un bel mix. Bravo e bello.
Caspita,grazie Elisa,che bella testimonianza,la prossima volta gli farò un’intervista dal vivo allora se sarà così gentile da farmi recensire il suo prossimo romanzo. :-)))
@Davide Barilli colgo l’occasione per chiederti se hai già qualcosa in programma per la prossima storia- anche se immagino che l’attività di promozione del libro in questione sia ancora nel vivo come impegno-.Io sono una ammalata cronica di Africa centrale,magari ti viene in mente una bella storia ambientata nel bush africano!
Cose apparentemente lontane sono in realtà collegate tra di loro… e alla fine non tutti i conti tornano!
Hm, l’editing… Una considerazione: io credo che l’editing nella forma (per me sgradevole) che conosciamo noi oggi sia un qualcosa che esiste da una ventina d’anni, anno più anno meno. L’editore ha sempre discusso con l’autore del testo che giudicava, ma oggi credo lo si faccia con una assai scarsa fiducia nella preparazione letteraria di chi scrive (a volte giustificata).
Stasera saro’ a La Spezia a presentare il libro: se qualcuno di voi e’ in zona sara’ il benvenuto!
Cari amici, grazie mille per i vostri commenti e perdonate la mia assenza.
Un ringraziamento particolare a Francesca Giulia per la splendida conduzione e a Davide Barilli per i ripetuti e ottimi interventi.
Ne approfitto per salutare l’amico Gordiano Lupi e per fargli tanti in bocca al lupo – chiedo venia per il banale gioco di parole – per i suoi nuovi libri… spero che avremo modo di parlarne qui.
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Gordiano aveva già recensito “Le cere di Baracoa”. Inserisco la sua recensione nel commento che segue.
Davide Barilli è un buon giornalista che sa scrivere romanzi – non è facile che le due cose vadano d’accordo – soprattutto perché riproduce profumi e ambienti di terre conosciute e rende l’ambientazione credibile, tra ricordi di odori, riti, abitudini, piatti tipici e realtà quotidiana. Le cere di Baracoa è un romanzo giallo ambientato a Cuba – una parte per me meno coinvolgente si svolge nella Bassa Padana – e per questo era impossibile che non mi affascinasse. Tra l’altro si svolge in una delle località più selvagge e fantastiche di un’isola meravigliosa, quella Baracoa, città più antica di Cuba, che Cristoforo Colombo definì la terra più bella che mai piede umano abbia calpestato. Baracoa mi fa tornare alla memoria i miei quarant’anni festeggiasti lungo un fiume e d’improvviso sembra un secolo che non vedo le sue palme, gli auras tiñosas che volteggiano nel cielo azzurro intenso, le ceibas frondose della piazza e la chiesa che nasconde i riti dei santeros. Baracoa bella e cadente, selvaggia come una landa d’Africa precipitata a Cuba, che scopre angoli di mare a ogni curva di strada, tra piccole spiagge, capanne di contadini, venditori di caffè e cioccolata, bambini che giocano con carrettini improvvisati.
Il romanzo di Barilli mi ha fatto venire voglia di tornare a Cuba, ma me la devo far passare, non posso che scriverne da lontano come faceva Cabrera Infante, sperando che qualcosa cambi.
Non amo il giallo, pure se mi è toccato scrivere qualcosa di simile nella mia vita, quasi sempre su commissione. Amo, invece, pezzi letterari come quelli che Barilli ci regala sulla più antica città di Cuba e per questo ho letto volentieri un romanzo, scritto senza cadute di stile.
Per viaggiare davvero i viaggiatori non devono avere nulla da perdere. Ma neanche da cercare. Sono queste le idee che ho in testa mentre la guagua svolta sotto le nubi che avvolgono il picco della montagna. La corriera scende lungo i tornanti avvolta da scrosci d’acqua che fumano, per l’umidità, con l’effetto di un bagno turco. Baracoa è laggiù, schiacciata nella mezzaluna della baia, in fondo alla montagna. Un nome che mi fa pensare al tronco di una pianta misteriosa, invisibile e notturna, che galleggia in mezzo a un mare placido e sconosciuto.
Bravo Barilli, che mi hai scatenato la nostalgia per una terra lontana e indimenticata come fosse un ricordo di donna che non potrai più abbracciare. Pennellate di vecchie illusioni, sogni a occhi aperti, immagini di un oriente caldo e misterioso che si lasciano attraversare dalle pedalate stanche del bicicletero Barroso. Lo seguo con il pensiero, tra momenti di vita cubana che vorrei ancora afferrare, mulatte che danzano ritmi di rumba, creole maliziose che accompagnano bambini al mare, ma purtroppo lo so che è soltanto d’una magia del passato che non riuscirò a recuperare…
Gordiano Lupi
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Fonte: Kult Underground
http://www.kultunderground.org/articoli.asp?art=1252
Cosa rimane degli incontri che facciamo nel corso della vita… durante il nostro peregrinare… nei nostri viaggi?
Quando e perché un incontro – piuttosto che un altro – riesce a incidere nelle nostre esistenze?
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Dipende dagli incontri… E dallo stato d’animo con cui ci prepariamo ad una nuova amicizia. Continuo però a credere che quelli che si perdono non sono amici. Gli amici sono tali anche a distanza di tempo e luogo, discutono e capiscono. Possono non accettare un nostro atteggiamento e noi uguale, ma restano amici. Il resto è ” parva materia”
Ringrazio Alina per il commento e faccio tanti auguri a Davide per la sua presentazione di stasera a La Spezia.
La trama è avvincente, l’ambiente è *mio*, lo conosco. Mi batte il cuore.
@Caro Massimo, ti ho pensato molto, ho letto che sei stato a Pisa, così
vicino a me! Volevo scriverti, ma un lutto in famiglia ha sconvolto tutti i
piani. – Comunque è stata ammirevole nel sostituirti anche Francesca Giulia. E’ davvero un tipo in gamba. Brava, brava.
@Davide Barilli scrive in maniera suasiva e incantevole, mi spiace che per ora sia stritolata dagli impegni. Ma troverò il tempo per approfondirlo quanto prima.
Devo star dietro all’ uscita del mio libro, (spero per i primi di agosto) .
@Mi vengono i brividi, riflettendo sulle giuste considerazioni di Gordiano Lupi! E lui sa come navigare…. nei perigliosi flutti.
Lo ringrazio per gli esperti consigli , ma ho visto che conclude poco, anche il Sindacato degli Scrittori, almeno il mio.- Forse alla fine, saremo costretti ad allegare un allettante regalo alla nostra opera, come ormai fanno tutte le Riviste! Un Panforte, Ricciarelli, Rosso di Montalcino?
@ Salvo, quando andrai a Napoli da Didò, scusami con lui e abbraccia per me Francesco Domenico. Digli che prima o poi mi rifarò viva… se non sono morta! Credimi sono in attesa di chiamata, come un numero ritardatario del Lotto…. Mi raccomando, se qualcuno vince ricordatevi
di questa povera tapina.. Non fiori ma, opere di bene!
Ringrazio e saluto tutti caramente.
Tessy
@Tessy. Carissima, già che sono a Napoli abbraccerò per te anche Francesca Giulia, penso sia più piacevole. Ma se mi dai in privato i numeri giusti da giocare al Lotto…nel caso dovesse arrivare davvero la chiamata…sono disposto a sbaciucchiarmi Didò in tua vece tutto il tempo della vacanza.
Grazie a quelle diavolerie che si chiamano blackberry posso intervenire da una spiaggia ligure, dove mi sto riprendendo dopo una bella serata spezzina; presentato da marco ferrari, ottimo scrittore (basti pensare a uno dei suoi titoli ‘Alla rivoluzione sulla due cavalli’) ho. chiacchierato a lungo con il pubblico, raccontando la mia cuba e la mia idea di scrittura. Vedo che ci sono molti amici campani, spero di conoscerli quando (se tutto andra’ al posto giusto) andro’ a presentare il romanzo a napoli; penso in ottobre
Grazie a quelle diavolerie che si chiamano blackberry posso intervenire da una spiaggia ligure, dove mi sto riprendendo dopo una bella serata spezzina; presentato da marco ferrari, ottimo scrittore (basti pensare a uno dei suoi titoli ‘Alla rivoluzione sulla due cavalli’) ho. chiacchierato a lungo con il pubblico, raccontando la mia cuba e la mia idea di scrittura. Vedo che ci sono molti amici campani, spero di conoscerli quando (se tutto andra’ al posto giusto) andro’ a presentare il romanzo a napoli; penso in ottobre. Saluto Gordiano Lupi, valido collega e uomo coraggioso, sperando di vederci a fine agosto (eh..gordiano!). Sul sito http://www.mursia.com (digitando sotto collane, romanzi, le cere di baracoa, recensioni) potete leggere tutta la rassegna stampa finora uscita. Proprio oggi mi comunicano che Fulvio Panzeri scrive del mio romanzo sul prossimo numero di Famiglia cristiana e presto Liberal gli dedichera’ un’intera pagina.
Cara Tessy, ti faccio le più sentite condoglianze per il lutto. E ne approfitto per abbracciarti forte e ringraziarti per il commento.
Caro Davide, sono lieta che la presentazione di ieri sia andata bene… e che il libro si stia facendo valere tra le pagine culturali dei vari quotidiani e magazine.
A questo punto è giunto il momento di far ascoltare agli amici di Letteratitudine la tua voce e la tua figura attraverso questo bel servizio realizzato da booksweb.tv
http://www.booksweb.tv/content/show/ContentId/1647
Sono felice che gli amici fedeli di Letteratitudine abbiano apprezzato la mia compagnia,un grazie speciale a Massimo e a Davide- che spero di conoscere quando sarà a Napoli per la presentazione del libro-.
@Salvo purtroppo il due non sarò in città,ma avvisami se pensi di tornare,tramite e-mail,la mia la puoi avere da Massimo.
@Tessy-ti chiamo come i tuoi amici più intimi-ti ringrazio di cuore per i tuoi apprezzamenti,spero di conoscerti presto.Poi magari ci abbracciamo tutti insieme :-)))
un caro saluto
Scusatemi se mi sono eclissato. Ero un po’ incasinato tra lavoro, libri e bambini piccoli… Sull’editing ci sono varie scuole di pensiero. Io posso dire come la vedo ma non è un’opinione universale. Quando ero alle prime armi (non è che adesso sia chissà quale scrittore, resto un modesto artigiano) l’editing mi infastidiva. Adesso no, lo vedo e lo vivo come un’occasione di crescita. Ripeto, ho cambiato il finale di Sangue Habanero su imput dell’editor, ma alla fine mi sono accorto che aveva ragione lui. Importante è che sia lo scrittore a fare i cambiamenti, non che li subisca da altri (alla Carver). Sulla letteratura di viaggio non ho molto da aggiungere. Credo che ci siano esempi illustri di grande letteratura di viaggio. Basta leggere certi libri di De Amicis e alcune opere di Cabrera Infante. A me è un genere che attira, pure se le volte che ho scritto di Cuba (a parte Cuba magica edito da Mursia) mi sono sempre calato nei panni del cubano. Grazie a Massimo per aver postato la mia recensione nostalgica.
Gordiano Lupi
Arrivo tardi perchè sono stata via per qualche giorno ma voglio inserirmi lo stesso in questa interessante discussione. Non ho avuto modo di leggere il libro di Barilli e me ne dispiaccio ma rimedierò perchè i vostri interventi mi hanno fatto venire curiosità e voglia di leggerlo. Quello che adesso voglio fare, invece, è affrontare il tema degli incontri che mi è molto caro. Da un incontro nasce la vita e l’incontro è vita.
La mia esistenza, come quella di tutti, ha subito scosse e deviazioni in varie direzioni, e questo molto spesso grazie proprio a degli incontri con persone e situazioni.
Quello che è stupefacente è che non è detto che l’incontro debba essere “importante” per cambiarci la vita. A volte basta anche una parola di uno sconosciuto, un pensiero espresso con passione, l’esempio di qualcuno che ci passa accanto per aprire un orizzonte, trasmetterci coraggio e determinazione, darci la spinta a intraprendere un viaggio. In certi casi siamo consapevoli che questo accadrà ma più spesso l’alito esistenziale di qualcuno ci attraversa, lievemente o come una tormenta, in maniera inconsapevole. Nessuno è immune e io meno degli altri. Mi avvolge con tepore il pensiero che domani mattina, come ogni giorno, incontri o riincontri mi faranno più ricca.
un grazie davvero sincero a tutti voi, a cominciare da massimo e francesca giulia (a cui chiedo, magari privatamente, la mail per invitarla a partecipare alla presentazione che farò a napoli). un grazie a tutti coloro che hanno animato la discussione per le cose importanti che hanno detto e per i suggerimenti che,magari inconsciamente, mi hanno trasmesso. Per chi avesse difficoltà a reperire Le cere di Baracoa in libreria (essendo uscito a marzo è stato ‘travolto’ inevitabilmente da centinaia di novità) suggerisco -come faccio spesso – di ordinare il libro su Isb o sulle tante altre librerie online che popolano il web. Il mio indirizzo, indicato anche sul libro, è danubio2759@yahoo.it. Mi farebbe piacere conoscere la vostra opinione una volta che avete letto il romanzo. Mi farebbe inoltre felice se mi agiungerete fra i vostri amici in Facebook. Un caro saluto e buona estate a tutti. davide barilli
@Davide Barilli :Onorata di poter partecipare alla tua prossima presentazione napoletana,ti mando una e-mail al tuo indirizzo così puoi avvisarmi.
un caro saluto e buona estate!
Cara Mavie, grazie per il tuo commento.
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@ Davide Barilli
Caro Davide, è stato un vero piacere ospitarti. Sono io che ringrazio te.
Ti auguro il meglio per questo tuo libro e per i prossimi che scriverai.
@ Francesca Giulia
Quando andrai alla presentazione napoletana de “Le cere di baracoa” per incontare Davide… metti i tacchi. I più alti che hai.
Capirai perché. 😉
@Massimo …poichè sui tacchi non cammino molto bene,potrei portare lo scaletto da casa??Se ho capito il perchè….
🙂 baci
Sì, mia cara. Hai capito bene. Se vuoi essere all’altezza di Davide… ti devi attrezzare.
😉
Baci a te.