Dietro le quinte del teatro “Persiani” di Recanati, in attesa che Mario Rigoni Stern venga chiamato da Paola Pitagora, conduttrice del premio letterario Recanati (che ha vinto Mario Rigoni Stern), e presentato da Ernesto Ferrero (che dice, non appena lo chiamano: “Parlare di Mario è come essere a casa, come arrivare a baita”), il grande scrittore de Il sergente della neve e del recente Stagioni se ne sta seduto da solo su una sedia e guarda buono, con le mani in grembo, verso il palcoscenico. Gli domando se da Asiago è venuto in macchina o in treno. “In macchina” mi dice, “mi sono venuti a prendere”. Mi fa cenno di sedermi al suo fianco e mi domanda, con estrema semplicità, il nome (non mi domanda chi sono, ma come mi chiamo), mi chiede da dove vengo e, quando sente che sono lucano, lui subito mi parla della Basilicata, e mi dice che è stato a Bernalda, a Matera e, quarant’anni fa, a Metaponto: “A Metaponto ci sono stato a ferragosto. Non c’era nessuno. C’eravamo soltanto io e i grilli. Era come stare fuori dal mondo”. Adesso, invece, a Metaponto, a ferragosto, è impossibile trovare un angolo non turistico. E gli domando del Sud (a lui che è così indissolubilmente legato a un’idea forte di Nord): “Il Sud è bellissimo” mi dice, “ma più di tutto amo la Sicilia. La Sicilia è meravigliosa”.
Il teatro è caldo, sudiamo, ma per non fare rumore siamo sempre più vicini, parliamo fitto fitto; a bruciapelo gli domando se la neve – che lui ha “cantato” in tutti i modi – sia guerra o pace. Rigoni Stern curva la mano e la posa sull’orecchio – forse, per l’imbarazzo, ho parlato troppo a bassa voce. Gli rifaccio la domanda. Mi guarda e risponde con sicurezza: “La neve non è né buona né cattiva. Non è mai colpa della neve. E’ sempre colpa degli uomini se la neve è cattiva”.
Ma si può impazzire in guerra? Cosa è stata la campagna di Russia? E si può amare la neve dopo averla vista azzannare le gambe dei propri compagni? Nel giro di pochi minuti ci troviamo lontani dalla festa letteraria di Recanati e immersi in una strana intimità pensosa. Mi dice Rigoni Stern: “Certo che si impazzisce sul fronte. Soprattutto per il poco dormire. Ci provi a non dormire per otto giorni. Io forse ero impazzito. Mi ero sdoppiato. In quei giorni mi sembrava che un altro Mario mi dicesse le cose che dovevo fare. La vera guerra è stata in Russia”. Prima di essere chiamato sul palco dalla Pitagora ci diamo appuntamento per la mattina successiva, nella sala colazioni dell’albero dove Rigoni pernotta.
Durante la notte, prima di addormentarmi, penso allo strano destino critico di Mario Rigoni Stern, uno scrittore che è sempre rimasto schiacciato tra due categorie abbastanza anguste (“scrittore di guerra”, o “di testimonianza”, e “scrittore della natura”; eppure “guerra” e “natura” non sono sempre topoi logori e prevedibili); penso, invece, alla durezza della sua narrativa poetica, al suo guardare sempre in faccia il dolore e, direi, il controdolore – non c’è niente di “naif” nella sua scrittura, anche perché la natura non dà mai davvero risposte consolatorie, anzi, è più “muro” del “muro” del pensiero filosofico – anche la guerra è un “muro” nel pensiero. Rivedo, prima di prendere sonno, il viso buono di sua moglie, e risento le parole di Rigoni Stern su Roma: “Roma me la sono goduta nel 1973, quando c’è stata la crisi petrolifera. Non circolava neanche una macchina. Me la sono girata tutta a piedi. Quel giorno andai anche a trovare Walter Binni e Emilio Lussu”.
La mattina mi sveglio in ritardo e scendo di corsa. Lo trovo che beve un caffè al bar. Mi saluta e mi indica un tavolo all’aperto. Accendo una sigaretta e gli domando se ha mai fumato. “In guerra fumavo le ‘Makorka’, le sigarette dei kulaki. Ho fumato tantissimo, ma poi ho smesso, perché ho avuto problemi di cuore. Ho avuto un arresto cardiaco. Quel giorno sentivo i medici che dicevano che ero morto. Non è stata una brutta sensazione. La morte non è brutta. E’ la sofferenza che fa paura”. A Recanati c’è un dolcissimo vento che ci scompiglia i capelli. Bevo un caffè e, mentre apro il taccuino, Rigoni mi dice che a Recanati c’era stato altre volte: “E’ un grande poeta, Leopardi, ma la sua opera più importante è Lo Zibaldone. Tanti anni fa, visitando la sua casa, mi attardai di sera nella sua biblioteca. Per me fu una grande emozione rimanere lì nella penombra”.
I ricordi di Rigoni si sciolgono: “La mia famiglia era abbastanza benestante prima della guerra. A casa nostra di libri ce ne sono sempre stati. C’era dimestichezza con i libri. Mio fratello maggiore ha anche pubblicato un libro di poesie: sonetti enigmistici”. E in guerra? Serve la letteratura in guerra? Davvero può aprire un varco di salvezza come nel “Canto di Ulisse” di Primo Levi? Rigoni Stern non ha dubbi: “Certo che serve la letteratura. Io avevo con me la Divina Commedia e L’Orlando furioso. La letteratura aiuta a superare i momenti brutti. Quando ero in Albania c’era un compagno militare, che faceva il pastore, che mi diceva ‘dai Rigoni, fammi contento, leggimi la Divina Commedia’.
La guerra è l’ossessione di Rigoni Stern: “I russi stavano attaccando. Avevo la responsabilità di 70 uomini. Li ho riportati vivi in Italia. E’ stato il più grande capolavoro della mia vita. C’era un sergente che ricevette una lettera dalla sua fidanzata. Eravamo sul Don. Nella lettera la fidanzata gli diceva di non amarlo più, e di aver trovato un altro uomo. Dopo aver letto questa lettera il sergente fece azioni di guerra disperate. Cercò la morte. L’ha cercata con tutto se stesso, la pallottola che lo ha ucciso. Si chiamava Achille, quest’alpino. Lui almeno è morto per amore. Noi, per quale amore siamo morti noialtri?”
“Natura” e “guerra” s’intrecciano come due serpenti poco pacificati; e sono due serpenti che ora sembrano nemici, e ora si avvinghiano in amore (un amore vischioso): “La natura non ha sentimenti, la natura dobbiamo accettarla. Dobbiamo salvarla, dobbiamo rispettarla. Non possiamo piantare il frumento al Polo. Però non c’è solo la rosa, non c’è solo la valle fiorita, ci sono anche le valli maledette. La nostra fortuna è stata quella di aver perso la guerra, così è finito il nazismo e il fascismo. Ma chi ricorda la grande battaglia del 1943 in Russia? Ci pensa? Un milione contro un altro milione di soldati. Milioni di persone morivano e nessun giornale ne parlava”.
E dopo? Dopo la guerra? Dopo c’è stata la prigionia in Austria, nel 1944, in una miniera di ferro (“era quasi bello stare in miniera, dopo la guerra, ma è stato anche duro, con quel poco che ci davano”); ci sono stati i libri da Einaudi, ma anche l’impiego come diurnista di terza categoria presso l’amministrazione finanziaria dello Stato, e poi la famiglia, la moglie, i tre figli, le passeggiate nei boschi, “fare legna”.
E la morte? Rigoni Stern è lapidario: “I giovani muoiono meglio dei vecchi, perché i giovani hanno tanta vita. I vecchi, invece, sono attaccati fino alla fine all’unico barlume di vita che rimane”.
La tranquillità domenicale di Recanati – la sua ritrosia indecifrabile e suggestiva – è spezzata, nella mia mente, dalle dure parole di Rigoni (il racconto degli arti congelati dei soldati); eppure c’è, nonostante tutto, una possibilità di tranquillità nello stare al fianco di Rigoni (nel suo correre in albergo alla ricerca della moglie, nel far giocare mio figlio con la sua barba bianca, nel suo fare colazione con pane e formaggio). E’ una tranquillità che colpisce per l’estrema semplicità. Poi, però, non appena si parla dell’uomo in pericolo, della guerra, della natura, il volto di Rigoni Stern diventa “freddo” e solenne. In certi momenti è normale pensare a Omero.
Andrea Di Consoli
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Andrea Di Consoli è nato a Zurigo nel 1976 da genitori lucani. Attualmente vive a Roma, dove lavora ai programmi radiotelevisivi della Rai. Collabora inoltre a «l’Unità», a «La Sicilia» e a varie riviste, inoltre scrive sul «Messaggero» e «Nuovi Argomenti». Ha pubblicato il saggio Le due Napoli di Domenico Rea (Unicopli 2002), la raccolta di poesie Discoteca (Palomar 2003) e i racconti di Lago negro (L’ancora del Mediterraneo 2005). Il romanzo Il padre degli animali (2007) ha vinto il premio Mondello ed è finalista al premio Viareggio-Repàci.
Ringrazio davvero tanto Andrea per avermi inviato in anteprima questo articolo/intervista dedicato al grande Mario Rigoni Stern. Una vera chicca.
Commentiamo il pezzo, vi va? Impressioni? Frasi o risposte che vi hanno colpito?
Chi tra voi ha letto libri di Rigoni Stern?
Ne approfitto per congratularmi pubblicamente con Andrea Di Consoli. Il suo “Il padre degli animali” ha appena vinto il Premio Mondello ed è tra i finalisti del Viareggio- Repàci.
Voglio dire…
Io, Rigoni Stern ancora non l’ho letto – e dire che ”Il sergente della neve” mi osserva in libreria da tempo e che leggo ”di lui” molto spesso da anni su giornali, riviste, eccetera.
No, non l’ho ancora affrontato, Rigoni Stern, anche perche’ ho la mia gerarchia nella lettura e so di non conoscere ancora a fondo la Letteratura Antica, cosa che mi sembra piu’ urgente di altre. Pertanto considero calzante – sia per commentare una bella intervista come quella di Andrea Di Consoli sia per riferirmi agli argomenti che ne costituiscono l’essenza – ricopiare queste quattro righe di Properzio. La traduzione e’ di mio padre, Giuliano:
Tu che corri a scampare una fine consorte alla mia, / soldato ferito dai bastioni etruschi, // perche’ dal mio gemito distogli lo sguardo gonfio di lacrime? / Io appartengo alla piu’ vicina schiera delle vostre milizie. (…)
Sergio Sozi
Buon giorno sig.Maugeri,
a proposito del post di oggi volevo segnalarle che Rigoni Stern ha
ricevuto la cittadinanza onoraria a San Giovanni Persiceto(Bologna)
dove abito anch’io in Maggio 2007. Purtroppo non ho potuto presenziare
per motivi di famiglia (mio figlio ha 18 mesi!), però nell’eventualità
in cui Lei fosse interessato ad approfondire potrei chiedere
all’assessore alla cultura che ha organizzato, gestito e intervistato
se può e vuole concedermi qualche minuto per una breve chiacchierata-
viaggio attorno alla figura di Rigoni Stern, appunto.
Mi faccia sapere,
Barbara Gozzi
Mia mamma è una grande lettrice di Rigoni Stern: io mi riprometto da anni di conoscerlo meglio, visto che so di lui solo attraverso interviste e frammenti.
Meravigliosa, semplicemente gustosa questa intervista a Mario Rigoni, ben fatta, molto particolare: complimenti.
Leggere Stern è leggere quella parte della nostra storia che bisognerebbe ricordare spesso, per comprendere di non dover ripetere lo stesso errore in un futuro.
Felicità
Rino, interessato
“I giovani muoiono meglio dei vecchi, perché i giovani hanno tanta vita. I vecchi, invece, sono attaccati fino alla fine all’unico barlume di vita che rimane”.
Questa frase mi ha colpito molto, mi ha fatto venire i brividi. Bella, vera, eppure terribile.
Bellissima intervista! Complimenti ad Andrea Di Consoli. E congratulazioni per i premi.
Per Massimo Maugeri.
Non è che tra un po’ letteratitudine diventerà un club esclusivo per scrittori premiati e ci vorrà un patentino per farvi parte?
Scherzi a parte, il blog è sempre più bello. 🙂
Mario Rigoni Stern (Asiago, 1° novembre 1921) è uno scrittore italiano.
Nato ad Asiago in provincia di Vicenza nel 1921 da Giovanni Battista e Annetta Vescovi, terzo di sette fratelli, trascorre l’infanzia tra i pastori e la gente di montagna dell’Altopiano di Asiago. La famiglia numerosa commercia con la pianura in prodotti delle malghe alpine, pezze di lino, lana e manufatti in legno della comunità dell’Altipiano. Studia fino alla terza avviamento al lavoro, poi lavora presso la bottega di famiglia.
Nel 1938 si arruola volontario alla scuola militare d’alpinismo di Aosta e, più tardi, combatte come alpino nella divisione Tridentina, nel battaglione Vestone, in Francia, Grecia, Albania, Russia. Fatto prigioniero dai tedeschi allorché l’Italia firma l’armistizio di Cassibile (8 settembre 1943), è trasferito in Prussia orientale. Rientra a casa a piedi dopo due anni di lager, il 5 maggio 1945.
Finita la guerra Rigoni Stern ritorna ad Asiago da dove non si trasferirà più e dove vive tutt’ora nella casa da lui stesso costruita. Viene assunto presso l’Ufficio imposte del catasto del suo stesso comune. Manterrà questo impiego fino al 1970 quando lo lascerà per dedicarsi appieno all’attività di scrittore. Nel 1946 si sposa con la moglie Anna dalla quale avrà tre figli.
Esordisce come scrittore nel 1953, con il libro autobiografico Il sergente nella neve, in cui racconta la sua esperienza di sergente degli Alpini nella disastrosa ritirata di Russia durante la seconda guerra mondiale. Con quest’opera egli si colloca all’interno della corrente narrativa neorealista. Il libro viene pubblicato su indicazione di Elio Vittorini conosciuto da Rigoni Stern nel 1951. Ha condiviso immagini, storie e ricordi con Primo Levi e Nuto Revelli.
Sul finire degli anni sessanta scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura de I recuperanti, film girato da Ermanno Olmi sulle vicende delle genti di Asiago all’indomani della Grande guerra.
Con Storia di Tönle vince il Premio Campiello e il Premio Bagutta nel 1979.
Successivamente pubblica altri romanzi nella sua terra natale e ispirati a grande rispetto e amore per la natura. Sono inoltre ben sottolineati nelle sue storie quei valori ritenuti importanti della vita. Sono questi i temi di Il bosco degli urogalli (1962) e Uomini, boschi e api (1980).
Nel 1999 gira con Marco Paolini un film-dialogo diretto da Carlo Mazzacurati e Paolini stesso, Ritratti: Mario Rigoni Stern. Nel film Rigoni Stern racconta la sua esperienza di vita, la guerra, il lager e il difficile ritorno a casa, ma anche il rapporto con la montagna e la natura. Il racconto come veicolo della memoria: per il Sergente è doloroso ma fondamentale portare agli altri la propria esperienza.
A proposito del senso della vita dice: …il momento culminante della mia vita non è quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando la notte dal 15 al 16 sono partito da qui sul Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita…..
Per la sua sensibilità verso il mondo della natura e della montagna l’11 maggio 1998 l’Università di Padova gli ha conferito la laurea honoris causa in scienze forestali ed ambientali. Il 14 marzo 2007 l’Università degli studi di Genova gli ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche.
CITAZIONI:
– « Come vivere? Allora questa domanda ce la dobbiamo porre non soltanto alla fine di un millennio, di un secolo, di un anno, ma tutti i giorni, e tutti i giorni svegliandoci, si dovrebbe dire: oggi che cosa ci aspetta? Allora io considero che si dovrebbero fare le cose bene, perché non c’è maggiore soddisfazione di un lavoro ben fatto. »
– « Domando tante volte alla gente: avete mai assistito a un’alba sulle montagne? Salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole. È uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare, questo spettacolo della natura. »
– « Chi lo avrebbe mai detto che lo sarei diventato anch’io, un autore? Ma forse, in fondo in fondo, quando scrivevo in segreto il mio diario lo speravo. »
BIBLLIOGRAFIA:
– Il sergente nella neve (1953)
– Il bosco degli urogalli (1962)
– Quota Albania (1971)
– Ritorno sul Don (1973)
– Storia di Tönle (1978)
– Uomini, boschi e api (1980)
– L’anno della vittoria (1985)
– Amore di confine (1986)
– Il libro degli animali (1990)
– Arboreto salvatico (1991)
– Le stagioni di Giacomo (1995)
– Sentieri sotto la neve (1998)
– Inverni lontani (1999)
– Tra due guerre e altre storie (2000)
– L’ultima partita a carte (2002)
– Aspettando l’alba e altri racconti (2004)
– I racconti di guerra (2006)
– Stagioni (2006)
FONTE: WIKIPEDIA http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Rigoni_Stern
Grazie mille per i commenti. E grazie anche da parte di Andrea Di Consoli.
@ Sergio Sozi:
il tuo commento è delle 3:23 del mattino. Ma quando dormi?
Importante darsi alla lettura dei classici, ma non trascuriamo i contemporanei e le nuove uscite: lo dico anche nell’interesse del tuo libro 🙂
@ Barbara Gozzi:
assolutamente sì! Prepara questo contributo e invialo tra i commenti (lo leggeremo con piacere). Unica condizione: diamoci del tu. Io ho già proceduto.
@ Luciano Comida:
guarda che le letture delle madri non vanno mai trascurate, piuttosto vanno assecondate ed emulate 🙂
@ Rino:
ben detto!
@ Elektra:
sì, proprio bella quella frase.
no, letteratitudine non diventerà mai un club esclusivo per scrittori premiati. Altrimenti non potrei più scriverci nemmeno io 😉
@ Cicerone 1:
good!
Ho letto di Rigoni Stern il Sergente nella neve, l`ho letto qualche settimana dopo Centomila gavette nella neve. Era molto evidente la differenza tra la retorica di bedeschi e lo stile asciutto di Rigoni stern.
E credo che questo sia il suo miglior merito.
Riuscire a mantenere una tensione morale ed un pathos notevoli, senza piombare nella retorica piu` evidente.
E poi e` stato, altro merito, uno dei pochi a far comprendere come l`esercito italiano non fosse composto solo da marescialli panzuti pronti a scappare via al primo apparire dei nemici.
Per Massimo:
Giusto. Mia mamma Annamaria ne sarà contenta: lei ha grande rispetto per gli alpini.
Mia mamma è un misto di patriottismo democratico.
Convinta com’è (e me l’ha insegnato fin da piccolo) che patriottismo sia amare e apprezzare la propria patria, mentre nazionalismo sia odiare quelle degli altri.
E forse queste cose le ha imparate anche da persone come Rigoni Stern, così radicate alla propria terra, ma nello stesso tempo (vivendo sulla montagna, così prive di stupidi confini).
Off topic:
E’ morto Luigi Meneghello
L’ho appena saputo. Mi dispiace molto: i suoi libri (penso a Libera non a Malo o a I piccoli maestri) erano carichi di humour e di intelligenza, ricostruivano il mondo della provincia veneta, della scuola durante il fascismo, della Resistenza raccontata senza un filo di retorica ma con un sottofondo di acceso erotismo. Ciao, Luigi, scrittore colto e popolare, così lontano dalla cialtrona Italia televisiva di questi anni. Stasera mi rileggerò qualche tua pagina scelta a caso: so che come sempre riderò e so che oggi mi verrà anche una gran malinconia.
Non ho mai letto nulla di Rigoni Stern, anche se conoscevo l’autore.
Sicuramente ora acquisterò un suo libro e penso “Il sergente della neve”.
Dovete sapere che un mio prozio è stato (se non erro) Comandante (o un grado minore) di un battaglione in Russia proprio nel Don e anche lui salvò dalla morte il suo battaglione, molto probabile che Rigoni Stern lo conosca, si chiamava Paride Brunetti, mai sentito?
Conosco Mario Rigoni Stern; sono una montanara, ma non ho letto tutti i suoi libri, solo alcuni. E’ un leggere strano, perché gli occhi mi volano via dalle parole e nella mente sento altre voci, quelle dei miei nonni, delle persone che incontravo da bambina;vedo i miei boschi d’allora. Rigoni Stern ricorda Revelli, Nuto Revelli ( L’Anello Forte, Mai Tardi, Il mondo dei vinti) ma niente è più distante nel loro modo di scrivere. Sono contemporanei, hanno vissuto le stesse esperienze, entrambi le hanno narrate, raccontate a voce in giro per l’Italia; hanno pubblicato con lo stesso editore ma sembrano uscire da mondi diversi. Uno omerico , come lo ha definito Di Consoli, antico con lo stupore della conoscenza ancora intatto, religioso; l’altro dimostrativo, razionale, logico, incontestabile. Rigoni Stern non si concepisce senza la Natura, la Storia viene dopo come gli uomini e gli animali e gli alberi che si susseguono nei loro cicli di vita e di morte. Ne’ “il Bosco degli urogalli” c’è un racconto che ha per titolo “una lettera dell’Australia”; il protagonista è un suo amico che da solo se ne va, chiuso e determinato, a caccia di un urogallo. Lo colpirà a morte ma quella sarà la sua ultima caccia perché tutto era cambiato. Lo sparo “svaniva tutto in quel bagliore rovente, anzi quel bagliore si gelava e diventava tutto bianco e turbinoso e udiva uno sparo, due spari, una raffica. Membra di marmo sulla neve e ghiaccio rosso, e subito tutto si copriva nel turbine bianco”. Non conosciamo abbastanza i nostri autori, quando si discute del Male, quasi sempre si cita Celine, senza mai considerare che Il viaggio al termine della notte ci parla di una grande guerra, di un reduce. Sarebbe interessante un confronto fra Rigoni, Flaiano, Celine, Revelli.
Tornando all’intervista sono convinta che solo Andrea Di Consoli poteva parlare all’autore e dell’autore in quel modo, con quella sensibilità. Un’ occasione ghiotta per confrontare idealmente il suo “padre accecatore” con un altro padre “che tutto vede, tutto sente, tutto ode” come nell’antica Grecia.
Il padre degli animali è bellissimo. Un buon libro, complimenti:
Miriam
Caro Massimo,
lo so: sono un debosciato! Va be’… la narrativa italiana moderna e contemporanea la leggo abitualmente, solo che ogni volta mi accorgo di aver ignorato un autore scomparso, dunque i viventi va a finire spesso che li lasci per ”dopo”.
E poi il mio libro conta poco, come il novanta per cento almeno dei libri di narrativa di questi ultimi anni. I geni oggi, in Italia, non penso esistano.
Ciaociao
Sergio Sozi
“Mario Rigoni Stern attraverso le parole” di Barbara Gozzi
Mario Rigoni Stern è un uomo aperto e ricettivo. Che porta grosse cicatrici sotto lo strato superficiale della pelle. Che sa ascoltare. Che ascolta di continuo ogni cosa. Che si interroga e si stupisce. Che non ha risposte certe ma percezioni.
Mario Rigoni Stern è una persona schiva e riservata. Che ama la natura in modo viscerale. Che ha scoperto le brutture della guerra e non se ne dimentica mai. Che lancia messaggi positivi. Di pace. Comunicazione. Sostegno reciproco. Condivisione. Rispetto. Memoria. Voglia di divulgare la cultura al di fuori degli schemi moderni. Lontano dalle corse e dalle tecnologie che possono distrarre. Confondere.
Queste sono le prime impressioni che ho avuto di lui leggendo un’intervista. Indubbiamente c’è molto di più.
Rigoni Stern attraverso le parole esprime. Tramanda. Racconta. Spiega. Diffonde. Tratteggia periodi bui e momenti più lieti. Tenta di coinvolgere il lettore. Lascia tracce. Perché sono proprio queste tracce che, secondo Rigoni Stern, potranno guidare chi si è perso in futuro e tutt’ora delineano un percorso abbozzato dalle precedenti generazioni. “ La memoria è ricordare quello che ci hanno lasciato i nostri antenati, quello che riusciamo a leggere nel paesaggio e nelle tracce.”
La guerra e la prigionia lo hanno segnato. Ma ha saputo tornare con la mente aperta. Non si è lasciato accecare dall’odio ( e il fatto che i suoi personaggi non sono mai ‘nemici’ ma ‘uomini’ lo testimonia senza troppe cerimonie) né imbruttire, indurire fino all’osso come, purtroppo, è accaduto ad altri. “E’ nei momenti difficili, nelle tragedie che si manifesta l’uomo per quello che è. Nel sublime, e anche nelle cose peggiori.” E lui ha saputo osservare, lucido e libero da ogni preconcetto. “ Ricordo un alpino che trascinava il fratello morto, l’ha trascinato per tre giorni. […] Sono i momenti più drammatici in cui l’uomo esce, nella sua generosità, e anche nella sua bassezza, a volte.”.
Poi c’è la natura. Ci sono le montagne. I boschi. Passeggiare. Amori mai dimenticati che tutt’ora coltiva e ammira. “ Badate, le gambe non sono una per premere il freno e l’altra l’acceleratore, come diceva un tale che andava sempre in macchina. Le gambe servono per stare in piedi. […]L’alzarsi in piedi di questo nostro primo genitore è stato quello che ci ha fatto diventare uomini, attraverso millenni di vita. Perciò camminare è la prima cosa che vedete […] Se non fossi stato un camminatore, non sarei arrivato a casa. Se non fossi stato un buon camminatore, non avrei guidato i miei compagni nella ritirata.” La natura emerge prepotente nei suoi ultimi testi, a dimostrazione di un desiderio di condivisione e tutela che porta avanti con una volontà di ferro. “Se prima ero costretto a sopravvivere alla guerra, adesso sono costretto a vivere un’altra guerra: la guerra contro l’ambiente, l’offesa alla natura e l’uomo senza natura non può vivere.”
Non da meno c’è la cultura. Che coinvolge tutta la vita di Rigoni Stern anche quando poteva solo leggere. E sull’argomento ha le idee molto chiare, frutto di osservazioni e confronti. Risultato di anni di viaggi e condivisioni. E’ in periferia che si nutre la cultura, lontano dal traffico esasperato, i rumori forti e le tecnologie onnipresenti che allontanano dal silenzio. “Vivere nella periferia è vivere nel mondo, perché il paesaggio è largo e da lontano si guarda meglio e si vede molto di più, si possono osservare le cose che accadono nel mondo con più comparazioni.”
Mario Rigoni Stern è una persona che trasmette positività, incondizionata. Una positività che non è buonismo falso, a uso e consumo di un’immagine costruita. E’ una necessità interiore. Un’urgenza. “… io vorrei che la gente fosse più serena, vorrei che i ragazzi cantassero e giocassero di più, che spegnessero la televisione, che andassero a camminare. Io vorrei vedere la gente cantare: è una cosa molto semplice.”.
Da una poesia di Primo Levi (dedicata anche a Nuto Revelli) si può capire molto di chi era ed è Mario Rigoni Stern:
Ho due fratelli con molta vita alle spalle,
nati all’ombra delle montagne.
Hanno imparato l’indignazione nella neve di un paese lontano,
ed hanno scritto libri non inutili.
Come me,
hanno tollerato la vista di Medusa,
che non li ha impietriti.
Non si sono lasciati impietrire dalla lenta nevicata dei giorni.
Fonte: trascrizione dell’incontro con Mario Rigoni Stern presso il teatro comunale di San Giovanni in Persiceto (Bologna) in occasione della cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria il 2 Giugno 2007.
—-
La prossima settimana incontrerò l’assessore alla cultura W. Horn che ha avuto la possibilità di parlare e guardare negli occhi Rigoni Stern. Proverò a trasmettervi le sensazioni e tutto quello che ho dimenticato in questo primo frammento di approfondimento.
Saluti ad Outworks 110 e a Francesco G.
@ Sergio Sozi:
magari potremmo aprire un sondaggio sull’esistenza di geni nell’Italia del nuovo millennio
@ Miriam Ravasio e Barbara Gozzi:
grazie per gli ottimi approfondimenti.
Caro Massimo,
io aprirei un sondaggio non ”sull’esistenza di geni”, come suggerisci tu, ma viceversa sull’ ”inesistenza di geni” nell’Italia del Duemila. Ci siamo capiti, no? Quali ne sarebbero i risultati?
Gioco d’anticipo: tutti gli scrittori intervistati ”piccoli Manzoni”, mentre gli altri autori ”del tutto incompetenti”. Sommando: tutti geni e tutti contemporaneamente cretini.
Credimi: meglio abbandonare l’idea, anche solo per scherzo.
Sergio Sozi
La montagna mi fa paura. La montagna mi fa fatica, perché le mie gambe hanno sempre camminato sull’asfalto metropolitano.
Ma…ho preso un impegno con me stessa, quello di avvicinarmi alla Natura, con più umiltà e consapevolezza.
In un articolo di poche settimane fa, Aldo Nove dichiarava che lui in quanto soggetto “generazionale” si sente più attratto da un computer che non dal Tibet.
Questa distanza che separa il mondo tecnologico, nostro, da quello naturale, aspro e selvatico di Mario Rigoni Stern, é proprio come il più impervio dei sentieri.
Il mondo raccontato da Rigoni Stern, é fatto di luoghi, luoghi animici e geografici che sorreggono altri confini.
Noi siamo fatti di “non luoghi”, lande desolate abitate dal Nulla.
Si scrive del Giappone prossimo, delle isole immaginarie, o dei continenti sconfinati, ma pochi sanno penetrare nel racconto della Natura.
Sono una lettrice onnivora, però conosco poco l’opera letteraria di Rigoni Stern, tranne forse un paio di libri. Recentemente leggendo il bellissimo libro di Paolo Rumiz “La leggenda dei monti naviganti” mi sono ripromessa di approfondire la conoscenza di certi uomini di cui Rumiz racconta in maniera tanto coinvolgente e appassionante.
Come é accaduto nel delicato incontro tra Di Consoli e Stern,, così tra quest’ultimo e Rumiz si é aperto un valico che trascina via tanta roba inutile che alimenta, la carta stampata e l’immaginario collettivo occidentale del dopoguerra.
Faccio i complimenti a Di Consoli per aver così ben interpretato e raccontato, la granitica umiltà di un grande uomo che della propria vita, ne ha fatto una testimonianza di dignità e lealtà.
E ringrazio Massimo Maugeri che con questo spazio ci aiuta a riflettere e a rimettere un po’ le cose al proprio posto.
@ Barbara Gozzi: non conoscevo la poesia di Levi, grazie!
Io invece non conoscevo, nel senso che non l’ho mai letto, Mario Rigoni Stern. Per cui ringrazio molto Andrea Di Consoli per l’articolo. Con quel libro di Rigoni Stern mi consigliate di cominciare?
Volevo scrivere: con quale libro di Rigoni Stern mi consigliate di cominciare?
@Elektra
entrambi i testi segnalati da Andrea di Consoli meritano, io rileggerò in agosto ‘il sergente della neve’.
@Miriam Ravasio
Lieta di aver aggiunto un particolare in più!
Per Barbara.
Il sergente della neve? Ok. Grazie per il consiglio.
Ringrazio la scrittrice Francesca Serra per il suo intervento.
@ Elektra:
Ti hanno consigliato bene. Appena puoi leggi “Il sergente della neve”. Lo trovi anche in edizione economica (Eiunaudi)
Per il caro Luciano Comida:
il ”patriottismo democratico”, che tu indichi come colonna vertebrale della tua educazione familiare, e’ anche il mio. Esattamente lo stesso. Non ho mai letto una sintesi altrettanto perfetta di questo principio che vorrei fosse di tutti gli italiani: ”Patriottismo democratico”. Perfetta, esaustiva, incolore e al contempo policroma, italianissima. Nostra. Grazie, Luciano. Di cuore, grazie.
Ho provato ad insegnarlo, questo principio – assieme al nostro Inno e soprattutto a qualche idea un po’ piu’ vera della Cultura Italiana nel suo insieme, comprese certe contraddizioni peculiari e in noi innate – a Trieste per cinque anni (cosi’ contrastando, nel mio piccolo, a via Svevo, a Muggia, alla elementare ”Marco Polo” e altrove, gli stupidi nazionalisti che ancora, purtroppo, li’ allignano e corrompono – corrompono l’orgoglio di essere italiani sani). Certo… io sono stato, per Trieste, un ”piccolo maestro” un po’ troppo minuscolo, anziche’ appunto piccolo, in confronto ai filoamericani e agli antisloveni che ivi crescono e trovano consensi. Poi ci sono gli eccessi opposti: i filosloveni. Tutta roba da cestinare. Trieste e’ Italia. Italia che dovrebbe credere di piu’ nella Patria e meno nel proprio nazionalismo. Tanto meno nei nazionalismi. E credere per niente in altre robacce come il filoamericanismo. Trieste dovrebbe accorgersi che manca, nel 2007, una bella fetta del rispetto che dovremmo comunque dare alla minoranza slovena autoctona. Il bilinguismo in primis, Luciano. Un sano bilinguismo che aiuterebbe anche l’italiano.
Un Caro Abbraccio
Sergio Sozi
Scusatemi, nel precedente intervento-lettera a Comida, ho dimenticato di approfondire una cosa: come definire, in termini non superficiali, ossia filosofici e, credo, teologici, la parola ”patriottismo democratico”?
Sapete che approfondire vuol dire sempre mettere le mani nelle paste meno ”linde” che esistano, vero?
Bene, mentre cerco di capire fino in fondo il significato, ridotto ai minimi termini , di tal definizione, che e’ anche la mia educazione familiare di sempre, dico che ”il patriottismo penso sia una forma di amore universale tradotta nei termini linguistici propri di ciascuna lingua. E a chi parli questa lingua naturalmente indirizzata, seppur non esclusivamente. Il patriottismo democratico, comunque, ha la capacita’ di migliorare i propri difetti di italiani attingendo ai pregi di altra gente straniera che ha i propri difetti. Cosi’ fanno molti altri popoli (come gli sloveni, per esempio)”.
Il discorso continua, pero’.
Saluti
Sergio Sozi
(In tarda notte)