Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Leo Longanesi. Il borghese conservatore” (Odoya), di Francesco Giubilei.
Dalla scheda del libro: “Scrittore, editore, illustratore, grafico… Sintetizzare la figura di Leo Longanesi in un’unica definizione risulta impossibile. Sicuramente fu una delle più geniali e irriverenti figure del panorama culturale italiano del Novecento, un intellettuale difficilmente incasellabile in una categoria precisa.
Pungente umorista, coniò frasi e aforismi destinati a rimanere nell’immaginario collettivo. Inventore del rotocalco, scopritore di alcuni dei più importanti narratori italiani (tra cui Buzzati e Flaiano), pubblicò per la prima volta in Italia autori stranieri alla stregua di Hemingway e nel dopoguerra riuscì a coniugare il principio di editoria di progetto con le richieste del mercato. Negli ultimi anni sembra essere calata sulla sua figura una coltre di silenzio, ad eccezione di sporadiche iniziative: tipico destino riservato ai personaggi scomodi.”
Di seguito pubblichiamo: un intervento dell’autore e l’introduzione del volume.
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Francesco Giubilei racconta “Leo Longanesi. Il borghese conservatore” (Odoya)
Sono sempre stato affascinato dagli irregolari, intellettuali, scrittori, giornalisti, difficilmente incasellabili ma geniali per il contenuto e il valore della propria opera.
Molto spesso queste figure – da Bianciardi a Papini, da Gallian a Soffici – a causa del loro pensiero non furono sufficientemente comprese e ancora oggi, anni dopo la loro scomparsa, ad eccezione di addetti ai lavori o lettori forti, non sono conosciuti dal grande pubblico.
Longanesi in tal senso è il personaggio forse più rappresentativo e ingiustamente dimenticato – o poco ricordato – per tutta una serie di ragioni che hanno contribuito a far calare su di lui un’ingiusta coltre di silenzio. In primis l’etichetta di fascista ingiustamente affibbiatagli, vuoi per una scarsa conoscenza del personaggio, vuoi per malafede. A scagionare Longanesi da tale accusa, è sufficiente citare un episodio: nel ’39 il regime mussoliniano chiuse la sua rivista Omnibus, il primo esempio di rotocalco pubblicato nel nostro paese.
Si aggiunga che Longanesi, come me, è romagnolo di origine e nella nostra terra sono celebrati e ricordati personaggi di gran lunga inferiori a Longanesi per il contributo che lasciarono alla cultura italiana.
L’appartenenza a una nazione si basa sulla memoria e sulla storia culturale che è fatta da persone che, attraverso il proprio lavoro, hanno offerto un lascito alle generazioni future. Dimenticare questa memoria o, ricordarla in modo frammentario tralasciando le esperienze di personaggi che hanno vissuto una vita estranea a piaggerie o non si sono legate a un partito piuttosto che un’organizzazione, vorrebbe dire avere una visione parziale e limitata della cultura italiana. Per questo motivo credo che, specie in un periodo caratterizzato da un dibattito culturale stantio e autoreferenziale, come quello attuale, sia necessario conoscere la storia dei grandi italiani, per lo meno del ‘900. In tal senso ogni persona che lavora nel mondo dell’editoria, del giornalismo, della grafica o della cultura, dovrebbe conoscere e approfondire la figura di Leo Longanesi, il borghese conservatore.
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INTRODUZIONE
Scrivere un libro su Leo Longanesi senza essere influenzati dalla biografia che Indro Montanelli e Marcello Staglieno[1] gli dedicarono nel 1984, oltre che una carenza bibliografica, costituirebbe una grave mancanza nella comprensione del personaggio. Appurato il valore del libro di Montanelli e Staglieno e costatata la presenza di altri testi dedicati alla figura di Longanesi[2], è lecito domandarsi l’utilità di un’altra biografia sull’intellettuale romagnolo.
Le motivazioni sono molteplici: anzitutto il libro di Montanelli e Staglieno, uscito negli anni ’80, è fuori commercio e difficilmente reperibile (al di là delle biblioteche), in secondo luogo per dire una banalità – che in realtà non è tale – non si finisce mai di scrivere e raccontare la vita dei grandi uomini.
Una terza motivazione è la coltre di silenzio calata negli ultimi anni sulla vita e sulle opere di Longanesi, un destino comune ai personaggi scomodi e difficilmente etichettabili. Sintetizzare la sua figura con una definizione è complesso: controcorrente, irriverente, conservatore scomodo (come lo definì Andrea Ungari nel titolo del suo libro[3]). Chiamarlo “fascista” sarebbe invece errato (eppure fu lui a coniare il celebre motto “Mussolini ha sempre ragione”), allo stesso modo l’etichetta di antifascista non gli si addiceva. Fu un borghese e allo stesso tempo critico e fustigatore dei vizi della borghesia italiana, un personaggio scomodo ma dotato di un intuito giornalistico, un humour, una raffinatezza d’intelletto che difficilmente nella storia culturale italiana si sono riscontrati in altre personalità.
Lo stesso Longanesi era conscio di questa sua incollocabilità: “lo storico che fra cent’anni scriverà la storia di questo straordinario ‘Italiano’, se pure in quel tempo userà ancora dedicarsi a una simile professione, dovrà essere un bel tipo. Solo un matto potrebbe intraprendere un tale lavoro; ma vedrete che il matto si troverà”[4].
Mitizzò l’Ottocento consapevole che il mondo che rimpiangeva non era mai esistito, o meglio non era esistito come l’immaginava lui: “gli serviva, quel mondo, come contrappunto alla volgarità del mondo moderno con cui non si riconciliò mai. Longanesi detestava la volgarità”[5].
Longanesi si oppose per tutta la vita alle tentazioni della modernità consapevole che ogni cosa scade lasciando spazio alla moda successiva, destinata anch’essa, dopo qualche tempo, a essere sostituita: “il moderno invecchia e il vecchio torna di moda”.
[…]
La migliore eredità di Longanesi e l’unico modo che ci rimane per comprenderlo realmente, è la sua opera che si articola in varie discipline: dalla scrittura all’editoria, dalla pittura al giornalismo poiché, come annota giustamente il figlio Paolo, “il nostro tempo non ci consente di avere sotto mano molti altri esempi come il suo, essenziale nella qualità e abbondante nella quantità”[6].
La grandezza di Leo consisteva nel suo essere poliedrico, difficilmente incasellabile, sempre con la battuta pronta. Sapeva trasmettere le proprie idee e pensieri attraverso un linguaggio che lo caratterizzava in modo inconfondibile: “Longanesi detesta gli articoli lunghi, usa gli aforismi, le finestre, cambia i caratteri a secondo degli autori, cerca gli autori in funzione dei caratteri tipografici che preferisce”[7]. Nel suo giornalismo univa il linguaggio politico a quello letterario conquistandosi un proprio pubblico attraverso “volute sovrapposizioni e ricercate in-comprensioni”.
[…]
Longanesi fu un fustigatore dei vizi del bel paese, lo fece con grande ironia ma anche nello stile schietto e diretto che gli apparteneva provenendo da una terra dove la concretezza veniva prima di tutto: “se vogliamo trarre un utile dalla lezione di questo uomo, dobbiamo rassegnarci a riconoscere i nostri difetti che egli vide e descrisse circa mezzo secolo fa senza però mai essere un inquisitore. Superato questo scoglio avremo l’occasione di mettere le mani sull’eredità che Longanesi ci ha lasciato”[8].
Dal ’45 in avanti Leo comprese che il suo lavoro difficilmente sarebbe stato compreso dalla maggioranza degli italiani, eppure le sue pubblicazioni e riviste raggiungevano un grande pubblico ottenendo successo e ottimi riscontri.
“I nostri ammiratori, Dio mio, meglio non conoscerli” scriveva in La mia signora e aggiungeva “superficiali sì, ma di buona famiglia”.
Un personaggio con posizioni politicamente scorrette come Longanesi, non poteva che non essere compreso dalla società del tempo. Appoggiò idee scomode, spesso perdenti, mai legate al sentire e all’opinione comune. Tuttavia non condivido l’analisi di Marco Vallora in La patria col bagno[9]: “riuscire a comprendere come un’intelligenza tanto folgorante e in fondo anticonformista, una genialità così moderna e sulfurea, sia poi stata messa al servizio non diciamo delle cause perse, che sarebbe anche encomiabile e simpatico, ma di idee stantie e grevi, odorose di scadente tabacco e di scottante cialtronaggine”. Longanesi scelse sempre la strada più difficile; frondista e castigatore dei vizi del regime – così come lo sarà, per tutta la vita, dei vizi degli italiani – e nostalgico di un fascismo che aveva ripensato nella sua mente, non riuscì mai a integrarsi appieno nel tempo in cui viveva.
Di tutte le sue decisioni, quella che stupisce di più un osservatore esterno, fu la scelta nostalgica nel dopoguerra. In fin dei conti Mussolini gli aveva fatto chiudere Omnibus, un episodio di tale gravità da poter essere facilmente utilizzato per cercare di riabilitarsi come oppositore del fascismo nel dopoguerra. Così avevano fatto molti intellettuali legati al regime tanto quanto Longanesi che assunsero posizioni antifasciste. Su Leo gravava però come una scure il fatto di essere stato l’artefice della frase “Mussolini ha sempre ragione” che gli rimase addosso per tutta la vita.
Leo, da sempre bastian contrario, giudicava un tradimento la decisione di tanti giornalisti, scrittori e politici che avevano aderito al fascismo usufruendo dei vantaggi legati all’iscrizione al PNF, di dichiararsi convinti antifascisti non solo rinnegando il proprio passato ma attaccando apertamente il fascismo.
E dire che proprio lui, il 25 luglio del ’43, si era unito alla folla che festeggiava a Roma la caduta del regime.
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Francesco Giubilei (Cesena, 1992), direttore editoriale di Historica edizioni e Giubilei Regnani Editore, ha fondato il quotidiano online di informazione culturale Cultora.it. Laureato in Lettere Moderne e in Cultura e Storia del Sistema Editoriale, ha partecipato alla Summer School della London School of Journalism. Collabora con varie riviste e siti internet e con il quotidiano La Voce di Romagna, di cui è stato anche responsabile marketing. Docente al Corso di Editoria di Milano organizzato dall’agenzia letteraria Herzog, è stato inserito nel “Catalogo dei viventi” dal Corriere della Sera. Questo è il suo quinto libro pubblicato.
[1] Montanelli I. Staglieno M, Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1984.
[2] Vedi bibliografia.
[3] Ungari A., Un conservatore scomodo. Leo Longanesi dal fascismo alla Repubblica, Firenze, Le Lettere, 2007.
[4] Leo Longanesi, 15/02/1927.
[5] Montanelli I. Staglieno M, Leo Longanesi, cit., p.179.
[6] Ivi, p.22.
[7] Longanesi e gli italiani di Mariuccia Salvati in Longanesi e italiani, Faenza, Edit Faenza, 1997, p.175.
[8] Longanesi P., Longanesi, un antidoto contro la mediocrità in Leo Longanesi. Editore, scrittore, artista, cit.
[9] Vallora M., La patria col bagno in Longanesi, un antidoto contro la mediocrità in Leo Longanesi. Editore, scrittore, artista, cit.
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