Novembre 19, 2024

484 thoughts on “LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA

  1. Si tratta di uno spazio dedicato alla scuola. Se ne occuperanno due frequentatrici di questo blog, entrambe scrittrici e insegnanti di letteratura: Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi.

  2. Letteratitudine chiama scuola sarà un luogo – una sorta di forum permanente – che si occuperà di scuola a 360 gradi, privilegiando l’incontro tra studenti, insegnanti… libri (ma non solo). Gli obiettivi sono meglio spiegati nei due articoli firmati dalle curatrici e animatrici di questo spazio. Uno spazio che – credo – può interessare e coinvolgere tutti (siete tutti invitati a partecipare), giacché la scuola – in un modo o nell’altro – riguarda tutti.
    Inutile dire, dunque, che aspettiamo i vostri interventi.

  3. La scuola può essere un’isola felice in cui si trasmettono valori, può sopperire a una società, che spesso presenta situazioni e realtà inammissibili in un contesto civile?

  4. Possiamo ancora formare i giovani o la scuola è diventata solo un luogo in cui si trasmettono saperi che poi, date le circostanze sociali, non si convertono in valori morali?

  5. la scuola – in un modo o nell’altro – riguarda tutti, non c’è dubbio. a me riguarda da mamma e devo confessare che un po’ di preoccupazione ce l’ho. mio figlio, come tutti i figli, passa gran parte della sua giornata a scuola a contatto con i compagni e con gli insegnanti. non parla molto, mio figlio, ed a volte mi sento tagliata fuori. mi sento un po’ estranea e vorrei saperne di più, ma lui dice poco e niente. non so se c’è qualcun altra/o vive una situazione simile alla mia, che non è di angoscia ma di preoccupazione.

  6. vorrei chiedere alle due scrittrici-insegnanti che rapporto hanno con i genitori dei loro studenti e come dovrebbe relazionarsi un genitore nei confronti della scuola, quale sarebbe il modo corretto di relazionarsi.

  7. “La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l’individuo in condizione di fare a meno di essa”
    Penso che questa citazione sia la più adatta, la scuola deve insegnare ad essere indipendenti, a studiare i problemi che ogni giorno si pongono.
    Per questo penso che sì la scuola può e deve essere un “isola felice”, dipende dagli insegnanti, solo se hanno scelto questo lavoro per “vocazione” e quindi insegnano con passione, la scuola “sfornerà” cittadini raziocinanti che potranno migliorare la società.
    Altrimenti, la scuola sarà “una fabbrica di echi gestita dallo stato”

  8. sono d’accordo con te, amy. mi ha fatto sorridere la citazione provocatoria di longanesi: Tutto ciò che non so l’ho imparato a scuola. non sono d’accordo, ovviamente. però credo che la scuola debba fornire non solo dei saperi, ma anche degli strumenti interpretativi. il secondo compito è più difficile del primo.

  9. Secondo me la scuola raggiunge il proprio obiettivo quando riesce a fare in modo che un individuo possa fare a meno della scuola, in seguito ad una propria indipendenza culturale maturata nel corso degli studi.

  10. 17, lunedì
    ————
    Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina alla Sezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: io pensavo alla campagna e andavo di mala voglia. Tutte le strade brulicavano di ragazzi; le due botteghe di libraio erano affollate di padri e di madri che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola s’accalcava tanta gente che il bidello e la guardia civica duravan fatica a tenere sgombra la porta. Vicino alla porta, mi sentii toccare una spalla: era il mio maestro della seconda, sempre allegro, coi suoi capelli rossi arruffati, che mi disse: – Dunque, Enrico, siamo separati per sempre? – Io lo sapevo bene; eppure mi fecero pena quelle parole.

    Entrammo a stento. Signore, signori, donne del popolo, operai, ufficiali, nonne, serve, tutti coi ragazzi per una mano e i libretti di promozione nell’altra, empivan la stanza d’entrata e le scale, facendo un ronzio che pareva d’entrare in un teatro. Lo rividi con piacere quel grande camerone a terreno, con le porte delle sette classi, dove passai per tre anni quasi tutti i giorni. C’era folla, le maestre andavano e venivano. La mia maestra della prima superiore mi salutò di sulla porta della classe e mi disse: – Enrico, tu vai al piano di sopra, quest’anno; non ti vedrò nemmen più passare! – e mi guardò con tristezza. Il Direttore aveva intorno delle donne tutte affannate perché non c’era più posto per i loro figliuoli, e mi parve ch’egli avesse la barba un poco più bianca che l’anno passato. Trovai dei ragazzi cresciuti, ingrassati.

    Al pian terreno, dove s’eran già fatte le ripartizioni, c’erano dei bambini delle prime inferiori che non volevano entrare nella classe e s’impuntavano come somarelli, bisognava che li tirassero dentro a forza; e alcuni scappavano dai banchi; altri, al veder andar via i parenti, si mettevano a piangere, e questi dovevan tornare indietro a consolarli o a ripigliarseli, e le maestre si disperavano. Il mio piccolo fratello fu messo nella classe della maestra Delcati; io dal maestro Perboni, su al primo piano.

    Alle dieci eravamo tutti in classe: cinquantaquattro: appena quindici o sedici dei miei compagni della seconda, fra i quali Derossi, quello che ha sempre il primo premio. Mi parve così piccola e triste la scuola pensando ai boschi, alle montagne dove passai l’estate! Anche ripensavo al mio maestro di seconda, così buono, che rideva sempre con noi, e piccolo, che pareva un nostro compagno, e mi rincresceva di non vederlo più là, coi suoi capelli rossi arruffati. Il nostro maestro è alto, senza barba coi capelli grigi e lunghi, e ha una ruga diritta sulla fronte; ha la voce grossa, e ci guarda tutti fisso, l’un dopo l’altro, come per leggerci dentro; e non ride mai. Io dicevo tra me: – Ecco il primo giorno. Ancora nove mesi. Quanti lavori, quanti esami mensili, quante fatiche! –

    Avevo proprio bisogno di trovar mia madre all’uscita e corsi a baciarle la mano. Essa mi disse: – Coraggio Enrico! Studieremo insieme. – E tornai a casa contento. Ma non ho più il mio maestro, con quel sorriso buono e allegro, e non mi par più bella come prima la scuola.

  11. « Questo libro è particolarmente dedicato ai ragazzi delle scuole elementari, i quali sono tra i nove e i tredici anni, e si potrebbe intitolare: Storia d’un anno scolastico, scritta da un alunno di terza d’una scuola municipale d’Italia. – Dicendo scritta da un alunno di terza, non voglio dire che l’abbia scritta propriamente lui, tal qual è stampata. Egli notava man mano in un quaderno, come sapeva, quello che aveva visto, sentito, pensato, nella scuola e fuori; e suo padre, in fin d’anno, scrisse queste pagine su quelle note, studiandosi di non alterare il pensiero, e di conservare, quanto fosse possibile, le parole del figliuolo. Il quale poi, quattro anni dopo, essendo già nel Ginnasio, rilesse il manoscritto e v’aggiunse qualcosa di suo, valendosi della memoria ancor fresca delle persone e delle cose. Ora leggete questo libro, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del bene. »

  12. Edmondo De Amicis ricevette anche critiche molto dure, per ‘Cuore’.
    Giovanni Pascogli gli scrisse : “Hai messo la tenerezza dove non c’era che ragione pura, e la soavità della buona promessa dove non era che un ansito di lotta!”

  13. mah! io dico che non sarebbe male rileggere “cuore”. anche in questo caso la possibilità di lasciare segni dipende dalla bravura degli insegnanti, secondo me.

  14. Faccio i miei auguri per questo spazio bellissimo a Maria Lucia e Maria Rita e complimenti per gli articoli!
    Le domande sono tante e in teressanti,perciò risponderò un pò alla volta-anche perchè l’argomento mi stimola molto da madre di due ragazzi in età scolastica e da scrittrice in erba che attinge tanto dalla memoria di quegli anni passati!-.
    La definizione che mi piace di più:• Oggi stiamo cercando di costruire una scuola in cui le donne, i membri di minoranze etniche e religiose e le persone che appartengono a culture non occidentali possano essere visti e ascoltati, con rispetto e amore, sia in veste di portatori di una conoscenza specifica, sia come oggetto di studio. Una scuola in cui si consideri che il mondo è formato da molti tipi diversi di cittadini e nella quale si possa tutti imparare a comportarsi come cittadini del mondo. (Martha Nussbaum)
    Mi piace perchè guarda al futuro,all’idea di condivisione del sapere e alla ricchezza dello scambio,pur sottolineando l’importanza di una conoscenza specifica.La scuola non è altro che un pezzo di mondo dove si vive e si riflette tutto ciò che viviamo all’esterno e dentro di noi come cittadini del mondo,perciò non sarà priva di contraddizioni e immagine falsata di una realtà preconcetta e confenzionata ad arte per i nostri figli,ma rifletterà l’immagine che noi stessi,tutti,insieme,famiglia,insegnanti,società,riusciamo a dare di noi.
    Nessuno può tirarsi indietro da questa responsabilità,perciò la parola chiave è per me:”Grande Collaborazione” fra le parti.

  15. Edmondo De Amicis – Cuore

    Ottobre – Il ragazzo calabrese

    22, sabato

    Ieri sera, mentre il maestro ci dava notizie del povero Robetti, che dovrà camminare con le stampelle, entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte, tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita.

    Il Direttore, dopo aver parlato nell’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano, e disse alla classe:

    – Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno, di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli.

    Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte:

    – Ernesto Derossi! – quello che ha sempre il primo premio.

    Derossi s’alzò.

    – Vieni qua, disse il maestro.

    Derossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese.

    – Come primo della scuola, – gli disse il maestro, – dà l’abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria.

    Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: – Benvenuto! – e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani.

    – Silenzio! – gridò il maestro, – non si batton le mani in iscuola!

    Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora:

    – Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore.

    Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa, e un altro ragazzo, dall’ultimo banco, gli mandò un francobollo di Svezia.
    ***

    Il libro “Cuore” fu pubblicato nel 1888. Con l’aria che tira in Italia, una domanda sorge spontanea: ma in che anno siamo?
    (C’è da ricordare anche l’eccellente e ben noto “Elogio di Franti” – l’alunno “cattivo” del libro -, scritto nel 1962 da Umberto Eco e poi inserito nel suo “Diario minimo”, pubblicato nel 1963.)

  16. La scuola mi ha accompagnato per tutta la vita. Ci sono entrata quando avevo quattro anni. La scuola che mi accolse era un asilo gestito da Suore canossiane. L’ Istituto era situato proprio vicino a Piazza san Pietro e vi si accedeva attraverso una lunga e ripidissima scala. Le suore erano abbastanza aperte ma di quel periodo ricordo due cose: il sommellino pomeridiano che dovevamo fare con le braccia poggiate sul banco e la testa china sulle braccia Questo proprio non lo sopportavo. Ma spesso le suore ci conducevano, attraverso una scala coperta e lunghissima, ad un giardino pensile, grandissimo e pieno di fiori a anche di alberi. Per me quel giardino era bellissimo e lo associavo all’ Eden di cui le suore ci parlavano in un modo che metteva angoscia perché da quel luogo magico eravamo stati scacciati. Ma a quell’ epoca questo non mi turbava e ogni volta che entravamo in quel giardino in me si rinnovava la gioia di accedere a tanta belllezza. In quell’ istituto che era
    intitolato al nome di Maria santissima Bambina, frequentai l’ asilo e le prime due classi della scuola elementare. Poi la mia famiglia si trasferì in un luogo lontano da S. Pietro ed io finii le elementari dalle Orsoline che, voglio concedere loro la buona fede, si incaricarono di sviluppare il discorso dell’ Eden fino alla catastrofica conclusione di fiamme infernali e diavoli armati di forconi. Fortunatamente mio padre non aveva soldi sufficienti per continuare a mandarmi a scuola dalle suore. Frequentai le medie , il ginnasio e il liceo nella scuola pubblica dove mi trovai abbastanza bene , anche se due episodi mi turbarono abbastanza da rafforzare il mio spirito contestatore: una mia compagna era svenuta e noi l’ adagiammo su una panda del corridoio. un’ insegnante particolarmente severa, non credette allo svenimento e tolse bruscamente la panca facendo cadere a terra la mia compagna, che immediatamente riprese i sensi. L’ altro episodio alimentò il mio desiderio di realizzare, insieme a tutte le donne, la parità con l’ uomo. Una volta ebbi dall’ insegnante di lettere una nota sul diario. Temendo la severità di mio padre la feci firmare da mia madre. La prof. non si accontentò. Volle vedere mio padre al quale disse queste lapidarie parole: ” La donna è la regina della casa, ma i decreti li firma il re”. Già l’ ho fatta troppo lunga. Concludo dicendo che , trentenne, vinsi la cattedra di insegnamento di filosofia e storia. Se sia stata una buona o cattiva insegnante potrebbero dirlo le mie ex alunne. Nel 1990 sono andata in pensione dopo circa 40 anni di lavoro. Saluti a tutti. Franca.

  17. Bellissimo il post e l’idea del forum permanente, stimolanti le citazioni, ottimi i pezzi delle due curatrici. Interverrò con calma più tardi o nei prossimi giorni.

  18. Possiamo ancora formare i giovani o la scuola è diventata solo un luogo in cui si trasmettono saperi che poi, date le circostanze sociali, non si convertono in valori morali?

    premetto, stamattina ho urlato per 4 ore.
    quindi, la mia risposta è abbastanza condizionata dalla disperazione… 🙂

    a parte il formare, che è pura utopia, mi sembrerebbe un traguardo più che dignitoso trasmettere almeno i saperi. Ma, vista la situazione attuale, mi pare che noi facciamo più che altro i baby-sitter (anche per ragazzi un po’ cresciuti), gli assitenti sociali, i cani da guardia, i tappabuchi, e, se va bene, le spalle su cui piangere (capita anche quello). Insomma, tutto, tranne che gli insegnanti.
    Perciò, formare, educare, insegnare, sono tutti spazi che non so da chi siano colmati. Forse da nessuno, purtroppo.
    Non so di chi sia la colpa. So solo che io sono uscita da scuola vent’anni fa, e mi ricordo che funzionava in un modo. Sono rientrata da insegnante dopo circa 17 anni e ancora non riesco a capacitarmi di come sia ridotta.

  19. Cara signora Lovetere,
    dato il garbo e la gentilezza dei suoi modi, io non credo che lei debba chiedersi qual è il modo giusto di rapportarsi con i professori. E’ proprio il tono che lei usa quello giusto. Sono convinta che un’inegnante di bei modi e equilibrato faccia una classe equilibrata e di bei modi, perché noi con il nostro comportamento siamo un esempio positivo o negativo e la classe ci segue subito in questo. Personalmente non ho mai avuto cattive esperienze con i genitori dei miei alunni. E dire che in tanti anni di insegnamento mi è purtroppo capitato di doverne bocciore, ma questo non mi ha impedito di sorridere loro incontrandoli nè mai i genitori mi hanno tolto la loro stima e la loro simpatia. Secondo me, il segreto è uno e anche molto semplice. Insegnanti, genitori e alunni dobbiamo aver chiaro che la scuola è un ente pubblico con delle regole, che vanno rispettate da noi tutti e che gli alunni non sono numeri, ma persone con il loro temperamento, i loro problemi e le loro fragilità esattamente come noi. La classe non è la stanza delle punizioni, ma la stanza in cui si trascorre gran parte della giornata in ordine e serenità, mantenendo ognuno il suo posto in cui l’alunno è l’alunno e l’insegnante è l’insegnante, senza nessuna possibilità di scambio di ruoli. Allo stesso modo il genitore resta genitore, quindi ha un altro ruolo che non è quello dell’insegnante. Deve informarsi del figlio, spesso e non solo all’incontro insegnanti- famiglie, capirne le carenze e farlo studiare seriamente senza ricorrere a punizioni, che non servono a niente. Cordialmente Maria Rita Pennisi

  20. ah, massimo, questo post capita proprio in un momentaccio… spero e confido in qualcuno di voi (maria rita, maria lucia, e chiunque passi da qui) per farmi tornare la voglia di insegnare…

  21. Scusa, Maria Rita ( permettimi il tu, siamo colleghe), ma a sentirti parlare mi pare che veniamo da due mondi diversi…

  22. Cara Giorgia,
    vorrei che tu mi chiarissi meglio la tua frase: “Mi pare che veniamo da due mondi diversi”. In quanto alla tua affermazione sul fatto che ti sia passata la voglia di insegnare e cerchi chi te la faccia tornare, penso che tu ti sia risposta da sola. Quando passa la voglia di qualcosa non cerchiamo nessuno che ce la faccia tornare, perché è passata e basta. Se tu hai scritto quella frase vuol dire che la voglia e la forza ce l’hai dentro meglio di prima, solo che ti fa rabbia vedere che le cose non sono come tu vorresti. Su questo punto hai proprio ragione, siamo tutti arrabbiati.
    Cordiali saluti Maria Rita

  23. Cara Marianna,
    tuo figlio è fortunato ad avere una madre come te che si preoccupa del suo andamento scolastico – si dice così? – e del suo “stare a scuola”.
    Ti poni le domande giuste: Come vive mio figlio queste ore? Con chi? A quale scopo? Con quale profitto per la sua crescita culturale e la sua maturazione di ragazzo?
    Credo che tu debba semplicemente esporre agli insegnanti di tuo figlio le tue giuste preoccupazioni, vigilando ma senza ansie eccessive: spesso gli adolescenti tendono a tagliare fuori i genitori da compagnie ed esperienze che li riguardano troppo da vicino per evitare eccessive “intrusioni”, anche se in fondo desiderano profondamente il loro interessamento. L’equilibrio è difficile, ma devi tentare…
    Un insegnante apprezza moltissimo il coinvolgimento dei genitori dei ragazzi nel dialogo educativo: vai serena, chiedi, fatti mostrare le verifiche scritte, i voti delle verifiche orali, domanda in cosa puoi aiutare tuo figlio e il loro lavoro… e facci sapere come va!
    MLR

  24. Amy, hai perfettamente ragione.
    Vorrei che la scuola fosse davvero un luogo magico in cui dall’eteronomia si passa all’autonomia, in cui saper fare e saper essere vanno di pari passo, un’isola felice contro i ritmi indiavolati della società di oggi, in cui i deboli e i più lenti vengono calpestati senza pietà.
    Purtroppo la scuola come sistema complesso richiede, per un suo “funzionamento” ottimale, l’impegno di dirigenti, insegnanti, personale ATA – assistenti tecnici amministrativi – , alunni. La società deve pensare che la scuola sia importante, non un posteggio, un luogo per intelligenze a perdere, un diplomificio. Le istituzioni devono esserne convinte.
    Le mie perplessità sono le tue, sono le vostre.

  25. Carissime Maria Rita e Mari,
    mi augurerei sempre per il mio bambino due insegnanti come voi, che credono alla sfida, al garbo, ai ruoli. Che amano e sanno sorridere, che danno ali per volare. E mi augurerei anche un’insegnante come Giorgia, addolorata per ciò che non è. Sofferente e desiderosa di avere voglia.
    Questi sono i talenti che vorrei sempre trovare negli educatori di mio figlio.
    Senso. Scopo. Desiderio.
    E anche dolore.
    La scuola che ho frequentato io posso metterla a paragone – per il momento – solo con le scuole elementari (mio figlio frequenta la quinta). Non conosco le attuali realtà dei licei e delle scuole medie se non dai racconti delle amiche (insegnanti e mamme) e da qualche causa in tribunale (ahimè).
    Ma devo dire che l’esperienza del mio bambino è meravigliosa e molto più fantasiosa della mia. Come genitore l’ho seguito fin dall’asilo in veste di rappresentante di classe e conosco bene, quindi, i lunghi pomeriggi delle riunioni, delle interclassi e dei progetti… attraverso essi mi sono imbattuta in maestre innovative, stimolanti, creative. Mio figlio ha seguito corsi di lettura con scrittori, corsi di archeologia marina e rupestre(quest’anno ripercorrerà le tappe dei navigatori greci), di teatro, di interculra. Ha molti compagnetti extracomunitari (polacchi, cinesi, indiani…) e ha approfondito e coltivato come sentimento naturale l’accettazione della diversità. Ha in classe anche bimbi down e bisognosi di sostegno, ma ha imparato con l’esperienza il valore della solidarietà.
    Tutto questo non è andato a scapito del rigore…i bambini hanno amor proprio, tengono al risultato. La classe di Nanni non ha crepe, quasi tutti i componenti vanno bene. E’ una ciurma, più che una classe…si tiene stretta nella tempesta. L’anno scorso, a fine anno, ha calcato il palco con “I civitoti in pretura” di Martoglio.
    La cosa che mi ha commossa fino alle lacrime (e infatti ne ho versate a fiumi) è stata che tutti avevano una parte. Nessuno è stato escluso. Neanche chi aveva enormi difficoltà a deambulare o a parlare.
    Ecco…credo che la metafora della scuola stia in quella capacità di adattamento e in quella fantasia. Che ha consentito a un piccolo cinese di fare il cancelliere (mangiandosi tutte le parole) e a un bambino senza parenti ( e affidato a un istituto per le ore extrascolastiche) di recitare brillantemente come carabiniere.
    Lo vedevo, ritto nell’uniforme di ordinanza. Felice che proprio quella parte spettasse a lui.
    Tra il pubblico i suoi genitori non c’erano. Ma c’eravamo noi, c’erano le maestre, le adorate bidelle e i compagni.
    Mi ha detto – abbracciandomi forte – che per lui, quel giorno, era Natale.

  26. Proprio adesso ho sentito la mia “collega di rubrica”, la cara Maria Rita Pennisi. Per me è un piacere e un onore condividere questo spazio con lei e poter dialogare di scuola con tutti voi. Ringrazio chi è intervenuto finora e chi si connetterà per parlare insieme a noi di libri e scuola…

  27. Il tuo poetico intervento – Simo, ti riconoscerei anche senza firma… – mi ha commossa.
    Mi ricorda i miei sei anni di insegnamento alle elementari. Pensate: io appena laureata, da Leopardi Cesareo Carducci passo a due prime elementari. Quanta fatica, quanto studio, quanto scoraggiamento a volte. Perché insegnare, educare, connettere energie capacità sensibilità diverse è difficile. Ho impiegato tutte le mie energie, i miei talenti – ah le recite scolastiche, i saggi musicali! – e quanto lavoro di squadra con i colleghi di modulo… prove, costumi, canti, balli, poi il miracolo della rappresentazione, l’orgoglio dei bambini nel vedersi applaudire, nel sentire il BRAVO dei genitori..

  28. Alberto, grazie del tuo intervento.
    Come scrivevo ad Amy, la scuola dovrebbe essere il luogo in cui da esseri eterodiretti – cui le norme vengono dagli altri – ad esseri autonomi. Il metodo di studio all’inizio ci viene imposto, ma poi dovremmo essere capaci di andare avanti con le nostre forze. Soprattutto la scuola dovrebbe formare delle coscienze critiche, aperte, libere dai condizionamenti più che essere un nozionificio…

  29. Giò,
    ho letto CUORE nei miei anni universitari, quindi credo sia ora di rileggerlo. Prima ancora avevo visto un bellissimo cartone animato, uno di quelli di una volta, in cui non si gridava per mezz’ora né si ammazzava a destra e manca, ritmi pazzeschi, trama zero, psicologia sotto zero. All’epoca devo dire che mi piacque. Quanto ci ho pianto, sulle pagine di CUORE. Certo la retorica c’era, il sentimentalismo pure, l’Italia di Garrone e compagni era un’Utopia squadernata, l’italiano una lingua gentile che faceva supporre una nazione unificata davvero e non ancora sulla carta.
    Però.
    Da quando siamo così cinici? I buoni sentimenti – aiutare il compagno più debole, autoaccusarsi per coprire la classe, provare rimorso per una cattiva azione e sforzarsi di riparare… – , si dirà, sono fuori moda. Ma farebbero bene alle nuove generazioni del fotticompagno più becero, arrivista e nichilista – e mi si perdoni l’espressione.
    Ne riparleremo. Grazie, Giò, delle tue citazioni.

  30. Carissima Simona, che bello leggere le tue parole sensibili! Ti ringrazio per l’intervento che fai da mamma, perché noi non vogliamo che questa rubrica sia un luogo di incontro per soli insegnanti, ma vogliamo che intervengano anche genitori, alunni e chiunque abbia voglia di dire la sua. Parlando dell’esperienza di tuo figlio sottolinei la presenza di scolari cinesi, polacchi, indiani e anche di bimbi diversamente abili, nella scuola che lui frequenta e di come la scuola riesca ad accogliere tutti e il teatro scolastico sia il collante tra loro e trovi nella coesione e non nell’esclusione il suo motivo di esistere e di affermarsi sempre di più. Questo è bellissimo. Ricordo che quando i miei bambini facevano teatro ero come te, invece di godermela piangevo a fontana, ma ritornavo a casa felice di aver visto in loro la gioia di recitare e di sentirsi importanti e applauditi.
    Un abbraccio anche a Nanni Maria Rita

  31. Gaetano Failla: grazie della tua citazione deamicisiana…
    Sì, Eco scrisse un ELOGIO DI FRANTI proprio perché – siamo nel 1888 – il libro di De Amicis risente di un certo moralismo e di un classismo strisciante. Ma mi sento di sottoscrivere le parole del maestro Perboni. Oggi, chi insulta gli extracomunitari, gli zingari, chi prova rigurgiti neofascisti e neonazisti, con quale coraggio può alzare gli occhi al tricolore? Vero è che la nostra bandiera è insanguinata, che il nostro Risorgimento non è privo di ombre, ma mi riconosco come docente e come persona in quelle parole, come pure nella Costituzione che è un limpido inno all’uguaglianza dei cittadini, alla possibilità che un giorno si possano rimuovere gli ostacoli economici, sociali e quant’altro che la impediscono.

  32. Franca Maria, non ti sei dilungata, anzi! Grazie di averci regalato una parte dei tuoi ricordi scolastici…
    Quanta strada ha fatto la scuola, che purtroppo risente dello spirito di un’epoca e non può essere un’isola felice se attorno il mare è inquinato…
    Ho visto domenica sera BA’ARIA di Tornatore: un capolavoro, una festa per gli occhi e lo spirito. Anche lì, ricordi di scuola, quando la bacchetta era una realtà, si discriminavano poveri e ricchi… e il diverso era il Franti della situazione.

  33. Cara Maria Lucia, anche per me è un piacere e un onore lavorare con te e tu lo sai, ma è anche una gioia perché tu sei una ragazza solare e porti allegria e luce ovunque sei. Mai nome fu più azzeccato.
    Un abbraccio Maria Rita

  34. Cara Giorgia,
    se può consolarti, quando insegnavo alle elementari e facevo dalle 8 alle 14 – ripeto, sei ore per bambini di sei anni. Un minuto di silenzio per la pedagogia, la didattica… – una volta in macchina tiravo fuori la carta d’identità per sapere come mi chiamassi…
    La scuola a volte fa da parcheggio, spesso i genitori ti mollano i figli e non vogliono saperne di partecipazione, collaborazione… i colleghi spesso non ti aiutano e chiedere aiuto sembra una forma di debolezza, allora si tira avanti alla meno peggio, la colpa è sempre tua, certi genitori sono avvocati dei figli, non parliamo dei dirigenti.
    Giornata no, vero? Spesso mi sono pentita di aver scelto – scelto? – questo lavoro. Ma poi miracolosamente l’entusiasmo torna. Quando negli occhi di un ragazzo si accende una lampadina e forse sono stata io ad accenderla, quando i miei alunni mi salutano sorridendo, quando anche a distanza di tempo mi scrivono su Facebook…
    Certo che è facile sentirsi stanchi, inadeguati, a volte impotenti e inutili. Lo scrivo anche perché molta gente ci ritiene dei privilegiati – quante vacanze! Fate un part time, e vi lamentate pure!

  35. Giorgia, mi dispiace che tu stia attraversando un periodo duro.
    Ma non sei sola. Fino a stamattina mi sono arrabbiata perché non posso avere un’ora buca, uscire prima o entrare dopo senza che il vicepreside mi appioppi qualche supplenza, litigherò sicuramente domani per il posteggio – ci sono guerre tra poveri anche a scuola, tra noi colleghi, quando potremmo essere una forza e cambiare volto a istituti e politiche scolastiche, invece ci perdiamo per i posti macchina, per PIN PAN PON, PIF PAF POF…
    Non voglio consolarti né darti una magica ricetta che ti faccia tornare la voglia d’insegnare. Come il coraggio di don Abbondio, uno o ce l’ha o non ce l’ha. Ma cerca di riempirti di cose belle, perché quando siamo stanche e svuotate non possiamo donare niente. Purtroppo i lavori come il nostro, a contatto con il “pubblico”, l’utenza come si usa dire oggi – che orrore questo scolastichese – , sono soggetti alla sindrome del burn out… Vi si sente appunto bruciati, svuotati, stanchi, demotivati. Infelici di fare un lavoro che forse si era scelto con amore, con passione.
    Ne sanno qualcosa ad esempio gli infermieri, ma secondo studi recenti proprio gli insegnanti sono a rischio burn out e depressione. Sapevate che tanti docenti sono in terapia anche farmacologica? Lo Stato – e questa è una delle sue innumerevoli trascuratezze e mancanze, colpevoli, e non mi perito di scriverlo – dovrebbe pensare che manda in trincea quotidianamente, spesso in scuole situate in realtà difficili, persone magari preparate professionalmente, ma che necessiterebbero anche di supporti psicologici.
    Per ora io sono abbastanza pimpante. Ne riparliamo a marzo…

  36. @ Caro Massimo, ecco i due primi motti che sono riuscita a scovare:-
    ” Sulla terra non c’è niente di più orribile di una scuola. In un certo senso
    è persino più crudele di una prigione. In prigione, per esempio, non ti obbligano a leggere i libri scritti dai guardiani e dal direttore. ” George
    Bernard Shaw
    ” Quando gli dei odiano un uomo in modo particolare, lo spingono a diventare un insegnante…”. Seneca
    Un saluto dalla somarella che alle medie prendeva zero meno in matematica!
    Tessy

  37. Cara Tessy,
    quando ero piccola sognavo di avere un precettore, sai? L’idea di andare a scuola non mi garbava per niente, e dire che la mia carriera scolastica è stata buona! Colpa del sonno?
    Le tue citazioni mi hanno fatta molto pensare.
    La scuola come la intendiamo oggi è frutto di una certa mentalità piuttosto ottocentesca: scuola collegio cimitero manicomio prigione sono figli di una società che tende a confinare, isolare reprimere.
    La letteratura è piena di scuole-carcere, che opprimono fisicamente e impediscono lo sprigionarsi dellle facoltà dei discenti. Ne riparleremo perché alcuni dei miei libri del cuore hanno come tema proprio la scuola…
    Essere insegnanti è una maledizione e una benedizione insieme: occorre farsi ponte, non essere protagonisti ma registi, spesso farsi da parte, patire per la passione di trasmettere il sapere. Non è una strada facile.

  38. @Maria Lucia.
    Mi piacerebbe averti come insegnante, se non altro per poterti mettere le puntine da disegno sopra la sedia.

  39. @maria rita
    intendevo che quando ti sento parlare di rispetto delle regole, di “trascorrere la giornata in ordine e serenità”, di collaborazione con i genitori, allora mi sembra che tu parli di un altro mondo, che non è la scuola che conosco io.

    @simona
    anche la mia esperienza delle elementari delle mie figlie è bellissima. niente a che vedere con quella da me frequentata, pure bella, ma sicuramente meno stimolante. Il problema è quello che accade dopo. Ad un certo punto, non so dire quando, il meccanismo si inceppa. Io li vedo dopo, quel bambino cinese, o albanese, o rumeno, e quel bambino affidato all’istituto o ai servizi sociali. E ti assicuro che mi viene da piangere.

  40. @ maria lucia
    vedi, io non sono depressa per me, quella è stanchezza, e passa. E’ per loro che sono triste, perchè li vedi che sono già sconfitti a 15 anni. Sono abituati al vuoto, e non vogliono che qualcuno li scuota. Qualcuno gli fa credere, gli ha fatto credere che è meglio, meglio non sognare, non avere ambizioni, non credere in niente, perchè tanto la vita ti riserva solo il niente. Quello credo che sia l’inizio di tutto il disastro, perchè nessuno di loro crede che la scuola possa servire a qualcosa, nessuno pensa di potere avere un futuro che cominci dalla scuola, perchè non pensano proprio di avercelo, un futuro. Nella migliore delle ipotesi, la scuola serve per passare il tempo.
    ma la colpa non è loro, la colpa è di chi glielo fa credere, di chi gli fa credere che se non hai quello che il mercato propone sei uno sfigato, e rimarrai sfigato a vita, e che non hai nessuna speranza.
    Non c’è nessuna fiducia di potere andare avanti e migliorare la propria condizione, situazione, figuriamoci poi l’istruzione…
    La mia paura è che di questo passo finiremo per creare di nuovo una società articolata su classi chiuse, caste, dove i confini nascono nella testa di ognuno, nascono da dentro, non da fuori.

  41. Un benvenuto di cuore a un nuovo spazio dedicato alla scuola, e un grande in bocca al lupo alle due conduttrici! E grazie! Grazie anche a Massimo per questa idea, nonché per la citazione della rubrica vivalascuola che io curo su lapoesiaelospirito.

    Grazie poi a Simona per la sua testimonianza. “… l’esperienza del mio bambino è meravigliosa e molto più fantasiosa della mia” lei dice. “Come genitore… mi sono imbattuta in maestre innovative, stimolanti, creative… Tutto questo non è andato a scapito del rigore…”.

    Stiamo parlando infatti della scuola elementare italiana, quella che si situa ai primi posti al mondo, e che purtroppo in questi anni sta subendo da parte dal governo in carica grossi tagli motivati solo dall’economia che renderanno impossibili molte attività.

    Una scuola molto creativa, certamente diversa da quella di De Amicis, in cui si stava seduti classe in “cinquantaquattro”, domati da un “silenzio” del maestro.

    Mi piace questa testimonianza anche perché dà un quadro della scuola da parte di chi la vive, come genitore in questo caso.

    Vivalascuola un anno fa era nata proprio per informare sulla scuola, per fare sentire la voce di chi in essa ci vive quotidianamente. Condivido pertanto l’intenzione di Maria Lucia Riccioli di dare la voce attraverso questo spazio a “insegnanti, personale ATA, dirigenti, genitori… studenti”.

    Una cosa che ho constatato curando per un anno vivalascuola è stato come soprattutto in questi tempi l’informazione sulla scuola sia apprezzata, cercata: non è un caso che tra le puntate di vivalascuola che risultano più lette ci sono proprio quelle che danno più informazioni, ad esempio, tra le ultime, questa:

    http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2009/09/14/vivalascuola-18/

    Della scuola infatti, come del calcio, in Italia parlano tutti, tanto che può essere ministro della Pubblica Istruzione anche chi, in un eventuale concorso a titoli, risulterebbe non avere nessun titolo per farlo. Ma della scuola si sa poco, a volte si pubblicano notizie inesatte, quando non addirittura false, si fanno dichiarazioni scorrette che passano per verità solo per il nome di chi le dice e per il medium che le trasmette.

    Se della scuola parlano tutti, è perché tutti ne avvertono la centralità, avvertono, come accenna Maria Rita Pennisi, che è comunque un antidoto all’ignoranza e ai disvalori.

    E allora, ancora grazie e buon lavoro, informare correttamente è un’opera preziosa.

    Giorgio

  42. @ Maria Lucia
    Il brano da me citato, tratto da “Cuore”, dal titolo “Il ragazzo calabrese”, mi era capitato sotto gli occhi qualche anno fa, e lo trovai sorprendente – a prescindere dal giudizio critico complessivo relativo al libro – soprattutto alla luce della nuova “accoglienza” in stile leghista riservata oggi ai “ragazzi calabresi” (nel senso dei nuovi stranieri subalterni). Questo capitolo andrebbe letto in particolar modo nelle scuole del Nord, insieme a qualche brano della Costituzione Italiana – dopo, naturalmente, aver studiato e celebrato la mitologia delle sorgenti del Po, del polpo bollito e dello spritz…
    Il brano di Eco citato (“Elogio di Franti”, presente in “Diario minimo”), richiederebbe tutto un altro discorso, ma non mi sembra questa la sede.

  43. Cari amici, una buona serata a tutti.
    Non ho fatto in tempo a leggere tutti i vostri commenti (ma lo farò, con calma, domani).
    Intanto ringrazio moltissimo le due curatrici: Maria Lucia e Maria Rita per i loro articoli e per i loro interventi.

  44. Come ho già detto (lo ribadisco) l’idea è quella di fare di questo spazio un “luogo d’incontro” (sotto forma di forum permanente) tra tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con la scuola (in fondo tutti… o quasi tutti).

  45. @ Giorgio Morale
    Caro Giorgio, ho visto che hai accolto il mio invito a parlare della tua rubrica “Viva la scuola” (su “La poesia e lo spirito”). Ti ringrazio. Sarebbe davvero bello creare una forma di integrazione fra questi due spazi (come vasi comunicanti):
    L’articolo più recente pubblicato in “Viva la scuola” ha un titolo forte: Chi fa politica lasci la scuola:
    http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2009/09/28/vivalascuola-20/
    Vi invito a dare un’occhiata.

  46. oh questo non dovevi farmelo, un post permanente sulla scuolaaaaaaa? finirò qui in continuazione! Io la scuola la odiavo e per la famosa Legge son finita professoressa! Ma sto dietro la cattedra (banco, da me rifoderato di blu) con lo spirito dell’allieva…e imparo un sacco di cose! Adoro insegnare! (il violino) e vi racconto subito un ‘nanetto’ di oggi pomeriggio
    io: Allora, cara, fletti e allunga le dita

    io: Fletti le dita e poi allungale

    io: Cos’è che non capisci? Devi flettere e poi allungare

    ‘lampo di genio’, io: Ma sai cosa vuol dire flettere?
    allieva: No
    io: Ah, scusami, è colpa mia, devi dirmi se non capisci le parole, va bene?
    sorriso.

  47. Mi sembra una gran bella iniziativa. La frase più bella, visto che insegno in carcere, non può che essere, per me, la prima.

  48. Che idea meravigliosa. I miei complimenti a Massimo e alle due insegnanti-scrittrici. Anch’io sono un’insegnante di lettere e una scrittrice, sono catanese ma vivo a Padova. Da questa città godo di un osservatorio privilegiato su modi e mode del nord est nostrano. Innanzitutto, l’istruzione “su al nord” sembra essere per molte, troppe famiglie un fattore marginale. Sì i bimbi, i ragazzi vanno a scuola, ma non bisogna preoccuparsi troppo se non hanno studiato nè capito la prima e la seconda guerra mondiale, Montale e Ungaretti. Appena usciranno con un diploma in mano, c’è la pasticceria di papà che li aspetta, oppure l’autofficina o il ristorante con residence annesso. Se poi si laureano, è perché papà (o mamma) hanno lo studio da notaio, avvocato, pediatra, psicologo, psichiatra e chi più ne ha più ne metta.
    Con questo non intendo generalizzare, molti ce la fanno da soli, per molti l’istuzione è ancora fra i primi valori. Però succede anche quello che ho enunciato prima, e non raramente… provate a smentirmi.

    Simona C.

  49. Prima di tutto mi congratulo con coloro che hanno avuto l’idea per creare questo importante spazio e saluto con affetto gli amici di Letteratitudine (vecchi e nuovi).

    “Chi apre la porta di scuola, chiude una prigione”, questa frase di Hugo credo contenga tutto il significato dell’essenza della scuola; e non parlo solo di un discorso di alfabetizzazione. E’ vero che l’ignoranza (nel senso di analfabetismo) è uno dei motivi per cui molti giovani scelgono strade sbagliate, ma per dissoluzione di ignoranza (che appunto è operata dalla scuola) bisogna intendere anche la non acquisizione dei valori dell’esistenza umana.
    Certo è più facile per un insegnante di materie umanistiche entrare nell”intimità’ spirituale dell’alunno, portarlo ad una dimensione esistenziale nello studio di un autore, ma credo che ogni componente della scuola debba avere di mira l’evoluzione del pensiero dell’individuo.
    Soprattutto è vitale negli anni dell’adolescenza, nei quali i ragazzi (lo sappiamo per primi noi) cercano un ruolo nel mondo, un’identità. La scuola dovrebbe aiutarli in questo, ma sono un po’ scettica in questi ultimi anni: la vocazione all’insegnamento non è più un parametro selettivo e gli ostacoli all’acquisizione dei veri valori sono sempre più minacciosi, fortificati dalla mole di pressioni e condizionamenti vani e vuoti che provengono da varie sfere della società di oggi.
    Ha un duro lavoro oggi la Scuola, ma confido in coloro che amano la loro missione e confido nell’innocenza dell’individuo, l’educazione alla vita sociale è qualcosa che tutti possono acquisire.

  50. A proposito del precetto di insegnare senza fare politica ( e qui rivolgo un caro saluto a Giorgio Morale) io penso che i ragazzi non debbano essere strumentalizzati ma anche che nella lealtà e tra i compiti di un insegnante ci sia anche quello di mostrare la propria coscienza. L’insegnante di Religione lo fa (ho avuto esempi lampanti di colleghi), perché non dovrebbero farlo gli altri insegnanti?

    Come si fa a spiegare Ungaretti o Montale senza esprimere la propria abnegazione nei confronti dell’interventismo italiano? Se si è contro la guerra si è anche contro quella fazione politico-sociale.

    Io, nelle mie ancora acerbe esperienze, (sia all’università che alle scuole medie) ho sempre incoraggiato i ragazzi ad esprimere le loro idee ed eventuali dissensi (con educazione e cognizione di causa).

    Forse il problema permane quando bisogna consigliare se lasciare i banchi una mattina per andare a contestare per una causa importante o meno… Lì, ammetto che posso essere sicura riguardo me, credo che bisogna lasciarli liberi di decidere, sempre.

    Qualche anno fa, per i soliti motivi di supplenze brevi, continue, e infelici (soprattutto per i ragazzi: loro vorrebbero la stabilità) dovetti lasciare l’incarico 10 giorni prima che finisse l’anno accademico (giuro!!).

    Venni a sapere che i ragazzi prepararono striscioni appesi dentro e fuori la classe contestando il cambiamento dell’insegnante (non era rientrata la titolare, avevano fatto entrare una collega totalmente nuova che avrebbe dovuto decidere di loro in 10 giorni). Hanno contestato per circa 2 giorni, hanno avuto qualche nota credo ma avevano capito che quello era un sistema scuola che nuoceva loro.
    Oggi sarà ancora peggio…

  51. Cara Giorgia,
    lo so. Anche io mi sono chiesta del dopo. E me lo chiedo pressantemente oggi che l’esperienza delle scuole elementari volge al termine per il mio bimbo e per tutti i suoi compagni.
    Credo però che si debba coltivare la speranza. Sempre. A ogni costo. In ogni condizione. E che credere ai sogni trasmetta sogni, anche se si è molto stanchi e provati.
    Ti segnalo, se non lo conosci già, un film bellissimo, tratto da un’esperienza realmente accaduta.
    http://it.wikipedia.org/wiki/Freedom_Writers
    Già il titolo è evocativo : freedom writers. Narra la vicenda di un’insegnante californiana capitata in una scuola degradata e caratterizzata da fortissimi conflitti razziali. Un’insegnate coraggiosissima, che salva i ragazzi dal peggior nemico: l’addormentamento della coscienza. L’indifferenza. L’assuefazione.
    E lo fa con un libro.
    Si tratta del “diario di Anna Frank”. Questa insegnante, proponendo la storia della bambina morta nel campo di concentramento, offrendo in lettura le sue parole che si levano sulla morte, sulla fine, sull’orrore, ha provocato, stimolato, fatto sognare. I suoi ragazzi si sono salvati da un destino che la vita aveva già dettato (la delinquenza, la violenza, la droga) e che persino loro davano per avvenuto. Per scontato.
    Una trasformazione (una resurrezione) per la quale questa professoressa è andata contro tutti, subendo persino l’isolamento in famiglia e presso i colleghi.
    Non è solo un film. E’ una storia vera. E’ una storia di fiducia.

  52. si, Simona, il film lo conosco, anche se non l’ho visto.
    Ti potrei dire che i miracoli accadono, a volte. Ti potrei dire che quella è l’America, qui siamo in Italia. Ma sono dettagli. Ti potrei raccontare molte storie, che si sono raccontate sotto i miei occhi, alcune con un lieto fine, altre con una fine pessima, altre ancora che sono ancora in attesa di vederla, la fine.
    So che può accadere, però per uno che riesci a svegliare, altri cento continuano a dormire. Perchè è sempre più difficile, in classi che sono sempre più numerose, in aule e scuole sempre più sporche, degradate, l’ambiente ideale per l’addormentamento delle coscienze, perchè è molto più facile lasciare correre e lasciarsi andare.
    Perchè è questo che vogliono, quelli che fanno la scuola (dall’alto): ridurre sempre di più il rischio che qualcuno si svegli.

  53. ciao Ricciolonaaaaaa!!!!!
    Scusate ma voglio strapparvi un sorriso. Se penso allo scolaro di oggi mi viene in mente una figura esile che esce da casa non più con la cartella o lo zaino, ma bensì con il troller, la valigia con le ruote per intenderci. La trasporta con fatica a causa del fatto che dentro i genitori ci hanno messo la carta igienica, i registri per i professori, i grembiuli per i bidelli, i gessetti per la lavagna, i libri, i quaderni, i vocabolari, pila elettrica nel caso il preside non avesse pagato l’enel e la coperta termoelettrica nel caso in cui non ci fosse il gasolio per avere le aule riscaldate, la banana e la merendina sono rimaste sempre la stesse, quelle del cestino leggero che si portava molti anni fa…
    Amici sono rimasta terrorizzata quando ho letto che da Treviso a Palermo, da Torino a Bari, mancano i beni primari per “fare la scuola”, voglio dire l’istruzione (come viene pubblicizzato) è il cibo della mente, i genitori non possono arrivare al punto di avere un diritto primario solo con scuole private e parificate. ciao ricciolonaaaaaa

  54. Cara Sabina, un caro saluto anche da parte mia. Volevo dirti che gli esempi che fai mi sembrano calzanti. Da un certo punto di vista fai politica se spieghi Montale, come pure se dici che una classe di 40 studenti è inammissibile (eppure ce ne sono tante, quest’anno), che togliere ore di laboratorio snatura l’Istituto Tecnico, che è un grave danno smantellare le scuole serali, che il maestro unico imporrà una didattica diversa, ecc… oppure si può anche dire che affermando queste cose non fai politica, semplicemente dici le cose come stanno… il problema è che si tenta di abolire questa possibilità cambiando nome alle cose: una tecnica già vista: cambi il nome e cambi la realtà. Anche questa tecnica ha un nome, un giudizio, precedenti storici.

  55. Le citazioni, fra quelle proposte, che mi colpisce maggiormente è la prima, quella di Victor Hugo. Perchè penso che la cultura, quella trasmessa fra i banchi di scuola, ti dona la vera libertà.

  56. Innanzitutto vorrei fare i miei migliori auguri per questa rubrica alle due mie carissime amiche Maria Lucia e Maria Rita.
    Le conosco e le apprezzo come scrittrici e sono sicura che anche come insegnanti siano fantastiche e stimolanti.
    Ringrazio anche Massimo per avere dato spazio sul suo blog a un argomento importante e che ci tocca tutti così da vicino.
    Io sono interessata in maniera particolare nella triplice veste di insegnante (insegno infatti matematica e scienze in una scuola media), di genitore (sono mamma di una ragazza che frequenta il quinto anno di liceo scientifico e di un bambino che è in seconda media) e di ex alunna (come tutti).
    Oggi vorrei soffermarmi su questo ultimo punto. Mi si chiede: “Ti ricordi il primo giorno di scuola”?
    Si che me lo ricordo. Ricordo il mio primo maestro e il mio primo giorno di scuola, ma le due cose non coincidono.
    Il mio primo maestro è stato Alberto Manzi. Ve lo ricordate? Chi ha la mia età lo ricorda sicuramente. Teneva una trasmissione di alfabetizzazione per adulti alla televisione.
    Il palinsesto tv allora non era così ricco come adesso e per noi piccoli telespettatori c’erano veramente poche occasioni di svago televisivo. La tv dei ragazzi durava pochissimo e quando trasmettevano un cartone animato era veramente una festa. Io passavo i miei pomeriggi da sola. Mia mamma era maestra fuori sede. Non erano i tempi in cui tutti possedessero un’automobile, così mia madre partiva la mattina con l’autobus e tornava a pomeriggio inoltrato. Nonostante avessi compiuto da poco i quattro anni venivo lasciata da sola per necessità, una vicina di casa mi faceva pranzare e poi mi lasciava a casa sapendo che ero una bimba buona e tranquilla. Aspettavo il ritorno di mamma con la tv accesa. Alberto Manzi sapeva disegnare molto bene faceva degli schizzi con il gesso. Gesso bianco su lavagna nera e gesso nero su lavagna bianca. Io ero attirata da quei disegni e stavo imbambolata e affascinata davanti alla tv. Morale della favola: ho imparato a leggere prima di frequentare la prima elementare, cosa che adesso è usuale ma che allora non era la norma. Mia mamma non ne sapeva nulla e vi lascio immaginare lo stupore quando una sera comincio a leggere a voce alta un libro di fiabe.
    Passa qualche mese, non avevo ancora compiuto i cinque anni e mia madre, che non era per nulla d’accordo a precorrere i tempi si arrende però all’evidenza del fatto che ero pronta per frequentare la prima elementare.
    Nonostante la mia età mi iscrive ad una scuola pubblica e mi affida a una maestra molto anziana di cui ricordo ma non faccio il nome. Era stata la sua maestra. Comincio con lei, ma purtroppo era il tempo in cui le classi non venivano formate secondo criteri oggettivi e con quella maestra che era quasi sull’orlo della pensione non voleva andarci nessuno.
    Eravamo in sette e dopo pochissime settimane fummo riassorbiti in altre classi. Non so che fine fece la mia maestra, ero troppo piccola, ma so che venni messa in un’altra classe affidata a un’insegnante più giovane della quale stavolta voglio dirvi il cognome perchè sembra un cognome da libro cuore: la maestra Sorriso.
    Cosa mi è rimasto dell’ex maestra quasi in pensione? Mi è rimasto un ricordo dolcissimo. Era il giorno del mio compleanno (il 20 di ottobre) e lei decide di farmi un regalo raccontandomi la “leggenda del crisantemo”.
    Si trattava di una bambina che pregava perchè la sua mamma era tanto malata. Era una bambina giapponese e non so esattamente chi pregasse ma ricordo che davanti a se aveva un fiore. Finita la preghiera le arrivò una voce che le diceva che la sua mamma sarebbe vissuta tanti giorni per quanti erano i petali del fiore che aveva davanti.
    Durante la notte la bambina tornò a pregare e nel frattempo tagliò i grandi petali di quel fiore in modo da ricavarne parecchi più piccoli ma più numerosi in modo che la sua mamma vivesse più a lungo. Così nacque il crisantemo. Così nacque il mio amore per quella maestra che non rividi più.
    Mi sono lasciata andare al fiume di ricordi e con essi vi ho allagato di parole. Scusate e un caro saluto per tutti

  57. maria lucia e maria rita,grazie per le belle risposte. vi leggo con trasporto. è uno spazio importante, questo. grazie anche a te, massimo.

  58. che bello, il tuo intervento mavie. e anche quello di simona e di tutti gli altri : ottimisti e pessimisti. vi leggo affascinata.

  59. Giorgia, grazie perché posti su questo spazio le tue paure, il tuo senso di stanchezza e impotenza.
    Giorgio, sai che proprio oggi mi sono collegata alla tua rubrica?
    Francesca Giulia, un caro saluto e scrivi quando vuoi…
    Marianna, il tuo trasporto è l’augurio più bello che tu ci possa fare per questa rubrica e per il nostro lavoro…
    Mavie, mi hai fatta piangere… perché la leggenda del crisantemo è una delle storie che mi hanno regalato le mie maestre delle elementari, Lucia Golino, Gianna Fuggetta, la maestra Inserra…
    Ciao Rossella, mi hai fatta ridere! Per non piangere…
    Miss Iuris: anch’io come

  60. Cara Sabina, grazie del tuo intervento. POLITICA è una parola abusata. Si crede, ci hanno fatto credere, che la politica riguardi qualcuno e non tutti, che aprire gli occhi e farli aprire agli altri sia fare politica e non lavorare.
    Concordo perfettamente con te.
    Simona Castiglione, piacere di conoscerti… alcuni tra i miei amici lavorano al nord e mi confermano quello che mi dici. Tu pensa che io ho superato i concorsi a cattedre per le medie e le superiori in Veneto e molti dei ragazzi VINCITORI hanno rinunciato ad uno stipendio statale per altri lavori certo più remunerativi…

  61. Cara Mavie,
    intanto grazie per le belle parole nei miei confronti. Quello che hai scritto ha una grazia particolare, sembra che tu abbia usato la delicatezza del fiore, per scrivere del sentimento profondo dell’amore. Il crisantemo accompagna la morte, ma il lilium è il fiore dell’amicizia ed è proprio questo fiore che il ti invio con tanta simpatia.
    Ciao Maria Rita Pennisi

  62. Maria Franco: la scuola dovrebbe liberarci da tutte le prigioni – mentali, spirituali, fisiche – … ma a volte è essa stessa prigioniera – della burocrazia, dell’indifferenza, degli attacchi spesso immotivati o poco informati…
    Cinzia, grazie del tuo aneddoto. Sai cosa ho ricordato grazie a te? Una fiction su Don Milani. Sergio Castellitto, bravissimo, insegna ai ragazzi della scuola di Barbiana che ogni parola che non si conosce oggi sarà un calcio nel sedere domani… Nel mio piccolo, esorto sempre i miei alunni a cercare le parole che non conoscono sul dizionario o su Internet. Tullio De Mauro, Devoto e Oli, Mariotti e Castiglioni, Nicola Zingarelli devono diventare i vostri amici…

  63. Bell’iniziativa Massimo.
    Sono appena tornata da Torino in aereo incolume nonostante un tomo dell’esimio Mario Praz.
    Perciò dirò senza tema di sfiga: la mejo mi pare quella di Giuseppe Berto.
    PPPP
    🙂

    Dettociò.
    A me la scuola mi ha dato un paio di cose che ora uso con disinvoltura e che ho ricevuto mio malgrado – ero pessima a scuola infatti: disubbidiente, distratta e svogliata – una serie di conoscenze che mi sono state inculcate colla forza e un modo politico per usarle. Ho avuto in linea di massima degli ottimi insegnanti e certe cose mi sono rimaste. Sicchè continua a pensare a questa mia esperienza quando penso alla scuola. Alla demagogia del dover piacere per forza a i piccoli per farsi perdnare il dovere dell’istituzione. E di tutte quelle citazioni quella della Montessori è quella che mi piace di meno, anche se è tanto glamour, perchè la scuola è il mezzo con cui il mondo dei grandi si occupa di preparare il terreno a quelli che grandi devono diventare. E’ il mondo di prova dei più giovani. Una specie di mondo di prova ecco. Una palestra di mondo. Il fatto che in Italia oggi sia così poco apprezzata e si investa così poco per l’istruzione è il sintomo di quanto siamo sfiduciati e dunque irresponsabili nei confronti del nostro futuro.

  64. E’ proprio vero, quello che manca nelle nostre scuole è il colore. Quelle aule bianche dai pilastri grigi fanno intristire. A volte, dopo alcune ore di lavoro nelle classi, entro nella nostra coloratissima aula degli insegnanti e mi sento più allegra. Mi piace sedermi su una bella poltroncina rossa e guardare intorno le pareti di quel bel colore arancio solare. I colori, a detta degli esperti, agiscono sul nostro umore ed io sono convinta che sia vero. Tant’è che un paesaggio lussureggiante ci rasserena e un paesaggio spoglio ci rattrista. Ma le scuole si sa sono tutte così. Ricordo che quando frequentavo le elementari le classi erano esattamente pallide come adesso, ma la mia maestra abbelliva tutto con dei bei disegni, rametti fioriti e frutti, secondo la stagione. Gli effetti erano tre: imparavamo in modo empirico ciò che c’era da sapere sulle stagioni, eravamo attenti e cercavamo di imparare le tecniche ed eravamo allegri.
    Ciao Maria Rita Pennisi

  65. Cara Zauberei,
    anche io credo che ci stiamo comportando irresponsabilmente nei confronti delle nuove generazioni. Come delle risorse del pianeta. Sprecate, perfino disprezzate.
    La citazione della Montessori va un attimo contestualizzata: la Maria nazionale, una pioniera della pedagogia e della didattica, operò in un periodo in cui l’infanzia era vista più come un fastidioso passaggio che come una risorsa. Fu lei ad ideare l’aula con tutto a misura di bambino, per esempio. A vedere la scuola dell’infanzia non come parcheggio ma come palestra di esperienze per i bimbi piccoli ma già in possesso di potenzialità da stimolare e sviluppare. L’ex vecchietta delle mille lire è una donna interessante e affascinante che non sarebbe male riscoprire…
    Un baciotto a Pipik!

  66. 🙂
    Zauberei, l’ho capita ora quella su Praz!
    Traduciamo per chi non lo sapesse: Mario Praz, grandissimo anglista, aveva una fama diciamo così da… menagramo. Spero che non ce ne voglia da lassù!

  67. Cara Zauberei, oggi, a mio parere, si sta verificando una cosa terribile. La scuola va da una parte e il mondo da un’altra. In una società come la nostra in cui contano solo i soldi e l’apparire, ecco che la scuola sembra una cosa anacronistica, una cosa senza importanza. Mentre prima i media ci orientavano verso la responsabilità, la dignita e la speranza di un futuro migliore, ora non si parla altro che di elisir di eterna giovinezza, di soldi, di belle macchine e divertimento a oltranza. Io vengo da una generazione in cui eravamo educati ad altri valori, ma il mutamento sociale, non mi porta alla resa, anzi cerco di impegnarmi al massimo ed è questo che consiglio ai miei ragazzi. Quando tutto sembra andare a scatafascio è proprio quello il momento di mostrare volontà e di rimboccarsi le maniche.
    Ciao Maria rita Pennisi

  68. Sono felice di questo nuovo spazio. In quanto a commentare, dato che scrivo di scuola sul mio blog pure troppo, qui leggerò in silenzio! Buon lavoro!

  69. Ho letto tutti i vostri interessantissimi commenti. Vi ringrazio molto.
    Un ringraziamento particolare a Maria Lucia e Maria Rita (accoppiata perfetta, devo dire) che stanno svolgendo un ottimo lavoro.

  70. Ho notato che la maggior parte degli interventi sono firmati da donne.
    Come mai?
    Lancio una piccola provocazione…
    Secondo voi, la scuola, interessa più agli uomini o alle donne?

  71. • La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l’individuo in condizione di fare a meno di essa. (Ernesto Codignola)
    • Quando la scuola non funziona è semplicemente inutile e dannosa. (Mario Neva)
    • Se la scuola fosse più efficace, la televisione non sarebbe tanto potente. (John Condry)

    …queste le affermazioni con le quali mi trovo più d’accordo, ma il discorso è lungo, lungo…

  72. la scuola dovrebbe interessare tutti, ma la sensazione è che siano le donne a mostrare più interesse.

  73. Ciao a tutti..ho letto le citazioni e devo dire che per “affetto”-perchè adoro i suoi sonetti-ho apprezzato l’Aretino,ma condivido l’affermazione di Luttazzi.E’ vero,la scuola dovrebbe essere di tutti e per tutti e dovrebbe alimentare il dubbio e la curiosità che sono alla base di qualunque conoscenza.
    Se torno invece indietro con la memoria rimpiango la mia scuola,quella a cavallo tra gli anni ’80 e ’90(ho trentasei anni)..e ricordo con affetto e commozione la mia quinta elementare.Quell’anno la mia maestra si allontanò perchè incinta e fummo affidati a un vecchio maestro prossimo alla pensione,burbero ma dal cuore di burro,che ci ha avvicinati al teatro.Fu un anno fantastico:’A’livella’ di Totò a memoria,insieme al ‘Cinque maggio’ del Manzoni;rappresentazione di ‘De Pretore Vincenzo’,prima,e di ‘Non ti pago’,dopo,del grande Eduardo (e rigorosamente in dialetto napoletano,nessun adattamento).Per quest’ultima ci furono prove lunghe più di un mese e una messa in scena finale al teatro comunale gremito di genitori e parenti.Ricordo i pomeriggi di prove,aiutati dal direttore di una compagnia teatrale del mio paese e il maestro che ci accompagnava a casa tutti assieme e ci comprava il gelato.Ancora oggi mi capita di ripetere a memoria uno dei monologhi che dovevo interpretare.Ero Donna Concetta,la moglie del protagonista.
    La scuola media è coincisa con l’incontro di una professoressa che ha stimolato il mio amore per la lettura.Mi consigliava libri e mi regalò una raccolta di poesie di Emily Dickinson.
    Gli anni del liceo sono stati segnati da un’insegnante di inglese che mi ha trasmesso la passione e l’interesse per la letteratura anglosassone e per quella “femminile”.Leggevamo la Woolf,Doris Lessing,Emily Dickinson-ancora lei-,le sorelle Bronte,Jane Austen,Toni Morrison.Ci fece rappresentare Brecht per la festa della donna.
    Mi chiedo se sono stata fortunata o invece esistono ancora insegnanti così..

  74. Ciao Massimo.
    Dopo mesi di assenza dalla scuola di Letteratitudine (per cause di ordine tecnico)finalmente eccomi qui in quel santuario che chiamiamo SCUOLA e nel quale quasi tutti ci siamo stati. Infatti, come succede quando ci si reca in un santuario dove ognuno chiede una grazia secondo il proprio bisogno, così succede con la scuola . Ciascuno di noi ha una visione personale della scuola:gioiosa, frustrante, civilizzante, ecc… per cui ognuno chiede ad essa prestazioni delle più diverse. Nei miei quarant’anni di esperienza dentro la scuola ho capito che essa può dare tutto ciò che le si chiede se al centro mettiamo il verbo CAPIRE . E’ nel capire che la scuola diventa gioiosa, gratificante, accogliente, civilizzante, motivante ecc…
    L’alunno, il docente … devono capire il senso di quel che fanno, ma non perchè devono tecnicamente tradurlo in esercizio obiettivato al voto, ma perchè la gratificazione che ne viene dall’aver capito coinvolge interamente la personalità e la fa crescere.
    Capire è come ascoltare una favola della quale si vuole sapere la continuazione . Capire è rendersi discponibile alla ricerca e si vuole andare sempre più a fondo per penetrare i misteri del SAPERE.
    Una scuola che non aiuta a capire, autoreferenziata, non può trasmettere valori perchè crede che per avere imparato i dieci comandamenti si sia già persone moralmente significative.
    Il discorso sul capire è lungo e complesso ma è quello che rende motivante sia il primo che l’ultimo giorno di scuola.
    Ma la prima cosa da capire sarebbe se il maestro unico faccia capire più di due o i tre insegnanti, oppure capire se si apprende meglio in una classe con trenta alunni piuttosto che in una con diciotto…..ecc
    Ma forse a questo punto conviene proprio andare al Santuario e chiedere la grazia dell’illuminazione o almeno quella di far passare la scuola dallo stadio infantile a quello….adolescenziale. Non dico adulto perchè per questo si dovrebbe fare un G8 di tutti i santuari del mondo.

  75. sarò una sognatrice o forse un’illusa ma credo ancora nel valore fortemente educativo e formativo della scuola. nella mia esperienza didattica(insegno Lettere da 10 anni nella scuola media e superiore), ho incontrato alunni recettivi, passivi ed indifferenti ai contenuti disciplinari e ai saperi della vita. mi sono sforzata sempre di dare il massimo ai miei studenti, metodologia a parte….i risultati?all’80% si può dire che sono riuscita a trasmettere un messaggio che va aldilà di quello squisitamente didattico. Oggi lavoro per colmare quel gap(il20%) con lo stesso entusiasmo di sempre.ciao a tutti e complimenti per l’idea di questo forum

  76. Cara Chiara,
    l’idea di questo Forum è di Massimo Maugeri. Quando ha proposto a M. Lucia e a me di occuparcene è riuscito a comunicarci un entusiasmo tale, che in pochissimo tempo con Mari abbiamo avuto una miriade di idee, che gli abbiamo sottoposto e che lui ha approvato. Letteratitudine chiama scuola è un forum permanente in cui chiunque è chiamato a intervenire con domande, aneddoti, proposte. Sono contenta che l’idea sia piaciuta a tanti e spero che piaccia ancora di più. Ringrazio Massimo che giudico un grande uomo di idee.
    Ciao Maria Rita Pennisi

  77. E’ appena uscito il mio nuovo libro, “Onde e fronde, favole di mare e di bosco”.
    E’ una raccolta di 8 favole illustrate, a tiratura limitata. Ogni libro è numerato singolarmente, una chicca da collezione! E poi il costo è decisamente popolare: solo 5 euro.

    Per ogni curiosità e per leggere la prima favola vai qui

    http://www.simonepiazzesi.it

    A presto…

  78. ma possiamo consigliare ai nostri ragazzi qualche testo più recente ( che non siano i Promessi Sposi o Cuore?)… ma qualcuno ha una vaga idea di quello che sta succedendo per strada? Ma l’ascoltate la radio? Ma la guardate la televisione? … e lo sguardo spento dei nostri ragazzi? Avete mai letto i loro commenti su FACE BOOK come scrivono, cosa dicono… E noi cosa proponiamo, il libro CUOREEEE? Ma fatemi il piacere….

  79. Cara Nonsonosola,
    nessuno ha proposto per i nostri ragazzi I Promessi Sposi o Cuore. Cuore era solo un punto di partenza comune, per parlare dei ricordi legati al primo giorno di scuola. Il nostro Forum è nato con il proposito di sentire diverse voci e di accogliere proposte.
    Maria Rita Pennisi

  80. @ nonsonosola63
    (ma che nome complicato! 🙂 )
    diciamo che il libro cuore va bene alle elementari, anche se ovviamente non potrà mai reggere il confronto con Henry Potter…
    e poi concordo con te, sui loro commenti, su quello che succede per strada e sullo sguardo spento.
    mi sembra che ci sia un enorme “scollegamento” tra scuola e realtà. cioè, per dirla con loro, gli insegnanti non sono molto “connessi”… 🙂

  81. @Nonsonosola. (ma che bel nome). Beata te. Io invece sono sempre solo, da quando sono nato. Pensa che i miei mi hanno registrato con tre giorni di ritardo perchè indecisi se tenermi o buttarmi nello scarico (in effetti ero un po’ bruttarello). I nostri ragazzi. Io non ne vedo con lo sguardo spento. Sono tanti e ognuno ha uno sguardo diverso. Come si fa a generalizzare? C’è chi ama connettersi, ubriacarsi, spinellarsi, spassarsela con il fidanzato/a. Ne conosco altri che studiano dieci ore al giorno, determinatissimi ad avere successo nella vita. Il mondo è vario e ogni testa fa storia a sè. La scuola: a mio parere questo governo sta adoperando tutti i mezzi per distruggerla andando ad appesantire il carico di lavoro degli insegnanti e se le cose funzionano ancora buona parte del merito va a loro, che nonostante tutto, continuano ad esercitare la loro professione con dedizione e spirito di sacrificio.

  82. C’è una frase di Manlio Sgalambro bellissima (e molto significativa) sui giovani: “Quando ero giovane io aspettavo l’alba per alzarmi e andare a lavorare. I giovani di oggi aspettano l’alba per andare a dormire”

    (Ma, ripeto, mai generalizzare)

  83. Caro Salvo, condivido del tutto il tuo intervento.
    *
    @ nonsolosola63
    Se il libro “Cuore” pensi sia troppo distante dai gusti dei ragazzi, ti segnalo un libro come proposta alternativa a De Amicis. “Pancreas: trapianto del libro Cuore” di Giobbe Covatta (Salani, 1996).
    *
    E per tornare alla scuola, a QUESTA scuola (della Gelmini, del governo Berlusconi), segnalo uno sciopero del comporta scuola, dell’intera giornata, indetto per venerdì 9 ottobre 2009.

  84. Ancora per Salvo.
    Leggo ora il tuo secondo commento, con la citazione di Sgalambro.
    A prescindere dalle sue parole, le vecchie generazioni, generalmente, diprezzano sempre le nuove. E la faccenda si ripete anche oggi.

  85. @Caro Gaetano. Non è che io prenda per oro colato le parole di Sgalambro. Se vogliamo interpretare la sua frase con molta elasticità, diciamo che i giovani di oggi hanno molta più libertà di azione, hanno maggiore possibilità di decidere cosa fare della loro vita. Allora si usciva dalla guerra e le esigenze erano altre. Oggi si ha la possibilità di rincorrere il superfluo, quasi tutti possiedono il cellulare ufficiale e quello privato. Meglio così. Il benessere è sinonimo di progresso. O no?

  86. a parte che è vero, non bisogna mai generalizzare, che dipende dai contesti, dalle scuole e anche dai singoli individui, però quando parlo (e penso anche nonsonosola) di “sguardo spento” e altre amenità del genere, non sto disprezzando la nuova generazione. Se così fosse, me ne fregherei allegramente, mi rifugerei dietro frasi del tipo “tanto è inutile, sono tutti dei cretini”, che a volte circolano a scuola, invece di sbatterci la testa.
    Piuttosto, la mia “disapprovazione” (per usare un eufemismo) è verso le generazioni precedenti, compresa forse la mia, che hanno fatto arrivare le cose fino a questo punto.
    Per fortuna, credo, di non essere la sola, solo che il punto è: a chi frega veramente qualcosa delle nuove generazioni? certo non a chi ha le chiavi in mano, e la dimostrazione ce l’abbiamo sotto gli occhi.

  87. Caro Salvo, la tua domanda finale è da un milione di dollari, e non azzardo alcuna risposta…
    Ti auguro una buona notte.
    @ nonsonosola63; mi accorgo adesso d’un refuso che mi è sfuggito prima sul tuo nome, che adesso correggo.
    Buona notte.

  88. P.S. Ma che bella la foto di Maria Lucia lassù in alto! Esprime positività, voglia di fare, simpatia, competenza, professionalità. Sarei disposto a ripetere le superiori pur di avere un’insegnante così.

    @Maria Rita. Un saluto anche a te. Siete in gamba tutte e due.

  89. salvo, sei proprio sicuro che adesso i giovani abbiano maggiore possibilità di decidere della loro vita?

  90. “Pancreas: trapianto del libro Cuore” di Giobbe Covatta

    Incipit

    Nulla è più emozionante del primo giorno di scuola. Me lo ricordo: era già dal 23 luglio che facevano la disinfestazione per i topi, avevano vinto i topi e ce ne erano alcuni grossi come cammelli.
    Il bidello sorrise e aprì il portone; il portone cadde e aprì il bidello, che ancora sorride: è rimasto sotto ridotto come una specie di radiografia. Lo portarono in ospedale in busta chiusa.
    Tutti i bambini entrarono di corsa urlando, anche perché cercavano di sfuggire agli spacciatori. Le aule erano splendide: pavimenti di cotto, prosciutto cotto, quello delle merende degli anni passati, azzeccato per terra. Per rendere trasparenti le finestre erano stati rotti i vetri. I nemici nascosti dell’igiene, grossi come tacchini, aspettavano i bambini in smoking: il primo giorno di scuola era anche per loro una grande occasione.

  91. @Giorgia. Provo a fare un confronto con la mia esperienza e quella di mia figlia.
    Io avevo genitori semianalfabeti, non in grado di consigliarmi e indirizzarmi verso studi più adeguati alle mie attitudini. Anzi, mio padre considerava una perdita di tempo le mie letture e la mia scrittura (e forse aveva ragione lui…li mortacci!!!) e non vedeva l’ora di portarmi a lavorare nei campi (sveglia alle 4). Mia figlia ha voluto andare a studiare a Milano e ha trovato un genitore disponibile ad assecondarla.
    (Lo so che è una risposta riduttiva, ma è tardi, magari approfondiamo domani).

    P.S Da considerare che io sono ancora abbastanza giovane, non ho mica la stessa età di Gaetano (che ha fatto la prima e la seconda guerra mondiale)
    Buonanotte.

  92. @ nonsonosola63
    Grazie per i tuoi interventi. Perché non fai qualche proposta anche tu? Per esempio, quali dovrebbero essere – a tuo avviso – i libri di narrativa che i ragazzi di oggi dovrebbero assolutamente leggere a scuola.

  93. Nei prossimi giorni inserirò su una delle colonne del blog un logo/pulsante su “Letteratitudine chiama scuola”… così questo forum permanente sarà sempre alla portata di tutti con un semplice click.
    (Un po’ come “Letteratitudine chiama mondo”: colonna di destra, in alto).

  94. Caro Salvo,
    i tuoi interventi, come sempre, sono centrati, colti e ironici. L’ironia è fondamentale nella vita. I miei scritti, anche i più seri, sono sempre velati da una sottile ironia. Anche su di me cerco di ironizzare. Non mi prendo mai troppo sul serio, perché le volte che provo a farlo, mi faccio antipatia.
    Ciao Maria Rita

  95. Caro Salvo,
    desidero farti i complimenti, per la tua recensione sul libro di Paolo Di Stefano Nel cuore che ti cerca e sull’intervista all’autore.
    A presto Maria Rita

  96. Leggo in velocità qualche commento e dico parte della mia:mA PERCHé, COME I NOSTRI GENITORI E NONNI NEI SECOLI DEI SECOLI, TENDIAMO SEMPRE AD ATTRIBUIRE difetti enormi ai giovani? e a dare responsabilità esagerate alla scuola? I ragazzi si educano in casa innanzitutto. La scuola è il posto in cui danno il massimo, è a casa che si sbracano e lo dico da madre prima che da professoressa! Siamo stati noi genitori a metterli davanti alla tv per stare in pace, a comprare loro telefonini, gameboy, pc e playstation. Cosa speriamo: che in 5 ore di scuola i docenti facciano il miracolo di trasformare i nostri figli in premi nobel? e nelle nostre scuole pubbliche poi! povere, cadenti, sporche, persino pericolose a volte… loro sì così lontane dalla scintillante ‘realtà’ televisiva. Simili a prigioni tristi, con sedie scomode e banchi troppo piccoli dove i ‘superadolescenti di oggi, nutriti a ormoni della crescita, non riescono più a infilare neanche le gambe, con il freddo d’inverno e il caldo insopportabile nella bella stagione, con zanzare e polvere, senza carta igienica, sapone, acqua potabile! E come parliamo dei docenti noi genitori? Li rispettiamo? Non ce l’hanno sempre proprio con quell’angioletto del nostro pargolo? Non sono ‘isterici, odiosi, impreparati, scansafatiche, morti di fame etc.etc.’? Non si può generalizzare, è vero. Mai però. Ricordo un paio di anni fa un papà che disse al Dirigente: quando parla mio figlio lei deve stare zitto. Spesso il vero problema della scuola e dei ragazzi sono i genitori. La triste verità è questa, e uno Stato che non sceglie la scuola come futuro, che attacca l’arte e la cultura, che paga poco gli insegnanti obbligandoli a fornire di se stessi un’immagine deprimente di ‘sopravvivenza’ (la categoria peggio vestita, a mio parere). Chiedete perché le donne sono più vicine alla scuola? Il mondo docente è all’80 per cento donna e donne sono le mamme (quelle che più spesso hanno rapporti con i docenti e l’istituzione scolastica). I ragazzi? i ragazzi cambiano ma sono sempre gli stessi. Spesso si annoiano a scuola e certo tocca all’insegnante far sbocciare passioni, fuor di dubbio, ma è dura tenere il confronto con i giochi elettronici, dura obbligarli a pensare (direi a usare il cervello in un modo a cui non sono più abituati), dura persino farli parlare dato che per ore, a casa, seguono muti delle immagini su uno schermo muovendo solo le dita come automi. Vogliamo figli migliori? via la tv, via i cell. e i giochi, vi apersino i giocattoli della prima infanzia! Paletta e secchiello, un cavallino di plastica, un cucchiaio e una pentola. Insegniamo loro a sfruttare il pensiero, la fantasia, la creatività sin da piccoli. Oppure smettiamola di rimpiangere il passato e adeguiamoci, non saremo noi i dinosauri in via d’estinzione?

  97. L’istruzione alimenta il dubbio e la curiosità: dev’essere di tutti, come vuole la Costituzione, in modo che dalla scuola escano cittadini, non sudditi. Una scuola autoritaria prepara a una società autoritaria. (Daniele Luttazzi), questa è la frase che più mi appartiene la curiosità è quello che fa crescere le giovani menti e le rende uomini, la curiosità buona, fatta di conoscenza e sapere, quello che resta incollato ai meandri della nostra mente, quello che ci fa tenere in mano un libro con rispetto, quello che ci fa comprare un libro in libreria, quello che ci fa innamorare del suo colore, del suo odore, del suo contenuto, un piccolo “Sileno” da esplorare, intendo i Sileni di cui parlava Socrate, pieni di piccoli tesori non appena si aprivano, un libro è uno scrigno pieno di tesori da scoprire: questo è quello che dovrebbe insegnare la scuola, ogni segno che incide una pagina è un pezzo di uomo, poi arriva la critica e decide ciò che è buono e bello; il senso critico è quello che dovrebbe svilupparsi sui banchi di scuola, quello che si costruisce mattone, dopo mattone fin da piccoli bambini, i cervelli vergini da coltivare per farne splendide piantagioni di un domani, ma chi oggi ha ancora la voglia di farlo? Spero questo coraggio lo abbiano ancora in molti.
    Simona

  98. @ m.maugeri: Kazou Ishiguro “Non lasciarmi”, J.Joyce “Dedalus”, Orwell “1984”, Bradbury (racconti),Turgenev “Padri e figli”, MacEwan “Il giardino di cemento”, ma anche Gomorra di Saviano, Covacich, Ammanniti, per esempio…

  99. Nonsonosola63: credo che in questo blog tu non sia sola, visto che tutti noi amiamo i libri…
    Simona, credo come te nello spirito critico, nella necessità, per questi tempi bui, di genitori e insegnanti che stimolino figli e studenti a sapere, ad essere curiosi, a leggere non come compito noioso per le analisi del testo – anatomie di corpi vivi – ma come esperienza di vita, emozione, bagaglio di idee e sentimenti per la vita.

  100. I morti di Messina… davanti alle catastrofi della natura mi viene in mente che dobbiamo educare le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente, a non rassegnarsi al fatalismo, a progettare responsabilmente.
    Cinzia, sui temi scolatici che sollevi mi trovi perfettamente d’accordo.
    I ragazzi di oggi spesso sono bambini cresciuti, lattanti giganti – tutto, subito, su un piatto d’argento – che davanti ad un problema crollano, anche la pioggia o prendere l’autobus perché papà non può venire a prenderli sono questioni da massimi sistemi. Destabilizzanti. Difesi in tutto e per tutto – perché la difesa ad oltranza copre le mancanze educative, i fallimenti genitoriali – , addestrati non all’impegno ma allo sport nazionale del fotticompagno.
    Non generalizzo perché le forze sane esistono, i genitori intelligenti e sensibili pure, i ragazzi maturi e curiosi anche. Sta a noi impegnarci perché non restino delusi da noi.

  101. Nonsonosola63: quando i tempi si fanno troppo moderni, è ora dei classici… lo dico e lo sostengo. Vero è che dobbiamo restare connessi con il mondo, ma non possiamo permettere che il mondo ci imponga ritmi e idee disumane. I classici, la vera letteratura, hanno risposto alle eterne domande di verità dell’uomo. Hanno ancora tanto da dire, credimi. Sto spiegando I PROMESSI SPOSI in una seconda liceo, e i miei ragazzi stanno comprendendo che Manzoni parlava del ‘600 per criticare il suo oggi.

  102. Giorgia, Salvo… capisco i vostri punti di vista. Vedere gli sguardi spenti dei ragazzi, saperli rincretiniti da un uso scorretto dei meravigliosi nuovi media, sentire da loro che credono di non avere un futuro, scoraggia anche me. Oggi ho rimproverato una delle mie prime per l’impegno un po’ scarso. Ho detto ai ragazzi che la scuola è l’ultimo posto al mondo in cui qualcuno si soffermerà ad assecondare i ritmi dei più lenti, a ripetere e rispiegare quello che non si è capito. Perché là fuori – e ho indicato la finestra – sarà ed è tutto l’opposto. Li ho traumatizzati? La scuola è un’isola felice nonostante tutto: puoi esprimere la tua opinione, c’è sempre una seconda possibilità, l’obiettivo è crescere insieme, comporre le differenze, istillare un minimo di amore e curiosità verso gli oceani della conoscenza del mondo e di se stessi.

  103. Carissimi,
    credo che l’amore per la lettura non l’insegni la scuola. Al massimo la scuola lo alimenta. Io non so dire molto su questo argomento, posso citare la mia esperienza. Le mie sorelle ed io abbiamo amato leggere sin da piccolissime e siamo sempre rimaste divoratrici di libri. Io non ricordo se i nostri genitori ci abbiano dato l’esempio o ci abbiano spinto a leggere, ma ricordo benissimo che mio nonno aveva una biblioteca fornitissima e che con mia sorella maggiore eravamo sempre lì a frugarla. Forse l’esempio è stato quella biblioteca, in ogni caso per noi due anche la scuola ha promosso l’amore per la lettura. Certo nella società odierna l’immagine ha preso il sopravvento e siccome leggere è una cosa intima tra te e il libro, di intimità con la vita frenetica che facciamo ne resta poca.
    Ciao Maria Rita

  104. (…)
    Appena la maestra se ne va i bambini cominciano a fare casino, ma lo sapevo, l’avevo messo in preventivo, in effetti caccio due urli, ma i bambini non mi cagano; poi una pargola mi viene vicino e mi confessa che, secondo lei, io e la maestra Luana staremmo bene assieme – che bambina intelligente e lungimirante! Penso che i bambini non siano così tremendi. Le do una pacca sulla testa in maniera amichevole e le dico che è una brava bambina, che diventerà la capoclasse; lei si stima un casino, sono proprio un pedagogista della madonna, è così che si deve fare con i bambini, dargli soddisfazione, non sgridarli sempre!
    Mentre caccio altri due urli al vento, vedo dalla finestra Luana che sta andando dove doveva andare, la guardo in maniera che capisca che ho tutto sotto controllo, eh eh, poi un bambino mi spinge per la maglia e mi dice con estrema tensione che Giovanni sta tirando i dadi. Io lo guardo e gli spiego che i dadi non fanno male a nessuno, lo assicuro che me ne occuperò personalmente.
    Riguardo la finestra, ma la dolce insegnante non c’è più, in compenso il bambino mi sta ancora tirando per la maglia e mi esprime dubbi riguardo al fatto che i dadi siano così innocui, che ansia di bambino! Deve imparare a non farsela sotto ogni volta. Poi mi giro, appena in tempo; Giovanni in effetti sta tirando i dadi, ma non sul pavimento, li tira in testa agli altri bambini. Non sarebbe un problema se i dadi fossero i classici dadi delle bische clandestine, in realtà sono dadi di legno grandi e pesanti, circa un chilo l’uno.
    Schivo a malapena un dado con una mossa stile Neo di Matrix e vedo che quello psicopatico del menga possiede circa altre due armi di distruzione di massa da lanciare sui bambini innocenti. Allora m’incazzo, caccio un urlo feroce verso Giovanni, gli rubo i giochi, così impara, non è più mio amico ecco.
    (…)
    [Alex Celli, Il maestro, in Autori Vari, Antologia Pubblica (a cura di Alessandro Ramberti), Fara Editore, 2005]

  105. (…)
    Luana torna che tutti piangono, anche Giovanni.
    .
    Mi dice che ho fatto un buon lavoro, ma non mi sembra convinta, io me ne frego, dato che scopro che lei è andata a telefonare al moroso, che cazzo di maestra è?
    Passa una settimana e salgo di grado, adesso devo insegnare ai bambini a fare le frasine. Che due coglioni. Il compito dei bambini è pensare una parola con la “V” e scriverla sul quadernino.
    Dopo circa mezz’ora tutti hanno finito, che non ci vuole un genio.
    .
    Tutti tranne Davìd.
    .
    Davìd datti una mossa, veloce che è bella ora di andare a mangiare, porco zio.
    Davìd si impegna un totale, resta circa un’altra mezz’ora a pensare ad una dannata parola che inizi con una “V”, adesso è l’una passata e i bambini stanno mangiando, Davìd no, deve finire il compito, non si transige.
    Verso le due i morsi della fame hanno convinto Davìd a scrivere quella parolina sul quadernino, si alza e mi mostra fiero il lavoro. Leggo, leggo, leggo e ci vedo scritto
    .
    “VUOVO”
    .
    Ma come cazzo hanno fatto i tuoi genitori a chiamarti Davìd? Davìd ricorda Michelangelo, ricorda la mitologia, gesta eroiche ed epiche e tu, dopo due ore che pensi ad una parolina con la “V”, riesci a trovare solo “VUOVO”? Col cazzo che mangi!
    Ma Davìd si mette a piangere, il solito ricatto dei bambini, come le donne, si mettono a piangere.
    .
    La settimana dopo scrivo una lettera al direttore, do le dimissioni: i bambini mi piacciono, soprattutto quando li tiene mia madre.

    (Alex Celli, Il maestro, op. cit.)

  106. “A tutti coloro che oggi imputano la formazione di bande al solo fenomeno delle banlieues, io dico: certo, avete ragione, la disoccupazione, certo, l’emarginazione, certo, i raggruppamenti etnici, certo, la dittatura delle marche, certo, la famiglia monoparentale, certo, lo sviluppo di un’economia parallela e di traffici di ogni genere, certo, certo… Ma guardiamoci bene dal sottovalutare l’unica cosa sulla quale possiamo agire personalmente e che risale alla notte dei tempi pedagogici: la solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono. ”
    (Daniel Pennac, da “Diario di scuola” I, 11, p. 33)

    Questa sorta di “apartheid scolastico”, come lo chiama Pennac, ingrassa la linea di confine tra “quelli che capiscono” e “quelli che non capiscono” lì dove “L’eccellenza” è rappresentata da istituti, forme di struzione, metodologie didattiche -generatrici stili cognitivi e categorie d’Immagine- che non sono altro che strumenti del potere che giustificano il potere.

    Sgalambro nella sua “La morte del sole” ha denunciato la filosofia quando questa diventa funzionale a l’ “ecrivanerie”, alle “professioni”, e si svuota del suo senzo primo che è sempre esistenziale; ch’è sempre -insomma- “quel sapere di non sapere”.

    Di uno slancio “impolitico” (alla Thomas Mann, per intenderci) -a mio avviso- necessita oggi La Cultura.
    Necessita di una riscossa che le permetta di conquistare quella dignità e quella “gratuità” che le spetta.

    Riecheggia nella mia memoria una frase di Baudelaire:
    “Il n’existe que trois êtres respectables : le prêtre, le guerrier, le poète. Savoir, tuer et créer. Les autres hommes sont taillables et corvéables, faits pour l’écurie, c’est-à-dire pour exercer ce qu’on appelle des professions “.

  107. TITOLO: lettura e formazione.
    Perchè si cercano consigli sulla letteratura da offrire ai ragazzi a scuola e non si tiene conto che la lettura opportuna varia da ambiente ad ambiente e anche da soggetto a soggetto?
    L’interesse che la scuola può suscitare nei confronti della lettura e fare di questa formazione etica dipende,secondo me, non dal cosa, ma dal modo con cui una pagina di libro viene presentata alla persona- ragazzo.
    Come l’imprinting del primo giorno di scuola è altrettanto importante quello della prima lettura e questo dipende da una serie di fattori.
    Il primo giorno di scuola, la prima lettura….insomma la prima volta ha un carattere io direi profetico per quel che riguarda il rapporto con il proprio progetto di vita.A questo proposito non posso fare a meno di ricordare Alessandro il quale durante il primo giorno di scuola disegnò una scala ed un bambino che vi si arrampicava. Alessandro, figlio del fruttivendolo che posteggiava la carretta sotto la scuola,è oggi un professore d’università. Potremmo pensare con compiacimento che ha salito tutti i gradini della scala ed ha realizzato se stesso, ossia il bambino che si arrampicava come un topolino, ma non è così perche politicamente Alessandro si arrampica ancora. In sostanza la profezia non era quella che avrebbe raggiunto la cima della scala ma quella che sarebbe diventato un arrampicatore.
    Ad un alunno così io più tardi consigliai di leggere DAGLI APPENNINI ALLE ANDE , non avevo capito che per lui, non tenace perseguitore di ideali umani ma un ambizioso arrampicatore, non era la lettura giusta. Se l’avessi capito avrei dato da leggere San Francesco, forse lo avrei aiutato a trovare la virtù dell’umiltà con cui sarebbe stato più significativo nell’aula universitaria ed avrebbe goduto di una maggiore stima.
    Amici carissimi, vi prego di non prendere per saccenteria quel che ho scritto. Ho voluto dare semplicemente il contributo della mia esperienza di docente , di capo d’istituto, di scrittrice, autrice anche di scritti pedagogico didattici, che ha guardato a fondo e con passione alla scuola ed ai suoi problemi. Continuo ancora a credere ed a sperare in un suo autentico cambiamento nonostante tutto.

  108. Cari amici,
    pensate che la scuola possa orientare i ragazzi verso dei tipi di lettura o pensate che i ragazzi scelgano il tipo di lettura secondo le proprie inclinazioni? I vostri alunni vi parlano dei libri che leggono? Vi chiedono dei consigli su cosa leggere?
    Ogni tanto penso: “Se fossero i libri a scegliere noi? Noi ci affanniamo tanto in libreria per scegliere un libro e magari il libro è sopra uno scaffale lontano e ci ha già adocchiato. A questo punto abbiamo la facoltà di scegliere o siamo già nella sua orbita e non c’è più scampo?” Sto degenerando nel campo del fantasy, ma questa ipotesi mi piace.
    Maria Rita

  109. Cara Maria Rita mi piace molto questa cosa del libro che sceglie noi,credo che spesso sia capitato anche a me.Non è sempre un caso che ci troviamo davanti agli occhi un volume piuttosto che un altro.Personalmente concordo con te sul fatto che non possa essere la scuola,o soltanto essa, a far appassionare i ragazzi alla lettura,ma molto fa l’ambiente familiare,l’emulazione di un adulto visto con un libro in mano intento a leggere,oppure la curiosità verso un ambiente fisico che per te può essere stata la biblioteca del nonno.Io oltre ad una famiglia dove si è sempre letto molto,ho il ricordo di mia nonna che ha letto-e vissuto- fino a 96 anni,ma il ricordo più bello che ho è che dei libri si parlava come se fossero state altre vite altre persone,questo mi ha sempre spinta alla lettura.Come una necessità di non sentirmi tirata fuori da un mondo condiviso anche da altre persone che ammiravo e amavo.Mia figlia oggi quattordicenne,ha iniziato a sette anni sotto l’ombrellone e leggeva con una voracità spaventosa,anche l’altro figlio sebbene più incerto e lento nell’appassionarsi,ma io non ho mai sollecitato per così dire.Li ho spesso portati in libreria con me dove in cambio di compagnia mentre sceglievo letture per me offrivo un dolcetto.Alla fine immancabilmente uscivamo con un libro per uno.Certo insegnanti della sensibilità tua e di Maria Lucia possono far molto,far sì che laddove sia stato gettato un seme non vada perso,ma curato e annaffiato per procurare frutti.
    Un grazie a cari saluti

  110. Gaetano, hai postato esempi di quello che succede in molte aule scolastiche… credo che questo dovrebbe portarci a rispettare i “fannulloni” della materna e delle elementari che spesso devono sopperire ai vuoti educativi della famiglia.
    Pennac ha ragione quando dice che il senso di esclusione, il sentirsi falliti e non compresi, fuori dal circolo di quelli che capiscono, è una delle fonti della delinquenza e di tanti problemi sociali. La scuola però deve essere aiutata ad aiutare questi ragazzi: i docenti non possono essere missionari allo sbaraglio. Spesso tutto è lasciato alla buona volontà. Non basta. Se non ci sono politiche scolastiche adeguate, investimenti forti sulla scuola.

  111. Ringrazio Riccardo Raimondo per averci postato Pennac e Gaetano Failla per le sue citazioni da un’antologia sulla scuola.
    Mela Mondi: non è facile consigliare un libro a un ragazzo o a un bambino. Parlando con Annamaria Piccione, autrice di libri per bambini e siracusana come me e Simona Lo Iacono, ho avuto modo di addentrarmi nei problemi che deve affrontare chi scrive per delle menti ancora in costruzione, sensibili e suscettibili di traumi e distorsioni.
    Ma hai ragione nel parlare di imprinting: Francesca Giulia e Rita hanno avuto la fortuna di crescere in un ambiente dove la lettura era un’attività non mal tollerata o ritenuta poco importante, ma piacevole e raccomandabile. Meraviglioso. La scuola può aiutare ma se fallisce non sparate sul docente, sempre e comunque! la società “civile” legge a spizzichi e bocconi, vive di immagini, consuma in fretta tutto, mentre la lettura richiede isolamento, concentrazione, riflessione. Naturalmente semplifico.
    Il libro ci sceglie, noi siamo i suoi tramiti, i suoi medium affinché viva ancora e non sia solo un ammasso di carta e inchiostro…

  112. Buongiorno a tutti.
    Cara Francesca Giulia,
    spesso anche a me è capitato che un libro mi abbia scelto ed è stata una lettura piacevole e edificante. Tu come me hai avuto da subito lo stimolo alla lettura in un ambiente in cui i libri prendevano vita, attraverso parole e commenti dei familiari. Mio nonno Nino era un divoratore di libri, soprattutto classici e mio padre appassionato di gialli e polizieschi, mentre mia nonna e mia madre leggevano libri romantici. Come vedi si leggeva di tutto ed io e le mie sorelle, su questa scia, leggevamo di tutto. Però non sempre a scuola è possibile trasmettere il gusto della lettura autonoma, perché ci sono dei ragazzi che provengono da ambienti talmente deprivati culturalmente, che non possono farsi vedere dalla famiglia con un libro in mano, perché vengono derisi o rimproverati, per quell’inutile perdita di tempo. Ciò è molto triste. Allora bisogna far leggere tanto in classe e discutere insieme. Certe volte vengono fuori dei dibattiti bellissimi e i ragazzi ti sorprendono, anche quelli che ti erano sembrati distratti o addirittura annoiati.
    A presto Maria Rita

  113. Cara Maria Rita,hai proprio ragione,è con il figlio difficile che si vede la brava madre.Penso ad una mia cara amica-cui ho segnalato questo post-
    che come voi è insegnante,ma in una scuola della periferia di Napoli,uno di quei quartieri di cui ci parla spesso R.Saviano dove è più facile che al posto della penna prendano un fucile.Questa piccola donna sempre sorridente,che io stimo moltissimo come quelli di voi che fanno questo lavoro fondamentale per tutta la società,tira avanti,dopo la Gelmini, con due classi di ragazzi, ognuna di 28 circa, dove dovrebbe insegnare Lettere,ma combatte perchè non venga buttata giù una porta e non si prendano a botte fra loro,questa donna se riesce a farsi ascoltare per un quarto d’ora ha penato per altre tre,ma crede nei principi educativi della scuola e della vita,nell’amore per le lettere e nei ragazzi dei quartieri degradati,dove come dici tu, un libro fra le mani sarebbe non altro che un motivo di scherno.Se lei e quelli come lei non abbandoneranno la battaglia,perchè lasciati soli,se anche uno di quei ragazzi non andrà nelle file della deliquenza organizzata io credo che sarà un punto segnato a favore di tutti noi.Stimo molto la vostra professione,ma da soli non si può far molto,coscienza civile è un concetto a cui lavorare tutti, nessuno escluso.
    cari saluti

  114. Grazie Francesca Giulia per le tue parole… e saluta la tua amica. Magari falla scrivere qui! Abbiamo bisogno delle esperienze di chi crede nella scuola al punto da soffrire stanchezza, magari sconfitte e umiliazioni.
    Sul sito di Roberto Alajmo, scrittore che apprezzo molto, ho trovato questa bella citazione. Che ne dite?
    “Un maestro è come un segnale stradale. Ti indica la retta via, ma non ti ci accompagna. Nè ci va.”

    (Anonimo)
    Maria Rita,
    🙂
    La foto!

  115. si, è proprio come un segnale stradale… in certi paesi i segnali servono per spararci contro… 🙂
    so di che parla l’amica di francesca giulia, le scuole così non esistono solo a napoli, ed è a quello che alludevo all’inizio del post. e oggi è stata un’altra di quelle giornate…
    e poi, d’altra parte, anche la letteratura non è di grande consolazione.
    umore nero, non so se si è capito…

  116. Ma dai Giorgia, tirati su, come sarebbe a dire “anche la letteratura non è di grande consolazione” . Sto leggendo il tuo romanzo e mi sta appassionando oltre ogni aspettativa. Domani, a scuola, tira il collo a un paio dei tuoi alunni più discoli e vedrai che le cose si metteranno a posto.

  117. Io il collo lo tirerei a Brunetta, mai visto un tipo più antipatico, pretende di far lavorare anche noi dipendenti comunali. Ma vi pare possibile! Dopo secoli di beato torpore, dopo che noi abbiamo issato sul nostro vessillo l’ozio come istituzione, arriva questo piccoletto, duro e puro come un Don Chisciotte dell’ultima ora a dare lezioni di moralismo. Ma vada a redarguire il suo capo che non dà certo il bell’esempio!

  118. cara Giorgia,hai la mia piena comprensione.Non sono insegnante,ma combatto quotidianamente per sopravvivere alle brutture degli esseri disumani che oramai popolano le strade della mia città,ma non combatto con loro,esclusivamente con me stessa per far sì che la mia parte onesta,socievole,altruista e gentile non si lasci soffocare dalla voglia di diventare violenta,scostumata e arrogante e furbetta più di quelli che incontro.Ogni volta che vedo qualcosa che mi irrita e urta profondamente il mio senso civico,di giustizia e di umanità,mi dico:”dai Francesca sarebbe facile diventare come uno di loro, mandare a fare in c… i tuoi principi,e dimostrare anche ai tuoi figli che vince il più forte!”.Una voce che forse non è nemmeno la mia,mi dice che non devo cedere e che se io sarò migliore, i miei figli saranno migliori e i loro amici anche lo saranno e forse insegneranno ai genitori che saranno migliori con i colleghi e via via con tutta l’umanità che potrebbe diventare meno disumana.Non mollare Giorgia,anche se sei stanca e disillusa,tu vali di più dello schifo in cui dobbiamo muoverci,perciò stasera distraiti,fai una telefonata a qualcuno a cui vuoi bene e che ti faccia ridere un pò,e la letteratura sarà lì ad abbracciarti come una vecchia amica con la testa tua sulla spalla sua.
    bacioni a tutti

  119. un bacione a Maria Lucia e Maria Rita bravissime!
    p.s.anche a Salvo và,tanto per parlare di umanità….:-)))))))

  120. meno male, salvo, almeno tu… poi ti spiego il perchè della mia frase.
    io il collo glielo tirerei pure, però quelli prima mi fanno loro la pelle a me…
    e comunque, possiamo parlare quanto ci pare, di libri, letteratura, eccetera, però certe volte mi pare che restiamo fuori dal mondo reale. Io per prima, con i miei bei deliri su Bisanzio…
    Sai che mi ha detto oggi un mio alunno? 16 anni, carino, ben vestito, mediamente maleducato: “a me la politica non mi interessa. Io quando faccio 18 anni non vado a votare. chi se ne frega, c’ho cose più importanti da fare, io”
    tipo?
    “mi devo comprare un sacco di macchine. Maserati, porsche, eccetera”
    le ragazze invece vogliono fare le veline, e secondo loro Noemi è una gran paracula, una dritta che ha capito tutto della vita. E anche il Papi, è uno dritto, e che se potessero da grandi lo farebbero pure loro.
    E questo è il minimo. E quindi, non venite a parlarmi di letteratura.
    Teniamoci Brunetta, la cara Maria Stella e tutti gli altri, perchè mi sembrano gli accessori perfettamente intonati al vestito.

  121. ciao francesca giulia sei un tesoro sono contenta di conoscerti. e comunque stasera ce l’ho a morte con la letteratura, i libri, gli scrittori, gli editori e tutto quello che puzza anche lontanamente di carta stampata…

  122. Ehhh e becchiamoci ‘sti baci serotini virtuali che sono sempre meglio di un pugno in un occhio. Però l’altra sera la Riccioli me la sono sbaciucchiata di presenza, in occasione del nostro concorso. L’ho pure invitata a cena, lei e la sua amica, ristorante di gran classe, vini pregiati, dessert e Champagne finale. Dillo Maria Lucia che hai trascorso una serata da sogno.

  123. …a proposito di cene di gran classe devo andare a sfamare la famiglia…
    ma Salvo non è che Maria Lucia non risponde perchè era talmente un sogno che non se la ricorda la cena??
    🙂
    ciao ciao

  124. fg@. Non si è ancora ripresa dall’emozione per averni conosciuto di persona. La capisco. In effetti non è un privilegio che capita a tutti.

  125. salvo, sono un po’ invidiosa… il privilegio a Maria Lucia posso anche lasciarglielo… facciamo che io mi accontento dello champagne?

  126. Coraggio, Giorgia… non abbatterti. La letteratura e i libri sono l’ancora di salvataggio, lo sai. Per il resto, non c’è dubbio: bisogna convivere con le difficoltà. L’importante è non fare l’abitudine al sangue
    😉

  127. Scusate, ma stasera ho problemi di connessione (non ho ben capito se è un problema del mio pc o di kataweb).
    Comunque…
    avete visto il pulsantino, in alto, sulla colonna di destra?
    C’è la lavagnetta con su scritto “letteratitudine chiama scuola”. Cliccandoci sopra si aprirà, automaticamente, questa pagina.

  128. ciao massimo, come stai? ho saputo tardi che sei stato in terra di Puglia… la prossima volta fammi un fischio!
    sai com’è, certi giorni ti sembra che vada tutto allo sfascio, e devo ringraziare te, maria lucia e maria rita per questo post, che almeno uno la sera si sfoga, almeno per quanto riguarda la scuola.
    e stasera nel calderone ci metto pure L’abitudine al sangue…
    ma poi domani mi passa.
    speriamo 🙂

  129. Trasforma la rabbia e la frustrazione nella scrittura, Giorgia. E’ un’arma potente, oltre a essere una grandissima possibilità.
    E tu lo sai, n’est pas?
    😉
    (rima non voluta)

  130. @ Maria Lucia, Maria Rita e a tutti
    “Letteratitudine chiama scuola” è uno spazio molto aperto (come del resto Letteratitudine, in generale).
    Dunque, di tanto in tanto, riceveremo degli ospiti.
    Nei prossimi giorni avremo modo di accogliere Giovanna Bandini, nel duplice ruolo di docente di italiano e latino (nonché membro della Missione archeologica italiana “Tempio Flavio” a Leptis Magna) e scrittrice:
    http://www.newtoncompton.com/index.php?lnk=301&id_n=1411&par2=b
    Con Giovanna avremo modo di discutere di scuola e del suo nuovo romanzo (che ha a che fare con la scuola).

  131. una mia collega, dunque… gli archeologi sono come le ciliegie, una tira l’altra… stai attento, mettine due insieme e rischi di trovartene duecento!

  132. Giorgia, così avremo modo di andare più “a fondo”… e magari scoprire che – sotto la scorza di questo mondo caotico – si nascondono i resti di qualche civiltà che può essere utile riportare alla luce.
    😉
    Conto su di voi…

  133. Tra archeologi, mummie riesumate e cadaveri freschi di giornata, questo blog rischia di diventare la succursale della cripta di San Giovanni Battista.

  134. Salvo, ancora mi devo riprendere…
    🙂
    Massi, sono felice che il discorso si allarghi… che bello, archeologia! Come vorrei che metà di questo mondo fosse archeologia – magari una società scomparsa a tremila metri sotto terra!
    Giorgia, ha da passa’ ‘a nuttata! A volte anche io sono agguantata dalla stanchezza, da un senso di inutilità. Siamo così poco trendy, i prof. E che palle la storia, e perché ‘stu latino, ma Dante non ne aveva che fare?
    A volte anche io penso “Chi me lo fa fare”? Però stamattina ho letto con le mie ragazze Caproni e mi stavo mettendo a piangere perché avevano capito tutto e quando si parla di sentimenti che affiorano oltre le rime e le assonanze loro capiscono, altroché! E stiamo leggendo di Don Abbondio e di Perpetua: non mi pare vero a volte che parlo di letteratura e mi diverto come su “Letteratitudine”!
    Nonostante Facebook, Msn, MP3… hanno fame di poesia, di parole, di verità. Voglio crederci, altrimenti lavorare a scuola sarà un Purgatorio frustrante e demotivante.
    Non sai che bello per me poter parlare di scuola con voi, anche fare terapia di gruppo per farci coraggio a vicenda!
    🙂

  135. salvo: tu di quale categoria fai parte? mummie riesumate o cadaveri freschi, oppure ti tocca imparare a fare l’archeologo…. 🙂

    maria lucia: oggi è andata decisamente meglio.
    era la mia giornata libera 🙂 🙂

  136. e comunque, pure a me ogni tanto mi viene ‘sto pensiero… ma Dante proprio non c’aveva niente da fare? certo, avesse avuto facebook… ma pure ‘na palestra…

  137. Signori permettemi un fuori post: ho appema finito di leggere il romanzo di Giorgia Lepore e sono rimasto letteralmente commosso e affascinato. Il protagonista, Giuliano, è di uno spessore tale, di una forza così prorompente, da renderlo unico nel suo genere. Un eroe, capace di grandi riflessioni e grandi azioni, si carica sulle spalle le miserie degli altri con dignità sovrumana, non si arrende mai e quando sente di traballare ricorre alla sua profonda fede. Incarna quanto di meglio possa esprimere un uomo, spinge all’emulazione, al desiderio di ricongiungersi con Dio. E anche gli altri protagonisti si armonizzano perfettamente, ruotano attorno a lui mantenendo la loro identità. Tutta la storia regge, si dipana senza alcuna pausa, intriga, coinvolge.

    Braca Giorgia

  138. @massimo
    archeologhe quante ne vuoi. solo che non ho capito chi hai chiamato in causa e dove. Cliccando il collegamento non è attivo

    @salvo
    a parte quello… salvo santo subito!

  139. Cara Giorgia, quella sulle archeologhe era una battuta… adesso, però, non ne ricordo più né il motivo né l’origine.
    (Mi sto riducendo come un pezzo d’antiquariato, lo so…):-)

  140. Oggi sciopero.
    A volte mi prende uno strano scoramento. I ragazzi non sono a scuola – volesse Dio che fossero tutti a manifestare! – , noi proff ci aggiriamo come anime in pena tra aule vuote e sala professori. Com’è triste una scuola senza alunni… un cimitero è più allegro.
    Balletti annunciati: tagli, riforma al solito piovuta dall’alto per giustificare i tagli ma travestita da innovazione didattica e pedagogica, noi che siamo coi gessetti mentre 10000 LIM – lavagne elettroniche interattive multimediali… – iniziano ad invadere le aule italiane (domanda: le compreranno coi soldi risparmiati non pagando le supplenze? Cui prodest? Chi ci guadagna? Con tutto l’amore per le nuove tecnologie, e chi mi legge lo sa, i ragazzi hanno bisogno di educatori, di persone che li aiutino a crescere, non basta riempirli di gadget come già fanno i genitori…). E intanto la scuola va allo sfacelo. Non parliamo dell’Università.

  141. Massi,
    🙂
    Stamattina – mi sembra un diario di scuola questo post, e mi piace anche per questo – Grammatica e Antologia, quindi la metrica, le norme della sintassi… e pensare che qualcuno vorrebbe bandire lo studio sistematico della grammatica in favore dell’antologia – leggi ANALISI DEL TESTO, più che lettura diretta dei testi – .
    Gli aspetti normativi, regolativi della grammatica sono fondamentali a mio vedere: in un mondo che non ha più paletti forse solo le grammatiche danno delle leggi (non certe, sicuramente soggette a cambiamenti visto che la nostra lingua è viva, grazie a Dio vivissima).
    Insegnano ad analizzare, a riflettere, classificare, manipolare l’oggetto lingua. Perché no, anche a giocare.
    Eco lo dice, mica io: stiamo perdendo le grammatiche (dei mestieri, delle lingue, di tutto ciò che si fa e che quindi è soggetto a delle procedure, a norme leggi precetti).
    Stamattina anche regole di metrica, rime, poi versi in libertà e poesia grafica (e vai col futurismo).
    Latino in prima (analisi logica, la prima declinazione, il Latino è una palestra di deduzione induzione analisi sintesi traduzione… ), Storia (il Paleolitico, non esistono razze umane, vai coi fossili, la scoperta del fuoco, Prometeo e il mito)… Dalle otto all’una così, compresa la compilazione dei registri, hiacchierata per i corridoi e le scale con i colleghi, una visitina alla toilette e un caffè, l’acqua in bottiglietta sulla cattedra.
    UNA PROF. FANNULLONA E ORGOGLIOSA DI ESSERLO

  142. Cara Maria Lucia,
    il mito di Prometeo è uno dei più belli e per secoli ha illuminato il mondo. Adesso, però, il fuoco che lui donò agli uomini si è molto affievolito e resiste solo per quei pochi che cercano di alimentarlo. Il mito che per gli antichi era essenziale, adesso è considerato solo una favoletta e si è perso il filo che Arianna diede a Teseo. Gli antichi greci avevano capito tutto. Avevano trovato una spiegazione per tutto attraverso l’osservazione, il mito e la filosofia. Quando sento le grandi idee che oggi vengono alla luce, sorrido pensando che i greci, come al solito, ci avevano già pensato e avevano trovato la soluzione. Sarò all’antica, ma ribadisco l’importanza della cultura e oggi non c’è cultura senza lettura. Il periodo della grande tradizione orale è finito, ora c’è il libro. La cultura dell’immagine è importante e affascinante, ma per me è solo un supporto. Non posso pensare alla grande delusione che provavo ogni volta che vedevo un film tratto da un romanzo, anche se il film era realizzato nel migliore dei modi. Per un periodo ho rifiutato di vedere film tratti da romanzi che avevo letto, poi pian piano sono tornata sui miei passi, ma il discorso che mi faccio prima del film è sempre lo stesso: dimentica il romanzo, questo è un’altra cosa.
    Ciao Maria Rita

  143. Ciao cara, concordo con te…
    🙂
    Essere moderni vuol dire accettare le sfide del nuovo ma radicati a ciò che di valido ci ha lasciato il passato. Siamo nani sulle spalle di giganti!
    I nuovi media sono degli strumenti meravigliosi, ma quando dei ragazzi abituati a tutte le diavolerie tecnologiche ti ascoltano raccontare un mito antico capisci che hanno fame di storie, di verità antiche, di cultura vera.

  144. Ciao Maria Lucia,
    hai detto bene. I ragazzi hanno voglia di ascoltare i miti antichi e hanno voglia di sapere il perché di tante variazioni sullo stesso mito e perché spesso nello stesso mito il finale cambia. Il racconto affabula, la poesia in linea di massima viene accolta con più freddezza, tranne che da quei pochi che sono già poeti e ancora non lo sanno o che non saranno mai poeti, ma sanno cogliere l’ineffabile, il palpito, la parte più profonda del respiro poetico. Sono i sensibili. Sono quelli che poi, a mio parere, nella vita sceglieranno professioni che sorprenderanno loro stessi.
    Buonanotte Maria Rita

  145. Vi avevo anticipato che avremmo avuto come ospite Giovanna Bandini, nel duplice ruolo di docente di italiano e latino (nonché membro della Missione archeologica italiana “Tempio Flavio” a Leptis Magna) e scrittrice.
    Giovanna interverrà in questi giorni (a partire da domani, credo…).
    Intanto la introduco…

  146. Giovanna Bandini è nata a Roma nel 1968. La passione con cui il padre le legge, fin da quando era piccola, le poesie dei crepuscolari e i racconti di Borges, le fa nascere il desiderio di dedicare la vita alla scrittura. Nel 1997 è tra i vincitori del primo concorso di poesia dedicato ad Amelia Rosselli. L’esordio come narratrice è però del 2000 con il romanzo Nudo di ragazza, a cui seguono Giorni dispari (2002), Lettere dall’Egeo (2003) e, per la Newton Compton, Il bacio della tarantola (2006). Oltre che scrittrice, è docente di italiano e latino e membro della Missione archeologica italiana “Tempio Flavio” a Leptis Magna.
    http://www.newtoncompton.com/index.php?lnk=301&id_n=1411&par2=b

  147. Bianca, una giovane e bella professoressa che conserva un ricordo limpido e allegro dei suoi anni di liceo, fa il gioco di “ora e allora” e confronta il suo passato di studentessa in un antico ginnasio di Roma con il suo presente di insegnante precaria in un istituto gestito da una preside-manager. Il contrasto è impietoso, quasi tutto a sfavore del presente, e la poco più che trentenne Bianca sembra una professoressa di vecchia data. Ma qualcosa accade e per lei il gioco rischia di farsi pericoloso. La linea d’ombra è sottilissima, basta un nulla per precipitare nei buchi della memoria e credersi ancora nell’età sfrontata del primo amore. L’incontro con Allan, alunno ribelle, mette in crisi le sue certezze e il suo stesso ruolo, costringendo Bianca a fare i conti con una spina che da molto tempo le graffia il cuore. Finita in una classe dove le ragazze si ritoccano il trucco, i ragazzi parlano di calcio, i colleghi oscillano tra il depresso e il furioso, Bianca cercherà di trovare uno spiraglio nel disagio arrogante degli adolescenti e nella sua stessa crisi sentimentale. Fra vecchi bigliettini e moderni sms, studentesse al limite dell’anoressia, antichi compagni di classe e nuovi legami, “Lezione d’amore racconta una scuola in cui la voce dello studente e quella del professore si scoprono talmente vicine da diventare una cosa sola”.

  148. Sul sito di Fahrenheit il romanzo è introdotto così:
    Quand`è che una giovane professoressa smette di pensare a se stessa come la studentessa che è stata ed entra definitivamente nel “ruolo”? A leggere il nuovo romanzo di Giovanna Bandini, insegnante anche nella vita reale, probabilmente mai. Una difficoltà che si rivela, per la supplente Bianca Bianchi, arma a doppio taglio: da un lato l`avvicinerà al modo di pensare dei suoi giovani allievi, dall`altra la metterà nei guai quando uno studente particolarmente intelligente (e particolarmente intraprendente) s`innamorerà perdutamente di lei. Sullo sfondo della “lezione d`amore” che ne scaturirà, il pianeta scuola con le sue aberrazioni ma anche con il proprio straordinario portato di umanità, in un libro che si inserisce con originalità nell`onda lunga della letteratura “in classe”.

  149. Ecco… mi piace la domanda posta all’inizio della presentazione sopra riportata (commento precedente).
    La rivolgo a tutte le insegnanti che passeranno da qui (a partire da Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi).
    Quand`è che una giovane professoressa smette di pensare a se stessa come la studentessa che è stata ed entra definitivamente nel “ruolo”?

  150. Nel romanzo è come se la protagonista si sdoppiasse: mentre insegna si ricorda della “sua” scuola.
    È come, cioè, se Bianca non si fosse liberata del suo status di studentessa…

  151. La domanda di cui sopra la rivolgo anche a te…
    Quand`è che una giovane professoressa smette di pensare a se stessa come la studentessa che è stata ed entra definitivamente nel “ruolo”?

  152. E ancora…
    La scuola può essere un’isola felice in cui si trasmettono valori, può sopperire a una società, che spesso presenta situazioni e realtà inammissibili in un contesto civile?

    Possiamo ancora formare i giovani o la scuola è diventata solo un luogo in cui si trasmettono saperi che poi, date le circostanze sociali, non si convertono in valori morali?

  153. ciao massimo!
    e ciao anche a maria lucia, maria rita, giorgia, salvo, mela, francesca giulia… che bel “lavoro” che state facendo! mi fate venire in mente, no è più un improvviso affiorare sulla pelle, ecco: come un brvido dietro la nuca, la fine della poesia di Borges “I giusti”:
    “…tutte queste persone, che non si conoscono, stanno salvando il mondo.”
    leggere certe parole, sentire tanta passione per la scuola e la cultura (che per me sono una specie di endiadi: scuola della cultura, cultura della scuola, nonostante la battuta di Mark Twain “Non permetterò alla scuola di intralciare la strada della mia cultura”! che al ginnasio io con arroganza sbattei in faccia ad una esterrefatta professoressa di lettere perché ci volevo litigare!!) mi ha fatto venire un caldo dentro, mi ha riacceso la convinzione profonda che nutro da quando -dieci anni fa- ho cominciato questo “mestiere”: la scuola è (o almeno può essere) qualcosa di meraviglioso, un’isola di bellezza nel mare nero -sempre, sempre più nero- che andiamo attraversando.
    io sono stata (e mi sento tuttora) fortunata.
    non volevo insegnare, non volevo proprio saperne (“brava, siamo i migliori! noi che non volevamo insegnare siamo dei prof fantastici!”mi confortò una empatica collega) mi sognavo ricercatrice e scrittrice, vedevo la scuola “dall’altro lato” come una temporanea condanna ai lavori forzati che avrei accettato, solo in nome di quel sogno, per una ragione economica e civile: mantenermi ma essere anche utile alla società, “pagandomi il lusso” di quei lavori da venditrice di fumo come la ricerca universitaria e la scrittura.
    alla mia prima supplenza (dopo sei -6- anni che ero iscritta nelle graduatorie del Provveditorato, quando ormai non ci pensavo neanche più) ho incontrato delle classi fantastiche, ed è l’esperienza che racconto (o meglio una di quelle che racconto) in “lezione d’amore”.
    ma forse dovrei dire semplicemente che ho incontrato le classi.
    ho incontrato gli studenti, i ragazzi, loro.
    dal primo giorno mi hanno catturato e sono stata “loro”.
    è stato straordinario, inebriante. tanto doloroso non essere più dalla parte del banco quanto eccitante essere l’insegnante giovane così vicina a loro. e scoprire dal primo giorno che ce la potevo fare, che mi piaceva farcela.
    il privilegio di vedere quelle vite crescenti come lune.
    me ne sono innamorata.
    quando ho letto della collega a cui viene da piangere leggendo caproni con i suoi alunni/e… ho pensato subito a uno dei primi giorni di scuola di quest’anno con i ragazzi della seconda liceo che non riuscivo quasi ad andare avanti dopo la prima quartina di “solo e pensoso i più deserti campi” di petrarca perché mi veniva un groppo alla gola… e poi alla settimana scorsa, quando abbiamo riletto (io per l’ennesima volta, loro per la prima) “in morte del fratello giovanni” e ho chiesto -essendomene accorta come se lo vedessi per la prima volta- ” ma secondo voi perché qui foscolo usa tanto la sineddoche, la figura retorica con cui si usa una parte per indicare il tutto?” e alessio mi ha risposto “beh, secondo me perché anche foscolo si sente una parte ora che il fratello è morto perché il tutto non c’è più”… mi si sono drizzati i peli sul collo, lo volevo abbracciare, mettergli nove e promuoverlo subito in terza.
    e mi sono sentita una privilegiata.

    sono le undici, domattina c’è scuola… continuo domani o dopodomani anche perché non ho risposto a nessuna domanda!
    grazie massimo,
    giovanna

  154. Giovanna,
    grazie per quello che ci hai raccontato… a parte la tua carriera di archeologa (come mi piacerebbe assistere a uno scavo!) abbiamo molte cose in comune! Anche io insegno da dieci anni, da quel 1999 che ha cambiato la mia vita.
    Anche io mi sentivo – a volte mi sento – ricercatrice e scrittrice più che docente. Anche io a volte stento a liberarmi dalla studentessa che sono stata per calarmi – sì, calarmi, piegarmi, con umiltà, fatica, senso del dovere – nel ruolo. Anche io amo Borges e quando leggo quella poesia sui giusti la vista si appanna.
    Massimo, o la scuola trasmette valori civili e morali o non è scuola ma saperificio.
    Stamattina Quasimodo, “Uomo del mio tempo”. Le mie ragazze l’hanno apprezzata e capita e ci hanno trovato più cose di quelle che ci avevo letto io quando la studiai per la prima volta.
    Sinalefe sineddoche, endecasillabi, ictus in sesta posizione… si divertono a fare metrica.
    Domani Manzoni.
    Le ho invitate a scrivere, vedremo!

  155. Caro Massimo,
    quando ho cominciato a insegnare ero talmente felice di aver realizzato il mio sogno, che mi sono sentita subito professoressa. L’insegnamento è un lavoro che ti dà poche soddisfazioni economiche, questo lo sappiamo, ma ti dà molte soddisfazioni a livello umano. A volte incontrare un ex alunno o un ex alunna che ti ferma, ti sorride e spesso ti ringrazia per quello che gli hai insegnato è un piacere tale dell’anima “che intender non lo può chi non lo prova”.
    Cari saluti Maria Rita Pennisi

  156. Cara Maria Lucia,
    che piacere è per me leggere parole che condivido. Poco fa avevo scritto un pezzo piuttosto lungo sul mio concetto di scuola e di insegnamento, ma evidentemente ho sbagliato qualcosa nell’invio, perchè non è giunto a destinazione. Comunque corrisponde esattamente a quello che dici tu.
    Baci Maria Rita

  157. @ Giovanna Bandini
    Cara Giovanna, intanto benvenuta a Letteratitudine. Tu sei la prima di una serie di ospiti che penso di invitare in questo spazio co-gestito con le amiche Maria Lucia Riccioli e Maria Rita Pennisi.
    Grazie per lo splendido commento, cara Giovanna.
    Naturalmente aspettiamo tuoi ulteriori interventi… anche in merito al tuo libro.
    Prova a invitare i tuoi studenti a partecipare alla discussione, se possibile.
    😉

  158. Test semiserio per scoprire che tipo di insegnante sei

    1) Ti capita di arrivare a scuola in ritardo ?
    a) Sì, perché faccio le ore piccole in discoteca
    b) Mai.
    c) A volte, se incontro un collega sulle scale che mi parla della Gelmini
    d) A volte, se debbo aiutare una vecchietta ad attraversare la strada

    2) Come ti comporti se in classe hai un ragazzo difficile che presenta problematiche sociali ?
    a) Prendo a cuore le sue esigenze, mi metto dalla sua parte cercando di capire quello che prova
    b) Non mi pagano per sentire i problemi degli altri.
    c) Metto in atto le strategie di recupero che conosco, ma la scuola non cura gli squilibri sociali
    d) Mi adopero per trovare una soluzione praticabile per il caso individuale

    3) Accompagnare gli alunni a vedere un film è
    a) un modo per sensibilizzarli alle problematiche valoriali
    b) una perdita di tempo che ruba spazio alle lezioni
    c) un’occasione per vedere un film nuovo
    d) un modo per aiutare gli studenti a conoscere il linguaggio cinematografico

    4) Vai a parlare con il preside
    a) per convincerlo ad organizzare una commemorazione di De Andrè nella scuola
    b) per convincerlo ad istituire un nuovo corso di informatica e docimologia
    c) per avere la sua autorizzazione per raccogliere dei fondi in favore dei bambini del Darfour
    d) per chiedergli un permesso retribuito

    5) Se tu facessi parte della commissione gite proporresti di andare in Irlanda
    a) per far visitare una terra romantica e piena di miti
    b) per organizzare un corso di inglese meno costoso che in Inghilterra
    c) perché non ci sei mai andato
    d) per sensibilizzare gli studenti alle problematiche interculturali

    6) Quando un alunno ti fa una domanda non pertinente pensi che
    a) la prossima volta che ti interrompe lo mandi dal preside
    b) è un cretino perché non coglie il filo logico del discorso
    c) forse la stai facendo troppo lunga con la lezione frontale
    d) bisogna capirlo perché i suoi genitori si sono separati da poco

    7) Quando un alunno ti fa una domanda cui non sai rispondere pensi che
    a) era meglio che andavi ad allevare buoi in Argentina
    b) è ora di cambiare discorso, aspettando il suono della campana
    c) hai seminato bene, istillando la curiosità intellettuale nei tuoi alunni
    d) la tua preparazione è un po’ datata e devi rimetterti a studiare

    8) Il G8 è
    a) l’incontro dei capi dei paesi più ricchi del mondo sordi ai problemi dei paesi poveri
    b) l’incontro dei capi dei paesi più ricchi del mondo
    c) l’incontro dei capi dei più evoluti paesi del mondo per risolvere i problemi di tutti
    d) un modo simpatico per dire Giotto

    9) Maria Stella Gelmini è
    a) l’altra faccia di Brunetta
    b) il ministro della Pubblica Istruzione
    c) la nipote di Don Gelmini
    d) un avvocato che non sa niente di scuola

    10) Dove vorresti andare in vacanza ?
    a) A Seattle, in pellegrinaggio alla Microsoft
    b) Nel Sahel, a combattere la desertificazione
    c) Ai Caraibi, per ballare latino-americano in spiaggia
    d) In Chapas, a conoscere il SubComandante Marcos

    11) Scegli uno di questi quattro film
    a) Fuga per la vittoria
    b) Lo squalo
    c) L’attimo fuggente
    d) Meri per sempre

    12) Scegli uno di questi quattro personaggi
    a) Don Chisciotte
    b) Don Lurio
    c) Don Bosco
    d) Don Milani

    13) La disciplina è
    a) una delimitazione artificiale di una porzione di sapere
    b) il comportamento adeguato che mi attendo dagli studenti
    c) una categoria organizzatrice in seno alla conoscenza scientifica
    d) la materia che cerco di insegnare

    14) L’insegnante dovrebbe
    a) sperimentare di più
    b) avere una buona carriera selettiva
    c) impegnarsi di più
    d) guadagnare di più

    15) Scegli uno di questi quattro titoli di romanzi di Milan Kundera per definire la scuola italiana
    a) L’identità
    b) La lentezza
    c) L’ignoranza
    d) La vita è altrove

    16) Il maggior pericolo per un insegnante è
    a) l’appiattimento
    b) la noia
    c) la povertà
    d) la depressione

    17) Collaborare con i colleghi è
    a) bello
    b) impossibile
    c) una perdita di tempo
    d) necessario

    18) Un insegnante deve soprattutto
    a) portare a casa la pagnotta
    b) aiutare a costruire un metodo critico di studio
    c) trasmettere e testimoniare valori
    d) trasmettere conoscenze e competenze

    19) La prima cosa da fare in una nuova classe
    a) stabilire un contatto intellettivo
    b) fare capire chi comanda
    c) stabilire un contatto emotivo
    d) presentare il piano di lavoro

    20) Ti piace un’aula
    a) attrezzata di computer collegati ad internet
    b) che non abbia pareti ma alberi
    c) piena di pargoletti festanti
    d ) vuota, dopo che è suonata la campana dell’ultima ora

    21) Sei contento del tuo stipendio ?
    a) No, perché non riesco a comprare i libri che voglio leggere
    b) No, perché debbo chiedere soldi a mio marito per i gioielli, la palestra e gli abiti firmati
    c) No, perché non riesco ad inviare soldi sufficienti per le adozioni a distanza
    d) No, perché non riesco a pagare le rate della Mercedes

    22) L’insegnante è
    a) uno che sa
    b) un istruttore e trasmettitore
    c) un educatore e formatore
    d) un organizzatore e facilitatore di situazioni di apprendimento

    23) Il Liceo classico è
    a) la scuola che eleva i cuori e rafforza le menti
    b) la scuola che ho fatto e mi ha spinto a fare l’insegnante
    c) la scuola non selettiva ma dei selezionati
    d) una scuola da riformare con più inglese, informatica ed impresa

    24) La tua giornata è scandita
    a) da orari precisi e da regole imposte
    b) da interessi divoranti e da momenti di meditazione
    c) da orari precisi e regole autoimposte
    d) da momenti di entusiasmo e cali di umore

    25) La tua classe è
    a) seria e composta, in genere preparata sul piano delle nozioni
    b) vivace e curiosa, non sempre disciplinata
    c) affettuosa e giocosa, non sempre disciplinata
    d) fredda e distante, di solito disciplinata

  159. Come si legge il test

    1 aR bP cS dM
    2 aM bR cP dS
    3 aM bP cR dS
    4 aS bP cM dR
    5 aM bP cR dS
    6 aR bP cS dM
    7 aR bM cS dP
    8 aM bS cP dR
    9 aM bP cR dS
    10 aP bM cR dS
    11 aR bP cS dM
    12 aP bR cM dS
    13 aS bR cP dM
    14 aS bP cM dR
    15 aM bS cP dR
    16 aP bS cR dM
    17 aM bP cR dS
    18 aR bS cM dP
    19 aS bR cM dP
    20 aP bS cM dR
    21 aS bR cM dP
    22 aR bP cM dS
    23 aM bR cS dP
    24 aR bS cP dM
    25 aP bS cM dR

  160. Profili

    R
    Insegnante per ripiego
    Ti trovi a svolgere il mestiere di insegnante un po’ per caso, ma, soprattutto, per “necessità”. Tuttavia la cosa non deve preoccuparti particolarmente perché la maggioranza dei docenti italiani è nella tua stessa condizione. A volte ti sforzi di individuare quale sia stato il momento in cui hai scelto, ma non vi riesci, per la semplice ragione che non vi è mai stato. In realtà ti sei trovato come su un nastro trasportatore che alla fine si è fermato all’interno di una scuola. Subito dopo qualcuno ti ha detto di scendere e di entrare in un’aula ad insegnare e tu lo hai fatto, spesso con buoni risultati.

    M
    Insegnante missionario
    Fai parte di una sempre più esigua pattuglia di insegnanti che hanno scelto questo mestiere perché intendevano migliorare il mondo attraverso la diffusione della cultura. A volte ti sei trovato impegnato in “missioni” difficili da portare a termine, rimediando con l’ottimismo della volontà e la forza delle emozioni alle tue carenze strutturali nel campo della didattica, ma ci sono stati momenti in cui anche a te sono cadute le braccia. Sei pronto a comprendere più che a riprendere; sei incline più al gioco e all’improvvisazione che alle astruserie della docimologia.

    P
    Insegnante professionista
    Ti manca tanto una vera carriera dei docenti; la figura intermedia della “funzione-obiettivo”, probabilmente, è stata pensata per gratificarti e non farti fuggire dalla scuola. Consideri l’insegnamento solo il primo gradino nella carriera di Dirigente Scolastico o di Ispettore. Sei competitivo e ti urta sapere di essere pagato allo stesso modo di migliaia di ignoranti e scansafatiche che non possiedono alcuna competenza didattica e culturale. Sei sistematico e le tue classi, in genere, sono molto composte e preparate. Non sai spiegarti il perché di tanta ostilità intorno a te.

    S
    Insegnante sperimentatore
    Possiedi delle affinità con l’insegnante missionario, ma sei molto più pragmatico ed aperto agli studi di psicologia dello sviluppo. Sai che l’apprendimento è un momento attivo del discente ed il processo conoscitivo è il frutto di un lavoro di costruzione e ricostruzione di mappe mentali e che quindi l’insegnante deve essere, soprattutto, un organizzatore di situazioni di apprendimento. Detto questo, non sei un fanatico della didattica, che non consideri una scienza esatta, ammesso che ce ne sia una. Ti piace spiazzare gli alunni, aprendo nuove prospettive e stimolandone il pensiero divergente.

  161. Carissimi
    vi ho inviato un test semiserio per docenti, è solo un giochino. Divertitevi a rispondere alle varie domande a risposta chiusa per scoprire che tipo di insegnanti siete.

    Un giocoso saluto

  162. eccomi di nuovo ragazze/i
    ci sono delle domande importanti che mi aspettano (anche se non sono 10!) e non voglio farle aspettare ancora!
    posto che per me scrivere è un’esigenza in sé (ci ho messo una decina d’anni per capirlo, che ho bisogno di scrivere, e il COSA scrivo è solo la causa esterna, ma in realtà la situazione è rilevante solo in quanto fa risuonare e smuove la causa interna, il mio daimon, la scrittura) il libro “lezione d’amore” è nato dallo schock positivo ma anche un po’ doloroso di tornare a scuola… dall’altro lato!
    è stata un’esperienza talmente forte da spingermi prima di tutto al recupero -nella memoria- della mia storia di studente, al confronto da un lato con il modo di essere studenti nel duemila e dall’altro al mio nuovo status (?) ruolo (??) di insegnante; e poi a costringermi a riversare il diario di quell’ “anno vissuto pericolosamente” subito su carta l’estate dopo averlo vissuto (1999), per mettere ordine in quel caos che mi aveva attraversato -e, ancora non lo sapevo, avrebbe continuato a farlo.
    così è nato il libro, o meglio la prima metà circa, quella dove predomina questo gioco del doppio filo passato da studente indomita/presente da domatrice di studenti.
    come faccio sempre -sempre- con i libri, ho lasciato il manoscritto (tre quaderni) lì a sedimentare per anni, come se le parole nel tempo potessero affinarsi come il vino, chissà.
    poi, una volta entrata ufficialmente -e inaspettatamente- nel ruolo (concorsone del 1999, ingresso in ruolo nel 2000/01, è accaduto qualcosa di ulteriore: non avendo più supplenze, frammenti di tempo nelle classi, ma anni interi, ho visto loro, i rgazzi e le ragazze, più in profondità, al di là della loro condizione di studenti; ho imparato a leggerli dentro (certo non tutti, ma molti sì) a vedere in controluce i loro malesseri (tanti, a volte terribili) e le loro felicità (rapidissime, infuocate, effimere), sempre espressi -anche quando trattenuti, con una sincerità che disarma, almeno disarmava me.
    io ero del tutto impreparata ad affrontare i precipizi dell’anoressia o condizioni mentali borderline, o testimonianze d’amore commoventi.
    come reagire? questo nessuno me lo aveva mai insegnato (ma nessuno mi aveva nemmeno mai insegnato ad insegnare) dovevo ricorrere alle mie risorse, al pozzo senda fondo del cuore umano. ecco, nella seconda parte del libro racconto in parte come ho reagito, e in parte come avrei voluto reagire, visto che il bello della scrittura è ri-costruire la realtà, anche quando si parte da quello che sembra un fedele racconto di essa, come un diario.
    la seconda metà del libro è molto più piena degli studenti che di me, e di questo non posso che essere felice, mi sembra un’evoluzione compiuta nell’arco di un racconto, come fosse -e in parte è- una storia di formazione, anche mia.
    adesso con lo sguardo all’indietro mi viene da sorridere al vedere come il mio grande affannarmi ad aiutare i ragazzi/e, a cercare di “salvare” o almeno risolvere o migliorare un po’ la loro vita, si risolva invece nel fatto che sono moltissimo anche loro che aiutano me, tirandomi fuori -senza sapere di farlo- dai fossi dove mi vado acquattando (come gli scrittori si compiacciono di fare).
    il bello è che questa è la risposta -e solo parziale- alla prima domanda…
    ora è ora di entrare nel terzo canto del paradiso e addormentarsi con dante (leggetela come volete questa, per me naturalmente l’accezione è positiva) a guida dei sogni: ora toccherà pure a lui fare da guida a qualcuno… o no?!
    a domani, dopodomani, giù di lì,
    buona settimana a tutti!

  163. Carissimi,
    mi scuso per la lunga assenza, ma ho avuto ed ho ancora degli impegni di lavoro che mi occupano fino a sera.
    Ringrazio Giovanna per il suo intervento in cui ha gentilmente risposto alla mia richiesta di saperne di più sul suo libro.
    Comunque, cara Giovanna, io ho già ordinato il tuo libro e quindi presto ne saprò di più in maniera diretta.
    Saluto tutti a presto. Maria Rita

  164. Cara Maria Lucia,
    presumo che anche tu abbia, in questo momento, i miei stessi impegni di lavoro. Mi mancano la tua saggezza e la tua ironia. Fammi sentire presto la tua voce.
    Ti abbraccio affettuosamente. Maria Rita

  165. Tutta la mia solidarietà alla collega Giorgia Lepore che, come me, sta navigando nel tempestoso mare della scuola abbarbicata ad un relitto! Su tutti gli altri post è calata una nevicata di zucchero a velo proveniente dal “Cuore”demiacisiano, peraltro ampiamente citato.

  166. Mi scuso per la mia assenza ma la scuola e impegni vari mi hanno travolta…
    Maria Rita, mi manchi anche tu!
    Maria Grazia, a volte è difficile davvero. Dura. Specialmente quando si parla di approvare leggi che imbavaglino i sindacati della scuola, che comunque non s’ammazzano di fatica già adesso e non temo di affermarlo perché è la verità.
    Giovanna, grazie delle tue parole. Mi ritrovo nel tuo sperdimento di fronte a certe problematiche… chi ci ha insegnato ad insegnare? Ma chi d’altra parte ci insegna ad amare? Insegnare è venire incontro all’altro, farsene attraversare, ed è questo che attrae e spaventa nel nostro “lavoro”.

  167. @maria grazia
    grazie, cara. ricambio la solidarietà, e, e come si dice, mal comune mezzo gaudio. O invece in questo caso il relitto è troppo piccolo e rischiamo di andare a fondo tutti quanti? mah…
    ma tu in quale zoo fai la guardiana? 🙂

  168. Diciamo che io lavoro in un ovile… le mie caprette frequentano il “Marco Fabio Quintiliano”, che è un Liceo Polivalente, un Socio-Psycho-Pedagogico con 4 indirizzi: Classico, Linguistico, Scientifico-Tecnologico, Scienze sociali dove ci sono io…
    🙂
    Io sono una pastorella, una Heidi che lavora nella stessa scuola dove si è diplomata… il primo giorno avevo soggezione ad entrare in sala proff!

  169. ah, carine, le caprette… io spazio dal gallinaio (liceo classico a frequentazione prevalentemente femminile con qualche gallo capitato per caso) alla riserva di scimmie urlatrici dell’amazzonia (itc) ad una esigua colonia di carini lentigradi (alberghiero).
    insomma, ce n’è per tutti i gusti…

  170. Rispondo a Giorgia Lepore sullo “zoo”: io sto in una scuola media del litorale romano, ma i miei alunni non hanno l’espressione incuriosita delle capre selvatiche che ho visto saltellare su una spiaggia di Itaca. Piuttosto mi fanno pensare a branchi di facoceri che scorrazzano nella pineta di Castelfusano…io più che Heidi mi sento Tarzan…quello depresso di una arcinota pubblicità di biscotti! Mi rendo conto che il mio arazzo non è granché bucolico, del resto non riesco a sentirmi a scuola come in Arcadia. Ciao cara collega, fai buona guardia!

  171. Maria Grazia
    tu tarzan io jane… i facoceri che stanno nel film del re leone… e l’arcadia non era la nave spaziale di capitan harlock?
    🙂 🙂
    non ti deprimere troppo!

  172. Le insegnanti siete la rovina dell’Italia. Fa bene Brunetta a tenervi sotto mira. Sia benedetto quell’uomo.

  173. Per tornare seri: credo che l’insegnante – fede a prescindere – sia come il buon pastore, che conosce e ama le sue pecorelle una per una. Loro conoscono la sua voce e la distinguono – dovrebbero – da quella dei lupi e dei falsi pastori che non entrano nell’ovile dalla porta ma cercano di scavalcare (meno male che la staccionata è alta e qualcuno non ci arriva… :-)).
    Il pastore dovrebbe giungere a dare la vita per le sue pecore, o almeno il meglio di sé.
    Mi è rimasto impresso quel professore, credo rumeno, scampato ai campi di concentramento, che durante una di quelle recenti stragi folli degli atenei americani si è fatto uccidere per permettere ai suoi studenti la fuga.

  174. maria lucia, sto facendo un sondaggio tra le mie classi sull’argomento crocifisso in classe. a breve darò i risultati… però le premesse sono abbastanza sconfortanti.
    ti volevo proporre la stessa cosa: non per tirare fuori quelle che sono le nostre opinioni in merito, ma per capire cosa passa in testa ai ragazzi e perchè.

  175. Carissimi,
    scusatemi per l’assenza, ma chi insegna sa che questo è il periodo dei Consigli di Classe e di moltissimi altri impegni scolastici. Saluto tutti con simpatia. Leggo che si è parlato sul nostro blog della questione crocifisso nelle scuole. Se posso dire la mia, mi sembra una delle solite manovre per distogliere l’attenzione dai problemi reali. Il crocifisso è sempre stato in tutte le aule di tutte le scuole. E’ una presenza confortante, una nostra tradizione e penso che non possa creare fastidi. Quei pochi che si infastidiscono cercheranno di abituarsi, dato che tante nella vita sono le cose che ci infastidiscono e alle quali ci abituiamo. I problemi reali sono i posti che si perdono e si perderanno, i colleghi precari che già da oggi hanno seri problemi lavorativi, il sostegno che è stato ridotto creando grandissimi disagi a insegnanti, alunni diversamente abili e famiglie, il pensionamento delle donne a 65 anni di età, che non tiene conto che la donna, oltre all’insegnamento, ha la famiglia, la conduzione della casa e spesso genitori anziani cui badare e non tutti hanno la mentalità di mandarli in casa di riposo o mantenergli un badante. Vogliamo poi parlare di quando siamo malati? Veniamo a perdere dei soldi e siamo costretti a tutte quelle ore di attesa del medico fiscale senza potere riposare un momento, dato che la maggiorparte di noi è sola, perché anche gli altri familiari sono al lavoro. Viene violato il diritto al riposo e al sonno che dovrebbe avere ogni malato, perché se ti addormenti e arriva il medico fiscale e non lo senti sono guai. Questi per noi sono i veri problemi, non divaghiamo.
    Maria Rita Pennisi

  176. Brava Rita…
    quando il popolo bue tenta di scrollarsi il giogo di dosso o inizia a vedere che il re è nudo, ecco pronto uno scandalo o un falso problema.
    Però c’è da dire che il crocifisso non è un arredo scolastico come la spugnetta o la lavagna. I nostri alunni notano le nostre incoerenze, le cose che facciamo tanto per farle, le contraddizioni. Questa questione può essere occasione di discussione su principi, valori, falsa laicità e vera ipocrisia.
    Guardare con occhi nuovi il crocifisso ridimensiona le questioni di lana caprina e aiuta a focalizzare le vere problematiche.
    Appesi a quel muro insieme a Gesù ci sono i diversabili e le loro famiglie, i precari e tutti coloro che lottano per una scuola migliore, mentre c’è chi ci giudica fannulloni e parassiti senza aver mai varcato la soglia di una classe.

  177. Carissime,
    insegno da 15 anni nella scuola media (inglese) in provincia di Napoli,con tutte le difficoltà tecniche, burocratiche,amministrative e chi più ne ha più ne metta (di difficoltà),però sono contenta quando entro in classe e gli alunni sorridono ,quando suona la campanella e dicono :”no è gà finita”; sono sicura che a fine anno scolastico non ho completato mai il “megagalattico”programma didattico dettato dal Ministro,perchè con 3 ore settimanale per 3 anni scolastici (e con i mezzi che abbiamo) non si può completare quel programma!!!!
    Questo perchè quando la scuola cerca di insegnare quei valori che purtroppo la famiglia non impartisce più,quando ti trovi ragazzi in classe che vivono il disagio di non averla per niente una famiglia e se ce l’hanno è una famiglia “stracciata”, diventi tutto fuorchè insegnante d’inglese (nel mio caso),però insegno qualcosa!!! A volte penso che tutto quel che di buono tento di costruire ( e come me,tanti insegnanti che hanno scelto questo mestiere non per “comodità”) crolla di fronte a mass media che vanno contro la buona educazione ed il semplice viver civile (non parlo di partiti politici e schieramenti)ma delle semplici regole del rispetto dell’individuo, del prossimo.I ragazzi sono influenzati da Tv,radio,giornali e tutto sembra andare in una direzione che non è quella più giusta.A scuola cerchi di dire che ci si può comportare diversamente, ma la realtà è ben diversa! Monica Sgaglione

  178. Cara Monica, grazie per il tuo intervento e per la tua testimonianza.
    Scrivi: “A volte penso che tutto quel che di buono tento di costruire (e come me, tanti insegnanti che hanno scelto questo mestiere non per “comodità”) crolla di fronte a mass media che vanno contro la buona educazione ed il semplice viver civile”.
    Hai ragione, ma io dico che dobbiamo continuare a crederci.
    Se riuscirai, con le tue parole, a incidere – anche nell’animo di uno solo dei ragazzi a cui insegni – il valore del sapere, dell’educazione e del vivere civile… avrai reso un grandissimo servigio a tutti noi.

  179. Caro Massimo,
    ti ringrazio per le belle parole di incoraggiamento. Ma è proprio il fattto che continuo a crederci che è la mia più grande soddisfazione.Spero di non “mollare mai”
    Buon lavoro e complimenti per la rubrica

  180. non ricordo il mio primo giorno di scuola ma ci sono due momenti che non dimenticherò mai: il giorno in cui, in II elementare, fui portata dalla maestra a dare un buon esempio di lettura agli alunni di V e lessi il brano dei “tre ragazzi e le mentine” ma anche il giorno in cui, arrivata in ritardo per colpa di mia madre, aspettavo desolata e disperata fuori dall’altissima e severa porta dell’aula, nel corridosio semibuio e silenzioso, sapendo che mi sarebbe toccata una sonora sgridata non appena la maestra (una suora) fosse uscita fuori. ricordo le mie prof di italiano delle medie e del liceo e ricordo di aver pensato – ascoltando la facilità e felicità con cui citavano “frasi di canzoni, libri ed aquiloni” (guccini) di voler essere come loro.
    ora sono un’insegnante. o meglio, come mi ripeto spesso, “faccio” l’insegnante: ci provo perchè ho scoperto che, nonostante tutto, mi piace, ma senza prendermi troppo sul serio. senza sentirmi una paladina della cultura. senza identificarmi in un “ruolo” che – anche nella mia esperienza di studente – può diventare la morte del dialogo, della comprensione, della curiosità intellettuale, della voglia di leggere e di studiare.
    voglio continuare a credere che il mio lavoro sia continuare a studiare delle materie che mi piacciono e, in questo modo, far capire ai miei alunni che c’è un modo di usare il cervello più faticoso ma anche più gratificante e dignitoso di quello che troppo spesso la società ci propone e ci richiede.
    sì, lo scoraggiamento a volte c’è (anche se insegno da poco), mometni in cui mi sembra di avere davanti degli alieni che parlano un’altra lingua, ma poi prevale la capacità, o la volontà, di “sognarli come ora non sono”, perchè – come scrive meravigliosamente danilo dolci – “ciascuno cresce solo se sognato”.

  181. grazie, claudia. dopo un pomeriggio intero di consigli di classe, avevo proprio bisogno di queste parole.
    🙂

  182. Monica Scaglione: bellissime le tue parole.
    Sono felice che arrivino testimonianze sincere come la tua, che fanno ben sperare. I nostri ragazzi hanno bisogno di una società meno stracciata. Noi abbiamo bisogno di giovani adulti meno stracciati.
    E possiamo provare a cambiare le cose a casa e a scuola, impegnandoci fino in fondo.
    Claudia, meravigliosa la tua citazione di un utopista come Danilo Dolci… abbiamo bisogno di una scuola che sogni, di ragazzi che sognino invece che lasciarsi invischiare nelle vite da incubo spacciate per paradisi dai falsi imbonitori, dai Mangiafuoco di oggi…
    CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO… sulle porte di ogni aula dovremmo incidere queste parole. Grazie, Claudia.

  183. grazie a voi! leggo vari blog che mi interessano, per un motivo o per l’altro, ma non avevo mai postato nulla. stavolta l’esigenza di condividere è stata troppo forte.

  184. Claudia, scrivi, condividi. Da Massimo ho imparato – e dagli altri cari amici di Letteratitudine – che mettere insieme le esperienze è l’unico modo per cambiare noi stessi e le cose.

  185. Cara Claudia, ti prego di continuare a intervenire. Per me la parola “condivisione” è magica. Ci credo con tutto me stesso. È una parola in disuso, forse considerata debole… perdente (così come il concetto di “buona educazione”… del “rispetto dell’altro”).
    Sto conducendo una battaglia per riportarli in auge (quella parola e quei concetti). Sono disposto a spenderci una vita per farlo. E ho bisogno dell’aiuto di tutti coloro che ci credono.
    Grazie anche a te, dunque.

  186. @ Claudio Morandini
    Parlaci un po’ di te, caro Claudio…
    Com’è insegnare in Valle d’Aosta?
    Quali, le difficolta?
    A tuo avviso (secondo una tua personale percezione) che differenze trovi ci siano rispetto ad altre parti d’Italia?
    (Mi riferisco soprattutto alla scuola, ovviamente…)

  187. Caro Massimo, risponderò molto volentieri alle tue domande (che sono anche le mie, quelle che mi pongo da più di venticinque anni…). Ma sono questioni che richiedono attenzione (anche se, appunto, ci rimugino da tutti quegli anni). Per ora, mentre preparo la cartella per andare a scuola, vi saluto e vi ringrazio tutti per questo spazio accogliente.

  188. Allora, si diceva…
    Insegno lettere in un liceo scientifico, l’unico della città, e non ho esperienza di situazioni da trincea – a parte certe antiche supplenze in istituti tecnici dell’inizio della mia carriera.
    Insegnare in Valle d’Aosta permette di lavorare senza dubbio in tranquillità, lontano da certe emergenze drammatiche con cui si scontrano quotidianamente molti colleghi delle scuole di quartieri a rischio, di licei della cintura urbana. Però si lavora in una sorta di bolla di vetro. Ciò che succede nel resto del paese (nelle scuole del resto del paese) giunge con un ritardo fisiologico, e resta ovattato. Credo poi che manchi da noi lo stimolo di una sana concorrenza da grande città (un solo liceo scientifico, come ho detto, e un solo classico, ecc.).
    Per il resto, i problemi sono gli stessi. Progressivo svuotamento di senso del ruolo del docente – agli occhi della società, e ai propri. Aumento preoccupante della parte burocratica, che per ora l’informatica non ha semplificato, ma ha solo moltiplicato. Confronto quotidiano con un impoverimento del linguaggio, con una percezione sempre più offuscata delle relazioni tra le cose, una visione sempre più orizzontale, cumulatoria, della realtà, con figure di riferimento sempre più estranee. Finisco per lavorare su questo. Sull’esercizio alla pazienza, per esempio, contrapposta al tutto-e-subito che sembra invece dominante oggi in quella facile scaletta di valori che molti giovanissimi e varie famiglie si portano dietro. Sull’esercizio alla complessità (e la complessità come ricchezza, come valore, non come ostacolo in nome di un presunto primato della semplificazione, o del semplicismo). Sull’importanza della chiarezza, della correttezza anche formale, contro l’approssimazione, il buona-la-prima.
    È curioso, ma quando scrivo mi muovo nella stessa direzione. Non vedo la scrittura come una terapia per curarmi dai guasti della scuola, ma come un completamento di quanto a scuola faccio come insegnante, anche se ovviamente pubblicare un romanzo non è fare lezione.
    (Non è tutto, amici, ma è un inizio: il tempo di raccogliere le idee, e tornerò a raccontarvi di me).

  189. Buongiorno! Posso condividere questo pensierino con voi?

    Chi insegna e insieme scrive sente uno sdoppiamento di ruoli che mi pare salutare: a scuola si mette nei panni del maestro; quando scrive torna in quelli dell’allievo (del discepolo? Posso usare questo termine desueto? Anche maestro, in effetti, lo è). Intendo dire che l’apprendistato dello scrittore (di quello consapevole, se non altro) non ha mai fine. I maestri sono lì, nei libri che continuiamo a leggere, su cui continuiamo a formarci una voce. Li abbiamo scelti noi, nel corso di anni, oppure siamo incappati nelle loro pagine per caso: ad ogni modo, ci hanno cambiato – continuano a cambiarci, anche se li immaginiamo sempre un po’ insoddisfatti di noi. È una salutare lezione, che smentisce l’opinione corrente – diffusa presso certi colleghi, ahimè, che non scriverebbero mai, se non verbali – l’opinione, dicevo, che chi scrive, e ha la ventura di essere pubblicato, metta su una boria da nouveau riche. In realtà scrivere, e rivestire il ruolo dell’allievo perenne, aiuta a riscoprire un po’ di umiltà, e tutto sommato a sentirsi solidali con gli allievi veri. I loro errori, per chi scrivendo è addestrato a scoprire i propri refusi (non finirò mai di sorprendermi di tutte le sciocchezze, le incongruenze che sopravvivono a riletture anche accanite), sembreranno non meno gravi, ma meno colpevoli.

  190. Rieccomi! Per cominciare a rispondere all’ultima questione sfiorata nel mio intervento del 2 dicembre (la relazione proficua tra scrittura e insegnamento) vorrei riportare parte di una conversazione che ho avuto con Annalena Manca, insegnante e autrice di un bello, intenso e misterioso romanzo, “L’accademia degli scrittori muti”, pubblicato da Il Maestrale. (La versione integrale si può leggere sul mio blogghino, http://ombrelarve.blogspot.com/2009/05/sintonie-annalena-manca-2.htm).

    “C. Si avverte in molte pagine una sorta di impegno pedagogico, soprattutto nel carattere della protagonista, nel suo modo di porsi con gli altri. È un riflesso della tua professione di insegnante, o anche, come dire, una tua idea di letteratura?

    A. L’ho già detto, a me l’impegno piace, mi piace vedere le cose realizzate, anche se lavoro in un ambito in cui il metodo e la cura sono amministrati nella crescente indeterminatezza. Mi accorgo però che continuo a rigenerarmi non grazie al senso del dovere o alla soddisfazione del risultato ma in virtù della frequentazione di un mondo, quello creativo.
    Nella mia storia parlo di sopravvivenza, di salvaguardia di sé come nucleo anche disordinato ma libero. Parlo anche di una cosa che conosco altrettanto bene, che è la necessità pratica di gestire la propria esistenza in un terreno sociale che ha le sue regole, con le complicazioni che si verificano quando quelle regole non rispondono alla nostra visione.
    Sono convinta del valore civile dell’istruzione, vedo la lettura e la scrittura come alleati per dare relazione con sé e visione dell’altro. Le parole vanno dette, la cosa difficile è creare e mantenere con esse un rapporto che onori il senso di mistero generale che percepisco, anche il senso di impotenza e di indefinitezza. In questo senso non ho assolutamente la sensazione che quello che scrivo sia subito appropriato, né che però muoia alla nascita; non provo dispiacere alcuno nel separare da me i miei scritti. Non vedo l’ora che siano pronti perché qualcuno li legga. In questo senso, la poesia di Emily Dickinson A word is dead è la mia idea di letteratura, ma anche di lavoro.
    Teresa vuole offrire questa opportunità di istruzione ai ragazzi perché semplicemente, quella è stata la sua opportunità. Perché, da scrittrice, crede nel potere superiore della parola. C’è poco da fare, ognuno tende a insegnare quello che sa, anche se dovrebbe insegnare quello che non sa
    Maddalena ha avuto modo di elaborare un pensiero di livello diverso, sulla molteplicità delle chiavi offerte alle persone per realizzare la propria esistenza. Non è quel tipo di narcisista che vuole che i figli divengano artisti. È una persona cresciuta in cattività che desidera la libertà , propria e altrui, una libertà che non passa attraverso il lavoro, come per Teresa, ma attraverso il tempo. È attraverso il tempo che Maddalena si evolve come artista, che ritrova anche lo spazio, la formula visiva appropriata.
    Perciò, scrivendo o tacendo, la mia idea di letteratura non è altro che l’idea su quel che le parole e i fatti e le cose dischiudono o imprigionano. Le parole è appassionante cercarle, trovarle, e dirle, anche se ci si mette un mucchio di tempo”.

    A word is dead
    When it is said,
    Some say.
    I say it just
    Begins to live
    That day.
    (Emily Dickinson)

    Bene, per oggi è tutto. Mi aspetta un collegio docenti straordinario che prevedo caldo. Vi abbraccio
    cl

  191. Bravissimo, Claudio! Quello che pensi su noi “scrittori” come eterni allievi – e su questa nostra pratica come esercizio di umiltà – mi trova più che concorde… lo provo ogni giorno.

  192. Buongiorno! Per tornare sull’argomento, divagando anche un po’, lo ammetto, trascrivo alcune riflessioni (“Rimuginii”, era il titolo vero) che avevo “postato” (pardon) l’anno scorso sul mio blogghino. La scuola c’entra, mi pare: diciamo che se non avessi sviluppato, come insegnante, una certa sensibilità per certi aspetti della comunicazione e della trasmissione (di saperi, di valori) forse non avrei scritto queste cose.

    “Credo sia importante, oggi, per chi scrive, dotarsi di uno stile che si faccia carico delle complessità del mondo. Mettiamola così: uno stile complesso ha oggi (oggi!) una sua valenza pedagogica, e anche politica. Troppi si danno a presentare la semplificazione come una soluzione, la via più facile come la più giusta. Non è così, credo (credo, ritengo, spero: visto che opto per la complessità, non posso dirmi sicuro che sia solo così). La realtà è un intrico di cause ed effetti, cercarne un senso vuol dire sprofondare in strati e sottostrati di presenti e di passati; la letteratura, la buona letteratura lo fa: scava, rovista, mette sottosopra, mette un po’ di ordine, d’accordo, ma senza accontentarsi della soluzione più spiccia, stende uno sguardo sull’inestricabile molteplicità del tutto, divaga, si sofferma sulle zone d’ombra, si concentra con sgomento sul mistero (umano, terreno), sull’inesplicabile, esercita la strategia del dubbio (pedagogica anche questa, doverosa in tempi di eccessive certezze, o di fatue parole d’ordine spacciate come certezze), disattiva dogmi, sparpaglia luoghi comuni divenuti, per pigrizia o per calcolo, principi indiscutibili, alle parolone in quella neolingua violentemente povera oppone l’eloquenza fertile di un balbettio continuo, alla superficie della denotazione oppone (ci prova, via) le profondità della connotazione, ribatte agli slogan con argomentazioni che si perdono via via in lontananze indistinte. Lo fa con le parole: con tutte le parole che la logica semplificatoria di oggi vorrebbe dimenticare, quelle che rimandano a una visione obliqua, quelle che risuonano di echi, quelle che fanno pensare, che fanno rallentare nella lettura, che costringono a consultare un vocabolario. Lo fa con la sintassi: con la laboriosità dell’ipotassi, con la libertà straordinaria dell’ipotassi, che si spinge a scovare i legami tra i fenomeni, e che allo stesso tempo invita a pensare che quelli non sono gli unici legami, che ve ne sono altri, perché allora questi e non quelli? Lo fa con la vitalità di uno stile riconoscibile, non etichettabile: che può far nascere in chi legge la percezione di una visione soggettiva (una, accanto a mille altre), di un lavorio di mente alla ricerca della parola più giusta, o bella, di un pensiero (uno, accanto a mille altri) che racconta, attraverso le parole, la difficoltà di raccontare, di capire.”

    Ecco. Bello poter condividere con voi questi pensieri.
    Un caro saluto a tutti.
    cl

  193. I tuoi rimuginii, Claudio, sono veramente condivisibili. La cultura del tutto e subito e sul piatto d’argento, la comodità del sapere senza sforzo, lo studio facile (ossimoro: STUDIUM vuol dire fatica, applicazione…) devono essere sostituiti dalla cultura della complessità, hai perfettamente ragione. In questo anche la scuola pecca. Semplificando al massimo i contenuti, abbassando il livello. Parliamone.

  194. Ringrazio in particolar modo Orazio che mi ha dato modo di testarmi. Risulto un’ insegnante S, cosa che considero lusinghiera, anche perché la trovo rispondente al mio modo di essere nella scuola. Ma so di essere un’insegnante scomoda per molti. Ritengo utilissimo questo spazio di confronto. Un grazie sentito a maria Lucia e a Maria Rita per averlo aperto.

  195. Ciao Claudio,
    ho letto tutto quello che ci hai scritto e mi è piaciuto molto e in molte cose mi ritrovo. Anche io, come te, insegno in una scuola tranquilla e non ho grossi problemi di disciplina, di solito mi basta un’occhiata per tacitare i miei alunni più chiacchieroni e fino adesso non mi è mai capitato di dover ricorrere a nulla di scritto. Mi reputo molto fortunata. Per quanto riguarda l’insegnamento è vero che il livello si è abbassato, addirittura si parla di saperi minimi. Questo è molto triste, ma è la realtà. La nostra è una scuola che mortifica i migliori talenti. Purtroppo è così. Possiamo solo sperare in un futuro in cui si capisca che la scuola è fondamentale, che la scuola forma individui, che hanno in ogni caso il diritto di avere il meglio, perché i ragazzi si fidano di noi e vedono spesso in noi docenti un’ancora di salvezza e nella scuola un momento di aggregazione e di confronto. Non è vero che i ragazzi non vogliono fare niente e vengono a scuola, per scaldare i banchi. I ragazzi aspettano solo che il loro interesse venga stimolato. E soprattutto vogliono essere trattati, non come numeri, ma come persone con le loro fragilità, ma anche vogliono che ci accorgiamo delle loro capacità. Quante volte non sappiamo niente dei nostri alunni e ci accorgiamo solo in alcune occasioni che abbiamo davanti a noi un ottimo cantante o un ottimo musicista o un poeta?
    07.12.09 Maria Rita Pennisi

  196. Cara Maria Rita,
    emergo solo ora dalla revisione delle bozze, e mi scuso del ritardo con cui ti rispondo. Ha ragione, ci dimentichiamo (è un noi retorico, in realtà: io cerco di non dimenticarmi mai, come anche tu) della sensibilità dei nostri allievi; e invece dobbiamo vederli come persone, e persone complesse. A volte, con diversi allievi, ho l’impressione di essere il primo a farlo (ti parlo del primo anno di liceo, in particolare). In effetti la televisione si rivolge a loro come a dei promettenti consumatori, e null’altro, e i loro genitori continuano a trattarli come bambini. Arrivano in prima liceo, e di colpo (no, non di colpo: sono cose graduali, il loro adattamento richiede attenzione) ecco che ci si rivolge a loro come a dei grandi, dei futuri grandi cioè, dei professionisti dello studio.

  197. Ma non è solo questo: penso che il confronto con le profondità della letteratura (della grande letteratura, a patto che sia adatta alla loro età) possa affinare la capacità degli studenti di osservare la complessità del mondo (ma questo l’ho già detto) e possa soprattutto dare loro le parole giuste per raccontare ciò che hanno dentro e che non saprebbero esprimere. Funziona con noi tutti (la forza universale dei classici sta soprattutto in questo esprimere quello che siamo speriamo e temiamo in un modo che a noi non è concesso, ma che dopo la lettura diventa il nostro). Il rispetto degli studenti come persone, per me, passa anche attraverso queste immersioni in una ricchezza inesauribile di contenuti e di stili, di visioni del mondo; dopo anni di insegnamento, scopro cose nuove nei libri che affronto con i miei alunni: loro lo sentono, si accorgono di questo condividere con loro la sorpresa di sentir parlare i libri.
    (Torno alle mie bozze. Un caro saluto a tutti)

  198. Mi incuriosicono molto le parole di Claudio, mi incuriosiscono e mi interessano come lettrice e come insegnante che alla domanda “cosa avete letto quest’estate?” si è sentita rispondere da quasi un’intera classe: “niente”.
    e credo che questo sia il risultato (uno dei tanti) proprio di quella mentalità del “tutto e subito” di cui Claudio parlava, della incapacità alla pazienza, della mancanza di curiosità per il diverso, della pigrizia mentale e dell’insofferenza per tutto ciò che è complesso, sfaccettato e ricco.
    voglio che i miei alunni amino far lavorare il proprio cervello e amino i libri e per questo permetterò loro di scegliere – quasi – liberamente cosa leggere durante le vacanze di natale (che non si tratti di moccia o di twilight), purchè leggano. purchè leggano.
    mi angoscia il pensiero di non essere capace di trasmettere il piacere di leggere, di non essere capace di far capire che i libri sono stati e sono ancora – la maggior parte delle volte – libertà del pensiero e non una gabbia, non “istituzione”, non burocrazia, non regole sterili.
    mi angoscia il pensiero che le parole degli scrittori che amo mi muoiano tra le mani quando ne parlo ai miei ragazzi, perchè sono diventata – come scriveva don Milani – una “custode del moccolo spento”.

  199. Claudio, hai fatto benissimo… la condivisione è la filosofia di questo blog.
    Claudia, che bello quello che scrivi! Amo la lettura e i libri e il tuo dolore è il mio, credimi. Quando i miei alunni mi chiedono a cosa serva studiare e leggere cose che nella vita non si utilizzeranno io attacco con la mia passione per l’arte e la bellezza e li invito a pensare che quello che serve è schiavo e rende schiavi mentre le cose inutili sono libere e rendono liberi.
    La lettura, la musica, la poesia, l’amore.
    Custode del moccolo spento… che metafora pregnante e dolorosa… io continuerò fino alla morte a reggere questo moccolo, non esagero. Credo nella cultura, nello studio. Nella letteratura. Nella musica. Nell’arte. Nelle persone che condividono questi amori e che come i giusti di Borges salvano il mondo senza saperlo.

  200. Brava, Maria Lucia… giusto!
    E… Claudia… rimani da queste parti, please. :-))
    Anzi, perché non provi a far partecipare a queste nostre chiacchierate qualcuno dei tuoi alunni?

  201. C’è un romanzo che sembra funzionare, in prima liceo: è buona letteratura, e allo stesso tempo racconta un’avventura eccitante; e sembra solo avventura, invece smentisce le attese, e diventa per i ragazzi l’occasione per una riflessione profonda su loro stessi, sul mondo degli adulti, sui ruoli, sui pregiudizi, sulle paure. È “Il signore delle mosche”, di William Golding. Non ha la frettolosità della letteratura di consumo, non prende le scorciatoie comode della narrativa di evasione; suggerisce, invece di proclamare; richiede pazienza, certo, ma sa restituire (credo, spero) emozioni anche ai lettori più restii. Parla di ragazzini, il che consente un certo grado di coinvolgimento; evoca uno dei sogni più forti dell’adolescenza (l’essere soli, senza adulti tra i piedi) e lo ribalta in una delle paure più forti (l’essere abbandonati dagli adulti, l’essere totalmente responsabili e privi di alibi in un mondo ostile).
    Ne leggiamo pagine da anni, in prima, e funziona. Ne tentiamo un’analisi (tempi, luoghi, ruoli, punto di vista, quelle cose lì) e il romanzo sopravvive alla dissezione, l’approccio analitico non ammazza il piacere di leggere. La traduzione del vecchio Oscar ha oltretutto un vago sapore di antico che non stona.
    Certo, se i ragazzi arrivassero in prima con quel bagaglio di letture personali che noi da ragazzini affrontavamo per conto nostro, ci sentirebbero l’eco di secoli di narrativa d’avventura; ci sentirebbero Verne, Defoe (ridotto per lettori in erba), Omero, Stevenson, Swift, che ne so, ma anche Molnàr, perfino Collodi e De Amicis, to’, anche se quest’ultimo tirato dentro per i capelli. Invece, a differenza dei giovanissimi personaggi del romanzo, che hanno fatto queste letture e sanno ritrovare riferimenti letterari alla loro situazione, i ragazzi di oggi al massimo sanno citare qualche film visto per lo più in dvd, o, quando va male, qualche trasmissione televisiva. I rimandi, gli echi li costruiamo in classe, li mappiamo alla lavagna – è già qualcosa, hai visto mai che da quelle mappe nascano nuovi desideri di lettura –, ma è un peccato che a tracciare quelle frecce con il gesso sia sempre e solo io. (Per dire: noi insegnanti di lettere del biennio stiamo mettendo in piedi una piccola libreria scolastica con testi per ragazzini, visto che riteniamo che non ci si possa accostare con profitto alla grande letteratura senza quel passaggio intermedio ; gradus ad Parnassum, insomma; è triste, ma sembra davvero l’unica via possibile).
    “Il signore delle mosche” non è “Il fu Mattia Pascal” o “La coscienza di Zeno”: è una sorta di via di mezzo tra le frenesie della narrativa d’avventura e i lenti tormenti di una narrativa “alta” troppo povera di azione per adolescenti agitati come personaggi da cartone animato, troppo austera (solo per ora, almeno, per la loro età, spero).

  202. Caro Claudio, grazie per il tuo commento che fornisce occasioni di riflessione. Magari ci tornerò (ci torneremo) domani.
    Per il momento dico solo che “Il signore delle mosche” è un romanzo straordinario e che il suo autore, William Golding, è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1983.

  203. Ciao Maria Rita!
    Anche io chiamerò presto sia te che Massimo…
    Claudio, grazie delle tue considerazioni… proverò a vedere se il libro che ci proponi è adatto alle mie alunne di biennio innamorate di Moccia e della Myers…
    A proposito: quali libri ci sono nella tua bibliotechina per il biennio?

  204. Torno su “Il signore delle mosche” di Golding: una sua virtù, lo so per esperienza, (una delle tante, oltre al nitore dello stile), sta nel gioco con le attese dei lettori. I ragazzi che leggono sono abituati a romanzi (anche imponenti) che danno loro esattamente quello che loro si aspettano: avventure, sentimenti primari, eroi, o comunque figure in cui identificarsi comodamente. Golding invece frustra queste attese, smentisce le premesse: non è avventura, ragazzi, e non è così divertente come credevate. Non è una delle fantasticherie ad occhi aperti che vi piacciono – non è nemmeno uno degli incubi ad occhi aperti con cui amate farvi venire i brividi: è riflessione, amara, aspra, su ciò che non riusciamo ad essere.
    I personaggi non hanno nulla degli eroi: sono goffi, inadeguati, spaventati, soli. Tutto questo potrebbe far pensare che “Il signore delle mosche” non sia esattamente il romanzo più adatto per degli adolescenti: eppure, pur nel pessimismo di fondo, è chiaro che il discorso morale è delineato con grande precisione (ed è questo che mi interessa, oggi). La distinzione tra bene e male è netta: questo è bene, anche se è molto più difficile (anzi, è bene proprio perché è così difficile); quello è male, ed è anche terribilmente facile. Le dittature e le autocrazie hanno dalla loro il vantaggio della facilità (è così comodo essere sudditi! Così difficile fare i cittadini!). Insomma, Golding delinea questi rischi, e incarna nella figura di Jack il paradigma del “grande dittatore” del ventesimo secolo, e fa di Ralph il rappresentante di un sistema democratico che non sa come proteggersi dai pericoli dell’autoritarismo.
    A me, tutto questo discorso sembra vitale, nella scuola di oggi.

  205. Cara Maria Lucia, la bibliotechina di cui si parlava (il diminutivo è d’obbligo) è ancora in fase di costruzione, e probabilmente sarà attiva dal prossimo anno scolastico… Ci stiamo ancora confrontando sui testi che potrebbero farne parte. Abbiamo pensato a letteratura nata apposta per i ragazzi, che abbia una sua dignità di stile e di temi. Niente romanzetti seriali, per dire, ma nemmeno, che so, Proust. Ci sono romanzi pubblicati dalla Iperborea, ad esempio, che sembrano scritti apposta per degli adolescenti imbronciati. Ci sono collane (che so, Bibò della Manni) con testi per ragazzi affidati a scrittori per grandi e grandi scrittori (Bonaviri, per fare un nome). Grosso modo, dal catalogo che stiamo tirando giù viene fuori un panorama incentrato su storie con personaggi molto simili ai lettori, se non altro per ragioni anagrafiche – ma questa non è una sorpresa. La biblioteca, a seconda delle disponibilità finanziarie, potrebbe aggirarsi attorno al centinaio di titoli, almeno per il primo anno (due, tre esemplari per ogni opera).

  206. Carissima Maria Lucia,
    ti sono grata, perché mi hai indicato questo blog che trovo molto interessante, ne approfitto subito per inserirmi nella discussione sulla scuola, aggiungere alcune righe al “romanzo-scuola” di cui tu parli al principio, anche se forse esula un po’ dalla discussione che state svolgendo, ma… è Natale e dunque voglio raccontare a tutti di un’inconsueta esperienza scolastica che ho avuto il piacere di vivere proprio pochi giorni fa: il 17 dicembre nella nostra scuola ho sentito arrivare lo spirito del Natale, come non mi succedeva più da diverso tempo. Lo spirito di Natale mi ha circondato portato dalla tua voce con quella di Antonietta Tribulato e di tutti i nostri ragazzi del coro guidati dalla collega Mangano.
    Fra le cronache scolastiche che parlano spesso di gesti di bullismo e intolleranza, incomprensione e ingiustizie, docenti frustrati e alunni viziati, mi piacerebbe che spiccasse a grandi lettere la notizia bella di un concerto splendido, di un coro impareggiabile attraverso il quale avete reso tangibili due eteree parole: “pace” e “fratellanza universale”, senza la necessità di pronunciarle.
    Avete dato esempio concreto di come ci possa essere, con semplice umiltà, tanto affiatamento e amore tra alunni e docenti ed io ne sono stata felice testimone.
    Voi non potevate ascoltarvi, ma vi assicuro che avete trasformato un arido luogo di lavoro in un “giardino incantato”: le vostre voci vibravano all’unisono nell’aria dell’androne addobbato a festa e così, mentre ero intenta nelle mia consueta frenetica corsa, mi sono fermata e mi avete sorpreso!
    Mi sono fermata ad ascoltarvi e mi avete commosso, (nelle scuole superiori italiane non è una cosa che capiti tanto di frequente): alunni e docenti con-fusi insieme in una performance che non si può descrivere a parole ma solo lasciare immaginare.
    Ho capito che stava arrivando il Natale, bussava con tanta dolcezza, così ho deciso di aprirgli la porta del mio cuore distratto e affannato.
    Grazie. Solo grazie, perché non consco altre parole, (vorrei averne di più vere e meno usurate da spendere in una simile circostanza).
    Tante grazie e tanti sinceri auguri a tutti,
    Elvira Siringo

  207. prima delle vacanze di natale, visto che molti dei miei alunni – nonostante gli accordi – non si erano neanche presi la briga di trovarsi qualcosa da leggere, ho portato loro le mie letture (libri “asportati” con grande sofferenza dai miei scaffali) e le ho distribuite: in parte in base a quel poco che conosco di loro e dei loro gusti, in parte in base allo spessore e al numero delle pagine … da “una giornata di Ivan Denisovic” a “il lottatore di sumo che non diventava grosso” passando per “la banda dei brocchi”.
    non so se questa iniziativa abbia un senso e soprattutto se si rivelerà efficace: lo scoprirò al rientro dalle vacanze.
    intanto ne approfitto per augurare buone feste a tutti!

  208. Carissimi amici,
    buon anno a tutti voi. Spero che abbiato trascorso delle buone vacanze. Io non mi posso lamentare. Le ho trascorse nella serenità familiare. Invece da giorno tre a giorno sei ho partecipato a uno stage di scrittura creativa, che si è tenuto in un Hotel Naxos. E’ stata un’esperienza bellissima. L’Hote è azzurro come il mare, sormontato da una terrazza, che in primavera-estate diviene teatro di incontri culturali. Dai balconi puoi quasi toccare le onde che si accavallano fino alla spiaggia e puoi vedere tutto il golfo e Taormina. I colleghi di stage e il nostro tutor sono stati una compagnia simpaticissima. La padrona dell’albergo, la signora Caterina, un’impeccabile padrona di casa. Una donna colta e amante della cultura, che ci ha anche invitati a un readig di poesia, che si teneva nel salone dell’Hotel. E’ stato un periodo meraviglioso, trascorso tra letteratura e buona cucina, ma purtroppo è finito. Adesso siamo tornati a casa, alla solita vita e alla scuola. Cara Claudia, io non so se i tuoi alunni durante le feste avranno letto le letture che hai proposto e asportato da casa tua, ma in ogni caso avranno apprezzato la generosità del gesto e in seguito li leggeranno. Mi fa piacere che ci siano ancora insegnanti come te, che sappiano fare dei gesti così generosi ed affettuosi per i propri alunni, perché non è da tutti.
    Maria Rita Pennisi

  209. Eccomi qui, cara Maria Rita. Avremo tempo e modo di ri-animare questo bellissimo spazio.
    Intanto, dimmi… in che condizione hai trovato i tuoi alunni dopo le feste natalizie?
    😉

  210. Caro Massimo,
    dopo le festività natalizie ho trovato i miei alunni allegri e deliziosamente impreparati, sulle lezioni che dovevano portare dopo natale. Però erano preparatissimi sugli ultimi film, giochi di società, pub in cui avevano trascorso le serate, dolci, nuove ricette e naturalmente nuovi amori unici e per sempre. Devo dire che però si sono rimessi presto, anche perché sono coscienti che tra poco ci saranno gli scrutini e gli esami di stato sono alle porte. Durante le feste una mia alunna ha avuto un bimbo, che ci ha fatto conoscere al rientro delle vacanze. E’ stato bellissimo. Eravamo tutti in estasi alunni e docenti. Poi siamo tornati al nostro lavoro. Quello che ci ha sbalordito è stato vedere come la neo mamma fosse rimasta la studentessa diligente e dignitosa di sempre. Infatti, prima di partecipare alle lezioni, ha chiesto a che punto dei programmi eravamo arrivati. Questo sì che è un bell’esempio di coerenza e di impegno.
    Saluti Maria Rita

  211. Cara Maria Rita,
    ho letto l’articolo di Orazio su Antonio Aniante… molto interessante. Sarebbero da valorizzare autori come lui, siciliani noti agli specialisti ma non ai più.
    L’inizio del nuovo anno è stato un po’ faticoso… i ragazzi sono esperti di tombolata, professionisti delle miccette, tiratardi con master in nottambulologia!
    🙂
    Ma comunque: compiti in classe, interrogazioni, un po’ di sane strigliate e anche noi rientriamo nei binari.

  212. Amiche, amici, ho tra le mani un piccolo libro prezioso, la “Lettera da una professoressa” di Norma Stramucci (Manni, ça va sans dire, 2009). Contiene riflessioni sull’insegnare, sul comunicare e sull’educare di disarmante sincerità nelle quali mi riconosco (e quasi mi sento messo a nudo). Lo conoscete?

  213. Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere. (Piero Calamandrei)
    Prendo spunto da questa frase per una considerazione, più che altro uno sfogo.
    Sta accadendo il contrario, però nessuno sembra volersene rendere conto. O forse a nessuno importa. Si sta usando la scuola per trasformare i cittadini in sudditi. Si sta demolendo la scuola pubblica, in maniera sistematica, scientifica, progressiva e sfacciata. Sfacciata, perchè l’arroganza è giunta ad un punto in cui non ha bisogno nemmeno più di giri di parole.
    Ai ragazzi tutto ciò non interessa. Loro, dicono, non votano, non voteranno, non vogliono parlare di politica, e se qualcuno prova a farlo viene rimproverato perchè, dicono, “non si parla di politica in classe”.
    Alla fine ci sono (ci siamo?) riusciti. A far passare la politica come una cosa sporca, un tabù, e la discussione fa paura, perchè crea disagio, dissenso, perchè fa pensare. E loro non devono pensare. Devono consumare, e basta.
    Ma la cosa più grave è che nemmeno ai docenti interessa. Quell’inganno che si sta consumando a nostro danno, sulla nostra pelle, non ci interessa. Nessuno ne parla, siamo tutti troppo impegnati nell’elaborazione di una specie di lutto considerato ormai inevitabile.
    Dove sono le proteste? Che fine hanno fatto le manifestazioni di piazza? E chi dovrebbe levare, in sede politica, una voce di dissenso, dov’è? Perchè non parla?
    C’è ancora qualcuno a cui interessi il destino di questa scuola, e non solo delle nostre cattedre, stipendi eccetera, ma dei nostri ragazzi, e della nostra cultura, e del nostro paese?
    Siamo tutti affetti da una malattia terribile che si chiama assuefazione, e lo sforzo di combatterla sembra sia assolutamente al di là delle nostre forze.
    Quello che sta accadendo – e quello che NON sta accadendo – è la prova che siamo rassegnati. E a me questa cosa, oltre a farmi rabbia, fa paura.
    Scusate lo sfogo, e si, lo so, alcuni di voi diranno che non si parla di politica in classe. E che qui dovremmo parlare di letteratura.
    Ma credo che le due cose siano strettamente collegate, e temo, ahimè, che se perdiamo la possiblità di parlare dell’una prima poi potremmo perdere la possibilità di parlare anche dell’altra.

  214. Forse ancor prima che a scuola o nelle piazze, l’assuefazione dovremmo cominciare a combatterla dentro le nostre case, dentro le nostre amate e linde famiglie. I ragazzi ancor prima di essere studenti, sono figli.
    Non dimentichiamolo.

  215. Cara Giorgia,quanta amarezza nel leggere le tue (giuste) parole.I nostri figli crescono a botte di grande fratello e talent show,hai ragione parlare di politica,in senso corretto e non fazioso ed estremo dovrebbe trovare il giusto spazio,nella formazione dei ragazzi a scuola come a casa nella lettura dei giornali e fra gli amici,ma purtroppo questa povera generazione “Stupediata” da un modo di fare bassa cultura va avanti a tentoni in un tunnel del nichilismo,come ha spesso trattato Galimberti nel suo pensiero.La mia paura non è proprio l’assefuazione ma il fatto che credo che questo mettere sotto al tappeto le ideologie farà serpeggiare negli animi nuove correnti estreme senza dare giuste opportunità ai ragazzi di crearsi una coscienza critica.Cosa può aiutarci?Solo il dialogo,che sia onesto e aperto,nelle scuole e nelle famiglie,il dialogo che semini in loro il desiderio della parola,dell’espressione e del sano confronto.Perciò bisogna,nonostante tutto sia contro,continuare a fare la propria parte.Giorni fa parlavo con mia figlia di 14 anni della scuola di una sua amica qui a Napoli che è stata occupata per circa due mesi,lei mi ha detto di essere andata lì a curiosare e a parlare,ebbene , nessuno, dico,nessuno,e lo dice una di loro,di quei ragazzi sapeva perchè era lì,il significato di quella occupazione.”Contro l’omologazione”,dicevano gli striscioni,avrei voluto chiedere,soprattutto ai più giovani,il significato di questa parola.La risposta me l’ha fornita mia figlia:”mamma lo fanno perchè lo fanno tutti!E questa non è omologazione scusa?”Cosi’,senza retorica ,le ho raccontato di quando si facevano le assemblee e i cortei,è vero pure si cazzeggiava,ma cavolo se si parlava di politica!c’erano quelli di destra con la lacoste che se incontravano quelli di sinistra con la kefiah si prendevano a botte,e c’erano i cortei dell’8 marzo,insomma sarebbe bello non che i ragazzi tornassero a picchiarsi per politica ma che si battessero per le loro idee,che credessero in qualche ideologia vecchia o nuova che sia!Ho molta stima negli insegnanti “pensanti” nonostante le difficoltà spero che tu-mi pare sei un’insegnante- e le altre belle menti di letteratitudine non abbandoniate mai l’intento di aiutare i ragazzi a trovare delle idee e a seguirle nella vita.Ugualmente faremo noi mamme.
    un abbraccio forte
    ( e passate a trovarmi sul laboratorio di traduzioni…)

  216. Sacrosanto lo sfogo di Giorgia, giusta la considerazione di Renata, condivisibile l’esortazione di Francesca Giulia.
    Il fatto che ci siano ancora in giro persone come voi mi lascia un minimo di speranza per il futuro.

  217. @renata
    infatti parlavo della “nostra” assuefazione. E nelle piazze si dovrebbe combattere chi vuole quell’assuefazione e ha tutto da guadagnarci.
    E proprio perchè gli studenti sono i nostri figli, che facciamo di fronte alla demolizione della scuola pubblica? Nelle nostre linde famiglie, che facciamo? Così come nelle nostre scuole. Dove sono i genitori, di fronte al fatto che la scuola non ha più i soldi per il riscaldamento, le fotocopie, di fronte al fatto che le classi di più di trenta alunni sono ingestibili, che le piccole scuole in paesi di provincia vengono chiuse e i bambini sono costretti a prendere autobus alle sette di mattina? Sono rassegnati, chiusi nelle loro linde case.
    E noi insegnanti? Che facciamo di fronte a tutto questo? Di fronte al danno e anche alla beffa di sentirci dare degli sfaticati, dei viziati, gente che non vuole fare sacrifici, perchè, dice qualcuno, ai “nostri tempi”…
    Anche noi rassegnati.
    E allora, come si può pretendere che non lo siano anche loro, i ragazzi?

    Perciò, come si può pretendere che non lo siano anche loro, i ragazzi

  218. @francesca giulia
    cara Francesca Giulia, ti racconto una cosa, che forse fa da contraltare a quanto da te raccontato.
    Sabato ci sarà una manifestazione in un paese qui sulla costa. Di fronte a questa costa, che vive essenzialmente di turismo balneare e di pesca, saranno a breve impiantate tre piattaforme petrolifere, così ha deciso il governo, in concessione ad una società straniera. Si sta cercando di protestare, di fare qualcosa. I miei studenti, la maggior parte, non ci vanno. Siamo alla fine del quadrimestre, e non possono giocarsi il sei sulla pagella, qualcuno, genitori, insegnanti, non so chi altro li ha minacciati. Ora: la maggior parte di loro non apre libro tutto l’anno, però che importa… L’importante è che siano pecore, gregge, che non diano fastidio, che rispettino le regole… che facciano quello che viene loro detto di fare, perchè non si può creare disordine. Poi, che non siano capaci di fare un discorso di dieci parole in fila, non costituisce affatto un problema.
    Loro si adeguano, non gli viene assolutamente in testa di barattare la comodità di un sei preso per ignavia con la remota possibilità di una punizione per disobbedienza…
    anche questa è omologazione.
    un abbraccio

  219. E’ di oggi la notizia di ulteriori tagli ai fondi scolastici, già poverissimi (ed è di pochi giorni fa la notizia d’un aumento di 220 euro per gli insegnanti di religione, mentre per il rinnovo del contratto di tutti gli altri insegnanti alla proposta sindacale di 200 euro di aumento, il Governo rilancia proponendo 20 euro…).
    Una forma di protesta da parte dei genitori potrebbe essere quella di non mandare i figli nelle scuole dove talvolta non è garantita nemmeno la carta igienica.
    Qui la notizia di oggi degli ulteriori tagli ai fondi scolastici:
    http://www.repubblica.it/scuola/2010/01/22/news/presidi_al_collasso-2

  220. Cara Giorgia,
    grazie per il tuo intervento.
    Credo che il tuo sfogo e la tua indignazione siano condivisibili. Per quello che ti è dato fare, all’interno della tua classe, non rassegnarti mai. Ci sono parole che scavano nell’animo, che nel momento in cui si pronunciano sembrano non sortire effetti e di cui – magari – ci si ricorda dopo molto tempo.
    Non rinunciamo a gettare semi… anche se la terra ci appare arida.

  221. Comincio io, allora.
    “Lettera da una professoressa”, pubblicato da Manni nel 2009, è una dichiarazione coraggiosa – e contagiosa – di amore per la funzione civile dell’insegnamento. Norma Stramucci avverte il declino del ruolo del docente nell’opinione comune, osserva l’indifferenza delle istituzioni a un discorso di educazione e formazione culturale e civile, assiste alla deriva – tragica – della famiglia come alleata della scuola nell’educazione dei ragazzi, nota l’emergere – il riemergere – di pregiudizi, falsi valori e falsi modelli… Eppure la sua “Lettera” non è una lamentosa elegia in memoria di una scuola perduta per sempre, anzi: proprio quando la sua descrizione dell’alunno vuoto di pensieri, rozzo e indifferente, afasico per incapacità di esprimersi, prevaricatore e ottusamente fiero della sua ignoranza – proprio quando questa descrizione di mostro di Frankenstein, in cui si concentrano tutte le angosce di ogni insegnante, sembra togliere ogni possibilità di azione, proprio allora Norma rivendica a sé il compito di aprire brecce, aiutare a generare pensieri, ad osservare gli altri con rispetto e curiosità, a crescere insomma.
    A questo serve la scuola, a formare persone consapevoli del loro ruolo e degli altri, disposte ad ascoltare e pronte a lavorare sul proprio linguaggio per farsi comprendere, pronte al dialogo civile come alla forma primaria di democrazia, al rispetto delle diversità. Non è un caso che Norma Stramucci abbia usato la forma della lettera, che non è solo un omaggio alla “Lettera a una professoressa” della Scuola di Barbiana, ma è soprattutto uno stile, fondato sulla condivisione e la comunicazione, sul dialogo insomma – un dialogo socratico, che estrae con pazienza, quasi con ostinazione, le verità semplici e importanti dall’anima stessa dell’interlocutore, che non sarà mai così ottuso e vuoto da non rispondere, e da non sentirsi migliore dopo aver risposto.
    Certo, è una scuola ormai isolata: abbandonata a se stessa dalle istituzioni, delegittimata da famiglie inebetite dall’indifferenza (no, non tutte: certo quella dell’alunno impossibile a cui si rivolge la lettera), tragicamente fuori moda rispetto ai falsi miti di una società che sembra coincidere con certi orribili programmi televisivi pomeridiani… Questo rende il lavoro di recupero degli alunni più arduo, ma, ancora una volta, non impossibile.

  222. Dopo aver dato il benvenuto su questo blog a Norma Stramucci, vorrei rivolgerle alcune domande sul suo ultimo libro “Lettera da una professoressa”.
    – Le cose sono cambiate, nella scuola e nel mondo, dai tempi della “Lettera” della Scuola di Barbiana. “Quella” professoressa non c’è più, nel senso che nessun insegnante oggi potrebbe identificarsi con quella figura. Da dove nasce il bisogno di ricollegarsi a quell’esperienza, di partire da quel modello?

    – Quanto e come influisce l’insegnare sulla tua attività di poetessa, e viceversa, quanto praticare la poesia influisce sull’attività didattica? Il primo punto di contatto sta nel fatto che si tratta, sempre e comunque, di lavorare sulle parole, proprie o altrui: ma c’è dell’altro, di sicuro…

  223. 1. Dopo avere ringraziato Claudio per la sua splendida lettura, rispondo alla prima domanda: la Lettera dei ragazzi di Barbiana, per la mia generazione, è stata un mito. Da giovane studentessa ne ho abbracciato e condiviso il contenuto. Poi, da adulta -e da professoressa-, l’ho riletta. Nulla è cambiato del mio apprezzamento, anzi mi sono molto piaciute anche le chiarissime documentazioni statistiche che da giovane avevo trascurato. Il modello di Don Milani, che erroneamente oggi qualcuno associa a una scuola povera e priva di mezzi, è ancora attuale perché ancora, al centro della didattica, considera la persona e la sua vita da protagonista nel mondo. Per questo la “mia” Lettera non solo non è polemica nei confronti di Barbiana, ma vi si ispira. Però la situazione che il famoso libro presenta non può essere riferita al nostro presente e, nel momento in cui l’ho riletto, in me è nata una sorta di reazione: sono una professoressa, ma non sono QUELLA professoressa! La differenza è stata ben colta da Claudio: in Lettera a una professoressa lo studente desidera una cultura che la scuola pubblica gli nega; in Lettera da una professoressa la scuola pubblica offre allo studente una cultura che lui non vuole. Naturalmente, ripeto sempre a scanso di equivoci, il “mio” studente non è il prototipo degli studenti, è solo il più fragile e debole. Naturalmente, poi, se avessi dovuto tener conto della Riforma Gelmini, il libro sarebbe stato diverso!

    2. Non mi hanno mai rivolto questa domanda e non nascondo che rispondere un po’ mi imbarazza perché potrei dare adito a un equivoco: chi è poeta è un insegnante migliore. E’ ovvio che non posso pensare questo. Ma da poeta sono abituata a guardare le cose del mondo, e dunque anche i miei studenti, con una attenzione particolare. Mi ritengo certo una donna di tutti i giorni, una donna che, nel suo “borgo” ama il vino, il pane, i bimbi… ma, a differenza degli altri “uomini di tutti i giorni” con i quali condivido appieno problematiche e sentimenti, nutro un amore maniacale nei confronti della parola; e questa è l’unica differenza. Conosco insegnanti ben più bravi di me che poeti non sono! Per dare un’idea del mio essere poeta in aula mi riferisco a una delle mie due poesie inserite verso la fine del libro. In quella che qui trascrivo parlo di “elisir delle fragole” che “spillo”. Intendo sostenere che insegnare è tra i lavori più belli. Le teorie del collaborativismo, che condivido e pratico, non possono infatti togliermi il piacere –ogni tanto, almeno- di una bella lezione tradizionale, una di quelle durante le quali, checché se ne dica, trasmetto contenuti e valori, e non mi servono lavagne né digitali né di ardesia, perché mi basta la voce! Il luogo al quale faccio riferimento (il Colle dell’Infinito) per me è oggettivo, reale e tangibile (la mia scuola vi è letteralmente sopra), ma nella poesia assume un significato metaforico: si insegna sempre su un Colle dell’Infinito dal momento che, quel che si insegna dovrebbe servire per la vita e non –solo- per le interrogazioni. L’ultimo elemento a cui voglio dedicare un po’ di attenzione è il mio non considerare se, quando spiego, sono due persone o una solamente. Ciò si lega, spero di averlo reso esplicito, a quanto appena detto: conta la vita, la persona, la cultura, non la nozione.

    Prendo me stessa e ce ne faccio un’altra.
    La coccolo e accarezzo,
    le offro parole e baci,
    liquori distillati
    dal frutto a sorosio
    di fragole del bosco
    che cresce oltre le sponde del mio fiume.
    Per te di certo sono un poco stramba
    ma quanta gente parla solamente
    a se stessa. Io almeno
    sul colle dell’infinito
    ogni mattina apro la finestra
    mentre mille giovani voci
    mi annunciano –Buongiorno.
    -Buongiorno, rispondo. A loro, al mondo.
    Spillo per tutti in coppe immaginarie
    l’elisir delle fragole
    e non conto se nel frattempo sono
    due oppure una solo.

    Grazie!
    Norma

  224. @ Norma Stramucci
    Cara Norma, grazie per essere intervenuta. Ti faccio tanti in bocca al lupo per la tua attività di letterata e per quella da insegnante.
    Sul post, in alto, cara Norma, ho inserito un po’ di citazioni sulla scuola.
    Se tu dovessi sceglierne una… quale sceglieresti? E perché?

  225. Scelgo l’ultima: “Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere. (Piero Calamandrei)”. Con dolore, consapevole che la direzione che ci stanno imponendo è contraria; con rabbia, perché inutili appaiono gli insegnamenti della Storia; con amore, dal momento che, oggi più che mai, sento il mio lavoro vitale.
    Trascrivo la mia lettura di un libro dello stesso Calamandrei. Grazie!

    Calamandrei, Per la scuola: Il paradosso di uno Stato contro la sua Scuola

    Il libro di Calamandrei, Per la scuola, Sellerio Editore, nov. 2008, mi ha fatto venire in mente una trasmissione televisiva della mia infanzia: Non è mai troppo tardi. Ne spiego il nesso: a parte una metodologia didattica certo non più praticabile, un maestro, Alberto Manzi, istruiva nei rudimentali elementi della lettura e scrittura l’Italia analfabeta. Può sembrare una piccola cosa, ma grazie a ciò, io, bimba di 6-7 anni, ho potuto insegnare a mia nonna a scrivere il suo nome; e lei ne è stata fiera. E dunque ricordo con nostalgia un tempo in cui la televisione ha tentato una grande strada: quella di essere maestra. E’ durata poco; e già Pasolini intuiva lo scatafascio morale e intellettuale che sarebbe derivato da quell’apparentemente innocuo Da-da-um-pa!

    La televisione è il mio grande mulino a vento contro il quale, io povera derelitta consapevole della sua perversità, donchisciottina ridicola ma non pazza, lotto –soprattutto a scuola- tutto il giorno. La mia guerra, assai pacifica, fatta di parole e conversazioni, di dialogo e confronto, è volta a riattivare i giovani cervelli che la televisione continua ad annientare: il vizio del fumo in Zeno Cosini contro “Il grande Fratello”; le “Bestie” di Tozzi contro “L’isola dei famosi”; le guerre di Indipendenza contro le Veline. Che c’entra Calamandrei? Eccome, se c’entra! C’entra anche perché il mio utopico sogno di oggi vorrebbe una televisione che legga, commenti, insegni anche i precetti che, tratti dal libro di Calamandrei, istruiscano la nostra Italia analfabeta: un’Italia che sa leggere e scrivere ma non sa più pensare se non il pensiero del suo padrone. Mi addolora profondamente il vedere le vittime dalla parte del loro oppressore. Il libro di Calamandrei è tra quelli che ogni italiano avrebbe il dovere e il diritto di conoscere a menadito. Ma il fatto è che fa pensare; e dunque non se ne parlerà, se non nella televisione dei miei sogni.

    Tullio De Mauro, nella sua Introduzione al libro che comprende tre scritti di Calamandrei, ne coglie l’anima: il valore di un paese civile si misura dal valore della sua scuola pubblica. Il paradosso, incredibilmente sconcertante per chi sia capace di coglierne la portata, è che oggi lo Stato combatte la SUA Scuola: la Scuola che insegna (tenta di insegnare) la cultura, e di conseguenza il pensiero; qualunque pensiero, purché tale sia.

    I tre scritti di Calamandrei, datati rispettivamente 1948, 1950, 1946, e raccolti in Per la scuola, sono straordinariamente attuali. E’ talmente evidente, ad ogni pagina, il puntuale paragone tra ciò che Calamandrei scrive e la situazione odierna, che parlarne è superfluo. Mi diverte però riportare almeno un passo: “I fini di un governo democratico, nel quale la nomina dei governanti è giuridicamente rimessa alla scelta dei governati, saranno tanto meglio raggiunti quanto meglio da questa sua scelta usciranno eletti i più degni: cioè i più capaci, intellettualmente moralmente e tecnicamente, ad assumere nel popolo funzioni di governo.” (p. 111)

    Il grosso difetto di questi scritti è che non saranno letti se non da coloro che, pur godendone, non hanno bisogno di trarne alcun insegnamento educativo; ben consapevoli della loro verità. Gli oppressori ne saranno infastiditi, ma non più di tanto: ben più potente è la loro voce. Gli oppressi, che ignorano di essere tali, continueranno invece ad ignorare persino il nome di Calamandrei, troppo occupati durante queste ultime feste natalizie a fare la coda al botteghino del cinema: “Natale a Rio” e “Il cosmo sul comò” li diverte. Si annoierebbero a morte a scoprire le vere motivazioni che hanno fatto non confermare Luigi Russo nell’ufficio di direttore della Scuola normale superiore di Pisa; riterrebbero una disquisizione inutile e cervellotica la difesa della scuola democratica, e il parlare della scuola come uno degli organi costituzionali dello Stato; non si sentirebbero coinvolti dal ragionamento che in loro favore auspica il ricambio sociale della classe dirigente.

  226. 2008: si vuole correttezza, efficienza, onestà, rispetto, o…demagogia ? Maestro unico o prevalente no,
    castigo no, rimprovero no, grembiule no, bocciatura no, voto numerico no, voto in condotta no…. Eeeh !
    Lo studente d’oggigiorno
    (come lo vuole chi con lo studente fa pensiero, fa politica… fa la sua rovina)
    Arriva alla licenza elementare
    sapendo che per farsi più ammirare

    papà deve comprargli senza un fiato
    l’oggetto che sia sempre il più griffato.

    Le medie poi gli metton tra le mani
    spinelli che si fuma sani, sani

    e inizia l’esperienza del bulletto
    con mamma che va a prendere di petto

    il povero insegnante che ha offeso
    il suo bambino bravo ed indifeso.

    Intanto della vita ha già imparato
    che a “lavorare” non sei ripagato

    e che arricchirsi in modo sbrigativo
    seppur spregiudicato è…alternativo,

    e è rispettato chi fa il delinquente,
    chi inganna, chi tradisce e è strafottente.

    E poi gli arriva – al corso superiore –
    conferma che non vale alcun valore

    e l’unica è ingrandire i suoi diritti
    e escludere i doveri ormai prescritti.

    Non basta più nemmeno lo spinello:
    qualcosa in più gli chiede il suo cervello.

    “ Protesta” è quella magica parola
    che, solo, apprende in casa, in piazza e a scuola.

    Si sente autorizzato anche a picchiare
    compagni e professori…è il “bel strafare” !

    Son pochi, intanto, a dirgli che è in errore,
    e c’è chi a quelli guarda con orrore,

    che mai, nessuno mai deve azzardarsi
    a dire “cosa” e “come”, e di non “farsi” !

    Intanto, con la logica inculcata,
    la laurea gli dev’esser regalata,

    e è pronto a tutto: pure che il papà
    la compri, senza un po’di dignità,

    o a darsi al professore compiacente
    ed uso a laurear l’incompetente.

    Infine, poi, nel mondo del lavoro
    è quel grand’ incapace…con l’alloro. Armando Bettozzi – 18 Settembre 2008

  227. Carissimi amici,
    le ultime interrogazioni e gli scrutini mi hanno tenuta impegnata e chi insegna sa che per noi questo è un periodo di fuoco, ma abbiamo finito, almeno in parte, perché nella mia scuola fino ad oggi ci sono colleghi ancora impegnati con le operazioni di scrutinio. Bella, ironica e attuale è la poesia di Armando. Accorato e preoccupato l’intervento di Norma. Cosa volete che vi dica? Noi insegnanti siamo abituati a lavorare in situazioni non ottimali. Io credo che nella scuola ci siano una miriadi di cose da sistemare. La scuola è vista dai ragazzi come un non luogo, invece si dovrebbe fare qualcosa per rendere gli ambienti caldi e accoglienti a cominciare dai colori, che nelle scuole non esistono, si usano solo il bianco e il grigio e con il tempo tutto diventa un grigiore e un gelo. Mancano le attività pomeridiane ben organizzate e per tutti, mentre abbondano i progetti per pochi. Io ho la fortuna di insegnare in una bella scuola grande, nuova, moderna e ben riscaldata, dove usufruiamo di molti servizi, ma ci sono delle scuole, a poca distanza, che sono vecchie e gelide e prive di ogni confort. E’ giusto tutto questo?

  228. Cara Maria Rita, sto bene…
    Grazie per i tuoi commenti. Avremo tempo e modo per “rimpinguare” la discussione.
    Intanto ne approfitto per ringraziare Armando Bettozzi e Michele Lupo per i loro interventi.

  229. Leggo solo ora questo spazio e meno male che l’avete creato!!! Ne sentivo il bisogno!!!
    Aspetto con ansia la “bibliotechina” per le letture da consigliare ai ragazzi. In casa mia è mio marito il prof di lettere, però essendo io scrittrice (ed entrambi lettori) parliamo spesso insieme di cosa consigliare ai ragazzi delle superiori perché siano indotti al benedetto piacere della lettura…
    Il signore delle mosche è un ottimo esempio!!!
    Lo passo subito a mio marito!!!
    Io adoro anche Il ritratto di Dorian Gray :-))
    Saluti a tutti!

  230. Letto il racconto di michele lupo, è piuttosto impressionante (comunque scritto molto bene, quanto la scuola è messa male)

  231. Cara Elisabetta,
    più che consigliare delle letture per i ragazzi del superiore, io partirei intanto da quali letture preferiscono. Le letture preferite dai miei ragazzi del superiore le conosco. Le ragazze adorano i libri sui vampiri e tra i ragazzi è molto gettonato Dan Brown. Qualcuno più intellettuale ha letto La coscienza di Zeno di Svevo e qualche altro Il fu Mattia Pascal di Pirandello. Qualche altro mi ha confidato che ama leggere poesie. Questa per me è stata davvero una bella sorpresa. Tornando al nostro discorso, io credo che bisogna prima indagare sui loro gusti nella lettura e poi lasciare cadere così per caso il nome di qualche autore e di qualche libro, che per noi è culturalmente valido e formativo.
    Con simpatia
    Maria Rita Pennisi

  232. Norma, Claudio, Michele, Armando… e tutti quelli che dimentico.
    Grazie, perché proprio le vostre considerazioni ci danno linfa per continuare… dibattete, proponete, poetate. Noi siamo qui.

  233. @ Maria Lucia & Maria Rita
    Mie care Marie,
    al più presto avremo modo di rilanciare questo nostro spazio dedicato invitando a intervenire scrittori che hanno pubblicato libri collegati (in un modo o nell’altro) alla scuola.
    Grazie per esserci.

  234. Carissimi amici,
    ecco che dopo una giornata lavorativa piuttosto impegnativa mi collego, per parlare un po’ con voi. Come state? Io sono un po’ giù, perché oggi, parlando con una collega precaria, che piangeva, mi sono molto rattristata per la loro situazione. Le ho spiegato che anche la nostra situazione di insegnanti a tempo indeterminato, non è delle migliori e dato i tagli previsti, non è detto che chi ha tanti anni di servizio conservi il posto nella scuola di titolarità, anzi probabilmente alla fine dellla carriera, se mai ci sarà una fine della carriera, perché già si è arrivati a 65 anni di età sia per gli uomini che per le donne per andare in pensione , è facile che ci si trovi in paesi e città lontani dalla nostra residenza, proprio in tarda età. La pensione di vecchiaia non siste più. Tutte quelle donne che dopo anni di viaggi in sedi lontane, fatiche per non togliere nulla alla scuola e alla famiglia, pensavano di godere di qualche anno da dedicare alla famiglia, alla casa e ai nipotini, prima di giungere alla vera e propria vecchiaia, ha visto il sogno sfumare. Quindi bando agli acciacchi, da parte la famiglia e continuiamo con entusiasmo il nostro lavoro di dispensatori di cultura e di educatori, senza farci prendere dallo sconforto, perché la classe insegnante è sempre stata impegnata e consapevole delle proprie responsabilità. Il mio saluto più affettuoso va ai colleghi, al personale ATA, agli alunni e alle famiglie, che tutti insieme miriamo sempre al buon funzionamento della scuola.

  235. non vengo da molto in letteratitudine, cosicché m’è sfuggita la presenza di una rubrica fissa dedicata alla scuola. quello che dice maria rita è ciò che ho sempre pensato: che dovrò ricominciare in tarda età a fare tanti chilometri, non bastassero quelli che già percorro da sempre ogni giorno. la scure dei tagli si farà sentire anche sugli assunti che un tempo chiamavamo “di ruolo”, ora sono lavoratori a tempo indeterminato, licenziabilissimi per esigenze riorganizzative, è proprio il caso di chiamarle, aziendali. lavoriamo in azienda, se non l’avessimo capito: il sogno di una certa parte d’italia: aziendalizzare tutto e tutti. peccato che gli obiettivi di una scuola che meriti questo nome siano diametralmente opposti ad ogni intento imprenditoriale. paradossalmente, si può diventare ottimi imprenditori facendo a scuola tutt’altro.
    io personalmente non sono interessata al “buon funzionamento”: non me ne importa niente che la mia scuola funzioni. che vuol dire, oltretutto? mi importa che sia un luogo di libertà, di incontro, di accoglienza, di confronto, di lavoro, di serietà, di serenità, di crescita.
    la riforma gelmini prospetta un impoverimento culturale che non consentirà nemmeno il tentativo di raggiungere tali obiettivi. e a me non va più molto di raccogliere i cocci di cose spaccate impunemente da altri.

  236. Cara Maria Rita,
    grazie per essere tornata a intervenire. Credo che la tua amarezza sia quella di molti insegnanti, come ci dimostra il commento di Lucy (che saluto).

  237. Cara Lucy,
    grazie del tuo intervento, in cui avverto molta tristezza, come del resto era accorato il mio intervento, perché noi insegnanti teniamo al nostro lavoro, che riteniamo importante e fondamentale nella società. Teniamo ai nostri alunni, alla loro educazione, alla loro formazione.
    La scuola deve restare un luogo di accoglienza, di incontro e soprattutto di cultura. Oggi non si fa che dire che i ragazzi sono insofferenti, annoiati, disinteressati alla cultura, forse in parte è anche vero. Noi insegnanti dobbiamo sfatare tutto questo con il nostro impegno e il nostro entusiasmo. Lo so che in questo momento che tutto va a rotoli è difficile, ma è il momento giusto per guardarsi intorno, riflettere e dimostrare più entusiasmo di prima, in modo di coinvolgere i ragazzi nella voglia di sapere, imparare, perché i nostri studenti non sono degli sciocchi, vogliono solo più sicurezza. Molti dicono che gli studenti si annoiano, che non ci sopportano perché vogliamo farli studiare. Non è vero. Gli studenti stimano gli insegnanti che dimostrano impegno e che vogliono impegno da parte loro, perché l’esempio è una mano invisibile che ci guida. Ora cara Lucy, devo salutarti, perché vado a scuola.

    Maria Rita Pennisi

  238. Questa storia è dedicata a tutti quegli insegnanti che credono in ciò che fanno e soprattutto non considerano i ragazzi dei vasi vuoti da riempire, ma persone che debbono essere ascoltate, rispettate per far sì che possano diventare Donne e Uomini veri e non bell’imbusti, privi di dignità e pronti a vendere la loro anima.
    Auguri a tutti voi!

    Una storia d’altri tempi

    A 22 anni nel 1970 sono partita per insegnare in un paesino della Sardegna, con l’entusiasmo e l’ansia di chi deve affrontare un “mestiere” impulsivamente scelto, ma mai sperimentato .
    Arrivare fin lì è stata una decisione forzata, per l’indisponibilità di posti in altre regioni. Accettata la nomina, ero consapevole di andare incontro ad incognite di diversa natura, ma anche ad una inconfutabile certezza: quella di poter svolgere finalmente un “mestiere” impregnato da una forte motivazione di fondo: imparare ad imparare; crescere e far crescere.

    Primo giorno di scuola: mi è stata assegnata una prima media di 24 alunni che mi scrutavano, cercando di capire dai miei gesti e dalle mie parole chi ero, che cosa avevo da proporre e che cosa volevo da loro.
    Ho incontrato dei colleghi disponibili soltanto ad offrirti il loro aiuto per trasferire ed applicare le nozioni teoriche studiate all’università ed un preside che esplicava a tutti gli effetti il suo ruolo formale, senza voler tuttavia apparire un padre padrone .
    Ero stata catapultata in un paesino dove “una continentale” era considerata un’aliena e una persona di cui diffidare.
    Il primo impatto con questa nuova comunità, completamente distante mille miglia dalla mia, è stato nei primi mesi molto traumatico.
    Mille volte sono stata sul punto di mollare tutto e ritornare a varcare il mare.
    Ma, quei visini innocenti, motivati, genuini e desiderosi di apprendere mi hanno distolto dal voler scappar via da quei luoghi inizialmente ostili.
    Ancora oggi ricordo quei volti, quel periodo concentrato di vita vissuta intensamente insieme ai miei alunni che volevano imparare ed eliminare ad ogni costo i loro limiti.
    Il pomeriggio quasi tutti venivano a casa mia per eventuali recuperi e, pur essendo sera, non volevano andarsene. Volevano rimanere per apprendere e ragionare insieme sui fatti storico geografici, sui brani letti e sulla vita in generale.
    Ho tralasciato di dire che le madri di quasi tutti quei ragazzini erano considerate “vedove bianche”, perché i loro uomini, emigrati all’estero, ritornavano una volta l’anno per espletare il loro ruolo di marito e/o di padre. Per questo alcuni dei loro figli non parlavano mai di loro ed altri li avevano forzatamente cancellati dal cuore e dalla mente.
    Intanto i giorni scorrevano e l’incertezza iniziale di non saper svolgere al meglio la mia professione iniziava pian piano a scemare. Veniva spesso inconsapevolmente accantonata e sostituita dalla voglia immensa di dare a quei ragazzini ciò che sentivo sempre più crescere dentro di me: essere a tutti gli effetti la loro insegnante, ma un’insegnante disposta ad ascoltare e a soddisfare i loro bisogni umani e scolastici. Un’insegnante certamente diversa dai molti altri insegnanti che io avevo incontrato sul mio cammino di alunna.
    Per questo senza difficoltà ho accettato che alcuni di loro mi insegnassero ad arrampicarmi su di un albero per raccogliere ciliege, a pescare, a saper distinguere i funghi commestibili da quelli velenosi, a salire su un asino senza cadere, a rafforzare l’idea che un insegnante deve amare il proprio “mestiere”, essere autorevole, empatico, disponibile a rimettersi continuamente in gioco, senza avere il chiodo fisso di voler imporre ad ogni costo il suo sapere, riempiendo le menti soltanto di nozioni asettiche.
    Io stavo sperimentando questo mio modo di far scuola sulla pelle dei miei 24 alunni.
    Nonostante questo continuo senso di colpa, debbo ammettere che questa professione mi affascinava sempre più, in quanto le sfide relazionali e didattiche erano molte. Dal bambino con la pelle squamosa, al piccolo pastore che aveva come uniche amiche le sue pecore. Dall’estrema povertà lessicale, alla difficoltà di rendere vive quelle lezioni lontane dai loro contesti di vita.
    Ciò che mi ha accompagnato ed aiutato spesso a superare questi ostacoli è stata la creatività innata che mi portava di volta in volta ad inventare strategie mai sperimentate né tanto meno apprese sui testi scolastici.
    Esse a volte funzionavano, altre volte no. Io ero l’unica artefice di processi e percorsi formativi, completamente scollati da un consiglio di classe apparentemente collaborativo e unito.
    Un bel giorno-si fa per dire- proprio i miei colleghi unitamente al preside, anziché discutere sull’andamento della classe e sulle varie strategie da assumere concordemente per eventuali miglioramenti, hanno discusso di me. Mi hanno letteralmente linciata, accusandomi di impartire lezioni private ai ragazzi, di parlare di educazione sessuale a scuola e di tante altre menzogne costruite ad hoc per infierire contro una “continentale” che, con il suo modo di fare scuola, stava disturbando alcuni insegnanti del posto che, senza titolo, fino a quel momento avevano occupato quelle cattedre vacanti ed impartito lezioni extrascolastiche a pagamento agli studenti meno “capaci”.
    Questo gravissimo atto vessatorio è stato pian piano smaltito con l’aiuto di alunni e genitori che ogni giorno rafforzavano la mia autostima: i primi superando i loro ostacoli e dimostrandomi che io riuscivo a farmi capire, i secondi confidandomi i mille problemi anche personali e ringraziandomi per ciò che stavo facendo.
    Rimanendo lì per altri anni, ero considerata ormai una di loro e come tale andavo difesa dagli attacchi faziosi di chi avrebbe voluto cacciarmi via. Non ero più la “continentale”, la prof. usurpatrice ed anche troppo progressista, ma colei che aveva accettato di restare in quel paesino sperduto, dove regnava la morte civile, perché affascinata da quel mondo antico ma sano e soprattutto da quei ragazzini che mi facevano sentire importante, indispensabile e professionalmente cresciuta.
    Tra le tante cose mi avevano anche insegnato a non odiare quel celeste registro che nessuno mi aveva spiegato come compilare.
    Un giorno, però, come succede proprio quando stai assaporando la felicità e raggiungendo certe mete, per motivi personali ho dovuto riprendere la via del ritorno.
    Ho dovuto lasciare i miei alunni, trasferirmi in continente ed essere assegnata ad una scuola vicino casa mia.
    L’impatto con questa nuova realtà, che pur conoscevo, inizialmente è stato sconvolgente.
    Mi sembrava di vivere in un altro mondo a cui non ero più abituata. Un mondo nel quale non c’era posto per i rapporti umani, per la solidarietà, per l’ascolto dell’altro. Un ambiente dove quello che contava era l’apparire e non l’essere persona, insegnante, donna e cittadina di una collettività in cui il benessere era sfacciatamente ostentato anche da diversi alunni griffati.
    Ma, anche questo nuovo mondo inizialmente incomprensibile, troppo consumistico e superficiale, mi ha propinato i suoi tesori che avrei dovuto scoprire da sola. Immergendomi in esso infatti ho potuto arricchire le mie conoscenze professionali, aggiornandomi, ed avere l’opportunità di verificare che come insegnante, nel complesso, ero sulla giusta strada. I numerosissimi corsi di aggiornamento frequentati, i validissimi scambi professionali con colleghi ed esperti hanno rafforzato quella primitiva forza che mi induceva ad essere un’insegnante diversa dai molti colleghi incontrati. Quando io, a pelle, ero convita che un insegnante avrebbe dovuto possedere tre inscindibili capacità ( relazionale, disciplinare e didattica), a detta di numerosi studiosi, avevo colto nel segno. Ecco perché in quell’isola e poi in una cittadina del continente il modo in cui quotidianamente proponevo ai miei alunni i diversi saperi era risultato quasi sempre accattivante e vincente. Anche in questa nuova scuola i miei ragazzini mi ascoltavano con entusiasmo e quando incontravo delle difficoltà di diversa natura, esse venivano quasi sempre superate, grazie all’aiuto di qualche collega , di qualche bravo preside e nel complesso dei genitori che le condividevano con me e tutti insieme riuscivamo ad eliminarle. Ed intanto gli alunni svantaggiati e normo-dotati crescevano ed io con loro. L’insegnamento per me era ormai divenuto una passione talmente travolgente che le storie dei miei alunni erano diventate anche le mie storie. Quanti lavori abbiamo programmato insieme, a dispetto di chi voleva che la scuola rimanesse ancora quella grigia di un tempo con regine e re che sarebbero dovuti restare i detentori assoluti di un potere scippato e non legittimato dai propri sudditi!
    La nostra scuola ormai stava spalancando sempre più le sue finestre al mondo. Quel mondo che girava vertiginosamente e che spesso non si riusciva a seguire. Quel mondo pieno di input che dovevamo saper discernere per non cadere nelle sue invisibili trappole. In 33 anni di insegnamento ho incontrato tanti alunni ora uomini e donne di cui sono orgogliosa e che, nella maggior parte dei casi, quando mi incontrano mi riconoscono, mi salutano e mi ricordano i lavori svolti insieme.
    Loro sono cresciuti ed io con loro. Ora però, grazie a questo governo che ha propinato l’idea di metter mano sulle pensioni, lo scorso anno nel giro di una settimana ho dovuto fare una scelta, la più difficile della mia vita: continuare ad insegnare chissà fino a quando o chiedere di essere collocata a riposo. Ho scelto quest’ultima opzione. Mi sembra un secolo che ho lasciato i miei ultimi alunni! E’ un anno che non ho messo più piede nella mia scuola, anche se ho giurato a me stessa e promesso agli altri che lo farò. Uno di questi giorni lo farò; ma mi hanno riferito che gli istituti comprensivi per cui in molti abbiamo lottato non sono più gli stessi. Perché, se fino a qualche anno fa, a tutti gli effetti, erano ritenuti scuole importantissime e validissime ? Questo mi dispiace tantissimo soprattutto per i ragazzi a cui non si potranno più offrire certe opportunità tra cui quella di credere nel sapere ed amarlo, crescendo con la convinzione che perseguirlo non sia, come reclamizzato in qualche TV, “TEMPO PERSO”, ma uno strumento indispensabile per diventare donne ed uomini consapevoli di se stessi con una precisa collocazione nella società; non schiavi, ma persone libere.
    Ecco in sintesi la mia storia. La storia di un’ insegnante che ha creduto nei ragazzi prima che nell’istituzione scolastica, che ha lottato sempre per difendere i loro diritti e far comprendere i loro doveri, che ha accettato di rimettersi sempre in gioco non proponendo mai carte ingiallite, che si è scontrata con quanti volevano una scuola omologata, che è stata felice di aver incontrato numerose difficoltà e che ora, da pensionata, continua ad interessarsi di questa scuola affinché non vengano cestinati i numerosi tesori scoperti e quelli che essa ancora nasconde.

    Dall’esperienza fatta io posso affermare che insegnare è un “mestiere” importante ed impegnativo,
    facile ed impervio, appagante e deludente, ciò che conta è chiedersi sempre perché e come lo si svolge; se si è soddisfatti, pur incontrando mille ostacoli e paletti che a volte impediscono di esercitarlo nel modo migliore, e che cosa dovremmo fare individualmente e collegialmente per superarli, rammentandoci sempre tuttavia che noi insegnanti portiamo avanti questo delicatissimo “mestiere” in primis per i nostri carissimi alunni.

    15 settembre 2003

    Carissimi alunni,
    spero con tutto il cuore
    che trascorriate un anno pieno d’amore.
    Pensandovi in questa scuola un po’ speciale,
    vi auguro di apprendere, di creare e di sognare.
    Di sertirvi sempre in sintonia con ciò che vi circonda,
    di inoltrarvi nell’immenso mare e poi cavalcare l’onda.
    Di affrontare ogni difficoltà con forza e coraggio,
    senza arrendervi mai, ma di andare all’arrembaggio.
    Che dirvi ancora, carissimi alunni miei?
    Che la scuola è bella perché c’è lui, ci son loro e c’è lei.
    C’è chi vi aiuterà e vi starà sempre vicino,
    per insegnarvi a crescere…,
    e far pulsare la vostra mente ed il vostro cuoricino.
    Ed allora buon anno scolastico a tutti voi ed ai vostri insegnanti,
    affinché insieme riusciate serenamente ad andare avanti!
    La vostra ex insegnante

    Prof. Ilaria Ricciotti

  239. Carissima Ilaria,
    la tua testimonianza è bella e preziosa. Aver potuto lavorare in due realtà così diverse, la Sardegna degli anni Settanta e poi il nord, ha arricchito la tua esperienza di insegnante e di persona, anche se sinceramente credo che in tutto questo abbia sicuramente avuto un grande ruolo la tua sensibilità personale. Senza sensibilità, nessuna esperienza può toccarci fino in fondo all’anima. Che devo dirti? Hai scelto il pensionamento. Per me hai fatto bene, dato come stanno le cose oggi. Capisco il tuo rimpianto! Lavorare con i ragazzi è bellissimo, anche in quei giorni che ti fanno arrabbiare o che sembrano non recepire e che poi ti sorprendono e allora capisci che ne vale la pena ogni giorno. Io sono come te Ilaria, in tanti anni di lavoro non ho perso l’entusiasmo e mi piace ogni giorno di più l’insegnamento e la mia più grande soddisfazione è vedere che i miei alunni lo capiscono e ne sono felici. Forse qualcuno dei miei ragazzi avrà un grande avvenire, qualcun altro invece resterà nell’ombra, ma in ogni caso per me e per loro ne sarà valsa la pena. Buona Pasqua Ilaria, spero di sentire ancora il tuo parere su questa rubrica.
    Maria Rita Pennisi

  240. Buona Pasqua a Maria Rita, a Ilaria e a tutti voi che seguite questa rubrica.
    Buona Pasqua alla scuola, che sembra ferma al Venerdì Santo e aspetta chi la redima.
    Buona Pasqua ai nostri governanti, nemici del ben fare e della cultura, senza progetti e in fondo disperati nonostante la caccia al voto e al potere, unica fame che li divora invece che quella di sapere e di agire bene, unica speranza di salvezza.
    Buona Pasqua a colleghi e personale ATA, e soprattutto agli alunni. Che siano interessati e motivati, che pensino alla conoscenza come a qualcosa di vivo e vitale.

  241. Carissima Maria Rita e Maria Lucia,
    ringrazio entrambe e tutti coloro che dimostrano di amare gli alunni e la scuola. Oggi più che mai è necessario gridarlo e far sì che in molti percepiscano questo amore. Per quanto concerne me, debbo dire che, pur essendo quasi stata costretta ad andare in pensione, oggi se fossi ancora un’insegnante mi sentirei molto più soffocata dalle mille incombenze burocratiche che a mio avviso non stanno qualificando la nostra scuola. Scuola che è sempre più relegata in un cantuccio della nostra società “benestante” e sempre più resa opaca da coloro che non vogliono che i nostri ragazzi si pongano delle domande, siano in grado di darsi delle risposte sui mille fatti della vita ed imparino ad imparare.
    Far sì che i ragazzi siano dotati di strumenti critici per analizzare ciò che li circonda e sentirsi liberi, forse per molti insegnanti non è più considerato uno dei requisiti importanti che la scuola deve perseguire.
    Ed allora come si può pretendere dai nostri aluni comportamenti responsabili e maturi se poi noi non sempre li aiutiamo a crescere ma imponiamo loro le nostre “verità”?
    Niente è più bello che sentirsi dire da un ex alunno, ormai diventato uomo:” Professorè, grazie per ciò che mi hai insegnato!” (e questa per me non è retorica).
    Tuttavia ciò che mi conforta è sapere che in Italia, nonostante la scuola venga bistrattata sempre più, ci sono ancora sparsi qua e là per il bel Paese ottimi insegnanti.
    Come cittadina e come ex collega:” Grazie per ciò che fate!”
    ilarì

  242. Caro Massimo,
    è bello leggere interventi come quelli di Ilaria, perché ci fanno capire che c’è, nonostante tutto, chi ama l’insegnamento e cerca di dare ai ragazzi gli strumenti per saper capire e valutare le cose. La cultura ci dà la possibilità di scelta. Questo è fondamentale nella vita di ognuno.
    Un caro saluto per te e famiglia
    Maria Rita Pennisi

  243. Carissima Ilaria,
    grazie mille anche da parte mia.
    Continua a venirci a trovare. E considera Letteratitudine… come casa tua.

    Un caro saluto a Maria Rita e a Maria Lucia.

  244. Carissimo Massimo,
    ti ringrazio per l’invito. Di certo verrò spesso a trovarvi, perchè mi trovo benissimo nella vostra casa. Mi sento a mio agio, posso esprimermi liberamente e ho avuto la conferma che, come già detto, in questo Paese, a volte divenuto incomprensibile e duro, ci sono tante persone disposte ad ascoltare, a sostenere democraticamente le proprie idee e soprattutto a non considerare il diverso un nemico da cacciar via, bensì una risorsa.
    Mi trovo bene anche perchè credete nei giovani.
    Li amate, permettete loro di sognare, di credere nel futuro che dovranno costruirsi, non tarpate loro le ali e non li considerate dei bamboccioni che si lasciano abbindolare da certe stanze dorate, piene di falsità e di squallore.

  245. Buonasera.
    Sono contenta di essere di nuovo qui, per parlare di scuola. Oggi le lezioni sono riprese. Come avete trovato i vostri alunni? Io i miei li vedrò domani e sono certa che saranno ancora poco disposti allo studio, dopo le vacanze, ma si rimetteranno presto in carreggiata, dato che l’anno scolastico sta per finire e per le quinte gli esami sono alle porte. Ogni anno si assiste allo stesso miracolo: il risveglio delle quinte, dopo Pasqua. Saranno due mesi di duro lavoro. Specialmente il mese di maggio, che si annuncia con il profumo delle rose, ma a noi insegnanti porta le spine ( gli ultimi compiti in classe, le ultime interrogazioni, i consigli di classe, incontri scuola-famiglia, collegi docenti etc …). Però sappiamo tutti, prof. e alunni, che sta per finire la scuola e ci aspettano, oltre gli esami di stato, anche le meritate vacanze. Quindi raccomando agli alunni di non mollare ora che siamo quasi al traguardo e di dimostrare ancora più volontà e impegno. Cosa dire inoltre ai nostri ragazzi? Godetevi la scuola, perché anche se vi sembra impossibile, la rimpiangerete. E’ il periodo più bello fatto di amicizia, impegno, condivisione e speranze. E’ la giovinezza! E anche ai colleghi dico lo stesso: godiamoci la scuola finché possiamo. E’ incontrarsi ogni giorno con alunni e colleghi, arrabbiarsi, farsi una risata, ma è vita.

    Maria Rita Pennisi

  246. Carissimi amici,
    questo mese di maggio si è annunciato con un bellissimo sole, ma purtroppo per noi insegnanti, maggio significa solo un grossissimo impegno di fine anno scolastico. Consigli, collegi e riunioni si susseguono e la scuola è un gran viavai di Docenti con tante carte in mano, alunni che ripassano, perché sperano di riparare qualche insufficienza con l’impegno finale e personale ATA che corre da tutte le parti, non sapendo dove dividersi. Inutile dirlo, il taglio al Personale della scuola si è fatto sentire e il prossimo anno sarà anche peggio. Che dire? Comunque vadano le cose dobbiamo andare avanti, perché la responsabilità del nostro lavoro è grande e i nostri alunni, nonostante tutto, credono in noi.

  247. Cara Maria Rita,
    cara Maria Lucia…
    un saluto a voi!
    Al più presto rianimeremo questo spazio invitando a partecipare alla discussione qualche altro scrittore-docente.

  248. Caro Massimo,
    ho appena messo punto agli impegni scolastici, perché avevo desiderio di tornare a parlare sul blog. Ribadisco che per noi insegnanti maggio è micidiale, specialmente per quelli che come me sono coordinatori delle quinte classi e sono impegnati nella stesura del documento del 15 maggio. Fortunatamente siamo così assuefatti a questo tipo di lavoro, che lo svolgiamo quasi automaticamente. Mi chiedo, ma a cosa servono queste scartoffie? Da quando ci sono tutti questi progetti a cui partecipano gli alunni e su cui relazionare, il rendimento dei ragazzi è più basso, perché passano tutta la giornata a scuola e tornati a casa, alle 18.00 circa, non si possono mettere a studiare, perché sono ovviamente stanchissimi. Allora, cui prodest? Io sarei per il ritorno a una scuola in cui si lavora seriamente in classe, ma tanto la mia è una voce nel deserto.
    Mio caro Massimo,
    ti saluto con affetto.
    Maria Rita

  249. Chiedo a quanti sono insegnanti di scuole secondarie superiori se sia indispensabile che gli studenti, per dimostrare di essere “maturi”, debbano esporre in mezz’ora circa le proprie conoscenze anche di fronte ad estranei.
    Inoltre:” Perchè il contenuto degli scritti deve essere identico su tutto il territorio nazionale se di fatto diverse scuole non hanno finito il programma o non hanno trattato determinati argomenti?”
    Grazie, ilarì

  250. Ciao a tutti,
    condivido lo stress da impegni di fine anno (… il micidiale documento del 15 maggio: sono coordinatrice di V per la prima volta in vita mia e vorrei scappare lontano …).
    Condivido anche l’insoddisfazione per tutto quello che rende sempre più difficile il nostro lavoro ma voglio soprattutto condividere alcune piccole cose molto preziose, che per me hanno dato senso a quest’anno scolastico e forse alla scelta di questo lavoro.
    come scritto in un post di parecchi mesi fa, pur di far leggere i miei alunni, avevo preso dalla mia libreria una gran sporta di libri, quelli che mi sembravano più adatti, e li ho portati a scuola, distribuendoli un po’ a caso un po’ secondo le mie impressioni.
    Hanno avuto due mesi di tempo per leggerli con l’unico obiettivo finale di parlarne tra di loro e con me, leggendone la pagina preferita (o anche una scelta a caso..)
    Nessuna relazione, recensione, nè voto: nessuna costrizione alla lettura, nessun ricatto, solo consigli basati sui miei gusti personali e sul mio personalissimo amore per i libri.
    Non so come, ma quasi tutti i ragazzi hanno letto il loro libro: Niccolò ha letto “Il lottatore di sumo che non diventava grosso” e ha commentato: “mah, abbastanza scorrevole, considerando che era il mio primo libro …”.
    Tatiana, appassionata di storie di vampiri, ha letto “La metamorfosi” e l’ha raccontata con grande coinvolgimento per questo poverino schifato dalla sua famiglia solo perchè il suo aspetto era cambiato.
    Stefano, intelligentissimo e assolutamente refrattario alla scuola (“fa tutto schifo”) e purtroppo avviato a perdere l’anno (una bocciatura conquistata con metodo), ha letto “la fattoria degli animali” e ha detto: “ha visto prof, alla fine una cosa che mi è piaciuta l’ho trovata”.
    Per la maggior parte del tempo, a scuola, quando spiego e i miei alunni mi guardano come se non mi vedessero, penso insieme a Guccini “ma se io avessi previsto tutto questo, dati cause pretesto, e attuali conclusioni, credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi…”, qualche volta, e soprattutto adesso, mi dico che qualcosa forse è stata fatta, una parola vera tra me e loro è stata detta, e penso che se non mi restituiranno questi libri sarò ancora più contenta.

  251. Cara Claudia,
    credo che – nonostante tutte le difficoltà – tu abbia fatto una bellissima esperienza libresca con i tuoi ragazzi.
    Grazie per averla condivisa con noi.

  252. Claudia cara,
    bravissima… ho fatto anch’io così l’anno scorso e sentire te che racconti la stessa esperienza mi fa sentire meno sola.
    Sai, alcuni libri non mi sono stati restituiti e la penso come te su questo… meglio così.
    Sai, una mia alunna distrattamente mi ha detto – ah, sa prof? Quel libro era troooppo bello. Poi me lo sono comprato per averlo. I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER.

  253. Ilari3,
    il problema che tu sollevi è davvero serio. La scuola si è avviata da tempo lungo il percorso dell’autonomia. Un certo monte ore è dedicato ad insegnamenti specifici, “locali”.
    Ma l’esame di maturità è un po’ come i mondiali: tutti tifiamo Italia, tutti a svolgere gli stessi compiti. Che rispecchiano quella che dovrebbe essere la situazione di uscita degli alunni, da qualsiasi parte dell’Italia vengano. Anche perché a livello nazionale deve essere assicurata una certa uniformità di intenti. Pensa a un Liceo in cui si svolgano tracce “padane” e ad uno con tracce “sicule”. Almeno no al federalismo scolastico.

  254. Carissimi Prof.,
    che ne dite dei “bellissimi testi” dati dalla Ministra e dai suoi aiutanti? Pensate che gli argomenti siano stati trattati su tutto il territorio nazionale e che gli studenti dal nord a sud d’Italia siano preparati ad affrontarli in modo equo? Io penso di no, Ancora una volta chiedo perchè il Ministero non richiede, mediante i suoi rappresentanti, quali programmi siano stati trattati dai prof italiani. Le tracce date mi sembrano molto penalizzanti per quegli studenti che non hanno letto il libro di Levi, non sanno nulla delle foibe e di politica, non perchà non sono in grado di capire , ma perchè nessuno li ha preparati ad affrontare tali argomenti che non fanno parte dei vari programmi di studio.
    Ed allora mi chiedo e vi chiedo con queste premesse che senso abbia sostenere un esame di “maturità”, attribuendo le stesse prove scritte a tutti gli studenti italiani se poi all’orale ognuno viene interrogato su un programma che è diverso da zona a zona.
    Per favore aiutatemi a capire, fornendo anche delle risposte ai vostri studenti| Io non sono in grado di farlo.
    Grazie. ilarì

  255. Cara Ilarì,
    gli Esami di Stato e non di Maturità (questa dicitura risale a molti anni fa)sono il momento conclusivo di un iter di studi. I vari dipartimenti, io mi riferisco a quello di Lettere, per restare nel mio campo, sempre attenendosi ai Programmi Ministeriali, nei vari anni, sono autorizzati a scegliere, oltre agli autori da cui non si prescinde, degi autori e de brani antologici, che ritengono importanti e fondamentali per la formazione dei loro alunni. Quindi è chiaro, che può capitare che il Ministero mandi alcune tracce riferite a degli autori, che magari non si sono studiati, ma siccome la rosa delle tracce proposte dal Ministero è molto ampia, tutti gli studenti hanno la possibilità di scelta e di potere scrivere quanto vogliono, quindi è chiaro che non vengono certo penalizzati.

    Con simpatia
    Maria Rita Pennisi

  256. Cara Maria Rita,
    non capisco perchè tu, almeno così mi sembra, voglia difendere le modalità di scelta del il Ministero a riguardo delle prove inerenti gli “Esami di Stato” e non di Maturità, a cui ero rimasta. A mio avviiso se il Ministero non verifica quali contenuti di fatto sono stati svolti in tutte le scuole italiane e di conseguenza non formula prove basandosi su quanto ho espresso sopra, penalizza tutti gli alunni che non hanno potuto svolgere certi contenuti.
    Quanti alunni, sono stati in grado di svolgere tutte le prove dei temi, forniti dal Ministero qualche settimana fa, con consapevolezza e non forzatamente? Da un piccolo sondaggio fatto neanche la metà. Ma il mio non è un sondaggio attendibile.
    By, ilarì

  257. Salve rispondo all’invito di Massimo Maugeri e di Claudio Morandini a trasferirmi su questo post. Non sono nè un docente nè uno scrittore, ma da vecchio ex studente e da padre di due studentesse voglio dare il mio contributo alla discussione.
    Ho scorso tutti i commenti, diversi li ho letti più attentamente, in particolare uno di Morandini, uno di anonimo , in risposta a Morandini, un altro di Maria Letizia ed uno che citava Calamandrei; ” la scuola deve trsformare i sudditi in cittadini” questo assunto è stato negli anni sempre più disatteso, anzi addirittura ribaltato, oggi la scuola è diventata l’area di parcheggio dei cittadini in attesa di diventare sudditi.
    Per i docenti, come per noi genitori la situazione non è affatto piacevole e credo anche irrisolubile. Chiudo qui per ora, per gli interventi a gamba tesa aspetto ancora un pò
    Saluti.

  258. Molte mie amiche precarie sono rimaste a casa. Quelle fortunate hanno un marito / compagno / genitore che lavora o è pensionato. Le altre possono seguire i consigli di Stracquadanio oppure come scrive Elisa P. andare a zappare.

  259. Che schifo lavorare in queste condizoni e far crescere i nostri figli così, sono indignata da ciò che questo paese sta facendo alla cultura e all’educazione dei giovani, nonchè ai lavoratori. Povera scuola povera Italia!
    Che ci vogliano ignoranti??? E soprattutto incapaci di pensare con testa propria?Interessante l’articolo di Serra.

  260. Innanzitutto grazie! Oggi è stato il mio primo giorno di scuola ed è bello che quest’affermazione sia per me vera da vent’anni. Inizia il mio viaggio, l’incontro con i miei “compagni” d’avventura, perchè l’apprendimento è sempre un’esperienza, che ci pone in movimento, che sovverte l’ordine per creare nuovi equilibri e gerarchie, una riscoperta dell’altro e di se stessi. Se non fossi un’insegnante, questa sarebbe una noiosa giornata di lavoro come tante e invece sono emozionata. Quest’anno ricomincio dalla prima, poi ho un “pezzetto” di seconda, infine la quinta, sì devo fare l’esame di stato. Che bello! Come sono giovane, ringiovanisco ogni anno. Se non sapessi che responsabilità ho sulle spalle, questa sarebbe proprio una giornata come le altre, ma non lo è.

  261. Enza cara, ce ne vorrebbero di persone come te, entusiaste di lavorare con i ragazzi e per il futuro della società… eppure voglio essere ottimista, sono sicura che molti degli insegnanti siano come te.
    Solo che le condizioni in cui ci si trova a lavorare, specie quest’anno, sono sempre più difficili. Si chiede alla scuola di essere al passo con i tempi e poi manca il toner, non puoi fare fotocopie se non per i compiti in classe, il videoproiettore è uno e devi prenotarlo per tempo, i ragazzi sono non meno di 24 per classe, diversi alunni hanno delle carenze o addirittura degli handicap non certificati e devi sobbarcarti tutto tu senza insegnanti di sostegno e assistenti…
    Eppure voglio lavorare con lena, senza permettere che il mio entusiasmo venga mortificato.
    I precari sul ponte che non c’è mi hanno rattristata e impaurita…

  262. ciao a tutti
    oggi sono stato nominato…parte il televoto che si concluderà a giugno!!!
    uso anche io questo bieco linguaggio televisivo…ricomponiamoci altrimenti Maria Lucia mi sgrida!!

    Dicevo, oggi ho preso la nomina dalle code delle code (non sto scherzando) di sostegno ad00 e sono riuscito a tornare nella mia scuola. Gli abilitati a questa classe di concorso sono esauriti (in tutti i sensi) e nella provincia di Milano sono rimaste, udite udite, circa 250 cattedre e 115 spezzoni!!!!!!!!

    Mi domando il perchè di tutto questo divario nel nostro paese. La tristezza è stata, in questi due giorni di mercato ittico, vedere madri e padri di famiglia lasciare i loro affetti e la oro vita a chilometri di distanza per 1300 euro scarsi al mese.
    Non ho parole!

    ahi serva Italia, di dolore ostello,
    nave sanza nocchiere in gran tempesta,
    non donna di provincie, ma bordello!

    Fra qualche anno se continua così chiederemo io e la mia fidanzata asilo politico!

    buon anno a tutti!
    Fabio

  263. cara Maria Lucia,
    so che non è lo spazio adatto però vorrei approfittarne per dirti che ti voglio bene e che per me sei stata preziosa negli anni della mia formazione.
    Buon anno scolastico!

  264. Fabio, tu non sei mai fuori luogo… intervieni quando vuoi, sarai sempre il benvenuto. Massimo e tutti noi di Letteratitudine ogni giorno scriviamo e leggiamo in questo spazio che è anche un po’ “casa” virtuale fatta di parole e condivisione.
    Buon anno scolastico a te e Francesca: serenità e gioia vi accompagnino.
    Ti voglio bene anch’io e te ne vorrò sempre.
    🙂

  265. Cara Maria Lucia, caro Massimo,
    che piacere rincontrarvi sul blog!
    La scuola è ricominciata e come al solito non mancano i problemi. Quest’anno si è aggravata la posizione dei precari. Questa è una cosa che fa male al cuore, perché colleghi che fino all’anno scorso hanno lavorato, oggi si trovano senza lavoro. Il precariato costituisce una piaga profonda nella società, perché chi è precario nel lavoro lo è anche nella vita di tutti i giorni. Non avendo un lavoro o un lavoro fisso si trova nell’impossibilità di affittare o comperare una casa, nell’impossibilità di stare per proprio conto e nell’impossibilità di sposarsi. Tutto ciò è molto triste, perché la maggior parte dei giovani è volenterosa. Però anche la situazione del personale a tempo indeterminato non è delle più rosee. In molte scuole, insegnanti e Ata con tanti anni di servizio, hanno perso il posto e si sono ritrovti in paesi lontani o su tre scuole. Cosa dire? L’unica cosa che possiamo dire è che gli insegnanti ci sentiamo sinceramente vicini a tutte le categorie che in questo momento si trovano in difficoltà e che siamo pienamente coscienti che quello che è capitato oggi agli altri, capiterà probabilmente anche a noi, che ancora abbiamo la fortuna di essere nelle nostre sedi.
    Maria Rita Pennisi

  266. Cara Maria Rita, bentrovata!
    In questi mesi sono usciti alcuni libri interessanti sulla scuola… non sarebbe male approfondirne la conoscenza per ri-animare questo spazio. 😉
    Ne parleremo nei prossimi giorni…

  267. Vi segnalo questo libro per me particolarmente interessante perché mi ha fatto riflettere molto. Si chiama “il banco sopra la cattedra”, l’autore è un professore Luigi Polito. A mio modesto parere è scritto senza peli sulla lingua e cerca di dar voce agli studenti, i quali raccontano i segreti, le emozioni, le angosce che spesso, sono costretti a vivere a scuola e all’università.
    Un abbraccio a tutti Paola catalano

  268. Mi dispiace avere per un po’ trascurato la rubrica…
    La vita e la scuola vanno avanti più velocemente di quanto riusciamo a fissarle su carta o qui nel blog.
    Vedo i miei ragazzi crescere – arrabbiata a volte, spesso orgogliosa, a volte commossa come quando ti scrivono e ti dicono che sei importante per loro… e allora mi riconcilio con questo lavoro difficile ed esaltante insieme – , vedo la protesta e a delusione per un mondo che non è a misura dei loro sogni – ma spesso per colpa nostra i ragazzi volano basso, perché noi stessi non crediamo abbastanza nel loro futuro.
    Spero nelle loro risorse insperate, in un mondo migliore che dovremmo costruire insieme a loro.

  269. Cari amici,
    una bella recensione di Cesare Segre è apparsa sul “Corriere della sera” riguardo il libro di Paola Mastrocola intitolato “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare.” Casa Editrice Guanda.
    Nel libro, stando alla recensione, Paola Mastrocola vuole dimostrare che lo studio di oggi è compromesso e svuotato. Il suo disappunto nei confronti della scuola coinvolge le idee di don Milani, a proposito del nozionismo, e Rodari, che per il primo ciclo scolastico proponeva la trasformazione dell’insegnamento in gioco. La Mastrocola, forse, critica il fatto che nelle scuole, molte volte, ci si attiene ai saperi minimi da raggiungere. Secondo lei, la scuola deve creare nuovamente la centralità dello studio e soprattutto bisogna che rivaluti gli studi umanistici, indubbiamente formativi per la persona. Il ritorno allo studio, oggi, sarebbe utile per gli studenti, che hanno voglia di imparare, per diventare più consapevoli delle loro effettive capacità. Secondo Paola Mastrocola si deve tornare alla centralità dell’insegnamento e capire, che i giovani sono più maturi e pronti di quanto immaginiamo.

    Maria Rita Pennisi

  270. La Mastrocola prosegue la sua riflessione sull’approssimazione e l’abbassamento del sapere che, dilatandosi in ogni ordine dell’istruzione italiana, sembrano destinati a mangiarsi ogni margine di sopravvivenza di rigore in qualsivoglia ordine di studi. La constatazione è amara e lucida, e Cesare Segre la coglie e la sottoscrive: d’altronde, chi abbia a cuore il valore dello studio, ne abbia sperimentato il profilo educativo e si sia formato con passione sugli autori classici, non può rassegnarsi a vederne ridotto il bagliore a «quello di un fiammifero». Sarebbe peraltro un’ingenerosa forzatura individuare in Rodari e in don Milani gli iniziatori – per quanto involontari – di un progressivo sfaldamento della scuola, che ha motivi e responsabili ben diversi: ma ai nostri tempi grigi mancano, purtroppo, l’acume e l’autorevolezza di un intellettuale come Pasolini per indagarli e denunciarli.
    D’accordo: la scuola italiana dovrebbe recuperare l’energia per dimostrare il valore ‘gratuito’ della conoscenza (e non solo classica: anche di quella scientifica, e matematica in primis). Tuttavia non si può trascurare che è sull’orizzonte globale che i nostri allievi dovranno confrontarsi: e su quell’orizzonte sono soprattutto le competenze ad essere valutate. Pertanto, al rigore teorico dovrebbe corrispondere una uguale precisione di metodo nell’acquisizione di competenze, se non vogliamo rimanere ad osservare con impassibile distacco – tutt’al più sollevando un sopracciglio – i risultati, ad esempio, delle classifiche Ocse-Pisa sulle competenze di lettura, che vedono gli studenti cinesi ai primi posti.
    La scuola pubblica è attaccata da ogni parte (lo abbiamo sentito, scandalosamente, anche ieri): ma ci sono tanti docenti, e tanti studenti, che non vogliono adeguarsi al gioco del ribasso, nonostante i tagli, i disagi, le delusioni. Tanti che a Rodari e a don Milani sono debitori, più o meno consapevoli, del gusto di appassionarsi al proprio mestiere, spudoratamente – direi – in questi tempi in cui pare intelligente solo chi si fregia di cinismo. Grazie quindi alla Mastrocola, che, da docente cui la scuola preme, contribuisce a portarla al centro del dibattito non in quanto azienda da ridimensionare per far cassa, ma cuore pulsante della formazione civile.
    (Maria Rosa Tabellini)

  271. Salve a tutti…
    Ricomincia la scuola, suona la campanella e… LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA.
    Vi aspettiamo, Rita Pennisi ed io, per le vostre riflessioni sul mondo della scuola.
    Attraversata da venti di riforme che non sono altro che tagli, tagli, tagli.
    Genitori, non vi rendete conto che la scuola non è un parcheggio ma la palestra della vita per i vostri figli? E che questa palestra ha sempre meno istruttori, sempre meno custodi, sempre più attrezzi rotti? Che le ore di esercizio sono sempre di meno?
    Colleghi, cosa facciamo per rendere più dignitoso il nostro mestiere?
    Dirigenti scolastici – quanto era più bello dire preside, direttore… le parole sono importanti, danno peso alle cose. Bidello è un’istituzione, collaboratore scolastico è una scritta sbiadita su un cartellino – , qual è il vostro ruolo?
    Alunni, siete contenti di avere l’orario ridotto? Sono ore scolastiche in meno, preparazione in meno, futuro in meno…

  272. La scuola è palestra di riflessione, di scoperta di se stessi e del mondo.
    Non terreno di scontro oppure occasione per voti di scambio, per mercimonio di favori e intrallazzi.
    Ricordate: in questo periodo così difficile per l’Italia, la nostra Repubblica viene difesa nelle scuole e nei tribunali. Per chi crede, ai piedi degli altari.
    La vita non è quella “alla grande” sognata dalle escort – da rabbridivire le interviste di questi giorni, in cui alla bellezza, alla Bellezza, viene attribuito un valore monetario – ma una Grande Avventura, una scoperta, anche sofferta. Indagata e ricercata con umiltà, con passione, con amore.
    La scuola non può e non deve adeguarsi alle mode e ai valori della società. Può trasformarsi ed evolversi tecnologicamente ma il suo ruolo e la sua funzione non possono e non devono piegarsi alle convenienze di turno.

  273. Fabiola, grazie a te…
    Vorrei davvero che la gente comprendesse il senso dello sfacelo.
    Io lo credo davvero, che questo paese funzioni ancora grazie a chi lavora con senso del dovere, con scienza e coscienza.

  274. Un caro saluto a voi tutti…
    I desolanti svarioni della Gelmini spersa tra neuroni e neutrini in un tunnel del quale non vediamo la fine rappresentano l’emblema di questo inizio d’anno scolastico.
    Tagli – alle materie, alle cattedre, al personale ATA – , la situazione disastrosa dell’edilizia scolastica, le classi pollaio…
    Materia di riflessione, sicuramente.

  275. Ciao a tutti voi e a Maria Lucia Riccioli autrice di uno splendido romanzo: “Ferita all’ala un’allodola” che parla proprio di una ragazza, Mariannina Coffa, cresciuta nella seconda metà dell’Ottocento a Noto e poi a Ragusa, dove morirà giovanissima. Per Mariannina la cultura è tutto, non sa vivere senza poesia. Ha potuto rinunciare a una vita d’amore con Ascenzio, ma non può rinunciare alla poesia. Ecco quello che vogliono fare oggi con noi e specialmente con i ragazzi: vogliono farci rinunciare alla poesia ai sogni. Una società in cui si stringono i lacci della borsa sulla cultura, sulla scuola e sull’università è una società in declino, però non dobbiamo arrenderci, perché nonostante tutto i nostri ragazzi si aspettano tanto da noi e non possiamo deluderli.

    Maria Rita Pennisi

  276. Spero che Simona, Tea, Mavie, Consuelo e Luigi siano collegati. Vi abbraccio forte e spero di vedervi presto

  277. Un caro saluto a tutti voi… e in particolare a Maria Rita Pennisi, che conduce insieme a me questa rubrica e con la quale ho condiviso alcune tappe della tourneé di Mariannina Coffa… Maria Rita mi ha infatti presentata a Catania e ad Acireale, coinvolgendo anche i suoi allievi. Ringrazio anche Orazio che è divenuto il lector ufficiale per Catania e provincia… 🙂
    Mariannina Coffa ha sognato. Questo il suo peccato: la poesia, la letteratura, i sogni di gloria, la volontà di autodeterminarsi, il desiderio di essere utile alla patria con il contributo della propria poesia e dello specifico femminile.
    Una figura che ritengo attualissima nonostante sia una ragazza del lontano 1841.

  278. Deliziosa signora Riccioli,
    non posso non sentirmi coinvolto dalle sue domande. Come ben sa ho insegnato per più di quarant’anni e ho visto la scuola mutare attraverso le epoche e così i nostri ragazzi. Che sono sempre la nostra ricchezza, la nostra positiva provocazione, il nostro futuro. Anche quando assumono atteggiamenti provocatori (ricordo alcuni anni caldi del 68 e dei primi settanta), o anche quando appaiono disinteressati.
    In verità sono sempre portatori del nuovo, hanno sguardi appassionati, sanno amare, sanno sognare.
    Ci insegnano a rinnovarci.
    Pertanto questo dovrebbe essere la scuola. Il loro strumento per scoprire se stessi, la loro vocazione, il loro destino.
    Quindi la scuola perde slancio quando abdica al ruolo di formare con entusiasmo i propri figli.
    Quello che accade adesso è proprio questo….Si fanno conti, si quantifica, si taglia…e va bene…ma mai nessuno che pensi a un progetto vitale. A una formazione che premi l’entusiasmo. Che accenda il cuore anche dei docenti.
    Perchè mortificarli quando è a loro che è affidato il delicato compito di seguire la crescita dei ragazzi? Perchè non incentivarli, stimolarli, premiarli in base al merito, al cuore e non ai numeri?
    Finchè ci saranno educatori scontenti, non potremo avere studenti felici.
    E con questo che la notte vi culli, cari colleghi.
    Io ho dato…e a voi auguro molta fortuna.
    Vostro
    Professor Emilio

  279. LA SCUOLA E LE RIFORME

    di Maria Lucia Riccioli

    Riapriamo la rubrica LETTERATITUDINE CHIAMA SCUOLA con un post senza pretesa di esaustività ma che tenta di offrire un contributo alla comprensione di ciò che agita il mondo della scuola in questo periodo di riforme, spending review, autunno caldo.
    Chi studia, insegna o ha a che fare con il mondo della scuola come genitori, personale ATA – assistente tecnico amministrativo – , sindacati, partiti, intellettuali e semplici cittadini che hanno a cuore questo settore fondamentale dell’azienda Italia e soprattutto della nazione Italia, sa che i problemi della scuola hanno pari peso, oggi, che quelli relativi al pareggio di bilancio, allo spread, alle riforme istituzionali.
    La partita del futuro di un paese si gioca anche e soprattutto sul campo dell’istruzione, dell’integrazione di studenti stranieri e diversamente abili, del rapporto scuola-mondo del lavoro.
    Quale futuro stiamo offrendo ai nostri bambini, ai nostri ragazzi?
    Ho letto in rete e sui principali periodici articoli, post e commenti sulla situazione dell’edilizia scolastica, dei contratti di chi lavora nel mondo della scuola – la polemica sull’innalzamento dell’orario di lavoro dei docenti, per dirne una – , dei tagli di ore di lezione e cattedre, dell’ingresso delle nuove tecnologie nella scuola, dell’insegnamento delle lingue straniere.
    L’argomento appassiona, la protesta verso alcune scelte governative monta – scriviamo a ridosso dello sciopero del 24 novembre, caratterizzato da una protesta civile e ironica – e sarebbe interessante raccogliere i vostri pareri.

    Domande per stimolare la vostra riflessione:

  280. 1. Quali sono a vostro giudizio le cause del “degrado” dell’istruzione in Italia e quali le possibili soluzioni?

  281. 2. La reale situazione della scuola è percepita nella sua gravità da tutti i cittadini?

  282. Carissima Mari,
    condivido le tue preoccupazioni innanzi tutto come mamma di un adolescente che frequenta la scuola e ad essa chiede partecipazione alla propria crescita.
    Credo che la vera formazione sia sempre basata sull’amore e sulle idee, e che la scuola dovrebbe essere il campo degli investimenti, e non dei tagli.
    Comprendo il momento di difficoltà, comprendo le esigenze dettate dalla crisi, ma ci sono campi della nostra vita (e l’istruzione è uno di questi) a cui si dovrebbe dare la priorità assoluta, quasi una via preferenziale e d’emergenza.
    Perchè sacrificare le generazioni con numeri e quantità, alla lunga, non rinnova la società, la impoverisce.
    Da madre quindi comprendo la tua preoccupazione di insegnante e spero che il vostro lavoro prezioso sia supportato e rafforzato come merita.
    Coraggio.
    La tua Simo

  283. Caro Massimo, cara Maria Lucia, sono contenta che si sia riaperto questo forum dedicato alla scuola in un momento così importante.

  284. 1. Quali sono a vostro giudizio le cause del “degrado” dell’istruzione in Italia e quali le possibili soluzioni?
    Difficile rispondere. Io credo che siamo un po’ tutti responsabili del “degrado” dell’istruzione in Italia. Le istituzioni, in primis. Ma anche noi cittadini e noi genitori, se non facciamo sentire la nostra voce.
    Purtroppo non ho ricette, ma è fuor di dubbio che in una società civile è soprattutto compito della politica (della buona politica) far sì che la scuola funzioni al meglio.

  285. 2. La reale situazione della scuola è percepita nella sua gravità da tutti i cittadini?
    Purtroppo temo di no. Ma bisogna dire che per anni si è pubblicizzata la “politica del fare” contrapponendola a quella “del sapere”.
    Ma come fai a “fare” se non “sai”?
    La formazione, lo studio, la ricerca sono elementi irrinunciabili per il futuro di ogni società degna di tal nome.

  286. 3. L’intervento di Mario Monti, presidente del Consiglio, a CHE TEMPO CHE FA. L’avete ascoltato? Che ne pensate?
    Non ho visto la puntata. Se ho tempo lo farò on line. Comunque dico che capisco che i tempi sono quelli che sono e che è necessario ridurre la spesa pubblica. Ma sulla scuola bisogna trovare il modo per investire di più, anziché tagliare.

  287. sono d’accordissimo con l’articolo di maria lucia e mi sembra importante la riattivazione di questo forum.

  288. la cosa paradossale è che questo è un “governo di professori”!
    ma forse non bisogna stupirsi: l’italia è tutta un paradosso.

  289. Professor Emilio,
    grazie!
    Delizioso è lei, con i suoi interventi sempre squisiti e pertinenti…
    Ha posto il dito nella piaga della scuola, cioè nel suo cuore.
    Una istituzione come la scuola non è come le altre: non si può parlare di spending review, come se sui banchi ci fosse una catena di montaggio.
    Ferita a morte – alla La Capria, per ferita d’amore – è la scuola e solo i ragazzi con il loro entusiasmo e le loro energie, i genitori con la loro voglia di partecipare e manifestare dissensi e proposte, educatori e personale ATA, tutti, proprio tutti, potranno lenire e guarire forse questa ferita.

  290. @ Amelia Corsi: grazie!
    Mi ha fatto venire in mente quella bellissima opera d’arte che è L’ALLEGORIA DEL BUON GOVERNO.
    Di questo avremmo bisogno.
    Domande complesse però necessitano scioglimenti di nodi e un lungo percorso.

  291. Simona, grazie!
    In effetti tutti noi abbiamo a che fare con la scuola, come operatori o come genitori zii nonni amici…
    Crescere un figlio oggi vuol dire avere a che fare con una società complessa, stratificata. Confusa.
    In radio, nei miei spostamenti da una sede all’altra, nella mia macchina sempre carica di libri, compiti in classe, ritagli di giornale per i miei alunni, temini, riassunti… ascoltavo i dati OCSE sulla ripresa difficile del nostro paese e sulla disoccupazione giovanile.
    Agghiaccianti.
    In Germania si parla dell’otto per cento, ma qui il trentasei (36) per cento dei giovani non lavora.
    Cosa stiamo offrendo a questi ragazzi?
    Solo – ripeto – con lo spirito propositivo di tutti, con una mentalità che non penalizzi la cultura e il merito e privilegi il sapere, il saper fare e il saper essere qualcosa potrà cambiare.

  292. Maria Lucia, rispondo sinteticamente alle tue domande:

    1- Ragioni macrosociali: negli ultimi vent’anni diversi governi Berlusconi hanno considerato la scuola pubblica e la cultura come elementi spregevoli, quasi come rifiuti, da trattare come tali. E gli intermezzi dei governi di centrosinistra sono stati caratterizzati da un indeciso autoritarismo confuso e distratto.
    Ragioni microsiociali: degrado del senso civico e della coscienza individuale, deresponsabilizzazione soggettiva indotta e interiorizzata, frustrazione che si trasforma in aggressività.
    2- No, la gravità della situazione scolastica non è percepita nella loro realtà dai cittadini. Addirittura alcuni sono pronti ad additare con disprezzo i docenti. Dividi et impera. La scuola primaria, che era punto di riferimento internazionale di qualità del nostro sistema scolastico, è stata smantellata dalla Gelmini. Sarebbe bastata una protesta di dissobedienza civile, collettiva e duratura, da parte dei genitori, in sintonia con docenti e comunità tutta, e la Gelmini avrebbe dovuto fare marcia indietro: forse sarebbe stato un bene pure per lei, avrebbe cioè perso probabilmente un po’ di quell’espressione da automa inceppato.
    3 – L’intervento di Mario Monti a “Che tempo che fa”? Una faccenda arrogante e spregevole, da nemmeno commentare per non scadere nel triviale. Ci siamo liberati d’un rappresentante della peggiore borghesia mercantile odierna per piombare nelle grinfie d’un rappresentante d’una aristocrazia finanziaria che linguisticamente e culturalmente ha rivitalizzato e attualizzato una sorta di “latinorum” di manzionana memoria.

  293. @ Subhaga Gaetano Failla… grazie!
    Hai esposto sinteticamente un vero e proprio cahier de doleances…

    Aneddoto su cui riflettere: la situazione del trasporto scolastico.
    Aziende fallite da tempo, autisti in sciopero perché non vedono stipendio da mesi. Alunni che pagano sessanta, settanta, novanta euro di abbonamento al mese. E che a volte devono pagare il biglietto intero, non possono permetterselo e stanno a casa.
    Questo è diritto allo studio.

    1. Cultura non è roba da nerds. Non è vero che con la cultura non si mangia mentre con le poltrone l’abusivismo l’evasione sì.
    Libri e studio, eccellenze, merito… parole e realtà sistematicamente svilite in nome della tecnocrazia senza storia memoria radici, senza testa né futuro.
    Internet impresa e inglese: le tre i per decimare i cultori dell’umanesimo, per creare generazioni asservite al dio progresso, al dio denaro, al precariato, al non poter essere choosy, al non sapere né poter scegliere criticamente.
    2. Genitori, dove siete?
    C’è una certa schizofrenia nel pretendere dalla scuola conoscenze e valori in cui non si crede né si vogliono investire tempo e denaro.

    3 – Mario Monti purtroppo rappresenta l’ignoranza più o meno colpevole, il disprezzo sottile per le istanze che provengono dal basso. Il rapporto scuola/ politica è un argomento complesso ma credo che nessuno dei ministri della Pubblica o Privata Istruzione, dell’Università o della Ricerca – per capire in quali campi si eserciti la deliberata volontà di sminuire il merito, l’eccellenza, il “non lasciare indietro” chi è in difficoltà, chi crede che il diritto allo studio non sia un privilegio –

  294. Ciao a tutti. Desideravo solo ringraziarvi per questo importante spazio che avete dedicato alla scuola. È importante parlarne.
    (Da una mamma preoccupata per il futuro dei propri figli).
    Ciao.
    Anto

  295. Ciao, stasera ho scoperto che si parla di scuola. Ho pensato che essa mi “perseguita” ancora anche dopo diversi anni di pensionamento. In questo spazio non voglio parlare della scuola dove sono stata alunna. Era il tempo del fascismo e tutti sappiamo che a quei tempi il maestro teneva la bacchetta “sguainata” sulla cattedra. Riuscire a sopravvivere era un’impresa spesso disumana per ragazzini dai sei ai dieci anni. Vorrei invece ricordare il mio primo anno d’insegnamento. Erano i primi anni ’50.
    ” Mi vedo nella missione di giovane insegnante attraversare quella valle di eucalipti gianteschi, dove il sole non riusciva a penetrare, arrampicarmi per la serpentina verso la cima della collina, dove arrivata con il fiatone e grondante di sudore, anche nel mese di gennaio, mi buttavo sulla sedia dietro la cattedra ( se così si poteva chiamare quel tavolo sgangherato) su cui c’era sempre una bacinella per raccogliere le gocce di pioggia che cadevano dal tetto.
    Le pareti scrostate, umide e verdognole di muffa, il pavimento basolato: questa era l’aula, un tempo cantina con le botti del vino, di cui si respirava ancora l’odore………..”
    Decimo Ravuzza era seduto all’ultimo banco, con la giacchetta appartenuta alla generazione dei suoi fratelli; le maniche strette e corte gli arrivavano appena sotto il gomito; le mani violacee per i geloni, i piedi rossi e gonfi, imbrattati di paglia e fango……….
    Ogni volta che Decimo veniva alla lavagna i compagni si otturavano il naso e trattenevano la risata, non che essi fossero più puliti: avevano però le scarpe e queste li rendevano più sicuri anche se a volte le suole erano a pezzi.
    Ravuzza aveva dieci anni e quindi ‘frequentando ancora la prima classe era un veterano della bocciatura, ma come un eroico milite, continuava a combattere la sua battaglia pur sapendo che la guerra sarebbe stata persa in partenza.

    Infatti, nonostante gli sforzi miei e dei miei predecessori Ravuzza non riusciva ad apprendere come le lettere dell’alfabeto legate le une alle altre formassero le parole. Ricordo che mi sono impegnata anche a costruirgli un alfabetiere mobile. Una grande invenzione per quei tempi (Dewey ed il metodo globale non erano ancora entrati nella scuola italiana!) la cui ispirazione mi giunse dalla conoscenza che feci di un certo pedagogista spagnolo, Manion, insegnante delle cuevas il quale mi fece capire quanto fosse produttivo l’insegnamento attraverso il gioco. Ma per quei bambini
    chiusi in una particolare nicchia sociale e con me che mi trovavo per la prima volta a trasmettere ” virtude e conoscenza” i risultati erano veramente scarsi.
    Un giorno vidi Ravuzza distratto e pensieroso allora gli chiesi cosa pensasse e lui che non parlava mai mi rispose:”Penso sa vacca figghiò”
    “E sei preoccupato?”
    “Si. Picchì me mamma quannu figghiò muriu”.

  296. La pedagogia di Monti credo che sia ancora quella dei tempi in cui il professore si convinceva che il ragazzo non fosse intelligente, nè studioso per cui bocciava spudoratamente colui che proveniva da ambienti svantaggiati enunciando il giudizio. “Questo va bene per la zappa”.
    Certo ci vuole molta freddezza e tanto distacco umano per esprimere un simile giudizio, ma io vedo che a Monti non manca nè l’una , nè l’altro.

  297. Ei Massimo pensavi che “nei cinguettii …di prima mattina di Paolo Di Stefano” sul Corriere non ti leggessi? Speriamo bene sempre per la nostra scuola e speriamo sempre di tornarci magari da rimandati.
    Un caro saluto e un a presto da salvo sardo

  298. Giacomo, Massimo Maugeri e Letteratitudine (con riferimento a questa iniziativa sulla scuola) sono citati in termini molto elogiativi su un articolo di Paolo Di Stefano, Corriere di oggi.

  299. @ Salvo Sardo
    Caro Salvo,
    ti devo ringraziare moltissimo. Senza la tua segnalazione mi sarebbe sfuggita la citazione di Paolo Di Stefano (che, grazie a te, ho avuto modo di ringraziare) sul suo bell’articolo che riporto nel commento a seguire.

  300. IL PICCOLO FRATELLO
    Fiducia nella cultura anche senza cinguettii
    In questo periodo di difficoltà ci sono sacche di resistenza nell’editoria


    di Paolo Di Stefano

    C’è da essere sinceramente grati al Manifesto, che domenica, mentre illustrava in prima pagina (sotto il malinconico titolo «A.A.A. il Manifesto vendesi») le complesse vicende societarie che porteranno alla cessione della gloriosa testata comunista, offriva al lettore un menu culturale di grande qualità, con lo storico inserto di recensioni librarie Alias presente come sempre: quelle recensioni che un giornale in crisi di solito decide di far saltare per prime non appena si intravede la malaparata. Invece, Alias era lì, come se nulla fosse, e faceva un effetto incoraggiante constatare come neanche in questa drammatica fase da fine del Titanic sia venuta meno la fiducia nei libri, nella cultura, nella letteratura, nell’intelligenza del lettore. Senza volerne enfatizzare il significato, quelle otto pagine sembravano una sorta di ultima irridente sfida allo stato impietoso delle cose. Che si potesse leggere anche come una sfida era la composizione stessa delle pagine a dichiararlo: il servizio d’apertura sulla poetessa Amelia Rosselli («quest’autrice ossessivamente e faticosamente attenta alla cura testuale e tipografica dei suoi libri, eppure spesso insoddisfatta», secondo Cecilia Bello Minciacchi) e, al centro, due intere pagine su un altro poeta, Giorgio Caproni, con una sua inchiesta del ’46 sulle borgate romane, che precedeva gli interventi di Pasolini.Ci sono piccole sacche di resistenza incoraggianti. Non tutto per avere fascino deve cinguettare, non tutto per avere dignità deve collocarsi tra i top ten di vendita, non tutto è supermercato o ipermercato. C’è un mensile, come Lo straniero di Goffredo Fofi, che festeggia i suoi centocinquanta numeri con una semimonografia sui soldati italiani oggi: è una rivista, realizzata con mezzi minimi, che frequenta le periferie del mondo, della società, della cultura. Poco visibile ma di grande interesse è la rivista Gli asini, di solito dedicata al mondo della scuola, il cui ultimo numero riflette intorno alla nascita e al parto. Torna nel bel sito di Massimo Maugeri letteratitudine.it il forum permanente sulla scuola. C’è una piccola editoria che si presenta, piena di novità e di fervore, alla Fiera romana «Più libri più liberi», prevista nei prossimi giorni. Ci sono editori che nascono ex novo sfidando l’ostilità della crisi: l’Orma è uno di questi e a giudicare dai primi titoli, in particolare dalle Notizie dal migliore dei mondi del giornalista tedesco d’inchiesta Günter Wallraff, promette bene.C’è una libreria, Il Ponte sulla Dora, che grazie alla tenacia di un libraio fuori dal comune come Rocco Pinto viene inaugurata in Borgo Aurora, nella periferia torinese (ne parlava sabato Giuseppe Culicchia sulla Stampa), in barba alle catene che tengono saldamente in pugno il monopolio del mercato. Se vi sembra poco, in un momento in cui il buon senso consiglierebbe di aspettare che passi la nottata…

    Paolo Di Stefano
    Pagina 49
    (04 dicembre 2012) – Corriere della Sera

  301. La scuola da quando è stata inventata ed istituita è stata senza dubbio un’istituzione importante nel processo di civilizzazione della società,come la caserma ed il servizio militare per la formazione dei giovani in un certo periodo storico. In molti si sono, però, accorti già dagli anni di fine secolo ‘900 che essa era diventata un organismo disfunzionale, una struttura estranea al progresso civile. Basti pensare ai descolarizzatori come Illic . Dagli anni 70/80 infatti l’Italia, ma anche altri Stati, non hanno fatto che accatastare riforme su riforme di modelli scolastici perché dopo poco tempo ci si accorgeva che quella riforma era superata da una società che correva verso il futuro in disarmonia con la scuola.
    Siamo passati da una scuola autoritaria ad una scuola democratica e da questa ad una scuola anarchica e demotivante per alunni ed insegnanti. La domanda sorge spontanea “quale la causa?”.
    Personalmente l’ho sempre attribuita all’introduzione di modelli estranei alla nostra cultura.
    Non dimentichiamo che la prima riforma della scuola dopo la caduta del fascismo è stata elaborata dal Walsburne, un generale dell’esercito americano che, ex abrupto, stese un progetto di scuola democratica
    del tipo americano quando ancora gli insegnanti italiani e la popolazione non avevano neanche l’idea di cosa fosse la democrazia. Le conoscenze pedagogiche erano ferme a Pestalozzi, al massimo a Lombardo Radice. A conferma di quanto dico esiste il fatto che quei programmi della scuola dell’obbligo emessi nel 1947 furono cambiati nel 1955 ed anche con una certa urgenza.
    La scuola italiana, quella scuola “classica” venne cancellata , direi con velocià dalla mappa culturale dell’Italia. Non è questo il luogo adatto per fare un exursus storico documentato di tutto quello che si verificò in seguito, vorrei semplicemente evidenziare l’eccessivo psicologismo portato avanti senza il necessario supporto, l’eccessivo tecnicismo,senza la necessaria competenza, lontano dalla nostra mentalità umanistica. Insomma voglio dire che la scuola italiana divenne estranea a se stessa, un’estraneità che fomentò contestazioni e sollecitò sintomi di terrorismo.
    La scuola italiana deve ritornare alla specificità nazionale, ossia a quel filone greco-romano-rinascimentale
    Che ha reso la nostra cultura famosa nel mondo. Ci dobbiamo impadronire della cultura classica e chi vuole specializzarsi in questo settore deve venire da noi, così come succede che chi vuole specializzarsi in matematica va In Svezia. Dobbiamo far rinascere quegli studi giuridici di cui Bologna ne era l’emblema.
    Penso che in una scuola che vada verso la specializzazione nessuno potrà dribblare ed il merito diventerebbe un effettivo criterio di progresso.
    Mi fermo qui. Buona notte a tutti, in particolare a te Massimo che trovi sempre gli argomenti clou per far riflettere la popolazione del tuo Blog. E questo lo è in particolare poiché se guardiamo alla storia tutti i cambiamenti nella vita di un popolo sono incominciati all’interno della scuola o dai quartieri poveri della città. Due forze che si sono sostenute a vicenda in uno scambio inconsapevole e reciproco.

  302. Il “Corriere della Sera”… nientedimeno! Wow!
    E stamattina si parlava di LETTERATITUDINE su “La Repubblica”.
    Ad maiora, Massimo e voi tutti!
    🙂

    Grazie @mela mondi… stimololante il tuo breve me efficace excursus… purtroppo la scuola italiana è stata “riformata” più volte nei suoi vari segmenti senza un progetto organico, senza un’idea forte. Mortificando a volte i settori che funzionavano meglio.
    Riprenderò più approfonditamente la questione ma ti ringrazio ancora del tuo intervento.

    Grazie a tutti coloro che hanno scritto in questi giorni, per me faticosi perché ho avuto scrutini – come dire gli tsunami degli insegnanti… 🙂
    Poco alla volta risponderò a tutti. Grazie perché state intervenendo su un argomento che ci riguarda tutti.

  303. Un paese che vuole distruggere la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi.
    Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.
    Italo Calvino

  304. In questi giorni i docenti e il personale ATA delle scuole si sta mobilitando per organizzare forme di protesta contro i tagli governativi e per restituire alla scuola la sua altissima funzione e dignità.
    Vi terrò informati sugli sviluppi della situazione.
    I collegi docenti per esempio stanno votando mozioni per bloccare tutte le attività di servizio non retribuite e far emergere così tutto il “sommerso” del lavoro dell’insegnante.

  305. Maria Luisa Riccioli grazie per aver dato rilievo ai miei interventi che hanno voluto dare una risposta alle domande che tu e la Pennino avete posto sulla scuola di oggi che per me sono le stesse di quelle che mi ponevo durante i miei quarant’anni di servizio nella scuola(venti da docente e venti da dirigente) diretto sempre a rendere migliore la società.
    Ho conosciuto insegnanti che si sono logorati in questo impegno sociale per constatare alla fine “che tutto cambia per non cambiare niente”.
    Tuttavia io non la penso così.
    Se guardiamo alla scuola secondo il metro di lauree e diplomi, di alfabetizzazione strumenale in generale, forse non abbiamo raggiunto i risultati che desideravamo , ma se guardiamo alla emancipazione delle coscienze, al senso di libertà che ognuno sente dentro di sè, alla formazione della coscienza del diritto di cui ogni singola persona si sente portatrice credo che il nostro lavoro non sia stato vano. A voi oggi spetta quello più difficile :mettere in corrispondenza biunivoca i diritti con i doveri.
    Ma sono certa che tutti vi impegnerete su questo fronte, anche coloro che ritengono la scuola un posto di lavoro come un altro. A poco a poco si accorgeranno che la scuola è un luogo privilegiato del sentire umano. E quanto più le situazioni sono difficili tanto più essa si rivela un posto di lavoro che occupa tutti i nostri tempi e spazi vitali. L’unico posto di lavoro dove la gratificazione, intesa non come nutrimento del proprio io, non ti arriva dal capo, ma dal successo della tua opera.

  306. Ho seguito con attenzione gli interventi di Morandini e sono d’accordo sul fatto che la scuola per “insegnare a capire” (compito fondamentale) deve mettere al centro la complessità del reale, anche perché ritengo che la mutazione antropologica che si verifica e la definizione della nostra epoca come post- moderna siano dovute proprio alla complessità, caratteristica del nostro vivere attuale.
    Infatti è lontano il tempo in cui i concittadini di Kant regolavano il il proprio tempo sull’uscita del filosofo da casa.
    Popper parla del mondo 1- 2 – 3 Ma se guardiamo bene vediamo scorrere, accavallarsi, sovrapporsi, differenziarsi infiniti mondi.
    E tutto questo rende difficile mettersi in relazione con le persone, con gli oggetti culturali, con le cose,con gli eventi futuri.
    Se da un lato vediamo fiorire gruppi aggregati per una certa affinità di vedute, poi vediamo le stesse persone impegnate in altri contesti con esiti che ci fanno pensare in modo contrastante ad eccessi di dogmatismo e contemporaneamente ad approcci relativistici, ad un eccessivo soggettivismo o volontarismo senza mai poter trovare una definizione esatta e permanente. Da un lato un radicamento cosmico e dall’altro una precarietà dell’esistere. Morin parla del “paradigma perduto” Tutto si affaccia alla coscienza con la stessa intensità dando origine alla coscienza incerta. La scuola penso dovrebbe lavorare molto sull’incertezza, sia dal punto di vista logico sia da quello emotivo- relazionale, in modo che il pensiero debole diventi caratteristica di flessibilità.
    Oggi tutti parlano di amore perché è l’unica chiave con cui poter aprire la porta della complessità.

  307. @mela mondi: grazie a te per le tue ulteriori stimolanti riflessioni…
    Come se oggi avessimo a che fare con un mondo 2.0, ecco la sensazione di molti. La scuola arranca a volte, spesso non riesce a sintonizzarsi con il mondo che cambia, con gli alunni nativi digitali…
    Amore, sì, amore è l’unica chiave con cui aprire la porta della complessità.
    Amore per gli alunni, per il proprio lavoro, riconosciuto o meno dalla dirigenza, dai colleghi, dal ministero. Dall’intellighenzia…

  308. Certamente… è periodo di occupazioni, auto e co-gestioni, di mozioni per protestare contro i tagli governativi.
    Terrò aggiornato il popolo letteratitudiniano su quanto bolle in pentola.

    Leggevo “La Repubblica” qualche giorno fa. Delle bellissime lettere di genitori che rimarcano l’importanza della scuola pubblica e chiamano le insegnanti addirittura “sante laiche”… mi è molto piaciuta per il suo valore di testimonianza l’esperienza di una insegnante di Scampia sul proprio lavoro in un mondo difficile. Il succo del discorso è questo: lo Stato dovrebbe essere presenza, vicinanza. La gente di Scampia vede nella scuola il sorriso, la mano amica dello Stato. Non bastano visite di circostanza, cordogli a tempo, inaugurazioni di stagioni teatrali con l’occhio al ruolino delle visite obbligate.

  309. La strage che in questi giorni sta commuovendo il mondo – sconvolgente, terribile, a ridosso del Natale, come una vera e propria riproposizione della strage degli innocenti di oltre 2000 anni fa – coinvolge un’intera società, i suoi errori, le sue compiacenze colpevoli verso lobby consolidate.
    Ma se andiamo più in profondità scuote la nozione stessa di scuola. Che dovrebbe essere ambiente sereno e sicuro per eccellenza.
    Fa male, male alla ragione, allo spirito e al cuore, sentire che qualche politico addebita la strage al mancato armarsi di insegnanti e alunni, che avrebbero potuto sparare per primi.
    Fa male, male alla ragione, allo spirito e al cuore.

    Plauso eterno ai docenti che hanno difeso i bambini, facendo schermo con proprio corpo a quelle carni tenere e in boccio.
    Terribile quella scuola in cui una maestra deve ordinare ai suoi alunni di uscire dalla classe di corsa, chiudendo gli occhi.

  310. Carissimi colleghi, carissimi alunni, dirigenti, personale ATA, genitori…
    La scuola ha bisogno di auguri per un 2013 meno precario, per un’edilizia scolastica meno fatiscente, per politiche educative fatte di mente e cuore.
    Mi raccomando i compiti delle vacanze, i libri da leggere…
    Ci vediamo dopo l’Epifania che tutte le feste porta via e riporta tutti in classe.
    Auguri in particolare ai colleghi precari, a chi sta affrontando il concorso con un misto di paura, fatica, ansia, disappunto verso un sistema concorsuale discutibile…
    Ai ragazzi, l’anima di tutto.

  311. La memoria è un dovere.
    Presto scompariranno per legge di natura i testimoni oculari, coloro che hanno vissuto sulla propria pelle, che hanno ascoltato e vissuto, sofferto e tentato di metabolizzare forse la più grande tragedia umana.
    Preciso compito di noi che abbiamo avuto in sorte di non vivere atrocità e guerra è quello di ricevere la fiamma, passare il testimone ai giovani.
    Stamattina a scuola è stato bello vedere tanti ragazzi mostrare i loro lavori sulla Shoah, commuoversi e indignarsi alle parole di Anna Frank e Primo Levi.
    Approfondire le leggi razziali con l’insegnante di diritto, capire come fu devastante lo Zyklon B che fuoriusciva dalle docce della morte – grazie a un collega di Scienze.
    Capire le forza della propaganda nazista sulla presunta superiorità della “razza ariana”, smontata dalle vittorie di Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino nel 1936.
    Memoria è speranza che tutto questo non si ripeta, che per una volta la storia insegni ad alunni che la ascoltano.

  312. Vi posto la lettera che una mia alunna ha scritto per un lavoro sulla Giornata della Memoria…
    Il 27 gennaio ha un senso se si riesce a passare il testimone della memoria alle nuove generazioni. Presto purtroppo i protagonisti degli orrori del Novecento ci lasceranno e toccherà a noi e ai nostri ragazzi dire a voce alta che tutto questo è accaduto, contro ogni negazionismo.
    La lettera è indirizzata ad Anna Frank.

    Cara Anna,
    molte volte mi capita di pensare a te, alla tua storia: alla storia di una ragazza a cui è stata rubata l’adolescenza.
    Una ragazza come tante che, a modo suo, aveva qualcosa di speciale, di unico.
    Una ragazza piena di speranze, di sogni e che amava scrivere. Era proprio questo il suo sogno: diventare una famosa scrittrice.
    Un sogno che le è stato rubato da un uomo, se così lo si può definire, Meschino. Un uomo senza vergogna che uccise più di sei milioni di persone senza un motivo ben chiaro.
    Un uomo che deportò nei campi di concentramento sei milioni di ebrei senza nessuna colpa, strappati alle proprie famiglie, ai loro lavori, ai loro sogni e soprattutto alla loro libertà.
    La Shoah deve essere sempre ricordata da tutti, me compresa, non solo il 27 gennaio, ma sempre.
    Marianna

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