La parola “libertà” è insita nel Dna e nell’immaginario collettivo degli Stati Uniti d’America. Basti pensare a uno dei più noti simboli nazionali americani e, per certi versi, del mondo intero: La libertà che illumina il mondo (in inglese, Liberty enlightening the world), ovvero la “Statua della Libertà”.
Ed è proprio sul concetto di libertà che vorrei ragionare, partendo dalla formulazione di alcune domande.
Cosa deve intendersi esattamente per libertà?
Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?
Essere liberi, equivale a essere felici?
Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?
Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?
È più punto d’arrivo o punto di partenza?
Quali sono i suoi pro e contro?
Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?
E ancora… Esistono schiavitù mascherate da libertà? Fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?
Sono queste le domande del post (a cui vi invito a rispondere).
L’input ce lo fornisce il nuovo romanzo dello scrittore americano Jonathan Franzen, intitolato – appunto – “Libertà” (Einaudi, 2011, traduzione di Silvia Pareschi).
Vi propongo il seguente brano estrapolato dal libro, a supporto del tema oggetto della discussione.
“La gente è venuta in questo Paese o per il denaro o per la libertà. Se non hai denaro, ti aggrappi ancora più furiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non hai i mezzi per mantenere i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da maniaci armati di fucile. Puoi essere povero, ma l’unica cosa che nessuno ti può togliere è la libertà di rovinarti la vita nel modo che preferisci.”
Quella che segue, invece, è la scheda del romanzo (la riporto che capire meglio di cosa stiamo parlando). “Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà “dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale”. Avevano dimenticato però che “niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali”. E infatti qualcosa dev’essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po’ troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come “arrogante, tirannico ed eticamente compromesso”. Siamo negli anni Duemila, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie”.
Vi invito a discutere del concetto di libertà, dunque; ma anche ad approfondire la conoscenza di Jonathan Franzen e di questo suo nuovo romanzo, che è stato da più parti additato come il caso letterario del decennio.
Lo sto iniziando a leggere solo adesso, per cui – per il momento – non posso esprimere un parere. Non ho alcuna difficoltà, però, nel dire che il precedente romanzo (“Le correzioni”) mi ha entusiasmato.
In America, a Franzen, è stato offerto il trono riservato ai grandissimi. Come ci ha ricordato Antonio Monda (sulle pagine di Repubblica), Il Time ha dedicato a Franzen la copertina (privilegio riservato in passato solo ad autori del calibro di Joyce, Nabokov, Updike, Salinger e Toni Morrison) con il titolo “Great American Novelist”; il New York Magazine ha parlato dell'”opera di un genio”, e il New York Times Book Review lo ha definito “un capolavoro”. Persino la temutissima Michiko Kakutani – ci ricorda Monda – lo ha definito “indimenticabile”, e Obama lo ha indicato come propria lettura estiva. L’unica eccezione autorevole è rappresentata da Harold Bloom, che ha parlato di un autore sopravvalutato dalla critica.
Capolavoro assoluto, dunque?
In Italia non sono mancate le lodi, ma nemmeno le perplessità. Nel corso del dibattito vi segnalerò – per par condicio – le opinioni positive del già citato Antonio Monda (la Repubblica), Paolo Giordano (Corriere della Sera), Masolino D’Amico (La Stampa – Tuttolibri); e quelle negative di Tim Parks (“Domenica” del Sole24Ore), Nicola Lagioia (“Domenica” del Sole24Ore), Gian Paolo Serino (“Il Giornale”).
Francesco Pacifico invece (“Domenica” del Sole24Ore) ha cercato di trovare un punto di equilibrio tra sostenitori e detrattori.
Sul concetto di libertà segnalerò inoltre il pezzo di Sandra Bardotti pubblicato su Wuz.
Coinvolgerò nella discussione anche la citata Silvia Pareschi (la brava traduttrice di Franzen), che interverrà da San Francisco.
Qui di seguito, a fine post, trovate un video: è un estratto della chiacchierata tra Jonathan Franzen e Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.
A voi, cari amici, il compito di riempire questa pagina di ulteriori contenuti con le vostre risposte, le vostre opinioni e contributi di vario genere.
Grazie in anticipo.
Massimo Maugeri
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Come ho scritto sul post, la parola “libertà” (almeno, questa è la mia opinione) è insita nel Dna e nell’immaginario collettivo degli Stati Uniti d’America. Non è un caso che uno dei più noti simboli nazionali americani (e, per certi, versi) del mondo intero si intitola “La libertà che illumina il mondo” (in inglese, Liberty enlightening the world).
Parlo, ovviamente, della “Statua della Libertà”.
Ed è proprio sul concetto di libertà che vorrei ragionare insieme a voi…
L’input ce lo fornisce il nuovo romanzo dello scrittore americano Jonathan Franzen, intitolato – appunto – “Libertà” (Einaudi, 2011, traduzione di Silvia Pareschi).
Vi propongo il seguente brano estrapolato dal libro, a supporto del tema oggetto della discussione…
“La gente è venuta in questo Paese o per il denaro o per la libertà. Se non hai denaro, ti aggrappi ancora più furiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non hai i mezzi per mantenere i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da maniaci armati di fucile. Puoi essere povero, ma l’unica cosa che nessuno ti può togliere è la libertà di rovinarti la vita nel modo che preferisci.”
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(Brano estratto dal romanzo “Libertà” di Jonathan Franzen)
Quella che segue, invece, è la scheda del romanzo (la riporto che capire meglio di cosa stiamo parlando).
“Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà “dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale”. Avevano dimenticato però che “niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali”. E infatti qualcosa dev’essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po’ troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come “arrogante, tirannico ed eticamente compromesso”. Siamo negli anni Duemila, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie”.
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(Scheda del romanzo “Libertà” di Jonathan Franzen)
Vi invito a discutere del concetto di libertà, dunque; ma anche ad approfondire la conoscenza di Jonathan Franzen e di questo suo nuovo romanzo, che è stato da più parti additato come il caso letterario del decennio.
Lo sto iniziando a leggere solo adesso, per cui – per il momento – non posso esprimere un parere. Non ho alcuna difficoltà, però, nel dire che il precedente romanzo (“Le correzioni”) mi ha entusiasmato.
In America, a Franzen, è stato offerto il trono riservato ai grandissimi. Come ci ha ricordato Antonio Monda (sulle pagine di Repubblica), Il Time ha dedicato a Franzen la copertina (privilegio riservato in passato solo ad autori del calibro di Joyce, Nabokov, Updike, Salinger e Toni Morrison) con il titolo “Great American Novelist”; il New York Magazine ha parlato dell’”opera di un genio”, e il New York Times Book Review lo ha definito “un capolavoro”. Persino la temutissima Michiko Kakutani – ci ricorda Monda – lo ha definito “indimenticabile”, e Obama lo ha indicato come propria lettura estiva. L’unica eccezione autorevole è rappresentata da Harold Bloom, che ha parlato di un autore sopravvalutato dalla critica.
Capolavoro assoluto, dunque?
In Italia non sono mancate le lodi, ma nemmeno le perplessità.
Come anticipato, mi accingo a segnalare le opinioni positive del già citato Antonio Monda (la Repubblica), Paolo Giordano (Corriere della Sera), Masolino D’Amico (La Stampa – Tuttolibri); e – per “par condicio” – quelle negative di Tim Parks (“Domenica” del Sole24Ore), Nicola Lagioia (“Domenica” del Sole24Ore), Gian Paolo Serino (“Il Giornale”).
Segnalerò pure l’articolo di Francesco Pacifico che (su “Domenica” del Sole24Ore) ha cercato di trovare un punto di equlibrio tra sostenitori e detrattori.
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Sul concetto di libertà segnalerò inoltre il pezzo di Sandra Bardotti pubblicato su Wuz.
L’opinione di Antonio Monda
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Su Repubblica dell’1 settembre 2010 (ben prima, dunque, che il libro uscisse in Italia) Antonio Monda scriveva: “l’aspetto più interessante ed entusiasmante del nuovo romanzo di Jonathan Franzen è la smisurata, incontenibile ambizione (il libro uscirà da Einaudi alla fine del prossimo febbraio e s’intitolerà Libertà, traduzione di Silvia Pareschi). Come annunciò in un saggio ormai celebre, scritto per spiegare le motivazioni delle Correzioni, lo scrittore ha intenzione di ridefinire radicalmente la narrativa americana. E ha il coraggio di proporre con impeto rivoluzionario il ritorno ad un’impostazione classica. Lo sguardo ironico e cupo, l’ambientazione del midwest, e la scelta di raccontare una famiglia caratterizzata da personaggi fragili e depressi ripercorrono gli stessi itinerari del libro che gli ha dato la fama, ma abbondano riferimenti inediti e sorprendenti: le saghe squisitamente americane di Updike, il senso di virile spaesamento degli eroi di DeLillo, il legame inesorabile tra vicende insignificanti ed un senso dell’esistente che rimane sempre grandioso come in Pynchon. E addirittura Guerra e Pace, citato esplicitamente, dal quale Franzen rimodella a modo suo un triangolo amoroso simile a quello tra Natasha, Pierre e il principe Andrej. Il tutto dominato da un senso doloroso dell’assurdo, che ricorda l’approccio esistenziale di David Foster Wallace, di cui Franzen è stato intimo amico e rivale”.
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/09/01/news/franzen_scrittore_socialista_negli_stati_uniti_d_america-6668548/index.html?ref=search
L’opinione di Paolo Giordano
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Paolo Giordano, sul Corriere della Sera del 31 dicembre 2010, ha scritto: “Dopo il successo planetario de Le correzioni, Franzen era destinato a deludere tutti. Si era guadagnato il titolo di Sommo Narratore Della Famiglia Contemporanea, di quella occidentale per lo meno, con la saga crudele dei Lambert, a quarant’ anni aveva già scritto i suoi Buddenbrook e era meglio per lui che cambiasse decisamente direzione oppure smettesse del tutto con la narrativa. E invece non ha deluso nessuno. Ha aspettato che il mondo si scordasse della sua esistenza, ha lavorato alacremente e infine dimostrato di saper andare ancora più a fondo delle Correzioni: più a fondo nella progettualità, più a fondo nelle pieghe insidiose dei rapporti parentali e nella testimonianza della depressione; più a fondo nell’ annullamento di se stesso per lasciare spazio unicamente alla storia e più a fondo nell’ elencare le trappole invisibili della civiltà nel Terzo Millennio. Cosicché ora, posto accanto al nuovissimo «Freedom», Le correzioni – un modello irraggiungibile di compiutezza letteraria per due generazioni di lettori – tradisce la timidezza e l’ ingenuità di uno studio preparatorio. (…) Freedom» non è grandioso frase per frase. La sua prosa è sì gustosa, grassa, ma mai troppo elaborata. Mancano quasi del tutto i vezzi stilistici delle Correzioni, i giochi di prestigio linguistici. (…) «Freedom» è grandioso nell’ orchestrazione, assai più articolata e meno prevedibile di quella usata per i Lambert. (…)
Ogni lettore deciderà se «Freedom» è all’ altezza della leggenda che lo avvolge dall’ inizio, di una copertina eroica su «Time» e della recensione entusiastica di Michiko Kakutani (anche lei, il critico più eminente e temuto del «New York Times», che Franzen aveva pubblicamente definito «la persona più stupida» della città, ha deposto spocchia e risentimento e omaggiato la grandezza di «Freedom»). Io lessi Le correzioni a vent’ anni ed ero sicuro di non potermi più innamorare così, perché l’ età giusta era passata e perché agli esordi, si sa, ci affezioniamo più tenacemente; ero pronto a indignarmi con Jonathan Franzen per la sua presunzione di scrivere a tutti i costi un romanzo che segnasse il tempo, sicuro che avrebbe fallito. Invece no. L’ ha scritto davvero: un capolavoro di costruzione, intelletto e controllata misericordia. «Freedom». E io mi sono innamorato di nuovo. Come la prima volta.”
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://archiviostorico.corriere.it/2010/dicembre/31/freedom_co_9_101231032.shtml
L’opinione di Masolino D’Amico
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Piuttosto positiva anche l’opinione di Masolino D’Amico che, su Tuttolibri del 19 marzo 2011, scrive: “Non meno che nella prosa, sempre mirabile per precisione, ironia e distanza dalla frase fatta o dall’aggettivo trito, Franzen eccelle nei dialoghi e nella ricreazione dei gerghi del momento durante i tre decenni che fa rivivere. Ha impiegato nove anni a scrivere questo libro così felicemente calibrato, e non si stenta a crederlo. Il suo stile è un miracolo di equilibrio: ogni singola frase è limata alla perfezione, ma non fino a distrarci dalla voglia di seguire quello che accade”.
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http://www3.lastampa.it/tuttolibri/
(cercare l’articolo consultando l’archivio di Tuttolibri)
Fino a qui, le opinioni positive.
Seguono altre opinioni che manifestano, invece, alcune perplessità.
L’opinione di Tim Parks
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Tim Parks, su Domenica de Il Sole 24Ore del 10 aprile, scrive: “i personaggi di Franzen difficilmente si staccano da un retroscena fittissimo, tempestato di nomi di prodotti, descritto con un’attenzione maniacale sia al mondo materiale sia a ogni novità linguistica e culturale dell’America contemporanea, il tutto trattato con ironia aspra – anzi disdegno –, come se l’autore volesse scusarsi per non avere niente di meglio di cui parlare. (…) Spesso si ha l’impressione che i personaggi siano solo un alibi per poter elencare i prodotti che usano, o i comportamenti tipici dell’America odierna. (…)La necessità di ricorrere a parole inglesi – football, Grounds, campus – è spia di una difficoltà più estesa cui andrà incontro il lettore italiano. Franzen vuole riempirci la testa non solo di oggetti e costumi, ma anche di tutti i modi di dire e le idiosincrasie sintattiche dell’americano contemporaneo. Il lettore americano godrà dell’esattezza dell’occhio e dell’orecchio di Franzen. Ma la traduttrice, per quanto brillante (e Silvia Pareschi lo è), non può comunicare lo snobismo dell’inglese Grounds rispetto all’americano campus; né può farci sentire le parole orrende – es. mechanized recliners – usate per definire certi oggetti orrendi (ma all’italiano sconosciuti); le poltrone reclinabili elettriche. (…) Con fretta quasi indecente il «New York Times» ha proclamato Libertà «un capolavoro della fiction americana». In Inghilterra, «The Guardian» non ha nemmeno aspettato di leggere il libro per dedicargli un articolo in prima pagina dichiarando Franzen «il solo autore che potrebbe rinnovare la nostra fiducia nel romanzo letterario». In viaggio ad Amsterdam durante la settimana della pubblicazione inglese di Libertà, ho constatato che la vetrina della principale libreria internazionale della città era interamente dedicata al romanzo. Che gli americani decidano di canonizzare in fretta e furia un loro scrittore, non vedendo il divario tra Franzen e, per esempio, Roth o Updike, è affar loro. Ma che in Europa, vuoi per sudditanza, vuoi per ragioni commerciali, o forse solo per una vaga ansia di dover capire l’America a tutti i costi, ci si accodi a questo giudizio senza riflettere, è sconfortante.
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-04-09/liberta-condizionata-franzen-163935.shtml?uuid=AaWwqdND
L’opinione di Nicola Lagioia
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Non è positiva nemmeno l’opinione di Nicola Lagioia (da Il Sole 24Ore del 10 aprile): “Che Libertà, il nuovo romanzo di Jonathan Franzen, sia una leggibilissima soap opera capace di banalizzare con successo le grandi intuizioni letterarie degli ultimi due secoli non è colpa del suo autore, il talento uno se lo può dare fino alle colonne d’Ercole dei propri ferri del mestiere, e la furbizia è da prescrizione medica per un Salieri alle prese con i fantasmi di due Mozart, specie se uno è un fratello maggiore inghiottito dal proprio stesso genio (David Foster Wallace) e l’altro un mai riconosciuto padre putativo con le sembianze di Philip Roth.
Se la soap in veste di pastorale viene però annunciata e quindi accolta come un capolavoro da quel l’eterogenea élite che va dalle grandi firme (su tutte Michiko Kakutani, critico principe del «New York Times») ai cavalieri senza nome della blogosfera, allora l’abbaglio ha delle responsabilità filologiche più gravi. (…)”
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-04-09/perche-tutti-vogliono-capolavori-163656.shtml?uuid=AaE6LeND
L’opinione di Gian Paolo Serino
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Su “Il Giornale” del 1° marzo 2011, Gian Paolo Serino scrive:
“Il Franzen più sincero, casomai, lo si può trovare in altri libri, nella brevità e negli scritti più autobiografici, quando si contiene e lascia da parte l’ambizione, come in Zona disagio, nel capitolo «Due pony», dove parla della sua passione per Schultz e Charlie Brown. Ma qui, in Libertà, Franzen non è affatto libero, si ricorda troppo dello status di scrittore di culto e finisce per aggrapparsi a ciò che è passeggero: gli umori e i gusti del pubblico. Non c’è niente di sleale, di scorretto, di anarcoide, di libero in questo romanzo. È come un lenzuolo adagiato sui tempi di oggi: serve solo a coprirci la vista. Non apre squarci sul domani.”
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://www.ilgiornale.it/cultura/uno_scrittore_prigioniero_se_stesso/01-03-2011/articolo-id=509036-page=0-comments=1
L’opinione di Francesco Pacifico
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Così riassume Francesco Pacifico (su Il Sole 24Ore del 10 aprile):
“I sostenitori ritengono che Franzen sia il nuovo Tolstoj e abbia salvato la letteratura americana con un grande romanzo che parla dei Temi Importanti con una passione e una competenza irreperibili in altri scrittori della nuova generazione. (…). Secondo chi ha amato Freedom, il libro parla al cuore tramite le crisi e i sogni dei suoi personaggi e tramite i lunghi archi narrativi per i quali i personaggi scoprono l’esatta estensione della propria libertà; ma parla anche ai cervelli di noi cittadini occidentali paralizzati dalla complessità, rivelandoci gerghi, regole e meccanismi di tanti sottomondi che hanno un impatto indiretto sulla nostra vita.
I detrattori pensano invece che il caso Franzen sia troppo bello per essere vero: in realtà l’autore rappresenterebbe il sogno dei letterati newyorchesi, bianchi, middleclass, di conservare rilevanza culturale in un mondo in cui forse contano e interessano ormai più il funzionamento della criminalità organizzata internazionale e il destino del sottoproletariato cinese che le crisi coniugali dei quartieri residenziali americani. Sul «Guardian» si è scritto che Freedom si sforza di essere un romanzo universale ma non fa che raccontare l’ormai frusta commedia da soggiorno, con i grandi pianti, le separazioni, i figli adolescenti, il generale rimbambimento degli americani e l’involgarimento dei costumi…
(…) La verità del libro sta non tanto a metà strada quanto nella somma tra la reazione entusiasta dei sostenitori e le riserve stizzite dei detrattori: sono due opinioni estreme e il libro per ora le merita entrambe finché i suoi temi non andranno fuori moda e si potrà giudicare la vera tenuta strutturale ed emotiva e linguistica dell’opera.
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-04-09/partiti-franzen-freedom-divide-163909.shtml?uuid=Aac8LeND
Libertà e Stati Uniti d’America, di Sandra Bardotti (da Wuz.it)
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Libertà è la parola che connota l’intera storia americana.
Dalla Rivoluzione ai giorni nostri, per gli americani la libertà è stata insieme una terra promessa e un campo di battaglia, il più forte legame culturale e la più pericolosa linea di tensione.
Di sicuro è il più forte marcatore dell’identità e del credo americano.
La Dichiarazione d’Indipendenza ha annoverato la libertà tra i diritti inalienabili dell’umanità. Qualche anno dopo appare come emblema nazionale nelle prime monete coniate per decreto del Congresso.
Per essa, o contro di essa, è stata combattuta la Guerra civile.
Poi, dal 1886 è addirittura la prima immagine che uno straniero ha dell’America entrando nel porto di New York.
A suo nome l’America si è schierata in prima linea nella battaglia contro la schiavitù e contro l’apartheid.
Con la liberazione dell’Europa dal nazifascismo e la fine della guerra fredda l’idea della libertà assurge per il popolo americano a emblema della propria coscienza di sé e della propria funzione di portatrice dei grandi ideali di sviluppo e progresso.
E, infine, la difesa della libertà anche al di fuori dei propri confini è stato il dichiarato criterio ispiratore – e insieme il principale schermo ideologico – della politica estera americana, dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda, da Cuba al Vietnam, dalle guerre del Golfo a quella del Kosovo, a quella in Iraq.
La storia della libertà è la storia stessa degli Stati Uniti d’America.
Tutta la vicenda americana si riassume in questo concetto chiave: una verità vivente e incontrovertibile, per alcuni americani; un paravento e una crudele menzogna per altri.
America terra della libertà, della democrazia, dei sogni, delle possibilità illimitate. È la terra delle conquiste, ottenute anche a costo di atroci repressioni, violenze, disuguaglianze di razza, genere, classe, bigottismi e intolleranze religiose di ritorno. Poi l’11 settembre 2001 ha decretato la crisi definitiva di quel Sogno Americano ormai fatiscente, già da decenni sequestrato dalla destra per legittimare la Enduring Freedom, la guerra al Terrore.
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L’intero articolo è disponibile qui:
http://www.wuz.it/recensione-libro/5689/liberta-jonathan-franzen-romanzo-einaudi.html
Ripartendo dalle considerazioni di Sandra Bardotti, torno alla parte iniziale del post riproponendovi le domande…
Cosa deve intendersi esattamente per libertà?
Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?
Essere liberi, equivale a essere felici?
Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?
Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?
È più punto d’arrivo o punto di partenza?
Quali sono i suoi pro e contro?
Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?
E ancora… Esistono schiavitù mascherate da libertà? Fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?
Ringrazio in anticipo chi avrà la bontà e la pazienza di rispondere alle suddette domande.
In ogni caso, nel corso dei prossimi giorni, questo post si riempirà di contenuti grazie ai contributi di vari amici di Letteratitudine.
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Intanto, chi non ha visto la puntata di “Che tempo che fa” con Franzen… può fruire del video inserito sul post.
Vi ho anticipato che ho coinvolto nella discussione Silvia Pareschi (la traduttrice di Franzen), che interverrà da San Francisco.
La ringrazio in anticipo per la disponibilità.
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Una prima domanda rivolta a Silvia (prima di salutarvi…)
@ Silvia Pareschi
Cara Silvia, una prima domanda per te: qual è stata la difficoltà principale che hai dovuto affrontare per tradurre Franzen… e questo nuovo romanzo in particolare?
Per stasera chiudo qui. Mi scuso per la sfilza di commenti (ma l’ho fatto per orientare la discussione in maniera ordinata).
In attesa sei vostri interventi, auguro a tutti voi una serena notte.
Grazie della buonanotte, Massi. Per ora rispondo ad una domanda che tocca il mio vissuto recentissimo. Essere liberi non sempre equivale ad essere felici. Ma chi ama la libertà preferisce essere infelice nella libertà che felice nella mancanza di libertà.
dire che questo post è stimolante, sarebbe dir poco.
leggerò il materiale proposto ripromettendomi di intervenire domani.
vi seguirò con molta attenzione. sono convinta che la libertà sia una forma di illusione. comunque sia l’uomo è schiavo dei suoi limiti del suo essere mortale.
Ho letto questo nuovo libro di Franzen e la mia opinione è vicina a quella di Paolo Giordano. Un grande, grandissimo, romanzo.
Essere liberi, significa essere felici? Ovviamente no. O comunque non sempre.
Il problema è che a volte siamo schiavi di un’idea distorta della libertà. Siamo liberi di farci del male? Certo. Ma qua subentra la relazione tra responsabilità e libertà.
Sebbene liberi abbiamo responsabilità verso noi stessi e verso gli altri.
A volte ce lo dimentichiamo.
Caro Massimo,
le tue proposte di riflessione sono sempre entusiasmanti. Personalmente sono tra gli amanti di Franzen, mi era piaciuto molto “Le correzioni” e sinceramente trovo che “Liberttà” ne sia una perfetta continuazione, portandone alcuni elementi alle estreme conseguenze. Secondo me nei protagonisti di Franzen non c’è libertà, prevalentemente coazione a ripetere sulla falsariga di quelli che la scuola psicologica di Milano chiamava “costrutti semantici familiari”, e questo diviene paradossale proprio quando si confronta con il sogno americano, che ad alcuni di loro invece riesce, alla libertà di impresa, alla libertà di cambiare il proprio status sociale.
Esiste la libertà? Tenderei a dire di no. Possiamo essere liberi dagli schemi, dai vincoli, dalle costrizioni sociali, ma io credo che le persone pensanti, in qualche modo, non possano che essere schiave di sè stesse e dei propri costrutti mentali. Liberi fuori, prigionieri dentro.
E magari scriverò un altro post più avanti, per ora son stata oltremodo prolissa. Buona giornata, e grazie degli spunti di riflessione
ho letto “le correzioni”, ma non “libertà”.
a me franzen piace molto. faccio notare che sulla copertina del “time” non c’è scritto “il più grande scrittore di tutti i tempi”, ma “grande romanziere americano”.
sul fatto che franzen sia un gran romanziere americano non c’è alcun dubbio, secondo me.
ciao a tutti.
Caro Massimo, grazie per avermi invitata a partecipare alla discussione. Mi scuso fin d’ora perché la mia presenza sarà un po’ sporadica, o meglio, sfasata, viste le nove ore di differenza.
Le difficoltà che ho incontrato nel tradurre Libertà sono in un certo senso minori di quelle che incontrai nel tradurre Le correzioni, dieci anni fa. Questo è dovuto senz’altro al fatto che nel frattempo ho tradotto altri tre libri di Franzen, il romanzo Forte movimento (scritto prima de Le correzioni) e le raccolte di saggi Come stare soli e Zona disagio, cosa che mi ha consentito di acquisire una buona familiarità con lo stile dell’autore. Ma è dovuto anche al fatto che, rispetto a Le correzioni, in Libertà la prosa è diventata più limpida e diretta, più tradizionalmente narrativa. I paragrafi sono meno lunghi e complessi, le acrobazie linguistiche si sono ridotte, e l’autore preferisce giocare con la frattura tra le varie prospettive dei personaggi, con la contraddizione tra i loro pensieri e le loro azioni (penso per esempio al capitolo introduttivo, in cui la famiglia Berglund viene presentata attraverso lo sguardo sarcastico dei vicini di casa, o alla confessione-autobiografia scritta dalla protagonista in terza persona). Traducendo Franzen è importante soprattutto fare attenzione al tono della scrittura, con il suo delicato equilibrio tra sincerità e ironia, e alle sfumature di una lingua che l’autore utilizza con meticolosa precisione, con un orecchio sensibilissimo al parlato di ogni personaggio e gruppo sociale. È vero che la prosa di Franzen è piena dei modi di dire e delle particolarità sintattiche dell’americano contemporaneo, e questo naturalmente rappresenta una sfida per chi la traduce. Da un lato, tuttavia, penso che i lettori italiani abbiano sufficiente familiarità con la cultura contemporanea americana per saper cogliere molte di queste sfumature, e dall’altro ritengo che in una traduzione si perda necessariamente qualcosa – dato che il lettore appartenente alla cultura “di partenza” non leggerà mai il libro nello stesso identico modo di chi lo legge in traduzione – ma che in compenso ci sia anche qualcosa da guadagnare, in termini di prospettiva, di sguardo su una determinata cultura da parte di una cultura diversa.
Carissima Silvia,
certo non dev’essere impresa facile tradurre un simile colosso. Immagino la responsabilità.
Vorrei chiederle: l’autore l’ha guidata nel suo lavoro? Ha collaborato in qualche maniera?
Un affettuoso saluto dal curiosissimo
Professor Emilio
Carissima Silvia
ci farebbe qualche esempio di frasi o idiomi particolari e della corrispondente traduzione?
un abbraccio
professor Emilio
Cosa deve intendersi esattamente per libertà?
La liberta’ consiste nell’espressione piena del pensiero individuale non limitato o distorto. La liberta’ e’ il principio di ognuno di noi per pretendere di vivere una vita dignitosa nella verita’ avvalendoci della facolta’ di ripudiare la menzogna che limita la vita stessa.
Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?
Sì, il concetto e’ uguale sempre.
Essere liberi, equivale a essere felici?
La liberta’ e’ la porta aperta verso la felicita’. Se non si e’ liberi non si puo’ essere felici.
Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?
La liberta’ dovrebbe prescindere dalla responsabilita’. In ogni caso la responsabilita’ serve a tutelare la propria liberta’.
Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?
Coincide di più con un’esigenza realizzabile
E’ più punto d’arrivo o punto di partenza?
E’ un punto di partenza, se non c’e’ liberta’ non ci puo’ essere un punto di arrivo …quindi si parte dalla liberta’ per arrivare a ….
Quali sono i suoi pro e contro?
Non ci sono contro ad essere liberi. ci sono solo pro… la non liberta’ e’ la privazione del diritto alla vita.
Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?
La liberta’ e’ circoscrivibile nel rispetto delle regole di una societa’.
Se diventa troppo comprimibile si viola un diritto alla persona
E ancora… esistono schiavitù mascherate da libertà? fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?
Ne esistono tante.. ci si ritiene liberi solo quando si e’ nella verita’, quando si e’ limitati alla menzogna non si e’ mai liberi, ma schiavi.
Libertà e responsabilità sono strettamente legate. Se sei libero sei responsabile delle tue scelte, non decide nessuno al posto tuo o comunque non sei “direzionato”. Circa la felicità ritengo che questa sia un’utopia e la libertà una concausa di una ipotetica felicità (credo alla “gioia”, espressione momentanea di un benessere emotivo).Comunque la libertà è una cosa complessa perchè esiste “l’altro”con cui devi continuamente confrontarti ; essere troppo liberi inoltre può mettere a rischio la vita(qualcuno si ricorda il film Senza tetto nè legge ?).Le schiavitù mascherate da libertà potrebbero essere le ideologie.Sul piano personale spesso mi ritrovo a pensare che non sono più giovane ma che la cosa più preziosa che ho guadagnato con il passare del tempo è la libertà di pensare autonomamente e criticamente e di poter esprimere e difendere il mio pensiero senza paure e insicurezze. Meraviglioso!
Tema bellissimo e post strepitoso. Ammetto di non aver mai letto Franzen, ma sono molto incuriosita e credo che comincerò a conoscerlo come autore partendo proprio da “Libertà”.
Provo a rispondere alle domande.
Cosa deve intendersi esattamente per libertà?
Mica facile rispondere. Probabilmente ciascuno di noi percepisce la libertà in maniera diversa. Per me libertà significa avere la possibilità di scegliere.
Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?
No. Secondo me varia con il variare del tempo e dei luoghi. E’ ovvio che il concetto di libertà nell’Italia fascista è diverso da quello maturato nell’Italia post ’68, per dire.
Così come il concetto di libertà in Cina è diverso da quello esistente negli Usa.
Essere liberi, equivale a essere felici?
Non credo, purtroppo. Essere liberi significa anche avere la possibilità di rendersi infelici.
Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?
L’essere liberi implica la responsabilità di rispettare la libertà degli altri.
Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?
Difficilissimo rispondere. Non saprei proprio.
È più punto d’arrivo o punto di partenza?
E’ più punto d’arrivo, ma poi la libertà bisogna mantenerla.
Quali sono i suoi pro e contro?
I contro secondo me sono dovuto a un “eccesso” di libertà, che si riflette spesso nel non rispetto dell’altro.
Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?
Eh, bella domanda! Fino a che punto? Dipende dai luoghi e dai tempi, credo.
Un eccesso di compressione della libertà coincide con la sua fine.
E ancora… Esistono schiavitù mascherate da libertà?
Certo che esitono schiavitù mascherate da libertà. Molto spesso ce le costruiamo noi stessi. A volti siamo proprio noi i principali schiavisti di noi stessi.
Fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?
Fino al punto da capire che la verà libertà dobbiamo cercarla dentro di noi, non fuori.
@ Professor Emilio
Franzen è un autore che riconosce il valore di una buona traduzione, e quindi si interessa molto alla traduzione dei suoi libri. Per questo tiene un’intensa corrispondenza con i suoi traduttori nelle varie lingue, incoraggiandoli a porre domande alle quali risponde con precisione e minuzia. Da questo punto di vista si tratta del sogno di ogni traduttore: poter discutere con l’autore le scelte e i dubbi che si presentano durante il lavoro.
Quanto alla sua seconda domanda, c’è un post che ho pubblicato sul mio blog che secondo me spiega bene come funziona la ricerca del corrispondente per una frase o un idioma particolare. Lo trova qui:
http://ninehoursofseparation.blogspot.com/2011/03/un-piccolo-aneddoto-sulla-traduzione-di.html
Caro Massimo,
le tue bellissime domande mi hanno fatto venire in mente l’insegnamento di Don Sturzo, un grande teorico dei rapporti tra libertà e responsabilità.
Quando Sturzo parla di libertà tiene sempre presente, in modo diretto o indiretto, anche il senso di responsabilità personale, sia pubblica che privata: “alcuni credono che la libertà significhi anche sfrenatezza e licenza; costoro, coscienti o no, negano la libertà la quale, essendo basata sulla razionalità umana, porta insita in sé la responsabilità dell’uso”. (Luigi Sturzo, “La politica di questi anni (1946-1948)”, in: Opera Omnia, Zanichelli, Bologna 1954). Libertà e responsabilità si co-appartengono; senza l’una, l’altra non può esistere. La libertà non si identifica con l’arbitrio “in franchigia”, tendenzialmente anarchico, che pretende di non pagare nulla alla legge morale: il diritto alla libertà in tutte le sue possibili forme (culturale, politica, sociale, economica e così via) richiama il dovere della responsabilità.
All’interno dell’attività politica e culturale di Sturzo il binomio libertà-responsabilità assume un’importanza decisiva. Respingere, o anche solo sminuire l’inderogabile misura di responsabilità che ogni atto libero richiede per essere davvero tale, significa imboccare sin dall’inizio la strada sbagliata sia sul piano strettamente individuale, sia su quello sociale e politico: se è vero che, come lui stesso scrive, “la vita nazionale è basata sulla cooperazione civica, libera e cosciente”, allora, per la vita sociale e politica delle persone, non c’è niente di più deleterio “della mancanza di senso di responsabilità, iniziativa, coscienza locale, che rende veramente cittadini”. (Luigi Sturzo, “La politica di questi anni (1951-1953)”, in Opera Omnia, Bologna, Zanichelli 1966)
——-
Sarebbe bellissimo ricordare sempre la sua grande lezione.
Una buona serata da Gioia
Carissima Silvia,
che fortuna dialogare con l’autore che si sta traducendo! Se posso permettermi…Vi siete limitati a questioni di carattere tecnico, oppure Franzen le ha raccontato qualcosa delle origini del libro, della stesura, dei personaggi?
Anche io curiosissima, come il prof. Emilio che saluto!
@ Gioia
In genere in questo tipo di corrispondenza ci si limita a questioni di carattere linguistico: si domanda all’autore di parafrasare una certa espressione che non ci è chiara, si chiede conferma del significato di una parola o dell’origine di una citazione, si indaga su un oggetto, un’usanza, un gioco tipici della cultura da cui proviene l’autore ma estranei alla nostra. A volte, per chiarire un dubbio, può capitare che l’autore (o almeno, Franzen lo fa) fornisca una spiegazione dettagliata di questo o quell’aspetto del carattere di un personaggio, ma tutto ciò rimane sempre nell’ambito specifico della traduzione.
Caro Massi,
il tema è tra i più interessanti che il diritto affronti. Già la parola libertà, infatti, deriva da libertus, lo schiavo che nel diritto romano veniva affrancato dal padrone e dalla sua patria potestas, attraverso una procedura che si chiamava “manumissio”.
Originariamente, gli schiavi erano liberati in modo da non diventare cives Romani e pertanto restavano ancora schiavi; ma il Pretore li prese sotto la sua protezione e mantenne la loro libertà, benché non potesse renderli cives Romani.
Questo per dire che sin dalle origini all’acquisizione della libertà è connesso anche il fatto di diventare soggetto di diritto, e quindi centro di imputazione di obblighi e pretese.
Non è una riflessione senza conseguenze. Proprio perchè è dalla libertà che discende la personalità giuridica e la possibilità di disporre di sè e del proprio patrimonio, tale libertà non è infinita, ma trova limite e contemperamento nell’analoga libertà degli altri.
Il diritto, infatti, ha la funzione di trovare un punto di equilibrio tra contrastanti pretese e, in definitiva, contrastanti spazi di libertà.
Per far ciò si appella al principio di autoresponsabilità che – quindi – non è solo il limite della libertà, ma anche il suo pieno adempimento.
La discussione è interessantissima e vi auguro un felice proseguimento!
Notte a tutti!
Simo
Cari amici, vi ringrazio tutti per i numerosi comemnti pervenuti.
Consentitemi, come prima cosa, di dare il benvenuto a Silvia Pareschi.
Grazie per essere con noi, cara Silvia.
Ne approfitto per ringraziare e salutare tutti gli altri intervenuti, a partire da: Franca Maria Bagnoli, Giacomo Tessani, Luciana, Andrea G., Sara, Laura…
Saluti e ringraziamenti anche al prof. Emilio, a Francesco Rabita, a Maria, a Amelia Corsi…
@ Gioia
Cara Gioia, mi piace il tuo riferimento a Don Luigi Sturzo. Grazie!
E grazie anche a Simona Lo Iacono per il suo intervento nella duplice veste di scrittrice e giurista.
Grazie, Simo!
Inserisco due ulteriori “contributi”:
1. la pagina del “Corriere della Sera” con l’incipit di “Libertà”
http://archiviostorico.corriere.it/2011/marzo/12/Qualcosa_andato_storto_nella_famiglia_co_9_110312076.shtml
2. L’intervista a Franzen realizzata da Mauro Baudino (su “La Stampa”)
http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/news/articolo/lstp/394799/
@ Silvia Pareschi
Una curiosità, cara Silvia.
Quanto tempo hai impiegato a tradurre “Libertà”?
Come hai organizzato il tuo lavoro (stabilivi, per esempio, un tot di ore di traduzione al giorno? un tot di pagine, o che altro?)
Per stasera chiudo qui.
Vi invito a continuare a intervenire (rispondendo alle domande o comunicando il vostro parere su “Libertà” di Franzen).
A tutti voi, una serena notte.
@ Massimo
Grazie, sono contenta di partecipare a questa interessante discussione. Per tradurre Libertà ho impiegato circa nove mesi, senza contare però quelli dedicati al lavoro di revisione, che si porta sempre via un’altra bella porzione di tempo.
Quanto all’organizzazione del lavoro, seguo una disciplina piuttosto rigida, che trovo indispensabile per svolgere questo mestiere. Le prime cinquanta (più o meno) pagine di un libro sono sempre le più difficili da tradurre (come anche da scrivere): bisogna “prendere le misure”, acquisire familiarità con lo stile, con la voce dell’autore. Quindi – e questo vale per Libertà come per gli altri circa trenta volumi che ho tradotto – di solito le prime settimane di lavoro su un libro rappresentano una specie di “riscaldamento”, nella quale non conto quante pagine al giorno traduco ma mi concentro solo sulla fase di “avvicinamento” al testo. Poi però la consapevolezza della scadenza prevale, e allora comincio a seguire un calendario rigido e a pormi l’obiettivo di un certo numero di pagine quotidiane. Sono comunque una traduttrice piuttosto lenta, in genere non supero la media di cinque pagine al giorno.
Caro Massimo, tema difficile quello che hai assegnato, un tema su cui prima di Franzen, da Platone in poi si sono cimentate le più alte intelligenze.
Io siccome è notte e dovrei dormire, per adesso riesco a pormi soltanto delle domande:
libertà è poter fare quel che si vuole?
la libertà o le libertà?
Libertà di…o libertà da….?
Quale rapporto c’è tra libertà e verità?
Dove comincia la mia libertà e finisce quella degli altri?
Libertà come processo o libertà come prodotto?
Libertà come coscientizzazione o libertà come aspirazione?
Libertà come speranza?
Libertà come tolleranza? Libertà ed emarginazione o libertà ed integrazione? ecc..ecc…
Whithead diceva che libertà è “esposizione alla grandezza”
Mi viene da pensare a Fanon ed ai colonizzatori.
Penso anche a Kafka e la sua “Lettera al padre” ed a come l’oppressione , la negazione della libertà ,il sopruso, l’ingiustizia, possano iniziare dentro la la famiglia dove il soggetto può perdere anche il significato della parola libertà.
….«Ho ben altro per la testa, io», a anche «E che te ne fai?», o infine «Senti un po’ che avvenimento!». Naturalmente nessuno pretendeva che ti entusiasmassi per ogni sciocchezza infantile quando avevi le tue preoccupazioni. Non si tratta di questo. Si trattava della delusione che tu infliggevi al bambino sempre e per principio, spinto dal tuo carattere contraddittorio, e inoltre questo spirito di contraddizione si rafforzava incessantemente con l’accumularsi dei motivi che lo provocavano, cosicchè alla fine si imponeva come qualcosa di abituale, anche quando, per una volta, eri della mia stessa idea; inoltre le delusioni patite dal bambino non erano delusioni qualsiasi, ma colpivano in profondità giacché provenivano da te, l’autorità suprema. Il coraggio, la decisione, la fiducia, la gioia per questo o per quello non resistevano fino in fondo se tu eri contrario o anche solo se la tua contrarietà era prevedibile; e del resto era prevedibile per la quasi totalità delle mie azioni. […]
L’impossibilità di avere con te un dialogo pacato portò ad un’altra conseguenza, molto ovvia: riuscirò a dare una risposta?.disimparai a parlare. E’ probabile che non sarei mai diventato un grande oratore, ma di una discorsività normalmente e mediamente fluida avrei potuto impadronirmi. Tu però hai cominciato molto presto a troncarmi la parola in bocca, la tua minaccia: «Non ammetto obiezioni!» e quella mano alzata mi accompagnano da allora. In tua presenza – e quando si tratta di questioni che ti riguardano diventi un eccellente conversatore – mi accadeva di esprimermi incespicando e balbettando, la cosa ti dava estremamente fastidio, e allora finivo per starmene zitto, all’inizio forse per ripicca, poi perché davanti a te non ero in grado né di parlare né di pensare. E poiché tu fosti il mio unico educatore, le conseguenze si sono riflesse su tutti gli aspetti della mia vita. […]
Più giustificata fu la tua avversione per le cose che scrivevo e per quanto, a tua insaputa, ad esse si collegava. Qui ero riuscito realmente a ritagliarmi uno spazio indipendente da te, anche se ricordavo un po’ il verme che, schiacciato da un piede nella parte posteriore, riesce a liberare la parte anteriore e striscia via di lato. Mi sentivo in qualche modo al sicuro, riuscivo a riprendere fiato; l’avversione che naturalmente nutrivi anche per quanto scrivevo era, per una volta, la benvenuta. La mia vanità, il mio orgoglio soffrivano, certo, per il modo ormai proverbíale con cui tu accoglievi i miei libri: «Mettilo sul comodino!» (di solito stavi giocando a carte quando arrivava un libro), ma in fondo mi andava bene così, non solo per la cattiveria che mi montava dentro, non solo per la soddisfazione di vedere nuovamente confermate le mie idee sul nostro rapporto, ma soprattutto perché quella frrase risuonava in me come un «Adesso sei libero!». Naturalmente mi sbagliavo, non ero affatto libero o, nel migliore dei casi, non lo ero ancora. Nei miei scritti parlavo di te, vi esprimevo quanto non riuscivo a sfogare sul tuo cuore, era un congedo da te volutamente dilazionato, un congedo che avevi messo in moto tu, ma che si dipanava lungo un percorso stabilito da me. Eppure, a quanto poco serviva tutto questo! […]
comando supremo.
Ho citato questo passo perchè mi sembra significativo del fatto che l’oppressione per prima cosa uccide la “parola” che è invece il simbolo concreto della libertà.
Buona notte a tutti.
Jonathan Franzen (nato a Western Springs, il 17 agosto 1959) è uno scrittore statunitense.
È cresciuto a Webster Groves, nel Missouri, ha studiato al Swarthmore alla Freie Universität di Berlino. Vive a New York.
Esordisce nel 1988 con La ventisettesima città. Nel 2002 viene consacrato dalla critica con Le correzioni che riceve il National Book Award nella sezione Romanzo e il James Tait Black Memorial Prize per la narrativa.
Pubblica regolarmente racconti e saggi sul New Yorker e su Harper’s.
È uno dei compilatori dei lemmi del Futuro dizionario d’America (The Future Dictionary of America, 2005).
Nel corso del 2007 stringe un accordo con la casa editrice Farrar, Straus and Giroux per il suo nuovo romanzo, ma a causa di ritardi e collaborazioni con giornali e riviste, non completa la prima stesura fino al dicembre 2009. Il romanzo, Libertà (Freedom in originale) è estremamente atteso negli Stati Uniti, il Time dedica a Franzen l’onore della copertina, ed il volume, incentrato sulla vita di una famiglia del Midwest, esce in libreria il 31 agosto 2010.
Ha vinto il Whiting Writer’s Award nel 1998, l’American Academy’s Berlin Prize nel 2000, ed è annoverato tra i venti scrittori del XXI secolo dal New Yorker ed uno dei Best Young American Novelists da Granta.
“Libertà è un capolavoro del romanzo americano. Non si limita a raccontarci una storia avvincente: la profonda intelligenza morale del suo autore inonda di luce nuova il mondo che crediamo di conoscere”.
(The New York Times Book Review)
Con Le correzioni, pubblicato negli Stati Uniti una settimana prima dell’undici settembre, Jonathan Franzen aveva già messo d’accordo gran parte di critica e pubblico, ma l’accoglienza riservata a Libertà ha il sapore della consacrazione. «Great American Novelist»: è la didascalia con cui Time accompagna la fotografia di Franzen sulla copertina del 23 agosto. Un riconoscimento, questo, che raramente tocca agli scrittori.
«Se Libertà non è il Grande Romanzo Americano – rincara il Telegraph – onestamente non so cosa possa esserlo. La ragione per celebrarlo non è che fa qualcosa di nuovo, ma che fa qualcosa di antico, qualcosa che si credeva morto, e lo fa alla grande».
http://www.telegraph.co.uk/culture/books/7956524/Jonathan-Franzen-one-of-Americas-greatest-living-novelists.html
Ma Franzen, pur essendo riuscito in quello che da tempo dichiarava come suo intento, tiene a una precisazione: «Del modello ottocentesco uso solo l’esperienza del romanzo che ti porta via da te, il desiderio di tornare a casa per riprenderlo. Ne abbiamo molto bisogno», dice in un’intervista sul venerdì di Repubblica. E sottolinea: «Il lavoro preparatorio dei miei libri è concentrato sui temi di oggi».
Un lavoro preparatorio che, nel caso di Libertà, è durato nove anni, una gestazione fatta di riflessioni e appunti e studi, di raccolta e orchestrazione, al termine della quale – dice la leggenda – Franzen avrebbe scritto senza interruzioni le seicento pagine del suo nuovo romanzo. I fatti, poi, stanno a dimostrare che forse non è andata proprio così, e che Franzen ha lavorato a lungo di cesello, intervenendo sulla trama e sui personaggi fino al momento della messa in stampa.
Alcuni episodi hanno trasformato l’uscita di Libertà in un evento di costume: il primo reading del libro è stato annullato a causa del furto degli occhiali dell’autore, Obama è stato fotografato mentre inaugurava le sue vacanze con una copia del libro sottobraccio. E poi, naturalmente, il plauso unanime della critica, inclusa Michiko Kakutani, il critico più autorevole del New York Times, che era stata definita da Franzen come «la donna più stupida della città». Ma lei, alcuni anni dopo, non ha avuto problemi a definire Libertà «un esaltante capolavoro», impegnandosi in un lungo elogio alla maestria e all’intelligenza narrativa di Franzen.
http://www.nytimes.com/2010/08/16/books/16book.html
La Kakutani non è stata l’unica a mettere da parte orgoglio ed eventuali questioni personali a favore dell’amore per la letteratura di qualità: Oprah Winfrey, nonostante il rifiuto di Franzen di partecipare al suo Book Club con Le correzioni (rifiuto seguito da aspre polemiche), ha rinnovato l’invito. E Franzen, questa volta, ha accettato.
http://www.oprah.com/packages/freedom-by-jonathan-franzen-oprahs-book-club.html
Può darsi che, come l’autore confida al venerdì, l’evoluzione della sua prosa – meno caustica, meno concentrata sull’effetto e sul sarcasmo – sia davvero «un resoconto di quello che è successo all’autore… E io, – ha detto Franzen, – non sono più incazzato».
Ciò che è evidente, al di là dei sorrisi o delle critiche che episodi come questi possono strappare, è che “Libertà” è il grande romanzo di un grande autore.
Jonathan Franzen raccoglie i cocci del Nuovo Sogno Americano, raccontando gli anni Duemila – quelli di Bush, di Enduring Freedom, delle lobby governative, dell’ecologia, dei trust-fund e dei quartieri che cambiano volto – attraverso l’esplorazione dei legami familiari, nostro malgrado (o per fortuna) indissolubili. In balia di un orizzonte su cui si scontrano dovere e desiderio, i personaggi di Franzen combattono una battaglia in cui tutti cercano il proprio posto e inseguono l’illusione di «sentirsi speciali», davvero. In prima linea troviamo Walter e Patty Berglund, con la loro famiglia colta, progressista, rispettosa dell’ambiente, ben inserita e benestante, ma azzoppata da dubbi e incidenti di percorso sempre più difficili da ignorare: la rivolta del figlio Joey – che va a vivere dai rozzi e repubblicanissimi vicini –, l’insoddisfazione di Patty – che da stella del basket universitario si vede tramutata in casalinga con troppo tempo a disposizione per rimuginare sul passato –, i compromessi che Walter si trova ad accettare – condannare una specie di uccellini blu all’estinzione o permettere che un’intera montagna venga sventrata? –, fino al complesso di inferiorità che un po’ tutti nutrono verso il vecchio amico Richard Katz, fascinoso ma volubile musicista rock e terzo vertice di un triangolo rimasto, per anni, soltanto platonico.
Jonathan Franzen intreccia il presente ai ricordi, il matrimonio alla politica, il desiderio di fuggire alla paura di deludere, e ci consegna all’esperienza di una verità agghiacciante: il raggiungimento del bene implica – sempre – l’attraversamento del male. E la moltiplicazione delle possibilità ha in sé il germe dell’angoscia: «se sono libero di scegliere, allora come devo vivere?»
Voglio partecipare alla richiesta di riempire questa pagina di contenuti, utilizzando il dizionario di lingua italiana della Treccani in merito al significato della parola “libertà” che è centrale nel dibattito.
libertà (ant. libertate e libertade) s. f. [dal lat. libertas -atis]. –
1.
a. L’esser libero, lo stato di chi è libero: amo la mia l.; non posso rinunciare alla mia l.; L. va cercando, ch’è sì cara, Come sa chi per lei vita rifiuta (Dante); se si riducono i margini della scelta individuale, aumenta il gusto della l. (Eraldo Affinati); la l. dell’uomo, dell’individuo (e per estens., la l. dell’arte, dell’artista). Si oppone direttamente a schiavitù, prigionia (anche di animali) in frasi come essere, vivere, mettere, rimettere in l.; avere, godere la l.; privare uno della l. (renderlo schiavo, o metterlo in prigione o tenerlo comunque in uno stato di detenzione); nel linguaggio giur.: l. provvisoria, nel cod. proc. pen. del 1930, provvedimento del giudice o del pubblico ministero che, in fase di istruttoria o di giudizio e in attesa dell’esito definitivo del processo, liberava l’imputato dall’obbligo della custodia preventiva, imponendogli talora la prestazione di una cauzione o di una malleveria; l. vigilata, misura di sicurezza non detentiva, stabilita in determinati casi dal giudice in sostituzione o in aggiunta alla pena della reclusione, per cui la persona è libera ma sottoposta a speciale sorveglianza da parte dell’autorità di pubblica sicurezza; l. controllata, sanzione sostitutiva di una pena detentiva di durata non superiore a 6 mesi, consistente in un complesso di obblighi e limitazioni imposti al condannato (per es., divieto di allontanarsi senza autorizzazione dal comune di residenza). Tribunale della l., espressione con cui è comunemente indicato il tribunale cui è attribuita la competenza a giudicare con procedura d’urgenza sulle impugnazioni delle ordinanze del giudice penale in materia di misure cautelari personali. Senza determinazioni, s’intende spesso per antonomasia lo stato di un popolo che si governa con leggi proprie, sia nel senso che non è asservito a una potenza straniera ed è perciò indipendente, sia nel senso che non è soggetto a un governo tirannico: l., uguaglianza, fraternità (fr. liberté, égalité, fraternité), motto coniato durante la rivoluzione francese e poi assunto a divisa della repubblica; lottare, morire per la l.; conquistare, mantenere, perdere la l.; rivendicare la l. e rivendicarsi in l.; reggersi a l.; costituirsi in l.; dare, togliere, distruggere, violare la l.; popolo maturo, immaturo alla l. (o per la l.); moti, sentimenti, palpiti di l.; l’albero della l. (v. albero2, n. 1 a); personificata: la statua della L., colossale statua nel porto di New York, raffigurante una figura femminile che sorregge col braccio destro una torcia. Viva la l.!, esclam. di sign. generico, pronunciata talora in tono scherz. o di sarcasmo.
(dal dizionario Treccani)
b. In senso astratto e più generale, la facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo; cioè, in termini filosofici, quella facoltà che è il presupposto trascendentale della possibilità e della libertà del volere, che a sua volta è fondamento di autonomia, responsabilità e imputabilità dell’agire umano nel campo religioso, morale, giuridico: Lo maggior don che Dio per sua larghezza Fesse creando … Fu de la volontà la libertate (Dante); sotto l’aspetto più strettamente giur., la libertà del volere è considerata dal diritto penale come elemento soggettivo necessario della imputabilità di un reato e dal diritto privato come elemento determinante la validità di un negozio giuridico. Sempre in senso generale: l. piena, ampia, assoluta, relativa; concedere, limitare la l.; delitti contro la libertà. Con varie determinazioni: l. personale, religiosa, morale; l. sessuale (sia nel senso che nessuno può essere costretto ad atti sessuali non voluti – e in questo senso si parla di delitti contro la l. sessuale – sia con riferimento a chi conduce una vita sessuale non limitata dai vincoli delle norme sociali o religiose); l. d’opinione, di coscienza, di culto, di parola, d’azione, di voto. Diritti di l., diritti pubblici fondamentali che tutelano l’indipendenza dell’attività individuale da costrizioni esterne e che possono essere fatti valere nei confronti di tutti gli altri soggetti, privati o pubblici, tenuti dall’obbligo correlativo al rispetto di tale indipendenza. In sede giuridico-economica si considerano inoltre la l. di commercio, la l. di scambio, la l. di lavoro, la l. di coniazione delle monete, ecc. L. dei mari, nel diritto internazionale marittimo, principio teorico in base al quale tutte le nazioni possono navigare e commerciare, in qualunque mare, liberamente e senza limitazioni, fatta eccezione per le acque territoriali. L. dell’aria, diritto che un aeromobile ha di esercitare talune attività, connesse con le esigenze del volo, su territorio diverso da quello nazionale.
(dal dizionario Treccani)
2. Con sign. più limitati:
–
a. L’esser libero da vincoli, freni o impedimenti: non vuole sposarsi perché preferisce la l.; concedi troppa l. ai tuoi figli; avere, non avere l. di movimenti. L’esser libero da occupazioni o impegni: il direttore gli ha concesso due ore di l.; il lavoro non mi lascia un attimo di l.; mettere in l., dispensare dal servizio un dipendente; siete in l., frase con cui talora si congedano gli allievi dopo una lezione, i partecipanti a una riunione, e sim.
–
b. Seguito dalla prep. da, significa spesso liberazione, affrancamento: l. dalla fame, dal dolore. In partic., l. dal bisogno, l. dalla paura, due delle quattro libertà (insieme con la l. di parola e di religione) dette l. atlantiche, proclamate, dal presidente degli Stati Uniti d’America F. D. Roosevelt nel 1941, necessarie per giungere a una pacifica convivenza fra gli uomini.
–
c. In qualche caso, libera facoltà: è in mia l. accettare o no; chiedo la l. di decidere. Quindi, anche, arbitrio, licenza: prendersi la l. (di dire o fare una cosa), arrogarsi un diritto, permettersi; espressione usata spesso come formula di modestia o di cortesia (per es.: scusi se mi prendo la l. di farle un’osservazione); ma riferita ad altri esprime piuttosto riprovazione (per es.: si è preso la l. di contraddirmi); con sign. più concreto, al plur., prendersi delle l., prendersi troppe l., trattare con eccessiva confidenza, mancare di rispetto (e analogam., non mi piacciono, non gradisco, non tollero certe libertà). Parlare, discorrere con troppa l., con linguaggio licenzioso, ardito.
–
d. Mettersi in l., indossare gli abiti di casa, levarsi la giacca, o sim., per stare più comodi o più freschi; anche, trattare familiarmente, non far cerimonie. Così, stare in l., in tutta l., senza soggezione, senza inutili riguardi; seduti, con tutta l., in una perfetta solitudine (Manzoni).
3. Di cosa, esser libero in genere: l. di un fondo da ipoteche, da servitù, ecc.; l. di manovra, di una nave (v. manovra, n. 2 a). In chimica, mettere in l., rendere allo stato libero, liberare: nella combustione si mette in l. l’anidride carbonica.
(dal dizionario Treccani)
4. Nel linguaggio tecn. e scient., grado di l., locuz. usata con varî sign.: in termodinamica, è sinon. di varianza, per indicare il numero dei parametri caratteristici che si possono far variare senza turbare l’equilibrio di un sistema e quindi senza cambiare il numero e la natura delle fasi presenti; in meccanica, indica il numero dei parametri essenziali e indipendenti atti a individuare le posizioni di un sistema rigido, di un punto materiale, ecc., che equivale al numero di traslazioni o rotazioni indipendenti a cui possono essere ricondotti i movimenti che il sistema o il punto materiale sono liberi di effettuare (dati i vincoli cui sono sottoposti); in statistica, in una distribuzione di frequenze, indica il numero degli scarti dalla media indipendenti tra loro, cioè il numero totale degli scarti meno uno. L. asintotica di una teoria è la proprietà che essa ha di diventare una teoria libera, cioè senza interazioni, per certi valori limite di determinate grandezze, per es. per grandi energie.
(dal dizionario Treccani)
Caspita, che argomento coinvolgente! Le domande, come sempre, sono stimolanti. Ma come te le inventi?
Non avevo mai letto Franzen. Ora ho letto il brano linkato sul Corriere della Sera. Ma non è l’incipit. C’è scritto pag. 56/57.
Comunque, mi piace. Comprerò il libro.
Rispondo alle domande, anche se probabilmente le mie risposte ricalcheranno quelle di altri.
Cosa deve intendersi esattamente per libertà?
Secondo me, una condizione che permette all’uomo di essere se stesso.
Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?
Se è valida la definizione di cui sopra, direi di sì. Se così non fosse non potremmo parlare di libertà.
Essere liberi, equivale a essere felici?
Non necessariamente. Ma è pure vero che non essere liberi equivale certamente ad essere infelici.
Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?
Credo di sì. La libertà va anche autoamministrata con responsabilità, altrimenti si rischia di ledere la libertà altrui.
Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?
Con un’utopia a cui tendere. La libertà assoluta non esiste.
È più punto d’arrivo o punto di partenza?
Nè l’uno, nè l’altra. E’ una via di mezzo fra un punto di partenza e un punto d’arrivo. In altre parole è un percorso senza inizio o fine.
Quali sono i suoi pro e contro?
Essere liberi ti consente di scegliere, solo che a volte fai la scelta sbagliata.
Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?
Fino al punto, e torno alla definizione di prima, di continuare ad essere se stessi. Nel momento in cui non riusciamo più ad essere noi stessi, non ci può essere libertà.
E ancora… Esistono schiavitù mascherate da libertà? Fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?
In parte ho risposto nel precedente post. Comunque, sì. Le schiavitù mascherate da libertà esistono. Eccome se esistono. Sono le più subdole perché ti danno l’impressione di essere libero, ma in realtà ti schiavizzano ancora più delle “schiavitù palesi”. Sono catene invisibili.
Temo che viviamo in un’epoca piena di schiavitù mascherate da libertà.
Grazie per le domande e per gli stimoli. E’ sempre un piacere partecipare.
Auguri di buona Pasqua a tutti.
due parole al volo.
amo molto Franzen.
secondo me è sempre sbagliato fare i confronti con altri autori e dire “è meglio di, è peggio di”. Che senso ha accostarlo, per dire, a Tolstoj piuttosto che a Roth?
Franzen è Franzen. A me piace così.
ciao.
Cari tutti,
cerco di essere semplice e spero non semplicistico: a mio avviso la libertà esiste, eccome se esiste.
La libertà e poter esercitare i propri diritti senza subire soprusi da parte degli altri, ma nel rispetto dei diritti degli altri.
Tanto premesso, è sempre emozionante imbattersi in libri importanti e indiscutibilmente belli. Quando gli occhi raggiungono l’ultima parola dell’ultima delle oltre 600 pagine che compongono “Libertà”, un senso di appagamento ti pervade. Sappiamo che a differenza, purtroppo, di molti libri che leggiamo, questa storia rimarrà per sempre dentro di noi, forse inconsciamente ispirando anche le nostre esistenze.Credo che Franzen con “Libertà” abbia composto il capolavoro della sua carriera. Ci auguriamo che molti altri romanzi di valore possano succedergli e che uno di essi possa smentirci, ma al momento di fronte a questa opera non è facile immaginare ulteriori margini di miglioramento.
La ricetta scelta dall’autore è strettamente imparentata con quella di “Le Correzioni”: un affresco familiare, che per il suo carattere di universalità acquista un tono classico, nel senso contemporaneo che si può attribuire a questo aggettivo. Proseguendo nella sua meticolosa analisi delle dinamiche interne all’istituzione Famiglia (oltre a “Le Correzioni” leggasi anche il racconto “Le Ambizioni” proposto di recente da Repubblica), Franzen arricchisce la sua personale commedia umana di un altro nucleo di coniugi con figli. La più universale delle famiglie, appunto.
Laddove però si poteva percepire quale unico difetto di “Le Correzioni” la rigida spartizione dei capitoli fra i vari componenti della famiglia, qui le varie vicende sono amalgamate e collegate in modo molto equilibrato, guadagnandone la tensione narrativa e il ritmo della lettura.
Al centro di tutto, ancora una volta, le difficoltà, il senso di routine e di stanchezza che può attanagliare i coniugi legati da un lungo matrimonio esponendoli al doloroso rifugio del tradimento; la fisiologica ribellione dei figli, bramosi di costruirsi il loro futuro in un mondo, però, che ne ostacola in tutti i modi il decollo. Di qui la controversa relazione con i genitori, fatta di conflitti generazionali ma anche di sotterraneo affetto, e di un profondo ed umano senso di dedizione filiale.
E’ magistrale il modo in cui Franzen tiene insieme le vicende dei personaggi e le sfumature psicologiche dietro le loro azioni/reazioni, soffermandosi sui rispettivi istinti di vita – sentimentali, lavorativi, sociali – e sui conflitti interni che da essi possono generarsi. Perché la “libertà” non è mai alla fine pienamente tale, essendo sempre circoscritta e condizionata dalle interazioni più o meno inconsce con quella degli altri familiari.
Sullo sfondo, eppure protagonista anch’essa del libro, l’ambientazione politico-economica del nostro secolo, la critica all’imperialismo Usa di matrice Bushiana e allo sregolato sfruttamento delle risorse naturali dei paesi meno sviluppati, l’attivismo per l’ecologia e la protezione dell’ambiente, talvolta fini a se stessi. Anche in questo caso Franzen è amaro nel denunciare l’apparenza della “libertà” di espressione o di azione: fra coloro che fanno la parte dei “cattivi” e quelli che agiscono da “buoni” regna infatti il compromesso nella forma più deteriore degli scambi di interesse; gli uni hanno bisogno degli altri per conseguire i propri obiettivi e guidare la società verso un ignoto futuro.
Eppure, nonostante il quadro non roseo che Franzen ci presenta, dalla lettura del libro si esce in qualche modo fiduciosi. Questo inno alla grandezza della debolezza umana ci suggerisce che da essa possa nascere l’esperienza, aiutandoci a sperare che un graduale, quand’anche lento, avvicinamento alla “libertà” sia ancora possibile.
molto bello l’intervento di Andrea. complimenti.
Grazie Stefania…!
Tema molto importante, partendo da un libro e da un autore di grandissima risonanza in questo momento, reso ancora più interessante dalla graditissima disponibilità della traduttrice, Silvia Pareschi, i cui interventi seguo con particolare curiosità e piacere.
Per dare un mio piccolo contributo alla discussione non saprei da dove cominciare, con così tanta carne al fuoco e non avendo ancora letto il libro in questione (e confesso, vergognandomene forse un poco, che il precedente “Le correzioni” non mi aveva poi entusiasmato, avendolo trovato a tratti anche un po’ noioso).
Provo dal concetto di libertà, che è una delle domandone di Massimo, forse la fondamentale, forse “La” domanda (e “libertà” è una parola veramente grossa).
Al di là dei pareri personali (sempre interessanti, per carità) e della mole delle risposte fornite dallo stesso vocabolario (qualcuno ce e ha pure fornite direttamente qui) distinguerei tale concetto nella cultura americana e nella nostra, europea.
Nella prima infatti si fa fondamento stesso (l’American dream) della nascita e della crescita della Nazione fino a pretendere, e a riuscire a divenire, quale portatrice di valori progressisti e libertari, la potenza politicamente, economicamente e culturalmente dominante (e per questo, almeno fino ad oggi, totalmente immune da qualsiasi forma di totalitarismo.
Nelle altre culture, in primis quella europea, e latina in particolare, assumendo nel corso di lunghi e travagliati secoli più sottili distinguo, zone d’ombra, sfumature, ha assunto invece (pur nella sua maggior ricchezza di significati) una minore forza di impatto, quasi una fragilità intrinseca, forse quella che ha permesso in diversi casi ed in diverse epoche ad essere stravolto, e a intere masse di persone di abdicare (forse senza neanche accorgersene) alla propria intelligenza e senso critico, alla propria libertà insomma, permettendo la nascita di regimi tutt’altro che liberali, fino al fascismo e al nazismo, ma anche ai regimi comunisti che proprio in nome di una libertà e di una giustizia da conquistare e poi da difendere in nome di un astratto “popolo” si sono fatti feroci calpestatori delle più elementari e concrete libertà individuali.
E’ fuor di dubbio che dopo la resistenza e la liberazione anche grazie all’aiuto proprio degli americani, l’Europa si sia “americanizzata” ridonando (almeno temporaneamente, al fine della “ricostruzione”, in presenza quindi di un preciso obiettivo per il suo immediato futuro) un senso più monolitico al concetto di libertà. Per poi rifrantumarsi lentamente, una volta raggiunto l’obiettivo, perdendo la mira a cui puntare non avendo sapendo sostituire il “sogno americano” con un “sogno europeo”. Forse l’Europa si sente troppo vecchia per sognare.
E’ la mancanza di futuro in cui galleggiamo oggi. Senza precise prospettive, senza coagulazioni intorno ad alcuna idea, o ideale, cui aggrapparci.
E’ in questo clima incerto che trovano pericoloso spazio nuove tentazioni di rinuncia al proprio senso critico, alla propria libertà d’azione e di pensiero, per farsi creduloni seguaci di imbonitori da baraccone, vuoi perché abbagliati dal loro potere, dalla loro ricchezza, dalle loro promesse-mai-mantenute (se non quelle di loro diretto preciso interesse), o perfino dalle loro stupidissime barzellette o dai loro discutibilissimi costumi sessuali.
Rinunciare al proprio pensiero evidentemente è molto più comodo di quel che sembri. Implica minori responsabilità (libertà è anche, e forse soprattutto, assumersi la responsabilità di quello che si dice, si pensa, si fa) e la responsabilità porta la paura. Paura di sbagliare, paura delle conseguenze, paura delle punizioni. Adagiarsi sulle posizioni degli altri, di quelle dei potenti innanzitutto, può “liberarci” da queste paure e forse trarne pure qualche piccolo vantaggio immediato.
Chi aspira al potere, o lo esercita, lo sa bene. Forse è questa la libertà che promette, inventando o alimentando paure che gli permetteranno di mantenerlo. Così crea continuamente complotti e trame contro di lui, nemici contro l’intero popolo, spettri contro i quali combattere per “liberarsi”. Per seguirlo (o si è con lui o contro di lui) bisogna avere pertanto cieca fiducia, rendersi suoi servi per illudersi di essere “liberi” (dal mostro che non c’è).
“Il fascismo è lo strumento con il quale un cretino può illudersi di sentirsi furbo” è una citazione di non ricordo bene chi, letta recentemente (non ricordo bene neanche dove) ma che mi pare molto calzante. Gli uomini sono disposti a rinunciare alla libertà per proprio maggior comodo, questa è la triste verità svelata dalla storia.
Finchè non si aprono gli occhi, quando arriva il momento (e prima o poi arriva sempre) in cui il vaso è colmo. Il momento in cui la schiavitù si fa palese e concreta, e pertanto vergognosa.
Allora viene il momento di rinascita dei grandi ideali.
Liberté, égalité, fraternitè.
Liberté innanzitutto.
Troppo spesso però senza capire che la libertà sotto la cui bandiera ci si riunisce dovrebbe prevedere la libertà totalmente individuale delle nostre coscienze, quella che ci permette di accrescere ed esercitare la nostra intelligenza, che ci permette di liberarci dalle nostre paure e dai nostri personali “mostri”, che ci mette di fronte alle nostre responsabilità verso noi stessi e verso gli altri. Tutti gli altri.
Solo individui liberi, mai schiavi di alcuno o di alcunchè, sono in grado di costruire società veramente libere. E più giuste.
La libertà è un monolite che, per essere efficace, dovrebbe prevedere tutto questo.
A questo punto mi chiedo” di quale libertà stiamo parlando?
Per continuare dal mio post precedente che si concludeva così :”Ho citato questo passo di Kafka perchè mi sembra significativo del fatto che l’oppressione per prima cosa uccide la “parola” che è invece il simbolo concreto della libertà.”
La libertà, quella umana, individuale e collettiva, quella che si sottrae all’anarchia e quella che non è soffocata dal potere familiare, istituzionale e sociale, si misura dalla possibilità offerta a ciascun essere umano di esprimere la sua autenticità.
La libertà sicuramente non rende felici, rende impegnati e quindi è costretta a misurarsi continuamente con il senso di responsabilità, con il principio di scelta che è libero fino a quando non lede la libertà degli altri.
Con questo credo di essere nel concetto di libertà come oggetto concreto della vita, sarebbe un’altro discorso se volessi parlare della libertà come desiderio, come sottrazione alla tirannia del “dovere essere” allora non rimarrebbe che la fuga nel sogno, in quel sogno in cui lAmerica si è rifugiata per evitare lo sguardo della Statua che si erge nel porto di New York.
Infatti al di là della membrana che avvolge la libertà esiste soltanto una rappresentazione fantastica, una realtà immaginaria che serve da dolce evasione. Il Potere nei secoli ha creato questo duplicato di libertà, in modo che mentre il cittadino sogna esso governa.
Come si capisce il doppio del Potere?
Dal fatto che il sogno è allucinatorio per cui si rivela carico di aggressività, odio, protesta, depressione per le promesse fallite.
Il fallimento della libertà reale ed il conseguenziale rifugio nel sogno si puo paragonare all’innamorato che dopo qualche anno di matrimonio si rivela impotente ed allora sogna di essere un grande maschio.
Le persone che sfondano la membrana della libertà producono azioni assurde, vuote con influssi negativi sulla realtà esistente. Per loro l’amore diventa perversione, la musica pazzia, il lavoro noia.
Se si vive in un contesto sociale, la libertà è già limitata di fatto, poichè si presume l’osservanza di regole – se non leggi, che tutelino in misura (equa o disequa) le libertà altrui. Ed è questo il caso attuale, secondo me, in cui si verifica la distorsione della parola LIBERTA’, oggi, in Italia, mal copiando la presunta libertà d’oltreoceano.
Libertà oggi pare significare: svincolarsi da qualsiasi obbligo nei confronti della comunità, non tener conto dei diritti e dei principi che nella Storia ci siamo costruiti come popolo e come società.
Libertà oggi va di pari passo con impunità. Ed è un concetto che purtroppo fa presa, ben lontano dal primitivo concetto democratico francese, che aveva scelto il motto inscindibile da fraternità e uguaglianza.
Ebbene questo concetto di libertà attuale non mi piace.
Ma colgo l’occasione per ricordare chi ha scelto coraggiosamente di difendere le libertà altrui prima ancora della propria, e proprio per questo era universalmente LIBERO, una persona che oggi non c’è più e che abbinava il sacrosanto diritto alla pace: un saluto con orgoglio ad un italiano, Vittorio Arrigoni, e suggerisco il suo libro RESTIAMO UMANI senza nulla togliere a J. F.
francesca cenerelli
Gioca anche tu al “gioco di Franzen”
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Attorno allo scrittore americano, di cui è uscito “Libertà” diversi anni dopo “Le correzioni”, si è scatenata una strana disputa, che vede i detrattori opposti ai fan…
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di Paolo Perazzolo
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Una strana disputa sta impegnando la (stretta) cerchia dei critici letterari: il gioco di Franzen. Consiste in questo: proclamare se si sta dalla parte dello scrittore che dà il nome al gioco, Jonathan Franzen, e quindi dichiararlo un genio, un inventore di capolavori assoluti; oppure schierarsi contro di lui, sostenendo che il suo libro non è certo quel capolavoro che molti vorrebbero far credere, che è un caso da manuale di sopravvalutazione. Piccola premessa per quanti (tantissimi) non fossero al corrente del gioco: è da poco uscito, da Einaudi, il nuovo romanzo dell’autore americano, Libertà, che segue di diversi anni l’altrettanto celebrato e discusso Le correzioni.
A muovere la prima pedina è stato niente di meno che il prestigioso Time, che gli ha dedicato la copertina, con il titolo Great American Novelist (grande romanziere americano). Apriti cielo: chi si è affannato a sottoscrivere l’incoronazione, e chi, al contrario, si è voluto distinguere, dicendo “tanto rumore per nulla”. Nella nostra Italia si sono trovati adepti di entrambe le squadre. Il settimanale culturale di un quotidiano ha deciso di contrastare il processo di beatificazione che stava investendo Libertà e autore e ha dedicato addirittura copertina e tre pagine all’interno per rimetterlo in riga, accettando di correre il rischio – riservandogli tanta attenzione – di confermarne implicitamente l’importanza. E poi non c’è intervista e intervistato che si sottragga al gioco: così, ieri, un diffuso quotidiano nazionale, nell’intervista a Javier Cercas in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo, riesce a fargli dire che preferisce Calvino a Franzen… Che Franzen sia diventato la pietra di paragone di tutti i libri e di tutti gli scrittori? Chissà, forse arriveremo al punto in cui questi sentiranno il dovere di pronunciarsi sull’illustre collega, spiegando in che squadra vogliono militare, prima ancora di informarci sulle cose di casa loro. Tralasciamo le pur numerose mosse degli altri giocatori…
E noi? Anche noi vogliamo giocare al gioco di Franzen, perbacco! Il lettore ci perdonerà se non accetteremo uno schema troppo rigido, dal momento che valutiamo Libertà un ottimo romanzo, sopra la media, sebbene non sappiamo dire, ora, se si tratti di uno di quei capolavori che resteranno come pietre miliari della letteratura. In fondo, crediamo che un minimo di distanza storica, ed emotiva, possa aiutare ad emettere sentenze tanto impegnative.
Perché Libertà è un grande romanzo? Perché vi troviamo un progetto di ampio respiro, che abbraccia tre generazioni e ha l’ambizione di farsi specchio dell’America di oggi. Non capita tutti i giorni di leggere pagine che sappiano dare spessore e credibilità ai personaggi, quanto quelle di Franzen su Walter, Patty e Richard, le tre figure centrali. Partendo da loro, risale all’indietro (descrivendone i genitori, quindi la generazione da cui provengono), e si proietta in avanti (raccontando la storia dei loro figli). Il titolo, Libertà, è un’efficace chiave ermeneutica della vicenda: ciascun personaggio ha la sua idea, rispetto ad essa, e ne fa un uso conseguente. Minimo comun denominatore, è una concezione egocentrica, narcisistica della libertà, piegata ai propri istinti, alle proprie pulsioni, ai propri bisogni, alle proprie ossessioni. Sembra che il paesaggio umano dipinto dallo scrittore non sappia sollevare lo sguardo dal proprio ombelico. La domanda «Se sono libero di scegliere, allora come devo vivere?» attraversa ogni personaggio, conducendo spesso ad esiti deludenti, in altri, rari casi a correzioni (!) di rotta. C’è poi, come in Le correzioni, la famiglia, fucina del destino di ogni uomo, nucleo imprescindibile per la crescita e la vita, nonostante i suoi limiti. La famiglia come croce e delizia.
In questo romanzo troviamo, ancora, l’opposizione fra progressisti e democratici, entrambi descritti nelle loro contraddizioni. E’ presente la tematica ambientale, in relazione alla quale la questione della libertà assume connotazioni e implicazioni molto interessanti, anche se abbiamo l’impressione che l’autore la dipani con qualche lungaggine di troppo. E tutti questi ingredienti si fondono per farsi ritratto potente di un Paese intero, ripiegato su se stesso e incapace di progettare il futuro. Un’ultima annotazione dobbiamo ai lettori di Famiglia Cristiana: la presenza veramente invadente del sesso. Crediamo che non sia casuale, ma, anch’essa, il riflesso di una società, e di una concezione della libertà, che riconduce tutto ai bisogni individuali.
Senza istituire paragoni sconvenienti con Guerra e pace (esempio non casuale, come appurerà il lettore), Libertà e un gran bel romanzo. Il romanzo del secolo? Pensiamoci un po’ su, prima di gridare al miracolo o di buttarlo a mare. Le attese messianiche, come pure la voglia di smarcarsi a tutti i costi dalle opinioni in voga, giocano brutti scherzi. E si rischia di giocare male il gioco di Franzen.
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Fonte: Famiglia Cristiana
http://www.famigliacristiana.it
13.04.2011
Il fatto che si debbano rispettare regole o leggi sancite da un parlamento democratico, e quindi eletto dal popolo liberamente, non è a mio avviso una limitazione della libertà, ma è uno dei fattori chiave sottostanti la libertà stessa. Almeno intendendo per libertà un concetto moderno di salvaguardia dei diritti dell’individuo all’interno di una società organizzata.
Ove si ritenga poi che una certa legge limiti la libertà individuale in termini arbitrari e sproporzionati, essa andrà modificata secondo i meccanismi della democrazia parlamentare.
Che poi oggi, a mio avviso, tali principi basilari e costituenti siano stati stravolti dal prevalere di logiche politiche basate su interessi personali lontani anni luce dai principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, beh… questo è tutto un altro discorso che ci porterebbe lontano….
Mi limito a concordare con Mela Mondi che poco sopra evidenzia la parola quale simbolo concreto della libertà. Mi sento però di aggiungere che oltre alla parola serve il rigore: rigore morale e rigore sociale. Altrimenti le parole rischiano di restare tali…!
…Ma insomma, ‘sto libro vi è piaciuto oppure no?
in linea di massima direi di sì Gabriella. anche se tra i critici ci sono opinioni contrastanti.
a me è piaciuto molto.
Cari amici, desidero ringraziarvi ulteriormente per la partecipazione a questa appassionante discussione… a partire da Silvia Pareschi che si è messa a nostra disposizione con generosità (grazie ancora, Silvia!).
Ringrazio: Mela Mondì per le approfondite riflessioni; Giorgio, per averci fornito le definizioni di “Libertà” secondo il vocabolario Treccani; Andrea e Carlo S. per i loro approfondimenti.
E grazie anche a: Marco Vinci, Stefania, Francesca Cenerelli e Gabriella…
Ringrazio anche per gli altri contributi inseriti nel corso della discussione.
@ Silvia Pareschi
Cara Silvia, non so se avrai modo di intervenire ancora…
Comunque, provo a rivolgerti un’altra domanda più generica sulla tua attività di traduttrice, che è la seguente (in verità è una semplice curiosità).
Secondo te qual è il maggior rischio che, in generale, corre un traduttore nello svolgimento della propria attività?
Nella speranza che la discussione possa proseguire, auguro a tutti una serena notte.
@ Massimo
Il maggior rischio che corre un traduttore, in generale, è quello di morire di fame.
A parte gli scherzi (che poi non sono proprio scherzi). Il lavoro di traduzione si basa, a mio parere, su un delicatissimo equilibrio tra la fedeltà all’originale e la necessità di una resa nella lingua d’arrivo che sia “bella”, che “suoni bene”. In genere un buon traduttore sa scegliere di volta in volta se stare più da una parte o dall’altra; il suo compito, infatti, è quello di effettuare continue scelte, di assumersi di volta in volta piccole responsabilità su ogni singola parola o frase, responsabilità che pian piano si assommano e si trasformano in una responsabilità enorme nei confronti dell’intero testo. E chi compie scelte, chi si assume responsabilità, ovviamente corre sempre dei rischi. Quando insegnavo traduzione dovevo lottare con gli studenti che usavano il testo originale come punto di partenza per scrivere, in realtà, qualcosa di proprio. Il rischio di sovrapporsi all’originale è sempre in agguato, come anche, per converso, quello di appiattirsi completamente su di esso, dimenticando che anche la lingua di arrivo ha le sue esigenze che vanno rispettate. Insomma, la traduzione è un’arte fatta di sottigliezze ed equilibri. Il testo su cui si lavora è un contenitore chiuso nel quale bisogna sapersi muovere, con grazia e agilità, certo, ma senza uscire dai suoi confini. Un po’ come succede con la libertà.
@ Silvia Pareschi
Trovo molto bella questa tua risposta a cui si potrebbe attribuire il seguente titolo: “il concetto di libertà nella traduzione”. Molto in tema direi.
Non ho letto ancora il libro di Franzen ma è in programma, prima di riflettere sulle domande di Massimo ci terrei a fare glia auguri a Silvia Pareschi per il suo impegno necessario, e a cui m’inchino, di traduttrice. Sono molto le belle, come ha detto Amelia, che Silvia ci offre sulla traduzione a cui mi permetto di girarle un concetto espresso sulla traduzione pubblicato a febbraio su Domenica del Sole 24 ore:
Partendo da tre concetti fondamentali nell’atto del tradurre:comprendere più che bene l’originale, saper scrivere benissimo nella propria lingua,capire che i codici non sono uguali; ci dice che tradurre non vuol dire libertà massima sottomissione, incanalando tutta la propria creatività nel progetto di riscrivere l’opera originale nella propria lingua senza perdere o travisare l’atmosfera che evoca.Quante persone in Italia sono pronte per affrontare un tale gesto di abnegazione? E per pochi soldi.Poi l’articolo pone un quesito molto interessante: come comportarsi con i capolavori di ieri? Bisogna in un certo senso “riattualizzare” quella traduzione per andare incontro ad una lettura presente del testo o così facendo ci si allontanerebbe da quella sottomissione di cui si parlava per restare fedeli all’originale? Silvia secondo te l’approccio ad autore vivente è meno complicato rispetto ad un classico?In cosa differisce la metodica della traduzione? Ringraziandoti in anticipo saluto tutti gli amici, Massimo in maniera speciale!
Per definire la parola libertà non basterebbe un ponderoso saggio. Per la mia conformazione mentale e per l’educazione che ha forgiato il mio animus, tale vasto concetto non può essere disgiunto da una equa e diffusa giustizia e dalla dignità della vita per ogni singolo individuo, di ogni razza e di ogni lingua.
Un senso più elevato e religioso della nostra esistenza, coadiuvato dall’ordine morale e dai Comandamenti, attesta che la verità
ci rende liberi. Infatti il venerabile Papa S.S. Pio XII° sosteneva:-
” Senza i legami e la guida dei Comandamenti di Dio la libera volontà dell’uomo è più pericolosa e audace che il naturale istinto degli animali sevatici o feroci.”
@ Massi e amici tutti, poiché la fede è il fondamento di qualcosa che si spera, colgo l’occasione per formulare gli auguri più sentiti per la serena pacificazione del cosmo e auspico che il Risorto ci illumini con lo splendore della Sua luce folgorante.
Tessy
Uno schizzo sommario sulla complessità dell’argomento che, come il sole all’alba, sorge ogni santo giorno mettendoci in relazione con l’esterno, anzi di più, si disegni pure una freccia andata e ritorno fra l’Essere e l’Esistere.
Sono un essere umano e come tale sono provvista di anima-animale, uhh che voglia di mangiare il formaggio in grande quantità ( però devo fare la dieta), che sforzo non poter mandar a quel paese quei cafoni laggiù sulla strada che guidano come i barbari (è meglio limitare le reazioni), è solo qualche esempio di come dover domare la tigre che è in me …
Dicevo della mia umanità e di essere dotata di spirito: uno spirito libero. Sin dall’infanzia.
Lo confesso mi piace esercitare anche lo spirito critico e tiro un tratto sulla morale: a volte guardo con orrore le maschere stereotipate assuefatte al modello “biscotti del mulino bianco”per intenderci , tutto è così rassicurante, felice, godibile, non riesco a comprendere se si sono scavati una nicchia all’interno di una società fatta di schemi e celle mentali da cui, di solito, parte un tunnel sotterraneo ed oscuro che si chiama trasgressione… ma, credetemi, sono abbastanza ” liberale” da poter guardare anche questi aspetti con dovuta sufficienza, mi annoiano terribilmente gli uomini arroccati nella viltà, come coloro che sventolano libertinaggi e libertinismo, che barba tutti i giorni dover sopportare la loro incontinenza verbale.
Ultimare lo schizzo con un grande filosofo come San Tommaso per il quale la piena libertà è possibile quando l’essere non sente alcuna scissione tra il mondo del bene ed il proprio mondo, è osare cime altissime, rischio la demagogia sulla parola libertà. Meglio l’esperienza de concetto.
Grazie anche a Silvia Pareschi dalle cui parole traspare saggezza.
Rossella Grasso
@ Francesca
La questione della ritraduzione dei classici è sempre affascinante. Da un lato un originale che rimane sempre identico a se stesso, immutato nel tempo, e dall’altro le sue traduzioni che invece cambiano, si adattano ai tempi e all’evoluzione della lingua. In questi giorni sto scrivendo una serie di brevi articoli sul mio blog ispirati a Lydia Davis, scrittrice e traduttrice (“La strada di Swann” e “Madame Bovary” sono le ultime opere che ha tradotto), e ho appena finito di scriverne uno proprio sulla questione della ritraduzione dei classici: in pratica la risposta alla tua domanda. Ecco qui il link:
http://ninehoursofseparation.blogspot.com/2011/04/evening-with-lydia-davis2-madame.html
Buona serata,
Silvia
Caro Massimo,
non ho ancora letto il nuovo libro di Franzen, di cui ho apprezzato “Zona disagio” di qualche anno fa, edito ancora da Einaudi se non sbaglio.
Ci chiedi cosa si deve intendere per libertà; che ti devo rispondere? La libertà è un’utopia cui tendere per realizzare un po’ di giustizia in questo mondo, affinché la vita non possa essere imbrigliata nelle forme che rasentano la follia.
Riflettendoci, nessuno di noi nasce libero, dato che nessuno di noi ha voluto nascere. Poi molti di noi, non tutti – detto onestamente – nascono con un bagaglio di fortuna che altri non posseggono. Fortuna che diventa con l’andar del tempo “lasciapassare” per raggiungere qualcosa che si brama di raggiungere.
Ma cosa e per che cosa?
C’è chi è libero di realizzarsi e chi no, chi è libero d’istrursi e chi no, chi è libero di vivere e chi no, chi è capace di arrangiarsi e chi no, chi è capace di scalare una montagna rocciosa e chi no, chi è capace di immaginare che la libertà sia un punto di arrivo e chi di partenza, altri – invece – di non ritorno o di perdizione, di smarrimento. Tant’è che il detto “L’uomo ha paura della libertà” è spesso sostenuto o invocato per sconfiggere o limitare la libertà altrui, compresa la nostra, la mia.
Nessuno, tuttavia, è libero di sfuggire alla morte almeno terrena.
Sì, la libertà coincide con un’utopia cui tendere. Naturalmente a mio avviso.
Un cordiale pensiero pasquale a te e a tutti i lettori.
auguri anche a te Ausilio Bertoli. Mi piace molto il tuo punto vista.
Come possiamo dubitare di essere tutti liberi per natura, dato che siamo tutti uguali? A nessuno può venire in mente che la natura, che ci ha fatti tutti uguali, abbia costretto qualcuno in servitù […] Ne consegue quindi che la libertà è un diritto naturale, e a mio avviso bisogna aggiungere che siamo nati non solo padroni della nostra libertà, ma anche inclini a difenderla.
(Étienne de La Boétie)
Di quale libertà godrebbero uomini e donne, se non fossero continuamente turlupinati e resi schiavi e tormentati dal sesso! Il solo inconveniente di questa libertà è che uno allora non è più un essere umano. È un mostro.
(John Steinbeck)
Dove non c’è legge, non c’è libertà.
(John Locke)
Dove non v’è libertà non può esservi legalità.
(Piero Calamandrei)
È proprio vero che la libertà è preziosa; così preziosa che dovrebbe essere razionata.
(Lenin)
Il grado di libertà di un uomo si misura dall’intensità dei suoi sogni.
(Alda Merini)
Io sono fatto per combattere il crimine, non per governarlo. Non è ancora giunto il tempo in cui gli uomini onesti possono servire impunemente la patria. I difensori della libertà saranno sempre dei proscritti finché la masnada dei furfanti dominerà.
(Maximilien de Robespierre)
L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l’illusione di averla.
(Isaiah Berlin)
L’uomo è condannato ad essere libero.
(Jean-Paul Sartre)
La libertà comincia dall’ironia.
(Victor Hugo)
La libertà non è fine a se stessa; essa è autentica solo quando viene posta al servizio della verità, della solidarietà e della pace.
(Papa Giovanni Paolo II)
Nel mondo attuale per libertà s’intende la licenza, mentre la vera libertà consiste in un calmo dominio di se stessi. La licenza conduce soltanto alla schiavitù.
(Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi.
(Leo Longanesi)
Non vale la pena avere la libertà se questo non implica avere la libertà di sbagliare.
(Mahatma Gandhi)
Ognuno di noi crede di essere libero di scegliere la propria esistenza, ma non fa altro che seguire orbite prestabilite.
(Carlo Sgorlon)
Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vogliono sentire.
(George Orwell)
Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo.
(Voltaire)
L’unica libertà che merita questo nome è quella di perseguire a modo nostro il nostro bene, sempre che non cerchiamo di privare gli altri del loro, o di intralciare i loro sforzi per raggiungerlo. Se gli uomini lasciano che ognuno viva come a lui sembra meglio, hanno da guadagnare molto di più che se costringono ogni individuo a vivere come sembra meglio agli altri.
(John Stuart Mill)
Cari amici, grazie e tutti per i nuovi commenti e contributi inseriti.
Un ringraziamento speciale, ancora una volta, a Silvia Pareschi.
Saluti e ringraziamenti a: Amelia Corsi, Francesca Giulia Marone, M.Teresa Santalucia Scibona (in arte, Tessy), Rossella Grasso, Ausilio Bertoli.
E grazie anche a chi ha inserito le belle citazioni.
Con l’auspicio che la discussione possa continuare, auguro a tutti voi di trascorrere serene festività pasquali.
Massimo, auguroni a te, a Simona e Maria Lucia. A proposito di Libertà mi piacerebbe ricordare l’etimo della parola, che rivela il senso più vero. Eleuterìa, in greco, si forma dal verbo erchomai che significa :dirigersi.Quindi libertà é camminamento , é movimento, direzione,ricerca e in tale viaggio avviene l’incontro e mai la stasi che é privatio di camminamento e quindi di libertà.. Un bacione a tutti e complimenti per il tuo lavoro puntuale e paideutico
Non riesco a sopportare i discorsi sulle regole: mi volete dire per piacere quali sono queste regole? Le mie o le tue, le nostre o le vostre? che cosa sono le regole , per piacere fatenemi un elenco se esse non sono soltanto una parola di copertura o un parto a due teste del relativismo etico.
Grazie.
L’uomo è nato per la libertà. L’uomo ha tanta sete di libertà che per averla scava con il dito dentro la roccia. Ma il problema non è scavare e togliere la pietra tombale dove essa è seppellita, il problema è “che me ne faccio del gioiello-libertà dopo che sono riuscita a portarlo alla luce? Cosa avrei da dare? Cosa avrei da dire con la mia testa vuota?
Quando si chiede di contribuire alla ricerca per…. sarei la prima a contribuire se si trattasse della “Ricerca sulla/della libertà”.
Per cui ben venuto questo tema se esso è riuscito a portar fuori da me un pensiero personale sulla libertà.L’ho fatto senza spendere un centesimo….
eccetto E 20, pe il libro di Franzen con cui mi sono fatta la strenna Pasquale
con tanta curiosità di leggerlo e capire se esso mi dà o mi toglie libertà.
Ciao Massimo Buona Pasqua.
Credo che l’uomo rincorra la libertà, pensa di averla ottenuta, ma sinchè farà parte di un sistema sociale non sarà mai totalmente libero. Libertà è sinonimo di assoluta padronanza delle proprie decisioni, ma questo concetto non ci appartiene: sono tanti gli esempi in cui non possiamo essere liberi di fare o di pensare. Non c’è libertà neanche fra le pareti di casa che siamo costretti a tutelare: all’improvviso possiamo essere depredati da quei beni che sono costati fatica. Siamo parzialmente o illusoriamente liberi in uno stato che ci offre la libertà, ma essa è vincolata alle decisioni che provengono dall’alto. E non siamo liberi di vivere la vita che vorremmo: il male è sempre in agguato. Se fossimo veramente liberi nell’assoluta semplicità di cuore, saremmo felici. La libertà con fini poco chiari non dona la felicità.
Interessante dibattito, non ho letto il libro in questione ma cercherò di colmare questa lacuna.
Annamaria
Ho continuato a seguire questa discussione con grande interesse, nei diversi giorni in cui si e’ sviluppata. Voglio ringraziare tutti perché ne ho tratto diversi stimoli di riflessione.
Dopo i contenuti del vocabolario Treccani, vorrei mettere a disposizione anche quelli della omonima enciclopedia, la quale alla voce “libertà” dice così…
“La facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, presupposto trascendentale della facoltà del volere. Il problema della libertà, nella cultura occidentale, è stato affrontato da due prospettive diverse: quella religioso-filosofica e quella politica. Nel primo caso ci si è interrogati sul posto che l’uomo occupa nell’Universo: se egli sia l’artefice del proprio destino oppure se sia governato da forze superiori alla sua volontà (il destino, Dio, le leggi della natura o della storia). In questa prospettiva il problema della libertà coincide con quello del libero arbitrio o del determinismo. Nel secondo caso, che è quello qui affrontato, ci si è invece chiesti in che cosa consista la libertà dell’uomo in relazione ai suoi simili: alcuni l’hanno identificata con una condizione di indipendenza individuale dal potere, altri con la possibilità di partecipare alle decisioni politiche. Questi diversi tipi di libertà convivono, in un equilibrio sempre instabile, nelle moderne democrazie liberali.
la libertà come problema politico
Nel pensiero politico la l. viene in genere pensata come assenza di costrizione, ma la sua definizione varia a seconda che si prenda in esame la sfera dell’agire o quella del volere. Nella sfera delle azioni, la l. consiste nella possibilità di agire senza essere ostacolati o costretti da altri uomini (in partic., da quelli che detengono il potere); nella sfera della volontà, invece, la l. consiste nella capacità di decidere obbedendo solo a sé stessi. Nel primo caso l. significa quindi assenza di impedimenti o costrizioni (secondo la definizione di T. Hobbes), nel secondo autonomia, ossia obbedienza alla legge che ci si è dati (secondo la definizione di J.-J. Rousseau). Da queste definizioni deriva la celebre distinzione tra l. negativa e l. positiva.
(Enciclopedia Treccani)
la libertà negativa
La concezione negativa della l. si afferma con forza nel mondo moderno, quando le grandi rivoluzioni ispirate al liberalismo (quella inglese del 1688, quella americana del 1776 e quella francese del 1789) conducono alla conquista delle principali l. individuali (l. di religione, di pensiero, di parola, di stampa, di associazione, di iniziativa economica). In questi ambiti, essere liberi significa che ogni individuo ha il diritto di agire come meglio crede senza che lo Stato (o qualsiasi altro individuo o gruppo dotati di potere) possa impedirglielo. Godere della l. religiosa, per es., significa che lo Stato non deve intervenire, né vietando un qualsiasi culto, né obbligando a seguirne uno in particolare: esso deve lasciare ogni individuo libero di comportarsi come ritiene giusto e limitarsi a garantire tale l. contro ogni eventuale sopruso (come sostiene J. Locke, il padre del liberalismo moderno, nella sua Epistola sulla tolleranza). Anche I. Kant, in ambito politico, teorizza apertamente la l. negativa: “nessuno – egli afferma – mi può costringere a essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla l. degli altri”. Ecco perché si parla di l. ‘negativa’: perché essa consiste nel negare l’intervento del potere, nello sgombrare il campo da qualsiasi ostacolo, nel creare uno ‘spazio vuoto’ che l’individuo può utilizzare come vuole, con l’unico limite di non arrecare danno agli altri e di permettere loro eguale libertà.
(Enciclopedia Treccani)
la libertà positiva
La concezione positiva della l. coincide con la nozione morale di autonomia ed è stata trasposta sul piano politico da Rousseau. Come un individuo è libero soltanto quando obbedisce alla propria volontà razionale e non ai propri impulsi egoistici, afferma Rousseau, così un popolo è libero soltanto quando obbedisce non agli interessi particolari, ma alla propria volontà generale, cioè alla volontà che tende al bene comune e che quindi non coincide necessariamente né con la volontà della maggioranza, né con la ‘volontà di tutti’. E poiché gli individui stanno alla società come gli organi stanno al corpo, la l. dei singoli consisterà nell’obbedire alle leggi che il corpo politico, composto da tutti i cittadini, deciderà di adottare. Il concetto di l. come autonomia si lega quindi al concetto di democrazia: è libero quel popolo che si autogoverna, ossia che prende parte alla creazione delle leggi alle quali poi dovrà obbedire. La l. consiste quindi nella partecipazione collettiva all’esercizio del potere politico e nell’obbedienza alla legge. E poiché la legge ha sempre un contenuto specifico (non è uno spazio vuoto) in questo caso si parla di l. ‘positiva’.
(Enciclopedia Treccani)
liberalismo e democrazia
L. negativa e l. positiva finiscono così per rappresentare gli archetipi di due concezioni diverse della l., che caratterizzarono, a partire dall’Ottocento, le correnti politiche del liberalismo e della democrazia. Per i liberali la l. è essenzialmente una condizione di indipendenza individuale: essa coincide con quello spazio nel quale l’individuo può agire a proprio talento. Per i democratici, invece, la l. consiste essenzialmente nella partecipazione collettiva al potere: essa quindi coincide con lo spazio regolato dalle leggi, a condizione che tali leggi siano il frutto di una decisione alla quale tutti hanno preso parte in modo eguale. Nella concezione liberale della l. l’accento cade sull’individuo, nella concezione democratica sulla società nel suo complesso. I liberali tendono ad allargare la sfera delle autodeterminazioni individuali (cioè delle decisioni rimesse ai singoli individui), perché sono convinti che il libero gioco delle opinioni e degli interessi costituisca il più potente mezzo di progresso civile, economico e culturale. I democratici tendono ad allargare la sfera delle autodeterminazioni collettive (cioè delle decisioni da prendere insieme, come società), perché sono convinti che l’eccesso di l. individuali generi disuguaglianze troppo grandi tra gli uomini.
(Enciclopedia Treccani)
Giorgio
hai fatto bene a riportare le definizioni della Treccani.Si ampliano i concetti e le riflessioni sul tema libertà e si capisce meglio come democrazia sia la gestione della libertà di tutti e di ciascuno.
A me ha posto tante domande sul tipo:
In uno Stato moderno c’è libertà quando non si creano le condizioni per fare emergere i talenti e si lasciano morire o si costringono ad espatriare?
C’è Libertà quando ai figli dei Dannati della terra non si offre la pssibilità di uscire fuori dal loro inferno?
C’è libertà quando si rinforza il principio del privilegio ereditario e dei relativi ammanigliamenti?
Una Nazione è più libera quando ha cittadini preparati e competenti o quando sono genericamente idonei a fare oggi un lavoro e domani un altro senza avere competenza in nulla?
Non ci sfiora il dubbio che la crisi attuale possa essere definita anche crisi di competenza economica , politica, intellettuale ecc…eccc…che porta alla degenerazione del principio di libertà?
Grazie a Mela Mondi. L’intento era appunto quello. Sperare di riuscire a contribuire approtando nuovi spunti di riflessione.
Grazie per i nuovi commenti.
Saluti a Giorgio, Mela, Valerio e Annamaria.
Grazie per le tue domande, cara Mela… credo che – ahimé – contengano già le risposte.
Ciao Massimo
questo tema mi ha appassionato e coinvolto. Non so se sono una persona libera ma di una cosa sono certa che ho lottato sempre per la mia libertà
rispettando ed amando la libertà degli altri più della mia. Alla fine quel che conta è avere lottato per qualcosa che vale,,,, e che ti fa sentire vivo ….forse libertà è proprio questo.
Condivido l’entusiasmo per questo dibattito che mi ha dato occasioni di riflessione. Grazie
Ognuno dentro di noi, anela la libertà. Ma fino a che punto siamo disposti a pagare per garantire la libertà degli altri anche a discapito della nostra?
Ricordo un aneddoto che riguarda Churcill, quando dopo la guerra perse le elezioni. La moglie gli comunica i risultati elettorali, sentiti alla radio, mentre lui si sta facendo la barba.
Abbiamo perso, gli dice la moglie.
E lui: abbiamo vinto. E’ per questo che ci siamo battuti.
Grazie a te, Mela. E grazie a Filippo.
(Scusate se ho un po’ rallentato l’attività del blog… ma ci rifaremo).
Grazie a te.
Gran libro, questo nuovo romanzo di Franzen. Lo sto leggendo.