Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA” è dedicato al volume “L’inquietudine allo specchio” di Gioia Pace (Algra editore).
Pessoa, Pirandello, Calvino, Tabucchi, i grandi inquieti del Novecento che hanno testimoniato la fragilità e la leggerezza del vivere attraverso la scrittura e anche come la letteratura non può fare a meno della musica, la stravagante compagna dei nostri giorni. L’inquietudine è fermento, innovazione, coraggio e trova nella musica la sua dimensione ideale. Gaber, Battisti, Dalla, Conte e altri cantautori ci hanno lasciato testi che raccontano cambiamenti emozionanti, impegni sui diritti umani, solitudini che s’incontrano e sapori che vengono da lontano, perché la musica strega l’inquietudine per quel palese e misterioso accordo di note e si rivela una medicina utile al male di vivere. Prefazione di Massimo Arcangeli.
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L’INQUIETUDINE ALLO SPECCHIO di Gioia Pace (Algra editore): la musica e la letteratura di Pessoa, Pirandello, Calvino, Tabucchi – intervista all’autrice
Gioia Pace, laureata in Lettere Moderne all’Università di Catania, ordinaria di Italiano e Latino, è Presidente del Comitato di Siracusa della Società Dante Alighieri. Organizzatrice di seminari, convegni, tavole rotonde, collabora con l’Università degli Stranieri di Siena, creando corsi di formazione per docenti di L2. Si occupa di Letteratura Italiana del ’900 attraverso saggi relativi all’opera di Pirandello, D’annunzio, Quasimodo, Di Falco. Nel 2013 ha pubblicato La ricerca di una logica nel postmoderno. Tabucchi e la categoria della memoria (Morrone), per il quale ha ottenuto il Premio Capit-Roma speciale per la saggistica. Nel 2015 ha pubblicato Tabucchi dopo Tabucchi (Morrone) e nel 2016 Quaderno di Appunti (Morrone).
Per i tipi di Algra ha appena pubblicato il volume L’inquietudine allo specchio
Abbiamo incontrato Gioia Pace per rivolgerle qualche domanda su questo suo ultimo lavoro incentrato sulla letteratura di Pessoa, Pirandello, Calvino, Tabucchi e sulla musica italiana del Novecento.
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– Cara Gioia, partiamo dall’inizio. Da dove nasce l’esigenza di scrivere questo saggio?
L’esigenza di scrivere questo saggio è nata dall’idea di creare musica, infatti il libro è un canto d’amore alla mia generazione che ancora incantata nel ‘68 viveva negli anni settanta la sua formazione negli atenei ben consapevole che alla fine degli studi l’attendeva l’abilitazione o i concorsi a cattedra ma anche un lavoro sicuro. Non saprei dire se la mia generazione ha saputo costruire o ha creato anche lei le basi del degrado culturale, politico, economico esistenziale che viviamo. Però posso dire che avevamo buoni maestri e siamo cresciuti leggendo Sciascia e Bufalino e conoscendo i grandi che hanno determinato il postmoderno: Tabucchi, Eco, Consolo, Barrico e soprattutto avevamo sogni.
Pertanto l’inquietudine che indago è quella esistenziale frutto dell’incoerenza che viviamo giorno per giorno, una inquietudine che si riflette allo specchio del nostro vivere reso quotidianamente dalla negatività, dalla mancanza di certezze, dalla pesantezza. Leggi i giornali e ti imbruttisci, accendi la tivù e ti viene la malinconia per quello che vedi e ascolti, cammini fra la gente e vorresti essere altrove per la continua mancanza del bello e del buono.
Per questo ho messo in relazione l’inquietudine con la leggerezza di calviniana memoria, togliere peso al vivere che ogni giorno schiaccia il nostro esistere perché il mondo, come scrivo nel libro, ha bisogno di leggerezza come disponibilità, tolleranza, delicatezza, levità in opposizione di ciò che costituisce aggressività, prepotenza, pesantezza, disagio, impetuosità nel gesto e nel pensiero.
Questo saggio è un canto d’amore alla mia generazione, alla nostra, cresciuta con Dalla e Battisti. Una generazione, che seppur ribelle, credeva in se stessa e negli altri e nel futuro. I giovani di adesso vanno via perché non credono nei legami con gli adulti.
– Soffermiamoci un attimo sul titolo (L’inquietudine allo specchio). Che tipo di “inquietudine” è quella oggetto della tua analisi letteraria? E perché “allo specchio”?
L’inquietudine è quella esistenziale che si riflette nella letteratura che è lo specchio del tempo che viviamo. Vedi, la copertina ha quattro specchi: il primo siamo noi dentro, il secondo siamo noi di fuori, cioè come ci vede la società, mille colori, mille facce, il terzo come siamo noi in questo tempo, frantumati perché non abbiamo un maestro o un modello da vivere, infine lo specchio che riproduce l’urlo di Munch, lo stesso smarrimento di chi non sa trovare la sua strada.
– Con riferimento a quanto scrivi nella parte finale della tua introduzione, ti chiedo: esiste una relazione tra “inquietudine” e “leggerezza del vivere”?
Sì, perché l’inquietudine ti porta a cercare la leggerezza e non la pesantezza nel vivere, anzi le si rivolge contro. La pesantezza del vivere è in ogni angolo, in ogni informazione, in ogni gesto che vedi quotidianamente, in ogni frase sconnessa che senti.
– Nell’introduzione del libro sottolinei l’importanza della lettura. In un periodo storico in cui, nonostante gli “sforzi divulgativi” profusi, il numero dei lettori di libri tende comunque a ridursi, quale potrebbe essere a tuo avviso una buona strategia per contrastare tale tendenza?
Mi chiedo spesso perché in Italia si legge poco, pur essendoci una quantità di premi e una Fiera del Libro, quella di Torino, che ha milioni di visitatori, sinceramente non saprei rispondere. Senza dubbio manca la mentalità o la moda nei giovani a leggere e poi la scuola oggi tende di più verso l’informatica e la tecnologia e poco ai laboratori di lettura creativa, forse se un calciatore o un cantante del momento dichiarasse che ama leggere nei momenti di pausa perché la lettura aiuta ad affrontare la vita, i libri avrebbero più successo.
– Pessoa, Pirandello, Calvino, Tabucchi. Perché hai scelto di prendere in considerazione, in particolare, proprio questi quattro autori?
Pessoa, Pirandello, Calvino, Tabucchi sono dei grandi, le loro opere sono dei classici e penso che nella vita almeno una volta li incontriamo vuoi a scuola, vuoi in una cena letteraria, vuoi in un cenacolo, dopo ti viene la curiosità di sapere di più e leggendo le loro opere vedi che esse sono lo specchio del nostro presente perché loro hanno capito prima di noi la differenza fra esistere ed essere.
-In che modo “opera” la loro inquietudine?
Nella scrittura, per questo sono letti e riletti: è difficile far capire il senso della vita soprattutto ai giovani che si sono allontanati dai classici, dai veri maestri per inseguire modelli discutibili vedi L’isola dei famosi dove di famoso non c‘è proprio niente, ma solo miseria venale.
– Cosa dobbiamo intendere per (cito il titolo di un capitolo del libro) “inquietudine dei confini”?
L’inquietudine dei confini è la parte che amo di più, perché corrisponde alla vita della mia generazione che è cresciuta studiando la Jugoslavia, l’URSS e il muro di Berlino e che ora non esistono e perché mi permette di parlare di un popolo che ammiro: i curdi, il capitolo è un omaggio ad un popolo fiero che non ha terra e che difende i suoi intellettuali perché finché dura la loro lingua, la loro poesia, le loro canzoni, loro sono vivi.
– Se in poche frasi dovessi spiegare in che modo e per quali ragioni letteratura e musica sono connesse… che cosa diresti?
La letteratura ha bisogno della musica, i grandi cantautori come De André, Dalla, Battisti sono entrati nelle antologie, ormai si parla di scuole, come la Scuola Siciliana, così abbiamo la scuola genovese, bolognese, romana e via dicendo. Le canzoni di Lucio Battisti sono canzoni inquiete, non sono canzoni allegre, ma sono belle e la sua musica non conosce tramonti, perché ha catturato l’anima di una generazione e l’ha consegnata alla Storia grazie alle note. Loro hanno contribuito a far vivere la poesia, che ha conosciuto e conosce, grazie a grandi parolieri, una stagione d’oro e poi ricordiamo che Dante scrisse la Divina Commedia per il popolo, affinché la cantasse.
– Qual è stata, a tuo avviso, la valenza del contributo artistico e culturale che hanno dato i grandi cantautori italiani del Novecento? E c’è il rischio che tale contributo, nel tempo, possa in qualche modo disperdersi?
I grandi cantautori del Novecento sono entrati nella letteratura a pieno titolo e spero che i colleghi non si irrigidiscano a insegnare Leopardi in quinta ma lo rileggano in quarta liceo lasciando agli studenti di conoscere il secolo che ci ha lasciato con la sua musica, la sua poesia, la sua vocazione nel sorprendere con la sperimentazione linguistica.
Questo contributo della musica alla letteratura non si disperde perché la musica è la grande compagna della vita ed è utile al male di vivere.
La musica ci strega, essa accompagna la nostra vita, ci addolcisce e i cantautori sono i nuovi modelli per attingere senso e idee per la vita. E’ vero che le canzoni adesso inneggiano a ciò che consideriamo negativo, ma se una canzonetta alla Orietta Berti può addolcire la giornata al posto di una canzone di denuncia, perché non ascoltarla, essa ha pure la sua valenza positiva, non sarà certo una canzone di De Andrè ma la Berti con la sua innocenza da provincialotta verace spesso con i suoi ritornelli sapeva addolcire l’inquietudine degli anni di piombo.
Dalla, Battisti, De Gregori, De André rimarranno sempre, perché hanno saputo armonizzare il bello in musica. Battisti non ha scritto canzoni allegre, ma belle sì, e il bello non scompare facilmente perché piace sempre.
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