La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri)“ è dedicata al romanzo “Lo chiamavano Gladiatore” di Andrea Frediani e Massimo Lugli (Newton Compton).
Due bestselleristi del romanzo storico (Andrea Frediani) e del noir (Massimo Lugli) uniscono le loro penne per dare luce a una storia particolarissima ambientata tra la Roma del I secolo d.C., sotto l’imperatore Tito e la Roma dei nostri giorni
Di seguito: il “tandem letterario” tra i due co-autori del romanzo… che ringrazio per aver aderito all’iniziativa.
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“Lo chiamavano Gladiatore“: il “tandem letterario” tra Andrea Frediani e Massimo Lugli
ANDREA: Tu hai già scritto libri a quattro mani, mentre per me era la prima volta. In cosa hai trovato differente questo lavoro rispetto ai precedenti?
MASSIMO: Scrivere un libro a quattro mani è sempre un cimento anche perché bisogna confrontarsi con uno stile, un metodo di lavoro, un’inventiva completamente diversa dalla propria. E non ti nascondo che inizialmente ero molto in soggezione dato che, come sai, sei un mio autore di culto. Ho affrontato la sfida con la mia solita caparbietà e incoscienza e credo che il risultato mi abbia premiato: la fortuna arride agli audaci. In passato avevo firmato un saggio e, successivamente, scritto un romanzo con l’ex funzionario di polizia Antonio Del Greco, mio carissimo amico da 30 anni ma in questo caso i ruoli erano ben definiti fin dall’inizio: lui ci mette esperienza e fantasia, io quel minimo di creatività che ho e le parole. Insomma: parlavamo a lungo, io scrivevo, gli mandavo il testo e facevamo insieme qualche correzione. Lo stesso metodo che sto seguendo attualmente visto che stiamo lavorando a un altro libro, il terzo della nostra collaborazione.
Per “Lo chiamavano Gladiatore” è stato completamente diverso. Dopo aver delineato a spanne la trama, ognuno di noi ha scritto un capitolo alla volta ma, fino alla conclusione, nessuno dei due ha inviato il testo all’altro. Ho letto la tua parte solamente alla conclusione e l’ho fatto con grande trepidazione. Sono rimasto incantato dalla trama e dalla prosa ma anche basito vedendo tante assonanze, tanti parallelismi di cui neanche avevamo discusso durante le nostre periodiche conversazioni. Spesso ho pensato che si fosse instaurato una sorta di collegamento telepatico.
Nella mia ignoranza, penso che sia stato un esperimento letterario assolutamente inedito perchè le vicende si intrecciano di continuo ma, al tempo stesso, restano separate e le due forme stilistiche, oltre che ai tempi narrativi, sono radicalmente differenti. Non ho mai letto una cosa del genere e, credimi, io leggo parecchio. Aggiungo una cosa: credo di essere un autore che scrive velocemente, una particolarità classica di chi, come noi due, viene dal giornalismo. Beh, in questo caso ammetto che ho fatto una gran fatica a stare al passo con te. Della serie: per quanto tu possa crederti tosto, ci sarà sempre uno più tosto di te. Ecco, io l’ho incontrato. Eppure, noir e romanzo storico sono generi letterari molto diversi. Spesso lo sono anche i lettori. I tuoi ti seguono da anni, sia come saggista che come romanziere e li immagino abbastanza tradizionalisti. Non hai avuto paura che la contaminazione potesse deluderli o addirittura allontanarli?
ANDREA: Non solo non ho avuto affatto paura, ma mi sono sentito talmente sicuro di non “uscire dal seminato” che punto a fregarti i lettori! Scherzi a parte, per quanto diversi siano i nostri stili, i contesti in cui agiscono i nostri personaggi, sono convinto che sia un romanzo omogeneo, che interesserà nella sua totalità sia i tuoi che i miei lettori, perché il registro è simile, il ritmo è simile, il pathos è simile. Per fortuna, il proliferare di serie televisive e film in costume, negli ultimi anni, ha sdoganato il genere storico dalla fiction di genere e l’ha reso più universale, fruibile anche per il grande pubblico, il che ha reso più omogenei i gusti degli utenti. Esiste un modo di raccontare la storia, oggi, che è molto più attuale di qualche decennio fa, quando le descrizioni prevalevano sull’azione. I nostri due protagonisti, poi, agiscono in un mondo di violenza e di sfide, di caduta e redenzione, di fallimento e formazione, che investe temi universali, sempre attuali. Infine, io non ho scritto sempre “romanzi storici” tout court, ma più spesso romanzi “di ambientazione storica”, ovvero romanzi “normali” ambientati in un’epoca storica lontana dalla nostra, ma anch’essi, fondamentalmente, noir e thriller. E questo è un altro elemento che ci avvicina… Ma dimmi, piuttosto: siamo due autori che mettono quasi sempre qualcosa di sé nei romanzi che scrivono. Tu cos’hai messo, stavolta, al di là dell’interesse per le arti marziali, di cui chiunque ti conosca come autore è già consapevole?
MASSIMO: Effetti, passione per le discipline da combattimento a parte, in Valerio Mattei ho voluto descrivere qualcosa che (purtroppo) mi appartiene: quella sorta di cupio dissolvi che può portare all’autodistruzione, la caduta, il lasciarsi andare a una passione divorante e impossibile, a un amore sbagliato che, fin dall’inizio, sai già che ti porterà fuori strada e da cui non potrà venire niente di bello, niente di costruttivo. Lo sai eppure non riesci a sganciarti, segui i tuoi sentimenti, per quanto folli, fino alle estreme conseguenze e, alla fine, tutto questo ti presenta un conto salatissimo. Mi è successo più volte e spero solo di aver acquisito, a quasi 63 anni, quella saggezza che mi impedirà di caderci ancora… Ma non ne sono affatto sicuro… Il corpo invecchia, la mente resta quella di un ragazzo incosciente. E adesso parliamo di Clovia. Femme fatale, dark lady di grandi appetiti e di pochi scrupoli da cui, però, in qualche modo Aurelio è affascinato. Ho trovato spesso personaggi femminili simili nei tuoi bellissimi romanzi (ribadisco di essere un lettore irriducibile di Andrea Frediani). Domanda da un milione di dollari: è un topos letterario o c’è qualcos’altro? Magari qualcun’altra? Qualcuna che esiste o è esistita nella tua vita?
ANDREA: Decisamente entrambe le cose! Sono, credo, il maggior collezionista italiano di film noir anni ‘50, quelli in cui agivano le dark ladies come la Lana Turner de Il postino suona sempre due volte, la Barbara Stanwick de La fiamma del peccato, la Rita Hayworth di Gilda… e così via. Era inevitabile che le trasferissi anche nei miei romanzi, come strumento di dannazione dei miei eroi… Ma è pur vero che ne ho incontrata almeno una anche nella vita… o me la sono cercata. E le dark ladies si dividono in due categorie: quelle consapevoli, le streghe che ammaliano un uomo per costringerlo a fare quello che vogliono, e le inconsapevoli, le sirene che sono votate all’autodistruzione e che non possono fare a meno di trascinare con sé l’uomo che ha la sventura di innamorarsi di loro…. E sai che non ho mai capito a quale delle due categorie appartenesse la mia? Forse a entrambe… Ma veniamo a te: spesso sono rimasto molto colpito dalle vicende che ho letto nei tuoi romanzi, che mi hanno appassionato come pochi altri thriller che ho letto. Mi hanno insegnato a guardare con altri occhi la realtà che mi circonda… Ma le storie più terribili che hai raccontato sono quelle che hai inventato nei tuoi romanzi, oppure la realtà che hai affrontato da cronista è stata capace di superare la fantasia?
MASSIMO: Ottima domanda: sono sicuro che la realtà batta la fantasia 10 a zero. In 40 anni di cronaca nera ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare… Scherzi a parte, credo che la mia esperienza di cronista di strada mi abbia permesso di raccogliere esperienze e materiale che potrebbe bastare per 50 libri. Alcune sul filo del sovrannaturale come la mamma che sogna il figlio morto che le dice: vengo a prendere mio fratello perchè mi sento solo. La mattina dopo il bambino (due mesi) è morto senza alcuna causa apparente. Credimi, l’ho vista e vissuta di persona, i poliziotti piangevano di dolore e costernazione. Molti dei miei romanzi prendono spunto dalla realtà, una realtà così incredibile che se la proponessi come trama al nostro amato editore mi consiglierebbe di cambiare spacciatore di sicuro. La collaborazione con Del Greco nasce proprio da questo: rielaboriamo in forma di romanzo vicende come il Canaro o la fantastica storia del colpo da 30 miliardi a Marbella, nel 1984 e le trasformiamo in fiction letteraria. Perchè inventarsi una trama se ne hai tante belle e pronte a disposizione? E ora una domanda più tecnica per te: come decidi in quale periodo dell’Antica Roma o di altre fasi storiche ambientare i tuoi romanzi? E ne aggiungo un’altra: c’è qualche personaggio storico che ti affascina particolarmente? La saga dei Cesariani, a mio parere, aveva una forte componente emotiva. Ho capito che per una volta ti eri schierato. E’ vero?
ANDREA: Tu sai bene che il nostro editore, che il cielo lo benedica per la sua lungimiranza, fiuta spesso il vento e ci fornisce un input… Ma altre volte mi sento “chiamato” da una storia o da un personaggio che voglio assolutamente raccontare a tutti, per trasmetterne il fascino. Per esempio, il mio prossimo romanzo, La spia dei Borgia, in uscita a fine aprile, sarà ambientato nella Roma rinascimentale perché c’era un cold case molto celebre, visto anche in serie televisive, di cui volevo dare la mia versione… Sono attirato, in particolar modo, dai periodi di passaggio e di declino, in cui tutto è confuso, il che offre notevoli spunti per creare o approfondire la psicologia di personaggi ambiziosi e tormentati. Mi attira scoprire le motivazioni che hanno alimentato le imprese dei personaggi che hanno cambiato la storia del mondo, da Cesare ad Augusto, a Costantino. Nel caso della saga de Gli invincibili, mi attirava l’idea di descrivere come un ragazzino malaticcio e vigliacco come Ottaviano poi Augusto sia riuscito in 15 anni a sgominare un’agguerrita concorrenza e a creare un impero che, nonostante tutti gli incapaci che gli si sono succeduti, è rimasto in piedi per un altro millennio e mezzo. E se mi sono un po’ schierato, è perché se non fossero stati i cesariani a vincere, di sicuro Roma sarebbe implosa definitivamente, dopo tanti anni di guerre civili, e ora non staremmo qui a parlare della sua straordinaria civiltà. Ma tu piuttosto: cosa stai preparando? Dopo tanti romanzi tratti dalle tue esperienze di vita e di lavoro, non ti viene mai la voglia di scrivere qualcosa di totalmente diverso? Che so, un legal thriller, un romanzo rosa, uno di fantapolitica, di fantascienza, fantasy, intimista, perfino storico, e chi più ne ha più ne metta… Io talvolta ne sentirei la necessità, anche come sfida personale, anche se non è detto che il nostro editore sia d’accordo…
MASSIMO: Parte della tua ultima risposta la immaginavo. Quando si segue un autore per anni si finisce per entrarci in sintonia. Quanto al mio povero lavoro, sto scrivendo, proprio con Del Greco, una storia che parte da un clamoroso furto in un caveau (quello a Marbella di cui parlavo prima) ma tenta di ricostruire quel convulso periodo della nostra storia recente che abbraccia terrorismo, ascesa e caduta (a proposito di quello che dicevi prima) della Gang della Magliana e il formarsi della malavita autoctona di Ostia. Ci riusciremo, inshallah? L’essenziale è che il lavoro ci sta appassionando. Per me, come per te, scrivere è soprattutto un’esigenza dello spirito. E, sì, capita che voglia cambiare genere. Ho una vera fissa per la battaglia di Crecy, 24 agosto 1346, la prima volta che un esercito plebeo di arcieri sbaraglia l’invincibile cavalleria francese composta dal fiore della nobiltà. Da polemologo quale sei sai bene di cosa sto parlando. Il romanzo storico è il mio genere preferito ma mi sento totalmente impreparato ad affrontarlo. Non riesco a capire come riusciate ad unire ricerca, inventiva, documentazione e fantasia. Beati voi. Comunque, visto che quell’episodio mi ossessiona da quando avevo 16 anni ci ho ambientato un racconto, “L’ultima freccia” che è uscito su una rivista letteraria. Meglio che niente. Confesso, come in una seduta di psicoanalisi, che sogno di scrivere un romanzo d’amore… ma sotto falso nome. Scrivo anche stornelli e versi in romanesco che tengo per me… Ora a te: hai due grandi passioni nella vita, letteratura e batteria. Visto che in entrambe sei bravissimo (ti ho sentito suonare e non è piaggeria) come riesci a conciliarle visto che entrambe richiedono impegno, dedizione, emozioni e un sacco di lavoro? Facciamo un gioco: se dovessi rinunciare a una delle due cose per l’altra quale sceglieresti?
ANDREA: E’ vero, io sono queste due cose, storia e musica, scrittura e batteria: due passioni tali che non mi limito a esserne fruitore passivo, ma anche artefice attivo. Vedo ancora tanti concerti dei miei gruppi preferiti e compro una mole inimmaginabile di cd, ma amo anche suonare e fare concerti io stesso. Così come, per la storia, amavo a tal punto leggerla che ho iniziato a scriverne. Non ricordo più neanche quale passione sia nata prima, ma sono assolutamente consapevole che, se nella scrittura un certo talento ce l’ho, nella batteria sono solo un onesto mestierante. E poiché mi piace stare a casa tra le mie passioni, scrivere sarebbe la scelta più spontanea… con una batteria accanto, anzi sei, che sono quelle che mi circondano nel mio studio quando scrivo, con la musica costante di sottofondo e la tv in mute sintonizzata su sci o tennis, i due sport che ho praticato e pratico con quasi altrettanta passione… A proposito… Dico sempre che se si prendono 100 scrittori, avranno 100 modi diversi di lavorare ai loro testi. Ho appena descritto il mio. Il tuo qual è?
MASSIMO: In genere un non metodo. Un grande scrittore diceva: le prime tre righe sono un dono degli Dei, il resto devi inventartelo tu. Io non faccio scalette ne elenchi dei personaggi. Ho una vaga idea dell’inizio e della fine di un romanzo, mi siedo al pc e lascio che venga fuori da solo. Spesso tutto prende una piega che, inizialmente, non avevo neanche immaginato. Per finire il primo romanzo ho impiegato 5 anni, il secondo uno e adesso la media è quattro o cinque mesi, segno che almeno in velocità sono migliorato. Ma sono estremamente rigoroso nella disciplina: almeno due ore al giorno di lavoro con pochissime eccezioni, una costanza che sicuramente mi viene dalla pratica quotidiana del Tai Ki Kung. Scrivere a quattro mani è stata un’esperienza innovativa, in questo senso, perchè mi ha costretto, per forza di cose, ha essere più organizzato, più ordinato e delineare, anche per sommi casi, il seguito di ogni capitolo per rapportarmi a un altro autore. Ho un’ultima curiosità e riguarda anche me. Pensi che si possa scrivere per tutta la vita? Ci sarà un momento in cui uno capisce che ha dato tutto quello che aveva dentro ed è ora di attaccare il pc al chiodo e ritirarsi? Io me lo domando spesso e grazie a Dio mi sento ancora lontano ma… Che ne dici?
ANDREA: Ho sentito parlare tante volte del blocco dello scrittore e ho conosciuto anche qualcuno che lo ha vissuto. Io, francamente, non l’ho ancora avuto. Anzi, più scrivo e più idee mi vengono; più scrivo e più mi viene facile scrivere; più scrivo, più si trasforma nella mia attività preferita. Ci sono delle volte in cui, pur stanco dopo una giornata di lavoro, la sera preferisco scrivere piuttosto che, per esempio, vedermi una serie televisiva o uscire, semplicemente perché quell’atmosfera, me al computer con la musica di sottofondo, nella penombra, circondato dalle mie passioni, è ciò che preferisco… Se e quando mi verrà il blocco dello scrittore, mi porrò il problema. Ma non credo che mi sentirò mai appagato: forse un giorno lontano mi troveranno riverso con la testa sul tavolo, senza vita, le bacchette per terra, la musica e la tv accese… e un testo lasciato a metà sullo schermo del computer. Nel caso dovesse accadere, ti pregherei di terminarlo tu!
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“Lo chiamavano Gladiatore” di Andrea Frediani e Massimo Lugli (Newton Compton)
Andrea Frediani e Massimo Lugli, due maestri della narrazione, firmano insieme un romanzo che lega inscindibilmente il destino dei due protagonisti, a distanza di duemila anni.
Roma, I secolo d.C., sotto l’imperatore Tito. Aurelio fa fallire l’impresa che gli ha lasciato il padre e, minacciato dagli strozzini, è costretto a farsi schiavo per i troppi debiti. Finisce così in una scuola di gladiatori: ha talento nell’arena, ma deve fronteggiare la rivalità dei compagni. Un aiuto gli arriva da Clovia, una donna senza scrupoli che, grazie a un misterioso unguento, ha trovato il modo per potenziare le doti atletiche dei combattenti su cui scommette.
Roma, giorni nostri. Valerio si è innamorato di una prostituta ed è determinato a liberarla dai suoi protettori. Da quando è finito sul lastrico, rovinato dal suo socio in affari, però, non ha più un soldo e l’unica sua fonte di guadagno sono i combattimenti clandestini di arti marziali. Per sopravvivere in quel mondo spietato, sarà costretto a ricorrere a soluzioni più estreme.
E questo, per quanto strano possa apparire, legherà il destino di Valerio a quello di Aurelio, vissuto duemila anni prima.
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Andrea Frediani è nato a Roma nel 1963; consulente scientifico della rivista «Focus Wars», ha collaborato con numerose riviste specializzate. Con la Newton Compton ha pubblicato diversi saggi (tra cui Le grandi battaglie di Roma antica; I grandi generali di Roma antica; I grandi condottieri che hanno cambiato la storia; Le grandi battaglie di Alessandro Magno; L’ultima battaglia dell’impero romano, Le grandi battaglie tra Greci e Romani, Le grandi battaglie del Medioevo, La storia del mondo in 1001 battaglie) e romanzi storici: Jerusalem; Un eroe per l’impero romano; la trilogia Dictator (L’ombra di Cesare, Il nemico di Cesare e Il trionfo di Cesare, quest’ultimo vincitore del Premio Selezione Bancarella 2011); Marathon; La dinastia; Il tiranno di Roma; 300 guerrieri, 300. Nascita di un impero e I 300 di Roma. Ha firmato la serie Gli invincibili, una quadrilogia dedicata ad Augusto (Alla conquista del potere, La battaglia della vendetta, Guerra sui mari, Sfida per l’impero). L’ultimo pretoriano e L’ultimo Cesare inaugurano la serie Roma Caput Mundi. Il romanzo del nuovo impero, incentrata sulla controversa figura di Costantino. Le sue opere sono state tradotte in sette lingue. Il suo sito è www.andreafrediani.it
Massimo Lugli, Giornalista di «la Repubblica», si è occupato di cronaca nera come inviato speciale per 40 anni. Ha scritto Roma Maledetta e per la Newton Compton La legge di Lupo solitario, L’Istinto del Lupo, finalista al Premio Strega, Il Carezzevole, L’adepto, Il guardiano, Gioco perverso, Ossessione proibita, La strada dei delitti, Nelmondodimezzo. Il romanzo di Mafia capitale, Stazione omicidi. Vittima numero 1, Vittima numero 2 e Vittima numero 3, e nella collana LIVE La lama del rasoio. Suoi racconti sono contenuti nelle antologie Estate in giallo, Giallo Natale, Delitti di Ferragosto, Delitti di Capodanno e Delitti in vacanza. Cintura nera di karate e istruttore di tai ki kung, pratica fin da bambino le arti marziali di cui parla nei suoi romanzi.
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