La nuova puntata di Letteratitudine Cinema è dedicata al film “L’ora legale” di Ficarra e Picone (dal 19 gennaio al cinema).
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L’ora legale
di Salvo Ficarra e Valentino Picone
con Salvo Ficarra, Valentino Picone, Leo Gullotta, Tony Sperandeo, Vincenzo Amato, Eleonora De Luca, Ersilia Lombardo, Alessia D’Anna, Antonio Catania, Sergio Friscia, Alessandro Roja, Angelo Tosto.
Recensione di Ornella Sgroi
La verità è che non abbiamo più scuse. Perché se l’Italia va a rotoli è colpa di tutti. Nessuno escluso, se almeno una volta abbiamo posteggiato l’auto in seconda fila o scavalcato una coda facendo i furbi.
Ma come fare capire agli italiani che è troppo facile puntare il dito sempre e solo contro chi governa e che invece è arrivata l’ora di fare i conti anche con il nostro senso civico e la nostra integrità?
“L’ora legale”, verrebbe da dire. Portando avanti le lancette dell’orologio e proiettandoci in un futuro prossimo venturo in cui un nuovo sindaco, portatore sano di onestà, cercherà finalmente di fare rispettare le regole del vivere comune e del buon senso, inimicandosi però l’intero paese che lo ha votato in nome del cambiamento.
Un sogno ad occhi aperti, forse. Di sicuro, un’intuizione geniale per la nuova commedia, acuta e tagliente, diretta e interpretata da Salvo Ficarra e Valentino Picone che, insieme ad Edoardo De Angelis, Nicola Guaglianone e Fabrizio Testini, hanno scritto un film corale in cui si ritrovano – dopo varie peripezie, tra minacce e sabotaggi – a guidare la rivolta dei concittadini, prete compreso, incapaci di adattarsi all’inusuale ondata di legalità.
Eccolo, dunque, il grande paradosso della contemporaneità: un mondo che va alla rovescia, in senso opposto e contrario a quello in cui sarebbe giusto e logico che andasse. Un mondo in cui è l’onestà ad essere il cancro da estirpare, mentre la furbetteria e il tornacontismo regnano sovrani, radici e nutrimento di corruzione e criminalità. Tra imboscati, lavativi, raccomandati, che saccheggiano il presente e il futuro di chi vuole vivere invece da persona perbene.
Di tutto questo materiale umano e sociale offerto dalla vita vera, di ogni giorno, Salvo Ficarra e Valentino Picone fanno sapiente uso, mettendo a segno una commedia fulminante, divertentissima ma anche molto amara, come la realtà che ci circonda.
Con “L’ora legale” i due registi dimostrano, infatti, di avere coltivato nel tempo una passione ed un talento non comuni, maturando uno sguardo curioso, autentico e raffinato sulla realtà e sul cinema. Senza mai smettere di guardare con affetto l’essere umano, anche nelle sue piccolezze, tanto da spingersi a metterlo alla prova e, se necessario, in difficoltà. Anche con una certa dose di cattiveria, quando serve.
Fanno così con i loro personaggi e fanno così con gli spettatori, travolti dal ritmo serrato della commedia (complice l’ottimo montaggio di Claudio Di Mauro) e al contempo spiazzati dal senso del racconto, che invita all’autocritica e alla riflessione in mezzo ad una raffica di battute talmente brillanti da non poterle immaginare diversamente.
La verità, dicevamo, è che non ci sono più scuse. Dunque, non si può più votare un politico senza chiedersi perché. E non si può più accettare che un Paese in crisi come l’Italia non possa permettersi l’onestà. Che va pretesa dai cittadini, ancora prima che dai politici.
Insomma, guardano lontano Salvo Ficarra e Valentino Picone. Indietro, alla grande tradizione della commedia italiana che, tra Monicelli e Totò, non temeva di mischiare riso e amaro. Di fianco, ai grandi film omaggiati con citazioni e rimandi. In avanti, al futuro di un cinema sociale che può tornare a divertire parlando di cose serie ed importanti. Curandosi anche della bellezza del mezzo cinematografico. Perché “L’ora legale” non è solo divertente e sagace, ma è anche curato nei dettagli, a partire dalla fotografia di Ferran Paredes che cala nella realtà la storia del sindaco reo di troppa integrità in una comunità di svitati capeggiati da Salvo e Valentino, per finire al cast corale (100 ruoli parlanti e più di 400 comparse) composto da attori di prima scelta che i due registi sono andati ancora una volta a precettare tra le file del migliore teatro siciliano. Anche per i ruoli minori, che in verità non esistono all’interno di questo film, in cui Ficarra e Picone – da sempre attenti e rispettosi del lavoro degli altri comici – dimostrano di essere bravi anche a dirigere gli attori, riservando per sé uno spazio quasi ridotto, in cui bucano lo schermo ogni volta che appaiono, con presenza esplosiva e tempi comici perfetti.
Lavorando molto con gli attori sul set, i due registi riescono così a dare colore e calore ad ogni singolo personaggio, schierato in campo da una sceneggiatura che si prende cura di ognuno di loro. Accompagnandoli tutti verso un finale solido che ammutolisce, amaramente pungente come già in “Andiamo a quel paese” in quel colloquio con «la vera politica che non muore mai» (neanche quando è dentro una bara) evidente scintilla di un nuovo bisogno artistico che i due autori hanno avuto il coraggio di assecondare ed esplorare con “L’ora legale”. Raggiungendo un risultato eccellente, creativo e sottile, senza mai tradire la verve comica di cui sono maestri indiscussi. Con il loro garbo sferzante, che in questo sesto film (uno da sceneggiatori e altri quattro anche da registi) regala momenti esilaranti e altri stranianti. Un tocco che ha da sempre vestito un sottotesto fortemente politico in (quasi) tutti i loro film, con intuizione comica e civile. Dalle collusioni tra mafia e istituzioni (la raccomandazione al concorso in “Nati stanchi”) alle differenti chance che la vita può offrire (come ne “Il 7 e l’8”). Fino ai matrimoni di convenienza, per questioni di cittadinanza (“La matassa”) o per motivi economico/pensionistici (“Andiamo a quel paese”). Per non parlare poi dell’irriverenza spietata nei confronti dei boss.
Ad essere oggetto di analisi in questa nuova commedia amara è la democrazia, cantata anche nell’omonima canzone di Arisa che segna il battito de “L’ora legale” tra le musiche di Carlo Crivelli. Quella democrazia che prescinde da ogni colore politico – inutile cercare ad ogni costo di attaccare un’etichetta al film, che sfoggia invece tutta la sua libertà – e su cui sarebbe bene non dovere arrivare mai a portare indietro le lancette dell’orologio. Giusto per onorare l’efficace metafora che regge l’architettura del film, in cui le convenzioni temporali diventano emblema dei danni che l’uomo può fare. Prima di tutto a se stesso.
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