Luca Parmitano, Luca Perri, Leo Ortolani, Emilio Cozzi animano l’evento in calendario per LGC2022 “Hope” *La Luna è una severa maestra. Basta fare i bravi*.
La Luna è una maestra severa… almeno per tre persone su quattro
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(Lucca, 28/10/2022 – Auditorium Chiesa del Suffragio, ore 18:30)
dal nostro inviato, Furio Detti
Spazio, divulgazione, geologi e scienza: il frizzantissimo terzetto Perri (divulgatore scientifico), Cozzi (giornalista e autore) e Ortolani, aka Leo, fumettista autore di Rat Man (nonché geologo), presentano in straordinaria diretta da Houston – e non è una gag -, il Capitano istruttore astronauta Luca Parmitano, primo Comandante Italiano della Stazione Spaziale Internazionale, primo italiano in “passeggiata spaziale” e in forza all’Agenzia Spaziale Europea (acronimo in inglese ESA) per parlare della Missione congiunta Artemis che ambisce a riportare dopo praticamente cinquant’anni l’uomo sulla Luna.
In diretta via VOIP c’è Parmitano, il quarto uomo, in addestramento presso il *Mission Control Center * di Houston, Houston (US-TX), annuncia dalla *Mission Control Room* del medesimo centro aerospaziale una defezione prevista: «Mentre questa diretta va in onda, oggi stesso avrebbe dovuto essere già in volo la nave Oraion, diretta verso la luna. Purtroppo il lancio è stato rinviato e avrà forse luogo il prossimo 14 novembre alle sette del mattino.»
D.-**Perché stiamo tornando sulla luna dopo 50 anni e perché dobbiamo tornarci adesso?**
Questa è la domanda che Emilio Cozzi rivolge al Capitano Parmitano. Il quale sostiene che dovremmo piuttosto chiederci come mai abbiamo aspettato così tanto a lungo per tornare sul nostro satellite. La Luna è sempre rimasta al centro delle nostre osservazioni e studi, prima, durante e soprattutto dopo le sole occasioni di allunaggio di esseri umani a partire dalla missione Apolllo 11 del 20 luglio 1969 fino al 1972 con l’ultima passeggiata lunare dell’equipaggio Apollo 14. L’interesse scientifico è orientato al futuro in ottica di sfruttamento delle risorse e messa a punto delle scoperte e sperimentazioni scientifico-tecnologiche, e anche in termini di semplice esplorazione. Il sottosuolo e i poli sono inesplorati, e diverrà strategico scoprire in che modo potremo sfruttare le risorse presenti *in situ*. Sicuramente – aggiunge Parmitano -, nei prossimi anni ci sarà quindi un grosso sforzo per tornare sulla luna proprio per le ragioni che vi ho accennato.
Il divulgatore Luca Perri riprende il discorso lanciato dal “Luca importante prima di me”: lo scopo è fare scienza. Per me in particolare questo è l’argomento principale. Certo gli astronauti – in tutto dodici – che allunarono non erano scienziati in senso stretto, tranne uno che era geologo [tutti guardano Ortolani!]. In generale non erano persone di scienza, disciplina che allora era forse relegata in un secondo piano. Ora abbiamo urgenze differenti: soprattutto abbiamo la necessità di una comunicazione scientifica e divulgativa che stimoli le nuove generazioni.
Cozzi, in qualità di moderatore, chiama in causa Leo:
«Perché secondo te torniamo sulla luna?»
Leo Ortolani: – «Eh, dipende cosa abbiamo dimenticato? Un sacco di sacchi di cacca e credo l’ombrello, quello era importante.»
Dopo la battuta Leo insiste sui limiti della tecnologia dell’epoca rispetto alle possibilità odierne, come a esempio il motore *Space Launch System* in dotazione alla nave Oraion. Oltretutto “Oraion” era il nome di un film di fantascienza degli anni ’60. Adesso che possiamo, torniamoci. Sulla lunga distanza stiamo già guardando a Marte, quindi la Luna, tecnicamente ci pare più vicina. Tra l’altro stanno ridando su RaiTeca Spazio 1999, altra celebre serie televisiva…
Cozzi rintuzza Ortolani: «In *Luna 2069* hai ipotizzato che ci sarebbero stati voli commerciali e orbitali turistici nel Sistema Solare e hai immaginato pure l’allunaggio dell’astronauta Fortunato per primo a ri-allunare. Neanche un anno dopo, la cronaca ha confermato la fattibilità di simili prospettive. Se tanto ci dà tanto?» e domanda a Parmitano: «Poche settimane fa il direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea, Joseph Aschbacker ha confermato che in tre Missioni Artemis ci sarà la collaborazione della ESA e di tre astronauti, classe 2009, su sette selezionati in precedenza. Fra questi nomi ci sono proprio Parmitano e Samantha Cristoforetti. Luca, pensi mai alla realistica possibilità di andare sulla luna e a cosa pensi, mentre ci pensi (sembro Marzullo…)?»
Parmitano: – «Allora, è chiaro che ci penso e mi richiederei ‘Quand’è che non ci penso?’ Del resto è parte del mio lavoro e tale idea assorbe gran parte del mio tempo professionale. Al momento sono l’unico pilota sperimentatore in forza all’ESA, quindi questa ipotesi riguarda anche un ruolo di supporto. Inclusa la possibilità di lavorare all’astronave Oraion riguardo all’interfaccia uomo-macchina che è una delle mie specialità. Quindi questa prospettiva è reale e ben presente. Tutti ci chiediamo in che modo possiamo contribuire alle missioni lunari, abbiamo un vulcanologo in squadra e la sua conoscenza dei fenomeni geofisici è imbattibile; abbiamo un dottore in Scienza dei Materiali, che oltretutto prenderà la guida del simulatore lunare al centro spaziale europeo di Colonia. Altri astronauti aggiungono il loro bagaglio di esperienza. Io come molti dei miei colleghi ho 46 anni e sono ancora abbastanza giovane per sognare di prendere parte nei prossimi dieci anni a questo ritorno in missione sul nostro satellite. D’altro canto posso confermare per esperienza che nel nostro campo avere fretta non paga e avere aspettative paga ancora meno. Ognuno di noi vorrebbe vedere Artemis volare e da lì vorremmo cominciare un percorso molto intenso di prove per portare finalmente gli astronauti di Oraion sulla luna nell’arco di due anni. Ognuno di noi si sta preparando a essere utile in tutti i modi possibili.»
Leo Ortolani conferma: «Quando ho lavorato ai fumetti “spaziali” con Luca, come per Paolo Nespoli, ho immaginato come sarebbe stata un’ipotesi di avventura nello spazio. Lì ci ho messo del mio, a differenza di Spazio 1999 dove esisteva un campo di forza protettivo, avevo ipotizzato che la base fosse semovente per evitare l’impatto dei meteoriti. Tutta la storia si basava su quanto all’epoca fosse possibile. Qualcosa ho intuito…Se dovessi rifare una cosa del genere dovrei rimettermi a studiare.»
Cozzi chiede a Perri se non sia cambiato il clima e l’orientamento del grande pubblico in peggio, con un ritorno di atteggiamenti antiscientifici.
Perri: – «Beh, parlare di programmi spaziali ha sempre senso, ma io sono di parte. Ha senso parlarne e spiegare come la precedente era delle esplorazioni spaziali abbia modificato le nostre vite. Ora lasciando perdere chi non crede all’allunaggio umano [Qui, con poco opportuna e felice ironia, va detto, Cozzi interrompe e chiede se ci siano scettici in sala… “Nel caso mettetevi coi terrapiattisti”], anche chi crede che siamo stati sulla luna si domanda perché fosse necessario andarci e perché non ci siamo già tornati. Sui social, col rimando del lancio della Prima Missione Artemis, sono emersi commenti ostili. Per questo e proprio per ispirare nuove generazioni ha senso parlarne. Credo, è un’idea mia, che chi come Luca fa l’astronauta sia destinato a tornare sulla Terra con una nuova consapevolezza anche perché non è che stiamo trattando il nostro pianeta nel migliore dei modi. Vedere letteralmente nuovi orizzonti e narrare una nuova epoca delle esplorazioni spaziali fa capire di cosa sia capace l’umanità quando si mette in testa di cooperare pacificamente e quanto siamo fortunati a vivere su un pianeta del genere. Questa è la mia speranza. Come venga percepita l’impresa, non sono sicuro che ci sia una percezione entusiasta unanime, ma sappiate che anche all’epoca che diremmo ‘d’oro’ della Corsa allo Spazio quelli che credevano all’utilità del progetto erano comunque una minoranza sul pubblico dell’epoca, almeno nei soli USA: le statistiche dicono che meno del 40% al massimo della popolazione era favorevole e solo dopo tutte le missioni Apollo la cifra era lievitata al 70%. In generale spero che ci sia sempre più gente entusiasta a riguardo, ma attualmente scommetterei con riserva su un 50% di consenso pubblico.»
L’incontro prosegue citando la ISS (*International Space Station*) come simbolo e esempio di cooperazione pacifica internazionale da più di 30 anni al progetto e da più di 20 in convivenza. Oggi però sembra di tornare all’epoca della Guerra Fredda. La domanda è ancora per Luca Parmitano: La ISS non ci sta insegnando niente?
Da Houston la voce chiara e nitida riprende: «Sai, questa è una domanda di filosofia più che tecnica. Potremmo di fatto spingerci persino a chiederci se stiamo mai imparando qualcosa dalla storia, in generale. Qui si tratta di allargare la visuale e chiederci che cosa stia succedendo e in che modo. D’altronde lo spazio è uno scacchiere non solo tecnologico e scientifico ma anche geopolitico. Il “potere spaziale”, inteso come facoltà di lanciare un oggetto in orbita o su un altro corpo celeste, è una proiezione *soft* di un potere *hard* rappresentato dalla capacità di controllare o raggiungere ambienti difficilmente accessibili all’uomo comune e di operarvi. Cosa intendo dire con queste parole? Chiaramente i sistemi, i macchinari e le tecnologie che consentono di poterlo fare non sono comuni a tutti i paesi del mondo. Inevitabilmente questo scenario si traduce in una espressione di potere. Se è vero che la ISS è un esempio unico e quasi visionario di cooperazione e esplorazione spaziale questo accade perché essa è un sistema talmente integrato da non permettere a nessuna corrente politica o geopolitica di prevalere sulle altre. Ciò va ascritto a merito, lungimiranza e coraggio dei leader che hanno concepito tale avventura, sottraendosi alle tentazioni di parte. La Stazione Spaziale Internazionale non potrebbe affatto funzionare senza la mutua cooperazione pacifica delle parti, non può operare senza i Russi, così come non può operare senza gli Statunitensi. Nasa e Roskosmos sulla ISS devono cooperare, la ISS è stata progettata appositamente a questo scopo. Oggi questo approccio è stato un po’ messo da parte proprio perché il mondo ha preso direzioni diverse che forse da questo punto di vista ci hanno portato indietro. Posso solo aggiungere che come Europei in generale e come Agenzia Spaziale Europea siamo al centro di questo scenario. Da parte nostra c’è sempre stata la volontà di aggiungere cooperazione e collaborazione alle avventure spaziali, di allargare i confini – almeno sopra l’atmosfera. Ma se dovessi dire che quello che succede sulla Terra non influenza le missioni spaziali con conseguenze a volte inaspettate, o persino irreversibili, sarei solo un ingenuo. Mi riferisco al destino di ExoMars che è tuttora in bilico, nonostante sia in progetto estremamente importante dal punto di vista scientifico, esplorativo e industriale. Questo è qualcosa che chiaramente ci delude e ci lascia profondamente indietro da quello che dovrebbe essere il futuro. Che un po’ di competizione o di dimostrazione di possibilità faccia anche bene nessuno lo mette in dubbio, esiste una componente positiva anche nella volontà di gareggiare al primato spaziale. Di fatto questo progetto Artemis comunque nasce e continua a essere un progetto internazionale destinato, spero, a aprirsi ancora di più in futuro.»
A Leo Ortolani Cozzi chiede come sia possibile far ridere con argomenti estremamente seri come la scienza o le imprese pericolose.
Leo: –
«Sono un geologo.»
[ridiamo]
«Ricordo che comunque i più grandi esperimenti di fisica si svolgono sotto il ”Gran Sasso’. In realtà è sempre possibile trattare una cosa splendida come la scienza in modo allegro. Un po’ come quando si lanciano le bombette puzzolenti, che non sono altro che chimica. La Luna del resto fa volare la fantasia, quando è piena, e essa è sempre una musa per noi artisti. Io parto da Spazio 1999, avevo nove anni nel 1976.»
Altre domande per Parmitano e Leo: non abbiamo anestetizzato il nostro senso di meraviglia?
Parmitano: – «Posso darvi due risposte? La prima è che ognuno di noi è direttamente responsabile della possibilità di restare aperto alla meraviglia. Vero è che oggi siamo bombardati di informazioni e che tutto ci viene proposto come intrattenimento irripetibile; questo è colpa anche di chi fa informazione in generale. Non tutto deve essere intrattenimento, non tutto deve essere stupefacente, non tutto deve catturare la nostra attenzione con l’occhiolino. Per quanto mi riguarda, nonostante io abbia vissuto esperienze obiettivamente uniche e straordinarie, ancora oggi non smetto di meravigliarmi anche per le cose infinitamente piccole e ordinarie. La possibilità di vedere la natura che evolve e si cambia. Ho due figlie di età adolescente, ho un contesto straordinario per allenarmi alla meraviglia. Alla bellezza, anche dell’ordinario: il cielo colorato in modo speciale, le foglie che cambiano colore, correre lungo la spiaggia vedendo Saturno, Venere e Giove sorgere contemporaneamente alla Luna; una cosa capitatami l’anno scorso che non dimenticherò mai. Io faccio uno sforzo attivo per sorprendermi o meravigliarmi e cercare di confortare quel senso di appartenenza al mondo naturale, comunque a suo modo perfetto e sempre in evoluzione. Prendiamoci la responsabilità di riuscire a sorprenderci ogni giorno per le piccole cose.
La seconda risposta è quella più normale: un programma come Artemis, una futura esplorazione spaziale tutta europea, con una nave tutta nostra e nuovi astronauti e astronauti europei con disabilità (progetto per un Para-astronauta) deve entusiasmarci necessariamente. Questo deve spingerci a sognare una carriera in questi ambiti: astronauta, avvocato specializzato in diritto internazionale, eccetera…»
Quanto c’entra la meraviglia col tuo lavoro? Cozzi chiede a Perri.
Perri: – «Tutto parte da essa. La scienza è animata dal meraviglioso. Io spero che essa ci aiuti a continuare a meravigliarsi. Io sono partito facendo divulgazione credendo di incontrare un facile riscontro, poi ho capito che devo trovare il modo di far appassionare le persone alle cose meno appassionanti dello spazio. Faccio un esempio: le immagini del James Webb Telescope sono diventate virali e famosissime, anche sui social. In generale tutti hanno mostrato ovviamente meraviglia: Wow! Io invece mi sono fatto un punto d’onore nel far capire quanto siano incredibili le immagini più ordinarie, come lo spettro che è visibile all’inizio dell’atmosfera dell’esopianeta insieme alle altre immagini. Io mi sono messo lì a spiegare a duecento studenti perché questo spettro è entusiasmante. Lì mi sono reso conto che ognuno di noi fa il lavoro che fa perché lo trova ‘di intrattenimento’, vero ma occorre pure cercare di appassionarsi anche ai grafici.»
Con l’ultimo giro di domande si accenna che il 23 novembre, a sera, saranno annunciati i nomi dei nuovi astronauti europei. Parmisano, senza voler rivelare o anticipare nulla, ritiene che ci debba essere un legittimo entusiasmo per una selezione che ha visto emergere 6 o 4 astronauti da oltre 23.000 candidature e domande (il triplo di quelle avanzate nel suo caso, 8.500, quando lui stesso è stato selezionato). Inoltre il *Para Astronaut Project* farà sì che potremo comprendere come permettere a persone sempre più diversificate di partecipare alle esplorazioni spaziali. Egli stesso in questi giorni è istruttore di robotica e attività extraveicolare per la nuova classe di astronauti USA:
«L’idea è di aiutare questi nuovi uomini e donne a essere migliori in tutto quello che io sono mai stato o possa mai essere. Non posso darvi informazioni sulla selezione: ne ho preso parte nella fase iniziale di “scrematura” e vi confermo che una simile esperienza ti insegna il valore dell’umiltà. Scegliere 3-4 persone scartando anche individui che sai essere di gran lunga più bravi di quanto tu possa essere mai stato in passato, o di avere a che fare con persone tanti capaci ti rimette coi piedi per terra proprio quando pensi di aver raggiunto chi sa quali risultati. Questo necessariamente ti fa capire che devi insegnare tutto quello che sai, ma di certo impari sempre qualcosa di straordinario da chi ti prepari a istruire. Sono certo che avremo personale di altissima qualità e dobbiamo esserne fieri come Europei. Saremo i primi a avere il progetto aperto a persone con disabilità. Attingendo anche a risorse e situazioni finora inseplorate.»
Da Houston e Lucca, per il momento, è tutto.
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