Press Cafe con Davide Soliani, game designer Ubisoft
«Perché alla fin fine, quello che dobbiamo dare in mano al giocatore è il dilemma.» (Davide Soliani)
Dentro la mente che sta dietro Mario
Come lavora un Game Designer, senza dover dire solo “Designer” Press Cafe con Davide Soliani, ideatore del gioco Mario + Rabbids Sparks of Hope per Ubisoft.
* * *
(Lucca, 28/10/2022 – Camera di Commercio, ore 16:30)
dal nostro inviato, Furio Detti
Davide Soliani, attualmente Direttore Creativo presso Ubisoft (dall’agosto 2013), ha iniziato come gamer e si è fatto da subito notare nel mondo della stampa di settore come recensore e tester di giochi. Da lì ha rapidamente “saltato il fosso” curando per diverse Software House il level design, il game design e lavorando per case come Disney e su titoli di enorme successo come Rayman e Tomb Raider, approdando a Nintendo. Adesso ha realizzato il titolo “*Mario + Rabbids Sparks of Hope*” ed è anche per questa coincidenza, forse, che lo abbiamo ospite del Press Café di LCG 2022 “Hope”.
La sua simpatia e la sua empatia con la platea dei giornalisti in sala sono travolgenti, anche perché Davide sa di condividere, come appassionato di giochi di ruolo da tavolo e videogames, un patrimonio di interessi condiviso e disporre di una community critica e attiva, in sala e fuori. Anche se, curiosamente, prima della sessione, Davide confessa di essere assente da Lucca da addirittura una ventina d’anni.
Si parte quindi da subito con le domande proprio sulla descrizione della carriera e da questa “latitanza”:
D. – Come sei arrivato a realizzare *Mario + RabbidsSparks of Hope*? Manchi da Lucca da 20 anni come ci hai appena detto. Che cosa è cambiato secondo te?
Davide Soliani – «Io ho cominciato da super-appassionato giocatore, da gamer. A differenza di molti altri ho iniziato non dal Commodore 64 ma dal Vic20, perché ‘Serviva anche per studiare’. Benché poi ovviamente non ne abbia fatto certo gran che uso a riguardo. Quando uscì il 3DO, di importazione, ero talmente appassionato di videogiochi che me lo feci regalare. Poi come console non ebbe molto successo ma all’epoca io ci credevo molto. Il mio primo gioco sul 3DO fu ‘Tetsujin’, sempre di importazione e io ne feci una guida autoprodotta superdettagliata con tanto di mappe su carta millimetrata con le posizioni dei nemici, i punti di interesse strategico,i bonus, i checkpoint di salvataggio, e ogni informazione necessaria. Spedii la guida alla rivista di settore Game Power, testata che aveva sede a Milano e che leggevo di più perché trattava Nintendo e Sega. Il caporedattore vide il materiale e mi chiamò per una chiacchierata in sede. Mi chiese se avessi voluto lavorare per loro. Così ho cominciato. Avevo già un altro lavoro, ma passando da una recensione al mese a 35 pagine per numero mi buttai sul mestiere. Fu poi durante i pranzi con i colleghi che scoprii dell’arrivo di Ubisoft a Milano. Ovviamente non potevo lasciarmi scappare questa occasione. Era il 1998-99 e mi presentai al Lead Game Designer con uno studio in Powerpoint sull’importanza tattile del titolo *Zelda. Ocarina of Time* che lo convinse. Da lì in poi ho mollato le recensioni e i giornali e sono diventato game designer. Il primo lavoro fu Rayman. Anche se prima di essere un gamer ero e sono ancora innamorato dei Giochi di Ruolo. Certo, da quando ho lasciato Milano ho perso gli amici con cui giocare… Ma masterizzare le campagne e sessioni di gioco è stata per me la vera scuola principale per entrare nel mondo del Game Design e diventare Direttore Creativo. Gestire i giochi di ruolo ti aiuta veramente tantissimo e su moltissimi aspetti diversi: conoscere le regole, sapere cosa succede in caso dubbio, di conflitto o di esiti imprevisti dell’applicazione delle stesse, dei risvolti in ogni situazione o della necessità di inventarsele quando non esistono. Fare il Dungeon Master di D&D e varie espansioni è stato fondamentale e mi ha aiutato tantissimo anche a avere un rapporto coi giocatori completamente diverso dallo schema conflittuale. Oggi con le communities di giocatori facciamo la stessa cosa: cooperiamo per divertirci sempre di più e sempre al meglio. Così ho imparato a ascoltare l’utenza e a selezionare i feedback più vitali, di cui fare tesoro. Se siamo qua a parlarne è perché i giocatori ci hanno supportato.»
D. – In base alla tua esperienza, a chi volesse iniziare una carriera creativa come la tua, quindi, torneresti a proporre il Gioco di Ruolo?
DS – «Io direi anche di più. Non solo gioco di ruolo classico ma tutti i giochi in scatola. Consiglierei anche ottimi libri sulle *game mechanics*, il migliore dei quali, una vera Bibbia secondo me, è *Game Bricks*. Ma perché ancora insistere sul gioco di ruolo? Oggi come oggi i giochi ti prendono a braccetto, ti accompagnano per mano, sono iper realistici e non c’è più spazio per la fantasia. Ovviamente io sono nato in un periodo in cui i giochi te li dovevi inventare. Con giochi come quelli di ruolo per creare un mondo intero, per immaginarlo, hai bisogno di penna, matita e del cervello tuo e dei giocatori. Questo enorme sforzo immaginativo ti attiva tutte le sinapsi possibili! Il foglio bianco e la narrazione – che è la cosa più potente del mondo, e ha la grafica più bella del mondo, la nostra fantasia -, ti allenano per forza a creare qualcosa da zero, se non altro in termini ludici. Forse hai se mai il problema opposto: a questo punto devi selezionare fra le decine di idee o soluzioni possibili, restringere il campo. Quando mi chiedono ‘Hai idee sul futuro?’ il mio problema non è averne, è contenermi per impedirmi di buttarmi a realizzare tutto quello che mi passa per la mente.»
D. – Non hai l’impressione di uno scollamento fra le figure del game designer e del giocatore. Non è forse difficile mantenere un canale di comunicazione specialmente per i grandi titoli videoludici?
DS – «Credo che la cattiva comunicazione dipenda dalla persona, dal carattere di ciascuno. Io per esempio su Twitter rispondo sempre a chiunque, amo il rapporto con i giocatori. A volte non riesci a gestire tutto; a volte si litiga. Comunque non bisogna mai perdere di vista chi gioca. Senza di loro non saremmo qua a parlarne, ripeto.»
D. Se tu potessi scegliere un nuovo genere o sistema di gioco quale sarebbe?
DS – «Si tratta di una domanda a cui non posso, per ovvie ragioni, rispondere completamente. Vi posso dire però che sicuramente sarebbe un *full action adventure*. Un genere in cui mi cimenterei con grande trasporto, ma dovrebbe avere delle meccaniche mai viste o utilizzate in precedenza.»
D.- E tipi di gioco su cui non lavoreresti mai?
DS – «I giochi simulativi o realistici di calcio. Ne farei solo se presentassero un risvolto fantastico. A meno che non mi fai fare Mario Striker… Sarà che in famiglia seguivano tutti il pallone… solo quando ero in Canada ho tifato, ai mondiali, per l’Italia, ma semplicemente perché lì tutti tifavano Francia.»
D. – Quando vi siete approcciati a Mario + Rabbids SOH, rispetto a Mario + Rabbids Kingdom Battle, in sede di ideazione del nuovo titolo, come è andata? Tutto liscio o ci sono state difficoltà? Cosa tenere di Super Mario e cosa no, per esempio?
DS – «Tutto è stato super stimolante. All’inizio eravamo in cinque designer, a Milano, in uno studio minuscolo. In un mese e mezzo ne sono usciti ben tredici giochi diversi: tra il puzzle, il casual game, il *kingdom battle* termine risparmiato persino dal marketing, certo non potevamo fare un *platform game* (Miyamoto lo fa da decenni senza perdere un colpo…), ecc… ecc… Stimolante al duecento per cento! Il problema era “come limitarsi?”, non se avevamo idee o no… Del resto il brand e il personaggio sono per natura poliedrici. La domanda era: *Che cosa fare di diverso per essere sicuri che il nostro Mario sia degno di essere giocato?* Come trovare un nuovo Mario? Abbiamo alla fine optato per un misto avventura-combattimento (*combat adventure*) a turni e Ubisoft ci ha lasciati davvero liberi di sperimentare e cercare la soluzione migliore. Abbiamo deciso di usare numerosi oggetti comici per dare humour alla storia.»
D. – Quale altro gioco esistente che non hai ideato avresti tanto voluto ideare?
DS – «Zelda. Ma devo essere sincero: lo dico da giocatore. Farlo e giocarlo sono cose molto diverse. Quale pazzo comunque rifiuterebbe l’occasione di fare quel gioco? Poi da giocatore posso dirti che mi sono chiuso in casa per quindici giorni di seguito, niente chiamate, niente famiglia, spesa per due settimane, solo per giocare a *Ocarina of Time*! Ho fatto solo quello senza alcuna distrazione.»
D.- Visto che si parla di un seguito, quale sarà la sfida per non ripetersi riguardo a Mario + Rabbids SOH e KOB?
DS – «Si parla di un seguito?
…
Riguardo al Mario di KB, in SOH la sfida più difficile è stato il fatto che avevamo cambiato troppe cose. Quindi il sistema di combattimento di KB, che è stato apprezzato da tutti, era difficile da cambiare (come abbiamo fatto) senza scatenare in qualche modo il panico. Eppure ci siamo riusciti. SOH è ancora costruito sulle fondamenta di Kingdom Battle ma è un lavoro rivoluzionario sia nel sistema di controllo diretto e nell’esplorazione del mondo di gioco.»
D. – SOH ha goduto di semplificazione nella produzione o il fatto di rivoluzionarlo vi ha invece posto di fronte a nuove complessità?
DS – «SOH è stato molto più complesso di quanto è stato realizzato prima. Il team completo invece di 150 persone ne contava più di 450. Sviluppato fra il Canada e cinque studios in giro per il mondo.»
D. – Come spiegare le differenze tra passione da gamer e lavoro come game designer? Cosa direbbe ai giovani giocatori desiderosi di affrontare una carriera come la sua?
DS – «Fuggite, sciocchi!» (cit.)
…
«Ok, io sento ancora alcuni che dicono che siamo pagati per giocare. Gli rispondo: Venite a provare. Non esiste una risposta univoca. Purtroppo non l’ho neanche. Un consiglio che darei è di investire tantissimo in letture, quelle ti aiutano tantissimo, in giochi di ruolo (non scherzavo affatto prima, a meno che uno non debba proprio fare il programmatore). Per il game design, un narrativedesign e il character design conoscere il mondo dei GdR è molto. Magari ora si può fare anche una scuola dedicata, anche online: ci sono tante proposte estere. Queste scuole hanno il merito di educare gli artisti a pensare in termini di lavoro, a strategie, applicazioni e metodi che un Liceo artistico tradizionale difficilmente ti insegna. Oggi, a differenza del mio percorso, puoi imparare in sei mesi cose che io ci ho messo sei anni a capire.»
D. – Come riesci a far capire al giornalismo di settore il lavoro che sta dietro a un videogame?
DS – «Quando sviluppiamo un gioco non ci interessano affatto queste cose. Quello che ci interessa è *sviluppare un gioco per un giocatore.* Questo è il punto fondamentale. Invogliare le persone a amare il lavoro è qualcosa che esula dal nostro compito, se mai potrebbero occuparsene gli Studios. Penso che sia più vero il contrario: è il giornalista o il divulgatore o chi parla di videogiochi che dovrebbe conoscere il più possibile l’argomento. Ora chiaramente anche i giornalisti più mainstream hanno un bagaglio di informazioni più strutturato. Intendiamoci, anche io ho scritto articoli, ero un giocatore che scriveva di giochi. Solo dopo mi si è aperto un mondo nuovo. Certo serve anche il coraggio di buttarsi. Come quando ho proposto il mio studio sul tattile a Ubisoft. Ubisoft è arrivata, mi sentivo sulla stessa lunghezza d’onda e mi sono lanciato. Non c’erano scuole, tutto vecchio stile: autodidatta. Quando cercavo casa il padrone dell’appartamento mi chiese cosa facessi. Ho risposto Game Designer tre volte prima di arrendermi e dire solo “Designer”, e allora il tipo ha capito… Oggi c’è il vantaggio di disporre di una letteratura tecnica matura, di manuali, corsi, game press. Oggi per contro chi entra nel settore è molto sveglio e veloce a imparare di quanto non fossi io stesso o qualcuno della mia generazione.»
D. – In che modo l’esperienza di Mario + Rabbids KB, decisamente esigente in termini di difficoltà, soprattutto per chi non conosceva il genere strategico a turni, vi ha influenzato nell’abbassare il grado di sfide in SOH, che ci pare molto più bilanciato?
DS – «Abbiamo proprio fatto un ragionamento diverso. In KB volevamo essere sicuri di *non* fare il classico gioco Rabbids mainstream per giovanissimi. Volevamo un gioco per giocatori. Però ti dico che comunque alla fine diversi gamer hanno avuto lamentele riguardo la difficoltà di questo titolo. Visto che è difficile accontentare tutti, ci concentriamo sempre sulla curva media del giocatore. Abbiamo investito tantissimo per SOH sul *playtesting* in modo da poter aggiustare al meglio il tiro, sempre tenendo presenti non gli estremi della curva – giocatore super e giocatore del tutto inesperto -, ma trovare un bilanciamento con un *critical path* medio e delle sfide collaterali o *side quest* che variassero dal facilissimo al molto difficile. In modo da permettere a ogni giocatore di misurarsi con un livello difficoltà sempre appagante. Puoi configurarti un percorso con eroi praticamente invincibili e ti godi la storia, specie se hai 4 anni. Vuoi avere un grado di sfida più elevato? Setta il livello difficoltà su”esigente” e tutto diventa molto più difficile. A ogni modo sono convinto che ci sarà sempre qualcuno che chiederà un gioco più arduo. Certamente il bilanciamento è uno degli argomenti più delicati in assoluto. Con undici milioni di giocatori con Mario + Rabbids KB capite che è complicato centrare ogni esigenza. In termini di meccanica, per esempio in KB avevamo il la sequenza MAT (Movimento+Attacco+Tecnica), in SOH abbiamo il MATIS (Movimento-Attacco-Sparks-Tecnica), che consente molte più possibilità,e quindi magari può intimorire un attimo; ma consente anche molte più scelte e variabilità tattica. Sotto un certo aspetto il MATIS somiglia a un gioco di carte. Cambiando tutto in continuazione spetta al giocatore intuire o capire quale “carta” giocarsi, ossia come agire nel suo turno. La scelta fra più soluzioni rende assai interessante la cosa. Perché alla fin fine, quello che dobbiamo dare in mano al giocatore è il dilemma. Se non avessimo il dilemma non ci sarebbe pensiero, e quindi gioco!»
D. – Il primo Rabbids aveva l’espansione Donkey Kong. Per SOH ci saranno DLC (Downloadable Content, ossia espansioni scaricabili)? Personaggi Ubisoft in arrivo?
DS – «Ce ne sono tre. Di DLC. Sui personaggi non posso fare rivelazioni. Un sacco di giocatori ci chiede Daisy. Alcuni vogliono Wario… A volte dobbiamo fare sacrifici. Se Ubisoft e Nintendo saranno contenti ci sarà certo la possibilità di avere un nuovo titolo e quindi più possibilità di incontrare personaggi amati, anche fra i cattivi.»
D. – La serie Super Mario è certamente dotata di trama, ma resta molto virata sul gameplay. Lasciando la parte con trama agli spinoff (pensiamo a *Mario RPG* ), crediamo che con questi ultimi titoli avete comunque influito sul comparto narrativo, o no? Avevate idea di avere effetto anche sulla narrativa del gioco?
DS – «Già in KB i giocatori ci ringraziavano per la presenza di una storia, pur semplicissima. La narrativa ci piace molto. Siamo anche un bel gruppo di italiani, fra cui Andrea Babich e Roberto Magistretti. Già alla fine di KB avevamo intenzione di creare un’avventura con un tono un po’ più epico. Quindi la narrativa diventava fondamentale. Contano sicuramente di più i personaggi speciali, nella logica open world che abbiamo adottato. Spero che sia una ventata di aria fresca. Il marketing poi ci ha cambiato alcuni nomi di toponimi e persino io mi confondo…»
D. – La serie Super Mario è certamente dotata di trama, ma resta molto virata sul gameplay. Lasciando la parte con trama agli spinoff (pensiamo a *Mario RPG* ), crediamo che con questi ultimi titoli avete comunque influito sul comparto narrativo, o no? Avevate idea di avere effetto anche sulla narrativa del gioco?
DS – «Già in KB i giocatori ci ringraziavano per la presenza di una storia, pur semplicissima. La narrativa ci piace molto. Siamo anche un bel gruppo di italiani, fra cui Andrea Babich e Roberto Magistretti. Già alla fine di KB avevamo intenzione di creare un’avventura con un tono n po’ più epico. Quindi la narrativa diventava fondamentale. Contano sicuramente di più i personaggi speciali, nella logica open world che abbiamo adottato. Spero che sia una ventata di aria fresca. Il marketing poi ci ha cambiato alcuni nomi di toponimi e persino io mi confondo…»
D. – Come hai inserito, se lo hai inserito, il caso, l’aleatorietà nel gioco? Combinare più variabili casuali insieme?
DS – «Il guscio blu! La giusta percentuale di qualcosa che come giocatore non puoi calcolare. Qulcosa che spiazzi i giocatori e li costringa a cambiare metodo o tattica. La differenza tra strategia e tattica è che la prima riguarda il lungo respiro, la seconda le scelte immediate. I super effect sono nati seguendo questo criterio. Inizialmente avevamo pensato ai fumble: tu sparavi e l’arma ti esplodeva in faccia. Ma siamo arrivati alla conclusione che sarebbe stato eccessivamente frustrante per ogni giocatore. Quanto a aumentare le incognite, come game designer credo che il caso sia bello solo quando è unico. Quando è “un caso”. Troppo conduce a un “è inutile che giochi”. Comunque un giocatore bravo continuerà a vincere anche in presenza del guscio blu che permette ogni tanto anche ai giocatori scarsi di vincere. Se rubi al giocatore bravo la progettualità nella pianificazione si arrabbia e giustamente.»
LA PRIMA DOMANDA DI LETTERATITUDINE
**Ti faccio una domanda da Dungeon Master a Dungeon Master: uno dei punti critici è la gestione delle informazioni fra chi masterizza e i giocatori, soprattutto, almeno è una mia personale priorità, per evitare quei comportamenti stereotipati al limite del metagioco o quelle reazioni compulsive un po’ troppo – diciamo -, pavloviane, oppure la perdita della sospensione fantastica, l’entrata nel cinico sfruttamento di errori o lacune nelle regole, per esempio. Nel progettare i tuoi videogiochi quanto è critico questo aspetto, per te, considerando anche il fatto che nei videogiochi il feedback e la tua correzione non possono mai essere in tempo reale?**
«Dipende anche dal tipo di gioco, secondo me. Per esempio ci sono anche dei gamer tipici anche per genere di gioco. Intanto esistono giochi talmente rigidi e strutturati che è estremamente difficile che si verifichi una situazione del genere. Certo questa cosa che dici – sfruttare un errore o anche solo un aspetto delle meccaniche per avvantaggiarsi – è molto presente nei giochi online e esiste, qui sì, il rischio che certi comportamenti divengano tossici. Ricordo un errore del vecchio World of Warhammer online era di aver incluso le collisioni fra i personaggi. Quando alcuni gamer avevano scoperto questo aspetto, si piazzavano per esempio a accalcarsi davanti a una porta o passaggio per tenere gli altri giocatori fuori dall’ambiente di gioco. Cosa di cui Warcraft ha fatto tesoro, evitando questi escamotage. Del resto online i comportamenti tossici sono frequenti. In un gioco come Mario Sparks of Hope, vuoi per la community, vuoi per altre ragioni, questo succede assai difficilmente. Ti posso però dire che dal lato game design se vediamo che esiste un margine anche minimo di *smart exploiting* lasciamo una percentuale voluta di situazioni in cui lasciamo aperti i sistemi. Siamo consapevoli che le possibilità di scoprire vantaggiosi escamotage, come per esempio una gestione creativa e astuta del sistema di game skills o avanzamenti, arricchisce e non impoverisce l’esperienza di gioco. Anzi, il gamer creativo è gratificato e si diverte pure parecchio per aver trovato una soluzione geniale per risolvere una battaglia. In pratica consideriamo questo fenomeno un problema se e quando diventa sistematico o troppo frequente; altrimenti per noi questa trovata è oro. Equivale al comportamento brillante o geniale di un giocatore di gioco di ruolo che magari escogita un’azione talmente furba e originale o scardina il canovaccio dela storia in tal modo che il Game Master spesso non vuole neanche fare il check del successo col dado. Premia anzi questa intuizione, o si gode proprio il risultato.»
D. Mario + Rabbids Kingdom Battle
**LA SECONDA DOMANDA DI LETTERATITUDINE**
**Ci interessa moltissimo il legame tra neuroscienze e videogiochi. Perché i giochi didattici o pensati per istruire o stimolare il ragionamento sono così poco dotati di appeal presso l’utenza?**
DS – «La formalità. E anche il contesto in cui agisce l’utenza. Il prodotto a cui ho lavorato che si avvicinava di più a un tipo di gioco per esempio scolastico o letterario è stato *My Secret Diary*, un gioco sul Nintendo DS pensato per ragazzine di 12-13 anni. È stato la cosa più difficile a cui io abbia lavorato in assoluto. In primo luogo perché è già molto difficile per me e altri capire cosa passa per la testa di una dodici-tredicenne; secondo perché abbiamo dovuto consultare Paolo Crepet. La sfida qui era fare di meglio di carta e penna, con un diario. Ammetto subito: non abbiamo mai battuto un diario analogico, tradizionale. Secondo me c’è da spendere tempo per capire come ragionano i ragazzi a scuola e soprattutto fuori. Secondo me i giochi pensati per fare didattica tendono a essere noiosi anche perché tendiamo a dare per scontato che un dodicenne non eserciti il pensiero complesso e analitico. Tutto l’opposto. Questo fa sì che il game design didattico sia inutilmente semplificato e sottovaluti la potenza vulcanica della mente di un dodicenne. Poi, per carità ho visto anche esempi molto creativi e stimolanti.»
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