«Il vostro Amichevole Artista di Quartiere»
Press Café con John Romita Jr. I Queens, New York, e il Peter Parker che è in ciascuno di noi
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(Lucca, 28 ottobre 2022, ore 14:30)
dal nostro inviato, Furio Detti
Palazzo Arnolfini: è un pomeriggio di sole che mai avremmo immaginato diventare un’ora intera di confidenze con John Romita Jr., matita storica Marvel (e persino DC) e la stampa intervenuta a Lucca Comics 2022.
L’artista entra in sala con tutto l’allegro ottimismo di un newyorkese doc. Il suo nome non ha bisogno di presentazioni: artista di punta decennale presso la Marvel, dopo un’incursione in DC Comics per realizzare il “suo” Superman, rientra in Marvel e continua a realizzare le storie dell’Uomo Ragno, di Daredevil, del Punitore, gli X-Men e altri supereroi. Subito è sottoposto a un fuoco di fila di domande.
Domanda – **Spiderman, il suo, come è cambiato nel corso degli anni?**
John Romita Jr. – «Per me, la cosa più importante a riguardo è mantenere Spiderman un personaggio estremamente reale. Per me Spiderman è uno di famiglia. Quando ero piccolo mio padre mi portava a vedere il palazzo vero in cui immaginava vivesse Peter Parker. E io da sempre ho voluto mantenere questa sorta di realtà ancorata al personaggio. È Stan Lee che ha creato Spiderman, ma lo ha creato come una specie di antitesi di Superman. Superman era perfetto. Peter Parker è un ragazzo che è stato picchiato, il suo costume si è ristretto in lavanderia, Zia May gli urlava contro e lo sgridava esattamente come succedeva in casa mia, a noi in famiglia. Spidermen è qualcosa di assolutamente reale. Io ricorso, per esempio quando ero piccolo, mi capitava di combinare qualche disastro, come rompere qualcosa. Mia madre mi sgridava e papà lo disegnava. Faceva diventare tutte queste piccole vicende parte della vita di Peter Parker. Per me questo rappresentava il massimo del coinvolgimento. Stan Lee insisteva molto sul fatto che se si manteneva un corretto equilibrio fra la realtà e la fantasia, il risultato non poteva che essere una storia che funziona coi lettori.»
D. **Quanto c’è di italiano in Spiderman, se c’è?**
JRJ – «Dove sono nato, si somigliano tutti, nella loro incredibile diversità. New York è un luogo multiculturale: ci sono italiani, ispanici, asiatici e io ho amici delle più svariate etnie. Io mi diverto molto a inserire come sfondo alle avventure di Spiderman la vita quotidiana delle persone che conosco. Per esempio mi diverto a far distruggere, nelle avventure che disegno e nel corso degli scontri dell’Uomo Ragno coi suoi nemici, i negozi di molti conoscenti. E queste persone si divertono tantissimo a prendere parte a questa mia fantasia. Prendiamo un altro esempio. Uno dei miei più cari amici, Anthony Cirino, faceva il pugile e aveva tutti i tratti tipici della sua categoria: il naso rotto, ammaccature… tutte cose che ho trasferito nel Punitore. Il mio Punisher è uno che ha sofferto nella vita, che ha preso un mucchio di legnate addosso e in faccia, come il mio amico. Questo è il motivo per cui anche Spiderman è reale, nel suo essere opposto a Superman.»
D. – Ti sentivi “destinato” a disegnare Spiderman o avresti voluto fare altro nella vita?
JRJ – «Dipingere. Avrei tanto voluto dipingere, come mio padre. Lui si è guadagnato da vivere come fumettista, ma io penso che fosse uno dei migliori pittori in giro, l’artista più brillante che io abbia mai conosciuto. Era lì il suo grande talento. Se dovessi andare un giorno in pensione dalle scadenze, dipingerei. Vorrei proprio, potendo, fare il contrario di mio padre: essere un pittore e, ogni tanto, fare fumetti.»
D. – Sei noto per essere un artista molto umile e anche il “peggior critico” di te stesso, tranne che per *The Man without Fear*, che è il lavoro di cui vai più fiero. Cosa c’è di così speciale in questa opera, per te?
JRJ – «Daredevil è un grandissimo personaggio. Forse il primo personaggio che ho disegnato prima di Spiderman. Lavorare a questo personaggio, newyorkese anche lui, estremamente reale con Frank Miller, che mi aveva concesso tantissimo spazio per fare quello che volevo, permettendomi di realizzare qualcosa di veramente grandioso. Poi è arrivato Al Williamson, uno dei più grandi illustratori e ha sistemato tutto. Mio padre sistemava le cose, Al Williamson sistemava tutto e io sono un grande grazie a loro due!»
D. – New York è andata incontro a una pesante gentrificazione negli ultimi anni, molti di quei quartieri, quelli in cui è nato Spiderman sono cambiati in maniera molto radicale. Cosa è rimasto di quel mondo e oggi da quale quartiere di New York potrebbe nascere Spiderman?
JRJ – «Ottima domanda. Non voglio addentrarmi in discussioni politiche, ma quello che succede oggi a New York è terribile e disgustoso. New York oggi è perfetta per i supereroi, perché ha un tasso di criminalità altissimo. Probabilmente neanche Spiderman potrebbe farci nulla! A oggi ho amici che sono poliziotti, pompieri: loro sono supereroi. Loro sostengono la vita della città. Loro ci danno speranza che qualcosa possa essere fatto per New York. Ottima domanda.»
D. – Come è stato per te il passaggio da Marvel a DC Comics? E come è stato lavorare su Superman, personaggio appunto che abbiamo detto come antitetico all’Uomo Ragno?
JRJ – Chiedo scusa, ma non ricordo cosa è successo [ride].
D. – Conosce il fumetto italiano? Le piacerebbe lavorare a un progetto italiano?
JRJ – Mi piacerebbe molto lavorare con l’Italia, anche per via delle mie origini. Ma fare qualcosa sarebbe complicato. Se si potesse fare qualcosa, mantenendo una buona traduzione e una versione buona anche per gli Stati Uniti, sarei felice.
D. – C’è qualche personaggio, qualche storia, a cui ti sarebbe piaciuto dedicarti ma non hai ancora avuto occasione?
JRJ – «Qualcosa succederà presto, ma ho promesso di tenere la bocca chiusa. Capirete, sono pur sempre siciliano… Si tratta di cose e persone della mia infanzia, il vicinato e gli amici, sono immagini della mia infanzia che ho adattato al mio immaginario. Se da ragazzino facevo qualcosa di stupido come rompere una finestra, questo può diventare qualcosa di supereroisticamente stupido come distruggere un palazzo. Se riesco a mantenere tutto appena al di sotto della sciocchezza, si può fare.»
D. – Il suo debutto è la storia “Caos al Coffee Bean” [“Chaos at the Coffee Bean!” in The Amazing Spider-Man Annual #11 (1977)]. C’era un appuntamento romantico fra Peter Parker e Mary Jane. Che tipo di personaggio è la fidanzata di Peter a livello romantico?
JRJ – Cerco, sempre in virtù del realismo a me caro, di mettere in MJ dei tratti di persone che conosco bene, come mia moglie, mia cognata, che fanno a volte qualche sciocchezza. MJ è un personaggio comunque stabile ma devo mantenerla nei suoi binari, lavorare con grande cautela. La domanda mi ha fatto riflettere sul fatto che la mia famiglia, i miei amici, le mogli della mia famiglia e dei miei amici, hanno tutte – prese singolarmente – un carattere preciso e distinto, ma unite insieme fanno una grande MJ. *Questa* è la MJ che conosco e di cui parlo.
D. – Data la sua pluridecennale esperienza, ritiene che – pur non volendo essere esplicito -, qualche messaggio politico, per esempio in direzione *wokeness* debba essere inserito nelle sue tavole?
JRJ – «Il trucco è provare a restare indipendenti dal punto di vista del ragionamento. Tutti siamo arrabbiati per tante cose che non vanno nel mondo. La stupidità è ovunque ma mio padre mi ha insegnato che serve sempre ascoltare tutte le campane. Per cui quando io vedo che in un racconto c’è uno sbilanciamento verso uno qualsiasi dei due lati, mi infastidisco. Quello che io cerco di fare nel mio lavoro è guardare tutti e due i lati della questione e mantenere un equilibrio. Se l’autore di una storia non mantiene un equilibrio del genere non riesco a lavorare.»
D. – Cosa può fare il fumetto per non marginalizzare le minoranze?
JRJ – «Ovviamente io cerco di non marginalizzare nessuno. Del resto tutta la mia vita a New York è stata trascorsa in mezzo a persone delle più diverse origini, vicende personali e culture. E così è stato per la mia famiglia, i miei genitori, di origine italiana ma del tutto immersi in un contesto multietnico e multiculturale. Come non scontentare nessuno? Per un fumettista poi la faccenda è ancora più critica, visto che per una parola sbagliata puoi perdere metà del tuo pubblico. Poi io sono un capitalista e quindi sono abituato a baciare il culo a chiunque, però se la domanda è sacrificare un’istanza corretta o la qualità della storia, la faccenda si fa dura. Io sono più vecchio dei miei autori, spesso, e questo mi conferisce in qualche modo un’esperienza più solida nel districarmi in simili dilemmi, rispetto a un autore o sceneggiatore, scrittore giovane.»
D. – Cosa può cambiare in Spiderman, adesso, seguendo magari l’attualità?
JRJ – «In genere cerco di mantenere Spiderman ancorato alle ultime notizie, sempre evitando di scendere troppo nel politico. Come dicevo prima: è un attimo offendere qualcuno e giocarsi metà audience per una semplice osservazione. Se trovo qualcosa che non mi quadra in una sceneggiatura cerco sempre di smorzare i toni e riportarmi a un discorso più vicino alla realtà e più lontano dalla politica. Andare a infilarmi in discussioni lontane da questa convergenza è sempre un terreno minato. Cerco sempre di mantenermi allineato a quello che succede senza trascendere in argomenti o discussioni spinose. Prendete ad esempio la Mafia: un esempio concreto. Da italiano sono profondamente offeso quando incontro nelle storie poliziesche lo stereotipo dell’italoamericano mafioso. Certo, so bene che ci sono stati criminali italiani *e* mafiosi. OK. Devo cercare di trovare un escamotage. Trovo offensivo l’accostamento e mi sono dato una regola: se ci sono dei cattivi, non avranno mai i cognomi italiani. Così per i neri. Se ci sono dei personagi afroamericani si ha sempre paura di farli finire o dipingere come cattivi e rischiare di essere presi per razzisti. Devo bilanciare. Quando mi sono spostato da Brooklyn a Queens avrei dovuto, seguendo gli stereotipi, essere disperato. Invece no.»
D. – Come vede la multimedialità e la cross-medialità per il suo lavoro?
«Tutto è utile. Per riassumere, cerco di ottenere una storia bilanciando tutti gli input che ricevo dall’esterno ma la qualità è la qualità. Una buona idea è una buona idea. Una buona storia è una buona storia. L’unica cosa in cui non puoi scendere a compromessi in questo lavoro è la qualità. Se arrivano ottime idee da videogiochi, canzoni, altri media, ben venga, però è tutto al servizio della storia. Come ricetta generale però preferisco aggiungere a tanta realtà un po’ di fantasia, quel tanto che basta per renderla originale e ottenere la qualità che desidero. Non il contrario. La ricetta inversa, mettere un po’ di realismo dentro delle fantasie è qualcosa che non mi riuscirebbe proprio di fare. Una volta sono finito con gli amici in una brutta rissa. Noi contro loro. Questo ovviamente è diventato una rissa fra supereroi in cui tutti quanti alla fine si sono salvati, per intervento della fantasia. La rissa vera però ha fornito la struttura della storia.»
D. – Il digitale trasformerà il suo lavoro e il mondo del fumetto?
JRJ – «Tanti miei colleghi lavorano moltissimo col computer. Io sono più vecchia scuola: foglio matita e gomma. Nel mio caso soprattutto tanta gomma [ridiamo]. Bene, mi piace la sensazione fisica di questi strumenti; benché certo non abbia alcuna critica da muovere verso chi usa solo il digitale. Ci mancherebbe. Bene, quando è saltata la luce nel mio quartiere io ho acceso un po’ di candele e ho potuto rispettare la consegna. I miei colleghi e i loro computer, no. Comunque sì, succederà. Quando accadrà cercherò di adeguarmi, forse. Comunque dovesse accadere fra cinque o sei anni, io mi godrò quel che resta, tanto per quel lasso di tempo sarò già in pensione.»
D. – Abbiamo tanto parlato di New York. Ma hai disegnato anche esseri cosmici, come Thor, gli X-Men… che rapporto hai con queste creature?
JRJ – «È difficile mantenere un rapporto solido con la realtà quando sei in Asgard. Io preferisco avere la realtà come compagna, proprio guardando ai lavori di mio padre e di Kirby e Stan Lee e altri maestri. Magari basandomi su quello che hanno prodotto riesco a fare qualcosa di valido. Torno a dire che aggiungere del fantastico alla realtà è la via maestra. Anche con Thor ho cercato questo approccio. Sono stato criticato in un’altra occasione, quando ho inventato un Superman che aveva temporaneamente perso ogni potere, inclusa l’invulnerabilità anche alle sostanze tossiche comuni, come l’alcool. Il mio Superman va una sera al bar, beve un solo bicchiere di vino, e sviene. Non lo regge come diversi amici che conosco. Questo mi ha guadagnato più aspre critiche che consensi. Senza dubbio. Ma per me è stato necessario aggiungere realismo alla natura dell’alieno venuto da Krypton.
Realismo.
Sempre e solo realismo.»
**LA DOMANDA DI LETTERATITUDINE**
Questo ultimo periodo, fra Covid e crisi internazionali ha messo in luce la fragilità della società moderna. Niente può essere dato per scontato, adesso. Vorremmo chiederti se questo senso di precarietà o urgenza è filtrato nel tuo recente lavoro, o stile, o se invece riesci a mantenerti, artisticamente parlando, sostanzialmente immune dalle contingenze esterne?
JRJ – «Tutto quello che accade nella vita reale impatta su quello che faccio. Perché cerco di mantenere come ho detto un senso di realtà. Non solo questo succede con i grandi avvenimenti, penso per esempio all’11 Settembre, che non riesco a ricordare senza una certa commozione. Ma penso anche a quello che succede nella cerchia dei miei amici, della mia famiglia, non personaggi fantastici, ma persone vere. Bene, tutto questo è vero e quindi finisce in quello che faccio. C’erano per dire due tizi, due tipi proprio italiani, cresciuti coi miei genitori nello stesso quartiere – Brooklyn -, che chiamavamo Shmuggy e Bimbo. Loro proteggevano il vicinato, il quartiere. Facevano molte cose buone per il quartiere e beh… quanto a quello che combinavano fuori, chi siamo noi per giudicare? Comunque, quando ho deciso di creare un fumetto su di loro ho chiesto ai genitori e parenti delle informazioni. Ne ho ricevute tantissime, e ho cercato di creare delle vicende con la giusta dose di realtà e di fantasia per ottenere il massimo risultato.»
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