Press Café con Usumaru Furuya
Arte tradizionale? (Quasi) non c’ero e, se c’ero, dormivo!
Il Maestro passato dall’underground di “Garo” alle serializzazioni su “Jump”, in mostra al Ducale, si racconta con simpatia e dovizia di particolari alla stampa di LCG23 e a LETTERATITUDINE
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LUCCA, 3 novembre 2023 – Area Stampa, 12:15
di Furio Detti
Presente in mostra a Palazzo Ducale per LCG23 Together (curatori Giovanni Russo e Paolo La Marca), Furuya Usamaru si laurea in pittura a olio presso la Tama Art University. Debutta nel fumetto con Palepoli, sulle pagine di «Gekkan Garo» (Seirindō). Autore multigenere con una spiccata vena surreale e satirica, è stato attore, sceneggiatore e character designer. La mostra lucchese ne evidenzia la perizia estetica e la grande cultura visuale.
Tra le sue opere: “Happiness”, “Lo Squalificato”, “Teiichi no kuni” (Teichi High School), su «Jump SQ» (Shūeisha), “Shōnentachi no iru tokoro” (Dove vivono i ragazzi) su «Go Go Bunch» (Shinchōsha) e “Amane Gimunajiumu” (Amane Gymnasium), su «Morning Two» (Kōdansha). Sta lavorando al quarto volume di “Runatikku sākasu” (Lunatic Circus), per «Gekkan Comic Bunch» di Shinchōsha.
In Italia è uscito con Coconino Press come uno dei primissimi autori – ricorda la Readazione Manga di Coconino all’incontro -, coi titoli di “Palepoli” e “La musica di Marie” in edizione Omnibus, ossia a volume unico. In occasione di Lucca Comics & Games 2023 escono l’antologia di racconti “Garden”, compendio naturale di Palepoli con i suoi racconti brevi e mediolunghi, e il primo volume della serie “Amane Gymnasium”, ultima miniserie fresca di pennello pensata per un pubblico adulto.
Il Press Café lo accoglie come merita e lo sottopone a un fuoco serrato di domande. Luca Baldazzi, redattore e editor di Coconino Press apre le danze: «Coconino ha proposto fin dalle sue origini (2000) autori innovativi dal Giappone, aprendo con “Il Vampiro che Ride” di Suheiro Maruo e Taniguchi, Hanawa, Tatsumi e altri… abbiamo sempre guardato con molta attenzione alla scena artistica del Sol Levante e adesso lo faremo sempre di più con maestri come Mochizuki o Yamada Sansuke. Noi ringraziamo tantissimo qui il Maestro Furuya perché attraverso i suoi fumetti abbiamo scoperto tutta una scena di autori di altissima qualità che siamo veramente onorati di pubblicare».
Il tema del libero arbitrio è uno dei perni dell’opera di Furuya, alla domanda se saremo condannati da noi stessi o se esista qualche speranza il Maestro risponde: «Non penso di poter rispondere in modo netto. Prendiamo per esempio la tecnologia: essa rende facili e comode tutte le nostre esistenze, grazie a essa viviamo bene, ma sappiamo che essa aiuta anche la guerra e questi due aspetti sono inseparabili. La mia opera non intende discriminare fra giusto e ingiusto, quanto piuttosto desidera porre domande. Una volta che abbiamo la tecnologia in mano è molto difficile rinunciare a essa ma se questa situazione ci porta a autodistruggerci sarebbe meglio desistere ma io stesso non so dire in che direzione stiamo andando.» Inevitabile quindi parlare di Intelligenza artificiale: «È un grosso problema anche per me» – riconosce Furuya -, «Ho dei figli di 9 e 13 anni e a ambedue piace disegnare. Stanno progredendo ovviamente col tempo dedicatovi, tanto che il maggiore è stato premiato dal settimanale “Shonen Jump”. Lui ha quindi deciso di iniziare la professione di mangaka. Io stesso mi chiedo cosa succederà quando loro saranno grandi: la AI sarà abbastanza progredita da ideare intere storie e realizzare disegni? In caso affermativo, a che sarà valsa tanta fatica da parte dei nuovi autori e di questi ragazzi? La domanda mi preoccupa non poco come padre e come artista.» Come affrontare il problema? «L’unica arma per combattere questa potenziale deriva sarà coltivare l’esperienza originale personale e unica che possediamo. Io stesso dico ai miei figli che avranno sempre la capacità di essere originali e di creare opere peculiari, specifiche e sempre nuove se si applicheranno con costanza e serietà nella ricerca di un vero stile. Tutto questo è quella che mi sembra una possibile via d’uscita. Pensando proprio alla mostra allestita a Lucca, è indubitabile che agli umani piaccia molto di più contemplare qualcosa realizzato a mano che delle stampe da opere digitali o comunque replicate. Potrei anche essere un po’ antiquato nel pensarlo.»
Alla domanda se in Giappone si stiano iniziando a proporre come accade negli USA forme di protezione del diritto d’autore e del lavoro degli artisti e fumettisti dagli abusi derivanti dalla A.I. e se c’è stato un dibattito in merito fra autori, editor e editori, gli addetti al settore, Furuya replica: «Su questo problema il governo giapponese è piuttosto indietro. Io credo che stiano aspettando di vedere cosa succede negli USA a riguardo. In generale il mio paese è in ritardo rispetto all’Occidente su questi temi.»
Società e critica alla società: lo “Squalificato” (Ningen Shikkaku) e il suo impatto. Per Furuya: «Il mio successo, come autore, è di livello intermedio. Se vendessi tanto guadagnerei di più, ma ci sarebbe troppa attenzione riguardo alle posizioni che assumo con la mia arte, alle mie opinioni, al mio punto di vista, anche sulla società giapponese. Siccome non sono famosissimo, posso permettermi una libertà che per adesso mi calza, è il caso di dirlo, a pennello. Se non vendessi non riuscirei a vivere, ma per fortuna sono a metà della gamma possibile [ridiamo]. Sono fortunato a essere sostenuto da persone più appassionate di me stesso. Grazie a loro posso vivere, vendere disegni e oggettistica senza espormi troppo anche quando dico la mia.»
La tecnica della narrazione: come si riporta per immagini un mondo del tutto interiore, quale quello espresso sempre da “Lo Squalificato”? «Quando ho letto il romanzo di Osamu Dazai, del 1948, sono rimasto colpito proprio dal fatto che a seguito dell’assunzione di farmaci o droghe il protagonista al termine della storia vivesse delle avventure esclusivamente interiori. Quindi sono comparse anche a me delle immagini in mente. Questo è stato l’impatto iniziale con il romanzo che mi ha spinto a realizzarne la versione manga, trovandolo comunque attualizzabile come fumetto. Desideravo trasmettere esattamente lo stato d’animo, molto strano, del protagonista. Con “La Musica di Marie” invece le immagini giuntemi hanno generato l’idea di qualcosa di meccanico e enorme che circondasse il mondo. Successivamente questa fantasia è continuata nella mia testa con la decostruzione, lo smantellamento successivo di questo meccanismo, fino alla rovina. Poi ho pensato che questa enorme macchina in disfacimento venisse divinizzata da uno dei personaggi. Queste idee sono alla base del manga. In genere, comunque, nelle mie storie parto da una scena iniziale che si forma nella testa, come una immagine, quindi mi chiedo come procedere nel corso della storia per portarla da una certa parte. Quanto alla “musica” di Marie io l’ho intesa come una specie di melodia da carillon, qualcosa di mai ascoltato, etereo e molto sottile, delicato, impalpabile. Ho pensato anche alla musica di Ryuichi Sakamoto, un autore che ho sempre ascoltato.»
Alla domanda se egli si fosse sentito in competizione con la versione di Junji Ito de “Lo Squalificato”, il Maestro ha risposto negativamente, affermando di non aver mai letto questa versione; ma solo di aver visto il film diretto da Mika Ninagawa, ispirato dalla medesima opera di Dazai.
Le emozioni e il confine tra mondo interiore e mondo reale: da dove si trae la forza ispirativa per descriverli? «Non tutte le mie opere parlano di questo, ma se lo fanno,» – spiega Furuya -, «cerco di invitare il lettore nelle fantasie che ricreo nel modo più possibilmente credibile e reale: questa è la mia sfida. Mi piace in genere darmi un tema che sia molto difficile da realizzare; come quando mi sono divertito a immaginare un professore che desidera essere assassinato dalla sua classe scolastica. Cerco di raccontare queste situazioni ipotetiche, impossibili, o molto difficili da vedersi, nel modo più realistico possibile. Il mio modo di raccontare storie non è affatto lineare. Prima mi arriva l’idea di una situazione, quindi sondo il terreno e procedo per giustificare questa visione come punto di arrivo, o di partenza. In ogni caso mi sto sforzando di arrivare a una narrazione integra, coerente, inserendo qualche tema o problema relativo alla società attuale per dare ancora più verosimiglianza. È così che posso cercare qualche significato da proporre e rendere più facile al lettore afferrare quanto desidero trasmettere. Ora mi rendo conto che questo mio modo di fare è molto difficile da spiegare al prossimo, almeno a parole.»
Come è cambiato il suo stile? «All’inizio sperimentavo molto anche col colore, e con la tecnica mista; poi, quando ho cominciato a pubblicare con “Shonen Jump”, mi sono dovuto adeguare al modo di produrre fumetti seriali. Così ho iniziato a imparare come si fa il manga a larga diffusione. Sono felice di essere passato per l’esperienza di “Gekkan Garo” per poi approdare, primo e unico autore del genere, su Jump. A questo proposito ricordo un episodio molto divertente: quando Shonen Jump ha pubblicizzato il mio manga sugli schermi della metropolitana, a Tokyo, ho ricevuto lettere dei fan di Garo che erano sorpresi e divertiti nel riconoscere che un “loro” autore fosse finito sui settimanali più commerciali. Comunque in Europa le mie opere underground sono più famose; il contrario accade in Giappone anche se diversi dei miei fan appartengono all’una e all’altra platea di lettori, in modo piuttosto trasversale. I lettori dell’underground sono un mercato molto piccolo; mentre gli altri sono più numerosi: devo bilanciare la cosa per ragioni anche economiche, non solo artistiche. Quando lavoravo molto producevo per Shonen Jump, per vivere; e contemporaneamente realizzavo per l’underground lavori più personali. Ma all’epoca producevo 80 tavole al mese e la cosa chiedeva un prezzo troppo oneroso in termini di salute.»
Il cinema lo ispira o influenza a livello stilistico e/o a livello di soggetto? «Non ho un regista specifico che mi piace. Però seguo la Yamazaki, che è una autrice che esplora il mondo interiore delle persone e ha ispirato diversi registi che hanno trasposto questi romanzi in diversi film. In genere preferisco i documentari ai film. Per esempio mi è capitato di appassionarmi a un documentario su un gruppo terroristico giapponese degli anni Settanta che aveva sequestrato gli abitanti di una intera villa nei sobborghi. Ovviamente la cosa finì molto male. Lo stesso per i filmati sui movimenti universitari studenteschi di quel periodo a Tokyo: un documentario in particolare racconta la storia di un gruppo di finanziario creato da alcuni studenti eccezionalmente dotati, che poi sono andati incontro al disastro economico e professionale. Ecco, seguo opere di questo genere. Certo, vedo anche tanti film al cinema, ma non ricordo nulla che mi abbia suscitato le medesime impressioni dei documentari.»
Il Maestro, fra le sue, ha un’opera preferita? «Forse questa ultima uscita in Italia con Coconino, “Garden”, che è una delle mie prime opere.»
Cosa disegnava da piccolo, Furuya? «Un po’ di tutto ma ricordo che ero in terza elementare quando ho scoperto l’ombra. Mi sono accorto che ombreggiare un volto con l’acquarello lo rendeva tridimensionale. Questa scoperta è stata il mio primo cambiamento nell’approccio al disegno.»
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La Domanda di LETTERATITUDINE
Lei, Maestro, è stato un pioniere nel settore underground, la cui linfa vitale è il conflitto. Conflitto fra l’individuo e la società, per esempio; oppure il conflitto interiore. Come ispirazione, esiste qualche forma artistica tradizionale giapponese (Kabuki, No, Ukiyoe, Haiku…) da cui Lei ha tratto temi o spunti per parlare di questo versante dell’esperienza umana?
Usumaru Furuya – Non ho mai lavorato intenzionalmente su materiali del genere. Né ho mai inteso mescolare fra loro le forme tradizionali d’arte del mio Paese o di inserirle espressamente nei miei lavori. Ricordo però che a scuola ci sono state mostrate, in gita scolastica come si faceva di solito, queste forme d’espressione teatrale, il teatro No e il Kabuki. Può quindi essere che io abbia assorbito senza accorgermene alcune atmosfere da queste esperienze studentesche. Sinceramente, se ricordo che alle superiori ho visto molto volentieri e con passione questi spettacoli, alla scuola media invece, di solito, dormivo!
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