Cos’è stato il 1968?
Wikipedia Italia lo definisce così:
“un anno particolare, nel quale grandi movimenti di massa socialmente disomogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari) e formati per aggregazione spesso spontanea, attraversarono quasi tutti i paesi del mondo con la loro carica contestativa e sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società. La portata della partecipazione popolare e la sua notorietà, oltre allo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente concentrato ed intenso, contribuirono ad identificare col nome dell’anno il movimento, il Sessantotto appunto”.
Per poi precisare quanto segue:
“Il Sessantotto è stato un movimento sociale e politico ancora oggi controverso: molti sostengono che sia stato il movimento che ci ha portato ad un mondo “utopicamente” migliore e molti altri sostengono invece il contrario ovvero che sia stato un movimento che ha spaccato e distrutto la moralità e la stabilità politica mondiale”.
Per voi… cos’è stato davvero il 1968?
Cosa ne rimane oggi… quarant’anni dopo?
E com’era, al di là dei luoghi comuni?
Vi invito a dire la vostra.
Ospite speciale di questo post di Letteratitudine è Italo Moscati: scrittore, regista e sceneggiatore.
Italo ha condotto su Radio1Rai, svolgendo anche il ruolo di regista, una trasmissione in otto puntate (andata in onda alle 13.20 di ogni sabato dal 19 aprile al 7 giugno 2008) dal titolo: “MA COM’ERA IL ’68? Un anno che non si dimentica”.
Le suddette puntate torneranno in onda dal 26 agosto al 5 settembre 2008 (dal martedì al venerdì alle 11) sempre su Radio1Rai.
Chi volesse ascoltarle adesso può farlo collegandosi al sito di RadioRai.
Di seguito, invece, troverete un articolo dello stesso Moscati (nella foto in basso) e le sinassi delle trasmissioni.
Siete tutti invitati a partecipare al dibattito.
Massimo Maugeri
__________________
MA COM’ERA IL ’68?
di Italo Moscati
Quarant’anni dal 1968. Se ne parlerà per tutto l’anno, in questo 2008, fino al 31 dicembre. Quindi, stop.
Le commemorazioni qui da noi vivono lo spazio di un mattino, anche se vengono diluite nel tempo, e subito dopo ricondotte nel loculo nel cimitero delle memorie labili (ma nello stesso tempo condannate a essere presentate come zanzare ronzanti per sempre).
31 dicembre 1968. Una data significativa. Non solo per me. Quella notte, la notte di Capodanno, ci fu una contestazione davanti alla Bussola, un locale famoso della Versilia, dove si esibivano grandi cantanti come Mina, in cui si ritrovavano i ricchi e i notabili dell’epoca. Vecchi e giovani, personaggi noti o sconosciuti, poi, negli anni Settanta, presi in giro dai film dei fratelli Vanzina: sesso, soft rock, drug, fili di cocaine.
Quella notte ci fu uno scontro fra polizia e giovani che protestavano contro la esibizione di benessere e di mondanità. Non era una novità. Giorni prima, il 7 dicembre, altri giovani, non solo studenti universitari, si erano presentati all’apertura della Scala muniti di altoparlanti e di uova o di pomodori. Volarono parole grosse e gli ortaggi verso le signore in pelliccia. Intervenne la polizia e il sipario alla Scala si alzò come sempre.
Alla Bussola accadde qualcosa di drammaticamente diverso. Ci fu lo scontro violento tra giovani e polizia che reagì con le armi. Un colpo di pistola raggiunse un ragazzo, Soriano Ceccanti, che rimase ferito in modo grave. Sopravvisse ma rimase per sempre seduto su una sedia a rotelle.
Per sempre. I suoi occhi ci guardano. Soriano vive nel silenzio. Ce lo dimentichiamo volentieri. Coloro che se lo ricordano si contano sulle dita.
Nel mio racconto ho inserito la cronaca di quel giorno. Avevo già in mente di farlo. La voce di un giornalista diceva per filo e per segno quanto era accaduto. Punto e basta. Nel racconto sono partito dal fatto e da quei sonori (agitazione, vociare, spari) per andare a ritroso e ritrovare – o meglio cercare di ritrovare – un senso di quel ’68, anzi del Sessantotto come ormai si scrive, in lettere, forse perché le cifre sono troppo corte mentre le parole nei libri e nei convegni riempiono fogli e bocche, con esiti ogni volta da verificare.
La trasmissione è composta di voci, sonori, canzoni, pezzi di musica presi dalla radio, dalla tv e dal cinema. C’era nei massmedia (la Rai era monopolio, non aveva alcuna concorrenza) una grande prudenza, un attento riserbo nel dire del ’68. A poco a poco, però, il mezzo mutismo cedette il posto a interventi sempre più circostanziati. La contestazione non pulsava soltanto in Italia, in Francia o in Germania, tra gli studenti in protesta anche contro la guerra nel Vietnam; ma si era propagata rapidamente in tutto il mondo. Il ’68 si accendeva in Asia, in America Latina, dovunque.
Di tutto ciò, ovvero di una cronaca vera che parla più dell’ideologia, c’è una labile traccia nei libri e nelle numerose pubblicazioni che escono con regolarità ogni dieci anni.
(Dieci anni: le tante tappe di un tema che si esaurisce e che si chiarisce lentamente. Si spera).
Però. Tutti si concentrano sulla contestazione e sui suoi sviluppi. In questo modo, a parte il gusto storico di rivisitare un anno fatto poi di anni seguenti molto importanti, ci si dimentica di quel che è avvenuto, al di là della contestazione, nella cronaca di tutti i giorni, nel cinema, nella tv, nello spettacolo, nella cultura e nell’arte.
Per la cronaca per quanto riguarda l’Italia, basta ricordare il terremoto del Belice, il caso Sifar e del generale De Lorenzo, la nuova legge sulle pensioni, la vittoria della nazionale italiana di calcio nel campionato d’Europa, il processo alla banda Cavallero, la condanna di Aldo Braibanti per plagio, la morte di Giovanni Guareschi (l’inventore di don Camillo e Peppone)…
Il ’68 è anche l’anno delle “Humanae vitae” l’enciclica dl Paolo VI sulla regolazione della nascite e i contraccettivi, del viaggio del Papa in Bolivia, della morte di Padre Pio. Il ’68 è l’anno in cui la corte costituzionale stabilisce che l’adulterio non è più un reato…
I fatti del mondo sono importanti e spesso decisivi: come ad esempio gli interventi del generale De Gaulle con le successive elezioni politiche che il 23 giugno posero fine al Maggio parigino; gli assassini di Martin Luther King e di Robert Kennedy; i carri armati del Patto di Varsavia che soffocarono la cosiddetta “primavera di Praga” e tanti altri fatti e lutti… Cadevano a migliaia guerriglieri vietcong e giovani americani intorno a Saigon. Cadevano giovani di sinistra e di destra in Europa, e non era che il principio.
E poi tv. Il ’68 è l’anno della “Freccia nera”, dell’ “Odissea”, del “Cristoforo Colombo”…
Per l’arte, il ’68 è l’anno di Schifano, Tano Festa, Franco Angeli…
Per il cinema, Stanley Kubrick realizza “2001-Odissea nello spazio”…
La terra vista dal cielo. E, come specchio, la terra che guarda ai cieli delle utopie. Davanti agli occhi di Soriano, paralizzato.
Nel racconto radiofonico troverete questo e altro. Qui di seguito riporto una sintesi delle otto puntate.
Davvero, come poche volte può capitare: buon ascolto!
Italo Moscati
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Conduzione e regia di Italo Moscati
1^ puntata
APERTURA
Prima puntata di un viaggio tra le voci, i sonori, le musiche, i rumori di un anno che ha compiuto i 40 anni: il Sessantotto. Italo Moscati lo racconta prendendo spunto soprattutto dai programmi radiofonici e dai giornali radio dell’epoca. Il racconto comincia con una citazione di Enzo Tortora che, invitato a fare un bilancio dell’anno, parla con ironia di un “anno non semplice” che ha attraversato lo spettacolo, la cronaca, la politica, il costume della società italiana. Da lontano, dall’America, erano venuti già i venti della contestazione universitaria che si era diffusi dal 1964 in tutta Europa, prima a Berlino e poi a Parigi. La prima puntata ricorda l’inizio di un sceneggiato famoso “La freccia nera” e poi passa al seconda trapianto di un cuore in Sud Africa, il primo riuscito; quindi ricorda Giuseppe Ungaretti che compiva ottant’anni. Fra questi fatti, le prime occupazioni delle università italiane, i cortei di protesta per la guerra del Vietnam, gli scontri con la polizia. Due mesi, gennaio e febbraio, molto intensi e soprattutto carichi di tensione e di creatività giovanile.
2^puntata
VERSO PRIMAVERA
La seconda puntata, “Verso primavera”, comincia dall’ultima notte del 1967, e cioè di una manifestazione che si svolse davanti alla Bussola, un noto locale in cui si esibivano famosi cantati come Mina. I giovani contestarono le persone che si era recati nel locale per attendere il capodanno. Intervenne la polizia e lo scontro fu lungo e duro: alla fine, rimase sul terreno, ferito, il giovane Soriano Ceccanti che purtroppo da allora siede su una sedia a rotelle. La violenza si presentava in modo allarmante e ricordava che altri giovani erano morti per scontri fra ragazzi di sinistra e di destra. La contestazione aumentava di intensità. Nel mondo, intanto, a Mosca, venivano celebrati i funerali di Yuri Gagarin, uno dei primi astronauti sovietici; a New York ,il pugile italiano Benvenuti diventava campione del mondo; a Roma, Federico Fellini cominciava a preparare le riprese del “Satyricon”.
3^puntata
PRIMA DI MAGGIO
La terza puntata, “Prima di maggio”, registra fatti ed emozioni della vigilia del mese più caldo del Sessantotto, il Maggio di violente manifestazioni e di sfida al potere politico. In Italia scendevano in piazza, accanto agli studenti delle università, i ragazzi dei licei. Il racconto di Moscati ricorda anche i film che più suscitavano scandalo e quelle strade, come via Margutta e via Veneto, stavano perdendo quel sapore di leggenda artistica e di costume di vita che le aveva fatte conoscere subito dopo la seconda guerra mondiale. L’autore ricorda che proprio in quei giorni veniva ucciso Martin Luther King, il leader nero capo della protesta contro il razzismo e la guerra nel Vietnam. Inoltre, a Berlino, Parigi, Londra, Roma e Milano un’altra importante città si univa alle città scosse dalla contestazione: Madrid, in cui gli studenti organizzarono cortei contro la dittatura del generale Francisco Franco. Come nelle altre puntate, anche la terza è densa di canzoni e musiche di quel periodo.
4^puntata
IL MAGGIO
Il Maggio francese si dice sempre quando si vuole indicare il mese più caldo del ’68, l’anno della contestazione. E Parigi fu, in effetti, sconvolta dagli scontri tra studenti (a cui si unirono ma non in piazza milioni di operai in sciopero) con la polizia; ma, dovunque, non solo in Europa, l’ondata della contestazione non solo giovanile si estendeva e conquistava straordinari consensi, dal Brasile all’Argentina, dal Perù al Giappone. Sembrava che tutto fosse scattato come un piano ben organizzato, in realtà non era così: si trattava di iniziative spontanee germinate da una spontaneità dilagante. Moscati racconta tutto questo con voci, sonori, rumori, canzoni. Ricorda anche si preparavano le Olimpiadi del Messico con una protesta studentesca soffocata dalla polizia, protesta narrata alla radio da Oriana Fallaci. Ricorda ancora la contestazione ai festival del cinema: a Cannes che venne sospeso, mentre in Italia parte dei cineasti attaccavano la Mostra di Venezia in programma per agosto.
5^ puntata
UN’ESTATE CHE SA DI MAGGIO
La quinta puntata di “Ma com’era il ’68?- Un anno che non si dimentica” è intitolata “Un’estate che sa di maggio”. Il racconto presenta spunti di grande interesse. Il maggio parigino, punto di riferimento per la contestazione in Europa e nel mondo, divampa ancora ma si esaurirà a poco a poco dopo l’intervento deciso di Charles De Gaulle che vieta cortei e manifestazioni degli studenti e degli operai ,e dopo le elezioni del 23 giugno in cui vincono i gollisti. La gente si prepara per le vacanze. C’è voglia di dimenticare. Grande successo del Disco per l’Estate in Italia e per le canzoni, è l’anno di “Azzurro cantato da Adriano Celentano. Intanto, la protesta giovanile continua. Parlano alla radio i leaders studenteschi come il tedesco Rudy Dutscke, sfuggito a un attentato, il francese Cohn Bendit, il cecoslovacco Jan Kovac . La Cecoslovacchia viene invasa dai carri armati del Patto di Varsavia e nelle strade di Praga si scatena la rivolta. Si avvicinano le Olimpiadi di Città del Messico e la contestazione degli studenti cresce impetuosa, si preparano sanguinose repressioni (raccontate alla radio da Oriana Fallaci). La contestazione colpisce i festival cinematografici, dopo Cannes, la Mostra del cinema di Venezia, la Biennale d’arte sempre a Venezia; e provoca ritirate clamorose dai premi letterari più prestigiosi.
6^ puntata
AUTUNNO INVERNO
La sesta puntata di “Ma com’era il ’68?”, “Autunno inverno”, comincia con il racconto della contestazione alla Mostra del cinema di Venezia con una intervista a Pier Paolo Pasolini, regista di “Teorema” che fu proiettato contro la volontà dello stesso regista. Pochi giorni dopo, a Praga, la contestazione dei giovani e la cosiddetta “primavera di Praga”- una richiesta di democratizzazione del regime comunista- vennero soffocate dall’invasione delle truppe del Patto di Varsavia comandate dall’esercito sovietico. Fu una pagina drammatica, forse una delle più drammatiche, in quell’anno che in tutto il mondo registrava continue proteste e rivolte soprattutto da parte delle nuove generazioni. In ottobre ripresero le imprese spaziali con una gara fra americani e sovietici in vista della conquista della Luna. Ci fu, sempre in ottobre, l’apertura delle Olimpiadi di Città del Messico. La giornalista Oriana Fallaci descrisse alla radio la violenta repressione della polizia della protesta degli studenti che contestavano per sottolineare povertà e bisogni dei paesi latino americani. Nelle stesse Olimpiadi, due atleti neri americani furono protagonisti di una clamorosa protesta. In Grecia, il poeta Panagulis, avverso al regime dei colonnelli, fu condannato a morte.
7^ puntata
LA TERRA VISTA DALLA LUNA
Settima e penultima puntata di “Ma com’era il ’69- Un anno che non si dimentica” intitolata “La terra vista dalla Luna”. Sono i giorni dei viaggi spaziali dei sovietici e degli americani per sperimentare la spedizione sulla Luna. Tra ottobre e dicembre, riprendono le manifestazioni e i cortei in Italia e nel mondo. La contestazione si rifà viva dopo la pausa estiva segnata dalla protesta giovanile e di numerosi attori e registi alla Mostra del cinema e alla Biennale d’arte di Venezia. In televisione comincia una nuova edizione di “Canzonissima” dopo una sospensione di sei anni dello spettacolo per le scene di Dario Fo e di Franca Rame sul pericolo nei cantieri e sulle morti sul lavoro. La presentano Walter Chiari, Paolo Panelli e Mina. Nei cinema esce il film di Stanley Kubrick, “2001- Odissea nello spazio”. Per la cronaca, alluvione nel Biellese. Ma il fatto più importante, sul piano sociale, è la morte di due braccianti ad Avola, in Sicilia, durante un intervento della polizia per rimuovere un blocco stradale dei dimostranti. La rivolta, la protesta studentesca è raccontata dallo psicologo Mitscherlich che, con Marcuse, fu uno degli ispiratori della protesta stessa con il libro “Verso una società senza padri”; e da Mauro Rostagno, che dalla contestazione verrà ucciso anni dopo il ’68 per le sue trasmissioni di una sua tv privata contro la mafia. Altre interviste inedite perché dimenticate sono quelle a Mastroianni e a Gassman che ricorda Totò che era morto nel 1967. Poi, canzoni e musica dell’ “anno che non si dimentica”.
8^ puntata
VERSO NUOVE PRIMAVERE
Ottava e ultima puntata di “Ma com’era il ’68?”, intitolata “Verso nuove primavere”. Il programma ,condotto e diretto da Italo Moscati , si conclude con un bilancio dell’anno della contestazione e dell’immaginazione al potere, attraverso voci, sonori, documenti, canzoni. Il Sessantotto fu un anno di svolta e indica la comparsa sulla scena della società- in tutto il mondo e non solo in Europa o in America- dei giovani studenti e operai con istanze ed esigenze capaci di sorprendere i poteri nei diversi paesi. Tra pro e contro, il Sessantotto resta come una stagione di idee (pacifismo, giustizia sociale, libertà individuali, diritti) e di sensibilità (immaginazione, creatività, fantasia, desideri) che ha avuto un lungo effetto anche attraverso le generazioni successive. Moscati racconta nell’ultima puntata delle molte primavere che suscitarono la vitalità del Sessantotto: la primavera studentesca, quella vitale gioiosa della musica e dello spettacolo; la primavera del maggio francese; la primavera di Praga, schiacciata sotto i cingoli dei carri armati sovietici; la primavera triste della uccisione di Martin Luther King e di Robert Kennedy. Primavere in attesa di altre primavere. La ottava puntata racconta il finale dell’anno con gli ultimi sussulti e i risvolti drammatici, mentre dal cielo gli astronauti americani descrivevano la luna…Un’utopia- quella della conquista della luna- che verrà realizzata, a differenza di altre utopie, a volte disastrose e a volte esaltanti. Un anno che non si dimentica. In un programma che ha avuto un grande successo di critica e di pubblico.
Credo che l’argomento proposto in questo post sia molto interessante e che si presti per un dibattito coinvolgente.
Intanto ringrazio l’amico Italo Moscati per avermi inviato il pezzo e gli “abstract” delle puntate.
Italo, chiaramenti sei invitato a partecipare al dibattito e a rispondere a eventuali domande.
E a proposito di domande… vi ripropongo quelle di questo post:
–
Cos’è stato davvero il 1968?
Cosa ne rimane oggi… quarant’anni dopo?
E com’era, al di là dei luoghi comuni?
Il ’68 è stato un anno particolare anche perché ha registrato la nascita del sottoscritto.
(giusto per la cronaca)
Ehm…
L’immagine “sopra” (quella che riporta l’anno) è davvero orrenda.
L’ho realizzata in 20 secondi con paint.
Vi prometto che la cambierò appena avrò un po’ di tempo.
Certo, se ci fosse un volenteroso (o una volenterosa) disposta a darmi una mano…
Ciao, Massimo. Purtroppo per aiutarti a rifare la grafica della scritta 1968 potrei solo darti una delle mie foto di quel periodo: magari quella in cui io, all’eta’ di tre anni, stavo seduto sulla scrivania di papa’, con un libro in mano. Va be’, a parte gli scherzi: il 1968 per me ha un solo sinonimo: ROMA. E alcune immagini indelebili nella mia memoria, fra le quali quella della casa di mio zio Riccardo Danesi, gentiluomo fiorentino nonche’ colonnello di cavalleria monarchico – in pensione dal 1946 per non aver giurato fedelta’ alla Repubblica Italiana. Lui, sua moglie Giulietta, e i telegrammi del suo amico Umberto II per me sono il Sessantotto. Il resto lo lascio agli storici. O a chi voglia e sappia ricordare altro.
Grazie per il contributo, Sergio.
Ma al di là dei ricordi personali (molti di noi erano piccoli o non erano ancora nati), per te cosa rappresenta il ’68?
Cos’è stato?
Che eredità ci lascia?
Ora devo chiudere. Auguro a tutti voi la buonanotte.
Scusami, ma penso di aver detto tutto quanto si possa esporre pubblicamente. Il resto o non mi compete, o fa parte dei miei pensieri privati. Sto infatti imparando a contare fino a mille prima di dire la mia. Imparo in ritardo, ma meglio tardi che mai, no?
Ciao bello!
Va bene, Sergio.
Buonanotte, allora…
Vedrai che si sviluppera’ un bel dibattito, stanne certo. Buonanotte e grazie come sempre, cara ”star” del Vittorini!
Il 68?
ero piccola ma c’ero. prorio in quell’anno fui sospesa dalla scuola, con altri tre, perché leggevo un volantino (distribuito dal pci) sul Vietnam, con un piede oltre il cancello d’ingresso. nessuno fu solidale con noi, tutti ci ignorarono e ci beccammo sospensione e brutto voto in condotta. L’anno seguente, perché il “68 ” fu dopo, tutti conoscevano Bordiga, la terza e la quarta internazionale, le massime di mao, i discorsi di lenin, che guevara, Bakunin, marx, ecc. ecc. Ma come avevano fatto a diventare tutti leader in una sola estate? Me lo chiedo da 40 anni!!!
🙂
Io ci ho fatto un post oggi, sul sessantotto Massimo – nun t’adonti se m’hai dato l’idea ve?
🙂
Per me la scritta così va benissimo. Restituisce quel senso di fare la storia con ingenuità.
Io non c’ero.
Ma ho due una scena del bellissimo film in episodi “Heimat” sul sessantotto:
un ragazzo e una ragazza sono in una comune.
Sono nudi
la ragazza deve andare al bagno – deve andare a fare pipì. i stintivamente, prende un asciugamano – si copre.
.
Era una bella riflessione – anche girata molto bene – sull’utopia di una sessualità che travalicasse la differenza, la separazione della differenza. Il senso del pudore che riemerge potentemente. Probabilmente, sarei stata in disaccordo con moltissime cose, perchè la vis polemica esplode dinnanzi a qualsiasi forma di generalizzazione. Ma allo stesso tempo, mi manca terribilmente quel giocare pesante sulle cose della vita, quel prendere sul serio il sesso e la politica, quell’attualità della sfera pubblica.
L’acquiescenza di oggi mi sconforta.
Il fatto che certe tematiche – come il razzismo e il femminismo – annoino mi angustia. La morte della passione.
era un periodo irto di cazzate – ma mi manca terribilmente.
nel 68 avevo sette anni.
negli anni la percezione che ho avuto è stata quela comune:
quella di un momento legato alla ricerca di cambiamento per la formazione di nuove regole sociali con al centro il contesto e non il singolo.
mi pare che oggi questo si sia trasformato in un pensiero azione diverso, legato più all’individuo che al contesto.
il punto interrogativo è:
il 1968 con la sua classe dirigente ha fallito o no nel suo obiettivo?
massimo maugeri
la spezia
Nel 68 io avevo 37 anni e due figli, ed ero impegnatissimo sia nella mia professione di medico che nella mia passione di poeta, già allora fortunatamente accettata dalla critica ufficiale e dagli addetti ai lavori. Fra i tanti il caro ed indimenticabile Domenico Rea mi reputava poeta a tutto tondo ! Gli sconvolgimenti di quella data mi sfiorarono appena, solo perchè ero ben saldo nel mio bagaglio culturale e morale, ma vissi un certo senso di disagio nel seguire quelle manifestazioni che sotto sotto nascondevano una malcelata violenza.
Sta di fatto che almeno in Italia (non saprei nel resto del mondo) il livello culturale ebbe una caduta notevole, e quei giovani, allora studentelli , divennero i professori degli anni successivi, producendo come ben abbiamo visto e vissuto un corpo docente sempre più deficitario. Io l’ho constatato sulla pelle dei miei figli durante gli anni del loro Liceo.
Purtroppo da q
CARISSIMO E’ SCATTATO IL TASTO ED IL MESSAGGIO E’ PARTITO INCOMPLETO ! –
“Portroppo da quella data -scrivevo- io ho potuto incontrare soltanto scostumatezze, menefreghismo, incuria, mancanza di rispetto, mancanza di vera cultura, arrivismo, e caduta di quei valori morali che erano nvece il pilastro della convivenza civile.
Non me ne volete voii più giovani, ma non mi ci trovo !
Antonio Spagnuolo
spagnuoloantonio@hotmail.com
Grazie Massimo e grazie a tutti coloro che stanno scrivendo. Leggo e mi preparo a partecipare. Non è un dibattito è uno scambio di esperienze. Più aperto e franco è…A presto, corro al lavoro….
il 68 è stato non un solo anno, ma un periodo, denso e pieno di fermento. tutto sembrava possibile e a tratti lo era.
ogni mattina poteva accadere di tutto e si andava verso la giornata con la sensazione di essere invincibili. questo fino a quando la polizia lanciava i lacrimogeni, dopo di che gli occhi bruciavano e la gola impazziva. allora sapevi che non eri poi così invincibile e che non tutto va come dovrebbe. in pratica, la scuola della vita.
40 anni dopo, questa è diventata storia e il fermento è solo una voce del vocabolario (purtroppo).
avevo 18 anni e partecipai , me ne andai da casa anzi fui defenestrata e vissi a Roma le utopie e i sogni di quegli anni che porto dietro, che non ho mai rinnegato e che anche oggi fanno parte della mia vita e delle mie scelte. Anni di autocritica, di pensiero, di amizia, di solidarietà, di letture, di confronti e oggi che di questo il mondo è privo mi manca da morire quel periodo indubbiamente criticabile nei suoi estremismi , ma così pieno di slanci , entusiasmi e voglia di libertà che tanto ha dato a chi si ricorda solo il negativo e fa di tutta un’erba un fascio.
Il dopo è stato un compromesso , piatto e soprattutto poco critico .
Ecco, è l’acrisia che si è persa ma guadagnare un sogno che porti avanti ogni giorno è stato per me e lo è , un grande dono. senza sconfinare nel libertarismo mi trovo oggi ,persona che sceglie, che opera, che vive con tutti gli oneri e gli onori con la libertà spesso faticosa che ho imparato allora. Devo al mio 68 di allora la ricchezza che oggi sento di avere e di poter dare.
grazie
patrizia garofalo
Io nel 68 di anni ne avevo 15. Col senno di poi il giudizio di Antonio Spagnulo è anche parzialmente condivisibile: “ho potuto incontrare soltanto scostumatezze, menefreghismo, incuria, mancanza di rispetto, mancanza di vera cultura, arrivismo, e caduta di quei valori morali che erano nvece il pilastro della convivenza civile.” Molto severo ma parzialmente vero: c’era molta presupponenza sicuramente, e ci furono errori comportamentali, etici e politici che sfociarono anche nei maledetti “anni di piombo”.
Ma era tutto dettato da un sincero entusiasmo che fu linfa vitale per una intera generazione. Nessun altra ne ha avuta nel secolo una uguale. E così resta difficile per chi come me ha vissuto quegli anni da adolescente rinnegare quel periodo o tanto meno scordarselo.
Ma al di là del giudizio morale (ognuno ne pensi ciò che vuole) quello che è innegabile è che furono anni che segnarono una rottura col passato, nel bene e nel male. Fu una vera rivoluzione per la politica, la cultura, i costumi. E di questo non si può non prenderne atto. Esserci stato, averne preso parte, è qualcosa che per me rimane motivo di orgoglio, cazzate comprese: perchè erano cazzate che pensavamo fossero “intelligenti”. In quel momento per noi erano intelligenti, logiche, coerenti.
Entrai in quegli anni da bambino e ne uscii da adulto (se adulto sono mai diventato, ma questo è un altro discorso).
L’immagine di Massimo con l’anno “1968” scritto con il paint piace parecchio. Sembra una delle tante scritte fatte con una bomboletta di vernice su un muro di un palazzo delle nostre città e fotografato con una vecchia macchina in bianco e nero. Richiama perfettamente l’epoca ed evoca quella società, per certi versi incolore e piatta, che proprio in quella scritta imprecisa e disordinata trovò uno sfogo ed una ribellione, un desiderio di uscire dagli schemi per costruire un mondo meno soggetto ai preconcetti e più dinamico.
Del 68 ho chiara un’immagine: io, cinque piccolissimi anni, con un vestitino a quadretti che assaggio uno spaghetto mentre l’anziana zia di mio papà, la dolcissima Berenice da tutti chiamata Ada, prepara il pranzo. Dov’era mia mamma? In ospedale, a partorire mia sorella Elisa. Mi arrabbiai tantissimo quando mio papà, bello come Tyrone Power nella sua divisa da portalettere, tornò a casa senza mamma e sorellina. Ero convinta che appena nata potessegià giocare con me. E fui ancora più arrabbiata quando una bronchite mi impedì di presenziare al battesimo che si tenne nella cappella della clinica, tanto per non fare le cose in grande e risparmiare. A casa c’era uno stipendio solo e quando io mi ammalavo, cosa che accadeva spesso, papà portava al monte dei pegni lo zenith d’oro per poter pagare la visita del pediatra. Ecco, un piccolo apporto per ricordare cheil ’68 fu un anno importantissimo, certo. Ma fu anche un anno dove la maggior parte della popolazione italiana si ritrovò a fare i conti esattamente con la vita di sempre, con i problemi di sempre, con i soldi di sempre. A guardar bene, si stentava ad arrivare a fine mese, proprio come oggi. Solo che allora il coraggio di guardare al futuro (e quindi di fare tanti bambini) non ce lo avevano ancora strappato.
Laura
Desidero ringraziare Massimo Maugeri e il suo ospite Italo Moscati, ché il ’68 appartiene a chi l’ha vissuto e condiviso come contemporaneo agli eventi; ché le generazioni post-‘68 a venire solo sui testi o altri resoconti veritieri non potranno capire, se non dagli esempi familiari quello che sono diventati con: più diritti civili, assenza di valori portanti e crisi d’identità sociali ancora in essere: questo è il bel risultato di una libertà politica e sociale ricercata a tutti i costi, certo secondo me e io c’ero.
Ma cosi non è sempre ciò che appare, solamente, come conseguenza storica al ‘68; negli anni ’70 si è studiato meglio, tranne gli esami di gruppo di architettura al Politecnico di Milano, si è lavorato molto e nonostante altri delitti gravi e stragi contro la libertà: si è prodotta un’industria fiorente e abbondanza di consumi praticati da tutti in Italia e nel mondo, nonostante le lotte operaie : ché la vera liberazione culturale e ostentazione di benessere si è avuta negli anni ’80 e finalmente!In buona sostanza volevo metaforicamente, da posizione ideologiche diverse, evidenziare che il senso comune della morale può spostare sentimenti e valori di una generazione a escludere o approvare quello che è successo: ché io considero il ’68 come prodotto da un movimento studentesco in Italia e non un vero valore generazionale che riguardasse tutta la società Italiana.
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Faccio un esempio all’Università Statale in Milano io ero iscritto alla facoltà di giurisprudenza con Alberto Capanna,sembra allora rimborsato dal PCI, senza escludere il movimento di Comunione e Liberazione dell’Università Cattolica, sempre di Milano che faceva la sua parte riguardo la contestazione: e mi ricordo in giro per Milano chi indossava gli Eskimo – le ragazze erano le più bruttine – e chi il doppiopetto o il Montgomery: anche dello studente in via Larga – la foto ha fatto il giro del mondo – piegato sulle ginocchia con la pistola in pugno teso a sparare contro i celerini in assetto di battaglia urbana e a proteggersi anche dai san pietrini lanciati dagli studenti operai; la bomba strage scoppiata alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano in P.za Beccaria – poco distante dalla Statale e io quel giorno c’ero. Certo, io andavo in costa azzurra a fare il mio mestiere: studiare per il 30, praticare sport e subire il fascino delle mie amiche che mi approvavano.Questo è tutto: povero me!
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A proposito di libri sul ’68 ne ho contati 157, di cui:
Glucksmann – Sessantotto
Kurlansky – 1968
Fofi – Prima e dopo il ‘68
Veneziani – Rovesciare il ‘68
Capanna -lettera a mio figlio sul ‘68
Capanna – Il ’68 al futuro
Piperno – ‘68
Forse i più significativi tra gli ultimi usciti?
Grazie a tutti Voi per lo spunto che mi avete dato nel ricordare come cittadino comune un periodo della mia vita intenso, immaginifico,energetico, d’impegno scolastico e quando ancora con i miei amici si trascorrevano le nottate, anche, a discutere di tutto e Nietsche e Max e Hegel e Sant’Agostino e Froid e Jung erano sul mio comodino, per fare un esempio, e la musica ve la racconto un’altra volta se vi va: ché i miei amici musicisti tutti, invece, la suonavano con gli spartiti originali acquistati a Londra: poveri loro!
Luca Gallina
@ carlo
mi riconosco nelle cose che hai appena postato. Gli anni che chiamiamo 68 furono dirompenti, niente restò come prima e furono momenti intensi che coinvolsero l’intera società, anche i distanti, quelli che non vissero in prima persona la rottura, ma si adeguarono per accettazione o interesse. Il sesso e il mito : se dovessi riassumere per titoli, direi che i temi principali furono proprio quelli. La liberazione da una mentalità pesante, bigotta e moralista e l’affermazione dell’ideologia del mito. termine che allora a differenza di adesso, non si usava ma si praticava apertamente, sfacciatamente, prepotentemente, violentemente. Ci plasmammo da soli (prima) e imparammo a farlo (siamo ancora bravissimi), contro la logica, la serietà, la coerenza e la disciplina del sapere. Poi altri impararono meglio di noi e seguirono gli anni dell’eroina e delle brigate rosse. Restò il sesso che sostituì, con un lungo processo di materializzazione, ogni educazione sentimentale, ogni pudore nudista, ogni libertà: partimmo nudi ma ritornando ci siamo messi il tanga.
Però, ci fu un momento di assoluto incanto che fu irripetibile, come tutte le rivoluzioni …. veramente irripetibile e fu mondiale, non c’era internet ma le idee viaggiavano con la musica e con l’arte e ci si sentiva al Mondo! Anche nel più piccolo e sperdutissimo paese della bergamasca…
Essì, cara Miri! Era meglio nudi che in tanga. Quel filino tra le chiappe mi dà fra l’altro l’idea che sia parecchio fastidioso. Ma oggi fondamentale è l’apparenza. Anche il culo vuole la sua, anche se nudo non è.
Da queste piccole cose si vedono le differenze epocali più profonde.
E chi lo sa? Ne ho letto tanto, mi hanno detto tanto, ma io non c’ero. Sono nata 8 anni dopo e qualche volta penso che sarebbe stato bello esserci.
@laura costantini
lo so, sembra che mi paghi per essere in sintonia con te 🙂
ma il fatto è che quello che scrivi -e come lo scrivi- mi piace davvero tanto.
Che ce posso fa’?
@ Carlo
me fai mori’! Se vuoi ti regalo un tanga leopardato, così ne testi la fastidiosità!
D’accordo con te, meglio nudi.
nel ’68 avevi 10 anni.
ricordo i telegiornali con le immagini del maggio francese, degli scontri con la polizia, di berkley e dopo, appena dopo, in italia.
ricordo i lacrimogeni che facevano piangere anche me, che ero piccola lontana e potevo solo guardare.
poi venne l’autunno caldo del ’69, scioperi ovunque, camionette militari a sostituire i mezzi pubblici. e mio padre ed io tentammo di dirottare un tram crumiro.
ci avvicinammo al conducente e gli intimammo ”questo tram va a cuba”.
si girò verso di noi, ci guardò con occhio vacuo e disse ”eh?”.
quel giorno capii molte cose.
che l’immaginazione al potere non sarebbe andata mai, che nessuna risata avrebbe mai potuto seppellire nulla.
che ce n’etait qu’un debut ok, ma che hai voglia a continuare a combattere..
avevo, non avevi.
come mi permetto di darmi del tu????
Possiedo la raccolta completa e rilegata di tutti i Corriere della Sera del 1968. A qualcuno puo’ interessare?
O qualcuno vuol sapere notizia di qualche avvenimeno di quell’anno?
Ho anche il 1967.
Saluti.
Vito
@Luca “subire il fascino delle mie amiche”. Io penso che tu dovevi essere un gran filibustiere, con il tuo candore e i gran mazzi di rose da omaggiare. Io nel 68 ero nato da poco, non c’ho mica la veneranda età di molte signore che frequentano questo blog. Non ho vissuto quei momenti ma penso che il 68 debba essere sempre in ognuno di noi, nella capacità di ragionare col proprio cervello, nella forza di ribellarsi a un sopruso, anche quando un prepotente ci scavalca mentre facciamo la fila alle poste. La democrazia non è mai un fatto assodato, si ingarbuglia tra i rivoli del potere e gli interessi economici, sta a noi cittadini tenere desta la guardia e non divenire semplici sudditi.
te guarda se numme tocca quotare salvo zappullo!
ma tu senti ‘st’impunito di salvo zappulla! “Io nel 68 ero nato da poco, non c’ho mica la veneranda età di molte signore che frequentano questo blog.”
caro salvo, ti sei dimenticato di dire che se ci mettiamo a confronto, io sembro la tua nipotina. o meglio, tu sembri mio nonno. ma senti un po’ che roba…
e poi, io ho scritto quel commento sulla base di cose che ho letto. è colpa mia se scrivo così bene da far sembrare vera ogni cosa che dico?
Molto bene, scaldiamoci un poco. Il re è nudo, si dice. Nel ’68 il re (il potere) non portava neanche il tanga. Apprezzo tutti gli interventi. Lo dico sinceramente. Ma sento affiorare una tendenza ombelicale. Tutti, o quasi, a guardarsi in un’immagine di famiglia, se ‘ero anch’io. Mi sono proposto un altro fine scrivendo per questo straordinario spazio e realizzando le otte puntate alla radio. “Ma com’era il ’68” è ascoltabile interamente sul sito Rai. Penso di fare cosa utile scrivere l’indirizzo completo: http://www.radio.rai.it/radio1/macomerail68 . Buttateci un orecchio. Un elemento per interessarvi: l’anno non fu solo francoitaloberlinese ma mondiale. Provare per credere. Bisogna uscire da eurocentrismi e da piccoli o grandi narcisismi. Ho sentito dire a una signora radical choc: quattro stracci e scendevo in piazza, che festa, che orgasmo! Aggiungo: ho visto dibattersi negli orgasmi vestimentari e protestatari tanti macho young men!
Di più. Le puntate raccontano un anno, ripeto un anno fatto di tanti fatti e fatterelli. La storia e le storie non stanno in una parola lunga un anno, anzi quarant’anni- Sessantotto-ma nella storia in senso più ampio e completo, e quindi credo più serio. Giù i tanga!
Intanto consentitemi di ringraziarvi tutti per i vostri commenti.
Sono solo di passaggio, ma stasera interverrò in maniera più “sostanziale”.
Saluto e ringrazio Italo Moscati per essere intervenuto.
Vi consiglio di ascoltare le trasmissioni on line su Radio1Rai (se potete): sono molto interessanti.
E poi, potrebbero fornire ulteriori spunti per discuterne assieme.
Se non sbaglio ogni puntata dura 26 minuti.
Magari potreste scegliere quella che vi interessa di più.
(In ogni caso, come ho scritto sul post, le puntate andranno in replica ad agosto).
@ Italo
Di fronte alla Storia non c’è tanga che tenga!
😉
A stasera…
Buona prosecuzione!
@Morena
@Idem zauberei.
Ma scusa, non sei stata tu a raccontarmi che nel 68 hai percepito la tua prima pensione? Vorrei averla io la stessa tua lucidità. Ti assicuro che è un complimento.
Vorrei dire una cosa a Italo Moscati, in difesa dei nostri ombelichi e anche del mio – ipotetico ma fondamentalmente omebelico.
Ho apprezzato molto l’aorganizzazione della trasmissione emi ha incuriosita, mi sembra una prospettiva interessante e storicamente utile, spero anche lucida.
Ma nella mia percezione del sessantotto, nella mia percezione di chi non c’era e perciò si confronta con una cosa diversa dall’esperienza diretta, ma con lo sguardo del prima e de dopo, e il se stesso del prima e del dopo, il mio ombelico è sintomatico. Il mio ombelico di femmina anche che con il sessantotto, spero che la trasmissione ne parli, ha avuto la possibilità di una rivoluzione copernicana. E anche il mio ombelico di soggetto politico, che confronta il proprio modo di stare nel paese oggi, il proprio modo quotidiano – come leggere il giornale, con che sintassi pensare le notizie, come relazionarsi alle proteste collettive – con quello di allora.
Noi venuti dopo, abbiamo una dialettica particolare con qegli altri ombelichi, che sono quelli dei nostri genitori.
Oddio speremo che se capisce.
🙂
maggio 1968, parigi. ma prima che il “movimento” attraversasse le alpi per giungere in italia, ci vollero mesi. per cui a casa nostra è più giusto parlare di 69, numero tra l’altro molto più evocativo di cose liete.
ciò premesso, io ero al ginnasio. vedevo, partecipavo, capivo, talvolta no. più che altro mi permeavo. chi non voleva permearsi poteva chiudersi in casa e far finta di nulla. volendo si poteva, nessuno veniva con il mitragliatore a “farti fare il 68”. Sta di fatto che per quelli della mia generazione fu uno spartiacque: viverlo o rifiutarlo. tra i due “schieramenti”, 40 anni dopo, si notano ancora i segni distintivi. quali sono? cercateveli!
🙂
Ciao, Morena Fanti,
dici: ”40 anni dopo, questa è diventata storia e il fermento è solo una voce del vocabolario (purtroppo).”
Be’… la Storia la si puo’ fermare solo nella nostalgia, e’ inevitabile che tutto passi. In ogni caso di ”fermenti” buoni per vivere ce ne sono, credo, tanti anche oggi: possiamo scrivere, poetare, leggere, creare, avere ideali e morali, cambiare in meglio le cose che non ci piacciono, anche senza le barricate in piazza. E se non lo facciamo e’ solo colpa nostra, non del passare della Storia.
Stammi bene
Sergio
Ciao, Greg,
…gia’… gli schieramenti. Guelfi e Ghibellini, partigiani e repubblichini, comunisti e fascisti, cattolici e atei, rivoluzionari e riformisti, conservatori e progressisti… disoccupati ed occupati, iscritti o liberi, col potere (dentro) e rassegnati (fuori)… ad libitum…
l’Italia e’ fatta di schieramenti a tenuta stagna… Ecco perche’ stiamo come stiamo. Ma come stiamo? Fattami la domanda mi do’ la risposta – come dice er capellone notturno: o stiamo dentro uno schieramento o da soli. E’ cosi’, ininterrottamente, per un motivo o per l’altro, da sempre. Una condanna divina, vero?
Gregoriano, con te tutti i salmi finiscono in gloria, ovvero si inizia a parlare di pneumatici e si finisce coi preservativi! Se non sono completamente rinco, mi ricordo che le occupazioni alla Statale di Milano si fecero nel 68. Io, poco più che ventenne, stavo in bilico tra i Raggi di Comunione e Liberazione di don Giussani (grande figura di uomo razionale) e le schitarrate al circolo Antonio Gramsci, dove mi sgolavo con Los quatros Generales e Que viva la Revolucion. Alla fine abbracciai Gramsci non in virtù dei Quaderni dal carcere, ma di una figlia di un onorevole comunista che mi faceva cantare, come Iannacci con Veronica, ‘con te non c’era il rischio del platonico’. Fu così che un ex betlomane, fighettino nel blazer bretone, divenne trasandato, barbuto e zappatore come i Rolling Stones. Qualcuno dirà che ero qualunquista, vero: l’idealismo cominciò allora, con le letture serali, sino a notte, del Capitale, la frequentazione di trotzkisti leninisti che mi facevano sentire rivoluzionario; tanto che, dandomi del ‘cinese’, mi sbatterono fuori dal circolo Gramsci. Nel frattempo i miei compagni, approfittando dell’onda, diedero anche 9 esami ‘collettivi’ e si laurearono, si piazzarono nei posti disponibili e buttarono gli eskimo. Io impiegai parecchi anni per decidere se le mie erano state conquiste o perdite. Di certo la società era passata da inquadramenti, privilegi e atmosfere per pochi ad aperture per tutti.
I movimenti del 68 hanno, in verità, avuto il loro inizio tra gli anni 45 e 60.
Con la fine della seconda guerra mondiale, che portò disperazione e sofferenze in tutta l’Europa, si formò una nuova speranza in una vita senza le solite guerre che prima determinavano il flusso del tempo nelle coscienze delle popolazioni nei paesi diventati finalmente liberi.
Furono le atrocità dell’ultima grande guerra a creare questa nuova coscienza in tutti i superstiti, da rendere finalmente possibile l’inizio di una era di pace sotto l’egida della solidarietà.
Da qui, in ogni paese occidentale s’instaurarono le democrazie popolari e si riformarono i movimenti operai, allo scopo di tutelare i loro legittimi interessi di compartecipazione al crescere forte dell’economia sullo sfondo della mancanza generale d’ogni bene e mezzo.
Libertà, giustizia ed emancipazione s’impressero nelle menti popolari, tanto da voler estinguere ogni forma di potere che ricordasse l’avvenuto del passato oscuro.
Fu un fatale errore, che le generazioni dei giovani e meno giovani commisero nel credo di poter creare una realtà migliore abolendo ogni forma tradizionale.
Nel nome dell’amore libero e incondizionato, i giovani si persero in un vuoto, difficile da riempire se non con la forza della disperazione.
Dal nulla, dato che il vecchio fu rinnegato, non può sorgere che una nuova forma di anarchia, la cui uscita è l’indebolimento della personalità e del carattere del singolo, fino all’estinzione o distruzione della propria vita nel consumo disperato della droga o eccessi vari.
La droga fu la risposta alle intenzioni mal praticate e quindi nocive in un mondo da sempre debole e imperfetto.
In questa coulisse, pur nella sua apparenza, benevole e liberatrice, agì il morbo del potere che punì i diventati disubbidienti e i suoi avversari senza muovere un dito, quindi lasciando fare e aspettando la loro fine.
Avversari di che cosa, se non del processo di maturità che non fu riconosciuto e sostenuto.
Il potere ha bisogno di cittadini coscienti, laboriosi, temerari nel sostegno dei principi di solidarietà e giustizia, di modo che non diventi maligno e finisca nelle mani di un gruppo privo della necessaria sensibilità per i problemi del cittadino, perché preso solamente dal proprio interesse.
Gli avvenimenti degli anni sessantotto, che furono una nuova forma di rivoluzione generazionale, non sarebbero accaduti, se la società intera, ma soprattutto coloro che dovrebbero essere sempre d’esempio per i giovani, avessero sostenuto incondizionatamente i principi di uguaglianza, di libertà intesa come risultato del processo personale di maturità, e di controllo costante e intransigente del potere, perché questo è ciò che i giovani maggiormente si auspicano.
Il potere può essere una forza d’unione per il bene comune, come una forza individuale o di gruppo per il loro solo bene.
Svegliamoci quindi e non meravigliamoci, se un domani la vecchia forma di potere riemergerà e causerà di nuovo le tragedie del passato. Ne saremmo tutti noi, e incondizionatamente, colpevoli per la negligenza praticata prima del suo venire.
Saluti.
Lorenzo
Caro Massimo, di quando in quando riesci a introdurre un argomento che mi interessa, grazie e ciao.
Neanche io c’ero e concordo con Zauberei sul senso di “ombelicale”. La Storia passa dalle nostre storie individuali e come ognuno di noi sa esattamente cosa stava facendo l’11 settembre 2001 così è per qualsiasi evento “storico”. Il resto è roba per convegnisti, spesso.
Credo che il lascito del ’68 sia complesso. Per me sta nello slogan “la fantasia al potere”. Forse in quell’epoca si credeva nei sogni, giusti o sbagliati che fossero. Oggi c’è poco da sognare e forse neanche il futuro è così scontato… Aggregazione. Quale movimento ha creato questo senso di appartenenza? Credo che dopo ci sia stato posto per l’individualismo l’arrivismo il rampantismo.
Prendete queste mie riflessioni con beneficio d’inventario. Io sono figlia degli anni ’70…
@ Gianmario:
la Statale fu occupata alla fine di novembre, quando il maggio francese si era già dissolto da un po’ ! In quel periodo, infatti, in molti dalla Gallia si trasferirono qui per condividere con noi gli attimi sfuggiti. Faceva fichissimo esibirli come esperti della lotta e soprattutto di slogan.
🙂
Lasciamo il tanga. Teniamo l’ombelico. Ma un altro ombelico, quello del mondo cantato da Jovanotti che non fece il Maggio e scelse di cantare con Pavarotti (un ombelico lirico e obeso) in nome della solidarietà per i popoli dilaniati nella ex Jugoslavia. Teniamolo per quei canti solidali che per molti si sono trasformati in scritture e lanci tv. Teniamolo ma guardiamo in alto. Gli ombelichi che stanno nel cuore e nella testa. E non gli ombelichi sexy con percing, gioiellini, e persino con tappo di spumante (come è accaduto a Naomi). Questi ombelichi che sponsorizzo e correvano nei cortei al suono del rock o delle canzoni, che rallegravano noiose assemblee, che accendevano gli amori nella scoperta della pillola per le ragazze, sono altri. Eccoli, da una parte: pacifismo (la guerra del Vietnam esplose anche nelle strade delle protesta giovanile), giustizia sociale,libertà individuale, voglia di diritti nuovi, più calzanti i tempi. E dall’altra:immaginazione, creatività sdrucita felice spesso fuori di testa e da sballo, fantasia, desideri (troppi?). Continuia, se volete, a parlare di altre parti del corpo e delle mongolfiere su cui si tentavano scalate: utopie entusiasmanti e utopie che diventeranno disastrose…
Parlare di ciò che poi rappresentò da noi quel periodo, concentrandoci solo sugli eventi accaduti nel periodo stesso, significa non aver compreso gran parte della storia contemporanea. L’arte aticipò, per analisi, interventi e percezioni, quello che poi avvenne. E il tragitto fu lungo; iniziò addirittura negli anni trenta come risposta ai totalitarismi organizzati, oche si stavano organizzando minacciosi. Poi ci fu la guerra che disperse i movimenti ma ne creò degli altri, favorendo incontri, contaminazioni fra artisti europei e americani. Con la ricostruzione e l’espansione economica, l’arte conobbe il suo periodo fortunato, splendido, splendente. Un po’ commerciale, forse, ma di pensiero forte. Sulle ali dell’arte le idee circolarono ed esplosero con una forza, davvero rivoluzionaria…
Senza quella ventata di genialità che entusiasmò artisti, scrittori, cineasti e poeti, tutto si sarebbe disperso con il tempo naturale degli avvenimenti. Esagerammo, ma le responsabilità si perdono negli interessi della politica e negli intrighi che oscurarono ogni cosa.
…Arte che si poneva come idea, come azione etica
🙂
Miriam, è emerso dai miei libri un documento del Movimento Studentesco di Milano datato 10 maggio 1968 in cui si diceva che ‘il MS si pone come obiettivo tattico immediato lo sgravio della pressione fiscale e autoritaria sugli studenti’ dettando alcune condizioni. Pertanto direi che l’origine è contestuale, o di poco posteriore, ai moti studenteschi europei; poi, come dici tu, le occupazioni dure, furono dell’autunno. Quanto all’arte, sarò stato frastornato, all’epoca, ma proprio non mi ricordo che emergesse in qualche forma particolare: parole, tante, queste sì. Ma, diavolo di un Navigero, se continua con le sue inchieste finirà che mi dovrò ricordare anche della mia balia e delle sue tette spropositate…
Gianmario, è vero, questo Massimo ci costringe a cose pazzesche!!!!
Però per l’arte è così , ho ripassato tutto oggi, ma non mi sembra il caso di scrivere un saggio breve. Un nome solo: Piero Manzoni e la sua merda d’artista. Tieni presente che fece tutto molto prima del 68 (morì nel 1963)E poi tu, come puoi ricordarti dell’arte se facevi il trotzkista leninista! Fra l’altro,Trotzki, fu fatto fuori in Messico proprio da un pittore (così sembra)!!!
ciao
🙂
Mi permetto di dire qualche cosa sull’argomento ”arte (Lettere incluse) e politica”.
–
1) L’arte, quando c’e’ ed e’ vitale, qualsiasi potere economico-politico puo’ solo ufficializzarla e remunerarla, ma anche senza ufficializzazioni e soldi si impone di per se’;
2) la fantasia, anche se non sta al potere, non puo’ essere limitata;
3) un Paese puo’ evolversi anche senza far rivoluzioni;
4) i grandi artisti non sempre hanno grandi ideali politici, anzi spesso ne stanno fuori, ne sfuggono i limiti terreni e secolari;
5) l’arte deve avere un’idea di fondo del tutto, ma questa idea puo’ anche nascere da un fior di campo e finire sulla sua corolla, senza per forza sognare un mondo umano diverso.
Questo e’ pessimismo storico puro, lo so. Ed individualismo. Infatti non vedo altra possibilita’ per l’artista di creare e vivere, se non uscendo dalla malattia della Storia, pur senza ignorarla. Ma uscirne si’, sempre, nell’esercizio dell’arte. Dopo averla studiata.
Caro Luca, li ho letti i libri che indichi. Potrei allungare, di molto, il tuo elenco esemplificativo. Mi sono stati tutti utili, anche quando non li condividevo leggendo. (Ricordo, tanto per stare nei libri, che uscì nel 1998 un mio libro intitolato “1967-Tuoni prima del Maggio”, con l’intenzione di non celebrare l’anno ma di raccontare l’anno prima,gli anni prima, e cioè le fasi di preparazione degli ultimi o penultimi cento metri che seguirono). Tra i libri che ricordi ce ne sono due di Mario Capanna. Non lo conosco. L’ho visto in tv quando col microfono in mano arringava i contestarori davanti alla Scala e poi, infine volte nelle tribune o trasmissione politiche. Fanatico del ’68, con passione sincera, mi pare, e con un pizzico di…eccessivo compiacimento per averlo vissuton e per esserne stato un dei leaders. A volte, quando ricompare, fa discorsi per metà assennati e per metà patetici. Ma non sono d’accordo con chi lo ha preso per il c….
Si fa presto a prendere qua e là, e prendersela con un ingenuo (magari un pirla senza saperlo, dico per dire) che ha vissuto una esperienza e ci ha guadagnato poco o nulla, magari solo prese in giro e una presa di inebriante nostalgia o visionarietà. Siamo al punto che i Patetici del Potere criticano i patetici di chi ha scambiato lo scontro con i poteri con i tempi dei ragazzi della via Pal…Capanna e tanti come lui vanno discussi ma non presi…Sono inoffensivi e teneramente “idioti” (in senso dostojevshiano) ma lo sono meno di certi predicatori della stampa tesi a nutrirsi di prodotti scaduti per sentirsi ganzi…
Insomma, e qui chiudo davvero scusatemi, l’uomo artista puo’ anche non essere un ”animale sociale”, dunque ingabbiarlo negli eventi storici significa tarpargli le ali: e questo si fa oggi in Italia.
Ciao a Miriam, a Gianmario e a tutti.
@Miriam, e Carlos’s, e Gea e quanti altri…bravi.
Gli altri.
Tutti a dire quanti anni avevamo nel ’68…il chi c’era…
Il 1968 è stato un evento rivoluzionario e/o culturale.
Era stato anticipato dai musici, Beatles e Rolling Stones, e dalla moda e le cosce secche di Mary Quant.
Fu una rivolta borghese.
Ma anche la rivoluzione d’ottobre fu una rivoluzione borghese, parola di Comunista.
Il primo prodotto di sovversione dello stato di cose presenti non programmato (neanche la rivolta di Spartacus e dei gladiatori lo furono, ma quella è un’altra storia).
Non nacque in Italia, vi arrivò come riflesso sbiadito e cominciò sempre di riflesso, sull’onda delle manifestazioni di pensiero francesi e di quelle medio-borghesi americane.
Le yankee furono forse più potenti. Gli americani che se ne fottevano della pace, ma se la facevano sotto ad andare in Viet-nam.
Fu descritto bene da Pasolini, ed è pedissequo ricordarlo, visto che siete tutti abbastanza colti, amici cari, da sapere cosa disse PierPaolo.
Da noi cominciò a friggere nel 69, un po’ come le mode, (@Miriam ha sempre ragione @Gianmario piantala di fare ricerche!)
Ci sono alcune date, sostanzialmente che lo rimarcano, ma il sigillo vi fu posto il 25 novembre 69 quando il Pci sancì la nascita del ’68 espellendo i redattori del gruppo “Il Manifesto” Aldo Natoli, Luigi Pintor e Rossana Rossanda (la Rossanda a novembre era ancora abbronzata), che sarebbero andati a fondare “Il Manifesto” (giornale), e quando il 12 dicembre l’altro avversario di quella rivoluzione (ma non si comprendeva), lo stato, avallò e insabbiò la bomba di Piazza Fontana e tre giorni dopo si fece cadere dalle mani scivolose il povero Pinelli.
Ma quello era il ’69 e lo avevano cominciato gli operai. Gli studenti, tutti figli di ricchi (qualche figlio di portiere, di stabile, non di calcio) trovarono la breccia del proletariato.
…
Fu dirompente il ‘68, il capitalismo ne aveva necessità per riformare la produzione industriale e i bisogni indotti. Le industrie degli eskimo furono quotate in borsa e il panino con la nutella del Mamiani, dopo essere entrato nel “paniere Istat”, contribuì ad un aumento sostanziale del Pil.
Nacquero “Potere Operaio”, “Avanguardia Operaia”, “Mondo Operaio”, “Maledetto Operaio”, quest’ultima espressione coniata da Gianni Agnelli dopo l’istituzione dello Statuto dei Lavoratori (70), che tra l’altro prevedeva nei bagni delle fabbriche l’introduzione della carta igienica a due veli.
Nacque a quei tempi l’avverbio “Cioè”, per le assemblee studentesche e di fabbrica, collegato alla frase “in quanto donna” per i collettivi femministi.
Di quel tempo ci restano alcuni dischi in vinile e la coscienza a posto: abbiamo già dato!
Eccomi di nuovo qua.
Grazie per i nuovi commenti…
Caro Sergio, oggi l’artista cercava di uscire dalle ali tarpanti dell’Italia culturalmente cattofascista per gettarsi in altre ali da un’altra parte. Oggi non c’è artista che non cerchi casa o casina o casino, nel senso che nel casino politico o dell’antipolitica pullalo artisti (specie registi e attori) che si schierano sperando di lavorare in nome del potere in cui si sono fatti cooptare. Nel ’68 o Sessantotto c’era almeno l’illusione che l’artista era un artista….
Naturalmente, nel mio precedente c’è all’inizio un “oggi” scappato dal ’68 e tuttavia lapsus…pardon…
Per tornare un attimo alla leggerezza…
Mi viene in mente che il ’68 è stato l’anno in cui usci la canzone più bella del secolo (chi non è d’accordo mi dimostri il perché).
Il giorno esatto dovrebbe essere il 30 agosto.
La canzone è “Hey Jude!”. La compose un certo Paul McCartney, che la cantò insieme ad altri tre amici.
@ Italo
Hai scritto: “Oggi non c’è artista che non cerchi casa o casina o casino, nel senso che nel casino politico o dell’antipolitica pullalo artisti (specie registi e attori) che si schierano sperando di lavorare in nome del potere in cui si sono fatti cooptare. Nel ‘68 o Sessantotto c’era almeno l’illusione che l’artista era un artista….”
–
Non sono d’accordo. Gli artisti prezzolati (o partaborse o portabandiere)o gli pseudoartisti ci sono sempre stati. Ci sono oggi, come ci sono stati ieri.
Mi piace pensare che oggi – come ieri – ci siano ancora artisti liberi (e uomini liberi).
Mi piace pensarlo e lo credo.
Secondo me fare di tutta l’erba un fascio (in positivo o in negativo) è sempre sbagliato.
@ Jean de Luxembourg
Hai scritto: “L’immagine di Massimo con l’anno “1968″ scritto con il paint piace parecchio. Sembra una delle tante scritte fatte con una bomboletta di vernice su un muro di un palazzo delle nostre città e fotografato con una vecchia macchina in bianco e nero”.
—
Grazie Jean, mi fa piacere che ti piaccia.
In effetti mi hai fornito una buona idea.
Va’ a rivedere l’immagine.
D’accordo. Accetto l’osservazione, come speranza, come illusione, come correzione di persone. Io non parlo degli artisti che lavorano in silenzio, si calano nel loro lavoro, ma di quelli (ho scritto preferibilmente registi o attori) che sono ogni giorno sulle pagine dei giornali, che si candidano a presidenze, sottosegretariati, consigli di amm, eccetera. Non faccio nomi. Li conosciamo tutti. Io penso, e qui non ho dubbi, che molti artisti sono direttamente o indirettamente responsabili del declino di una situazione artistica e culturale che abbiamo sotto gli occhi. Certo non mancano le eccezioni e le consolazioni ma… il ’68 era un’altra cosa e se serve cercherò di spiegarlo…
A me è piaciuta molto una definizione letta su La Repubblica: il ’68 fu l’anno della rivoluzione contro il padre.
L’esigenza di avere un dialogo profondo con il padre.
Negli anni settanta i miei genitori mi dicevano di passare alla larga dai capelloni che si riunivano in gruppo nel parco di fronte casa mia e accendevano fuochi di bivacchi, la notte cantavano e suonavano, si chiamavano hippies. Passano alla storia i loro cespugliosi capelli, le patacche in ferro su pelosi o setosi ombelichi, le ragazze magre e infiorate pronte all’unione, mitici i filmati di Woodstock, come rappresentante di una generazione successiva li ringrazio tutti per aver introdotto nuove leggi nel codice civile. L’epoca porta con sè anche i ricordi degli oggetti, i dischi in vinile, i cinturoni, i pantaloni a zampa, mi è rimasta addosso il ricordo di un’atmosfera dove insieme alla gioia del movimento c’era l’immagine della novità.
Sono stati ragazzi fortunati quelli del sessantotto, figli di un Italia che cavalcava l’onda del boom economico, liberi di poter scegliere se fare la rivoluzioni o accomodarsi passeggeri sulla fiammante fiat del padre, oppure entrambe le cose. Anche la mamma, bigodini a parte, prese ad avere dimestichezza con la lucidatrice e la lavastoviglie e la vita cambiò, il costume cambiò: interessante fu che il fenomemo ebbe una dimensione planetaria, i cortei si vedevano a Londra come a Roma, a Parigi come a New York. Gli animi predicavano l’amore e la pace e le contestazioni portarono l’esatto contrario.
A distanza di tempo, così come ha ammesso lo stesso Mario Capanna, ci si accorge che quanto voleva inizialmente combattere l’edonismo ha finito per essere completamente assorbito dal consumismo, ed è qui, a mio avviso, che cade la rivoluzione culturale e tutta l’ideologia che nella buona fede l’aveva sostenuta, s’inabissa qull’esigenza che nel suo impulso vitale voleva un dialogo vero fra le generazioni.
Oggi, fra tecnologie avanzate e vuoti esistenziali, ricompaiono i nostalgici del sessantotto e questa volta sono loro ad esser padri, (qualcuno anche nonno) : mi piacerebbe capire se nei loro racconti a figli e nipoti, accanto alla nostalgia hanno compreso che cos’è la libertà.
Caro Italo Moscati,
un conto e’ doversi adattare, superficialmente, alla politica per poter campare, e un conto e’ aderire profondamente ad un partito. Ecco. I pochi veri artisti ancora esistenti, mi sembra che si adattino e li capisco; gli pseudoartisti invece aderiscono e di solito valgono meno della penna che usano.
Cordialmente
Sergio Sozi
Capisco cosa intendi, Italo. E in effetti di quel tipo di persone ce ne sono tante.
E certo che il ’68 era un’altra cosa (approfondisci il concetto se ti va, sì). Perché la stessa “aura” di contestazione (e di rottura) favoriva lo scioglimento di certi “legacci” con un certo mondo.
Oggi viviamo in contesto molto (ma molto) più piatto, non c’è dubbio. L’abbiamo detto altre volte.
Ma la domanda di fondo resta.
Che eredità ci ha lasciato il ’68?
Ci ha lasciato davvero un’eredità, o fu solo mera illusione?
(Tu, appunto, hai scritto che “Nel ‘68 o Sessantotto c’era almeno l’illusione che l’artista era un artista….)
@ Miriam e Gianmario
Sono lieto di avervi “costretto” – grazie a questo intervento diItalo Moscati – a ri-pescare sul vostro passato e a cercare vecchi documenti – o libri – e ricordi accantonati.
Dovrei farlo più spesso!
🙂
E se il “68 non fosse un anno?
Se fosse la voglia sfrenata di essere – una volta sola essere – ciò che non possiamo?
Se fosse quella libertà che non abbiamo, la vita che non avremo il coraggio di vivere, i sogni che non osiamo formulare?
Se fosse ciò che non riusciamo ad essere?
…E allora tornerà. Sotto mentite spoglie tornerà, e forse è già tornato mille volte nella storia, ogni volta che un uomo ha detto no, una donna si è data solo per amore, una canzone o un libro è stato scritto per pura necessità.
Prenderà altri nomi, e si vestirà di altre facce, avrà forse parrucche nel 1700 o tanga nel 1900, sciorinerà bandiere al vento o le brucerà.Sarà i volti che avremmo voluto guardare allo specchio. Liberati. Padroni di un destino. Illusi, solo illusi, di dominarlo.
Perchè la storia insegna. Il sogno – dopo – cambia. Crolla. Si trasforma.
Ma ciò che ricordiamo non è il crollo.
E’ che abbiamo sognato.
Che cos’è un artista? Cominciamo da qui. Nel ’68 incontro e frequento Pasolini e Visconti. Avevano le loro idee politiche, dalla stessa parte. Ma nella libreria di Visconti c’era abbondante letteratura novecentesca: libri annotati accuratamente pagina per pagina. Nelle giornate di Pasolini c’era una febbre di conoscenze e di creativià (da pasticheur come diceva lui stesso) che impressionava…Altri erano come loro, concentrati nel lavoro, nemmeno un secondo andava sprecato per farsi raccomandare da un potente per conquistare un posto a Cinecittà, nei teatri stabili o lirici, in tv…Adesso, di personaggi senza calcoli di questo genere ce ne sono sempre meno (e non c’erano tra i giovani artisti del ’68) e non annotano, forse neanche leggono, forse la creatività si sviluppa nei corridoi dei passi perduti, nelle anticamere. Mi spiace ma la tendenza è questa. Altro che revival del ’68!
Brava Simona!
Simona è sempre brava, Italo.
In effetti, Simo, questa tua visione del ’68 è molto particolare e suggestiva. Eppure verissima.
Scrivi: “E se il “68 non fosse un anno?
Se fosse la voglia sfrenata di essere – una volta sola essere – ciò che non possiamo?
Se fosse quella libertà che non abbiamo, la vita che non avremo il coraggio di vivere, i sogni che non osiamo formulare?
Se fosse ciò che non riusciamo ad essere?
…E allora tornerà. Sotto mentite spoglie tornerà (…)”
—
Questa tua lettura conferma, per quanto mi riguarda, che il ’68 – considerato come anno – è poco più di un’illusione.
È che abbiamo sognato.
Ma ti domando (e vi domando)… serve (è utile) sognare?
@ Italo Moscati
Sono d’accordo: Mario Capanna, che ho avuto l’occasione di conoscere, è un’uomo intelligente, da intellettuale acuto e buon conoscitore del costume sociale ha analizzato e capito gli errori della sua generazione e per quanto politicamente anacronistico, suo malgrado, come persona non è per niente patetico. Tutt’altro. Dovrebbe dedicarsi esclusivamente alle scienze politiche.
Trovo patetica la scena politica ed i suoi personaggi quelli i che sono a destra vanno a sinistra e viceversa, al centro chi c’è non si sa, i lifting se li sono fatti tutti, non si riesce a capire la differenza fra un populista e un popolare, un radicale e un democratico operaio, la classe dirigente è vecchia o è nuova e poi dov’è la novità…
@ Italo
Sono piuttosto d’accordo con il tuo commento delle 12:33 am
Caro Italo,
mi dici che ”nella libreria di Visconti c’era abbondante letteratura novecentesca: libri annotati accuratamente pagina per pagina. Nelle giornate di Pasolini c’era una febbre di conoscenze e di creativià (da pasticheur come diceva lui stesso) che impressionava…Altri erano come loro, concentrati nel lavoro, nemmeno un secondo andava sprecato per farsi raccomandare da un potente per conquistare un posto a Cinecittà, nei teatri stabili o lirici, in tv”.
Concordo. FINO al Sessantotto un uomo di cultura era un uomo di cultura. Studiava. Anche se di Destra. Studiavano tutti. DOPO il Sessantotto, invece… eh… due piu’ due fa quattro.
@ Simona
In poche parole ti rinconduci all’utopia?
@ Rossela…non all’utopia in generale. A quella che coviamo sotto le apparenze…
Buona notte a tutti!
Auguro a tutti buonanotte.
Rispondo alla mia domanda.
Serve (è utile) sognare?
Credo di sì. Senza i sogni la vita sarebbe grigia.
L’importante è fare dei sogni trampolini di lancio e non occasioni di distruzione. (Mica facile).
Il rischio c’è… ma meglio affrontare i rischi che accettare il grigiore cupo.
Tranquillo, Massimo: il sogno non e’ Storia, ne’ politica. E’ solamente sogno e appartiene a chi sa ricordarselo – perche’ lo fanno tutti. Chi se lo ricorda e lo sa trascrivere adeguatamente e’ un letterato, e studia la grammatica per farlo bene, questo suo ”reportage onirico”.
Cosi’ ho risposto anche a Moscati.
Buonanotte e grazie a Italo Moscati, Simona, Massimo eccetera. Ciao Dido’: fa caldo a Napoli o hai la fevra a quaranta come disse Bennato?
Sergio
Ma quella di prima era una considerazione generale, non strettamente legata al ’68.
—
Ascoltate (o riascoltate) “Hey Jude!”, che fa bene…
http://www.youtube.com/watch?v=YXG83p2nkHw
Buonanotte a tutti (stavolta davvero).
@ massimo:
io rispetto la tua idea. ma si vede lontano un miglio che nel 68 avevi zero anni.
per noi, già grandicelli e imbarazzati alle prime feste, Hey Jude sermbrava bella solo perché era lunga e ti consentiva di tenere la lingua in bocca della ragazza un po’ più di “Holyday” dei Bee Geese o di “Rain and tears” degli Aphrodite’s child.
Per i beatlesiani le cancozi del gruppo sono altre, tante altre. Hey Jude è nel mucchio. Un bel mucchio, ma sempre mucchio. She’s leaving home, per esempio, la polverizza.
Per il resto a me sembra che essere qui a raccontare quegli anni dopo averli vissuti sia già un miracolo. Molti che mi facevano compagnia non ci sono più da tempo o è come se non ci fossero. Non so cos’altro dire.
Quando ci si sveglia, i sogni (belli) si mescolano o si possono mescolare con gli incubi a occhi aperti. Il ’68 è stato un sogno? il sogno di una o di tante notti? Ripensandoci è stato un sogno mscolato a incubi. Il sogno di vivere una stagione speciale in mezzo a cretini che straparlavano, usavano slogan e gergo stravecchi gabellandoli per nuovi, intanto preparavano le molotov e se c’era qualche mitra in giro lo mettevano da parte…Un sogno finito in tragedia. Ma c’era chi sognava ed era contro i cretini, non si lasciava influenzare e soffriva un pò in mezzo alle canzoni, agli amori, alle urla di passione e di rancore per ingiustizie magari geograficamente lontane…c’era chi non si genufletteva davanti alla immagine del bel Che Guevara esposta per molti minuti in coda al film “L’ora dei forni” di fronte alla quale centinaia di ragazzi sembravano farsi prendere da una trance (Pesaro, Mostra del cinema, ’68…)
Buona giornata a tutti
@ Italo
Definire il ’68 come “un sogno mescolato a incubi” mi sembra un compromesso più che condivisibile.
@ Enrico
Anch’io rispetto la tua idea. Ma si vede lontano un miglio che nel ’68 eri in preda a confusioni adolescenziali. 🙂
“She’s leaving home”, pezzo dello stesso McCartney, è bellina, certo. Carina l’idea della ragazza che decide di fuggire da casa cantata con quella doppia melodia a incrocio, ma “Sgt. Pepper” contiene brani di ben altra fattura. A parte il pezzo omonimo, persino “With a little help of my friend” (sempre di Paul, ma cantata da Ringo) le è superiore. “A day in the life” (pezzo di John con parte finale di Paul) è di un altro pianeta.
“Hey Jude!” è un pezzo geniale per la melodia e anche per la semplicità del testo.
La prima volta che Paul si mise al piano per farla ascoltare a John c’era anche Yoko Ono presente (e il rapporto nel duetto Lennon/McCartney) si stava già incrinando.
Eppure John quando ascoltò quel brano rimase strabiliato. Credo che il pezzo che abbia invidiato a Paul sia proprio quello: “Hey Jude!”
—
don’t make it bad / take a sad song and make it better…
Ma cosa pensavano i Beatles del ’68?
La risposta ce la fornisce il brano “Revolution” di John Lennon, presente all’interno del doppio “White Album”.
Per loro, peraltro, il 1968 si era aperto con un viaggio in India presso il Maharishi Mahesh Yogi.
Ecco il testo di “Revolution” (evidenzio un passaggio importante)
—
You say you want a revolution
Well, you know
We all want to change the world
You tell me that it’s evolution
Well, you know
We all want to change the world
But when you talk about destruction
Don’t you know that you can count me out
Don’t you know it’s gonna be all right
all right, all right
You say you got a real solution
Well, you know
We’d all love to see the plan
You ask me for a contribution
Well, you know
We’re doing what we can
But when you want money
for people with minds that hate
All I can tell is brother you have to wait
Don’t you know it’s gonna be all right
all right, all right
Ah
ah, ah, ah, ah, ah…
You say you’ll change the constitution
Well, you know
We all want to change your head
You tell me it’s the institution
Well, you know
You better free you mind instead
But if you go carrying pictures of chairman Mao
You ain’t going to make it with anyone anyhow
Don’t you know it’s gonna be all right
all right, all right
all right, all right, all right
all right, all right, all right
Ecco una traduzione del brano trovata on line
—
Dici che vuoi fare la rivoluzione
Be’, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Mi dici che è evoluzione
Be’, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Ma quando parli di distruzione
Non sai che non devi contare su di me?
Non sai che andrà tutto bene ?
Non sai che andrà tutto bene?
Non sai che andrà tutto bene?
Dici che hai trovato una diversa soluzione
Be’, sai
Non ci va di conoscere il progetto
Mi chiedi di dare un contributo
Be’, sai
Facciamo quel che possiamo
Ma se vuoi finanziare persone che nutrono odio
Fratello, tutto ciò che posso dirti è dovrai aspettare
Non sai che andrà tutto bene
Non sai che andrà tutto bene
Non sai che andrà tutto bene
Dici che cambierai la costituzione
Be’, sai
Vorremo tanto farti cambiare idea
Mi dici che è l’istituzione
Be’, sai
Faresti meglio a mettere la testa a posto
Ma continui a portare foto del Presidente Mao
Non la farai [la rivoluzione] con nessuno, in nessun modo
Non sai che andrà tutto bene
Non sai che andrà tutto bene
Non sai che andrà tutto bene
O, o, o, o, o, o, o, o, o, o
Tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene
Tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene
O, o, o, o, o, o,
Tutto bene, tutto bene, tutto bene
Tutto bene
Tutto bene
Per chi volesse ascoltare e vedere “Revolution” (nella versione più hard del singolo)… eccola:
http://www.youtube.com/watch?v=87yq372R4Ts
Di nuovo… buona giornata.
Buona giornata a te, Massimo, e a tutti gli altri… E poi, Massimo, io ho scritto “brava Simona” e tu hai ribadito “è sempre brava”…Ne prendo atto e mi complimento con Simona e con chi fa vivere questi spazi!
Complimenti per la nuova picture… un po’ meno complimenti al carpentiere che ha eretto il muro sullo sfondo… spero abbia cambiato lavoro. 😉
Eh sì, brava sempre Simo.
Il sogno è necessario, per reinterpretare il reale, per intravedere scenari possibili.
Io sono quello che ho cercato,
quello che scavando non ho trovato.
Brava anche tu Maria Lucia!
@ Massi…
lo diceva Shakespeare…”noi siamo della stessa sostanza dei sogni…”
E citiamo pure Calderon de la Barca:”La vita è sogno”. Ma, come rileva Massimo in riferimento a un mio “compromesso”, la vita è sogno e incubo, sogni spesso come desideri e desideri che, inappagati, suscitano incubi, voglia di incubi, forse per …punirsi? Il ’68 potrebbe essere anche e soprattutto questo’
di qualsasi movimento , proprio perchè così esteso ci sono splendori e miserie.
Bisognerebbe chiedersi non tanto cosa sia stato ma cosa è rimasto dentro noi.
a me non sono rimasti ricordi di ombelichi al vento. ne vedo molto più oggi.
volevo segnalare questo libro
“il mondo sottosopra” di renato pasqualetti edito affinità elettive
buona giornata a tutti.
tanti diari personali del 68 che è poi da noi 69/70.e proseguimento…….
formerebbero un interessante libro teso all’individuo e non ad un omologazione spesso mal costruita.buona giornata a tutti patrizia garofalo
Caro Italo, condivido pienamente la tua posizione e visione culturale sul ’68, prima e dopo, il riferimento al sogno generazionale e a Mario Capanna compreso il translato dei ragazzi della Via Pal: ché io in quel periodo abitavo in P.za Giulio Cesare in Milano e un mio carissimo amico, oggi avvocato principe del foro di Milano, abitava al Giambellino: è tutto vero! Mario Capanna una persona veramente perbene e utopica non ci ha permesso di studiare liberamente con le occupazioni delle aule della Statale; ma io devo ringraziarlo, ché il sogno,il mio rapporto ludico con il ’68,sono andato a godermelo a Londra, per un anno, tanta musica, il mio sesso con amore, e niente spinelli, pasticche o altro;
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ché io ho deciso di svegliarmi sempre al mattino, nella condizione di ricordarmi i miei sogni. Così mi sono laureato in legge con 110 e lode e pubblicazione della tesi in diritto internazionale: pronto ad entrare a pieno titolo, quindi, negli anni ’80: gli anni finalmente dell’azione con obiettivi concreti e non utopie contaminate dalla politica estremista sia di destra che di sinistra: poveri figli del tempo di allora così insicuri e ingenui da credere che la libertà fosse un diritto che non si nega a nessuno: nemmeno ai ragazzi della Via Pal.
Buona giornata a te Italo Moscati e grazie per la tua seria e corposa testimonianza,
e a tutti gli amici in ascolto.
Luca Gallina
Volevo ringraziare Silvia per le sue parole e perché, evidentemente, si sente più vicina a quelli che nel ’68 erano troppo piccoli o non c’erano proprio. Magari ci si ritrova quando si parla, se se ne parla, del ’77 😉
@ Simona
il 68 non fu un sogno ma un’esplosione energica che non si poteva più contenere e in ogni realtà, si sviluppò contaminandosi ai diversi contesti. In Francia, abituati alle rivoluzioni e alle contro rivoluzioni, accorparono le agitazioni in pochi mesi. Noi la tenemmo lunga, ancora, ancora e ancora, fino all’epilogo tragico che conosciamo. Riempimmo di sogni “i ricordi” dei primi entusiasmanti momenti, lo sboccio del fiore. Poi fu chiasso, pretesa, confusione, spaesamento, violenza, dissoluzione. Rimase vivissima la retorica. Pensa che successo straordinario!!!
🙂
Riassumo il mio scritto con una frase: il 68 segnò lo sfogo delle illusioni che frullano in ogni mente umana, soprattutto in quelle dei giovani, di poter creare un mondo migliore. Alla fine si rivelò ebbene una sola illusione. Illusione è la scintilla di ciò che dovrebbe avvenire dopo, senza poterlo divenire per mancanza di una preparazione seria e conseguente al contatto con la realtà rappresentata dalla classe del potere, che a sua volta sa sfruttare ogni movimento di massa per il suo bene.
Del 68 non ci rimane che un’esperienza utile per il prossimo futuro, quando la situazione politica, di certo globalizzata, costringerà le nuove generazioni di tutto il mondo a ritentare la rivolta civile e pacifica con più maturità e quindi coraggio, perseveranza, veridicità, e quindi meno tornaconto individuale, così che infine anche un’illusione possa realizzarsi nell’intrico del potere, addomesticandolo e rigenerandolo.
Illusioni e sogni sono le forze della sopravvivenza personale in un mondo troppo difficile e complicato da poterlo rendere idoneo anche soltanto per se stesso.
Saluti
Lorenzo
@ massimo:
la complessità armonica e strutturale di “she’s leaving home” non ha eguali nè precedenti. quanto poi a ritenerla migliore o peggiore di altre, de gustibus. così come per me, prima di “hey jude” ce ne sono a decine.
strawberry fields forever
eleonor rigby
the fool on the hill
yesterday
while my guitar gently weeps
accross the universe
i’m the walrous
let it be
……..proseguo?
🙂
Smona ha scritto: il 68 covava l’utopia sotto le apparenze ed ha ragione. Il suo è il pensiero della “classe dirigente”, di coloro che di buon occhio guardano ai movimenti di massa ispirati dai sentimenti di giustizia e che, con sorriso sornione, riflettono su Morfeo (…)
Secondo me bisogna andare un tantino oltre. Riflettere, come effettivamente stanno facendo gli ex sessantottini che realizzano bilanci esistenziali, su concetti che riguardano l’interiorità della persona.
Vado sul pratico.
Cercare nuove dimensioni, plasmarsi, la duttilità è data anche dai tempi e gli avanguardisti mi sono sempre piaciuti, vanno avanti sostenuti dalle passioni, di solito le loro vite sono piene ed intense, ricche di esperienze vivificanti… ad un certo punto però è abbastanza naturale chiedersi dove si sta andando o perchè si è presa quella direzione, qual’era la meta.
@Italo Moscati
Non avete previsto la pubblicazione delle Vs. registrazioni dell’intero ciclo di trasmissioni Rai su CD?
Grazie e complimenti per il tuo prezioso lavoro,
Luca Gallina
Grazie a Italo Moscati…
… e a tutti voi che mi permettete di dare uno sguardo a un periodo che non h vissuto ma del quale tutti noi “settantini” siamo in qualche modo figli.
@ Italo Moscati…grazie! Sì, la vita è sogno e incubo. Ma incubo non è solo il non-sogno, il sogno non realizzato. E’anche il sogno realizzato e speso male.
@ Rossella…non credo che le due cose siano in contraddizione tra loro. Interrogarsi sull’origine dei propri sogni equivale a interrogarsi su se stessi, sul perchè delle strade intraprese o degli errori fatti. All’origine di ogni nostro sogno c’è una domanda dell’anima. Un’esigenza. Una traboccante necessità.
E anche le esplosioni di energia di cui parla Miriam credo abbiano molto in comune con ciò che cova tra le maglie dei nostri desideri….
D’accordissimo, cara Simona: il sogno, i sogni spesi male (o sequestrati da incubatori di incubi…)
io ci avrei fatto proprio un post, tempo fa..
non copincollo.
se qualcuno vuole dare un’occhiata
http://mahpuntogea.splinder.com/post/17514749/la+vida+es+sue%C3%B1o
mi pare meno invasivo, così.
ah, e ci sta proprio la citazione da springsteen:
”is a dream a lie if it don’t come true
or is it something worse?”
(la sgrammaticatura è originale)
un sogno che non si realizza è una bugia o qualcosa di peggio?
http://www.youtube.com/watch?v=LWQV7agBFtE
Scusate se non sarò breve.
Uno.
Simona e poi Massimo lanciano questa deriva sul sogno, ampiamente raccolta.
Io la penso più come Miriam: “il 68 non fu un sogno ma un’esplosione energica che non si poteva più contenere e in ogni realtà, si sviluppò contaminandosi ai diversi contesti”.
Non credo neanch’io ad un sessantotto marcato dal sogno. Allora si credeva concretamente nelle azioni condotte. Il materialismo storico era filosofia imperante.
Immaginazione al potere, peace & love, utopisti ed utopie erano qualcosa di aggiuntivo. Il potere di cambiare il mondo, o almeno di incidere in quel cambiamento, era percepito come reale e concreto e la fantasia era solo uno dei mezzi (non il fine) a disposizione; ed il mondo effettivamente cambiò. Non proprio come volevamo, ma cambiò.
Due.
Per gli artisti può anche essere, come sempre, diverso. L’artista di fantasia si nutre, sennò che artista è? Ma credo che nel 68 anche gli artisti pensassero a possibilità concrete. All’azione oltre che alle idee.
Già mezzo secolo prima del 68 anche Marc Chagall (che artista era) tornò in Russia pensando che grazie alla rivoluzione l’arte si sarebbe definitivamente liberata da canoni superati e pastoie generando nuove possibilità. Sappiamo tutti come andò a finire. Chagall se ne scappò di nuovo via e il regime che nacque da quella rivoluzione fu tutt’altro di quello che immaginava. L’arte in effetti morì soffocata dalla propaganda (come sono bieche e triste le cosiddette “arti di regime”, sempre ed ovunque!).
L’arte che si frammischia alla politica finisce per piegarsi ad essa e ai suoi voleri. Ciò che non risulta funzionale alla causa diventa contrario alla causa e va soppresso. Pasolini (che artista era) proprio a causa dei suoi giudizi su Valle Giulia fu sempre considerato eretico dai suoi partiti di riferimento. Guttuso ad esempio a mio parere non fu vero artista.
Tre.
Nel 68 questo mare di bisogni, di idee, di necessità profonde fino allora latenti, trovò (non so neanch’io come) un pertugio nella crosta attraverso il quale fuoriuscire. Anzi i pertugi c’erano già qua e là da qualche anno, ma nel 68 la pressione di quel magma giunse al livello di guardia (forse) e trasformò quei pertugi in crateri e quei rivoli preesistenti in un fiume di lava.
In quel fiume c’era di tutto, e forse non tutti volevano le stesse cose. Ce ne accorgemmo col tempo: il mondo cambiava ma forse nessuno riusciva a riconoscerlo come avrebbe voluto. Forse è allora che ci accorgemmo che avevamo sognato. E ciò che nasce come sogno è a posteriori che si rivela utopia.
@ Massimo & Enrico
Beatles over all: 1) The fool on the Hill; 2) A day in the life; 3) For no one.
Hey Jude? troppo sempliciotta. She’s Leavig Home ? troppo barocca.
@ Carlo
considerando la tua lucidità, avresti potuto continuare anche con altri capitoli. Concordo in tot.
🙂
Da non dimeticare:
oltretutto fu anche “dolorosissimo” concludere gli studi in un caos didattico che penalizzò la formazione, soprattutto di chi a casa non aveva mezzi e sostegni per fare da solo. (i figliolini di papà godevano un sacco ad occupare le scuole e impedire a noi, figli di proletari, di frequentarle) Il 68 “poetico dei sogni” fu anche questo!
A proposito di ’68 classista ( i figli dei ricchi e i figli dei proletari). Simone Weil, molto amata oggi più di ieri, figlia di borghesi, andò a lavorare in fabbrica per raccontare la condizione operaia. Ne uscì definendola insostenibile. Nel ’68, e soprattutto i primi anni dopo, i figli del benessere con proletari affascinati dal linguaggio e da scelte di campo per i dannati della fabbrica e della terra, cercavano gli operai, anzi l’operaio da far parlare nelle assemblee. Fu anche quello un sogno?
Grazie per i nuovi commenti.
Tornerò più tardi.
Gregoriano, d’accordo pienamente con te sulle canzoni dei Beatles; aggiungerei solo, tra le prime We can work it out (con variazioni di tempo e uno dei testi meno sempliciotti) e la sorprendente Help (praticamente polifonica). Se ti bastava Hey Jude per fare il Lupo con Cappuccetto Rosso, cosa non hai combinato quando è uscita Je t’aime, moi non plus…?
Massimo, grazie per avere opportunamente riportato il testo di Revolution. Nell’aria, allora, c’erano molte cose, molte tensioni: conosci la potente The eve of destruction? In paragone mi sembra che oggi ci sia solo odore di gomma, aria fritta insomma. Sei d’accordo con questa impressione? Vorrei chiederlo anche a Moscati e Speranza che mi sembrano molto lucidi e disincantati nelle loro esposizioni.
Gianmario. Sei forse tra i pochi che si ricordino di Barry McGuire!
100 punti (e accesi anche gli special).
E We can work it out è effettivamente una tra le prime canzoni notevoli dei B. Proprio per i cambi di tempo oltre che per il testo non banale, come tu sottolinei. A lezione da Charlie Mingus?
@ Moscati
ricordo anche un rapporto molto ravvicinato fra generazioni diverse; cosa oggi assolutamente sconosciuta. I giovani e gli adulti si guardano dalle rispettive posizioni. Già prima del 68 erano nati, proprio qui, nelle “zone bianche” centri culturali misti per ideologia e provenienza sociale, e poi da non dimenticare il ruolo dei cattolici (non mi ricordo l’aggettivo giusto, insomma quelli del Concilio di Giovanni XXIII). Insieme si organizzavano cineforum frequentatissimi. In quel periodo successe veramente di tutto!
Carlo, il mio idolo era Coltrane, che ebbi la fortuna di ascoltare al Lirico, affollatissimo, mentre, qualche anno dopo un mesto Bill Evans (era per me il migliore dei ‘bianchi’) si esibiva in una saletta in Galleria davanti a non più di venti persone, me compreso. Grazie per i punti.
Io Coltrane non ho mai avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo. Nè lui, nè Dolphy, nè Monk. Questi sono rimpianti importanti!
Grazie Gianmario,
il testo di “Revolution” (che è proprio del ’68, come “White album”) è molto significativo e, per certi versi, va controcorrente
Prima o poi vi darò qualche lezione sui Beatles
🙂
Scherzi a parte… se avete (abbiamo) voglia di parlarne vi segnalo questo vecchissimo post:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/10/05/cio-che-resta-dei-beatles/
Enrico, Carlo, Gianmario… e gli atri: scriveteci, su!
—
—
Su Coltrane c’è quest’altro:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/04/27/quel-genio-costruito-di-john-coltrane-articolo-di-roberto-alajmo/
Un’ultima cosa su Hey Jude!
(soprattutto per Enrico e Gianmario):
—
Enrico ha scritto: “Hey Jude sermbrava bella solo perché era lunga e ti consentiva di tenere la lingua in bocca della ragazza un po’ più di “Holyday” dei Bee Geese o di “Rain and tears” degli Aphrodite’s child.”
—
Gianmario ha ribadito, rivolgendosi a Enrico: “Se ti bastava Hey Jude per fare il Lupo con Cappuccetto Rosso, cosa non hai combinato quando è uscita Je t’aime, moi non plus…?”
—
Molto interessante…
Peccato che “Hey Jude!” è rivolta a un soggetto maschile.
In effetti Jude è un nome maschile: Giuda (Jude Law, Jude l’oscuro).
Insomma, Enrico… ti sbaciucchiavi la ragazza mentre McCartney cantava “Hey Giuda!”
—
Per la cronaca:
Paul McCartney racconta che il motivo della strofa di questa canzone la ideò mentre guidava la sua automobile. Sul sedile di dietro stava seduto il primogenito di John Lennon: Julian.
All’improvviso Paul prese a cantare: “Hey Jules, don’t make it bad…”.
Però Jude suonava meglio.
Questa è la storia.
Ma torniamo al ’68, se vi va.
Miriam appoggia Carlo e carlo sostiene Miriam.
Entrambi si contrappongono a Massimo e Simona.
Ci sto.
Il “sogno” contro “l’esplosione energica”.
La battaglia è appena cominciata…
🙂
@ Miriam e Carlo
Ovviamente scherzo. Però, volete mettere “l’esplosione energica del sogno”?
L’ ”esplosione energetica del sogno” c’e’ chi l’ha realizzata grandiosamente: Giorgio Albertazzi che recita con Dario Fo. Altre che sogno, loro due assieme: iperuranio!
Erratum: ”altro” non ”altre”. Pardon.
P.S.
Perche’ i veri artisti se ne fregano, in fondo, della politica. Quando la marea dei politici, tesserati, schierati, politici di professione, modaioli, ignoranti generici, atteggiati ed allegati glielo permettono, beninteso.
Glielo permette. Oggi sono un po’ rinco.
Il ’68 è stato enfatizzato e mitizzato oltremisura e si continua l’enfatizzazione con il fatto di continuarne a parlare. Per la verità è stato un momento di grandi aspettative. Io all’università mi aspettavo che dopo le occupazioni e le proteste i corsi di studio si adeguassero ai tempi con una preparazione più orientata al mondo reale. Così non è stato. In poche parole considero i fatti del ’68 come un’occasione perduta per istanze genuine, sincere di riforme e di cambiamenti altrettanto genuini e sinceri.
vorrei dare una “lezione” a maugeri abbinando i beatles al ’68.
una volta Paul McCartney disse: “noi 4 non eravamo così folli da pensare che stavamo cambiando, ma non eravamo nemmeno così cretini da non sapere cosa stessimo facendo”.
Mi pare che ciò calzi a pennello anche con chi in qualche modo “fece” il 68, in forma pubblica o in forma privata.
@ massimo in particolare:
conoscevo la storia di “hey jude”. ti confermo che ritengo la canzone carina e nulla più. e dato l’utilizzo che ne facevo poteva anche parlare dell’obesità delle formiche rosse o della previsione della fusione a freddo e a me non me ne sarebbe fregato un granché.
se sul piatto del giradischi avesse girato, chessò, “For no one”, avrei interrotto qualunque cosa per ascoltarla
errata corrige: dopo “cambiando”, manca la parola “il mondo”. chiedo scusa, ma quando leggo quello che dice maugeri sui beatles mi si obnubila il sensorio
🙂
Ma lo stesso Paul McCartney riconoscerà in “Pet Sounds” dei Beach Boys il suo album preferito di tutti i tempi. Fino a regalarne una copia ad ognuno dei suoi figli come perfetto ausilio didattico all’educazione musicale. Tutte le classifiche dei Top 100 albums del secolo (scorso) mettono sempre in ballottaggio ai primi due posti Pet Sounds (1966) e Sgt. Pepper (1967). E io concordo. Al terzo io ci metto “The Who Sell Out” (1967), poi, forse, “Blonde on Blonde” (Dylan- 1966).
Il sessantotto era alle porte , ma la scena musicale era già pronta per il grande cambiamento. L’arte gioca d’anticipo.
@ carlo:
sì, pet sounds e brian wilson erano gli idoli dei beatles. quanto alle classifiche esse lasciano il tempo che trovano e servono a far conversazione, che comunque male non è. ergo io al primo posto metto “velvet underground & nico”
(Hope) Vero che il 68 è stato enfatizzato, ma è diventato una di quelle date dalle quali non si possono più vedere le cose come prima. Voglio cercare di darne una lettura in breve per chi non l’ha vissuto, parziale e imperfetta ma spero utile come questo dibattito. Direi: fu una rivolta studentesca, in tutta Europa, che rovesciando l’insegnamento come imposizione del potere (detenuto dagli adulti) rivendicò potere per i giovani che si riconoscevano per la prima volta come categoria. Condensò pertanto tutte quelle istanze (già nell’aria da anni) di richiesta di potere anche da parte di altre classi che non l’avevano. Più che una rivoluzione, fu una rivendicazione che coinvolse una grande massa di persone per anni, nel bene e nel male. Nel bene: la casta professorale non fu più tale; si cominciò a sognare, a cercare un mondo migliore: To seek a newer world era il bel libro di Bob Kennedy, assassinato proprio nel 68! Si ottenne di accedere a cose sino allora elitarie. Il sogno fu per tutti. Nel male: si confuse l’elitarietà dei dispensatori di cultura con la cultura dispensata che divenne pertanto da eliminare come retaggio del passato, come tutto il passato: grave errore perchè se non si conosce il passato meno ancora si può capire il presente. Alcuni vollero andare oltre la rivendicazione cercando una rivoluzione, armata e finanziata da forze anche estranee al nostro paese, pensando di sollevare quelle che non erano classi ma categorie: si diffuse una sorta di critica dogmatica, che non fu mai autocritica, che portò la sinistra a fossilizzarsi in schemi ideologici incapaci di evoluzione. (Questi schemi sono sopravvissuti: ad esempio in Ascanio Celestini, applaudito alla Fiera del Libro ma,secondo me, giovane nato vecchio e superato, come i suoi concetti, di lotta al padrone, creazione di un collettivo, presa di coscienza e via dicendo, gli stessi del 68. Ma oggi è più rivoluzionario Bill Gates che, in fondo, è un padrone, illuminato).
Bravo Gianmario!
🙂
sui velvet concordo con enrico. senza se e senza ma.
sorry, charlie mine..
🙂
Velvet Underground mancavano di continuità: alternavano cose grandiose (Venus in Furs) con cacatelle sparse qua e là. Di Sgt.Pepper non c’è nulla da buttare. In Pet Sounds forse la sola Sloop John B., (che fu un’aggiunta voluta dalla produzione).
That’s my opinion.
@ carlo:
in velvet underground & nico non c’è nulla da buttare esattamente come in sgt pepper (oddio, lovely rita non è un capolavoro).
i velvet, finché ha retto il duopolio Lou reed-john cale (2 dischi ufficiali) hanno fatto SOLO capolavori. Dopo, senza Cale ma sempre con Reed, sono usciti dischi “semplicemente” fantastici. Uscito anche Reed hanno pubblicato “Squeeze” che, in effetti, è fiacchissimo.
Io ho TUTTI i dischi dei Beatles e TUTTI quelli dei Velvet Underground, Carlo. E tu?
🙂
ps: sì, lo so. sul rock sono addirittura più testa di cazzo del consueto
@ gianmario:
sottoscrivo tutto e aggiungo: nel luglio del 1968 si sono formati i Led Zeppelin. Basterebbe questo a renderlo un anno straordinario.
🙂
Sono passti quarant’anni e ancora se ne parla. Evidentemente ha segnato un’epoca, ha segnato una svolta nel costume, nel pensiero (si è votato per il divorzio etc..) alla luce dei fatti -conquiste-. Perché, sì, di conquista si tratta quando l’individuo riesce ad ottenere una posizione di assoluto rispetto del proprio sé e -legalmente- può, cioè alla luce del sole, affrontare la propria vita con intelligenza e consapevolezza, senza remore restrittive che creano, pur di difendere un’apparente immagine, situazioni di falso perbenismo.
Io lo ricordo ..anche se ero piccolina.. e ricordo la consapevolezza dei tanti problemi che venivano alla luce e che per risolverli, capivo, dovevano considerare il rispetto umano come elemento fondante.
Un saluto a tutti ..all’ex neonato Salvo, all’allora imberbe Morena ..vuoi vedere che la nonna alla fine sono io? ..e allora ..datemi del lei!
p.s. Per Massimo: l’immagine su postata è perfetta ..o quasi 🙂
Ma non vi siete stufati? Io rovescerei l’anno e mi metterei a parlare dell’86. I Ragazzi dell’Ottantasei, ve li ricordate? Revoluscion non lo dicevano piu’.
P.S.
Gia’ mettere al contrario due numeri mi par sommamente rivoluzionario.
Ancora grazie a tutti.
Un ringraziamento particolare a Rina Accardo per i complimenti per l’immagine sessantottina…
@ Enrico
Secondo me un pezzo sulla “fusione a freddo” sarebbe perfetto per te.
Comincia con quello, e vedrai che smetteresti “for no one”.
🙂
Buccimpero, con uno squillo perentorio hai rivendicato orgogliosamente le tue gesta al seguito dell’Imperatore Domiziano, nell’86 appunto! Lo so che, più dei problemi dei tirunculi (= studentelli in latino) ti son sempre stati a cuore i ludi gladiatori, ma da allora son passati quasi duemila anni, e dalle tue contrade son scomparsi anche i Marcomanni: non ti sembra di esagerare? (Dovresti anche cambiare strumento, perché la bucina con l’umidità si intrappa e emette suoni fessi…). Vale.
@ gianmario
questa rivisitazione del 68 è stata simpatica! Anche se l’immagine più bella è quella di Enrico alle prese con i “lenti” ritmi di avvicinamento.
Però, siamo stati tutti bravi! bene.
🙂
Ave, Ianus Marius,
il tempio del tuo dio e’ sempre aperto… pax tibi!
Il Buccimperus non imperialis sed republicanus
P.S.
(O era il contrario? Era aperto in tempo di pace e chiuso durante le guerre? Sono rinco, oibo’: chiamatemi un grammatico, per favore. Grazie.).
Grazie a tutti, ho letto e imparato. Una sola osservazione finale: il ’68 non è solo un solco nel 900 come per altri fatti (la caduta del muro dell”89), è una leva di futuri che si sono consumati in fretta e di altri futuri (o primavere come mi piace dire) che prenderanno lezioni da quella lunga parola che resiste: Sessantotto, con le sue musiche che assorbono tanto…Provate con le puntate su Radio1Rai…
Credo che le porte del tempio di Giano si spalancassero in tempo di guerra. C’è una leggenda che una volta le volle spalancarsi per miracolo divino, segno ch’era tempo per i romani di combattere. Ripasserò. Massi, col tuo blog siamo sempre coi libri in mano, stereo nelle orecchie a ricordarci le canzoni, occhi in fiamme davanti a monitor e dvd… Pietà!
Grazie a lei, Moscati…
Maria Lucia, mi permetto di eleggere lei, così gentile, a rappresentante di tutti gli amici del blog e naturalmente del suo curatore Massimo. Di nuovo grazie. Colgo l’occasione anche per una notizia. Dopo “Ma com’era il ’68?” farò una trasmissione sul 1989, l’anno della caduta del muro e di una storia appassionante, dolorosa, tragica, indimenticabile…
Caro Italo,
riascolterò con piacere le tue trasmissioni sul ’68 dal sito di Radio1Rai.
Per chi volesse riascoltarle in radio (e non su web) ricordo che le suddette puntate torneranno in onda dal 26 agosto al 5 settembre 2008 (dal martedì al venerdì alle 11)… sempre su Radio1Rai.
In bocca al lupo per la trasmissione sul 1989 (anno davvero storico… altro che ’68!) e avrò il piacere di ospitarti di nuovo qui per discuterne assieme con gli amici fraterni che seguono questo blog e che non dimentica mai di ringraziare.
Perché senza di loro questo stesso blog (open-blog) non avrebbe ragion d’essere.
E grazie a te, naturalmente, caro Italo.
Onoratissima!
🙂
Marilu’, Gianmarius,
si’… il tempio di Giano veniva aperto in tempo di guerra. Ho verificato e fatto bene nel rispondere al caro Gianmario (Ianus Marius).
Bacioni e Bella Estate, sicula mia – beata te!
Sergio
Moscati,
grazie e arrivederci a presto – resti qui, insomma, eh.
Di sicuro il 68 fu un momento di rottura. Contrariamente a quello che pensano in tanti io l’ho vissuto come un momento di grande Cultura in tutti i campi. Cultura nuova che troncava con il vecchio. Certo una volta che si cominciò, si esagerò anche. Mi domando se il 68 in Italia non fu possibile anche grazie al Centrosinistra che portò una montagna di cose nuove nella società italiana. In Italia il 68 ebbe sviluppi diversi da altri Paesi. Certo nacque anche il terrorismo ma qui il discorso si fa lungo. Ecco quello che a me sembra importante sottolineare fu il fatto che il 68 permise anche alla classe lavoratrice l’accesso alla Cultura fino ad allora in mano ai baroni. Certo sul 68 si sono scritti migliaia di volumi e molti altri se ne scriveranno. Di certo cambiò le cose ed oggi assistiamo alla restaurazione.
@Pino Granata
certo che fu un momento di rottura co0n il tradizionale e di grande effusione culturale, ma purtroppo finì male, per mancanza di maturità e coscienza.
Qualcosa ne è rimasto, ma sembra che adagio adagio venga rimosso ed eliminato dal potere.
A mio modesto parere, è il sistema economico che va sottoposto ad una critica severa ed intangibile, basata sui principi dell’etica e della morale e delle cognizioni raggiunte, perché è sempre lui che controlla tutto e impone la direttiva politica.
Una classe del potere politico più coscienziosa ed evoluta, aiutata da quella degli intellettuali, avrebbe dovuto coordinare il movimento popolare del 68, preservandolo degli eccessi nocivi che lo caratterizzarono. Il grande movimento finì male e troppi suoi protagonisti consumarono la disfatta nella droga e in altri eccessi della vita.
Saluti.
Lorenzo
1968. da noi arrivò l’anno dopo, un po’ perchè fine maggio le scuole erano finite, un po’ perchè, senza internet, certi fenomeni ci giungevano in ritardo.
nelle scuole (io c’era) il ’68 era: trenta attivisti che trascinavano al fancazzismo i restanti 270 liceali.
chi dice che non fu così o non c’era, o mente sapendo di mentire.
ragazzi, ma quando c’era un’assemblea, poniamo, alle 14,00, ma chi cacchio ci andava? sempre i soliti 30.
io parlo per la Campania, poi forse al Nord c’era più coscienza politica.
p.s.: c’era pure il mito della Cina, e mao zedong era mao tse tung. che si fosse trattato di un sanguinario lo si è saputo solo di recente.
Il ’68 era anche un anno in cui i giovani per viaggiare erano costretti a fare l’autostop, dormivano negli ostelli per la gioventù per risparmiare, lavoravano gratuitamente nei campi di lavoro del Servizio Civile Internazionale. Qui magari si incontrava qualche ragazza di Praga che piangeva a causa dei russi che le invadevano il Paese.
Caro Massimo…. io il ’68 te lo racconto così!!!
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‘ 68… Un testo… un ricordo… la rabbia…
di Alessandra Cesselon
Eravamo a Via Ripetta
(Spezzatino di pre- sessantotto all’Accademia di Belle Arti di Roma)
Eravamo tanti,
e non sapevamo di essere i primi.
Prima di architettura, prima del sangue
prima della politica!
Eravamo belli
Semplici, senza paura
Nessuno ci aveva mai picchiato,
si andava in questura
senza paura.
Via Ripetta, dietro al Tevere
Prima anima della lotta degli studenti di Roma
Un fiume di ragazzi, vicino al fiume
Con i cartelli attaccati al corpo,
con la voglia di esistere, di farsi vedere
dalla protervia degli adulti,
quando la parola “giovani”
non era alla moda.
Io, la segretaria dell’associazione
degli studenti
decidevo le strade del corteo…
parlavo col questore, a 17 anni…..
Mi sembrava normale
Volevamo studiare, di più e meglio!
Non ci saremmo mai sognati
Il 6 politico…
Ad alcuni di noi, anni dopo
Sembrò un tradimento
Assemblee corrette, interminabili
Solo i cattolici erano odiati.
Noi ragazze avevamo i tacchi
e le gonne al ginocchio.
Poco dopo le minigonne
ci scoprivamo le gambe,
ma tenevamo le ginocchia strette
come ci avevano insegnato
le nonne.
I ragazzi con le giacche
dai revers stretti
e le cravatte…
Ci sembrava normale…
All’Accademia di Belle Arti
di Roma
La strada occupata, l’Accademia occupata
Era il 1967
E noi volevamo studiare
Volevamo solo studiare meglio
E nessuno capiva….
Volevamo essere università
Più materie, più impegno…
Volevamo solo studiare meglio…
Parlare col ministro dell’istruzione
Fu facile…
Molto meno
Far accettare ai nostri genitori
Di ospitare nelle case
I ragazzi
arrivati dalle altre accademie
D’Italia….
Dormire in accademia
Era concesso ai maschi
e alle tipe….considerate mignotte.
Chi c’era stato sapeva
Che si pomiciava, ma con discrezione…
Ci si baciava fino a sfinirsi, dietro le cattedre
Qualcuno suonava una chitarra.
Ma non si parlava mai
apertamente
di fare l’amore.
La notte ci trovava tutti insieme
Ancora a discutere d’autogestione
o di Jaques Brel.
Un mangiadischi con le pile scariche
Suonava Luigi Tenco.
All’alba qualcuno portava sempre
i cornetti caldi…