Dicembre 30, 2024

176 thoughts on “MA COM’ERA IL ’68?

  1. E a proposito di domande… vi ripropongo quelle di questo post:

    Cos’è stato davvero il 1968?
    Cosa ne rimane oggi… quarant’anni dopo?
    E com’era, al di là dei luoghi comuni?

  2. Ehm…
    L’immagine “sopra” (quella che riporta l’anno) è davvero orrenda.
    L’ho realizzata in 20 secondi con paint.
    Vi prometto che la cambierò appena avrò un po’ di tempo.
    Certo, se ci fosse un volenteroso (o una volenterosa) disposta a darmi una mano…

  3. Ciao, Massimo. Purtroppo per aiutarti a rifare la grafica della scritta 1968 potrei solo darti una delle mie foto di quel periodo: magari quella in cui io, all’eta’ di tre anni, stavo seduto sulla scrivania di papa’, con un libro in mano. Va be’, a parte gli scherzi: il 1968 per me ha un solo sinonimo: ROMA. E alcune immagini indelebili nella mia memoria, fra le quali quella della casa di mio zio Riccardo Danesi, gentiluomo fiorentino nonche’ colonnello di cavalleria monarchico – in pensione dal 1946 per non aver giurato fedelta’ alla Repubblica Italiana. Lui, sua moglie Giulietta, e i telegrammi del suo amico Umberto II per me sono il Sessantotto. Il resto lo lascio agli storici. O a chi voglia e sappia ricordare altro.

  4. Grazie per il contributo, Sergio.
    Ma al di là dei ricordi personali (molti di noi erano piccoli o non erano ancora nati), per te cosa rappresenta il ’68?
    Cos’è stato?
    Che eredità ci lascia?

  5. Scusami, ma penso di aver detto tutto quanto si possa esporre pubblicamente. Il resto o non mi compete, o fa parte dei miei pensieri privati. Sto infatti imparando a contare fino a mille prima di dire la mia. Imparo in ritardo, ma meglio tardi che mai, no?
    Ciao bello!

  6. Vedrai che si sviluppera’ un bel dibattito, stanne certo. Buonanotte e grazie come sempre, cara ”star” del Vittorini!

  7. Il 68?
    ero piccola ma c’ero. prorio in quell’anno fui sospesa dalla scuola, con altri tre, perché leggevo un volantino (distribuito dal pci) sul Vietnam, con un piede oltre il cancello d’ingresso. nessuno fu solidale con noi, tutti ci ignorarono e ci beccammo sospensione e brutto voto in condotta. L’anno seguente, perché il “68 ” fu dopo, tutti conoscevano Bordiga, la terza e la quarta internazionale, le massime di mao, i discorsi di lenin, che guevara, Bakunin, marx, ecc. ecc. Ma come avevano fatto a diventare tutti leader in una sola estate? Me lo chiedo da 40 anni!!!
    🙂

  8. Io ci ho fatto un post oggi, sul sessantotto Massimo – nun t’adonti se m’hai dato l’idea ve?
    🙂
    Per me la scritta così va benissimo. Restituisce quel senso di fare la storia con ingenuità.

    Io non c’ero.
    Ma ho due una scena del bellissimo film in episodi “Heimat” sul sessantotto:
    un ragazzo e una ragazza sono in una comune.
    Sono nudi
    la ragazza deve andare al bagno – deve andare a fare pipì. i stintivamente, prende un asciugamano – si copre.
    .
    Era una bella riflessione – anche girata molto bene – sull’utopia di una sessualità che travalicasse la differenza, la separazione della differenza. Il senso del pudore che riemerge potentemente. Probabilmente, sarei stata in disaccordo con moltissime cose, perchè la vis polemica esplode dinnanzi a qualsiasi forma di generalizzazione. Ma allo stesso tempo, mi manca terribilmente quel giocare pesante sulle cose della vita, quel prendere sul serio il sesso e la politica, quell’attualità della sfera pubblica.
    L’acquiescenza di oggi mi sconforta.
    Il fatto che certe tematiche – come il razzismo e il femminismo – annoino mi angustia. La morte della passione.
    era un periodo irto di cazzate – ma mi manca terribilmente.

  9. nel 68 avevo sette anni.
    negli anni la percezione che ho avuto è stata quela comune:
    quella di un momento legato alla ricerca di cambiamento per la formazione di nuove regole sociali con al centro il contesto e non il singolo.
    mi pare che oggi questo si sia trasformato in un pensiero azione diverso, legato più all’individuo che al contesto.
    il punto interrogativo è:
    il 1968 con la sua classe dirigente ha fallito o no nel suo obiettivo?

    massimo maugeri
    la spezia

  10. Nel 68 io avevo 37 anni e due figli, ed ero impegnatissimo sia nella mia professione di medico che nella mia passione di poeta, già allora fortunatamente accettata dalla critica ufficiale e dagli addetti ai lavori. Fra i tanti il caro ed indimenticabile Domenico Rea mi reputava poeta a tutto tondo ! Gli sconvolgimenti di quella data mi sfiorarono appena, solo perchè ero ben saldo nel mio bagaglio culturale e morale, ma vissi un certo senso di disagio nel seguire quelle manifestazioni che sotto sotto nascondevano una malcelata violenza.
    Sta di fatto che almeno in Italia (non saprei nel resto del mondo) il livello culturale ebbe una caduta notevole, e quei giovani, allora studentelli , divennero i professori degli anni successivi, producendo come ben abbiamo visto e vissuto un corpo docente sempre più deficitario. Io l’ho constatato sulla pelle dei miei figli durante gli anni del loro Liceo.
    Purtroppo da q

  11. CARISSIMO E’ SCATTATO IL TASTO ED IL MESSAGGIO E’ PARTITO INCOMPLETO ! –
    “Portroppo da quella data -scrivevo- io ho potuto incontrare soltanto scostumatezze, menefreghismo, incuria, mancanza di rispetto, mancanza di vera cultura, arrivismo, e caduta di quei valori morali che erano nvece il pilastro della convivenza civile.
    Non me ne volete voii più giovani, ma non mi ci trovo !
    Antonio Spagnuolo
    spagnuoloantonio@hotmail.com

  12. Grazie Massimo e grazie a tutti coloro che stanno scrivendo. Leggo e mi preparo a partecipare. Non è un dibattito è uno scambio di esperienze. Più aperto e franco è…A presto, corro al lavoro….

  13. il 68 è stato non un solo anno, ma un periodo, denso e pieno di fermento. tutto sembrava possibile e a tratti lo era.
    ogni mattina poteva accadere di tutto e si andava verso la giornata con la sensazione di essere invincibili. questo fino a quando la polizia lanciava i lacrimogeni, dopo di che gli occhi bruciavano e la gola impazziva. allora sapevi che non eri poi così invincibile e che non tutto va come dovrebbe. in pratica, la scuola della vita.
    40 anni dopo, questa è diventata storia e il fermento è solo una voce del vocabolario (purtroppo).

  14. avevo 18 anni e partecipai , me ne andai da casa anzi fui defenestrata e vissi a Roma le utopie e i sogni di quegli anni che porto dietro, che non ho mai rinnegato e che anche oggi fanno parte della mia vita e delle mie scelte. Anni di autocritica, di pensiero, di amizia, di solidarietà, di letture, di confronti e oggi che di questo il mondo è privo mi manca da morire quel periodo indubbiamente criticabile nei suoi estremismi , ma così pieno di slanci , entusiasmi e voglia di libertà che tanto ha dato a chi si ricorda solo il negativo e fa di tutta un’erba un fascio.
    Il dopo è stato un compromesso , piatto e soprattutto poco critico .
    Ecco, è l’acrisia che si è persa ma guadagnare un sogno che porti avanti ogni giorno è stato per me e lo è , un grande dono. senza sconfinare nel libertarismo mi trovo oggi ,persona che sceglie, che opera, che vive con tutti gli oneri e gli onori con la libertà spesso faticosa che ho imparato allora. Devo al mio 68 di allora la ricchezza che oggi sento di avere e di poter dare.
    grazie
    patrizia garofalo

  15. Io nel 68 di anni ne avevo 15. Col senno di poi il giudizio di Antonio Spagnulo è anche parzialmente condivisibile: “ho potuto incontrare soltanto scostumatezze, menefreghismo, incuria, mancanza di rispetto, mancanza di vera cultura, arrivismo, e caduta di quei valori morali che erano nvece il pilastro della convivenza civile.” Molto severo ma parzialmente vero: c’era molta presupponenza sicuramente, e ci furono errori comportamentali, etici e politici che sfociarono anche nei maledetti “anni di piombo”.
    Ma era tutto dettato da un sincero entusiasmo che fu linfa vitale per una intera generazione. Nessun altra ne ha avuta nel secolo una uguale. E così resta difficile per chi come me ha vissuto quegli anni da adolescente rinnegare quel periodo o tanto meno scordarselo.
    Ma al di là del giudizio morale (ognuno ne pensi ciò che vuole) quello che è innegabile è che furono anni che segnarono una rottura col passato, nel bene e nel male. Fu una vera rivoluzione per la politica, la cultura, i costumi. E di questo non si può non prenderne atto. Esserci stato, averne preso parte, è qualcosa che per me rimane motivo di orgoglio, cazzate comprese: perchè erano cazzate che pensavamo fossero “intelligenti”. In quel momento per noi erano intelligenti, logiche, coerenti.
    Entrai in quegli anni da bambino e ne uscii da adulto (se adulto sono mai diventato, ma questo è un altro discorso).

  16. L’immagine di Massimo con l’anno “1968” scritto con il paint piace parecchio. Sembra una delle tante scritte fatte con una bomboletta di vernice su un muro di un palazzo delle nostre città e fotografato con una vecchia macchina in bianco e nero. Richiama perfettamente l’epoca ed evoca quella società, per certi versi incolore e piatta, che proprio in quella scritta imprecisa e disordinata trovò uno sfogo ed una ribellione, un desiderio di uscire dagli schemi per costruire un mondo meno soggetto ai preconcetti e più dinamico.

  17. Del 68 ho chiara un’immagine: io, cinque piccolissimi anni, con un vestitino a quadretti che assaggio uno spaghetto mentre l’anziana zia di mio papà, la dolcissima Berenice da tutti chiamata Ada, prepara il pranzo. Dov’era mia mamma? In ospedale, a partorire mia sorella Elisa. Mi arrabbiai tantissimo quando mio papà, bello come Tyrone Power nella sua divisa da portalettere, tornò a casa senza mamma e sorellina. Ero convinta che appena nata potessegià giocare con me. E fui ancora più arrabbiata quando una bronchite mi impedì di presenziare al battesimo che si tenne nella cappella della clinica, tanto per non fare le cose in grande e risparmiare. A casa c’era uno stipendio solo e quando io mi ammalavo, cosa che accadeva spesso, papà portava al monte dei pegni lo zenith d’oro per poter pagare la visita del pediatra. Ecco, un piccolo apporto per ricordare cheil ’68 fu un anno importantissimo, certo. Ma fu anche un anno dove la maggior parte della popolazione italiana si ritrovò a fare i conti esattamente con la vita di sempre, con i problemi di sempre, con i soldi di sempre. A guardar bene, si stentava ad arrivare a fine mese, proprio come oggi. Solo che allora il coraggio di guardare al futuro (e quindi di fare tanti bambini) non ce lo avevano ancora strappato.
    Laura

  18. Desidero ringraziare Massimo Maugeri e il suo ospite Italo Moscati, ché il ’68 appartiene a chi l’ha vissuto e condiviso come contemporaneo agli eventi; ché le generazioni post-‘68 a venire solo sui testi o altri resoconti veritieri non potranno capire, se non dagli esempi familiari quello che sono diventati con: più diritti civili, assenza di valori portanti e crisi d’identità sociali ancora in essere: questo è il bel risultato di una libertà politica e sociale ricercata a tutti i costi, certo secondo me e io c’ero.
    Ma cosi non è sempre ciò che appare, solamente, come conseguenza storica al ‘68; negli anni ’70 si è studiato meglio, tranne gli esami di gruppo di architettura al Politecnico di Milano, si è lavorato molto e nonostante altri delitti gravi e stragi contro la libertà: si è prodotta un’industria fiorente e abbondanza di consumi praticati da tutti in Italia e nel mondo, nonostante le lotte operaie : ché la vera liberazione culturale e ostentazione di benessere si è avuta negli anni ’80 e finalmente!In buona sostanza volevo metaforicamente, da posizione ideologiche diverse, evidenziare che il senso comune della morale può spostare sentimenti e valori di una generazione a escludere o approvare quello che è successo: ché io considero il ’68 come prodotto da un movimento studentesco in Italia e non un vero valore generazionale che riguardasse tutta la società Italiana.

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    Faccio un esempio all’Università Statale in Milano io ero iscritto alla facoltà di giurisprudenza con Alberto Capanna,sembra allora rimborsato dal PCI, senza escludere il movimento di Comunione e Liberazione dell’Università Cattolica, sempre di Milano che faceva la sua parte riguardo la contestazione: e mi ricordo in giro per Milano chi indossava gli Eskimo – le ragazze erano le più bruttine – e chi il doppiopetto o il Montgomery: anche dello studente in via Larga – la foto ha fatto il giro del mondo – piegato sulle ginocchia con la pistola in pugno teso a sparare contro i celerini in assetto di battaglia urbana e a proteggersi anche dai san pietrini lanciati dagli studenti operai; la bomba strage scoppiata alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano in P.za Beccaria – poco distante dalla Statale e io quel giorno c’ero. Certo, io andavo in costa azzurra a fare il mio mestiere: studiare per il 30, praticare sport e subire il fascino delle mie amiche che mi approvavano.Questo è tutto: povero me!

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    A proposito di libri sul ’68 ne ho contati 157, di cui:
    Glucksmann – Sessantotto
    Kurlansky – 1968
    Fofi – Prima e dopo il ‘68
    Veneziani – Rovesciare il ‘68
    Capanna -lettera a mio figlio sul ‘68
    Capanna – Il ’68 al futuro
    Piperno – ‘68

    Forse i più significativi tra gli ultimi usciti?
    Grazie a tutti Voi per lo spunto che mi avete dato nel ricordare come cittadino comune un periodo della mia vita intenso, immaginifico,energetico, d’impegno scolastico e quando ancora con i miei amici si trascorrevano le nottate, anche, a discutere di tutto e Nietsche e Max e Hegel e Sant’Agostino e Froid e Jung erano sul mio comodino, per fare un esempio, e la musica ve la racconto un’altra volta se vi va: ché i miei amici musicisti tutti, invece, la suonavano con gli spartiti originali acquistati a Londra: poveri loro!
    Luca Gallina

  21. @ carlo
    mi riconosco nelle cose che hai appena postato. Gli anni che chiamiamo 68 furono dirompenti, niente restò come prima e furono momenti intensi che coinvolsero l’intera società, anche i distanti, quelli che non vissero in prima persona la rottura, ma si adeguarono per accettazione o interesse. Il sesso e il mito : se dovessi riassumere per titoli, direi che i temi principali furono proprio quelli. La liberazione da una mentalità pesante, bigotta e moralista e l’affermazione dell’ideologia del mito. termine che allora a differenza di adesso, non si usava ma si praticava apertamente, sfacciatamente, prepotentemente, violentemente. Ci plasmammo da soli (prima) e imparammo a farlo (siamo ancora bravissimi), contro la logica, la serietà, la coerenza e la disciplina del sapere. Poi altri impararono meglio di noi e seguirono gli anni dell’eroina e delle brigate rosse. Restò il sesso che sostituì, con un lungo processo di materializzazione, ogni educazione sentimentale, ogni pudore nudista, ogni libertà: partimmo nudi ma ritornando ci siamo messi il tanga.
    Però, ci fu un momento di assoluto incanto che fu irripetibile, come tutte le rivoluzioni …. veramente irripetibile e fu mondiale, non c’era internet ma le idee viaggiavano con la musica e con l’arte e ci si sentiva al Mondo! Anche nel più piccolo e sperdutissimo paese della bergamasca…

  22. Essì, cara Miri! Era meglio nudi che in tanga. Quel filino tra le chiappe mi dà fra l’altro l’idea che sia parecchio fastidioso. Ma oggi fondamentale è l’apparenza. Anche il culo vuole la sua, anche se nudo non è.
    Da queste piccole cose si vedono le differenze epocali più profonde.

  23. E chi lo sa? Ne ho letto tanto, mi hanno detto tanto, ma io non c’ero. Sono nata 8 anni dopo e qualche volta penso che sarebbe stato bello esserci.
    @laura costantini
    lo so, sembra che mi paghi per essere in sintonia con te 🙂
    ma il fatto è che quello che scrivi -e come lo scrivi- mi piace davvero tanto.
    Che ce posso fa’?

  24. nel ’68 avevi 10 anni.
    ricordo i telegiornali con le immagini del maggio francese, degli scontri con la polizia, di berkley e dopo, appena dopo, in italia.
    ricordo i lacrimogeni che facevano piangere anche me, che ero piccola lontana e potevo solo guardare.
    poi venne l’autunno caldo del ’69, scioperi ovunque, camionette militari a sostituire i mezzi pubblici. e mio padre ed io tentammo di dirottare un tram crumiro.
    ci avvicinammo al conducente e gli intimammo ”questo tram va a cuba”.
    si girò verso di noi, ci guardò con occhio vacuo e disse ”eh?”.
    quel giorno capii molte cose.
    che l’immaginazione al potere non sarebbe andata mai, che nessuna risata avrebbe mai potuto seppellire nulla.
    che ce n’etait qu’un debut ok, ma che hai voglia a continuare a combattere..

  25. Possiedo la raccolta completa e rilegata di tutti i Corriere della Sera del 1968. A qualcuno puo’ interessare?
    O qualcuno vuol sapere notizia di qualche avvenimeno di quell’anno?

    Ho anche il 1967.
    Saluti.

    Vito

  26. @Luca “subire il fascino delle mie amiche”. Io penso che tu dovevi essere un gran filibustiere, con il tuo candore e i gran mazzi di rose da omaggiare. Io nel 68 ero nato da poco, non c’ho mica la veneranda età di molte signore che frequentano questo blog. Non ho vissuto quei momenti ma penso che il 68 debba essere sempre in ognuno di noi, nella capacità di ragionare col proprio cervello, nella forza di ribellarsi a un sopruso, anche quando un prepotente ci scavalca mentre facciamo la fila alle poste. La democrazia non è mai un fatto assodato, si ingarbuglia tra i rivoli del potere e gli interessi economici, sta a noi cittadini tenere desta la guardia e non divenire semplici sudditi.

  27. ma tu senti ‘st’impunito di salvo zappulla! “Io nel 68 ero nato da poco, non c’ho mica la veneranda età di molte signore che frequentano questo blog.”
    caro salvo, ti sei dimenticato di dire che se ci mettiamo a confronto, io sembro la tua nipotina. o meglio, tu sembri mio nonno. ma senti un po’ che roba…

    e poi, io ho scritto quel commento sulla base di cose che ho letto. è colpa mia se scrivo così bene da far sembrare vera ogni cosa che dico?

  28. Molto bene, scaldiamoci un poco. Il re è nudo, si dice. Nel ’68 il re (il potere) non portava neanche il tanga. Apprezzo tutti gli interventi. Lo dico sinceramente. Ma sento affiorare una tendenza ombelicale. Tutti, o quasi, a guardarsi in un’immagine di famiglia, se ‘ero anch’io. Mi sono proposto un altro fine scrivendo per questo straordinario spazio e realizzando le otte puntate alla radio. “Ma com’era il ’68” è ascoltabile interamente sul sito Rai. Penso di fare cosa utile scrivere l’indirizzo completo: http://www.radio.rai.it/radio1/macomerail68 . Buttateci un orecchio. Un elemento per interessarvi: l’anno non fu solo francoitaloberlinese ma mondiale. Provare per credere. Bisogna uscire da eurocentrismi e da piccoli o grandi narcisismi. Ho sentito dire a una signora radical choc: quattro stracci e scendevo in piazza, che festa, che orgasmo! Aggiungo: ho visto dibattersi negli orgasmi vestimentari e protestatari tanti macho young men!

  29. Di più. Le puntate raccontano un anno, ripeto un anno fatto di tanti fatti e fatterelli. La storia e le storie non stanno in una parola lunga un anno, anzi quarant’anni- Sessantotto-ma nella storia in senso più ampio e completo, e quindi credo più serio. Giù i tanga!

  30. Vi consiglio di ascoltare le trasmissioni on line su Radio1Rai (se potete): sono molto interessanti.
    E poi, potrebbero fornire ulteriori spunti per discuterne assieme.
    Se non sbaglio ogni puntata dura 26 minuti.
    Magari potreste scegliere quella che vi interessa di più.
    (In ogni caso, come ho scritto sul post, le puntate andranno in replica ad agosto).

  31. @Morena
    @Idem zauberei.

    Ma scusa, non sei stata tu a raccontarmi che nel 68 hai percepito la tua prima pensione? Vorrei averla io la stessa tua lucidità. Ti assicuro che è un complimento.

  32. Vorrei dire una cosa a Italo Moscati, in difesa dei nostri ombelichi e anche del mio – ipotetico ma fondamentalmente omebelico.
    Ho apprezzato molto l’aorganizzazione della trasmissione emi ha incuriosita, mi sembra una prospettiva interessante e storicamente utile, spero anche lucida.
    Ma nella mia percezione del sessantotto, nella mia percezione di chi non c’era e perciò si confronta con una cosa diversa dall’esperienza diretta, ma con lo sguardo del prima e de dopo, e il se stesso del prima e del dopo, il mio ombelico è sintomatico. Il mio ombelico di femmina anche che con il sessantotto, spero che la trasmissione ne parli, ha avuto la possibilità di una rivoluzione copernicana. E anche il mio ombelico di soggetto politico, che confronta il proprio modo di stare nel paese oggi, il proprio modo quotidiano – come leggere il giornale, con che sintassi pensare le notizie, come relazionarsi alle proteste collettive – con quello di allora.
    Noi venuti dopo, abbiamo una dialettica particolare con qegli altri ombelichi, che sono quelli dei nostri genitori.

    Oddio speremo che se capisce.
    🙂

  33. maggio 1968, parigi. ma prima che il “movimento” attraversasse le alpi per giungere in italia, ci vollero mesi. per cui a casa nostra è più giusto parlare di 69, numero tra l’altro molto più evocativo di cose liete.
    ciò premesso, io ero al ginnasio. vedevo, partecipavo, capivo, talvolta no. più che altro mi permeavo. chi non voleva permearsi poteva chiudersi in casa e far finta di nulla. volendo si poteva, nessuno veniva con il mitragliatore a “farti fare il 68”. Sta di fatto che per quelli della mia generazione fu uno spartiacque: viverlo o rifiutarlo. tra i due “schieramenti”, 40 anni dopo, si notano ancora i segni distintivi. quali sono? cercateveli!
    🙂

  34. Ciao, Morena Fanti,
    dici: ”40 anni dopo, questa è diventata storia e il fermento è solo una voce del vocabolario (purtroppo).”
    Be’… la Storia la si puo’ fermare solo nella nostalgia, e’ inevitabile che tutto passi. In ogni caso di ”fermenti” buoni per vivere ce ne sono, credo, tanti anche oggi: possiamo scrivere, poetare, leggere, creare, avere ideali e morali, cambiare in meglio le cose che non ci piacciono, anche senza le barricate in piazza. E se non lo facciamo e’ solo colpa nostra, non del passare della Storia.
    Stammi bene
    Sergio

  35. Ciao, Greg,
    …gia’… gli schieramenti. Guelfi e Ghibellini, partigiani e repubblichini, comunisti e fascisti, cattolici e atei, rivoluzionari e riformisti, conservatori e progressisti… disoccupati ed occupati, iscritti o liberi, col potere (dentro) e rassegnati (fuori)… ad libitum…
    l’Italia e’ fatta di schieramenti a tenuta stagna… Ecco perche’ stiamo come stiamo. Ma come stiamo? Fattami la domanda mi do’ la risposta – come dice er capellone notturno: o stiamo dentro uno schieramento o da soli. E’ cosi’, ininterrottamente, per un motivo o per l’altro, da sempre. Una condanna divina, vero?

  36. Gregoriano, con te tutti i salmi finiscono in gloria, ovvero si inizia a parlare di pneumatici e si finisce coi preservativi! Se non sono completamente rinco, mi ricordo che le occupazioni alla Statale di Milano si fecero nel 68. Io, poco più che ventenne, stavo in bilico tra i Raggi di Comunione e Liberazione di don Giussani (grande figura di uomo razionale) e le schitarrate al circolo Antonio Gramsci, dove mi sgolavo con Los quatros Generales e Que viva la Revolucion. Alla fine abbracciai Gramsci non in virtù dei Quaderni dal carcere, ma di una figlia di un onorevole comunista che mi faceva cantare, come Iannacci con Veronica, ‘con te non c’era il rischio del platonico’. Fu così che un ex betlomane, fighettino nel blazer bretone, divenne trasandato, barbuto e zappatore come i Rolling Stones. Qualcuno dirà che ero qualunquista, vero: l’idealismo cominciò allora, con le letture serali, sino a notte, del Capitale, la frequentazione di trotzkisti leninisti che mi facevano sentire rivoluzionario; tanto che, dandomi del ‘cinese’, mi sbatterono fuori dal circolo Gramsci. Nel frattempo i miei compagni, approfittando dell’onda, diedero anche 9 esami ‘collettivi’ e si laurearono, si piazzarono nei posti disponibili e buttarono gli eskimo. Io impiegai parecchi anni per decidere se le mie erano state conquiste o perdite. Di certo la società era passata da inquadramenti, privilegi e atmosfere per pochi ad aperture per tutti.

  37. I movimenti del 68 hanno, in verità, avuto il loro inizio tra gli anni 45 e 60.
    Con la fine della seconda guerra mondiale, che portò disperazione e sofferenze in tutta l’Europa, si formò una nuova speranza in una vita senza le solite guerre che prima determinavano il flusso del tempo nelle coscienze delle popolazioni nei paesi diventati finalmente liberi.
    Furono le atrocità dell’ultima grande guerra a creare questa nuova coscienza in tutti i superstiti, da rendere finalmente possibile l’inizio di una era di pace sotto l’egida della solidarietà.
    Da qui, in ogni paese occidentale s’instaurarono le democrazie popolari e si riformarono i movimenti operai, allo scopo di tutelare i loro legittimi interessi di compartecipazione al crescere forte dell’economia sullo sfondo della mancanza generale d’ogni bene e mezzo.
    Libertà, giustizia ed emancipazione s’impressero nelle menti popolari, tanto da voler estinguere ogni forma di potere che ricordasse l’avvenuto del passato oscuro.
    Fu un fatale errore, che le generazioni dei giovani e meno giovani commisero nel credo di poter creare una realtà migliore abolendo ogni forma tradizionale.
    Nel nome dell’amore libero e incondizionato, i giovani si persero in un vuoto, difficile da riempire se non con la forza della disperazione.
    Dal nulla, dato che il vecchio fu rinnegato, non può sorgere che una nuova forma di anarchia, la cui uscita è l’indebolimento della personalità e del carattere del singolo, fino all’estinzione o distruzione della propria vita nel consumo disperato della droga o eccessi vari.
    La droga fu la risposta alle intenzioni mal praticate e quindi nocive in un mondo da sempre debole e imperfetto.
    In questa coulisse, pur nella sua apparenza, benevole e liberatrice, agì il morbo del potere che punì i diventati disubbidienti e i suoi avversari senza muovere un dito, quindi lasciando fare e aspettando la loro fine.
    Avversari di che cosa, se non del processo di maturità che non fu riconosciuto e sostenuto.
    Il potere ha bisogno di cittadini coscienti, laboriosi, temerari nel sostegno dei principi di solidarietà e giustizia, di modo che non diventi maligno e finisca nelle mani di un gruppo privo della necessaria sensibilità per i problemi del cittadino, perché preso solamente dal proprio interesse.
    Gli avvenimenti degli anni sessantotto, che furono una nuova forma di rivoluzione generazionale, non sarebbero accaduti, se la società intera, ma soprattutto coloro che dovrebbero essere sempre d’esempio per i giovani, avessero sostenuto incondizionatamente i principi di uguaglianza, di libertà intesa come risultato del processo personale di maturità, e di controllo costante e intransigente del potere, perché questo è ciò che i giovani maggiormente si auspicano.
    Il potere può essere una forza d’unione per il bene comune, come una forza individuale o di gruppo per il loro solo bene.
    Svegliamoci quindi e non meravigliamoci, se un domani la vecchia forma di potere riemergerà e causerà di nuovo le tragedie del passato. Ne saremmo tutti noi, e incondizionatamente, colpevoli per la negligenza praticata prima del suo venire.
    Saluti.
    Lorenzo
    Caro Massimo, di quando in quando riesci a introdurre un argomento che mi interessa, grazie e ciao.

  38. Neanche io c’ero e concordo con Zauberei sul senso di “ombelicale”. La Storia passa dalle nostre storie individuali e come ognuno di noi sa esattamente cosa stava facendo l’11 settembre 2001 così è per qualsiasi evento “storico”. Il resto è roba per convegnisti, spesso.
    Credo che il lascito del ’68 sia complesso. Per me sta nello slogan “la fantasia al potere”. Forse in quell’epoca si credeva nei sogni, giusti o sbagliati che fossero. Oggi c’è poco da sognare e forse neanche il futuro è così scontato… Aggregazione. Quale movimento ha creato questo senso di appartenenza? Credo che dopo ci sia stato posto per l’individualismo l’arrivismo il rampantismo.
    Prendete queste mie riflessioni con beneficio d’inventario. Io sono figlia degli anni ’70…

  39. @ Gianmario:
    la Statale fu occupata alla fine di novembre, quando il maggio francese si era già dissolto da un po’ ! In quel periodo, infatti, in molti dalla Gallia si trasferirono qui per condividere con noi gli attimi sfuggiti. Faceva fichissimo esibirli come esperti della lotta e soprattutto di slogan.
    🙂

  40. Lasciamo il tanga. Teniamo l’ombelico. Ma un altro ombelico, quello del mondo cantato da Jovanotti che non fece il Maggio e scelse di cantare con Pavarotti (un ombelico lirico e obeso) in nome della solidarietà per i popoli dilaniati nella ex Jugoslavia. Teniamolo per quei canti solidali che per molti si sono trasformati in scritture e lanci tv. Teniamolo ma guardiamo in alto. Gli ombelichi che stanno nel cuore e nella testa. E non gli ombelichi sexy con percing, gioiellini, e persino con tappo di spumante (come è accaduto a Naomi). Questi ombelichi che sponsorizzo e correvano nei cortei al suono del rock o delle canzoni, che rallegravano noiose assemblee, che accendevano gli amori nella scoperta della pillola per le ragazze, sono altri. Eccoli, da una parte: pacifismo (la guerra del Vietnam esplose anche nelle strade delle protesta giovanile), giustizia sociale,libertà individuale, voglia di diritti nuovi, più calzanti i tempi. E dall’altra:immaginazione, creatività sdrucita felice spesso fuori di testa e da sballo, fantasia, desideri (troppi?). Continuia, se volete, a parlare di altre parti del corpo e delle mongolfiere su cui si tentavano scalate: utopie entusiasmanti e utopie che diventeranno disastrose…

  41. Parlare di ciò che poi rappresentò da noi quel periodo, concentrandoci solo sugli eventi accaduti nel periodo stesso, significa non aver compreso gran parte della storia contemporanea. L’arte aticipò, per analisi, interventi e percezioni, quello che poi avvenne. E il tragitto fu lungo; iniziò addirittura negli anni trenta come risposta ai totalitarismi organizzati, oche si stavano organizzando minacciosi. Poi ci fu la guerra che disperse i movimenti ma ne creò degli altri, favorendo incontri, contaminazioni fra artisti europei e americani. Con la ricostruzione e l’espansione economica, l’arte conobbe il suo periodo fortunato, splendido, splendente. Un po’ commerciale, forse, ma di pensiero forte. Sulle ali dell’arte le idee circolarono ed esplosero con una forza, davvero rivoluzionaria…
    Senza quella ventata di genialità che entusiasmò artisti, scrittori, cineasti e poeti, tutto si sarebbe disperso con il tempo naturale degli avvenimenti. Esagerammo, ma le responsabilità si perdono negli interessi della politica e negli intrighi che oscurarono ogni cosa.

  42. Miriam, è emerso dai miei libri un documento del Movimento Studentesco di Milano datato 10 maggio 1968 in cui si diceva che ‘il MS si pone come obiettivo tattico immediato lo sgravio della pressione fiscale e autoritaria sugli studenti’ dettando alcune condizioni. Pertanto direi che l’origine è contestuale, o di poco posteriore, ai moti studenteschi europei; poi, come dici tu, le occupazioni dure, furono dell’autunno. Quanto all’arte, sarò stato frastornato, all’epoca, ma proprio non mi ricordo che emergesse in qualche forma particolare: parole, tante, queste sì. Ma, diavolo di un Navigero, se continua con le sue inchieste finirà che mi dovrò ricordare anche della mia balia e delle sue tette spropositate…

  43. Gianmario, è vero, questo Massimo ci costringe a cose pazzesche!!!!
    Però per l’arte è così , ho ripassato tutto oggi, ma non mi sembra il caso di scrivere un saggio breve. Un nome solo: Piero Manzoni e la sua merda d’artista. Tieni presente che fece tutto molto prima del 68 (morì nel 1963)E poi tu, come puoi ricordarti dell’arte se facevi il trotzkista leninista! Fra l’altro,Trotzki, fu fatto fuori in Messico proprio da un pittore (così sembra)!!!
    ciao
    🙂

  44. Mi permetto di dire qualche cosa sull’argomento ”arte (Lettere incluse) e politica”.

    1) L’arte, quando c’e’ ed e’ vitale, qualsiasi potere economico-politico puo’ solo ufficializzarla e remunerarla, ma anche senza ufficializzazioni e soldi si impone di per se’;
    2) la fantasia, anche se non sta al potere, non puo’ essere limitata;
    3) un Paese puo’ evolversi anche senza far rivoluzioni;
    4) i grandi artisti non sempre hanno grandi ideali politici, anzi spesso ne stanno fuori, ne sfuggono i limiti terreni e secolari;
    5) l’arte deve avere un’idea di fondo del tutto, ma questa idea puo’ anche nascere da un fior di campo e finire sulla sua corolla, senza per forza sognare un mondo umano diverso.

  45. Questo e’ pessimismo storico puro, lo so. Ed individualismo. Infatti non vedo altra possibilita’ per l’artista di creare e vivere, se non uscendo dalla malattia della Storia, pur senza ignorarla. Ma uscirne si’, sempre, nell’esercizio dell’arte. Dopo averla studiata.

  46. Caro Luca, li ho letti i libri che indichi. Potrei allungare, di molto, il tuo elenco esemplificativo. Mi sono stati tutti utili, anche quando non li condividevo leggendo. (Ricordo, tanto per stare nei libri, che uscì nel 1998 un mio libro intitolato “1967-Tuoni prima del Maggio”, con l’intenzione di non celebrare l’anno ma di raccontare l’anno prima,gli anni prima, e cioè le fasi di preparazione degli ultimi o penultimi cento metri che seguirono). Tra i libri che ricordi ce ne sono due di Mario Capanna. Non lo conosco. L’ho visto in tv quando col microfono in mano arringava i contestarori davanti alla Scala e poi, infine volte nelle tribune o trasmissione politiche. Fanatico del ’68, con passione sincera, mi pare, e con un pizzico di…eccessivo compiacimento per averlo vissuton e per esserne stato un dei leaders. A volte, quando ricompare, fa discorsi per metà assennati e per metà patetici. Ma non sono d’accordo con chi lo ha preso per il c….
    Si fa presto a prendere qua e là, e prendersela con un ingenuo (magari un pirla senza saperlo, dico per dire) che ha vissuto una esperienza e ci ha guadagnato poco o nulla, magari solo prese in giro e una presa di inebriante nostalgia o visionarietà. Siamo al punto che i Patetici del Potere criticano i patetici di chi ha scambiato lo scontro con i poteri con i tempi dei ragazzi della via Pal…Capanna e tanti come lui vanno discussi ma non presi…Sono inoffensivi e teneramente “idioti” (in senso dostojevshiano) ma lo sono meno di certi predicatori della stampa tesi a nutrirsi di prodotti scaduti per sentirsi ganzi…

  47. Insomma, e qui chiudo davvero scusatemi, l’uomo artista puo’ anche non essere un ”animale sociale”, dunque ingabbiarlo negli eventi storici significa tarpargli le ali: e questo si fa oggi in Italia.
    Ciao a Miriam, a Gianmario e a tutti.

  48. @Miriam, e Carlos’s, e Gea e quanti altri…bravi.
    Gli altri.
    Tutti a dire quanti anni avevamo nel ’68…il chi c’era…
    Il 1968 è stato un evento rivoluzionario e/o culturale.
    Era stato anticipato dai musici, Beatles e Rolling Stones, e dalla moda e le cosce secche di Mary Quant.
    Fu una rivolta borghese.
    Ma anche la rivoluzione d’ottobre fu una rivoluzione borghese, parola di Comunista.
    Il primo prodotto di sovversione dello stato di cose presenti non programmato (neanche la rivolta di Spartacus e dei gladiatori lo furono, ma quella è un’altra storia).
    Non nacque in Italia, vi arrivò come riflesso sbiadito e cominciò sempre di riflesso, sull’onda delle manifestazioni di pensiero francesi e di quelle medio-borghesi americane.
    Le yankee furono forse più potenti. Gli americani che se ne fottevano della pace, ma se la facevano sotto ad andare in Viet-nam.
    Fu descritto bene da Pasolini, ed è pedissequo ricordarlo, visto che siete tutti abbastanza colti, amici cari, da sapere cosa disse PierPaolo.
    Da noi cominciò a friggere nel 69, un po’ come le mode, (@Miriam ha sempre ragione @Gianmario piantala di fare ricerche!)
    Ci sono alcune date, sostanzialmente che lo rimarcano, ma il sigillo vi fu posto il 25 novembre 69 quando il Pci sancì la nascita del ’68 espellendo i redattori del gruppo “Il Manifesto” Aldo Natoli, Luigi Pintor e Rossana Rossanda (la Rossanda a novembre era ancora abbronzata), che sarebbero andati a fondare “Il Manifesto” (giornale), e quando il 12 dicembre l’altro avversario di quella rivoluzione (ma non si comprendeva), lo stato, avallò e insabbiò la bomba di Piazza Fontana e tre giorni dopo si fece cadere dalle mani scivolose il povero Pinelli.
    Ma quello era il ’69 e lo avevano cominciato gli operai. Gli studenti, tutti figli di ricchi (qualche figlio di portiere, di stabile, non di calcio) trovarono la breccia del proletariato.

    Fu dirompente il ‘68, il capitalismo ne aveva necessità per riformare la produzione industriale e i bisogni indotti. Le industrie degli eskimo furono quotate in borsa e il panino con la nutella del Mamiani, dopo essere entrato nel “paniere Istat”, contribuì ad un aumento sostanziale del Pil.
    Nacquero “Potere Operaio”, “Avanguardia Operaia”, “Mondo Operaio”, “Maledetto Operaio”, quest’ultima espressione coniata da Gianni Agnelli dopo l’istituzione dello Statuto dei Lavoratori (70), che tra l’altro prevedeva nei bagni delle fabbriche l’introduzione della carta igienica a due veli.
    Nacque a quei tempi l’avverbio “Cioè”, per le assemblee studentesche e di fabbrica, collegato alla frase “in quanto donna” per i collettivi femministi.
    Di quel tempo ci restano alcuni dischi in vinile e la coscienza a posto: abbiamo già dato!

  49. Caro Sergio, oggi l’artista cercava di uscire dalle ali tarpanti dell’Italia culturalmente cattofascista per gettarsi in altre ali da un’altra parte. Oggi non c’è artista che non cerchi casa o casina o casino, nel senso che nel casino politico o dell’antipolitica pullalo artisti (specie registi e attori) che si schierano sperando di lavorare in nome del potere in cui si sono fatti cooptare. Nel ’68 o Sessantotto c’era almeno l’illusione che l’artista era un artista….

  50. Naturalmente, nel mio precedente c’è all’inizio un “oggi” scappato dal ’68 e tuttavia lapsus…pardon…

  51. Per tornare un attimo alla leggerezza…
    Mi viene in mente che il ’68 è stato l’anno in cui usci la canzone più bella del secolo (chi non è d’accordo mi dimostri il perché).
    Il giorno esatto dovrebbe essere il 30 agosto.
    La canzone è “Hey Jude!”. La compose un certo Paul McCartney, che la cantò insieme ad altri tre amici.

  52. @ Italo
    Hai scritto: “Oggi non c’è artista che non cerchi casa o casina o casino, nel senso che nel casino politico o dell’antipolitica pullalo artisti (specie registi e attori) che si schierano sperando di lavorare in nome del potere in cui si sono fatti cooptare. Nel ‘68 o Sessantotto c’era almeno l’illusione che l’artista era un artista….”

    Non sono d’accordo. Gli artisti prezzolati (o partaborse o portabandiere)o gli pseudoartisti ci sono sempre stati. Ci sono oggi, come ci sono stati ieri.
    Mi piace pensare che oggi – come ieri – ci siano ancora artisti liberi (e uomini liberi).
    Mi piace pensarlo e lo credo.
    Secondo me fare di tutta l’erba un fascio (in positivo o in negativo) è sempre sbagliato.

  53. @ Jean de Luxembourg
    Hai scritto: “L’immagine di Massimo con l’anno “1968″ scritto con il paint piace parecchio. Sembra una delle tante scritte fatte con una bomboletta di vernice su un muro di un palazzo delle nostre città e fotografato con una vecchia macchina in bianco e nero”.

    Grazie Jean, mi fa piacere che ti piaccia.
    In effetti mi hai fornito una buona idea.
    Va’ a rivedere l’immagine.

  54. D’accordo. Accetto l’osservazione, come speranza, come illusione, come correzione di persone. Io non parlo degli artisti che lavorano in silenzio, si calano nel loro lavoro, ma di quelli (ho scritto preferibilmente registi o attori) che sono ogni giorno sulle pagine dei giornali, che si candidano a presidenze, sottosegretariati, consigli di amm, eccetera. Non faccio nomi. Li conosciamo tutti. Io penso, e qui non ho dubbi, che molti artisti sono direttamente o indirettamente responsabili del declino di una situazione artistica e culturale che abbiamo sotto gli occhi. Certo non mancano le eccezioni e le consolazioni ma… il ’68 era un’altra cosa e se serve cercherò di spiegarlo…

  55. A me è piaciuta molto una definizione letta su La Repubblica: il ’68 fu l’anno della rivoluzione contro il padre.
    L’esigenza di avere un dialogo profondo con il padre.

    Negli anni settanta i miei genitori mi dicevano di passare alla larga dai capelloni che si riunivano in gruppo nel parco di fronte casa mia e accendevano fuochi di bivacchi, la notte cantavano e suonavano, si chiamavano hippies. Passano alla storia i loro cespugliosi capelli, le patacche in ferro su pelosi o setosi ombelichi, le ragazze magre e infiorate pronte all’unione, mitici i filmati di Woodstock, come rappresentante di una generazione successiva li ringrazio tutti per aver introdotto nuove leggi nel codice civile. L’epoca porta con sè anche i ricordi degli oggetti, i dischi in vinile, i cinturoni, i pantaloni a zampa, mi è rimasta addosso il ricordo di un’atmosfera dove insieme alla gioia del movimento c’era l’immagine della novità.
    Sono stati ragazzi fortunati quelli del sessantotto, figli di un Italia che cavalcava l’onda del boom economico, liberi di poter scegliere se fare la rivoluzioni o accomodarsi passeggeri sulla fiammante fiat del padre, oppure entrambe le cose. Anche la mamma, bigodini a parte, prese ad avere dimestichezza con la lucidatrice e la lavastoviglie e la vita cambiò, il costume cambiò: interessante fu che il fenomemo ebbe una dimensione planetaria, i cortei si vedevano a Londra come a Roma, a Parigi come a New York. Gli animi predicavano l’amore e la pace e le contestazioni portarono l’esatto contrario.
    A distanza di tempo, così come ha ammesso lo stesso Mario Capanna, ci si accorge che quanto voleva inizialmente combattere l’edonismo ha finito per essere completamente assorbito dal consumismo, ed è qui, a mio avviso, che cade la rivoluzione culturale e tutta l’ideologia che nella buona fede l’aveva sostenuta, s’inabissa qull’esigenza che nel suo impulso vitale voleva un dialogo vero fra le generazioni.
    Oggi, fra tecnologie avanzate e vuoti esistenziali, ricompaiono i nostalgici del sessantotto e questa volta sono loro ad esser padri, (qualcuno anche nonno) : mi piacerebbe capire se nei loro racconti a figli e nipoti, accanto alla nostalgia hanno compreso che cos’è la libertà.

  56. Caro Italo Moscati,
    un conto e’ doversi adattare, superficialmente, alla politica per poter campare, e un conto e’ aderire profondamente ad un partito. Ecco. I pochi veri artisti ancora esistenti, mi sembra che si adattino e li capisco; gli pseudoartisti invece aderiscono e di solito valgono meno della penna che usano.
    Cordialmente
    Sergio Sozi

  57. Capisco cosa intendi, Italo. E in effetti di quel tipo di persone ce ne sono tante.
    E certo che il ’68 era un’altra cosa (approfondisci il concetto se ti va, sì). Perché la stessa “aura” di contestazione (e di rottura) favoriva lo scioglimento di certi “legacci” con un certo mondo.
    Oggi viviamo in contesto molto (ma molto) più piatto, non c’è dubbio. L’abbiamo detto altre volte.
    Ma la domanda di fondo resta.
    Che eredità ci ha lasciato il ’68?
    Ci ha lasciato davvero un’eredità, o fu solo mera illusione?
    (Tu, appunto, hai scritto che “Nel ‘68 o Sessantotto c’era almeno l’illusione che l’artista era un artista….)

  58. @ Miriam e Gianmario
    Sono lieto di avervi “costretto” – grazie a questo intervento diItalo Moscati – a ri-pescare sul vostro passato e a cercare vecchi documenti – o libri – e ricordi accantonati.
    Dovrei farlo più spesso!
    🙂

  59. E se il “68 non fosse un anno?
    Se fosse la voglia sfrenata di essere – una volta sola essere – ciò che non possiamo?
    Se fosse quella libertà che non abbiamo, la vita che non avremo il coraggio di vivere, i sogni che non osiamo formulare?
    Se fosse ciò che non riusciamo ad essere?
    …E allora tornerà. Sotto mentite spoglie tornerà, e forse è già tornato mille volte nella storia, ogni volta che un uomo ha detto no, una donna si è data solo per amore, una canzone o un libro è stato scritto per pura necessità.
    Prenderà altri nomi, e si vestirà di altre facce, avrà forse parrucche nel 1700 o tanga nel 1900, sciorinerà bandiere al vento o le brucerà.Sarà i volti che avremmo voluto guardare allo specchio. Liberati. Padroni di un destino. Illusi, solo illusi, di dominarlo.
    Perchè la storia insegna. Il sogno – dopo – cambia. Crolla. Si trasforma.
    Ma ciò che ricordiamo non è il crollo.
    E’ che abbiamo sognato.

  60. Che cos’è un artista? Cominciamo da qui. Nel ’68 incontro e frequento Pasolini e Visconti. Avevano le loro idee politiche, dalla stessa parte. Ma nella libreria di Visconti c’era abbondante letteratura novecentesca: libri annotati accuratamente pagina per pagina. Nelle giornate di Pasolini c’era una febbre di conoscenze e di creativià (da pasticheur come diceva lui stesso) che impressionava…Altri erano come loro, concentrati nel lavoro, nemmeno un secondo andava sprecato per farsi raccomandare da un potente per conquistare un posto a Cinecittà, nei teatri stabili o lirici, in tv…Adesso, di personaggi senza calcoli di questo genere ce ne sono sempre meno (e non c’erano tra i giovani artisti del ’68) e non annotano, forse neanche leggono, forse la creatività si sviluppa nei corridoi dei passi perduti, nelle anticamere. Mi spiace ma la tendenza è questa. Altro che revival del ’68!

  61. In effetti, Simo, questa tua visione del ’68 è molto particolare e suggestiva. Eppure verissima.
    Scrivi: “E se il “68 non fosse un anno?
    Se fosse la voglia sfrenata di essere – una volta sola essere – ciò che non possiamo?
    Se fosse quella libertà che non abbiamo, la vita che non avremo il coraggio di vivere, i sogni che non osiamo formulare?
    Se fosse ciò che non riusciamo ad essere?
    …E allora tornerà. Sotto mentite spoglie tornerà (…)”

    Questa tua lettura conferma, per quanto mi riguarda, che il ’68 – considerato come anno – è poco più di un’illusione.
    È che abbiamo sognato.
    Ma ti domando (e vi domando)… serve (è utile) sognare?

  62. @ Italo Moscati
    Sono d’accordo: Mario Capanna, che ho avuto l’occasione di conoscere, è un’uomo intelligente, da intellettuale acuto e buon conoscitore del costume sociale ha analizzato e capito gli errori della sua generazione e per quanto politicamente anacronistico, suo malgrado, come persona non è per niente patetico. Tutt’altro. Dovrebbe dedicarsi esclusivamente alle scienze politiche.
    Trovo patetica la scena politica ed i suoi personaggi quelli i che sono a destra vanno a sinistra e viceversa, al centro chi c’è non si sa, i lifting se li sono fatti tutti, non si riesce a capire la differenza fra un populista e un popolare, un radicale e un democratico operaio, la classe dirigente è vecchia o è nuova e poi dov’è la novità…

  63. Caro Italo,
    mi dici che ”nella libreria di Visconti c’era abbondante letteratura novecentesca: libri annotati accuratamente pagina per pagina. Nelle giornate di Pasolini c’era una febbre di conoscenze e di creativià (da pasticheur come diceva lui stesso) che impressionava…Altri erano come loro, concentrati nel lavoro, nemmeno un secondo andava sprecato per farsi raccomandare da un potente per conquistare un posto a Cinecittà, nei teatri stabili o lirici, in tv”.
    Concordo. FINO al Sessantotto un uomo di cultura era un uomo di cultura. Studiava. Anche se di Destra. Studiavano tutti. DOPO il Sessantotto, invece… eh… due piu’ due fa quattro.

  64. @ Rossela…non all’utopia in generale. A quella che coviamo sotto le apparenze…
    Buona notte a tutti!

  65. Auguro a tutti buonanotte.
    Rispondo alla mia domanda.
    Serve (è utile) sognare?
    Credo di sì. Senza i sogni la vita sarebbe grigia.
    L’importante è fare dei sogni trampolini di lancio e non occasioni di distruzione. (Mica facile).
    Il rischio c’è… ma meglio affrontare i rischi che accettare il grigiore cupo.

  66. Tranquillo, Massimo: il sogno non e’ Storia, ne’ politica. E’ solamente sogno e appartiene a chi sa ricordarselo – perche’ lo fanno tutti. Chi se lo ricorda e lo sa trascrivere adeguatamente e’ un letterato, e studia la grammatica per farlo bene, questo suo ”reportage onirico”.
    Cosi’ ho risposto anche a Moscati.
    Buonanotte e grazie a Italo Moscati, Simona, Massimo eccetera. Ciao Dido’: fa caldo a Napoli o hai la fevra a quaranta come disse Bennato?
    Sergio

  67. @ massimo:
    io rispetto la tua idea. ma si vede lontano un miglio che nel 68 avevi zero anni.
    per noi, già grandicelli e imbarazzati alle prime feste, Hey Jude sermbrava bella solo perché era lunga e ti consentiva di tenere la lingua in bocca della ragazza un po’ più di “Holyday” dei Bee Geese o di “Rain and tears” degli Aphrodite’s child.
    Per i beatlesiani le cancozi del gruppo sono altre, tante altre. Hey Jude è nel mucchio. Un bel mucchio, ma sempre mucchio. She’s leaving home, per esempio, la polverizza.
    Per il resto a me sembra che essere qui a raccontare quegli anni dopo averli vissuti sia già un miracolo. Molti che mi facevano compagnia non ci sono più da tempo o è come se non ci fossero. Non so cos’altro dire.

  68. Quando ci si sveglia, i sogni (belli) si mescolano o si possono mescolare con gli incubi a occhi aperti. Il ’68 è stato un sogno? il sogno di una o di tante notti? Ripensandoci è stato un sogno mscolato a incubi. Il sogno di vivere una stagione speciale in mezzo a cretini che straparlavano, usavano slogan e gergo stravecchi gabellandoli per nuovi, intanto preparavano le molotov e se c’era qualche mitra in giro lo mettevano da parte…Un sogno finito in tragedia. Ma c’era chi sognava ed era contro i cretini, non si lasciava influenzare e soffriva un pò in mezzo alle canzoni, agli amori, alle urla di passione e di rancore per ingiustizie magari geograficamente lontane…c’era chi non si genufletteva davanti alla immagine del bel Che Guevara esposta per molti minuti in coda al film “L’ora dei forni” di fronte alla quale centinaia di ragazzi sembravano farsi prendere da una trance (Pesaro, Mostra del cinema, ’68…)

  69. @ Enrico
    Anch’io rispetto la tua idea. Ma si vede lontano un miglio che nel ’68 eri in preda a confusioni adolescenziali. 🙂
    “She’s leaving home”, pezzo dello stesso McCartney, è bellina, certo. Carina l’idea della ragazza che decide di fuggire da casa cantata con quella doppia melodia a incrocio, ma “Sgt. Pepper” contiene brani di ben altra fattura. A parte il pezzo omonimo, persino “With a little help of my friend” (sempre di Paul, ma cantata da Ringo) le è superiore. “A day in the life” (pezzo di John con parte finale di Paul) è di un altro pianeta.

  70. “Hey Jude!” è un pezzo geniale per la melodia e anche per la semplicità del testo.
    La prima volta che Paul si mise al piano per farla ascoltare a John c’era anche Yoko Ono presente (e il rapporto nel duetto Lennon/McCartney) si stava già incrinando.
    Eppure John quando ascoltò quel brano rimase strabiliato. Credo che il pezzo che abbia invidiato a Paul sia proprio quello: “Hey Jude!”

    don’t make it bad / take a sad song and make it better…

  71. Ma cosa pensavano i Beatles del ’68?
    La risposta ce la fornisce il brano “Revolution” di John Lennon, presente all’interno del doppio “White Album”.
    Per loro, peraltro, il 1968 si era aperto con un viaggio in India presso il Maharishi Mahesh Yogi.

  72. Ecco il testo di “Revolution” (evidenzio un passaggio importante)

    You say you want a revolution
    Well, you know
    We all want to change the world
    You tell me that it’s evolution
    Well, you know
    We all want to change the world
    But when you talk about destruction
    Don’t you know that you can count me out

    Don’t you know it’s gonna be all right
    all right, all right

    You say you got a real solution
    Well, you know
    We’d all love to see the plan
    You ask me for a contribution
    Well, you know
    We’re doing what we can
    But when you want money
    for people with minds that hate
    All I can tell is brother you have to wait
    Don’t you know it’s gonna be all right
    all right, all right
    Ah

    ah, ah, ah, ah, ah…

    You say you’ll change the constitution
    Well, you know
    We all want to change your head
    You tell me it’s the institution
    Well, you know
    You better free you mind instead
    But if you go carrying pictures of chairman Mao
    You ain’t going to make it with anyone anyhow
    Don’t you know it’s gonna be all right
    all right, all right
    all right, all right, all right
    all right, all right, all right

  73. Ecco una traduzione del brano trovata on line

    Dici che vuoi fare la rivoluzione
    Be’, sai
    Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
    Mi dici che è evoluzione
    Be’, sai
    Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
    Ma quando parli di distruzione
    Non sai che non devi contare su di me?
    Non sai che andrà tutto bene ?
    Non sai che andrà tutto bene?
    Non sai che andrà tutto bene?

    Dici che hai trovato una diversa soluzione
    Be’, sai
    Non ci va di conoscere il progetto
    Mi chiedi di dare un contributo
    Be’, sai
    Facciamo quel che possiamo
    Ma se vuoi finanziare persone che nutrono odio
    Fratello, tutto ciò che posso dirti è dovrai aspettare
    Non sai che andrà tutto bene
    Non sai che andrà tutto bene
    Non sai che andrà tutto bene

    Dici che cambierai la costituzione
    Be’, sai
    Vorremo tanto farti cambiare idea
    Mi dici che è l’istituzione
    Be’, sai
    Faresti meglio a mettere la testa a posto
    Ma continui a portare foto del Presidente Mao
    Non la farai [la rivoluzione] con nessuno, in nessun modo
    Non sai che andrà tutto bene
    Non sai che andrà tutto bene
    Non sai che andrà tutto bene

    O, o, o, o, o, o, o, o, o, o
    Tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene
    Tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene, tutto bene
    O, o, o, o, o, o,
    Tutto bene, tutto bene, tutto bene
    Tutto bene
    Tutto bene

  74. Buona giornata a te, Massimo, e a tutti gli altri… E poi, Massimo, io ho scritto “brava Simona” e tu hai ribadito “è sempre brava”…Ne prendo atto e mi complimento con Simona e con chi fa vivere questi spazi!

  75. Complimenti per la nuova picture… un po’ meno complimenti al carpentiere che ha eretto il muro sullo sfondo… spero abbia cambiato lavoro. 😉

  76. Eh sì, brava sempre Simo.
    Il sogno è necessario, per reinterpretare il reale, per intravedere scenari possibili.

    Io sono quello che ho cercato,
    quello che scavando non ho trovato.

  77. E citiamo pure Calderon de la Barca:”La vita è sogno”. Ma, come rileva Massimo in riferimento a un mio “compromesso”, la vita è sogno e incubo, sogni spesso come desideri e desideri che, inappagati, suscitano incubi, voglia di incubi, forse per …punirsi? Il ’68 potrebbe essere anche e soprattutto questo’

  78. di qualsasi movimento , proprio perchè così esteso ci sono splendori e miserie.
    Bisognerebbe chiedersi non tanto cosa sia stato ma cosa è rimasto dentro noi.
    a me non sono rimasti ricordi di ombelichi al vento. ne vedo molto più oggi.
    volevo segnalare questo libro
    “il mondo sottosopra” di renato pasqualetti edito affinità elettive
    buona giornata a tutti.
    tanti diari personali del 68 che è poi da noi 69/70.e proseguimento…….
    formerebbero un interessante libro teso all’individuo e non ad un omologazione spesso mal costruita.buona giornata a tutti patrizia garofalo

  79. Caro Italo, condivido pienamente la tua posizione e visione culturale sul ’68, prima e dopo, il riferimento al sogno generazionale e a Mario Capanna compreso il translato dei ragazzi della Via Pal: ché io in quel periodo abitavo in P.za Giulio Cesare in Milano e un mio carissimo amico, oggi avvocato principe del foro di Milano, abitava al Giambellino: è tutto vero! Mario Capanna una persona veramente perbene e utopica non ci ha permesso di studiare liberamente con le occupazioni delle aule della Statale; ma io devo ringraziarlo, ché il sogno,il mio rapporto ludico con il ’68,sono andato a godermelo a Londra, per un anno, tanta musica, il mio sesso con amore, e niente spinelli, pasticche o altro;
    segue%

  80. segue%
    ché io ho deciso di svegliarmi sempre al mattino, nella condizione di ricordarmi i miei sogni. Così mi sono laureato in legge con 110 e lode e pubblicazione della tesi in diritto internazionale: pronto ad entrare a pieno titolo, quindi, negli anni ’80: gli anni finalmente dell’azione con obiettivi concreti e non utopie contaminate dalla politica estremista sia di destra che di sinistra: poveri figli del tempo di allora così insicuri e ingenui da credere che la libertà fosse un diritto che non si nega a nessuno: nemmeno ai ragazzi della Via Pal.
    Buona giornata a te Italo Moscati e grazie per la tua seria e corposa testimonianza,
    e a tutti gli amici in ascolto.
    Luca Gallina

  81. Volevo ringraziare Silvia per le sue parole e perché, evidentemente, si sente più vicina a quelli che nel ’68 erano troppo piccoli o non c’erano proprio. Magari ci si ritrova quando si parla, se se ne parla, del ’77 😉

  82. @ Simona
    il 68 non fu un sogno ma un’esplosione energica che non si poteva più contenere e in ogni realtà, si sviluppò contaminandosi ai diversi contesti. In Francia, abituati alle rivoluzioni e alle contro rivoluzioni, accorparono le agitazioni in pochi mesi. Noi la tenemmo lunga, ancora, ancora e ancora, fino all’epilogo tragico che conosciamo. Riempimmo di sogni “i ricordi” dei primi entusiasmanti momenti, lo sboccio del fiore. Poi fu chiasso, pretesa, confusione, spaesamento, violenza, dissoluzione. Rimase vivissima la retorica. Pensa che successo straordinario!!!
    🙂

  83. Riassumo il mio scritto con una frase: il 68 segnò lo sfogo delle illusioni che frullano in ogni mente umana, soprattutto in quelle dei giovani, di poter creare un mondo migliore. Alla fine si rivelò ebbene una sola illusione. Illusione è la scintilla di ciò che dovrebbe avvenire dopo, senza poterlo divenire per mancanza di una preparazione seria e conseguente al contatto con la realtà rappresentata dalla classe del potere, che a sua volta sa sfruttare ogni movimento di massa per il suo bene.
    Del 68 non ci rimane che un’esperienza utile per il prossimo futuro, quando la situazione politica, di certo globalizzata, costringerà le nuove generazioni di tutto il mondo a ritentare la rivolta civile e pacifica con più maturità e quindi coraggio, perseveranza, veridicità, e quindi meno tornaconto individuale, così che infine anche un’illusione possa realizzarsi nell’intrico del potere, addomesticandolo e rigenerandolo.
    Illusioni e sogni sono le forze della sopravvivenza personale in un mondo troppo difficile e complicato da poterlo rendere idoneo anche soltanto per se stesso.
    Saluti
    Lorenzo

  84. @ massimo:
    la complessità armonica e strutturale di “she’s leaving home” non ha eguali nè precedenti. quanto poi a ritenerla migliore o peggiore di altre, de gustibus. così come per me, prima di “hey jude” ce ne sono a decine.
    strawberry fields forever
    eleonor rigby
    the fool on the hill
    yesterday
    while my guitar gently weeps
    accross the universe
    i’m the walrous
    let it be
    ……..proseguo?
    🙂

  85. Smona ha scritto: il 68 covava l’utopia sotto le apparenze ed ha ragione. Il suo è il pensiero della “classe dirigente”, di coloro che di buon occhio guardano ai movimenti di massa ispirati dai sentimenti di giustizia e che, con sorriso sornione, riflettono su Morfeo (…)
    Secondo me bisogna andare un tantino oltre. Riflettere, come effettivamente stanno facendo gli ex sessantottini che realizzano bilanci esistenziali, su concetti che riguardano l’interiorità della persona.

    Vado sul pratico.
    Cercare nuove dimensioni, plasmarsi, la duttilità è data anche dai tempi e gli avanguardisti mi sono sempre piaciuti, vanno avanti sostenuti dalle passioni, di solito le loro vite sono piene ed intense, ricche di esperienze vivificanti… ad un certo punto però è abbastanza naturale chiedersi dove si sta andando o perchè si è presa quella direzione, qual’era la meta.

  86. @Italo Moscati
    Non avete previsto la pubblicazione delle Vs. registrazioni dell’intero ciclo di trasmissioni Rai su CD?
    Grazie e complimenti per il tuo prezioso lavoro,
    Luca Gallina

  87. Grazie a Italo Moscati…
    … e a tutti voi che mi permettete di dare uno sguardo a un periodo che non h vissuto ma del quale tutti noi “settantini” siamo in qualche modo figli.

  88. @ Italo Moscati…grazie! Sì, la vita è sogno e incubo. Ma incubo non è solo il non-sogno, il sogno non realizzato. E’anche il sogno realizzato e speso male.
    @ Rossella…non credo che le due cose siano in contraddizione tra loro. Interrogarsi sull’origine dei propri sogni equivale a interrogarsi su se stessi, sul perchè delle strade intraprese o degli errori fatti. All’origine di ogni nostro sogno c’è una domanda dell’anima. Un’esigenza. Una traboccante necessità.
    E anche le esplosioni di energia di cui parla Miriam credo abbiano molto in comune con ciò che cova tra le maglie dei nostri desideri….

  89. D’accordissimo, cara Simona: il sogno, i sogni spesi male (o sequestrati da incubatori di incubi…)

  90. Scusate se non sarò breve.
    Uno.
    Simona e poi Massimo lanciano questa deriva sul sogno, ampiamente raccolta.
    Io la penso più come Miriam: “il 68 non fu un sogno ma un’esplosione energica che non si poteva più contenere e in ogni realtà, si sviluppò contaminandosi ai diversi contesti”.
    Non credo neanch’io ad un sessantotto marcato dal sogno. Allora si credeva concretamente nelle azioni condotte. Il materialismo storico era filosofia imperante.
    Immaginazione al potere, peace & love, utopisti ed utopie erano qualcosa di aggiuntivo. Il potere di cambiare il mondo, o almeno di incidere in quel cambiamento, era percepito come reale e concreto e la fantasia era solo uno dei mezzi (non il fine) a disposizione; ed il mondo effettivamente cambiò. Non proprio come volevamo, ma cambiò.

  91. Due.
    Per gli artisti può anche essere, come sempre, diverso. L’artista di fantasia si nutre, sennò che artista è? Ma credo che nel 68 anche gli artisti pensassero a possibilità concrete. All’azione oltre che alle idee.
    Già mezzo secolo prima del 68 anche Marc Chagall (che artista era) tornò in Russia pensando che grazie alla rivoluzione l’arte si sarebbe definitivamente liberata da canoni superati e pastoie generando nuove possibilità. Sappiamo tutti come andò a finire. Chagall se ne scappò di nuovo via e il regime che nacque da quella rivoluzione fu tutt’altro di quello che immaginava. L’arte in effetti morì soffocata dalla propaganda (come sono bieche e triste le cosiddette “arti di regime”, sempre ed ovunque!).
    L’arte che si frammischia alla politica finisce per piegarsi ad essa e ai suoi voleri. Ciò che non risulta funzionale alla causa diventa contrario alla causa e va soppresso. Pasolini (che artista era) proprio a causa dei suoi giudizi su Valle Giulia fu sempre considerato eretico dai suoi partiti di riferimento. Guttuso ad esempio a mio parere non fu vero artista.

  92. Tre.
    Nel 68 questo mare di bisogni, di idee, di necessità profonde fino allora latenti, trovò (non so neanch’io come) un pertugio nella crosta attraverso il quale fuoriuscire. Anzi i pertugi c’erano già qua e là da qualche anno, ma nel 68 la pressione di quel magma giunse al livello di guardia (forse) e trasformò quei pertugi in crateri e quei rivoli preesistenti in un fiume di lava.
    In quel fiume c’era di tutto, e forse non tutti volevano le stesse cose. Ce ne accorgemmo col tempo: il mondo cambiava ma forse nessuno riusciva a riconoscerlo come avrebbe voluto. Forse è allora che ci accorgemmo che avevamo sognato. E ciò che nasce come sogno è a posteriori che si rivela utopia.

  93. @ Massimo & Enrico
    Beatles over all: 1) The fool on the Hill; 2) A day in the life; 3) For no one.
    Hey Jude? troppo sempliciotta. She’s Leavig Home ? troppo barocca.

  94. @ Carlo
    considerando la tua lucidità, avresti potuto continuare anche con altri capitoli. Concordo in tot.
    🙂

  95. Da non dimeticare:
    oltretutto fu anche “dolorosissimo” concludere gli studi in un caos didattico che penalizzò la formazione, soprattutto di chi a casa non aveva mezzi e sostegni per fare da solo. (i figliolini di papà godevano un sacco ad occupare le scuole e impedire a noi, figli di proletari, di frequentarle) Il 68 “poetico dei sogni” fu anche questo!

  96. A proposito di ’68 classista ( i figli dei ricchi e i figli dei proletari). Simone Weil, molto amata oggi più di ieri, figlia di borghesi, andò a lavorare in fabbrica per raccontare la condizione operaia. Ne uscì definendola insostenibile. Nel ’68, e soprattutto i primi anni dopo, i figli del benessere con proletari affascinati dal linguaggio e da scelte di campo per i dannati della fabbrica e della terra, cercavano gli operai, anzi l’operaio da far parlare nelle assemblee. Fu anche quello un sogno?

  97. Gregoriano, d’accordo pienamente con te sulle canzoni dei Beatles; aggiungerei solo, tra le prime We can work it out (con variazioni di tempo e uno dei testi meno sempliciotti) e la sorprendente Help (praticamente polifonica). Se ti bastava Hey Jude per fare il Lupo con Cappuccetto Rosso, cosa non hai combinato quando è uscita Je t’aime, moi non plus…?

  98. Massimo, grazie per avere opportunamente riportato il testo di Revolution. Nell’aria, allora, c’erano molte cose, molte tensioni: conosci la potente The eve of destruction? In paragone mi sembra che oggi ci sia solo odore di gomma, aria fritta insomma. Sei d’accordo con questa impressione? Vorrei chiederlo anche a Moscati e Speranza che mi sembrano molto lucidi e disincantati nelle loro esposizioni.

  99. Gianmario. Sei forse tra i pochi che si ricordino di Barry McGuire!
    100 punti (e accesi anche gli special).

  100. E We can work it out è effettivamente una tra le prime canzoni notevoli dei B. Proprio per i cambi di tempo oltre che per il testo non banale, come tu sottolinei. A lezione da Charlie Mingus?

  101. @ Moscati
    ricordo anche un rapporto molto ravvicinato fra generazioni diverse; cosa oggi assolutamente sconosciuta. I giovani e gli adulti si guardano dalle rispettive posizioni. Già prima del 68 erano nati, proprio qui, nelle “zone bianche” centri culturali misti per ideologia e provenienza sociale, e poi da non dimenticare il ruolo dei cattolici (non mi ricordo l’aggettivo giusto, insomma quelli del Concilio di Giovanni XXIII). Insieme si organizzavano cineforum frequentatissimi. In quel periodo successe veramente di tutto!

  102. Carlo, il mio idolo era Coltrane, che ebbi la fortuna di ascoltare al Lirico, affollatissimo, mentre, qualche anno dopo un mesto Bill Evans (era per me il migliore dei ‘bianchi’) si esibiva in una saletta in Galleria davanti a non più di venti persone, me compreso. Grazie per i punti.

  103. Io Coltrane non ho mai avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo. Nè lui, nè Dolphy, nè Monk. Questi sono rimpianti importanti!

  104. Un’ultima cosa su Hey Jude!
    (soprattutto per Enrico e Gianmario):

    Enrico ha scritto: “Hey Jude sermbrava bella solo perché era lunga e ti consentiva di tenere la lingua in bocca della ragazza un po’ più di “Holyday” dei Bee Geese o di “Rain and tears” degli Aphrodite’s child.”

    Gianmario ha ribadito, rivolgendosi a Enrico: “Se ti bastava Hey Jude per fare il Lupo con Cappuccetto Rosso, cosa non hai combinato quando è uscita Je t’aime, moi non plus…?”

    Molto interessante…
    Peccato che “Hey Jude!” è rivolta a un soggetto maschile.
    In effetti Jude è un nome maschile: Giuda (Jude Law, Jude l’oscuro).
    Insomma, Enrico… ti sbaciucchiavi la ragazza mentre McCartney cantava “Hey Giuda!”

    Per la cronaca:
    Paul McCartney racconta che il motivo della strofa di questa canzone la ideò mentre guidava la sua automobile. Sul sedile di dietro stava seduto il primogenito di John Lennon: Julian.
    All’improvviso Paul prese a cantare: “Hey Jules, don’t make it bad…”.
    Però Jude suonava meglio.
    Questa è la storia.
    Ma torniamo al ’68, se vi va.

  105. Miriam appoggia Carlo e carlo sostiene Miriam.
    Entrambi si contrappongono a Massimo e Simona.
    Ci sto.
    Il “sogno” contro “l’esplosione energica”.
    La battaglia è appena cominciata…
    🙂

  106. L’ ”esplosione energetica del sogno” c’e’ chi l’ha realizzata grandiosamente: Giorgio Albertazzi che recita con Dario Fo. Altre che sogno, loro due assieme: iperuranio!

  107. P.S.
    Perche’ i veri artisti se ne fregano, in fondo, della politica. Quando la marea dei politici, tesserati, schierati, politici di professione, modaioli, ignoranti generici, atteggiati ed allegati glielo permettono, beninteso.

  108. Il ’68 è stato enfatizzato e mitizzato oltremisura e si continua l’enfatizzazione con il fatto di continuarne a parlare. Per la verità è stato un momento di grandi aspettative. Io all’università mi aspettavo che dopo le occupazioni e le proteste i corsi di studio si adeguassero ai tempi con una preparazione più orientata al mondo reale. Così non è stato. In poche parole considero i fatti del ’68 come un’occasione perduta per istanze genuine, sincere di riforme e di cambiamenti altrettanto genuini e sinceri.

  109. vorrei dare una “lezione” a maugeri abbinando i beatles al ’68.
    una volta Paul McCartney disse: “noi 4 non eravamo così folli da pensare che stavamo cambiando, ma non eravamo nemmeno così cretini da non sapere cosa stessimo facendo”.
    Mi pare che ciò calzi a pennello anche con chi in qualche modo “fece” il 68, in forma pubblica o in forma privata.

    @ massimo in particolare:
    conoscevo la storia di “hey jude”. ti confermo che ritengo la canzone carina e nulla più. e dato l’utilizzo che ne facevo poteva anche parlare dell’obesità delle formiche rosse o della previsione della fusione a freddo e a me non me ne sarebbe fregato un granché.
    se sul piatto del giradischi avesse girato, chessò, “For no one”, avrei interrotto qualunque cosa per ascoltarla

  110. errata corrige: dopo “cambiando”, manca la parola “il mondo”. chiedo scusa, ma quando leggo quello che dice maugeri sui beatles mi si obnubila il sensorio
    🙂

  111. Ma lo stesso Paul McCartney riconoscerà in “Pet Sounds” dei Beach Boys il suo album preferito di tutti i tempi. Fino a regalarne una copia ad ognuno dei suoi figli come perfetto ausilio didattico all’educazione musicale. Tutte le classifiche dei Top 100 albums del secolo (scorso) mettono sempre in ballottaggio ai primi due posti Pet Sounds (1966) e Sgt. Pepper (1967). E io concordo. Al terzo io ci metto “The Who Sell Out” (1967), poi, forse, “Blonde on Blonde” (Dylan- 1966).
    Il sessantotto era alle porte , ma la scena musicale era già pronta per il grande cambiamento. L’arte gioca d’anticipo.

  112. @ carlo:
    sì, pet sounds e brian wilson erano gli idoli dei beatles. quanto alle classifiche esse lasciano il tempo che trovano e servono a far conversazione, che comunque male non è. ergo io al primo posto metto “velvet underground & nico”

  113. (Hope) Vero che il 68 è stato enfatizzato, ma è diventato una di quelle date dalle quali non si possono più vedere le cose come prima. Voglio cercare di darne una lettura in breve per chi non l’ha vissuto, parziale e imperfetta ma spero utile come questo dibattito. Direi: fu una rivolta studentesca, in tutta Europa, che rovesciando l’insegnamento come imposizione del potere (detenuto dagli adulti) rivendicò potere per i giovani che si riconoscevano per la prima volta come categoria. Condensò pertanto tutte quelle istanze (già nell’aria da anni) di richiesta di potere anche da parte di altre classi che non l’avevano. Più che una rivoluzione, fu una rivendicazione che coinvolse una grande massa di persone per anni, nel bene e nel male. Nel bene: la casta professorale non fu più tale; si cominciò a sognare, a cercare un mondo migliore: To seek a newer world era il bel libro di Bob Kennedy, assassinato proprio nel 68! Si ottenne di accedere a cose sino allora elitarie. Il sogno fu per tutti. Nel male: si confuse l’elitarietà dei dispensatori di cultura con la cultura dispensata che divenne pertanto da eliminare come retaggio del passato, come tutto il passato: grave errore perchè se non si conosce il passato meno ancora si può capire il presente. Alcuni vollero andare oltre la rivendicazione cercando una rivoluzione, armata e finanziata da forze anche estranee al nostro paese, pensando di sollevare quelle che non erano classi ma categorie: si diffuse una sorta di critica dogmatica, che non fu mai autocritica, che portò la sinistra a fossilizzarsi in schemi ideologici incapaci di evoluzione. (Questi schemi sono sopravvissuti: ad esempio in Ascanio Celestini, applaudito alla Fiera del Libro ma,secondo me, giovane nato vecchio e superato, come i suoi concetti, di lotta al padrone, creazione di un collettivo, presa di coscienza e via dicendo, gli stessi del 68. Ma oggi è più rivoluzionario Bill Gates che, in fondo, è un padrone, illuminato).

  114. Velvet Underground mancavano di continuità: alternavano cose grandiose (Venus in Furs) con cacatelle sparse qua e là. Di Sgt.Pepper non c’è nulla da buttare. In Pet Sounds forse la sola Sloop John B., (che fu un’aggiunta voluta dalla produzione).
    That’s my opinion.

  115. @ carlo:
    in velvet underground & nico non c’è nulla da buttare esattamente come in sgt pepper (oddio, lovely rita non è un capolavoro).
    i velvet, finché ha retto il duopolio Lou reed-john cale (2 dischi ufficiali) hanno fatto SOLO capolavori. Dopo, senza Cale ma sempre con Reed, sono usciti dischi “semplicemente” fantastici. Uscito anche Reed hanno pubblicato “Squeeze” che, in effetti, è fiacchissimo.
    Io ho TUTTI i dischi dei Beatles e TUTTI quelli dei Velvet Underground, Carlo. E tu?
    🙂
    ps: sì, lo so. sul rock sono addirittura più testa di cazzo del consueto

  116. Sono passti quarant’anni e ancora se ne parla. Evidentemente ha segnato un’epoca, ha segnato una svolta nel costume, nel pensiero (si è votato per il divorzio etc..) alla luce dei fatti -conquiste-. Perché, sì, di conquista si tratta quando l’individuo riesce ad ottenere una posizione di assoluto rispetto del proprio sé e -legalmente- può, cioè alla luce del sole, affrontare la propria vita con intelligenza e consapevolezza, senza remore restrittive che creano, pur di difendere un’apparente immagine, situazioni di falso perbenismo.
    Io lo ricordo ..anche se ero piccolina.. e ricordo la consapevolezza dei tanti problemi che venivano alla luce e che per risolverli, capivo, dovevano considerare il rispetto umano come elemento fondante.

    Un saluto a tutti ..all’ex neonato Salvo, all’allora imberbe Morena ..vuoi vedere che la nonna alla fine sono io? ..e allora ..datemi del lei!
    p.s. Per Massimo: l’immagine su postata è perfetta ..o quasi 🙂

  117. Ma non vi siete stufati? Io rovescerei l’anno e mi metterei a parlare dell’86. I Ragazzi dell’Ottantasei, ve li ricordate? Revoluscion non lo dicevano piu’.

  118. Buccimpero, con uno squillo perentorio hai rivendicato orgogliosamente le tue gesta al seguito dell’Imperatore Domiziano, nell’86 appunto! Lo so che, più dei problemi dei tirunculi (= studentelli in latino) ti son sempre stati a cuore i ludi gladiatori, ma da allora son passati quasi duemila anni, e dalle tue contrade son scomparsi anche i Marcomanni: non ti sembra di esagerare? (Dovresti anche cambiare strumento, perché la bucina con l’umidità si intrappa e emette suoni fessi…). Vale.

  119. @ gianmario
    questa rivisitazione del 68 è stata simpatica! Anche se l’immagine più bella è quella di Enrico alle prese con i “lenti” ritmi di avvicinamento.
    Però, siamo stati tutti bravi! bene.
    🙂

  120. Ave, Ianus Marius,
    il tempio del tuo dio e’ sempre aperto… pax tibi!
    Il Buccimperus non imperialis sed republicanus

  121. P.S.
    (O era il contrario? Era aperto in tempo di pace e chiuso durante le guerre? Sono rinco, oibo’: chiamatemi un grammatico, per favore. Grazie.).

  122. Grazie a tutti, ho letto e imparato. Una sola osservazione finale: il ’68 non è solo un solco nel 900 come per altri fatti (la caduta del muro dell”89), è una leva di futuri che si sono consumati in fretta e di altri futuri (o primavere come mi piace dire) che prenderanno lezioni da quella lunga parola che resiste: Sessantotto, con le sue musiche che assorbono tanto…Provate con le puntate su Radio1Rai…

  123. Credo che le porte del tempio di Giano si spalancassero in tempo di guerra. C’è una leggenda che una volta le volle spalancarsi per miracolo divino, segno ch’era tempo per i romani di combattere. Ripasserò. Massi, col tuo blog siamo sempre coi libri in mano, stereo nelle orecchie a ricordarci le canzoni, occhi in fiamme davanti a monitor e dvd… Pietà!

  124. Maria Lucia, mi permetto di eleggere lei, così gentile, a rappresentante di tutti gli amici del blog e naturalmente del suo curatore Massimo. Di nuovo grazie. Colgo l’occasione anche per una notizia. Dopo “Ma com’era il ’68?” farò una trasmissione sul 1989, l’anno della caduta del muro e di una storia appassionante, dolorosa, tragica, indimenticabile…

  125. Caro Italo,
    riascolterò con piacere le tue trasmissioni sul ’68 dal sito di Radio1Rai.
    Per chi volesse riascoltarle in radio (e non su web) ricordo che le suddette puntate torneranno in onda dal 26 agosto al 5 settembre 2008 (dal martedì al venerdì alle 11)… sempre su Radio1Rai.

  126. In bocca al lupo per la trasmissione sul 1989 (anno davvero storico… altro che ’68!) e avrò il piacere di ospitarti di nuovo qui per discuterne assieme con gli amici fraterni che seguono questo blog e che non dimentica mai di ringraziare.
    Perché senza di loro questo stesso blog (open-blog) non avrebbe ragion d’essere.
    E grazie a te, naturalmente, caro Italo.

  127. Marilu’, Gianmarius,
    si’… il tempio di Giano veniva aperto in tempo di guerra. Ho verificato e fatto bene nel rispondere al caro Gianmario (Ianus Marius).
    Bacioni e Bella Estate, sicula mia – beata te!
    Sergio

  128. Di sicuro il 68 fu un momento di rottura. Contrariamente a quello che pensano in tanti io l’ho vissuto come un momento di grande Cultura in tutti i campi. Cultura nuova che troncava con il vecchio. Certo una volta che si cominciò, si esagerò anche. Mi domando se il 68 in Italia non fu possibile anche grazie al Centrosinistra che portò una montagna di cose nuove nella società italiana. In Italia il 68 ebbe sviluppi diversi da altri Paesi. Certo nacque anche il terrorismo ma qui il discorso si fa lungo. Ecco quello che a me sembra importante sottolineare fu il fatto che il 68 permise anche alla classe lavoratrice l’accesso alla Cultura fino ad allora in mano ai baroni. Certo sul 68 si sono scritti migliaia di volumi e molti altri se ne scriveranno. Di certo cambiò le cose ed oggi assistiamo alla restaurazione.

  129. @Pino Granata
    certo che fu un momento di rottura co0n il tradizionale e di grande effusione culturale, ma purtroppo finì male, per mancanza di maturità e coscienza.
    Qualcosa ne è rimasto, ma sembra che adagio adagio venga rimosso ed eliminato dal potere.
    A mio modesto parere, è il sistema economico che va sottoposto ad una critica severa ed intangibile, basata sui principi dell’etica e della morale e delle cognizioni raggiunte, perché è sempre lui che controlla tutto e impone la direttiva politica.
    Una classe del potere politico più coscienziosa ed evoluta, aiutata da quella degli intellettuali, avrebbe dovuto coordinare il movimento popolare del 68, preservandolo degli eccessi nocivi che lo caratterizzarono. Il grande movimento finì male e troppi suoi protagonisti consumarono la disfatta nella droga e in altri eccessi della vita.
    Saluti.
    Lorenzo

  130. 1968. da noi arrivò l’anno dopo, un po’ perchè fine maggio le scuole erano finite, un po’ perchè, senza internet, certi fenomeni ci giungevano in ritardo.
    nelle scuole (io c’era) il ’68 era: trenta attivisti che trascinavano al fancazzismo i restanti 270 liceali.
    chi dice che non fu così o non c’era, o mente sapendo di mentire.
    ragazzi, ma quando c’era un’assemblea, poniamo, alle 14,00, ma chi cacchio ci andava? sempre i soliti 30.
    io parlo per la Campania, poi forse al Nord c’era più coscienza politica.
    p.s.: c’era pure il mito della Cina, e mao zedong era mao tse tung. che si fosse trattato di un sanguinario lo si è saputo solo di recente.

  131. Il ’68 era anche un anno in cui i giovani per viaggiare erano costretti a fare l’autostop, dormivano negli ostelli per la gioventù per risparmiare, lavoravano gratuitamente nei campi di lavoro del Servizio Civile Internazionale. Qui magari si incontrava qualche ragazza di Praga che piangeva a causa dei russi che le invadevano il Paese.

  132. Caro Massimo…. io il ’68 te lo racconto così!!!

    __________________________________________

    ‘ 68… Un testo… un ricordo… la rabbia…

    di Alessandra Cesselon

    Eravamo a Via Ripetta

    (Spezzatino di pre- sessantotto all’Accademia di Belle Arti di Roma)

    Eravamo tanti,

    e non sapevamo di essere i primi.

    Prima di architettura, prima del sangue

    prima della politica!

    Eravamo belli

    Semplici, senza paura

    Nessuno ci aveva mai picchiato,

    si andava in questura

    senza paura.

    Via Ripetta, dietro al Tevere

    Prima anima della lotta degli studenti di Roma

    Un fiume di ragazzi, vicino al fiume

    Con i cartelli attaccati al corpo,

    con la voglia di esistere, di farsi vedere

    dalla protervia degli adulti,

    quando la parola “giovani”

    non era alla moda.

    Io, la segretaria dell’associazione

    degli studenti

    decidevo le strade del corteo…

    parlavo col questore, a 17 anni…..

    Mi sembrava normale

    Volevamo studiare, di più e meglio!

    Non ci saremmo mai sognati

    Il 6 politico…

    Ad alcuni di noi, anni dopo

    Sembrò un tradimento

    Assemblee corrette, interminabili

    Solo i cattolici erano odiati.

    Noi ragazze avevamo i tacchi

    e le gonne al ginocchio.

    Poco dopo le minigonne

    ci scoprivamo le gambe,

    ma tenevamo le ginocchia strette

    come ci avevano insegnato

    le nonne.

    I ragazzi con le giacche

    dai revers stretti

    e le cravatte…

    Ci sembrava normale…

    All’Accademia di Belle Arti

    di Roma

    La strada occupata, l’Accademia occupata

    Era il 1967

    E noi volevamo studiare

    Volevamo solo studiare meglio

    E nessuno capiva….

    Volevamo essere università

    Più materie, più impegno…

    Volevamo solo studiare meglio…

    Parlare col ministro dell’istruzione

    Fu facile…

    Molto meno

    Far accettare ai nostri genitori

    Di ospitare nelle case

    I ragazzi

    arrivati dalle altre accademie

    D’Italia….

    Dormire in accademia

    Era concesso ai maschi

    e alle tipe….considerate mignotte.

    Chi c’era stato sapeva

    Che si pomiciava, ma con discrezione…

    Ci si baciava fino a sfinirsi, dietro le cattedre

    Qualcuno suonava una chitarra.

    Ma non si parlava mai

    apertamente

    di fare l’amore.

    La notte ci trovava tutti insieme

    Ancora a discutere d’autogestione

    o di Jaques Brel.

    Un mangiadischi con le pile scariche

    Suonava Luigi Tenco.

    All’alba qualcuno portava sempre

    i cornetti caldi…

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