MARCEL PROUST – SAGGI (Il Saggiatore)
edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza
Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è incentrato su un bellissimo e corposo volume dedicato all’intera produzione saggistica di Marcel Proust. Il libro, edito da Il Saggiatore e intitolato “Marcel Proust – Saggi” (pagg. 974, euro 75), offre molteplici spunti di riflessione sulle svariate tematiche culturali e letterarie che l’autore della Recherce ha prodotto nel corso dell’esistenza in parallelo alla sua attività di romanziere.
Ne ho discusso con Mariolina Bertini (foto in basso), curatrice dell’opera (nonché, tra le altre cose, docente di Letteratura francese all’Università di Parma; curatrice delle edizioni delle principali opere di Proust presso Einaudi, Bollati Boringhieri e Suhrkamp; curatrice, nei Meridiani Mondadori, di una scelta in tre volumi della Commedia umana di Balzac: un estratto della prefazione del 3° volume è disponibile qui).
-Marcel Proust è universalmente noto per la sua Recherche. Nell’ambito della sua attività saggistica (raccolta in quest’opera monumentale pubblicata da “Il Saggiatore”) quali sono gli elementi che lo avvicinano e quali quelli che lo distanziano dalla sua attività di romanziere?
Una delle particolarità della Ricerca del tempo perduto è quella di essere un’opera nella quale sono confluite tutta l’esperienza e tutta la cultura del suo autore. I critici si affannano a ripetere ai lettori comuni che la Ricerca non è un’autobiografia e che il personaggio che da un capo all’altro dei sette romanzi che la compongono dice “io”, non è Marcel Proust. Tuttavia il lettore ingenuo, non prevenuto, che tende ad identificare Proust con il suo narratore , coglie una verità profonda dell’opera: il fatto che dal 1908 al 1922 Proust ha lavorato a trasporre e rielaborare nel suo romanzo i propri ricordi, la propria conoscenza della società francese, il proprio pensiero sull’arte e sui rapporti tra l’arte e la vita. Dunque , nella Recherche c’è tutto Marcel Proust, l’inventore di personaggi ma anche il critico (vi troviamo pagine su Dostoevskij, su Balzac e su altri scrittori), l’umorista, il sociologo, lo psicologo… Una ricchezza senza fine. Attraverso i Saggi, è possibile seguire la genesi nel tempo di questa ricchezza di idee che caratterizza la Recherche : negli articoli giovanili emergono l’interesse per l’arte medioevale , ma anche la curiosità per la mondanità e per la moda, l’attenzione per le letture infantili, le riflessioni sulla creazione artistica. Leggere questi Saggi spesso equivale dunque ad entrare nel laboratorio mentale da cui nasce la Ricerca , con tutti i suoi temi e con lo sfondo della cultura fin de siècle vista da un testimone d’eccezione.
-Nel dedicarsi alla lettura di questi saggi qual è la sorpresa principale in cui potrebbe imbattersi il conoscitore di Proust romanziere?
Come dicevo prima, la Ricerca ha una forte dimensione autobiografica : mette in scena un narratore chiuso ermeticamente nelle proprie impressioni, nei propri desideri, nelle proprie fantasie. Dai Saggi viene fuori invece – gradevole sorpresa per il lettore del grande romanzo- un Proust attento a tutto e curioso del mondo esterno, pronto a pronunciarsi polemicamente su una legge che non gli piace (la legge laicista che voleva trasformare le cattedrali in musei) o a commentare con accento dostoevskiani una tragedia di cronaca nera (Sentimenti filiali di un matricida).
-Se invece volessimo rivolgerci a coloro che non hanno mai letto nulla di Proust… quali opportunità offre questa raccolta di saggi?
Per chi non sia un frequentatore della Ricerca, questi saggi costituiscono comunque una via d’accesso privilegiata al mondo artistico e intellettuale europeo dell’epoca . Leggerli ci offre l’occasione di guardare la pittura di Gustave Moreau o le cattedrali amate da Ruskin con gli occhi di un giovane colto vissuto tra la fine del XIX° secolo e l’inizio del XX°; un giovane che ha fatto a tempo a conoscere personalmente Oscar Wilde ma che è anche tra i primi ammiratori di Picasso, in quel momento cruciale e contraddittorio che è l’ aurora della cultura modernista.
-Nel volume sono raccolti saggi, recensioni e cronache mondane che ricoprono un arco temporale molto ampio della vita dello scrittore (dagli anni del Collège fino al periodo successivo alla Prima guerra mondiale). Cosa puoi dirci in merito alla evoluzione della scrittura di Proust, con riferimento a questi suoi testi?
Proust conquista presto una scrittura personale : già le pagine, inedite in vita, scritte sull’ispirazione e sulle leggi della poesia negli ultimi anni del XIX° secolo, annunciano la lunga frase sinuosa della Recherche, che cerca di far percorrere al lettore lo stesso cammino mentale che lo scrittore intraprende per comunicargli le proprie impressioni. E’ interessante leggere, a questo proposito , il saggio Sulla lettura , del 1905 , in cui un Proust non ancora romanziere (ha alle spalle soltanto un tentativo non riuscito, l’autobiografico Jean Santeuil ) ci conduce nel mondo della sua infanzia, nel giardino di Illiers dove ha fatto le sue prime esperienze di lettore. La Ricerca non è ancora stata concepita, eppure il suo tema centrale (quello della memoria “involontaria”, destata da sensazioni improvvise) comincia a profilarsi, in un contesto dal fascino singolarissimo. E questo tema esige una scrittura che lo esprima con assoluta originalità: la scrittura che sarà della Ricerca, ma che vede la luce in queste pagine saggistiche del 1905.
-Per ciò che emerge da questi saggi, come si pone Proust rispetto ai principali scrittori e critici suoi contemporanei?
Proust, tra i suoi contemporanei, è piuttosto isolato; non ama i cenacoli simbolisti e nemmeno i gruppi in cui si formulano i manifesti delle avanguardie. Quando Gallimard diventa il suo editore, nel 1918, la rivista di Gallimard, la “Nouvelle Revue Française”, gli apre le porte e pubblica due dei suoi più importanti saggi critici , quello su Baudelaire e quello su Flaubert. Agli occhi del pubblico, Proust è allora un autore targato “NRF”, come Gide ; ma lui non si sente affine né a Gide né ad altri suoi grandi contemporanei, come Claudel o Péguy. Non sottovaluta i suoi “compagni di strada” e nella sua corrispondenza ha spesso parole incoraggianti nei confronti degli esordienti che gli chiedono consiglio, o di vecchi amici che hanno deciso di intraprendere la via della letteratura; ma rifugge da ogni impresa collettiva, attento alla specificità della sua estetica e totalmente assorbito dall’elaborazione della sua opera personale.
-Il volume apre con un saggio di particolare importanza intitolato “Contro Sainte-Beuve”. Quali sono gli elementi di principale interesse che offre questo testo?
Per il lettore italiano che prenderà in mano questo volume, la sorpresa più grande sarà certamente costituita dal saggio del 1908-09 Contro Sainte-Beuve. Di questo saggio infatti, che Proust non portò mai a termine, sinora era stata tradotta in italiano soltanto la versione ricostruita da Pierre Clarac nel 1971. Era una versione composta di soli frammenti critici, nei quali Proust si sforzava di dimostrare che Sainte-Beuve – critico autorevolissimo scomparso qualche anno prima- aveva commesso un grande errore focalizzando le sue analisi sulla biografia degli scrittori studiati. L’io profondo che si manifesta nella creazione letteraria, per Proust, non può essere catturato con gli strumenti della biografia, ma va rintracciato nella dimensione stilistica e tematica dell’opera. Però i testi saggistici isolati da Pierre Clarac erano soltanto una piccola parte dell’opera magmatica, in costante divenire, cui Proust pose mano nel 1908-09. Nei quaderni dello scrittore, questi testi saggistici coesistevano con abbozzi narrativi nei quali cominciavano a far capolino i personaggi della futura Ricerca. La nuova edizione del Contro Sainte-Beuve contenuta nei Saggi e curata da un giovane studioso della filosofia di Proust, Marco Piazza, dà un’idea più realistica di qesta fase del lavoro di Proust, fase in cui il suo romanzo maggiore comincia ad emergere dalla riflessione critica, con cui è inizialmente intrecciato.
-Tra le altre cose, cara Mariolina, sei la curatrice dei Meridiani Mondadori dedicati a Balzac… dunque non posso non chiederti di raccontarci qualcosa in merito al “ritratto” che Proust ci offre di Balzac. Cosa puoi dirci a tal proposito?
Con il suo grande predecessore Balzac, Proust ha un rapporto complesso , e anche contraddittorio. Nelle pagine del Contro Sainte-Beuve esprime su di lui un giudizio severo : a differenza di Flaubert, che persegue la purezza e la perfezione assoluta dello stile, Balzac inserisce nei suoi racconti digressioni e riflessioni di varia natura che compromettono l’omogeneità della sua scrittura. Possiamo dire che Il Proust del Contro Sainte-Beuve legge Balzac con gli occhi di Flaubert , che in una delle sue lettere aveva sospirato: “Che uomo sarebbe stato Balzac, se avesse saputo scrivere!”. Tuttavia, nel corso della lunga elaborazione della Ricerca, il modello balzachiano esercita un ascendente forte su Proust : la grande figura del barone di Charlus, che nasconde la propria omosessualità e il proprio masochismo dietro una facciata di intransigente virilità, deve molto a Vautrin, il genio criminale che in Papà Goriot e in Illusioni perdute impone la propria ambigua protezione ai giovani verso cui lo orienta un irresistibile desiderio erotico.
Inoltre, Balzac è stato tra i primi romanzieri a dare largo spazio a quello che Carlo Ginzburg ha definito il “paradigma indiziario” . Le sue descrizioni ossessivamente dettagliate hanno lo scopo di fornire al lettore gli indizi per decifrare la realtà: nell’arredamento di casa Grandet è scritta l’avarizia del padrone di casa; l’abito grigio della principessa di Cadignan esprime il segreto desiderio di questa grande seduttrice di mostrarsi per una volta dimessa , riservata e quasi timida. Sarà proprio Proust a ereditare – più di qualsiasi altro romanziere delle generazioni successive – questa strenua volontà balzachiana di decifrare il reale, di leggere la realtà psicologica e sociale facendone emergere i significati nascosti.
-In definitiva, qual è – a tuo avviso – la principale eredità che Proust ci lascia con riferimento specifico all’attività di saggista e di critico?
Il fascino di questi saggi sta nella molteplicità degli stimoli che offrono: ci portano nei salotti degli anni Novanta dell’Ottocento ma anche davanti alle sculture della cattedrale di Amiens, e nel parco di Illiers dove lo scrittore bambino sperimenta per la prima volta il sortilegio della lettura. Per chi poi nutra interesse per la critica letteraria, i saggi del periodo che segue il primo conflitto mondiale sono davvero irrinunciabili. Proust vi espone la propria teoria dello stile, “grande ossatura inconscia” sottesa alle opere , e la mette alla prova in analisi magistrali dello stile di Baudelaire e di Flaubert . E’ sicuramente in queste pagine, che ispireranno la critica stilistica di Curtius e di Spitzer, che sta la grande eredità del Proust critico, destinata a lasciare un segno profondo nella cultura del Novecento.
-Grazie mille per la tua disponibilità e per le belle risposte che ci hai offerto, cara Mariolina.
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La scheda del libro
Autore centrale del canone letterario novecentesco, ricordato per quella fluviale opera-mondo e insuperabile costruzione romanzesca che è Alla ricerca del tempo perduto, Marcel Proust ha accompagnato, lungo tutto l’arco della sua vita, l’attività narrativa a quella saggistica, consegnando alla posterità un’impressionante messe di recensioni, articoli, interventi di critica letteraria e del gusto, riflessioni teoriche legate al significato dell’arte, alla sua permanenza, alla sua possibilità di offrire – a chi legge come a chi, rapito, osserva una statua antica in cima a una colonna o una guglia contro il cielo del mattino – specchi in cui vedere e capire se stessi. Padrone di una lingua dalle risorse inesauribili e dotato di un’erudizione mai fi ne a se stessa e sempre impiegata per leggere in profondità il libro del mondo, Marcel Proust fonde in questiSaggi – che il Saggiatore presenta nell’edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza – cronaca e racconto, analisi e divagazione, engagement e divertissement, minando le tradizionali distinzioni di genere e registro. Una recensione di John Ruskin è allora l’occasione per un’evocazione immaginifica di Venezia, e la ricusa di uno dei critici più importanti dell’Ottocento francese – il famoso Contro Sainte-Beuve, qui arricchito di materiali finora inediti in Italia – si trasforma in uno dei più lucidi documenti di teoria letteraria del ventesimo secolo. Questa raccolta, che dai primi componimenti scolastici arriva fi no alle più compiute elaborazioni critiche della maturità – come quella, rimasta celebre, sullo stile di Gustave Flaubert –, è un prisma privilegiato attraverso cui guardare a Marcel Proust e, nel suo tracciarne la chiara parabola umana e artistica, si rivela uno strumento imprescindibile a chi ne voglia avvicinare con piena consapevolezza l’opera letteraria.
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Mariolina Bertini insegna Letteratura francese all’Università di Parma. Ha curato edizioni delle principali opere di Proust presso Einaudi , Bollati Boringhieri e Suhrkamp. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato nel 1996 “Proust e la teoria del romanzo”; presso Unicopli , nel 2010, “Incroci obbligati. Romanzo, ritratto, mélodrame”. Ha curato, nei Meridiani Mondadori, una scelta in tre volumi della Commedia umana di Balzac (1994- 2013) e Ritratti personaggi fantasmi di Giovanni Macchia (1997) . Ha diretto insieme ad Antoine Compagnon, Morales de Proust, n. IX-X dei “Cahiers de littérature française”, novembre 2010 e, insieme a Patrizia Oppici, il n. 64 di “Francofonia”, Du côté de chez Swann 1913/2013 , Primavera 2013. E’ vicedirettore de “L’Indice dei libri del mese”, membro del Consiglio direttivo del Groupe International de Recherches Balzaciennes, corrispondente per l’Italia dell’”Année Balzacienne” e membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze.
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