In questo post presentiamo i due libri italiani più votati nell’ambito del gioco “eleggiamo il miglior libro dell’anno 2007”. Si tratta di “Il senso del dolore” di Maurizio De Giovanni (Fandango, pagg. 256, euro 10) e “L’ultimo parallelo” di Filippo Tuena (Rizzoli, pagg. 352, euro 18).
Presentiamo di seguito due recensioni. La prima, relativa al libro di De Giovanni, già pubblicata sul sito del Premio Napoli, porta la firma di Luigi Pincitore. La seconda, per il libro di Tuena, è stata pubblicata su Diario da Gian Luca Favetto.
I due autori sono caldamente invitati a partecipare al dibattito sui loro libri.
Gli amici di Letteratitudine sono invitati a esprimere le loro considerazioni e ad accogliere i due autori con la massima cordialità.
(Massimo Maugeri)
___________________
Il senso del dolore di Maurizio De Giovanni
Tolstoj diceva che le famiglie felici sono simili le una alle altre. Talvolta capita che i libri felici siano simili l’uno all’altro. Ai lettori succede di scoprire un punto, anche piccolo – una pagina oppure una semplice immagine – che magicamente richiamano alla mente pagine o immagini di altri libri che pure si sono amati. Leggendo l’esordio di Maurizio De Giovanni (Il senso del dolore – Fandango) viene in mente quello straordinario racconto che è I Morti, scritto da Joyce a chiusura di Gente di Dublino. Due libri diversissimi, appartenenti a due scrittori altrettanto diversi. Uno, italiano, alle prese con un giallo solido e dall’impianto tradizionale, con protagonista principale un commissario di polizia impegnato nello scoprire l’assassino di un noto tenore. E qui il lettore più consumato può tranquillamente storcere il naso, dal momento che giallo e noir, per l’abuso che se n’è fatto negli ultimi anni, possono provocare una naturale crisi di rigetto. Senza contare quella distinzione che certa critica traccia tra letteratura alta e letteratura bassa, o di genere. Dimenticando che l’unica vera distinzione andrebbe fatta tra libri che emozionano e libri che non emozionano.Ma il gancio con il genio di Joyce c’è. E’ in quel lento cadere della neve, che scende sulla città di Dublino all’alba di un primo gennaio, e che sempre lentamente va a posarsi ovunque, su tutti i vivi e su tutti i morti; e paralizza lo sguardo di Gabriel, il protagonista del racconto, costretto a rimettere a fuoco quella cosa strana che chiamiamo realtà, e che nasconde sempre porzioni che ad un primo sguardo ci sfuggono. Nel libro di De Giovanni è il vento a cadere, letteralmente, sulla città. Un vento inusuale; non è lo scirocco africano che ci ricorda che Napoli è città mediterranea. E’ un vento freddo, australe, e anche qui cade sui vivi e sui morti. E ci fa scoprire che la città è davvero piena di morti. Più di quelli che un occhio qualunque possa normalmente vedere. Mentre il commissario Ricciardi li vede. E soprattutto li sente. Ha qualcosa, un potere, il fatto lo chiamo lui. E questo fatto, che non è potere parapsicologico da thriller americano, lo mette in comunicazione con i morti assassinati, di cui percepisce il dolore, di cui rivive nella carne e nello spirito l’agonia che diventa la sua. E così va avanti, senza poter raccontare ad alcuno di questo suo segreto, perché una volta ci provò, ragazzino, ma non fu creduto. Va avanti mescolando il suo dolore originario con quelli che vede e assorbe, antenna terminabile di un unico grande dolore che accomuna tutti i vivi e tutti i morti.
Ecco che salta subito all’occhio la componente cristologica del romanzo, il protagonista è condannato ad un eccesso di empatia verso l’umanità. E questa empatia, se da un lato gli permette di scavalcare l’immagine più semplice e banale del cadavere che ha di fronte, dall’altro lo condanna a scendere ogni volta in quel cuore di tenebra che ci portiamo dentro e che nell’istante della morte probabilmente illumina in un’ultima smorfia il nostro volto. Destino segnato il suo, perché evidentemente solo commissario poteva diventare uno che percepisce con tanta violenza emozionale il trapasso degli altri. Ma non c’è nessuna filosofia in questo fatto, Ricciardi non interroga forzatamente la propria identità. Oramai la accetta. E’ la sua nausea, e fa parte di lui. Egli è solo un povero Cristo, e ha la sua croce, e forse accettando di portarla silenziosamente sulle spalle aiuterà l’umanità dolente ad espiare.
Da questo punto di vista siamo nei territori dell’hard boiled, con la figura del detective solitario e a suo modo eroico. Che ha un amore inespresso che abita a pochi metri di distanza. Che ha occhi spesso socchiusi, perché la realtà è una luce che ferisce. E che incide dentro. Potrebbe bere whisky e fumare sotto la pioggia. Ma non siamo nell’America anni quaranta, ma, e qui c’è l’altro elemento di originalità del libro, siamo nella Napoli degli anni trenta. In pieno ventennio fascista. Quel vento che spazza le strade della città sembra alludere al vento del consenso, che spianava tutte le divergenze, gli alti e bassi, ammutoliva la gente entrando con forza in bocca, perché all’esterno fosse presentata un’unica facciata tersa e accogliente.
Romanzo quindi, questo di De Giovanni, in cui scorre sottopelle una cifra politica. Il segreto del commissario Ricciardi, all’esterno uomo del potere, emanazione di questori e potestà, allude al segreto di quanti in quegli anni erano costretti al silenzio e alla macerazione interiore, pena l’esilio e il confino. E così mentre indaga per ricomporre i tasselli che lo porteranno allo scioglimento del giallo, si immerge in quell’altro grande enigma narrativo e antropologico che è Napoli. Città da sempre problematica da raccontare. In questo romanzo l’autore opta per un’iconografia organica, presentando il dedalo di vicoli, il sovrapporsi di quartieri alti e quartieri bassi, con la folla spesso silenziosa e inerte che sciama per le strade, alla stregua di un reticolato di arterie e vene, dove scorre sempre molto sangue.
Quindi in una struttura di genere, basata sulla triade omicidio-indagine-interrogatori, si inseriscono alcuni piani che tendono a sbilanciare la narrazione, a farla uscire dai perimetri consolidati e canonici. L’autore sembra puntare soprattutto a costruire un mood, un’atmosfera che si faccia carico di sottolineare il non detto della vicenda, i momenti di sospensione e di precarietà.
Se nell’hard boiled chandleriano la solitudine di fondo del detective Marlowe era controbilanciata dalla secchezza dei dialoghi, dal machismo insistito e quasi autocompiaciuto di un certo stile di vita, qui siamo in un territorio diverso. Nonostante il vento Napoli si fa sentire, e batte sulla pelle del protagonista incidendola con la sua radice marina. Aleggia in queste pagine la solitudine salina di Montale, il detective creato dal grande scrittore francese Jean Claude Izzo. I dialoghi virano dal duro al malinconico. E la città nonostante non sia al centro della narrazione, se non durante i tragitti che il commissario compie, spostandosi in tram o a piedi, è in realtà sempre presente. Si direbbe anzi, che il mood del romanzo è in questa sospensione tra malinconia del protagonista e malinconia della città. Entrambi fuori posto, entrambi preda di un destino più grande. L’uomo schiavo del fatto, che ne regola il percorso biologico e umano. La città schiava della sua impasse storica e di un fascismo che non si accorda con il suo cuore segreto.
Potrebbero fondersi questi due eroi – uomo e città – ma non è possibile, se non in brevi e fulminanti momenti. A volte si incontrano, quando la morte di un uomo famoso cristallizza la scena. Altre volte si vivono uno addosso all’altro, ma poi ognuno torna sulla propria strada. Ricciardi si lascia alle spalle il teatro San Carlo entrando nel vento furioso che spazza Napoli. E Napoli va in quello stesso vento che però non la spinge mai abbastanza oltre.
Luigi Pingitore
Il romanzo uscito nel 2006 per un piccole editore napoletano come Graus, ha avuto un locale ma fulmineo successo. Immediatamente adocchiato da un grande editore come Fandango, è stato ripubblicato per essere riproposto ad una platea più ampia. http://www.premionapoli.it/2007/dolore.html
___________________
L’ultimo parallelo di Filippo Tuena
Alla fine, ma nemmeno troppo alla fine, già quando ci sei in mezzo fra pony, cani, tende, marce, cartine e ghiaccio, tanto ghiaccio, solo ghiaccio e neve, non pensi più che sia solo un libro. Mentre lo leggi, è un’avventura, un’esperienza. Sei lì che spii. Come fossi in un diario intimo, dentro una confessione, la confessione di un’ombra che racconta.Racconta che hanno giacche a vento di cotone e scarponi di cuoio, sci di legno pesantissimi e fragili, stivali di pelle di foca, due o tre paia di calzettoni di lana grezza, due o tre maglioni o camicie o maglie di cotone, grandi guanti di pelle di foca e sotto ancora guanti di lana, e poi slitte cariche e ingombranti. Hanno una missione, un’impresa, un sogno, un’ambizione, che poi è un’ossessione, un incubo, una solitudine: raggiungere il luogo che non c’è, un’idea di luogo, l’idea di un luogo, una metafora geografica, il cuore del deserto di ghiaccio. Raggiungerlo e piantarci una bandiera. Arrivarci per primi e poi tornare. Anche tornare, vogliono, questa è l’ambizione.Non ci riescono. Muoiono. E passano alla storia. E la storia passa su di loro. Passando su di loro, inchiodandoli nel ghiaccio, li restituisce immortali. Si chiamano Scott, Wilson, Bowers, Oates, Evans. Dal gennaio 1911 al marzo 1912, insieme a un’altra quindicina di uomini si sono trasferiti a Sud, all’estremo Sud, in Antartide, per cercare di conquistare il Polo. Ma come si può conquistare il nulla? E infatti è il nulla a conquistare loro, se li prende e li trascina con sé.Robert Falcon Scott è l’inglese arrivato il mese dopo, il 17 gennaio 1912. Prima di lui, il 15 dicembre 1911, nel centro del nulla aveva piantato tenda e bandiera il norvegese Roald Amundsen, e gli aveva lasciato anche una lettera personale. Anche Scott lascia una lettera, ma è una Lettera al pubblico. La scrive nella tenda in cui muore di freddo e di fame. Sulla via del ritorno. Stremato dai ricordi e dagli errori.Di freddo, di fame e di stenti sono già morti i quattro compagni che hanno provato l’ultimo attacco al Polo, i prescelti, dopo che tutti gli altri, a poco a poco, in varie occasioni, sono stati rimandati al campo base: Edward Adrian Wilson, dolce sguardo misuratore, esperto di alambicchi e pozioni; Henry Bowers, capitano della Indian Navy, che sapeva fare quasi tutto; Lawrence Oates, capitano dei dragoni, zoppo, costruttore di pessimismo; Edgard Evans, marinaio, il gigante che sembrava indistruttibile. Gli altri compagni si sono salvati – se ci può essere salvezza, in fondo.La Lettera di Scott è il resoconto di un viaggio solitario durante il quale gli esploratori si perdettero. Queste parole, così come le stringate definizioni degli uomini della spedizione, così come una straordinaria poesia che ha forza epica e narrativa, le trovi nell’Ultimo parallelo di Filippo Tuena: non un romanzo, non un saggio, non un’indagine storica, ma un bel modo per non fare passare il tempo e viverlo, non spenderlo, ma guadagnarlo attraverso una storia emozionante e una scrittura alta.Quasi prendi gli occhi di colui che procede incappucciato avvolto in un mantello bruno, l’uomo in più, quello che gli esploratori, al limite insopportabile della fatica, credono di scorgere al proprio fianco, la loro ombra silenziosa. Che è poi la voce narrante di questa storia.
Quasi diventi gli occhi di Edward Atkinson, chirurgo di marina, che ha raggiunto i cadaveri degli amici e per primo ha letto i loro diari. Come lui, l’uomo della riserva, tu leggi per primo i loro diari attraverso l’Ultimo parallelo. Sono le parole e la storia dei vinti, ma non sconfitti, di quelli che stanno sempre sulla battigia fra oblio e memoria. Ma quando ci arrivi anche solo una volta, alle loro imprese, al loro destino, non li dimentichi più. È il miglior regalo che ti possa fare un libro: dare la struggente sensazione di essere scritto per te.
Gian Luca Favetto
da Diario
Ribadisco l’invito ad accogliere i due autori con la massima cordialità.
🙂
E ovviamente Maurizio De Giovanni e Filippo Tuena sono invitati a partecipare
Magari, se i due autori sono d’accordo, potremmo chiedere di farci leggere qualche passo significativo delle loro opere.
eccomi, sono qui. vorrei innanzi tutto ringraziare renzo, milvia, subaga e gli altri che pervicacemente hanno votato il mio libro. e massimo per l’ospitalità.
filippo
Mi dispiace solo di non aver letto il libro di De Giovanni. Per quanto sia pressochè impossibile fare un paragone attendibile fra due opere, forse potrebbero esserci dei punti di convergenza nello stile, nella capacità di andare a fondo. Comunque la recensione di Pingitore mi sembra che evidenzi un lavoro un po’ al di fuori dei canoni consueti, analogamente a quello di Tuena.
Lascerei però la parola ai due autori, magari proprio per riportare qualche passo significativo, come tu Massimo hai giustamente richiesto.
@Filippo: Grazie a te che hai scritto un’opera che rimane dentro e che, riletta, fa scoprire ogni volta qualche cosa di nuovo.
Grazie Renzo.
Benarrivato, Filippo. E grazie a te.
@ Filippo
Ti chiederei di parlarci tu stesso di questo tuo libro. Magari potresti dirci quale “molla” ha fatto scattare la scrittura… da dove nasce l’idea.
Ma guarda, un po’ la storia del libro la racconto nel blog di serino, http://satisfiction.menstyle.it Qui potrei magari aggiungere qualcosa non tanto sull’argomento esteriore del libro – la spedizione di Scott alla conquista del polo sud – quanto sulla sua struttura. Credo che la narrativa moderna debba per quanto possibile allontanarsi dal meccanismo narrativo tradizionale, ovvero, lo scrittore s’inventa una storia e la sviluppa per il piacere del lettore
Mi viene in mente questa cosa. Che all’inizio dell’Odissea Odisseo ascol-a dal cantore la sua propria vicenda sotto le mura di Troia. Successivamente racconta se stesso.
Credo che il lettore di un libro faccia lo stesso. Inizia ascoltando una storia che è la sua storia. A un certo punto della narrazione prende in mano le redini del racconto e in prima persona racconta se stesso. Cancella il narratore e vi si sostituisce. Lo scarta, lo mette da parte. E’ insofferente perché non gli sembra adeguato. E’ un po’ quello che succede in Ultimo parallelo. La struttura aperta consente al lettore di entrare nella vicenda, di farla sua, di gestirne lo sviluppo. Ecco, ho cercato di fare questo.
Velocissimo a mantenere le promesse, Massimo! Dovremmo candidarti alle politiche….
@Filippo: ecco che Renzo ha anticipato esattamente quello che volevo dirti io: il ringraziamento, intendo.
Ultimo parallelo non è solo un bel libro, non è solo uno dei più bei libri che ho letto negli ultimi dieci anni (e forse anche di più), ma è un testo da tenere in evidenza, da leggere e rileggere, da aprire a caso, da riassaporare: perchè contiene tanti di quegli elementi di riflessione che non si possono individuare tutti a una prima lettura.
Neppure io ho letto il libro di De Giovanni, ma ne sono incuriosita. Per cui so già che ben presto lo acquisterò.
@Filippo: è vero. Il lettore deve avere le giuste indicazioni per appropriarsi della storia, per coltivare la sua fantasia, in poche parole per essere partecipe della trama. E che questa sia di una vicenda di cui si sa già l’esito da principio, oppure un qualche cosa inventato di sana pianta, di modo che sia impossibile prevederne una conclusione, il risultato non cambia.
Poi, si arriva perfino al punto che il lettore si immagini uno svolgimento diverso, almeno in alcune forme, se non addirittura nella sostanza. E’ un po’ il discorso del cantastorie che desta l’interesse negli ascoltatori e questi imbastiscono sullo spunto una loro visione personale.
Direi che in questo modo di scrivere c’è una base poetica, la sensazione che il fruitore del testo abbia un segnale da interpretare secondo la sua natura.
Ho scritto il mio commento prima di veder pubblicato il tuo, Filippo.
In effetti il “tuo” lettore diventa egli stesso un personaggio, fino a divenire compagno di speranze, sofferenze, disperazioni degli altri personaggi
Grazie per i vostri commenti. Il dibattito si svilupperà con calma anche nei prossimi giorni.
Intanto ne approfitto per domandare a Filippo Tuena e a Maurizio De Giovanni se possono inviarmi, anche per mail, un brano significativo estratto dalle loro opere, di modo che possa pubblicarlo sul post.
aggiungo soltanto un saluto a milvia. Certamente il gioco è procedere assieme, lettore e scrittore lungo il percorso del libro. Non ho mai considerato la scrittura come un qualcosa di compiuto. E’ sempre occasione di un incontro, di un dialogo.
Adesso la famiglia reclama la mia presenza. Torno più tardi a salutare.
@ Filippo
Come ti sei organizzato per il lavoro di scrittura?
Quanto tempo hai impiegato per raccogliere “il materiale”?
Scrivi a orari fissi o quando capita?
In quanto tempo hai completato la prima stesura?
già che ci sono ecco le prime fatidiche righe del libro, che tanto hanno preoccupato la casa editrice per la loro supposta difficoltà di lettura. ci sentiamo più tardi.
— Quando splende il sole accecante indossano strani occhiali modificati in maniera empirica con frammenti di legno che fasciano le stanghette laterali per impedire ai raggi ultravioletti di raggiungere le pupille molto arrossate e doloranti oppure oscurano le lenti lasciando soltanto una sottile fessura orizzontale che riduce il panorama a una striscia di luce appena percepibile ma più spesso sono immersi nella nebbia o dentro la tempesta di vento che alza pulviscolo di neve e cancella il sole e nasconde la via e soffia contro il loro andare con una violenza che sa di cattiveria di ferocia di spietatezza e si domanda perché si stia scatenando contro di loro questa furia distruttiva e quale sia stata la loro colpa.
Crede che procedano ancora lungo la barriera ghiacciata con i loro abiti che appaiono adesso inadeguati con le loro giacche a vento di cotone che sembrano leggerissime e che s’inumidiscono non appena uno dei milioni di cristalli di neve che vorticano attorno a loro si posa su di esse; con i loro scarponi di cuoio su cui affibbiano con stringhe di pelle ormai rigide e fragili sci di legno pesantissimi; con i loro stivali di pelle di foca che preferiscono calzare quando marciano affondando fino alle ginocchia sulla neve farinosa che tuttavia penetra al loro interno e forma piccoli agglomerati di ghiaccio sulle due o tre paia di calzerotti di lana grezza che non riescono più a riscaldare i piedi cotti dall’umido e sempre bagnati e che una volta all’interno delle tende si sfilano faticosamente e appendono a una delle canne di bambù che fungono da montanti nella speranza che il fornello a spirito col quale cucinano il cibo fornisca anche il calore sufficiente per asciugarli ma dopo qualche mese di marcia ormai i calzerotti sono diventati rigidi come se fossero di vetro e non riescono più ad assorbire l’umido della neve che penetra all’interno delle calzature perché la lana s’è infeltrita assumendo una consistenza fastidiosa, perdendo la sua morbidezza e non riuscendo più a garantire l’isolamento contro il freddo intensissimo. —–
@ De Giovanni: mi ha colpito la simbiosi tra uomo e città, tra spazio esterno e interno. Mi coinvolge molto e mi emoziona.E’ una commistione che ho ammirato anche in Carofiglio che fa spesso vivere al suo avvocato Gurrieri vicende metropolitane, in una Bari notturna e avvolgente che prende forme di ombra e di sensazioni. Non a caso forse il noir ha ambientazioni cittadine, tra strade che si snodano e tempi serali o tempestosi. Credo che serva a sottolineare l’azione. E ricordo che anche Massimo nel suo noir (identità distorte) ha detto di aver descritto una Catania uggiosa, incombente, diversa da quella abbacinante cui siamo abituati in Sicilia.
Se è possibile mi piacerebbe leggere qualche passo in cui questo vivere nella città – respirandole dentro e sentendosela respirare dentro come un invisibile polmone – viene messo in luce.
Grazie!
Non ho letto “Il senso del dolore” di Maurizio de Giovanni ma mi vengono in mente alcune considerazioni sulla base di quanto scritto da Luigi Pingitore in merito al noir.
Premetto che sono “parte in causa” e probabilmente vedo le cose dal mio angolo di visuale.
Ma credo che la qualifica di “letteratura di serie b” appioppata al noir sia una perversione da intellettualoidi. Che poi il Nobel non lo vinca un giallo è anche logico, ma questo non svilisce il livello di un libro.
Peraltro dire “noir” è come dire “carne”. Ci sono le polpette in umido, la bistecca alla brace, le salsicce alla piastra, lo stracotto, le fettine panate etc etc.
“Dev’essere difficilissimo scrivere un giallo”, mi hanno detto tante volte. E ho sempre risposto “ne’ più nè meno che scrivere altro. dipende verso cosa sei portato”.
Se scrivessi un romanzo d’amore ci metterei 2 anni e tirerei fuori una troiata, ne sono sicuro.
Però il noir-giallo-thriller-poliziesco ha una peculiarità, credo.
E’ difficile che venga letto due volte o ripercorso in qualche pagina per una verifica emotiva o alla ricerca di un significato smarrito. Forse la “soddisfazione” del finale rende vana una seconda lettura.
Il noir, quindi, ti deve catturare al primo colpo o mai più.
Quello che lo scrittore deve evitare, a mio avviso, è comporre con il preciso scopo di dare il colpo a effetto. Questo, se c’è, scatta naturalmente come un’alchimia di elementi che combinano alla perfezione, compresi ovviamente i gusti del lettore.
“Il senso del dolore”, almeno a leggere Pingitore, ha un combinato di ingredienti che tendono al “colpo”. Auguro a de Giovanni che siano moltissimi a essere colpiti.
@massimo: Domani compro De Giovanni, così posso votare con equità (‘anvedi che mi fate fare…)
@Enrico Gregori: la scrittura di genere non ha senso essere definita di serie “B”; piuttosto direi che ci sono dei romanzi di serie B. Prendo spunto dalla tua similutidine con la carne e giustamente dico che ci sono ingredienti, ma è la combinazione di questi e la mano del cuoco che crea prodotti più o meno validi.
Non mi sento di considerare i romanzi di Simenon su Maigret dei lavori modesti, così come i noir di Carlotto. La verità è un’altra: si tende a distinguere fra opere “impegnate” e altre di puro svago, ma ripeto non è detto che un giallo o un noir siano solo di puro svago.
@Filippo: non ho ravvisato particolari difficoltà di lettura.
@Enrico: Direi che sia il giallo che il noir insegnano moltissimo a chi vuol scrivere, qualunque sia la corda che ci anima. Sia a livello di struttura (la capacità del giallo di seminare indizi e intrecciarli dipanando la matassa è una lezione che qualunque scrittore dovrebbe apprendere per dare senso e direzione alla storia) sia a livello di emozioni (niente come il noir ha potere evocativo in chi legge). E in entrambi c’è poi l’aspetto psicologico che si presta molto alla costruzione del personaggio. Io ho sempre pensato che entrambi i generi siano un’ottima (e altissima) scuola.
@ simona:
sono genuflesso
@ renzo:
con te non mi genufletto, ma ti stringo la mano
🙂
@ Enrico: mica sono il papa…
@ renzo:
no, ma preparati. Ratzinger c’ha ottant’anni e una salute precaria
Se è precario, gli facciam sposare la figlia di un certo personaggio politico:)
umh….mica sono convinta che la sposerebbe…
Allora, prima di lasciarvi per andare a dormire, trascrivo le mie sensazioni provate leggendo Ultimo parallelo. Si tratta di una sorta di coinvolgimento tale, anche se la mia fantasia mi ha fatto essere di volta in volta Scott e gli altri componenti della spedizione; non solo, però, ma sono riuscito a diventare anche l’uomo in più, tanto che a un certo punto, pur partecipe della vicenda, pur soffrendo con loro, vedevo me stesso trascinarmi sul ghiaccio.
Dalla mia recensione:
“E’ stata una lettura sofferta, perché Tuena ha la rara capacità di coinvolgere chi si sofferma sulle sue parole, e così mi sono immerso in immense distese ghiacciate, ho visto uomini stremati che a braccia trainavano le slitte, ho avvertito il gelo entrarmi nelle ossa, mi sono amareggiato con la delusione di essere arrivato al polo non per primo, ho sofferto pene intense lungo la via di un ritorno che non ci sarà, mi sono rinchiuso in una fragile tenda convinto di essere senza futuro, mi sono accorto della presenza ossessiva, giorno dopo giorno, di un uomo in più.”
Buona notte.
Buonanotte Renzo.
Sono d’accordo con te. Nemmeno io ho ravvisato difficoltà di lettura che Filippo ha gentilmente riportato qui.
–
@ Filippo
Mi viene da chiederti: “a cosa si riferiva esattamente l’editor per “supposta difficoltà di lettura”?
Comunque, il fatto che il testo è rimasto immutato mi pare un buon segno.
Un saluto a Milvia e a Rosa Maria
@ Rosa Maria
Capisco che c’hai preso gusto… ma qui non si vota. Stiamo solo presentando i due libri che si sono ben distinti nel gioco.
Però fai bene ad acquistare
🙂
@ Milvia
Se dovessi presentarmi alle politiche ti nominerò segretaria di partito
🙂
Sono proprio le sensazioni descritte da Renzo Montagnoli che credo prendano ogni lettore di Ultimo parallelo. Già dall’incipit che Filippo Tuena ha qui riportato. Io l’ho vissuto come l’ineluttabilità del procedere, dell’andare nonostante tutto senza sosta, senza punteggiatura, insomma. E fin da quelle prime righe mi sono inserita in quell’andare.
Buonanotte a tutti! E grazie per l’ospitalità.
Milvia
@ Simona
SuperSimo letteraria, grazie per la citazione… però citarmi dopo Gianrico… dài. Se lo viene a sapere la prossima volta che mi incontra non mi saluterà più.
Al limite citami dopo Gregori.
🙂
–
Scherzi a parte, la tua considerazione è interessante. Attendiamo l’intervento di Maurizio
Buonanotte Milvia.
Torna domani.
@ Maurizio De Giovanni
Vorrei che raccontassi qui la “storia” (nel senso di vicissitudini, non di trama) di questo tuo libro… così come le hai raccontate a me per email.
Per il momento vi saluto e vi auguro la buona notte. Voi continuate pure. Io tornerò domani.
Ma perchè i commenti mi appaiono sempre in ritardo? Uffaaaaa!!!!!
@Massimo: grazie, sarebbe un onore fare da segretaria del partito che tu fonderesti…
…notte!!!!
Milvia
Due recensioni straordinarie per due testi che invitano all’immediata lettura. Quel vento che soffia, ma forse mai abbastanza e l’uomo resta lì schiavo del fatto;e la seduzione del Nulla. Insomma, dovrò scegliere fra questi due viaggi nella mente, che rivendicano spazio e attenzione; come un amore particolare ed esclusivo che non ammette altro. Sono libri da decantazione, da leggere e isolare nel bagaglio della memoria. Personalmente mi orienterò come prima lettura sull’Ultimo parallelo. Le note scritte da Renzo Montagnoli mi hanno riportato ad un libro uscito tre anni fa che mi colpì moltissimo: Come le montagne conquistarono gli uomini di Robert MacFarlane. Si tratta di un saggio, E’ la ricostruzione della “storia di una passione”. Quella degli uomini verso le vette, l’ignoto e la sfida al nulla. Interi capitoli sono dedicati al ghiaccio e ai ghiacciai. “Il ghiaccio esprimeva due concetti che l’immaginazione del diciannovesimo secolo trovava particolarmente affascinanti: quello di forza immane e quello di lunghissimo tempo”. Alla fine, il libro si conclude con le lettere che George Mallory scrisse alla moglie nella sua ultima e fatale spedizione sull’Everest: la montagna più alta del mondo è capace di severità così terribile e fatale che gli uomini saggi giustamente esitano e tremano fino sulla soglia dell’alta impresa. E poi aggiuge:i miti e innevati pendii nevosi di questo versante settentrionale della montagna, di cui a lungo si è favoleggiato, sono in verità un orrendo precipizio di quasi tremila metri.
Domani stesso mi procurerò L’ultimo parallelo.
@ Enrico:
i noir si rileggono, e come se si rileggono!
@Enrico:faccina (anch’essa genuflessa)
@ Massi…veramente ti stavo citando prima di Carofiglio…poi però mi è venuta prima Bari per questioni di latitudine…
Un saluto a Miriam
@ Simo
Per questioni di latitudine o di… letteratitudine?
🙂
Buona giornata a tutti!
Io anche se non ho letto ancora questi libri (prometto che lo farò) vorrei ringraziare Didò per avere reso possibile la pubblicazione di questo bellissimo post di Maugeri. Reso possibile vuol dire stimolare anche con delle provocazioni. Francesco ha appunto gentilmente promosso il dibattito tra questi due libri ed io, come ho detto, lo ringrazio. Gli dico grazie anche da napoletana “pentita” che vive da sempre in altre città. Bravo Didò per avere portato alla nostra attenzione dei temi attinenti ad una città martoriata che però tutti amiamo.
Chi definisce il giallo ed il noir una letteratura di serie B probabilmente esprime tutta la sua frustrazione per non essere capace di scrivere opere del genere. Soprattutto non ha letto Gregori al quale devo dare una ferale notizia: io il tuo libro l’ho risfogliato dopo averlo letto, ne ho letto parti, ho confrontato pagine. Ogni volta è stato un piacere. Perché ?
Nella risposta mi rivolgo anche e soprattutto a Montagnoli. Uno scrittore non può mai lasciare dichiaratamente campo libero al lettore. E’ un gioco di ruoli indispensabile. Allo scrittore spetta creare o solo “evocare” gli spazi nel quale il lettore si muoverà. A chi legge spetta il compito di percorrerli, ispezionarli, viverli come meglio gli aggrada. Nessuno dei due può sottrarsi al proprio compito. Semmai è possibile una negoziazione di senso e di sentimento e da essa, spesso, nasce una grande opera.
Infine vorrei sapere, se possibile, qualcoosa di più sulla raccolta del materiale da parte di entrambi gli autori. Ho avuto la fortuna di visitare il Nord (fino all’80° parallelo) e so che esistono dimensioni e sensazioni difficilmente immaginabili, tanto quanto il gusto della scoperta di quei luoghi per il quale può valere la pena morire. Il secondo dei luoghi, lo porto sempre con me nel cuore.
Buongiorno a tutti.
Accolgo con piacere l’invito di Massimo, e con altrettanto piacere faccio la conoscenza di un gruppo “forte” e coeso, col quale condivido una delle più grandi passioni della vita: raccontare e ascoltare storie.
Tributo anzitutto la mia ammirazione per Filippo Tuena, autore di un libro toccante e straordinario, dolce e intenso; un vero regalo, mai supponente e profondamente umano. Epica e umanità, nella stessa bella storia. Trovarmi qui al suo fianco è un ulteriore onore. Bravo, Filippo, veramente.
“Chi definisce il giallo ed il noir una letteratura di serie B probabilmente esprime tutta la sua frustrazione per non essere capace di scrivere opere del genere. Soprattutto non ha letto Gregori al quale devo dare una ferale notizia: io il tuo libro l’ho risfogliato dopo averlo letto, ne ho letto parti, ho confrontato pagine. Ogni volta è stato un piacere. Perché?”……………….
perché sei suonato, è ovvio
🙂
Essendo particolarmente interessato all’argomento ho aperto una finestra pubblicitaria in favore del blog di Massimo su:
http://enricogregori.splinder.com/
Penso sia corretto, prima di presentare il sottoscritto, presentare chi mi consente di stare tra voi: il protagonista della storia che racconto nel libro. Perciò, come Filippo, propongo la prima pagina:
“Il bambino morto stava all’impiedi, fermo sull’incrocio tra Santa Teresa e il Museo. Guardava i due ragazzi che, seduti a terra, facevano il giro d’Italia con le biglie. Li guardava e ripeteva: “Scendo? Posso scendere? ”.
L’uomo senza cappello sapeva della presenza del bambino morto ancora prima di vederlo: sapeva che il lato sinistro, il primo che i suoi occhi avrebbero incontrato, era intatto; mentre a destra, il cranio era stato cancellato dall’impatto, la spalla era rientrata nella cassa toracica sfondandola, il bacino era ruotato attorno alla colonna vertebrale
spezzata. E sapeva anche che al terzo piano del palazzo d’angolo che gettava in quel primo mattino di mercoledì una fascia d’ombra fredda sulla strada, un balconcino era serrato; sulla bassa ringhiera restava appeso un drappo nero. Poteva solo immaginare il dolore di una giovane
madre che, contrariamente a lui, il figlio non lo avrebbe più rivisto. Meglio per lei, pensò. Tutto questo strazio.
Il bambino morto, per metà nascosto dall’ombra, alzò lo sguardo al passaggio dell’uomo senza cappello. “Scendo? Posso scendere?”, gli chiese. Un salto di tre piani, un dolore accecante lungo quanto un lampo. Chinò lo sguardo e accelerò il passo. Superò i due ragazzi che, con espressione seria, continuavano il giro d’Italia. Bambini poveri, pensò.
Luigi Alfredo Ricciardi, l’uomo senza cappello, era commissario di pubblica sicurezza presso la squadra mobile della Regia Questura di Napoli. Aveva trentun anni, quanti erano gli anni di quel secolo. Nove dell’era fascista.”
@ Maurizio De Giovanni, mi è difficile giudicare un libro che ancora non si è avuto il piacere di leggere. Anche se dall’avvincente e bellissima recensione di Luigi Pingitore, si può dedurre la magica valenza del libro, intrisa di luci ed ombre. Mi limiterò quindi a porle alcune domande. Perché l’ introverso Commissario Ricciardi percepisce i pensieri dell’ultimo minuto e vede solo i defunti che sono deceduti di morte violenta? Perché ha voluto cambiare il titolo del suo libro? ” Le lacrime del pagliaccio” si riferiscono forse all’opera ” I Paglliacci” , che il tenore assassinato cantava nel Real Teatro di San Carlo? Continuerà in altri libri l’indovinata figura del suo Luigi Alfredo Ricciardi ? Esiste un lato autobiografico fra la sua persona e il personaggio dolente ed enigmatico del Commissario ? Se esiste un legame, come convivono fra loro le due anime, quella ironica e faceta e l’altra schiva, silente, attenta ad indagare la complessità dei sentimenti e “Il senso del dolore”? La ringrazio e saluto.
Tessy
Non ho ancora letto i due libri, ma dalle recensioni postate posso affermare con certezza che li leggerò.
Come la Rigo, ringrazio anch’io Didò per avermi parlato di De Giovanni anche in “tempi non sospetti”.
Ho due libri da terminare e poi passo a “il senso del dolore” e “l’ultimo parallelo”.
Intanto, i miei complimenti ai due autori.
P.s. gli incipit sono già molto invitanti
@ Filippo Tuena
Ho notato nelle righe che ha postato la quasi totale assenza di punteggiatura, tranne che per due “punto e virgola” e una virgola. Come mai questa scelta?
Non so se qualcuno l’ha già chiesto, non ho ancora fatto in tempo a leggere tutti i commenti.
Grazie
buon giorno a tutti. Devo dire che la lettura anche sullo schermo del computer delle prime righe del libro di de Giovanni mi sembra fulminante e coinvolgente. Lo ringrazio per le belle parole dedicate al mio libro, e posso dire che leggerò il suo perché mi sembra che si condivida parecchio. Io credo che per apprezzare un libro bisogna riconoscere il ritmo interno, è una questione di empatia tra lettore e scrittore.
Caro Maugeri, anche a me le prime righe del mio libro non sembravano complesse, ma ho avuto queste obiezioni e alla fine l’ho spuntata perché lo si riteneva commercialmente poco appetibile, destinato a scomparire presto. Quindi, in quel caso, ampia libertà all’autore. Per questo dico che l’insuccesso commerciale garantisce la più grande libertà per uno scrittore. Una volta dissi una cosa a un mio editore che mi procurò un ‘accusa di snob però la riporto qui perché potrebbe essere un bell’argomento di discussione:
SE AVESSI SUCCESSO MI DOMANDEREI IN CHE COSA HO SBAGLIATO.
il mio commento s’è incrociato con la domanda di Silvia. Sì, scrivo essenzialmente con poca punteggiatura e con periodi abbastanza articolati. Apparentemente sembrano complessi ma credo che coinvolgono il lettore, lo mettono dentro la storia.
Carissima Tessy, potremmo darci del tu? Quelli della mia cadente generazione sono vittime dell’idea che il lei significhi distanza, e invece le tue domande mi fanno sentirti molto vicina.
L’idea alla base di Ricciardi è questa: la morte violenta “taglia” l’ultimo pensiero, senza pietà. Essendo innaturale, non consente alla vita di concludersi con una specie di ricucitura lenta dell’emozione, di prepararsi alla fine. Ricciardi “sente” questa seconda metà dell’ultimo pensiero, ottusamente ripetuto dall’immagine del cadavere che si congeda lentamente, sbiadendo piano.
Questo peso, l’ondata di dolore che gli arriva addosso, il rimpianto animale dell’attaccamento al respiro e al battito del cuore, è la sua croce e la sua cornice, quello che gli rende impossibile interagire con chiunque altro. Quindi Ricciardi è introverso suo malgrado.
Il contratto con Fandango prevede quattro romanzi, in corrispondenza con le quattro stagioni del 1931. Il secondo sarà presentato alla Fiera del Libro di Torino, sabato 10 maggio, in una tavola rotonda intitolata “i luoghi della scrittura”, cui parteciperanno altri scrittori e della quale ho, perdonami il termine, una fottuta paura. Il fortunato andamento delle vendite del primo libro ha risvegliato qualche interesse di altri editori.
Per quanto riguarda la tua bellissima domanda sulle due anime, be’, quella è una caratteristica degli abitanti di questa strana città. Io dico spesso che è impossibile scrivere a Napoli o di Napoli senza avere entrambi i registri, quello umoristico e quello noir.
Ti ringrazio, e sarei felice di sapere cosa pensi del libro una volta che l’avrai letto.
Per una volta faccio il serio, altrimenti vengo additato come il solito dissacrante buontempone guastafeste.
Parto dal finale: “Il senso del dolore” è un libro straordinario. Esagerato? Be’, allora mi correggo: “Il senso del dolore” è un capolavoro.
Non è un giallo, non è un noir, non è un romanzo storico né un romanzo politico. E’ un po’ di tutto questo. E’ una pietanza letteraria i cui ingredienti sono in perfetto equilibrio tra loro. L’amalgama deriva da una qualche misteriosa sostanza che l’autore ha disseminato tra le pagine e che ammalia il lettore dal primo all’ultimo rigo. Non a caso, sono già tantissimi coloro che hanno apprezzato il libro e che non vedono l’ora di tuffarsi nella seconda prova narrativa di de Giovanni, che sarà presentata alla prossima Fiera del Libro di Torino (io ho avuto la fortuna di leggerla in anteprima, e posso assicurarvi che è super). Non a caso, inoltre, il commissario Ricciardi diventerà tra non molto un personaggio televisivo, interpretato da un attore di grande bravura e professionalità (non ne faccio il nome per segreto d’ufficio).
Per una serie di circostanze, il libro è stato pubblicato in un periodo di grande fermento culturale per Napoli. Evidentemente la crisi d’immagine di cui la città sta soffrendo ha dato il via ad uno scatto d’orgoglio da parte dei suoi migliori intelletti. Limitando lo sguardo alla letteratura, vanno citati i giovani narratori e romanzieri che negli ultimi tempi, insieme a de Giovanni, hanno ricevuto una consacrazione nazionale o hanno rafforzato le loro già indiscutibili doti espressive: Roberto Saviano, Diego De Silva, Giuseppe Montesano, Antonio Pascale, Silvio Perrella, Valeria Parrella, Antonella Cilento, Antonella Del Giudice, Antonio Franchini, Ivan Cotroneo, Massimiliano Virgilio, Andrej Longo, Maurizio Braucci. Senza contare, poi, i “patriarchi” Raffaele La Capria, Domenico Starnone, Erri De Luca ed Ermanno Rea. E mi perdonino quanti in questo momento non mi sovvengono.
Fabrizio De Andrè diceva che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Napoli in questa fase storica è un ossimoro: presenta grandi eccellenze accanto a grandi decadenze. Le prime dovranno sconfiggere le seconde: non c’è altra via d’uscita.
@ Filippo Tuena
Perdonami, non ho ancora letto il tuo libro. Lo farò tosto. Te lo giuro sulla mia ex moglie.
@ evento:
scherzi a parte, grazie davvero. ma questo è il post di maurizio e filippo. io ho già dato e ho già avuto anche troppo.
ho avuto il privilegio di conoscere M. De Giovanni. ha due anime, forse, come molti di noi. ed ha un timbro di voce particolarissimo, che, leggendo i suoi racconti nelle parti non virgolettate, mi sembra sempre di riascoltare. ecco, trovo sia una persona da cui è molto piacevole ascoltare qualcosa. e di cui, forse di riflesso, è molto piacevole leggere qualcosa, al di là della storia, dell’ambientazione e del personaggio, che trovo comunque già intriganti di loro.
Per de Giovanni
Riecco bradipanana (a proposito, ho ritrovato traccia, in qualche commento, del simpatico animaletto cui mi sono rifatta nella scelta del mio pseudonimo, e me ne compiaccio: io adoro i bradipi, forse perchè…mi somigliano).
E’ stata una bella idea, questo nuovo blog. Riservandomi di leggere al più presto il libro di Filippo, vista la recensione entusiastica, ribadisco la mia idea. Il Suo testo è stata una folgorazione per me, storicamente una grande lettrice, anche se avere una famiglia mia mi ha parzialmente distolto dalla mia passione.
E’ finito troppo in fretta il viaggio che ho fatto negli anni trenta attraverso gli occhi di questo commissario dolente e nel contempo ironico, “paranormale” ma umanissimo in certe passioni e sentimenti.
Non vedo l’ora che il secondo testo sia in libreria, perchè mi mancano certe atmosfere. E certi personaggi: è singolare come, in un solo testo, per giunta non particolarmente lungo, si ritrovi una galleria di figure anche solo pennellate, eppure capaci di toccare certe corde di cui nemmeno sospettavo l’esistenza.
E’ un libro tenero, emozionante. A mio avviso, molto più di un giallo.
A presto e ad maiora.
@ DE Giovanni: è molto bella e umana quest’idea di un uomo che raccoglie l’incompiuto. Ed è lirica perchè l’incompiutezza non è riferibile a se stessi ma agli altri.
Ho quasi l’impressione che il destino lasciato a metà da chi muore violentemente venga “adottato” dal suo personaggio con delicatezza.Non ho letto il libro e non saprei dunque se ciò che muove Alfredo Ricciardi sia un afflato e un’intimità avvolgente con tutte le creature o – anche – la necessità, vivendo (o finendo di vivere) per gli altri, di cucire ferite proprie. Commuove però l’attaccamento alla condizione esistenziale di ciascuno di noi, al suo trapungere di inciampi e vuoti i nosti passi.
Mi consenta un’interpretazione fantasiosa. Forse non è un caso che il suo commissario – sin dall’inizio – sia senza cappello…
Se avesse avuto occhi e viso velati dall’ombra di un copricapo, l’avrei visto meno esposto al destino altrui, più protetto – forse – dal dolore.
Per raccogliere le voci degli altri mi pare necessario questo arrendersi ad essi, questa consegna senza riserve e senza maschere.
Silvia!
Le virgole! Ah beh se non le usano loro cara Silvia io sto serena sto!
(pardon umoristico siparietto con saluto alla silvissima – non commento questi libri che non ho letto, ma faccio un in bocca al lupo agli autori)
Sono capitata qui per caso e sono rimasta piacevolmente sorpresa.
E’ uno spazio davvero molto interessante 🙂
Un caro saluto, a presto
buongiorno,
mi ha colpito la frase di Filippo Tuena
SE AVESSI SUCCESSO MI DOMANDEREI IN CHE COSA HO SBAGLIATO.
credo – ma si sa, anche – che il successo di un libro (vendite) dipende dal caso, o meglio: da chi ti stampa e chi ti distribuisce.
e da altro: l’anima commerciale di una casa editrice sa, per esempio, quanto può incidere una copertina sulle vendite.
una volta lessi in un forum che uno scrittore trovava ridicole certe vendite della piccola editoria.
beh, il tipo aveva avuto un grande successo editoriale: 20mila copie (con un giallo).
a me quella frase parve poco rispettosa e stupida (se non sbaglio Primo Levi con Se questo è un uomo, prima edizione con Casa editrice Da Silva, vendette 2mila copie)
un libro può essere buono (vedendo il tuo periodare lungo ho ripensato a Saramago, che comunque vende) e vendere tanto o poco: incidono tanti fattori, dal passa parola alle recensioni alla promozione fatta dalla casa editrice.
ma credo che, quando si scrive, il discorso successo o insuccesso debba essere visto come una variante che poco c’entra con la scrittura e la bontà del messaggio.
buone cose
@massimo: infatti…. mi sono persa tra tutti ‘sti post, ci vuole una laurea a parte… Ma lo compro lo stesso. Ora sono curiosissima
sono molto seccata.
farò una figuraccia col mio libraio,
gli avevo chiesto di procurarmi il senso del dolore perchè quello che ne avevo saputo mi ispirava parecchio. poi, sull’onda dell’arrabbiatura per l’eccessivo battage avevo disdetto la prenotazione. e ora mi toccherà riordinarlo, perchè, dannazione, il richiamo è irresistibile.
d’altra parte, ho sempre pensato che non cambiare mai idea su qualcosa sia sintomo di scarsa intelligenza.
mi suona bene, benissimo questo libro. libro, non giallo. non credo nelle categorie, nelle definizioni, nel titolare o attribuire a generi. o ci siamo, oppure no.
rosa stat pristina nomine.
Ciao a tutti! Passo solo per un saluto. Oggi giornata zeppa di impegni, mansioni ecc.ecc.
Buon proseguimento di giornata e di discussione.
Milvia
@Simona
Una delle cose meravigliose di questa strana avventura è l’incontro con persone, come te, che recepiscono di quello che scrivo molto più di quanto sia in grado io stesso. E’ vero, Ricciardi raccoglie l’incompiuto. E il disordine violento che ne deriva, la contemplazione del ruomoroso silenzio che lascia. E il cappello non ce l’ha, perchè non c’è riparo o fuga che metta abbastanza distanza dal dolore.
Le meravigliose parole di Pino, il mio maestro, aggiungono orgoglio dove non ne entra più. Grazie.
Pensavo che anche lo straordinario libro di Filippo, in fondo, parla di distanze annullate e di un villaggio itinerante rigonfio di passione. Che bel libro. Che bel libro.
Per Gea, sono veramente felice della prova d’appello: spero di non dover risarcire il costo… Per quanto mi riguarda, cambio idea un paio di volte al secondo (ma non sulle cose serie).
@bassini
ho sempre pensato che la scrittura dovesse inquietare ed essere urticante. per questo in tempi di ricerca di consenso guarderei con scetticismo a un eventuale mio grande successo di vendite. penserei di non aver affondato abbastanza il coltello nella piaga.
esiste anche un’altra eventualità: che non lo affondi abbastanza. ma a questo si può sempre rimediare nel prossimo libro.
@de giovanni. ho cercato anche di rimediare alla mia ignoranza del tuo libro. Ma al Libraccio lo avevano finito. cerco oggi pom. da Feltrinelli
@bradipanana
E grazie anche a te, dolce pigro animaletto, per aver apprezzato gli anni trenta. E’ stata ed è la cosa più faticosa, procurarsi materiale su un periodo che la nostra memoria storica preferisce cancellare. Ma era necessario un tempo che non avesse luminol e dna, per lasciare spazio a un’indagine che fosse sui sentimenti e dentro i sentimenti.
Ti prometto che ti manterrò intatta l’atmosfera che ti piace, per tutto il tempo che ti piacerà.
Innanzitutto i miei complimenti al sig. De Giovanni, il cui libro mi e’ piaciuto per originalita’ e invenzione tutta umana e… spirituale.
Se non Le dispiace, De Giovanni, poi, vorrei porLe una domanda un tantino extraletteraria ed una propriamente letteraria:
1) Secondo Lei riasponde a verita’ la mia convinzione che in Italia gli editori che ”beccano” un libro azzeccato, che vende bene, si arricchiscono, mentre gli autori non prendono quasi niente?
2) Sono dell’avviso che i veri letterati che scrivono Letteratura nel nostro Paese siano pochi, contro delle enormi masse di gente che ha studi diversi alle spalle. Necessiterebbero piu’ letterati-scrittori (ergo: professionisti alla vecchia maniera)? Io credo di si’, perche’ all’estero sono di piu’ i professionisti ed infatti anche la qualita’ media dei libri di narrativa e’ piu’ alta.
Grazie anticipatamente per le Cortesi risposte
Saluti Cari
Sergio Sozi
@filippo tuena,
d’accordissimo sull’urticante.
buone cose
P.S.
Napoli ha un destino scritto nei secoli passati: tornare ad essere la capitale letteraria d’Italia. Lo vedremo di certo nel prossimo futuro: mentre tutto decade, Napoli primeggera’ nella creativita’ di qualita’ e profondita’, come gia’ sta facendo la Sardegna, anche grazie all’ottimo Salvatore Niffoi.
@Sergio Sozi
Carissimo, grazie per l’attenzione e l’interesse, e per le belle parole sul mio lavoro.
Secondo me bisogna purtroppo distinguere tra due macroaree, per il “prodotto libro” dal punto di vista economico: quello che può avere risvolti di fiction, televisiva o cinematografica, e quelli che non hanno questa possibilità di sviluppo. Nel primo, fortunato caso l’interesse aumenta e con esso i soldi e le opportunità ulteriori, come ad esempio i diritti esteri. Nel mio caso si sviluppò una clamorosa e inattesa attenzione da parte della Fandango e di un editore ancora più rilevante sotto l’aspetto quantitativo, ma il primo offriva un progetto e quindi la scelta fu facile.
Credo che il mio contratto sia buono, pur (o forse proprio per questo) non avendo avuto l’assistenza di un agente.
Circa la seconda domanda, personalmente sono d’accordo con Lei (anche perchè ho studiato lettere, pur avendo poi la vita deciso altrimenti circa il lavoro); a mio modo di vedere la scrittura prevede necessariamente l’uso di un utensile, il linguaggio, che meglio si usa più facilmente rende l’idea che si vuole rendere. Quando leggo qualcosa di scorretto e quindi disarticolato e inconcludente, io inciampo e mi fermo nella lettura. Questo mi stanca, e mi fa perdere di vista l’argomento e la tensione emotiva.
Grazie a Lei, De Giovanni. Vedo di aver fatto bene ad apprezzarLa sin da subito e in questo bel blog. Attendo dunque il Suo prossimo lavoro, che Pino Imperatore garantisce essere eccelso – Pino e’ una firma insieme alla firma, non crede?
Poi, se per caso Lei volesse farsi qualche ”risata meta-gialla” vada a leggersi il mio racconto ”Eh… Quando c’era Lui!”, presente qui a Letteratitudine – credo nella mia rubrica ”Ritorno ai Classici”… gliene sarei grato. E’ un giallo ”comico-surreal-poetico”. Genere inesistente, credo (eccetto Campanile, che pero’ e’ diversuccio anzicheno’ e non sempre poetico nei romanzi, pur restando un vero Maestro per me).
Buone cose e a risentirci presto
Sergio Sozi
Carissimo Sozi, non mancherò. Sono nuovo del blog e devo un po’ orientarmi, ma ora che sono stato introdotto (in senso buono, beninteso) ficcherò un po’ il naso qua e là, e il primo posto dove metterò proboscide sarà il Suo racconto.
Pino Imperatore è un eccezionale umorista, raffinato e intelligente. Ogni tanto provo a convincerlo a scrivere anche qualcosa di meno ridanciano, possedendo lui tutti gli strumenti necessari a un vero, grande scrittore. Poi lui mi chiede se Campanile, ad esempio, non è da definirsi un grande scrittore, e allora andiamo a farci una birra e tanti saluti ai buoni propositi.
Un abbraccio a Lei.
Innanzitutto porto una comunicazione a gea da parte del suo libraio e mi ha pregato di farla in romanesco forse perché viene più efficace. “E ordina quel libbro, e disdici quel libbro e ariordina quel libbro. Io me sarebbe rotto li cojoni. Si te voi decide bbene, sinnò quanno arivieni te pijo a carci ‘n culo così er senso der dolore t’o faccio prova’ io”.
Passiamo al collega Remo e aggiungo un elemento.
Lasciamo da parte i nomi perché servono a poco. Ma ci sono case editrici di livello medio-buono, con bei cataloghi e impiegati stipendiati, che quando parlano dei loro “scrittori di punta” si riferiscono ad autori che vendono 5-6.000 copie di un libro.
Questa è la realtà. E la realtà è anche che Primo Levi vendette duemila copie di un capolavoro assoluto.
Ribadisco una cosa fino alla nausea. Ho letto tutti i libri che ho potuto leggere di persone che intervengono in questo blog e che (me compreso) non hanno successo commerciale.
Bè, io ho letto cose nobili, che hanno un senso, che hanno un perché, che hanno lo scrittore “dentro al libro”.
Sarà una magra soddisfazione?
Magari no.
@PERDONATEMI SE INVADO QUESTO SPAZIO
Chiedo scusa a Massimo Maugeri, Tuena e De Giovanni.
Devo lanciare un appello sulla nuova ondata di violenza e uccisioni in Tibet. La questione asiatica sta diventando sempre più terribile, non è bastata neanche la Birmania (che ha secoli di storia terribile… quanto il Tibet).
In Tibet i monaci si stanno tagliando le vene, fanno atti di autolesionismo, alcuni vogliono suicidarsi. Per chi conosce il buddhismo tibetano, questo atto per un monaco è inamissibile. Comporta una deviazione dai precetti del Dharma. Ma vi rendete conto cosa arrivano a fare?
A Lhasa la polizia cinese ha caricato anche i civili. La polizia sta arginando i tre monasteri più grandi e importanti di questa regione tormentata. Bisogna fare qualcosa. Lanciamo un appello, Pechino va boicottata, le Olimpiadi vanno boicottate, la Cina va fermata: sta portando avanti – moralmente – il genocidio nel Darfur vendendo armi ai miliziani sudanesi.
Vi sto chiedendo aiuto. Si può intentare una raccolta firme?
Legarci alle iniziative di Amnesty International, non so…
Mi appello a tutti gli scrittori di Letteratitudine, critici letterari, semplici lettori. A voi tutti.
Questo è un altro modo per fare della scrittura e della Letteratura un “mezzo” etico, di denuncia, di azione civile per reclamare i diritti umani e richiamarci ai doveri semplici di cittadini del mondo.
NINA MAROCCOLO
@ enrico
il mio libraio è greco (si chiama asterios, ed è anche titolare di una piccola casa editrice che traduce saggi) e in greco conta e impreca.
mi fa mooolto piacere che tu abbia rispolverato gli studi classici…
@Enrico:
posso aggiungere una cosa, anche se fuori categoria? giuro che è così anche per i “pittori” e per chi fa arte con impegno e ricerca, pur sapendo di essere fuori dai sistemi! E se ci si riesce (a pensare e fare arte) è sempre una soddisfazione, al di là dell’isolamento.
🙂
@ miriam:
credo tu abbia ragione e hai fatto bene a sottolineare. quanto al permesso di andare fuori categoria, devi chiedere al padrone di casa. a quel maugeri che da un po’ di tempo sembra aver lasciato a noi le chiavi dell’appartamento magari con la speranza che facciamo anche le pulizie. Ma, sai, come diceva Flajano “l’insuccesso gli ha dato alla testa”
🙂
Vi ringrazio tutti per i vostri commenti (be’, come sempre).
@ Nina
Cara Nina, c’è un post che si chiama “la camera accanto” dove è possibile lanciare dibattiti su qualunque tema. Il link è questo:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/24/la-camera-accanto-2%c2%b0-appuntamento/
Riscrivi il testo del tuo commento lì… e prova ad avviare una discussione su questo tema che è senz’altro terribile e che già, in altra occasione, io stesso avevo lanciato.
@Massimo
Grazie di cuore…
Ne approfitto per dare il benvenuto a Maurizio De Giovanni.
Benvenuto!
i blog servono a qualcosa – ci si interrogava l’altro giorno .?…non lo so… lettaratitudine un merito (o un demerito) l’ha avuto: mi ha fatto venire l’acquolina in bocca fino a costringermi ad andare ad acquistare i due libri su citati… questo è qualcosa?
Filippo Tuena ha scritto una frase importante (poi ripresa da Remo Bassini).
SE AVESSI SUCCESSO MI DOMANDEREI IN CHE COSA HO SBAGLIATO.
Io credo che, partendo da questa frase, potrebbe avviarsi un dibattito parallelo.
Siamo sicuri che il successo va (per forza) in direzione opposta alla qualità e alla ricerca?
Cosa ne pensate?
Facciamoci venire in mente (se esitono) libri di successo che sono pure ottimi libri e che, magari, come dice Tuena (vado a memori) mettono il coltello nella piaga!
@ Enrico
Come vedi sono qui: l’insuccesso non mi ha dato alla testa.
La stanchezza, sì.
🙂
Ma non demordo.
@ massimo:
ma allora sei sadomasochista! non ti è bastata la caciara col libro del 2007? adesso scateni il puttanaio su libri che valgono e non vedono e (di conseguenza) sulle stronzate che incassano milioni?
Ognuno avrà i “suoi” di una e dell’altra fazione. Vuoi chiedere a gea e a carlo se vogliono fare i moderatori anche di questo? Provaci va’! E, come si dice a roma, “nun te vorei esse manco camicia!”
🙂
@ Sergio Sozi e Maurizio De Giovanni
Sul tema scrittore-letterato sono d’accordo con voi… ma fino a un certo punto.
L’importante è non generalizzare.
Non dimentichiamoci che grandi scrittori hanno seguito percorsi non “rigidamente” letterari.
Cito solo i nomi di due autori molto stimati da Sergio: Gadda (ingegnere), Consolo (laureato in giurisprudenza).
Naturalmente potremmo fare un’infinità di nomi, scomodando Kafka (per esempio) o gli innumerevoli medici che hanno reso di più con la penna che con il bisturi.
Del resto ho conosciuto diversi laureati in lettere dotati di una scrittura decisamente penosa.
Anche questo può essere argomento di dibattito.
Gli altri che ne pensano?
Enrico, che ci vuoi fare. Ho il “dibattito nel sangue”.
🙂
Adesso vado. Vi do appuntamento a stasera.
@ massimo:
tu nel sangue c’hai il veleno.
e grazie che ti piace il dibattito! lanci la provocazione e te ne vai.
poi ti riaffacci la sera e….”oh, ringrazio tutti i partecipanti alla discussione. oh come siete belli, oh quanto siete fichi. però adesso stacco e vado a letto. un bacio alla splendida simona, una dolce carezza alla bellissima maria lucia e una stratta di mano a tutti gli altri”.
Ma vattene, va’!
OFF-TOPIC
Ho chiesto a chi legge il mio blog perché non lasciassero commenti: è contorto, mi hanno risposto. C’è qualche buon’anima che può darci
un’occhiata e dirmi cosa ne pensa? Grazie.
E scuse per Massimo per il fuori tema.
è evidente che la mia era una provocazione e che ci sono libri di successo commerciale che non sono rassicuranti. tuttavia quello che un po’ mi disturba è che i libri di successo sono sostenuti dal cosiddetto lettore alla moda che è il lettore ideale delle grandi case editrici. cerco di spiegarmi. Il lettore alla moda è il lettore anche di buon livello culturale che però legge le cose che leggono gli altri. E’ poco curioso, preferisce scendere in spiaggia con un libro che ha visto dal vicino di ombrellone e di cui ha sentito parlare e di cui ha letto su Magazine o Io donna. Di solito è anche molto istruito – laureato – e compra molti giornali e ascolta molte opinioni per questo non se ne fa una sua, se non di rimando. Ama sperimentare poco, ha bisogno che ci sia qualcuno che faccia da battistrada che lo rassicuri e che garantisca per lui.
Vale la pena seguirlo o adeguarsi ai suoi modelli? Per me no.
Un bel post, con commenti molto stimolanti su due libri a questo punto molto attraenti e che andrò immantinente a cercare.
Mi sembra molto bello che i due autori siano qui con noi e con una certa continuità, interessati a partecipare e a fornirci sempre maggior materia di confronto e di interesse, sia per chi li ha già letti sia per chi li leggerà (perchè sono certo che come me li leggerà anche a costo di prendersi i calci in culo dal proprio libraio, greco per giunta, vero gea?).
Comunque, per rispondere a Massimo, io credo che la storia del successo sia vera solo in parte. Faccio l’esempio di Simenon: scrittore di grande successo già prima di diventare postumo ha scritto romanzi a vagonate. Non tutti di qualità eccelsa, lo ammetto (nella quantità qualche volta la qualità ha pagato), ma taluni da annoverare tra i veri capolavori del 900, e tra essi ci metto anche qualche Maigret (e questo a dimostrazione che anche i gialli e i noir possono aspirare alla serie A).
Anche Camilleri, specie nella sua prima produzione (i primi Montalbano mi paiono di livello più alto rispetto ai più recenti – ma mi riferisco poi sopratto a “La stagione della caccia” e alla “Concessione del telefono”) ha trovato successo con una qualità per me pittosto alta.
Che poi tanti potenziali grandi scrittori non riescano ad emergere perchè soccombenti di fronte allo strapotere delle grandi case editrici e del loro marketing è cosa vera e già ampiamente dibattuta anche su questo stesso blog.
Ma io ho molta fiducia nel “passaparola” e che questo possa funzionare anche con la spinta di un bel post come il presente. Lo auguro sinceramente ai due autori qui invitati.
Peraltro uno dei due libri, se non mi sbaglio, è già attualmente nella classifica delle vendite e l’altro è destinato (anche attraverso futuri adattamenti TV) ad incrementare la sua notorietà.
Sono comunque convinto (anche se aprioristicamente) che lo meritino.
Allora Massimo, chiariamo dei punti: sul mio comodino attualmente ho La strada di McCarthy, Il cerchio imperfetto di Campolongo, Il pittore di battaglie di Perez-Reverte, Il sangue degli altri di Pagliaro, Il colore indeciso di Marco Matz e altri sei o sette che manco me li ricordo. Adesso te ne esci con due libri che, per quello che ne sento dire gia’ da un po’, vanno assolutamente letti. Mi vuoi morta? Vuoi che smetta definitivamente di scrivere? Vuoi che mi si frigga quel po’ di cervello che mi e’ rimasto? La devi smettere, chiaro? :->>>
Ovviamente scherzo, ma sono alla disperazione. Overdose di libri, tutti belli per inciso.
Laura
Scusate se mi riaffaccio solo ora, ma è un periodo per me fitto di impegni.
Rirorno alla famosa frase di Filippo Tuena e osservo che generalmente i libri che hanno un grande successivo di vendite nei primi sei mesi dalla loro uscita, dopo ristagnano, segno che è un’euforia del momento. Certamente ci sono testi più commerciabili e meno commerciabili; nei primi rientrano ciò che desiderano i lettori, nei secondi figurano anche testi di alto valore culturale e per questo appannaggio di una clientela più evoluta; aggiungo ancora che tutto ciò che è nuovo, nel senso che esprime cose nuove, generalmente non viene accolto facilmente dai potenziali clienti.
Poi, sono dell’idea che il valore di un’opera non si misuri con le copie vendute, perchè altrimenti autori come Montale, Quasimodo e Ungaretti
farebbero una ben magra figura.
Resta il fatto che l’opera che ha valenza se anche non incontra subito il successo commerciale, finirà con il tempo con l’essere richiesta, non in misura eclatante, ma nel complesso interessante.
E’ assai raro infatti che a grandi successi editoriali nel breve termine corrispondano opere di notevole pregio.
filippo tuena,
hai scritto una cosa sacrsanta (m’hai fatto venire in mente la celebre intervista a pasolini, su quelli che non avevano fatto la quarta elementare).
c’è un livello medio, anche istruito, che pcerca gli stessi libri e che la pensa allo stesso modo e che storce il naso verso chi compra, ma sì, fatemelo dire, Moccia.
ho più simpatia per il lettore che non ha tempo (e che legge la Gazzetta dello sport perché magari lavora in fabbrica, ha tre figli e grane varie) che non per quello saccentino che va dietro alla moda, ma non l’ammette. Anni fa, se uno su un blog diceva di non aver letto Carver quasi quasi veniva scannato. Piero Chiara chisseneimporta(va), invece.
@carlo
sono, come spesso capita, d’accordo con te.
e ti ringrazio di aver citato simenon. il quale, oltre ad essere autore di successo, ha sempre rivendicato con orgoglio il suo ruolo di scrittore per la pagnotta. certo, non tutta la sua sterminata produzione è all’altezza, ma con alcuni libri ha toccato vette altissime.
@Carlo S.: pure io sono d’accordo con quanto hai scritto, anche per ciò concerne il primo Camilleri.
e per ribadire Remo, ci sono tanti che si schifano di leggere Moccia mentre trovano invece obbligatorio leggere l’oroscopo.
da un po’ di tempo qualcuno storce il naso pure su Faletti. Ma che palle! Ci sarà qualche milione di persone che ha inziato a leggere libri proprio con “Io uccido”. Sarà mica un’onta! Magari a Cervantes ci arriveranno tra un po’. E grazie a Faletti.
stasera ho amici a cena e quindi devo salutare.
Ringrazio Maugeri dell’ospitalità e tutti quelli che sono intervenuti con commenti suggerimenti e complimenti. tutte cose di cui si ha bisogno.
alla prossima.
Maurizio de Giovanni lo odio.
Mi è apparso davanti improvvisamente come Coppi apparse a Bartali.
Io ero là, facevo il fighetto con le belle signore del “Laboratorio Campanile”; campavo di rendita, visto che più bello di me c’era mio cugino Pino Imperatore, che ha la bellezza di una rana violentata da Beniamino Placido, lui apparse e fu la notte.
Scoppiettante come un cavatappi. Si presentò al concorso Porsche, io mi presentai col bus davanti al bar dove lui scriveva e accelleravo a più non posso. Lui vinse, io ebbi una multa.
Ci presentammo al concorso “Vedi Napoli e pi scrivi”, lui vinse, io arrivai secondo (forse partecipammo in due).
Ci presentammo al Premio Troisi, lui non vinse perchè si dimenticò di scrivere la storia e mandò i fogli in bianco, io non vinsi.
La motivazione dlla giuria fu :
” L’opera di de Giovanni, nonostante (non è lo stesso nonostante di Gea) un concettualismo cerebrale intenso, non riesce ad essere letta da alcuni giurati ciechi. L’opera d Didò non riesce ad essere letta, perchè è tardi”.
Tentai di bruciargli il successo facendolo passare per fesso su “Letteratitudine”, ora gli fanno monumenti e i suoi slip vanno a ruba al mercatino ai Parioli (e sembra che Sotheby’s abbia battuto per mille pounds una sua canottiera sudata).
Mi rimane la gioia incommensurabile che il suo “Napoli” le abbia prese dalla Roma, la “mia Roma”, non quella di Gregori.
@Filippo Tuena,
un saluto affettuoso a te,
appena vado al supermercato, come sempre, cercherò di rubare il tuo libro, lo metto tra i surgelati, funziona sempre e…se dovesse puzzare di pesce entrerò subito in… ambiente.
Un abbraccio.
@ Tutti
Siamo quasi stanchi, noi abituali frequentatori di Letteratitudine, di ripetere sempre le stesse cose: successo e qualità. “E’ assai raro infatti che a grandi successi editoriali nel breve termine corrispondano opere di notevole pregio.” E le grandi Mostre frequentate a migliaia, anzi a centinaia di migliaia, sono come i centri commerciali? O addirittura, chi si mette in fila per ore per raggiungere un’esposizione è un cretino perché perché tanti, come lui, hanno avuto la stessa idea?
Basta con queste affermazione e soprattutto , smettiamola di accendere ceri a Pasolini per ogni più piccola cosa. Anche le beghine, con le loro litanie, fanno così!
🙂
Massimo,
Kafka, Gadda, Consolo… tu parli di una generazione di scrittori borghesi nati fra la seconda meta’ dell’Ottocento ed i primi tre decenni del secolo. Ecco: allora la borghesia era in genere molto colta, qualunque fosse la laurea in suo possesso: giurisprudenza (materia umanistica) o medicina, ingegneria o chimica. La borghesia leggeva, in quell’epoca. Io invece mi riferivo agli scrittori di oggi, ed esattamente a quelli d’eta’ compresa fra i venticinque ed i quarantacinque anni, lamentandone la visibile, anzi lampante, scarsita’ di cultura letteraria, dovuta spesso anche a delle Facolta’ umanistiche molto pressappochiste e a delle Scuole Superiori altrettanto superficiali. Esempio: la grammatica, la sintassi, la grafia e la stilistica dell’italiano oggi vengono trattate poco e male dovunque. Figuriamoci se neanche si facciano scuole umanistiche! Si va a scuola dalla tivu’ o dal cinema, pertanto i libri sembrano delle sceneggiature o ad andar male delle telenovelas. Per questo motivo occorrerebbe, secondo me, una maggiore preparazione letteraria per chi faccia di mestiere lo scrittore. Come per le altre professioni: fareste curare vostro figlio da uno che non e’ laureato in pediatria? Io no. Idem per la Letteratura, naturalmente, perche’ non lo dovrebbe essere? I risultati si vedono, se ci sono gli studi veri e approfonditi dietro la pagina…
Ciaobbello
Sergio
P.S.
Eccezioni (a parte) che confermano la regola, beninteso…
Miriam,
con me sfondi una porta aperta: a me il Pasolini scrittore e poeta non piace, eccetto alcune cose, poche invero. Solo come figura di intellettuale a tutto tondo era validissimo.
@ Miriam Ravasio: sono due cose diverse. Una mostra non è un libro. Pensaci un attimo: in un’esposizione ci sono opere di autori di cui si è già accertata e accettata la qualità. Nei grandi successi editoriali spesso, ma non sempre, ciò che conta è la pubblicità. Se io ti martello ogni giorno per dirti che un certo libro è un grande successo, finisce poi che la maggior parte di noi lo crede e lo compra.
Avrei parecchi episodi da raccontare, come quello di più di un amico che mi ha detto candidamente che il Codice Da Vinci è un gran bel romanzo perchè è un grande successo (e me lo ha detto ancor prima di leggerlo).
Io Dido’ lo odio.
Ha proposto qui un bel libro e poi e’ successo il finimondo. Scrive cose esilaranti e poi finisce tutto a ”Sangennoir”. E’ cugino dell’Imperatore e lui non e’ manco barone – rampante. Partecipa ai concorsi e li perde mentre io ho partecipato solo al Premio Penne perche’ pensavo parlasse di pastasciutta e la mia ricetta di ”Pasta Punto e Virgola” e’ stata bocciata perche’ l’inchiostro non piaceva ad una giurata igienista.
Basta con Dido’: presentiamolo alla Rizzoli cosi’ firma per loro e si toglie dai pie’!
Il Buccimpero
Sono con Montagnoli. E’ proprio cosi’, oibo’…
@ Sergio – ricordati quel grande propagandista del dottor Gobbels: una bugia detta una volta resta una bugia, ripetuta mille volte diventa una verità.
Credo che chiunque scriva sogni di fare solo questo nella vita. Che sogni di guardare le facce di chi legge le sue cose, di volta in volta sorridenti, inorridite, commosse, appassionate. E che per fare questa cosa lo paghino anche, e riesca a fare la spesa ogni giorno e magari ad andare in vacanza.
Vi racconto questa, che mi pare interessante. A dicembre la Fandango mi ha mandato a Courmayeur, al Noir in Festival. Letteratura di basso profilo, per moltissimi nemmeno letteratura. Raramente vedrete un noir in mano al fighetto da spiaggia, per il quale condivido pienamente l’odio di Tuena. Io, che di noir e gialli sono un vecchio divoratore bulimico, mi sentivo come un bambino a Gardaland. Insomma, mangiare con Dazieri, bere con Pinketts (a ognuno il suo…), chiacchierare con Lucarelli e via sbrodolando. Be’, vi dico che questi, forse perché di basso profilo letterario, se la spassavano un mondo e mi sembravano molto poco sussiegosi: parevano più una terza liceo in gita che altro. Attorno a noi (sì, anche a me!), siccome i noir vendono, giravano sponsors e giornaliste frenetiche, camerieri inguantati e pr in minigonna. Mi sono divertito, sì, che c’è di male?
Questo per dire che sarebbe meraviglioso se anche in Italia, come negli Stati Uniti, bastasse arrivare a un certo livello minimo per “fare lo scrittore”. Purtroppo non è così, litterae non dant panem.
Per il sig. Filippo Tuena,
ATTENZIONE: d’ora in poi qui si inizia a sca***re di brutto. Provi, per esempio, a ricostruire il seguente testo, censurato da anonimo lestofante perbenista d’antan. Ad un asterisco corrisponde un carattere:
–
”Una sera il Reduce passo’ davanti al t****o di n***a e sembro’ i******o su dove sedersi e allora lei si t***e il s*******o e la borsa per fargli spazio a f****o e lui si sedette e si s*******o guardandosi negli o***i e quella sera non mangiarono ne’ bevettero niente.”
–
Di chi e’? Scrittrice italiana di successo, genovese di nascita e vivente a Cagliari; pubblicata da N********o nell’anno 2006.
Proviamoci, su. Lo sc***o inizia.
Il Buccimpero
P.S.
Pardon, non lo faro’ piu’! Veramente!
a me mal di pietre è piaciuto.
Per tornar seri, io credo che invece il livello in Italia andrebbe innalzato, ma che anche andrebbe dato il giusto riconoscimento ”patrimoniale e professionale” a chi fosse confacente a tale livello. Non come negli Stati Uniti, dunque, ma come in Germania. E anche i Letterati scherzano, bevono e si divertono… sicuro. Gli ingessati sono in genere quelli che non amano troppo questo bel mestiere di ”affabulapopoli”.
Ach! Gea Tergestina! Con te e’ inutile… mi becchi sempre in castagna! Brava! Ma non provare a fare lo stesso con me, ti scongiuro colle ginocchia sui ceci bollenti!
Renzo,
se non ricordo male, questo era gia’ una sentenza latina… mi sbaglio? La prima ”societa’ di massa” del Mondo, perdincibacco! Avevano capito tutto loro e oggi c’e’ ancora chi dice che e’ una ”civilta’ morta”!
io credo che scrittore vero sia chi ha qualcosa da trasmettere, e riesce a farlo con efficacia e gradevolmente.
chi ha storie da raccontare, e il gusto dell’affabulazione.
non basta la grammatica per dare emozione, non bastano le ricercatezze stilistiche, che se fini a se stesse riescono a rendere scostante la lettura.
non sto qui facendo l’apologia della malascrittura, tutt’altro.
sto solo cercando di dire che il talento, l’arte del narrare, non dipende da una laurea. e che nessuno, se non i lettori (pochi o tanti che siano) può dare la patente di scrittore.
e credo che quello di de giovanni sia l’atteggiamento giusto. mi è sempre più simpatico
🙂
come mi è sempre più simpatico remo bassini 🙂
è chiaro che ci sarà sempre qualcuno che legge (se legge) solo per moda, ma forse poi ad uno su mille verrà voglia d’altro.
il gusto di leggere ti scoppia dentro magari con una scemenza, ma se poi rimane va bene così.
effettivamente sono fastidiosi quelli che credono di essere profondi intellettuali perchè nuotano nella corrente. meglio, appunto l’operaio che conosco personalmente che presta piero chiara (proprio lui!) ai colleghi di turno. non ha pretese, e ha capito tutto.
@ gea: totalmente d’accordo.
@ Sergio: potremmo dire che nasce con il concetto di stato come istituzione. Chi comanda ha la necessità di essere credibile e per far questo non c’è di meglio che convincere i sudditi che una bugia, la sua bugia, è una verità. Tanto per fare un esempio, fin dai primordi il monarca faveva dipendere il suo status da un’ascendenza divina.
Gea, è proprio così. Io non ne faccio nemmeno una questione di scrittura, a dire il vero. Secondo me il bisogno primario è raccontare.
Prima ancora di danzare o battere su un legno cavo, secondo me abbiamo imparato a raccontare. Qualcuno aveva il dono di inventare cacce mai fatte e animali mai esistiti, e attorno al fuoco cuccioli e adulti stavano ad ascoltare a bocche e occhi spalancati, dimenticando gli ululati appena fuori il cerchio del fuoco.
E oggi i figli di chi aveva quel dono raccontano, e lo fanno con lo strumento che meglio conoscono. E più raccontano forte, più raccontano chiaro, più sono quelli che lo stanno a sentire.
Moccia non lo vorrei come maestro di vita. Ma non mi fa schifo, se qualche centinaio di ragazzini non vedono il lucchetto come la chiusura di una gabbia, ma come un simbolo di una passione.
@Sozi,
ti amo quando mi odi, essere odiato da te è come essere notato da Fernanda Pivano, non perchè le stai consegnando un pacco.
Ciò detto.
Non sarei così estremista. E’ vero che si nuota nel pressapochismo ma è anche “sicumerico” che non si può chiedere ai nuovi autori di non esperire linguaggi nuovi prima di aver scritto un racconto alla Joice.
E’ come se chiedessero a mia figlia di far vedere come disegna le mani (che in pittura sono il surplus) prima di presentare la sua ricerca cromatica. E’ sempre Troisi il più grande fiosofo dopo Croce che disse :” Meglio 50 giorni da orsacchiotto”.
Quindi, senza integralismi, meglio trovare una via di mezzo, e cosa può esserci di più specificatamente provato di un giallo cerebrale e intimista come il “Senso…”?
Fosse questa la strada per una nuova letteratura?
O un certo umorismo e (Omaggio a te), perchè no, il tuo “Il Maniaco”, compreso anche il mio surrealismo (con molta, molta presunzione).
@ maurizio
appunto.
@ Maurizio: hai fatto una bellissima storia della scrittura, inizialmente tramandata per via orale con l’unica forma che ne consentisse la facile memoria mediante l’armonia: mi riferisco alla poesia. Poi, come è nata la narrativa, e non è da molto, si è modificata anche la poesia, diventata una sintesi sensoriale.
Complimenti a Mr Cormacco e ai 2 sigg.i autori italiani.
Se non fossi donna di onestà e rettitudine avrei barato, segnalando un romanzo edito dalla “mia” casa editrice, “The Ax” del grande Westlake. SPAM! 🙂 Ma è davvero grandioso.
E se ci fosse stato spazio per le graphic novel, “Ice Haven” di Daniel Clowes. Consigliatissimo!
@ Renzo Montagnoli:
No, non sono d’accordo, nemmeno un po’. Cosa ne dici dei visitatori della Biennale, o Triennale o di Documenta? Sanno quello a cui andranno incontro? Performances che ormai sono solo trovate, e il più delle volte di discutibile gusto. Corpi esposti, feci, cani legati ad un laccio e impossibilitati a raggiungere la ciotola del cibo, cavalli e pecore che transitano per locali zozzi e puzzolenti, ossi buchi e quarti di bue sanguinolenti, ecc. ecc. ecc. Tieni presente che la maggior parte di quegli artisti è destinata, salvo pochissime eccezioni, ad essere dimenticata nel giro di pochi anni. No, la maggior parte di chi frequenta la Biennale (ecc. ecc. ) lo fa solo in quanto evento.
Ho letto Come Dio comanda e mi è piaciuto moltissimo (ha venduto tante copie).
Ho letto Manituana, mi ha entusiasmata e con entusiamo ho partecipato al dibattito sul “secondo livello”. (ha venduto molte copie)
Ho letto Gomorra e ho trovato quella scrittura forte e innovativa ( e ha venduto molte copie)
Per dovere di zia ho letto Harry Potter e francamente mi è piaciuto moltissimo.
Leggo autori che vendono e che non vendono e mi avvalgo del mio giudizio. Così come ogni intellettuale dovrebbe fare, consapevole che i sistemi economici esistono e a volte le loro operazioni di marketing coincidono con i gusti del momento. Anche perché dopo un libro come La strada di McCarthi ci si concede con piacere a letture diverse; e allora perché non un un libro su cui è facile e rilassante scambiare opinioni anche con il vicino di ombrellone?
Forse, la causa dello scollamento fra la scrittura e il resto del mondo, che affligge il nostro paese, nasce proprio dalla vocazione barbagiannesca e supponente degli “addetti ai lavori”.
Ma di questi argomenti ne abbiamo discusso fino alla nausea.
🙂
donald westlake?
se è lui, è un grande.
@miriam: ognuno, giustamente, ha le sue opinioni.
Miriam hai ragione. Mi sento un pò addosso quello che diciamo.
Concordo quasi su tutto tranne che sul libro da prestare al vicino di ombrellone.
Grazie mille per i vostri commenti.
Un bacio alla splendida Simona, una dolce carezza alla bellissima Maria Lucia e una stratta (stratta?… stratta? ma come scrive Gregori?) di mano a tutti gli altri.
Enterocolite per Enrico.
@D’accordo con Gea, Montagnoli e De Giovanni: Raccontare. Come respirare e mangiare. Come essere perseguitato da spiriti che chiedono corpo e vengono a dirlo proprio a te. E bussano, grattano stipiti di porta…vogliono entrare.
Quando apri e te ne fai invadere, è impossibile non seguirli, anche perchè hanno la pretesa di decidere da soli.
Credo che all’inizio di tutto ci sia l’esigenza di emozionarsi e di dare emozione. E che il pressare del pianto , della risata, della noia o della paura non possa che venire allo scoperto.
Poi, a metà strada, tra chi dice e chi ascolta, ci sono i segni, i simboli, le tracce di quella risata o di quella noia o di quella paura. La scrittura, appunto.
Ora dico… si può non mandare un bacio alla splendida Simona?
🙂
@ Filippo Tuena
Ti ringrazio per la tua provocazione (era ovvio che fosse tale).
@ Sergio
La verità vera è che la scrittura è un dono che si può perfezionare solo con la lettura, la scrittura e ancora la lettura, la scrittura…
Io non sarei così pessimista. Secondo me dovremmo imparare a osservare il nostro tempo con un po’ più di distacco.
E’ ovvio che i tempi cambiano e il marketing incalza. Ma siamo certi che “i tempi” siano cambiati così tanto come a prima vista ci potrebbe sembrare?
“Quando Guido Da Verona, nel 1911, pubblica il suo primo grande successo, Colei che non si deve amare, sa dare assai bene espressione ai pruriti erotici, alla blanda e conformistica voglia di trasgressione dell’estetizzante borghesia italiana. In quegli stessi anni Federigo Tozzi – ma anche Luigi Pirandello –, completamente ignorato, stava scrivendo alcuni suoi capolavori. Il pubblico canonizzava Guido Da Verona.”
dal saggio di Massimo Onofri “La ragione in contumacia” (Donzelli, 2007)
Non ricordo quando fu l’ultima volta che presi un autobus. Probabilmente io andavo al ginnasio e gli autobus, quindi, a carbone.
Ricordo però che era strapieno. Avevo in bocca la nuca del passeggero davanti e sentivo un qualcosa del passeggero di dietro che mi premeva sul culo. Preferii non indagare.
Si soffocava. Mancava l’aria. Mi rivolsi a un ragazzino con la faccia sveglia e lo implorai: “scoreggia, ti prego, almeno respirerò qualcosa”.
Nulla da fare. La situazione era insostenibile. Alla prima fermata passai attraverso un finestrino e scappai.
Ecco, stasera apro questo blog e trovo una confusione analoga che mi spinge a fuggire.
Pasolini che litiga con la Ravasio. La quale, peraltro, è a una biennale. No, sbaglio, forse non era lei. Alla biennale c’era Gea perchè il suo libraio greco ha chiuso il negozio ed è scappato con una puttana macedone.
Bassini annuncia: “scusate se mi astengo, ma ho ospiti a casa”. Ma cazzo, Bassini una casa manco ce l’ha! E infatti gli ospiti sono a casa di Tuena. Arrivano e si avventano sulle mozzarelline. Provengono dalla biennale e sono affamati dall’incazzatura.
Pasolini poeta? Se po’ legge, ma anche no.
Pasolini l’ho conosciuto. Parlava con noi del bar e raccontava cose normali. Lo si stava a sentire. Non era un intransigente ne’ un letterato “acca 24”. Gli piaceva tanto il calcio, e parlava di pallone. Hai capito Remo? Magari pure lui andava in giro con la Gazzetta dello Sport sotto al braccio. Allora, ovemai, era un coglione?
Miriam a volte mi sembra Maugeri femmina. Provoca, lancia i sassi. Sa in partenza che la sparerà grossa, ma il dibattito si infiamma. Ma, se si infiamma, è perchè tutti fanno lo sforzo di essere sinceri. E se qualcuno si incazza bè, fa tre fatiche. Chi è di Roma sa cosa voglio dire.
Mi piace discutere, mi stimola. Poi, però, mi piace ancor di più farmi i cazzi miei. Per cui, magari, stravedo per Harry Potter che vende qualche miliardo di copie, e vado anche in deliquio per il libro di eventounico che ha fatto il tutto esaurito solo sul pianerottolo di casa sua.
Ho divorato “La donna che parlava con i morti” di Remo Bassini. E ora sono a pagina 30 del “Cacciatore di aquiloni” con le palle che mi urlano “ma che ti abbiamo fatto di maleeeeee!”.
Spero che la situazione migliori. In onore di quel romanzo ma soprattutto dei miei coglioni.
Confusione. Confusione. Ma almeno io l’ho presa in tempo. Aspettate lunedì quando tornerà Sivla Leonardi e allora si ride……”uhhhhh, ma io nel weekend non accendo mai il piccì”….”uhhhhhh e poi trovo tanti interventi che non capiscooooo”….”uhhhhhh e mo’ che faccio, li leggo tuuuuuuuutttiiiiii??????”.
No, Silvia. Nun te preoccupa’. Confusione.
Massimo, ora ho capito. Tu e Montagnoli, da piccoli, facevate i chierichetti e litigavate sempre per chi dovesse tenere il piattino all’eucarestia. Tu soffrivi perchè Montagnoli era il cocco del prete così hai cominciate a guardare le ragazze, specie se si chiamano Simona. A Montagnoli è rimasto campo libero ed ora benedice da solo. Confessa…
Non ho purtroppo letto i due libri in questione. Riuscirò però nelle prossime settimane a colmare queste gravi lacune.
Quanto all’ultima affermazione di Massimo si potrebbe ben dire : Il tempo è galantuomo. Sono d’accordo e questa affermazione mi fa sperare per il futuro perchè la letteratura, con la le buone letture continui ad allietare le mie giornate.
Ma credo anche che tale affermazione si possa fare per autori di grandissimo spessore, ma quanta mediocrità bisogna sorbirsi prima di scovare una perla ?
La fantasia è incredibile. E il paradosso suscita anche l’ilarità: non so Massimo, ma chierichetto non mi vedo…sarei come il diavolo con l’acqua santa. Ahahah…
Vado a dormire ridendo, il che è sempre un bene, perchè la risata salva la vita e avere dell’ironia con se stessi permette di esistere senza necessariamente straziarsi prendendo tutto troppo sul serio.
Buona notte.
A tutti,
beh, qui ognuno ha le proprie opinioni e la propria formazione. Io reputerei salvifico il ritorno ad un ”far carriera” nella Letteratura classico, metodico, quadrato, lento, preciso; questo perche’ avere una formazione solida non significa per niente scrivere cose vuote di senso o di emozioni, e nemmeno dilettarsi semplicemente in giochetti stilistici fini a se stessi, ma semplicemente saper scrivere con personalita’ e al contempo adesione alle norme condivise dalla Letteratura nel suo definirsi storico, linguistico. Chi non conosce la Letteratura da professionista e non si esercita a lungo, non si confronta coi Classici e con i viventi, puo’ ugualmente dire cose bellissime, certo, naturalmente, ma si perde comunque la grande occasione di scrivere delle ”sinfonie”, delle opere armoniche in cui i suoni delle parole si amalgamino ai significati e alle altre migliaia di possibilita’ insite in questa musica che dopotutto e’ anche la narrazione (compresa la narrazione poetica).
Ecco perche’ serve la scuola. Per creare medici, impiegati e… scrittori validi, i quali usciti dalle aule diverranno se stessi professionalmente avendone le basi. Le basi per durare nel tempo.
Dunque, Massimo e Dido’, io non sono estremista: leggo la realta’ con gli occhi del realismo e cerco dei modi per migliorarla: e se la Storia e’ stata ingiusta anche prima (mi riferisco all’esempio di Massimo di Pirandello e Guido da Verona) cio’ non toglie che, appunto, Pirandello e Tozzi sono stati considerati dei grandi quando erano ancora viventi. Li compresero i critici, il pubblico, i letterati degli anni Trenta Quaranta e Cinquanta, lo sappiamo, no? Oggi invece, esistesse un genio pari a Pirandello, credete che verrebbe riconosciuto? No. Manco pubblicato, direi. La Storia dunque o e’ la stessa che nel 1911 o e’ peggiorata, migliorata di certo no, perche’ le cose nel 2008 sono due: o i geni non esistono in Italia o nessuno e’ all’altezza di scoprirli. Decidete voi.
Raccontare, raccontare. E leggere una storia.
Non sentire il suono dello strumento, o degli strumenti, ma la musica. Nel nostro campo, una storia. Se ti racconto una soria, qualcosa che mi è successo intendo, non cerco parole strane o frasi a effetto, non metto punti sincopati per farti venire la pelle d’oca, non parlo fuori margine o in corsivo. Ti racconto una storia, e basta.
A me piacciono i libri che mi raccontano una storia; una qualsiasi. Humanus sum, faceva dire Terenzio al suo pettegolo miles gloriosus: nihil a me humani alienum puto. Non c’è storia che non sia bella, non c’è racconto che non sia interessante.
Purché non si parli per il solo gusto di sentire la propria voce.
Mi piacerebbe essere giudicato per la storia, non per la scrittura. E’ la scrittura serva della storia, non viceversa.
P.S.
Nel caso di Tozzi anche prima, che’ mori’ nel 1920.
Scrittura, storia e anima: una famiglia in cui il divorzio fa danni irreparabili. Perche’ la bellezza letteraria nasce dall’estetica quando essa si congiunge al senso profondo. Storia, parola e senso (o significato). Guai ad eliminarne un pezzo, nascono dei corpi mutilati.
… i Latini come Terenzio quel che dico io lo sapevano e lo facevano. Appunto.
Grande, grande Sozi. Era una coda fortunata, quella descritta nel frizzante racconto: aveva due occhi pazzi e geniali a guardarla.
Sottoscrivo ogni singola parola.
Simona, che dice ”A metà strada, tra chi dice e chi ascolta, ci sono i segni, i simboli, le tracce di quella risata o di quella noia o di quella paura. La scrittura, appunto” mi sembra possa concordare con chi, come me, e’ per il lavoro infaticabile, artigianale e serio, impostato solidamente. Cosi’ i segni divengono sia di chi emette che di chi riceve.
Graaaazie, Maurizio De Giovanni! La pensiamo in parte diversamente ma… Oddio! Onorato di questo suo giudizio, veramente!
La stima e’ ricambiata appieno! Ma legga anche le poesie di Simona: e’ una grande!
Mi piacerebbe molto, leggere le poesie di Simona. Dove posso trovarle?
Eccomi di nuovo qua.
–
@ Evento
Confesso. Il chierichetto ero io. Renzo è innocente. E le ragazze le guardavo ben prima di tenere il piattino.
E non soffrivo perchè Montagnoli era il cocco del prete. Perché tanto io ero il cocco di mamma.
Finalmente… era da un quarto d’ora che provavo (invano) a inviare commenti.
@ Gregori
Hai scritto: “Miriam a volte mi sembra Maugeri femmina.”
Mi sembra offensivo per Miriam.
Non rispondo. Però mi consolo pensando a quel passeggero di dietro, sull’autobus, che ti premeva.
Confusione per confusione ti confesso che io, a pag. 30, “Il cacciatore di aquiloni” l’ho mollato sul comodino per non riprenderlo più.
Però c’è tanta gente che stimo – con cui ho condiviso il piacere di tante letture – che ne è rimasta entusiasta.
E allora mi sono domandato. Forse non m’è piaciuto per via dello stato d’animo contingente? O proprio non mi piace?
Confusione.
–
@ Silvia
Forza e coraggio!
Saluti ad outworks e a Didò
–
Maurizio De Giovanni ha scritto: “E’ la scrittura serva della storia, non viceversa.”
Sottoscrivo!
@ Sergio
A me piace pensare che se oggi ci fosse un genio della scrittura in un modo o nell’altro riuscirebbe a emergere.
Buonanotte a tutti.
Caro Filippo Tuena,
volevo ringraziarti ufficialmente.
Ed ecco il perché.
Ricordo di aver saputo del tuo libro, diverso tempo fa, grazie ad alcuni commenti “da Remo” (che non è uno stabilimento balneare ma il blog di Remo Bassini).
Insomma, grazie ai commenti entusiastici letti su un post di Bassini, mi convinsi a regalare “Ultimo parallelo” ad una ragazza su cui volevo far colpo.
E bene, ha funzionato!
Lei, dopo averlo letto, mi fa “WOW, tu sì che ne capisci di libri!!!”
(Offrire alle donne ottime letture, a quanto pare, ha su di loro effetti insospettabili…)
Quindi, che dire… grazie davvero!
E adesso, se non altro per infinita gratitudine, il libro lo leggerò anch’io (che poi, da qualche passaggio già sbirciato, me n’è venuta effettivamente una gran voglia:-)
A parte scherzi, ti faccio i miei complimenti (e li faccio anche a Maurizio De Giovanni, la cui opera mi ripropongo di utilizzare volentieri alla prossima occasione 🙂
Saluti D
Diego, scusa… ma che ragazze frequenti? Magari potresti presentarcene qualcuna.
🙂
Ora chiudo davvero. Buonanotte.
De Giovanni,
le poesie di Simona – quelle giocose ma simpaticissime – stanno nel ”post” del Libro dell’Anno 2007. Ci hanno fatto morire a tutti, qui! Spiritosissime! Poi, ho letto anche un suo racconto, altrettanto interessante.
‘Notte Massimo.
“……………presta piero chiara (proprio lui!) ai colleghi di turno. non ha pretese, e ha capito tutto.” Gea sei grande. In realtà sei tu che hai capito tutto.
Leggere in fondo è molto, ma molto più importante di cosa leggere.
Perchè l’atto viene prima, la scelta è secondaria.
E in quell’atto ci deve essere amore, emozione, soddisfazione, piacere.
Se non scopriamo il piacere in sè non saremo mai in possesso dello strumento per effettuare una vera scelta.
E in fondo lo ha detto anche Enrico: si può partire anche da Faletti per arrivare forse a Cervantes.
Dirò di più: ci si può anche fermare a Faletti.
Per me l’importante e’ scegliere. Qualsiasi cosa e sempre. Piu’ scegliamo e piu’ siamo noi stessi. In ogni campo della vita. Scegliere e fregarsene di essere scelti o meno. Questa e’ la lotta. Mia.
Sergius Telegraphicus
punto primo: basta un’intelligenza normale e tanta cocciutaggine e poi a scrivere s’impara (Fenoglio dceva: la mia miglior pagina se ne esce dopo decine e decine di penosi rifacimenti).
punto secondo: bella la frase di Maurizio De Giovanni: E’ la scrittura serva della storia, non viceversa. Quando domandavano ad Esenin come aveva fatto a diventare un così bravo poeta, lui rispondeva che era tutto merito di sua nonna, analfabeta, che da piccolo gli aveva raccontato le vecchie fiabe russe.
punto terzo (dedicato a enrico gregori): quando la Fiorentina ripartì dalla C2 al Franchi c’ero anch’io. Per chi mi hai preso (citandomi Pasolini) per un intellettuale? Sono un ragazzo di strada (della tua età), io.
Buone cose a tutti.
PS se avete amici editor chiedere loro quanti libri con strafalcioni grammaticali, anche di autori noti, debbono correggere.
@ remo:
se tu non fossi un ragazzo di strada non ti avrei manco rivolto la parola
🙂
@ massimo:
vogliamo fondare un partito di quelli che, arrivati esausti a pagina 30, hanno mandato a cacare “Il cacciatore di aquiloni”?
Oddio, dai un’occhiata alle liste in gara per le prossime elezioni e vedrai che anche noi potremmo fare la nostra porca figura. Pensaci.
🙂
La mandria fa perdere tutti di oggettività, sia quelli che ne fanno parte sia quelli che hanno l’orgoglio e l’ostinazione di starne fuori. E succede che di fronte a Faletti (di Io uccido, sugli altri l’atteggiamento di disgusto era comune) si diventa manichei, e tutti ne parlano bene o male mentre lui si frega le mani.
Bisogna secondo me stare attenti a non ritrovarsi da una parte o dall’altra della barricata, ma a procurarsi una bella porticina nella stessa per poter andare avanti o indietro LIBERAMENTE (avverbio cruciale).
Quindi, andare dal libraio greco della dolce Gea, e godersi la solita meravigliosa sequenza copertina-titolo-risvolto-prezzo-ancora risvolto-cassa, come facevamo tutti noi qui presenti fin da bambini, mentre i coetanei giocavano a pallone in piazza o discutevano di cosa si sarebbe fatto il sabato sera. E’ questo, il nostro vero partito.
P.S. io, il cacciatore di aquiloni l’ho mollato a pag.50. Posso iscrivermi lo stesso?
Off Topic:
de giovanni mi pagheresti un caffe da Fnac?
Alle 1130 c’è Aldo Putignano che presenta…mio Dio! Ho dimenticato cosa presenta!
Buon giorno a tutti , bella gente. io sono i giro e cerco di parlare il meno possibile (ho fatto già troppi danni).
Grego, rispondo alla chiamata: anvedi sei riuscito a raggiungere pag. 30? Io alla decima già ronfavo.
Premetto che non ho letto Il cacciatore di aquiloni, nè Mille splendidi soli, però, incuriosito, ho seguito l’azione promozionale dei due libri.
Con il primo sono riusciti a far identificare il romanzo con l’autore, cioè ha assunto maggior rilevanza lo scrittore che non l’opera (americano, di origine afgana, ecc.). Tant’è che con Mille splendidi soli, pur pubblicizzato, ci sono stati meno sforzi, perchè il battage è iniziato anticipando un nuovo lavoro di Khaled Hosseini. Basta il nome e il prodotto è una garanzia; del resto si fa così nel marketing di altri prodotti, tipo quello delle automobili.
Scusate se introducendo un pensiero su Hosseini ho “costretto” molti a una specie di off-topic. Chiedo scusa in particolare a Giovanni e a Filippo perchè in sostanza questo post è dedicato ai loro libri. E’ però spesso inevitabile che il dibattito si ramifichi, per cui “Il cacciatore di aquiloni” è diventato una specie di emblema delle opere controverse. Come poi, in realtà, sono tutte.
Non posso fermarmi a pagina 30, ma non posso nemmeno arrivare per forza alla fine se, strada facendo, sarò in debito di ossigeno.
@ Enrico
Secondo me non c’è nulla di male ad aprire una finestra su “Il cacciatore di aquiloni”. Del resto ci siamo arrivati seguendo il filo del dibattito (poi magari torniamo di nuovo sui libri di Tuena e De Giovanni).
La cosa che mi sorprende è che pensavo di essere l’unico ad aver abbandonato la lettura di questo libro (e a non aver trovato stimoli per andare avanti). E attribuivo la scelta a una mia momentanea scarsa predisposizione a poter godere di quel tipo di lettura (anche perché, ripeto, amici con i quali condivido i gusti di lettura me ne avevano parlato in termini entusiastici). Comunque, prima o poi proverò a rileggerlo. Magari ne riparleremo.
Mi piacerebbe leggere i commenti di ulteriori lettori dei libri di Filippo Tuena e Maurizio De Giovanni.
@ massimo:
non è il tuo caso, forse non è neanche il caso di altri che scrivono qui. Io credo, però, che troppo spesso si venga colti da un certo pudore nel dichiarare l’avversità verso un libro “cult”. Quasi che facendolo si finisca a giudizio di fronte un’ipotetica Accademia che sa e stabilisce quali sono i libri sì e i libri no.
Ho conosciuto gente (con variegati livelli di istruzione) che ritiene la Divina Commedia una palla insopportabile. Ho ascoltato e deglutito. Vuoi che mi faccia venire degli scrupoli se dovessi ritenere una stronzata “Il cacciatore di aquiloni?”
la sequenza citata da maurizio (copertina-titolo-risvolto-prezzo-ancora risvolto-cassa) secondo me è essenziale. è attraverso di essa che ‘annusi’ e decidi. per esempio, il test del mio olfatto il cacciatore di aquiloni non l’ha superato, a suo tempo. e non l’ho manco preso. io non contesto un eventuale valore, semplicemente per me è stato no.
credo fermamente che la lettura debba essere una gioia, e che la vita è troppo breve e i libri essenziali sono talmente tanti..
un qualche tipo di selezione bisogna farla. la mia si basa su mi ispira/ non mi ispira, mi piace/non mi piace. è un criterio personalissimo, scientifico zero, ma uno bisogna pure averlo, no?
io non sono un’intellettuale, sono solo una che legge. avidamente e con amore. e se una volta mi rifiutavo di mollare una volta iniziato, ora non più. trenta pagine e una prova d’ appello con una decina in mezzo secondo me sono sufficienti.
certo, ogni tanto posso sbagliarmi, ma sono sempre pronta a cambiare idea.
e nella maggior parte dei casi, volete mettere? quanto tempo guadagnato a qualcos’altro..
🙂
Carissimo Maurizio, rispondo in ritardo e purtroppo brevemente.Grazie per le esaurienti spiegazioni che mi hanno delineato il tuo pensiero. Sono lietissima per il commissario Ricciardi dagli occhi verdi…, che proseguirà le sue famose indagini (il cognome Ricciardi mi è particolarmente caro, si chiamava così una compagna di scuola, bravissima in matematica che svolgeva anche i miei problemi in classe, io gli rendevo il favore con i temi, che lasciavo sopra lo sciacquone del bagno scolastico..). Per la tavola rotonda della Fiera, non mi preoccuperei troppo, non solo sei sicuro della passione che alimenta i tuoi romanzi, ma è una sensazione che ognuno di noi ha provato in tali circostanze. Le troppe tavole…ti renderanno forte ed esperto, se puoi però, cerca di conservare il timore iniziale, poiché secondo me, un briciolo di umiltà serve a conservare il senso del proprio limite, e credimi non guasta mai. Le grandi anime hanno l’intelligenza di essere semplici ed amabili con tutti. Oggi presenzierò come ospite al Premio ” Il mulinello” di Rapolano Terme. Fra i vincitori e i riconoscimenti alla carriera, ci sono stati grandi nomi, come Enzo Biagi, Giampaolo Pansa,Vincenzo Cerami, Maurizio Maggiani, l’attore Giorgio Albertazzi e tanti altri, che ci hanno onorato della loro presenza, Stasera verrà premiata anche la cara scrittrice Morena Fanti per il suo toccante volume ” Orfana di mia figlia”.Morena è una frequentatrice del nostro amato ,blog di Massimo, e non vedo l’ora di conoscerla personalmente.Questo per dire a te e agli altri amici, che potreste inviare le vostre opere il prossimo anno. Purtroppo a noi, non hanno rifinanziato il Premio Internazionale “Mario Luzi – Città di Siena” e ci hanno tagliato i fondi per le presentazioni dei libri. Però se si presenterà qualche occasione propizia, sarà mia cura avvertire almeno coloro di cui conosco l’e-mail. Pensavo inoltre, che allungando le risposte che mi hai dato con altre notizie, e con la tua autorizzazione, potrei ricavare una intervista per le poche riviste letterarie che ancora seguo. Dovrai però armarti di pazienza perché sono bimestrali e perché a fine marzo dovrebbe uscire il mio nuovo libro ” Il sogno del cavallo” e sarò più occupata del solito.Ti auguro tutto il successo possibile e spero di poter leggere il tuo libro presto. In bocca al lupo per Torino, grazie per la tua cortesia.
Tessy
Ovvio che non si debba fare di tutta l’erba un fascio. Però talvolta sono d’accordo con chi “sconsiglia” di trovare grande a tutti i costi la letteratura che arriva dagli Stati Uniti. Enorme paese, enorme benessere, enormi città, enormi personaggi. Ok, ma la acritica genuflessione di fronte a tanta grandezza può essere fuori luogo.
Ma, personalmente, trovo ugualmente fuori luogo gridare al miracolo per un libro solo perché arriva da una terra sfortunata come l’Afghanistan. Non credo che siano l’opulenza o la disgrazia a connotare un libro. I “nostri” libri sono quelli che poco sopra e meglio di me ha descritto Gea.
Io mi oriento a spanne: per amore, affinità, ricerca e destino (casualità). Il fato conta, e dal fato mi lascio prendere! Faccio letture strambe, a volte colte, curiose o anche solo complementari ad un certo progetto. Scavalco il risvolto di copertina, la copertina e le note sull’autore; leggo le prime due pagine e qualcosa nel mezzo. A volte, folgorata, acquisto subito, altre volte mi lascio cullare dal dubbio e ci ripenso. Vado in biblioteca, prenoto e aspetto, anche giorni, giorni e giorni ( a volte l’attesa è proprio infinita, ma se il libro merita, la ricompensa è ancora più piacevole). Alcuni titoli “strombazzati”mi sono piaciuti moltissimo, su altri, invece, il mio parere era in controtendenza. Sto alla larga, con pregiudizio manifesto, dai libri “umanitari”, tipo Città della gioia o giù di lì. Pur essendo parte attiva di quei movimenti, evito l’entusiamo di chi confonde la bontà delle intenzioni con il bello dell’iniziativa. Leggo quei libri con interesse e partecipazione, e poi se il testo mi colpisce, lo faccio mio, altrimenti lo archivio come semplice documentazione .
@ Enrico
Sto leggendo “Il cacciatore di aquiloni” forse riuscirò a finirlo, ma non ho mai letto un romanzo così palloso. Molto, ma moolto meglio il tuo. Giuro. Mi chiedo quali ingranaggi muovono l’industria cartacea e se non sia arrivato il momento che il buon Massimo apra una Casa Editrice e pubblichi noi letteratitudiniani.
@ salvo:
evidentemente l’assegno che ti ho mandato lo hai ritenuto generoso
🙂
@ salvo ancora:
massimo ha un gran cuore ma non ch’ha un euro. l’unico modo che avrebbe per aprire una casa editrice è col piede di porco
🙂
Salvo…casa editrice ? Non si può ! C’è il marketinge… 🙂
Caro Filippo,
ti ringrazio per il tuo bellissimo “Ultimo parallelo”. E’ un libro che mi ha commosso profondamente, ho provato pena per gli uomini che morivano nel freddo. Ho amato la tua scrittura visionaria, densa di poesia, di frasi affannate come il percorso affaticato degli esploratori, di parole che non hanno il limite della punteggiatura, dove il lettore cerca il proprio respiro, di foto che appaiono tra le pagine e sembrano far parte d’un miraggio dei ghiacci, d’un vago sogno inquieto. La stessa scrittura composita ha la capacità di riflettere lo smarrimento dei personaggi spinti verso una terra ignota, talvolta intenti ad affrontare il cammino ad occhi chiusi per proteggersi dai riflessi abbaglianti, spinti maggiormente verso sè stessi, verso un proprio labirinto interiore. Ho molto apprezzato la tua scelta di lasciar narrare le vicende dall’ “uomo in più”, dall’ombra quieta che seguiva gli esploratori. E talvolta mi è sembrato di intravedere altre ombre, eteree presenze letterarie ad accompagnarti: mi sono apparse nella mente le inquietudini metafisiche dell’ultima visione, del biancore abbagliante della vasta figura fantasmatica, al termine del viaggio di Gordon Pym, o della discesa nel Maelstrom, nelle narrazioni di Poe. Oppure alcuni incubi del Grande Nord, di altre morti solitarie per assideramento, dalle pagine di Jack London. Ma la tua scrittura, a mio parere, non ha nè la metafisica disperata di Poe nè il legame ossessionato , l’avidità nel “consumare la vita fino alla feccia” (Borges) di London. L’ombra dell'”Ultimo parallelo”, l’uomo in più, indica una strada, una via d’uscita: “ora io sono l’uscita che conduce in nessun luogo e per questo apro i ghiacciai e frantumo il muro di ghiaccio e ti concedo di attraversare le Colonne d’Ercole perchè ‘io sono l’uscita’ “.
Mi pare di aver letto in una tua intervista che la scrittura di “Ultimo parallelo” si ricongiunge ad una tua lettura appassionata delle vicende di Scott fatta in età adolescenziale. Come se si fosse compiuto in te stesso un ciclo tra lettore e scrittore.
Due cose da chiederti: hai sentito la presenza di particolari influenze letterarie, di autori che hanno accompagnato il tuo viaggio verso il compimento di “Ultimo parallelo”? Come ti ha cambiato questo libro?
Ti ringrazio ancora. Un saluto affettuoso,
Subhaga
Generalmente anche io rifuggo dai “grandi successi”. Faletti non l’ho mai letto, Kahleb Hosseini non mi tira proprio. Per carità, poi, come ho già detto, qualche volta c’è la grande opera anche tra di essi.
E sparare sul Best seller è comunque uno sport piuttosto diffuso, e alla portata di tutti.
Ma nel “buttarsi su qualcosa di meno conosciuto” c’è anche il sottile piacere della scoperta personale, dell’aver “avuto naso”, del condividere magari una passione con “una piccola cerchia di cultori di …” , come fosse appartenere ad una setta segreta.
Se volete c’è sicuramente un senso di autosoddisfazione un pò elitario, ma (personalmente) ci provo anche tanto gusto….
buonpomeriggio a tutti. Allora devo subito qualche risposta
@francesco di domenico. Magari il mio libro si trovasse nei supermercati…
@miriam. A proposito di mostre affollate. Se anche i musei fossero affolati di visitatori, sarei d’accordo con te. Purtroppo non è così. La gente va alle mostre in gran parte perché è chic andarci. Perché è un evento al quale BISOGNA partecipare. Vivo tra Roma e Milano e posso assicurarti che vi sono musei con splendidi capolavori deserti e abbandonati. Così come esistono libri splendidi
deserti e abbandonati.
@enrico gregori. non mozzarelline ma zuppa di pesce!
@diego D. Se non fossi sposato da 23 anni approfitterei anch’io di tanto entusiasmo…Però ricordati che l’intellettuale che consiglia libri riceve molti complimenti ma magari si ferma lì…
Sul cacciatoredi aquiloni. l’altro giorno ero in treno e c’erano almeno tre persone nello scompartimento che lo leggevano. la cosa mi ha incuriosito ma non tanto da acquistare il libro. poi mi sono lasciato incuriosire da mille altre cose che fanno in tanti. ma non faccio tutte le cose che incuriosiscono i tanti.
@Subhaga.
Grazie! Ci risentiamo dopo un paio d’anni. Per Ultimo parallelo certamente mi sono lasciato coinvolgere da Eliot, e credo che scriverlo mi abbia aiutato ad abbandonare le strutture tradizionali del romanzo senza per questo rinunciare al desiderio di raccontare. Certamente se scriverò altri romanzi non potrò non mettere in pratica quello che ho imparato con questo libro anche se poi credo che ogni libro detti il suo stile, la sua struttura.
@ filippo:
zuppa di pesce? allora compro il tuo libro
🙂
Filippo Tuena,
mi scusi, non ho capito quando scrive (rivolgendosi a diego D)
ricordati che l’intellettuale che consiglia libri riceve molti complimenti ma magari si ferma lì…
buone cose
@Filippo Tuena,
è Rizzoli il tuo libro? Perchè non dovrebbe essere distribuito nelle librerie dei supermercati? Oggi sono di corveè, tocca a me fare la spesa, ti faccio sapere (io vado all’Auchan).
Non so se Massimo vuole farlo, ma io retero la mia domanda sulla ricerca dei “materiali”.
Ringrazio i due autori per l’attenzione.
Arrivo in seconda battuta. Non ho letto manco “Il cacciatore di aquiloni”, ma “Mille splendidi soli” si. E me ne sono innamorata. Adoro Faletti, in tutte e tre le sue opere, la terza la trovo migliore delle altre due, segno che la scrittura cresce frequentandola. Non condivido il pensiero di Tuena riguardo alla frase: se avessi successo penserei di aver sbagliato qualcosa. Ho letto la spiegazione che ne ha dato, ci sta, per carità. Poi è la sua, giusto rispettarla. Ma è l’atteggiamento a monte che è sbagliato, e ci sta anche questo, perché anche la mia è un’opinione. Io sorrido ogni volta che vedo qualcuno leggere, dovunque, sul bus, in metro, sotto l’ombrellone. E sorrido anche se ha tra le mani un libro di Moccia, sul quale mi consento di dire che “Tre metri sopra il cielo” non è assolutamente un libro inutile. Racconta, ragazzi, racconta. Non lo farà come Tuena, non lo farà come Bassini, non lo farà come Di Giovanni. Ma il mondo è bello perché è vario e io aborro (perdonate, ma lo devo dire) certi atteggiamenti snob tipici di chi scrive, spesso di chi scrive benissimo. Portare la gente alla lettura è una conquista, un libro che ci riesce è un libro giusto perché apre la strada ad un altro libro e poi a un altro ancora. E’ successo così per tutti noi, nessuno di noi colti frequentatori di questo splendido blog è partito già saturo di prose eccelse e poesia pregnante. Un libro di fiabe? Salgari (grandissimo)? Louisa May Alcott? Erano i Moccia dei loro tempi, poi il lettore è cresciuto d’età, magari ha mollato Dumas ed è passato a Steinbeck. Un libro che ha successo è un libro che funziona e spesso la gente non ha il tempo per andarsi a cercare la chicca: entra in libreria e viene travolta da valanghe di Wu Ming, di Saviano, di Hosseini. Perché non dovrebbe acquistarli e leggerli? Sono libri belli, godibili. Soprattutto sono libri, pagine e pagine di parole scritte a svelare l’anima della storia e di colui o colei che l’ha concepita, cresciuta, partorita.
Credo di avervi sbomballato le scatole a sufficienza e termino con una frase contraria a quella di Tuena: IO SPERIAMO CHE C’HO UN SUCCESSO DELLA MADONNA, perché a quel punto sarò certa di non aver sbagliato a raccontare le mie storie.
Laura
@enrico – non solo zuppa di pesce ieri sera. stamattina spaghetti con l’avanzo della zuppa. dunque, almeno DUE COPIE!
@remo – ricordi di gioventù. io consigliavo molti bei libri alle ragazze che li leggevano con grande trasporto, ma il sabato sera andavano a ballare col capitano della squadra di calcio.
@francesco – la rizz. manda nei supermarket i libri dai quali si aspetta più di 10.000 copie di vendita. io sono molto al disotto.
@eventounico. devo aver perso il post sui materiali. a che ti riferisci?
@ laura. questa cosa del successo è fonte di fraintendimenti. non è detto che il successo equivalga a mediocrità e l’insuccesso a genialità. Non l’ho scritto e non lo penso. Dico soltanto che per come intendo io la scrittura un grande successo mi porrebbe delle questioni. E comunque, non si dovrebbe essere MAI SICURI DI NON SBAGLIARE A RACCONTARE LE PROPRIE STORIE, neppure se si avesse successo.
Io credo che il punto stia da un’altra parte: non è tanto l’avere o non avere (cercare o non cercare) il successo, quanto il “a quali compromessi (con il pubblico, con l’editore, con me stesso) sono disposto a scendere per raggiungerlo?”.
Credo sia lì tutto il senso della questione. Se sono così disposto a tradire anche me stesso per la fama forse la raggiungerò più facilmente (forse); probabilmente poi sarà anche effimera, ma chissenefrega.
C’è chi questo tradimento non lo tollererà mai. E forse da postumo sarà riconosciuto come un grandissimo (forse). O forse no; ma ugualmente dirà chissenefrega.
Filippo, avevo scritto questo:
“…vorrei sapere, se possibile, qualcosa di più sulla raccolta del materiale da parte di entrambi gli autori. Ho avuto la fortuna di visitare il Nord (fino all’80° parallelo) e so che esistono dimensioni e sensazioni difficilmente immaginabili, tanto quanto il gusto della scoperta di quei luoghi per il quale può valere la pena morire. Il secondo dei luoghi, lo porto sempre con me nel cuore.”
@ Tuena: grazie della risposta, ma forse mi sono spiegata male anch’io perché se una storia è mia, l’ho concepita, immaginata e poi partorita, non vedo proprio come potrei sbagliare a raccontarla. Sarebbe come sbagliare a guardarmi allo specchio. Lo specchio, in questo caso la scrittura, semplicemente riflette la mia immagine e quindi non è suscettibile di fraintendimenti. Altro discorso è il valore della storia narrata che potrebbe tranquillamente non avere alcun valore intrinseco e, ne sono convinta, anche in quel caso lo specchio/scrittura lo rivelerebbe senza pietà alcuna.
Laura è una gran donna. Lo confesso: ho un debole per lei !
.
Credo che il concetto base del suo intervento, che riprendo e rilancio sia:
“il mondo è bello perché è vario e io aborro (perdonate, ma lo devo dire) certi atteggiamenti snob tipici di chi scrive, spesso di chi scrive benissimo. Portare la gente alla lettura è una conquista, un libro che ci riesce è un libro giusto perché apre la strada ad un altro libro e poi a un altro ancora. E’ successo così per tutti noi, nessuno di noi colti frequentatori di questo splendido blog è partito già saturo di prose eccelse e poesia pregnante.”
Evento, ti ho mai detto che ti amo?
No, Laura, ma certe cose si capiscono…
.
Mi sento solo di aggiungere che il sottobosco della letteratura, al quale molti di noi appartengono ed io più di altri, è disseminato di testi maleodoranti e di scritti coinvolgenti. Ogni tanto qualcuno riesce ad assurgere al ruolo di pianta maggiore. Il “meccaniscmo” che porta a ciò è il risultato di tanti elementi. Due a mio avviso sono i principali: fortuna e contatti. Appena dopo segue l’elemento al quale accennava Carlo.
Filippo credo volesse dire che non ambisce al successo (enorme) perchè lo porterebbe a dover negoziare con esso una diversa concezione della vita e di ciò che scrive.
@carlo S – Io cerco di essere fedele al libro. Cerco di ascoltarne i suggerimenti – perché un libro sa dove vuole andare – e non sto a pensare né al successo né all’insuccesso, né hai lettori né all’editore e neppure all’idea preconcetta che avevo di quel libro prima di scriverlo. potrei raccontarti di cambiamenti in corso d’opera, di riscritture, di mille varianti che il libro che scrivevo MI HA IMPOSTO. Veramente, non c’è altro referente per chi scrive che il libro che sta scrivendo.
@evento unico. Non sono stato al polo sud (il viaggio costa almeno 20.000 euro!) e per un privato è praticamente impossibile ottenere i permessi per arrivare alla base Amundsen-Scott. Le mie ricerche le ho fatte a Cambridge allo Scott POlar Research Institute dove conservano i taccuini di Scott e degli altri esploratori, dove è possibile sfogliare quei diari, dove puoi vedere il sacco a pelo di Oates, i suoi stivali tagliati per poter infilare i piedi gonfiati dal congelamento.
@laura e @eventounico – forse c’è un ancora un fraintendimento. Io cerco di scrivere libri che coinvolgano emotivamente il lettore, che lo trascinino all’interno della storia. Il tempo di lettura di un mio libro è mediamente di due o tre giorni. Questo non vuol dire scrivere per lettori schizzinosi. Vuol dire condividere un’esperienza. Vuol dire portare altrove il lettore. Cerco piuttosto di farlo nel modo che mi piace, magari esplorando nuovi territori narrativi non contentandomi dell’ovvio, del tradizionale.
Parlare con praticità è anche essere aderenti alla realtà. Non c’è nulla di riprovevole che uno dei tanti motivi per cui uno scrive sia anche avere successo.
Ma, come dice Carlo S., il problema è a quale prezzo avere questo successo. Soprattutto io sono dell’idea che il tutto sta nella scala dei valori per un’individuo e così se uno scrive soprattutto per avere successo è più facile che scenda a compromessi, svilendo la propria arte.
Quanto al discorso delle letture, di cui parla Laura, concordo che tutto vada bene purchè si avvicini la gente al piacere della lettura. Però, se è vero che da giovanissimi abbiano perso la testa per Salgari, per poi passare ad autori più completi, non è la stessa cosa oggi, nel senso che i fruitori di una certa letteratura sembrano restare bambini e non passano ad altro, e comunque, se lo fanno, ciò avviene in misura minore che in passato.
Si innesta allora un altro discorso: la preparazione scolastica che non riesce a far amare la lettura e ad educare alla lettura.
Basti un dato: ci sono più scrittori che lettori di poesie…
Filippo, scrivi:
“Non sono stato al polo sud (il viaggio costa almeno 20.000 euro!) e per un privato è praticamente impossibile ottenere i permessi per arrivare alla base Amundsen-Scott.”
.
In effetti a me basta e avanza il primo motivo.
.
“Le mie ricerche le ho fatte a Cambridge allo Scott POlar Research Institute dove conservano i taccuini di Scott e degli altri esploratori, dove è possibile sfogliare quei diari, dove puoi vedere il sacco a pelo di Oates, i suoi stivali tagliati per poter infilare i piedi gonfiati dal congelamento.”
.
Molto interessante. Io ho provato la stessa sensazione quando ho visto il palo al quale era legato il dirigibile di Nobile. Oppure le Hyttes dove svernavano i cacciatori di balene. In quei luoghi un albero può essere alto un millimetro ed avere una sola foglia ed un intero ecosistema può essere una collinetta da 10 cm di diametro. Soprattutto è il silenzio il vero padrone. Il vento è l’unico rumore costante. Il vero flagello. Già in visita e con mezzi moderni non è una “gita”. Ciò solo per immaginare l’impatto sinestetico di quei viaggiatori e, soprattutto, il loro coraggio.
@ evento e laura:
per certe cose c’è “la camera accanto”. andate e chiudetevi dentro
🙂
Capisco che è un fatto di gusti ed inclinazioni personali, ma questa cosa detta da Tuena “… Cerco piuttosto di farlo nel modo che mi piace, magari esplorando nuovi territori narrativi non contentandomi dell’ovvio, del tradizionale.”, PERSONALMENTE la trovo una metodica condivisibile e prioritaria.
Saluti D
Diego, uno scrittore non dovrebbe mai accontentarsi di ciò che scrive.
“ho visto il palo al quale era legato il dirigibile di Nobile. Oppure le Hyttes dove svernavano i cacciatori di balene”
@ evento:
me ne mandi un po’ anche a me di questa roba che ti fumi? te la pago appena ci vediamo
Enrico, sarà fatto.
@evento
certo che è così, però tu stesso hai usato il condizionale.
Insomma, la mia è solo una sensazione (non ho l’esperienza culturale e letteraria per esprimere più di questo), ma ho notato che di fatto, chi cerca di battere strade nuove, di evadere dall’oppressione del “canone” è pareadossalmente più oggetto di biasimo che di plauso. Sembra quasi che venga visto male.
Viceversa, credo che molti scrittori “furbacchioni”, per intenderci quelli liberi dalla morsa del tuo condizionale, se ne vedano bene “dall’esplorare nuovi territori narrativi non accontentandosi dell’ovvio, del tradizionale”; non gli converrebbe mica.
Questa, come premesso, è solo una mia sensazione.
Saluti D
devo andare. grazie della compagnia. saluto tutti, e soprattutto Diego D che ha adoperato la parola ‘furbacchioni’… Non sarebbe mica male aprire una discussione dal tema: Scrittori furbacchioni. Chi sono? Che cosa scrivono? Per chi scrivono?
di nuovo grazie a tutti
Il punto secondo me è se il successo è un target o un incidente.
Ho assistito qualche tempo fa alla presentazione di un thriller di un americano, Konrath, un tipo veramente spassoso. Ci ha raccontato di aver scritto tre romanzi, che nessuno ha voluto. Allora, deciso a fare lo scrittore, si è installato su un divanetto di un’enorme libreria di New York con un blocco di appunti e ha cominciato a guardare la gente cosa comprava e che cosa scartava. E ha messo giù un “prodotto” con un perfetto mix di sesso, sangue, amicizia e perversione. Da quel momento ha cominciato a vendere un terremoto di copie, e mi sembrava molto, molto felice.
Ecco, ‘sta cosa a me personalmente fa piuttosto ribrezzo. Se uno deve fare il Frankenstein, costruirsi il successo in vitro, allora non è uno scrittore ma solo uno che scrive, e campi chi può.
Se invece uno scrive le cose che desidera scrivere, racconta cioè le storie che vuole raccontare, allora lo fa per essere letto dal maggior numero di persone possibile.
Ed è gratificato sia dal successo che dal denaro, perché l’apprezzamento è proprio per quello che ha dentro.
O no?
Campi chi può, nel senso che Konrath, Deaver (che ha detto che ha un gruppo di 35 persone che lavorano per lui, un’azienda vera e propria) o chi per loro sono bravi a dare alla gente quello che vuole. Ma è appunto un “prodotto”, una cosa fatta apposta per questo. Sullo stesso piano di un qualsiasi industriale, che non si pone il problema se quello che sta facendo è un jeans troppo stretto o un kalashnikov.
Io sono ben contento dei complimenti e delle gratificazioni che sto avendo: lo sarei lo stesso, se avessi costruito Ricciardi sulla base di un sondaggio?
@Cattiveria gratuita & omaggo a Simona, ragionando in termini tossicologici: “Due fave con una pera”.
…
S’i’ fosse foco, arderei Maurizio ,
s’i’ fosse madonna me lo tromberei,
s’i’ fosse tipografo gli taglierei le virgole,
e tutti li lettori lascerei affogare;
…
s’i’ fosse giovine non scriverei siccose,
s’i’ fosse saggio tacerei la Letteratitude
pe ’ Moccia e le sue vergin madonne;
…
S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui,
sarrei amico de l’integer iudex Simonides,
che del miele è il succo e avendol posta
meco, forte m’è l’abbraccerei.
…
Cecco Di Dò
Gli amerikani… eeeeh… sempre gli stessi, con la differenza che oramai i Melville e gli Steinbeck stanno solo sui libri di Storia della Letteratura, letti dallo 0.0001 % della popolazione. Faremo la stessa fine? Se cominceremo a rinunciare alla nostra individualita’ e caparbia, al nostro riferirci alle tradizioni e al nostro lavoro artigianale e di coscienza, si’. Faremo la stessa fine anche in Italia. Gia’ ci siamo quasi arrivati: attenti a non usare strani sinonimi disusati o una sintassi personale un po’ meno piana della moda corrente… scriverete solo per voi stessi. O finiremo tutti a leggere i sondaggi e le classifiche per vedere dove indirizzare la penna. Oibo’. Dignita’ zero, certi scrittori. Certi uomini, anzi.
durissima la vita di un conducente d’autobus, cazzo. guarda come ci si riduce!
E io qui volevo arivare, caro De Giovanni. L’editoria (la grande editoria) è un’industria e come tale si comporta. Se è un’Spa deve anche rendere conto di utili e garantire i dividendi. Sarà sempre più interessata a scrittori che si adattano a questa logica industriale, quelli disposti a scendere a qualsiasi compromesso.
Io credo ancora che una buona editoria dovrebbe non dico ignorare questo fenomeno, ma semmai sfruttarlo per finanziare con gli utili operazioni più “a rischio” di lancio di scrittori veri, anche sconosciuti, in cui però crede dal punto di vista letterario e non puramente di mercato.
Illusioni?
Quella frase di Terenzio è uno dei miei baudeleiriani fari…
Bel post. Concordo con chi pensa che non esiste alta o bassa letteratura ma Letteratura tout court. Enrico, anche a me piacerebbe scrivere un giallo o un noir, ma bisogna avere orecchio per certe storie. Però io amo Conan Doyle e la Christie e Simenon e Camilleri e apprezzo Carofiglio come amo la letteratura a torto considerata di livello maggiore, letteraria appunto. Adoro Poe senza riserve… Forse il noir l’horror lo splatter mi sono meno congeniali ma non per questo bisogna fare gli snob…
“Il cacciatore di aquiloni”. Io l’ho amato moltissimo, non so perché. Mi ah toccato questa storia di bambini, di amicizia, di dolore, di errore e redenzione. L’Afghanistan c’entra, eccome, ma proprio l’infanzia violata, l’amicizia lacerata tra i due bambini mi hanno commosso.
Chissà come sarà il libro, che ha causato problemi gravi ai bambini protagonisti…
Per quanto riguarda “Ultimo parallelo”: ho amato Salgari ma soprattutto Verne. Bellissimo perdersi nelle storie d’avventura… quando la fantasia sembrava illimitata e le macchia bianche della carta geografica erano ancora tante. Poi leggi London, poi Conrad, e scopri che le linee d’ombra sono dentro di te e che l’orizzonte è una metafora di quel confine sottile sfuggente irraggiungibile.
C’è una canzone BELLISSIMA di Franco Battiato dedicata a Shackleton… suggestiva, intensissima, un’avventura dello spirito. Ascoltatela! Mi sembra che si aun commento adeguato ad un libro che esplori lo spirito e la carne di chi si avventura ai confini del mondo e delle forze umane.
Sul commissario Ricciardi: benvenuto nel club degli investigatori letterari. Quanto deve questa figura a quelle celeberrime che tutti noi conosciamo?
Viva i libri, chi li scrive e chi sogna.
E lascia pur grattar dov’è la rogna!
Carlo, sono con te: se i’ fossi editor non arderei lo mondo, ma sfrutterei i besteselleri per lanciare gli honestuomini.
@ Didò… iudex Simonides?…
S’i’ fossi favella a pieno e tondo;
e potess’io dire come ‘l mondo pingerei
farìa giudicar li poeti veri
e verseggiar li colleghi miei….
Si, Simone, è maccheronico, come obliterato già dal questurino Gregori;
Simonides era un poeta greco e tentavo di giocare col tuo nome, mi diresti: “ma era un maschio?” che ne sai dei greci e del sesso incerto?
Simonidas?
…
Ma conosco giudici che sanno cucinare e cuochi che non sanno giudicare;
il mondo è vario, Vostro Onore.
@ maria lucia:
ci vuole orecchio per tutte le cose verso le quali uno è portato o crede di esserlo. cosa costerebbe a me, quando mi dicono che scrivere i noir è difficile, rispondere “e bè, certo. sai bisogna essere portati all’intreccio al mistero….e bèèèèèèèè”.
In realtà non rispondo così per il semplice fatto che non lo penso.
Possiamo parlare di retaggio, predisposizione, propensioni. Esse, quindi, si dirigono verso ciò che è naturale. Per uno è il noir, per un altro il romanzo storico, per un altro ancora la narrativa di sentimenti e per un altro ancora ancora la poesia.
Ciò non toglie che uno può anche provare a fare ciò che non sa di poter fare. Vuoi scrivere un noir? Provaci. Se a pagina venti butterai tutto non cadrà il mondo.
Sì, intendevo proprio la propensione…
Conan Doyle ha scritto romanzi storici, ma chi li legge? C’è una molla segreta che ci spinge proprio verso quel tipo di storia, di atmosfera, di linguaggio. Stephen King che scrive un romanzo rosa? Interessante…
Però devo provarci…
Come il libro si sceglie i suoi lettori, fa lo stesso la storia con il suo autore. è come se fosse lì, pronta ad essere raccontata. Ma solo tu puoi farlo e in un modo che è solo tuo.
@Didò…Simonide è stato ospitato qui a Siracusa da Gerone I…Anzi, pur essendo greco morì in Sicilia, se mal non ricordo ad Agrigento. Fu un poeta finissimo ed erudito. I ricordi del liceo mi riportano alla elegia in memoria dei morti delle termopili..
L’accostamento è talmente lusinghiero che ti abbraccio forte forte!
@ simona e maria lucia:
ma state qui come due disperate a conversare con didò perché l’unica alternativa che avete sarebbe leggere everyman?
@Enrico…no , sto aspettando che a mio figlio scenda la febbre….
@ simona:
ma se parli con didò, a tuo figlio passerà la febbre però a te verrà la malaria. comunque fai come credi, sei grandicella
Oh… mi dispiace! Io sono raffreddata e con i decimi, ho appena preso un tè al rum e limone… non darlo a Nanni questo beverone!
Enrico, un bel noir: Un tè al rum prima di dormire…
@Enrico…però anche tu che ci fai a quest’ora?
Domani domenica delle Palme, anzi è già oggi (molto off topic).
Da noi in Sicilia è molto sentita questa tradizione… e su?
Proprio in questo periodo in Sicilia c’è una terribile moria di palme. Se non si ovvia al problema, il mitico paesaggio siculo cambierà. Cos’è Palermo senza palme?
@ tutte e due:
mi frulla in testa qualcosa che…chissà cosa diventerà? ma intanto scrivo. Noir, ovviamente
🙂
@ maria lucia:
messaggio su splinder
@Allora notte…37 e mezzo….meno male.
Gli scrittori del post penseranno che qui chattiamo per farci i fatticelli nostri…
Beh, ogni tanto il Lìder Maximus ce lo permette…
Nottambuli di Letteratitudine………………………….
A ninna!
Già ho ricambiato la gentile visitina…
🙂
La presentazione dovrebbe essere di sabato, il 26… la cena venerdì, se non mi sbaglio… Sì, lo so che sei… ricercato!!!
Simoooooooooooooo!
Bacio grande a te e Nanni… Rimpatriata quando?
Guarda il mio blog, c’è l’intervista a Luigi!!!
Buonanotte letterati-tudiniani
perch’anco gli scrittori sono umani
e ogni tanto pure loro a ninna vanno
perché se scrivon troppo fanno danno.
Bacio da Maria Lucia
MLRiccioli
il 26 Aprile non Marzo, vero ?
Sto “inseguendo” il dibattito con viva attenzione da quando me l’ha segnalato Pino Imperatore. Il fatto è che il dibattito si muove, ed io non riesco a tenermi al passo…
Scherzi a parte, ho letto De Giovanni, mi riservo in seguito di leggere anche Tuena. Del cui libro mi sono fatto una prima idea dalla recensione e dall’incipit.
Mi sembra, e non vorrei dire una cosa già detta (v. sopra), che entrambi i libri celebrino la morte, uno nella dimensione psichica, l’altro in quella eroica. Morte che, per questo, diventa un momento magicamente “vitale”.
Una volta sparata questa, me ne vado a nanna, mi è costata alemno due ore di spremuta di meningi…
Buona giornata e buona domenica a tutti.
Scusate se ieri sera non sono intervenuto, ma mi sono beccato una (para?)influenza con emicrania lancinante.
@ Maurio De Giovanni e Filippo Tuena
Quanto tempo avete impiegato per “buttare giù” la prima stesura dei vostri libri?
Scrivete preferibilmente la sera o la mattina?
Scrivete ogni giorno?
–
Sono domande che rivolgo a tutti gli amici scrittori che ospito qui. Anzi, magari ve le ho già poste e mi avete già risposto (non ricordo)… in tal caso chiedo venia.
Il mal di testa incombe.
@ pippo:
sparato cosa? mi sembra che tu abbia fatto un’osservazione congrua e concettuale. Ma comunque sappi che anche le cazzate più insignificanti, in confronto agli interventi di zauberei, sembrano assiomi di Schopenhauer. Tranquillo, finchè c’è lei c’è gloria per tutti.
Mi accodo alle domande di Massimo. E’ sempre interessante conoscoere la storia e la genesi di un testo, e spesso serve anche a capirlo meglio…!
Ho una storia un po’ particolare, ne ho scritto a Massimo e più avanti, se non vi annoio, ve ne parlo.
La mia scrittura è assimilabile, pardonnez moi, a… diciamo un’emissione organica. Quando l’idea comincia a lievitare in me prende sempre più spazio, dà sempre più fastidio. Comincia a non lasciarmi pensieri, pezzi di dialogo, facce di persone, descrizioni di ambienti si intrecciano alla vita reale e io divento svagato e distante. Insopportabile, credo.
Allora mi devo mettere a scrivere, e prima finisco meglio è. Non torno che pochissimo sulla scrittura, non sono uno che lima e rilima, mi manca l’aria. E poi mi annoia mortalmente, perché so già come va a finire la storia (e non lo so, che mi crediate o no, finché la storia non è finita).
“Il senso del dolore”, nella sua originaria stesura, l’ho scritto in ventidue giorni, durante le ferie del 2005. Sei ore al giorno di scrittura ininterrotta. Il secondo romanzo, quello che esce a maggio, in venticinque. Ci hanno lavorato poi alcuni angeli, uno in particolare che si chiama Paola, che quindi è a tutto titolo un coautore.
I racconti, a secondo della lunghezza, dalle due alle otto ore, magari spalmate su tre o quattro giorni in cui devo anche cedere allo strano hobby di lavorare. Litterae, dicevamo, non dant panem.
O almeno non molto.
Litterae non dant panem. E’ vero. Però la scrittura è tiranna e quando vuole uscire… esce. Ventidue giorni di stesura, complimenti Maurizio. Io e Lory, checché possa dirvene Enrico Gregori, non siamo così veloci. Qualche mese di gestazione, dopo un buon lavoro di documentazione, ci vuole per dare alla luce un romanzo. Riguardo al limare, adesso mi attirerò gli strali di molti, ma io sono una seguace del buona la prima. Difficilmente rivedo il succo, posso correggere le virgole, invertire alcune parole, leggere ad alta voce per capire se funziona. E di solito funziona, quindi perché dovrei riscrivere?
Se la scrittura è un daimon che si impossessa di noi, è anche un daimon ogni volta diverso. Quando si scrive una stesura, appartiene a quel momento preciso, una seconda stesura sarà qualcosa di diverso, non necessariamente di migliore.
Mi incuriosisce però il fatto che tu possa accettare che un angelo, Paola, possa lavorarci al punto da essere quasi un coautore. Se c’è veramente da rimettere mano, se l’editore lo impone per motivi che lui ritiene validi (spesso si tratta di considerazioni di mercato che niente hanno a che vedere con la scrittura, tipo è troppo lungo, è troppo aulico, ci sono parole non di uso comune, l’incipit non è sfizioso etc etc), allora preferisco essere io (insieme a Lory) a martirizzare la mia creatura. So che lo farò senza farla soffrire troppo.
Certo, Laura, il lavoro di documentazione è a parte. Nel mio caso, si estrinseca per la maggior parte in un su e giù per mercatini e biblioteche, alla ricerca della vita quotidiana di Napoli negli anni trenta, qualcosa di molto più vicino al medio evo che ai giorni nostri (checché se ne dica). Inoltre sono piuttosto fortunato, in quanto sino ad ora le necessità editoriali non hanno previsto grosse variazioni dei testi originari. Ho la fortuna di avere come principale interlocutrice Rosaria Carpinelli, direttrice della Fandango Libri, il cui curriculum è assolutamente spaventoso; le sue indicazioni sono veri e propri corsi di scrittura.
Infine, io scrivo sotto costrizione. Mi spiego: di mio, quando ho tempo leggo, non scrivo. Scrivo quando devo consegnare un racconto o i romanzi: per cui ho sempre un obbligo da assolvere, e questo mi spinge fuori dalla mia clamorosa pigrizia.
Paola provvede col sorriso e a bassa voce a farmi faticare, e ci riesce molto più che con la sferza; poi riguarda e quando trova ripetizioni, circonvoluzioni eccessive o semplicemente frasi incomprensibili le mette a posto. Che Dio me la conservi, se no altro che post su di me…
eccomi. a proposito dei tempi di scrittura. I primi romanzi pubblicati nel 91 94 e 97 con Leonardo e Longanesi mi avevano occupato 5, 6 mesi. Il volo dell’occasione appena 6 settimane. E si accavallavano, nel senso che quando pubblicavo un romanzo già avevo finito di scrivere il successivo. Negli ultimi anni le cose vanno parecchio a rilento. Variazioni Reinach quasi tre anni. Poi la pubbicazione. Poi un anno di silenzio e mutismo (non scrivo quasi niente nell’interregno). Ultimo parallelo poco più di un anno a cui sono seguiti sei mesi di silenzio. Appena adesso sto ricominciando a scrivere. Quando scrivo non leggo quasi nulla che sia estraneo al libro a cui sto lavorando. Io al contrario di Maurizio non ho angeli che collaborano, piuttosto una specie di fantasma o daimon che s’impossessa di me. Spesso mi sento scritto o almeno consigliato nella scrittura da un altro.
Di solito i personaggi dei miei libri s’impossessano della mia casa. Convivo da anni con Michelangelo, Léon Reinach e ultimamente con Scott e co.
@ Maurizio,
io per documentarmi sulla Napoli degli anni ’20 sono dovuta riandare indietro nel tempo, fino a rileggermi un capolavoro come “Il ventre di Napoli”, di Matilde Serao (che è antecedente, ma ci ha dato il sapore di Napoli, dei bassi, della miseria, della sporcizia dalla quale poi tanti napoletani sono fuggiti verso l’Ammerica assiepandosi sui bastimenti). Per me scrivere e leggere sono assolutamente complementari e non sto senza scrivere ormai da una decina di anni. Il periodo di interregno l’ho avuto tra il 1987 e il 1997, un periodo terribile dal punto di vista personale e privato, con rivolgimenti assoluti della mia vita.
@ Filippo: dici “io quando scrivo non leggo quasi nulla che sia estraneo al libro a cui sto lavorando”. Ti capisco. Io quando scrivo leggo, ma leggo solo cose estranee al libro. Per dire, se si tratta di un giallo, non leggo gialli, se è un fantasy non leggo fantasy. Non voglio contaminazioni. Ma stare senza leggere, non ci riesco. Leggere cose scritte da altri mi aiuta a rigenerare il cervello dopo una seduta di scrittura intensiva. D’accordo anche con quel bellissimo “spesso di sento scritto”. Se non ti dispiace, mi approprio del concetto che hai espresso così bene.
Grazie a tutti e due per la disponibilità. Vi leggerò molto volentieri e quanto prima.
@maurizio
”di mio, quando ho tempo leggo, non scrivo”
ora vado dal greco e lo minaccio di morte se non mi procura il tuo libro entro 24 ore.
sei appena stato nominato ”esempio dell’anno di qualcuno che gea adora”
🙂
Ecco: adesso sento montare la ben nota ansia da prestazione.
Approfitto per un piccolo appello: siccome l’impressione che ho da questo forum è quella di un gruppo affiatato e molto, molto evoluto di bulimici della lettura, sono piuttosto preoccupato da quello che sarà (sarebbe) il parere sul mio libro.
Si tratta, come detto, di un giallo. Atipico, di confine forse, ma pur sempre un giallo. Il libro di Filippo è uno straordinario esempio di quello che oggi può dare la letteratura italiana, personaggi che balzano da scenari esotici e meravigliosi, una scrittura matura e profonda. Non vorrei che vi aspettaste questo dal sottoscritto.
Il che naturalmente non toglie nulla dalla gioia che mi darebbe una opinione e anche una serie di indicazioni operative per gli altri libri che devo scrivere con lo stesso personaggio.
Gea, pagherò El Greco per mettere la copertina del mio libro attorno a uno di Stefano Benni.
credevo fosse chiaro che quello che io personalmente mi aspetto dalla lettura è gioia e godimento. e che, essendo appunto bulimica, divoro qualunque genere.
aggiungerò che ho un amore sviscerato per gialli e simili, che perdura imperterrito negli anni dalla più tenera infanzia.
da conan doyle a ellroy, passando per simenon e chandler e amanda cross e rendell..
quindi, tranqui, raga.
sto nel mio.
🙂
E sapere che sei una lettrice di Chandler e Simenon dovrebbe tranquillizzarmi?
Va be’, nella peggiore delle ipotesi ti devo dieci euro…
Grazie, comunque.
rilassati.
ho letto anche gregori..
🙂
(e mi è piaciuto parecchio, pure)
@ gea:
e non sei la sola. ci dev’essere un’epidemia di meningite
🙂
Maurizio,
capito, ora, perché Gea è una delle mie predi-lette?
🙂
@ Maurizio e Filippo
Grazie per le vostre risposte. I miei tempi di scrittura sono mediamente più lenti dei vostri (mediamente assai).
@ Salvo Zappulla
Mi era sfuggito questo tuo commento. Aprire una nuova casa editrice? Io?
E proprio tu, che sei editore, e sai cosa significa, me lo dici?
Dovresti scoraggiare, non incitare…
🙂
Massimo, se apri una casa editrice sono a tua disposizione per un progetto antologico a tema.
E dico sul serio.
torno per salutare tutti. ringrazio ancora massimo per l’ospitalità e maurizio per gli sperticati complimenti al mio libro, ma quell’immagine del bambino col quale inizia il suo mi ronza in testa da ieri. Poi magari troveremo il modo di contattarci (la mia mail è sulla 4 di copertina).
Oggi pomeriggio ho visto su sky un film molto carino Vero come la finzione. E’ un film su un personaggio di un libro che è anche una persona vera. Lo consiglio a scrittori, lettori, insomma a tutti quelli che amano i libri.
Qui a Milano s’è scatenato un nubifragio…
Spesso mi sento scritto… meraviglioso.
Del resto, non siamo noi a parlare la lingua, ma la lingua CI parla, è come se fossimo abitati dal linguaggio. Quando ho studiato linguistica questo aspetto mi affascinò moltissimo.
Grazie ad entrambi gli autori per le loro confidenza sulla scrittura.
@ Maurizio: no, no… che ansia? Un noir ha magari atmosfere più ristrette rispetto ad un’epopea avventurosa ma se si riesce a rendere quell’atmosfera unica e riconoscibile non le è affatto inferiore…
Sì, la presentazione sarà il 26 di aprile…
Mauri’, incredibile: stavo per scrivere la stessa cosa!
Con un’aggiunta: la casa editrice già c’è: Cento Autori. Giovane, seria, professionale, in espansione, alla ricerca di nuove proposte. Maurizio può testimoniare.
Caro Massimo e cari letteratudiniani: pensateci.
Quindi, la “casa” c’è. E il tema potrebbe essere proprio l’amicizia virtuale, o incontrarsi senza incontrarsi.
Comunque, per ogni progetto che dovesse nascere, ho letto post in cui in due, tre righe c’era tanta passione.
E se c’è passione, c’è tutto quello che serve per una bella scrittura, di belle parole.
secondo voi faccio ridere?
De Giovanni mi è sempre più simpatico: ” E se c’è passione, c’è tutto quello che serve per una bella scrittura, di belle parole”. E’ esattamente quello che tento di dire io: l’amore, la passione, l’entusiasmo sono l’ingrediente principale di una qualsisi narrazione, orale , scritta, rappresentata teatralmente. Una storia si, è fondamentale , ma è necessario un uditorio che da quella storia venga in qualche modo coinvolto, rapito, ci si senta trasportato dentro. Questo suscita la passione di chi legge: in quella passione autore e lettore, o uditore, o spettatore, si riconoscono e quella storia in qualche modo riescono a condividere.
Prendiamo ad esempio Paolini: il Vajont è stato un “evento” televisivo. Cos’è che ci ha incollati al televisore quella sera? La storia ? Molti la conoscevano già; l’apparato scenico ? più povero non si poteva;
lo stile narrativo? forse, ma per la sua semplicità. Era la passione, ne sono certo; la passione che l’autore-attore dimostrava per quella storia, per quei personaggi, e che riusciva a trasmettere a noi tutti. La stessa passione di Benigni quando legge e spiega Dante (magari superficialmente, non è certo Sermonti, ma non è questo il punto). Una passione che ci cattura, che ci incolla, che ci fa ricordare quelle serate come i rarissimi momenti di una tv di qualità.
@ Enrico
Grazie pere il “congruo”, mi sento debitore di un “illuminante” 😉
Dido’ e Simona,
sul poeta Simonide, ho un aneddoto personale molto strano. Diversi anni fa, io e mia moglie andammo a fare un lungo giro coi mezzi pubblici e col cavallo di San Francesco in Grecia. Un giorno capitammo in un’isola egea non troppo turistica, fortunatamente, almeno a quei tempi. Li’, all’ufficio turistico dove cercavamo disperatamente indicazioni per un giaciglio economico, l’impiegata che ci serviva, vedendo il cognome Simoniti di mia moglie, strabuzzo’ gli occhi dicendoci in inglese:
”Anche qui venne un Simoniti!”
Mia moglie, che e’ slovena, strabuzzo’ a sua volta orbite eccetera e rispose:
”Come? Un mio parente, qui?”
Proseguirono da parte di noi due altri insignificanti tentativi d’identificazione del presunto consanguineo, finito addirittura, dalla Slovenia – o dall’originario Friuli – in terra ellenica. Chissa’ quando. Ad un certo momento, non saprei dire se ispirato da Atena o da Orfeo,
io e lei ci guardammo, poi in un lampo capimmo: si trattava di Simonide, poeta arcaico greco. Eh gia’, dopotutto quella era l’isola di Ceo, in neogreco Kea.
”Morti delle Termopili! / Gloriosa sorte, felice destino. / Un altare e’ la tomba, / non le lamentazioni ma il ricordo, / non i compianti ma l’esaltazione. / Questo sacrario non consumera’ / l’abbandono ne’ il tempo che su tutto prevale.”
Onore eGloria anche a te, Simonide di Ceo!
Sergio
… e lunga vita alla Simona di Siracusa: salutami San Dionigi!
@tutti
😉 Ragazzi questo blog è come l’eroina! Dovreste spacciarlo dapprima gratis, poi 50 euro a post!
Ho passato l’intera giornata con padre Alex Zanotelli ed il suo gruppo. Ora ho in programma una cena casalinga a base di ripieno ordinato in pizzeria.
Dopo continuerò ad inseguire i post (sono fermo a venerdì alle 12 p.m.).
@Enrico
Scherzi a parte, la solidarietà fa sempre piacere.
Maurizio De Giovanni,
beato lei! Io in due settimane riesco – non sempre – a finire un racconto come quello che ha letto lei su Letteratitudine. Per qualcosa di una cinquantina di pagine mi serve almeno un mese, lavorandoci quattro-cinque ore al giorno almeno. Naturalmente come collaboratori ho solo ambedue gli emisferi cerebrali e la mia mano destra. Manco la sinistra mi aiuta, me meschino!
Buon Appetito, Pippo!
@Massimo.
Guarda che l’idea non è così peregrina. Gli autori ci sono, la pubblicità anche. I soldi si trovano: basta fare pagare l’abbonamento annuo a tutti i letteratudiniani. A quelli che sparano cazzate si fa sborsare di più; ti assicuro che con questi ultimi si potrebbe vivere di rendita.
Tra questi ultimi mi ci metto pure io
@ chi come me non ce l’ha fatta:
Hosseini ha vinto. Giunto a pagina 40 de “Il cacciatore di aquiloni” ho riposto il volume in biblioteca.
La difficoltà di respirazione che avevo avvertito per 30 pagine, con le altre 10 è diventata claustrofobia.
Strano come un libro possa fare effetti singolari.
“Come pagina bianca” di Eventounico si svolge tutto in una stanzetta di quattro metri quadrati ma sono righe di ampio respiro, di istigazione al pensiero.
“Il cacciatore di aquiloni”, svolazzante tra ampi spazi esotici (infelici per carità) ma comunque di potente estensione geografica e naturalistica, imprigiona peggio di un ascensore metallico a ferragosto.
Rallegramenti a Hosseini, si è liberato di un lettore che certamente non lo merita.
Ho sempre rimpianto che la scrittura sia un evento individuale. Ho fatto tanto (troppo) sport di squadra, nella mia vita. Ho preso un sacco di botte, giocavo a pallanuoto che è uno degli sport più duri, abituandomi in modo radicato a pensare che ogni sforzo personale deve essere messo al servizio di un gruppo.
Poi il lavoro in un’azienda, rotella di un ingranaggio (non è una cosa necessariamente brutta, se ti convinci che l’ingranaggio ha bisogno di te e che tu, senza l’ingranaggio, giri a vuoto). E la famiglia, prima con una donna e due figli e poi da solo con i due figli, per molti anni da solo: a pensare che ogni cosa che fai, deve essere finalizzata alle necessità di quelle piccole cose di carne che dipendono in tanto da te, pur essendo qualcosa di personalissimo e individuale.
Perciò mi pare ancora strano assai, che la scrittura sia cosa solitaria.
E infatti non lo è, perché ci siete voi e quelli come voi e noi, in possesso di un ricevitore strano sintonizzato sulla lunghezza d’onda strana della trasmissione che si può mandare in giro.
Grazie, con tutto il cuore.
Grazie Sozi,
alla Sua salute.
Ora provo il blog come digestivo.
@ Maurizio De Giovanni e Filippo Tuena
Vi metterò in contatto io. Domani. Letteratitudine è una “fucina” di incontri molto proficui.
Prima o poi mi aspetto un fidanzamento tra letteratitudiniani, con successivo sposalizio.
Non mi riferisco a voi due.
@
Spesso mi sono interessata delle differenze che intercorrono fra la pittura e la scrittura, fra il linguaggio figurato senza le parole e le
parole che forniscono l’immagine, bella la frase “la scrittura al servizio della storia da raccontare” così come la tecnica si mette al servizio dell’idea pittorica. Leonardo Da Vinci impiantò grande polemica su che cosa dovesse considerarsi arte al massimo grado fra poesia e pittura e
lui naturalmente era sostenitore di tavolozza e pennelli e trovò il modo come molti suoi colleghi rinascimentali di raccontarci molto in una sola grande pagina (magari un pò più rigida di quelle di un libro). Li ricordiamo così.
Ho fatto questa premessa perchè mi piace l’idea dello scrittore che vuole interagire con il lettore attraverso “il figurato” per introdurlo nel concetto.
@ Salvo Zappulla (e agli altri)
Se un giorno dovessi parlare di apertura di una nuova casa editrice chiamate subito la neuro. E non perdete tempo.
(Salvo, dobbiamo ancora parlare del tuo “In viaggio con Dante all’inferno”… ti scriverò nei prossimi giorni per una proposta).
@ Maurizio
In ogni caso grazie per la tua disponibilità. Ne terrò conto… anche perché ho un paio di idee che mi frullano per la testa (ma non ne parlerò fin quando non saranno maturate a dovere).
@ Pino Imperatore
Caro Pino, grazie per le tue belle parole. Le considero come una dichiarazione di stima… che ricambio.
@ Pippo Della Monica
50 euro a post? Ci sto! Preparati a sganciare.
🙂
@ Enrico
Potremmo aprire un mercatino de “il cacciatore di aquiloni” usato… ma come nuovo.
@ Rossella
“la scrittura al servizio della storia da raccontare”.
Come ho già detto sottoscrivo questa frase, perché la sento molto “mia”.
@ Enrico
così però non vale!
1° Il “cacciatore di aquiloni” l’hanno regalato a mio figlio ( altrimenti non l’avrei mai comprato per colpa del mio solito atteggiamento snob del c….)
2° a lui( mio figlio) è piaciuto abbastanza ( era solo a Berlino ed era l’unica cosa che si era portato da leggere – secondo te può essere influente?)
3° l’ho messo nella pila sopra il comodino – c’è rimasto per un mesetto
4° discussione a cena con amici….pareri contrastanti – sento di fidarmi di più di quelli hanno espresso parere negativo o giù di lì….nonostante questo:
5° l’ho estratto dalla mia pila( e non era in pole position) e ho iniziato la lettura…dopo 20 pag. ho interrotto e l’ho messo in standby … sta ancora lì
6°ieri i primi commenti anti – housseini sul blog ( letti però soltanto un’ora fa)…sento una gran voglia di aggregarmi…ma desisto anche perché andando avanti nella lettura (dei post ) mi sembra che nessuno ne parli più… ma poi
alle ore 11,24 pm leggo:@ chi come me non ce l’ha fatta…..
che mi costringe al gesto infame ma liberatorio: mi aggrego al piccolo gruppo e vado subito ad abbassare la pila sul comodino …tra l’altro traballante- la pila, non il comodino – di almeno 6 cm, riponendo il libercolo
sulla mensola della camera dei miei figli che stanno dormendo ignari….buonanotte e forse grazie!
Sono arrivato a sabato ore 12 p.m. (per la serie “Le cronache di un lettore di blog attardato”). Ora chiudo e vado a nanna, buona notte a tutti.
Prima però una notazione: nell’ ‘800 il libro era il mass medium per eccellenza (neinte televisione, telefono, cinema, internet), e quindi successo, popolarità e qualità coincidevano. Con la presa el potere da parte della borghesia con le rivoluzioni del 1848, si consuma un distacco fra l’intellettuale ed il suo pubblico, cosìchhé lo scrittore, ed in genere l’artista, è costretto a “fare il buffone”, ad essere eccentrico, a stupire, a rifiutare il successo popolare (questo almeno secondo Harnold Hauser, “Storia sociale dell’arte, Einaudi).
Un saluto a Stefano (sappi che, in ogni caso, le pile danno energia).
Una buona notte a Pippo.
Ho pubblicato un nuovo post. Ma qui – se volete – il dibattito continua.
@ Maurizio De Giovanni e Filippo Tuena
Tempo libero permettendo, mi farebbe piacere se partecipaste anche ai nuovi dibattiti.
Ah! dimenticavo di segnalare – così per ritornare al tema principe – che ieri mattina ho ordinato i due libri di De giovanni e Tuena…li avrò- spero – giovedì!
Un saluto a tutti.
Mi intrometto un attimo, proprio di sfuggita, dopo aver letto alcuni commenti su “Il cacciatore di aquiloni” (descrivendovi poi un episodio molto eloquente che ho avuto con la casa editrice Piemme).
Il romanzo tiene fino ad un certo punto, dopodiché cede. E come affermano Maugeri ed Enrico, il testo non riesci a portarlo avanti. Condivido, dunque, la loro stessa percezione.
L’episodio personale che invece vado a narrare riguarda la mia conversazione telefonica con un editor della suddetta casa editrice, dal momento che volevo inviare, proporre un mio romanzo.
Domanda: “Che genere è?”
Rispondo: “E’ importante il genere, o la qualità del libro, della scrittura, della ricerca, dello stile? Mi dica lei…”
L’editor commenta mettendomi alla conoscenza che Piemme pubblica solo romanzi di semplice lettura, giusto per facilitare – e non affaticare! – il lettore medesimo.
Decisamente indignata riferisco la forte componente psicologica ed il mito “occultato” quali componenti fondamentali del libro; il doppio registro presente-passato seguendo nei dettagli la tecnica cinematografica; la presenza di alcune parti saggistiche che tuttavia non intaccano minimamente il naturale procedere della storia, e dei suoi personaggi; che è di forte impatto emotivo; qualche altro particolare. L’editor replica inorridito:
“Non ce lo mandi neanche!”
Prima di riattaccare il telefono – io, intanto, resto senza parole – il tizio mi chiede il titolo dell’opera.
“Tenebrìa”, rispondo.
“Assolutamente no! Buonasera…”
Lascio a voi ogni commento.
Nini’,
guarda, cara mia: la prossima volta che scrivi un romanzo, evita, oltre che di scrivere ”fluidamente” e di venderti alla lingua parlata eccetera, anche di seguire nei dettagli la tecnica cinematografica, cosi’, se l’imbecille di turno te lo accetta, vorra’ dire che avrai pubblicato una vera e propria opera letteraria. Letteraria senza compromessi con l’immagine e la realta’, che mi hanno, onestamente, saturato ogni poro. O tutto o niente: fregatene e va’ avanti per la tua strada, che merita di esser percorsa. Scegli e non aspettare di esser scelta: se fai cosi’ di solito succede che ti sbattono prima, a lungo, le porte in faccia, e infine ti scelgono. Paradossalmente ma inesorabilmente. Ti scelgono se tu scegli quel che vuoi tu autocraticamente, artisticamente, senza concessioni al cinema, alla pittura o a quant’altro: solo Letteratura, che basta e avanza.
Buonanotte
Sergio
… Poi, se vuoi, rispondi alla mia lettera elettronica, che attende paziente…
Della Monica,
… forse il sig. Harnold Hauser einaudiano avra’ dimenticato che le nuove scoperte tecniche hanno magari fatto la loro ”bella” parte, portando l’Europa – in diverse misure – a diventare un Continente popolato non piu’ da Popoli ma da masse? Il dettaglio e’ importante, mi sembra, e non deriva solo dalla borghesia, ma dagli inventori, gli scienziati e gli scopritori. Loro ce l’hanno data la tivu’, ab origine… gli scienziati di tutte le classi sociali.
Buonanotte e Saluti Cari
sergio.
ho notizia di un ebreo austriaco che avrebbe parecchio da commentare da queste parti, di un ebreo olandese che sosteneva che l’esistenza umana sarebbe molto più felice se negli uomini la capacità di tacere fosse pari a quella di parlare,e di un ebreo palestinese di un po’ di tempo fa che un giorno ebbe a dire ‘perdona loro perché non sanno ciò che fanno’.
–
confido che massimo cancelli il tuo ultimo intervento, e questo mio in solido.
bene. pare che il mio commento precedente se lo sia mangiato wordpress a colazione.
meglio così.
buona giornata.
@Nina
Forse è sbagliato l’interlocutore.
Se può essere utile, ti racconto la mia vicenda editoriale.
Vinsi un concorso, “Tiro Rapido” organizzato dalla Porsche. Il protagonista del racconto vincitore era appunto Ricciardi, inventato all’improvviso (il concorso consisteva in 911 minuti rinchiusi in un caffè storico, appunto per scrivere un racconto giallo) nell’esclusiva finalità di uscire di là. Il premio consisteva nella pubblicazione del racconto su L’Europeo. Mi telefonò un’agente letteraria, che mi chiese un romanzo con lo stesso protagonista. Ce l’avevo? Certo che sì.
Ed eccomi di nuovo rinchiuso, stavolta in casa per i famosi ventidue giorni, per scrivere il romanzo. Mandatolo all’agente di cui sopra, questa mi fa: non va, non va proprio. Bisogna cambiarlo in senso sentimentale, incrementando la storia d’amore.
Io non lo seppi fare. Non è che non volli, non avevo proprio idea su come cambiarlo. Nella mia limitata mente, il romanzo era una storia completa, una specie di circuito stampato immodificabile. Allora lo feci leggere all’amico di un amico, direttore editoriale di una minuscola casa editrice napoletana, per averne un parere. Questi mi chiama il giorno dopo (!) per dirmi che avevo ragione, il testo era immodificabile; ma che se fossi stato interessato, lo avrebbero pubblicato loro. Gratis, et amore Dei.
Dissi di sì, mi sembrava già enormemente gratificante che a qualcuno fosse piaciuto. Duemila copie in due mesi. Una di esse fu comprata dal direttore del centro di produzione Rai di Napoli, che mi cercò, ne parlò con Procacci che mi cercò e così via. Potenza di un telefono cellulare.
Questo per dirti, mia carissima Nina, che se vuoi vendere un anello non devi girare per salumerie solo perché Cartier ha la vetrina piena. Devi pubblicarlo comunque, perché un manoscritto non lo leggono e un libro sì, questo ho capito. E non pagando, perché un editore e un tipografo sono due cose distinte e separate.
E perché non si paga per un sogno.
Io credo che se Massimo decidesse di aprire un post sulle vicende editoriali degli scrittori sconosciuti/emergenti, il numero dei commenti batterebbe il record ottenuto da “il libro del 2007”. Ho letto la (dis)avventura di Nina. L’atteggiamento di quell’editore rientra in una logica che forse a noi sfugge, ma che deve esistere per qualche ragione. Per converso a me successe (e succede) una cosa diversa. Il mio primo libro è stato letto e valutato. Poi pubblicato.
Lo stesso editore, però, mi disse che se io avessi voluto scrivere un saggio sulla banda della Magliana, o sul terrorismo, o sui nuovi criminali o su altro del genere, lui il libro lo avrebbe pubblicato senza manco leggerlo.
Mi capita ancora che qualche casa editrice mi proponga di scrivere queste cose o addirittura “istant book” su casi di cronaca ancora in ballo (vedi l’omicidio di Perugia). Io rifiuto perché per me quello è lavoro, ma mi pare giusto che altri possano accettare.
Qual è la logica per la quale certe cose vengono pubblicate di corsa, volentieri e a scatola chiusa? Boh!
Approfitto per una precisazione sul “Cacciatore di aquiloni”. Ovviamente ho espresso una opinione soggettiva legata alla mia capacità di interessarmi a un libro.
So benissimo che, anche solo in questo blog, ci sono molti che ritengono il libro di Hosseini un capolavoro.
Ma, siamo alle solite, un conto è ritenere un libro valido; un altro è che il libro ti prenda. A me il Cacciatore di aquiloni mi ha preso…per sonno.
“Se i mortali si astenessero da ogni relazione con la saggezza e affidassero a me sola le redini della loro vita, non saprebbero che cosa significa invecchiare e godrebbero di un’eterna giovinezza!”
Erasmo da Rotterdam
XII capitoletto pg 30 – Elogio della follia – Edizione Giunti 2006
Carissimi,
mi ero astenuto, a parte qualche passaggio goliardico nel mio stile, di entrare nel vivo del dibattito perché sapevo (senza presunzione) quale bella palestra sarebbe diventata la pedana di “Letteratitudine” e che io spettatore non pagante mi sarei divertito.
Conosco Maurizio, non conoscevo Filippo Tuena e la cosa mi ha lusingato ancora di più, e un formidabile lottatore di parole e questo ha accresciuta la qualità della discussione.
Ho citato Erasmo e quel brano perché rivela tutto il modo del mio agire, ma sicuramente anche il vostro.
Si scrive per follia, non sarebbe altrimenti. Si erutta parole, come vulcano lava. Le prime che escono sono le più belle, sono la radice di un alberello; diventano querce ma non bisogna toccarle, come non si tocca un virgulto. Sono parole che la mente libera, sono i freni rotti dell’inibizione cerebrale: quanti ragionerebbero con le parole dei propri libri? Sarebbero presi per folli. Se @Sergio Sozi andasse in giro a ragionare come quel “maniaco” di Euterpe Santonastasio, scoprirebbero la sua vera natura e quella di tutti gli scrittori, la follia. Una natura che forse tutti hanno e reprimono per convenienza e convenzioni, ma che gli scrittori hanno il dono di farla esalare, levitare dal corpo e attaccarla su carta.
Un folle, con cui ho fatto amicizia sul bus, mi mostra una foto pubblicitaria raffigurante un uomo e un cane seduto di spalle su di una panchina e mi chiede:
«Francè, è femmina il cane?
«Non lo so Benito! »
«Ma oggi la strada è più lunga »
«Perchè? »
«Perchè ci sono più storie! »
Ecco se Benito sapesse scrivere, le sue storie sarebbero un best-seller e, @Filippo, Benito non si domanderebbe mai in cosa ha sbagliato (lo so la tua era una provocazione e anche la mia, d’altronde, di provocazione in provocazione, «la mia », siamo arrivati a questo bel dibattito)
«de Giovanni » ha parlato del primo raccontare orale è vero, ma era scrittura non scritta o paleo-pedagogia? E la scrittura, i sogni raccontati, lo scaffale della memoria che butta fuori i concetti frullati facendoli diventare magia, può essere pedagogia? Io penso di no.
La scrittura è follia.
Buon giorno frati, brodo lungo e seguitate.
Come vorrei sapere in quale post il folle dell’autobus sta in questo momento scrivendo: amici, ho fatto amicizia sull’autobus con un folle che lo guida…
Benvenuto, fratello Didò: tu sei un artista del racconto e della vita. Purtroppo sei il portatore insano di una meravigliosa malattia che in troppo pochi anno, e quindi non sei emblematico. Fortunati noi, che ti abbiamo.
@Massimo
Di niente, figurati.
Ripeto: è inutile creare una nuova realtà editoriale libera e indipendente, quando già c’è. Cento Autori non ha ancora la forza delle medie e grandi case editrici affermate a livello nazionale, ma questa la otterrà anche grazie a progetti validi che abbiano la capacità di farsi spazio nel mercato. Il tuo blog, le tue idee e il tuo impegno hanno tutte le carte in regola per innestarsi in tale prospettiva.
Ad maiora!
didò
mo’ però non t’allargare..
🙂
No, io questo De Giovanni Maurizio non lo sopporto… Scrive un libro umoristico “le beffe della cena” e vende milioni di copie prima che venga stampato, pubblica la prima edizione dell’ispettore Ricciardi e subito gli propongono di fare la seconda. Pubblica la seconda e gli fanno firmare un contratto per altri quarantaquattro libri… scrive un libro sul Napoli, e De Laurentiis gli propone di subentrare a Reja in panchina… Vado alla Feltrinelli e vedo i suoi libri negli scaffali dei libri gialli, umoristici, sullo sport. Ieri sera stavo sognando Monica Bellucci e all’improvviso è apparso pure la… Bastaaaaaaaaaaaaaaa…. Non ti sopporto piùùùùùùùùùùùùùùùùùùù.
Ma noi altri umili scrittori normali che cosa dobbiamo fare? Ieri un tizio è andato alla FNAC, gli ha riportato la copia del mio libro (l’unica che è stata venduta) e ha chiesto alla commessa se poteva cambiarlo con “il senso del dolore ” di Maurizio De Govanni….
Ti odio DE GIOVANNI!
Ma, purtroppo, debbo ammetterlo…sei straordinario…
Alla fine, mi sono incuriosito e il tuo libro l’ho letto pure io…
E’ così originale e bello e ti odio così tanto che quasi quasi dico a tutti che l’assassino è…
il maggiordomo!
Gianni Puca
Buon pomeriggio a Massimo ed a tutti.
Riapro il blog dopo una mattinata operosa ed un pranzo (lauto) ad orario per me insolitamente “napoletano” (14:30). C’è il letto di 3 giorni da rifare, le stoviglie di 2 da lavare, ma questi sono particolari. Fra poco inseguirò i post di domenica.
@Sozi:
Certo, il borghese dei nostri tempi à diverso dal progenitore del 1848, quello di oggi è molto tecnologizzato, non è né peggio né meglio, solo diverso.
Quello che finora ha colto meglio il rapporto, o almeno ha provato a dare una risposta organica, è – a mio modesto avviso – Il Brecht di “Galileo”. Per quanto la sua epoca era abbastanza catastrofista, ed a ragione.
Ricordo che quest’opera ci venne incoscientemente messa in mano in II liceo classico da quel geniale formatore che era il prof. Biagio Scognamiglio (tanto geniale che ora fa l’ispettore ministeriale). Dovevamo farci una “lezione interdisciplinare” (una delle tante sperimentazioni didattiche del prof. Scognamiglio), affidata proprio al sottoscritto, che però – manco a dirlo – rimase allo stato larvale…
Finalmente, ora che sta per esaurirsi, mi sono “agganciato” alla discussione in tempo reale.
“Il cacciatore di aquiloni”, potete dirmi dove lo trovo? Non dove posso comprarlo, perché oramai ci ho pudore, voglio proprio “trovarlo”, qualcosa tipo bookcrossing o simile.
A proposito, avete provato a dare un’occhiata a “La cattedrale del mare” di Ildefonso Falcones? Io ho dato un’occhiata ad un abstract presente in una rivista gratuita pescata da uno dei miei librai, e non ho resistito alle prime 20 righe…
Se mettiamo su una nuova casa editrice mi offro come libraio, così potrò dare i 50×4 euro che devo a Massimo, per i post, e magari a pagare i conti dei miei 2 librai di fiducia, che oramai le ricevute me le rilasciano a peso…
@ pippo:
passa sotto casa mia ogni tanto. prima o poi lo butto di sotto
@MAURIZIO de GIOVANNI
Caro Maurizio,
quello che tu mi dici ha un valore per me. E ti ringrazio per avermi fatto partecipe della tua esperienza. Però vorrei aggiungere alcune precisazioni.
Nel caso Piemme credo di aver sbagliato. Le opinioni tue, e quelle generali, me lo confermano. Però, Maurizio, io non sono una che se ne va in giro a cercarsi il lusso Piemme o Einaudi o Rizzoli o Garzanti. Questo sia ben chiaro. La sacralità della scrittura, l’importanza di creare un’opera è il mio obiettivo primario. Lo scrittore, nella sua grazia, deve avere in primo luogo un unico obiettivo: l’opera. “Tenebrìa” l’ho scritto in quattro anni, costantemente, ogni giorno, con la disciplina che serve come l’andare in palestra per rassodare i muscoli.
Poi agisco per cercare di trovare una collocazione al testo. Questo, fra mille dubbi, in quanto non sono mai del tutto convinta di aver esaurito l’opera in questione al meglio. Ci tornerei sopra di continuo.
Inoltre ho un carattere fiero ma al contempo umile. Oddio, già l’ossimoro!
Non cedo facilmente ai compromessi, soprattutto non mi vendo. Soprattutto non voglio pagare, perché dietro qualsiasi opera di valore (e la mia è stata, ancora prima di essere pubblicata, recensita in via privata da critici come Paolo Lagazzi, Giancarlo Pontiggia) c’è un tale sacrificio da parte dell’autore, che in me addirittura porta alla sofferenza. Non credo di essere l’unica.
Il problema di “Tenebrìa” è quello di essere un non-romanzo fortemente dichiarativo e accelerato, senza compromessi di alcun genere, porta con sé un plurilinguaggio definito “complesso” (tu pensa, riesumo termini definiti “morti”, quelli che nei normali dizionari hanno la fatidica croce cristiana, quasi fossero stati inchiodati come un Cristo sacrificale); è un libro che ti porta nel profondo, nel profondissimo che vi è in noi, e lo fa in forma fluida ma inequivocabilmente destabilizzante. Alcuni amici mi hanno confessato di aver dovuto abbandonare la lettura, pur attratti, perché li smuoveva troppo dentro e dunque risultava insopportabile.
Quello che voglio dire è che un libro non può essere un mezzo di consolazione, la scrittura non ha questo compito, ma quello di “muovere” le nostre parti tacite, messe nel retroterra della sicurezza, nei ranghi della “difesa”. Io vorrei spostare questa prospettiva.
Mi va che il lettore sia catturato e messo di fronte alle sue debolezze, ai travagli creduti superati; mi va che venga infastidito, che in lui si crei un movimento di nuove riflessioni sul sé medesimo.
Non sono sadica. Per prima attraverso l’Ade, ma solo per tornare tra i vivi dopo un lungo viaggio fatto anche di leggerezza, ironia, paura, terrore, gioia, in quell’infinito che è in noi. Ma partendo dal “sottosuolo”, dalla melma, poltiglia, dallo schifo che so di abitare e che non evito. Affinché questo viaggio parta da un qualsiasi nostro “guasto” per arrivare alla sua riparazione. Dunque: destrutturare per ristrutturare.
Lascio solo il lettore?
No, lo accompagno. Ed insieme condividiamo questo viaggio: che avrà una fine. Del tutto inaspettata.
Questo libro non trova una collocazione editoriale perché “difficile”, “complesso”, “non commerciale”. Non rischiano le case piccole, alle quali ho mandato il dattiloscritto; non rischiano le grandi né le medie per lo stesso motivo. Ce l’avevo fatta con Einaudi… avevo superato due selezioni due dei “lettori”, poi è stato fermato.
Sospensione durata qualche mese. Poi il “no”: troppo difficile, complesso, non di facile lettura, e così via. Mah! Ne presi atto.
Questa è la realtà, caro Maurizio. E mi chiedo, tra le altre cose: ma i critici letterari perché non fanno un po’ il loro mestiere? Anzi, voglio precisare: loro lo fanno il loro mestiere, ma l’ultima scelta spetta ai manager, i quali guardano alla vendibilità e non alla qualità del libro.
Un’ultima cosa, Maurizio, che è una risposta un po’ collettiva (Enrico, Sozi).
Io non sono una scrittrice propriamente “emergente”. Ho pubblicato per City Lights Italia di Firenze, nel 1999, ed Empirìa di Roma, nel 2004. Mi trovo in antologie importanti; recensita su molte riviste specializzate, in più sono perfomer e cantante.
Canto i miei versi, i miei personaggi, faccio rivivere “live” parti di romanzi e opere teatrali (l’ultima perfomance per voce sola, nel senso che ho cantato a cappella, è del 2005 al Teatro Vascello di Roma); partendo da anni insospettabili, quando la mania di recital, teatro e poesia sonora e musical, non erano trendy.
E noi folli, io e il mio gruppo Atem, Massimiliano Chiamenti e gli Emme, il Paolini prima del Vajont, Marlene Kuntz, Andrea Chimenti, Fernando Maraghini, Albetro Lecca, Masala e la grande avanguardia sarda, il CPI, i Kripton del mitico Teatro Studio di Scandicci di Firenze, sperimentavano soli soletti.
Ed è stato un immenso piacere, per me, fare festival con molti di loro, con il caro Ferlinghetti, Anne Waldman, Giorno, Arrabal, Jodorowsky, Ed Sanders, Lolli, Martin Matz (ahimé scomparso), JacK Hirshman…
Vi pare poco come passato artistico, il mio?
Sono piuttosto rassegnata, arrabbiata, lontana dai modaioli di turno, dai ricevimenti, dalle presentazioni. Sono felice perché continuo a scrivere con lo stesso entusiasmo, stessa disciplina, stessa irrinunciabilità.
Ho l’arte dentro, il demone, e nessuno può togliermela.
Un grande abbraccio,
Nina Maroccolo.
@ Maurizio Di Giovanni: anche io!
Nel 2007 ho partecipato alla selezione per “Volo rapido” della Porsche, ho superato la selezione locale a Catania (911 minuti di scrittura a tema su argomenti suggeriti da Roselina Salemi) e sono arrivata in finale a Milano. Non ho vinto, ma il mio racconto si trova sull’antologia. Un’esperienza in più.
Non si può, non si deve pagare per un sogno, ma mi piacerebbe davvero pubblicare qualcosa di mio. Sto lavorando a tre romanzi e ho scritto racconti e poesie in italiano e in dialetto. Non mi arrendo…
Cara Nini’,
non mi avrai mica frainteso? O mi saro’ fatto misinterpretare io stesso?Spero di no. Io, a proposito del tuo ”Tenebria”, intendevo solo dirti che, oltre a fare quel che hai – secondo me giustamente – fatto (ossia seguire la tua strada personale di scrittura), secondo me avresti anche magari potuto tirare in faccia a questi imbecilli calzati e vestiti di manager della grande – e spesso anche della piccola – editoria, un ulteriore guanto di sfida, questo: non, come hai detto tu, applicare ”Il doppio registro presente-passato seguendo nei dettagli la tecnica cinematografica”, ma evitare qualsiasi compromissione con le tecniche di moda oggi. Insomma, io ti suggerivo, sapendo di parlare con una non certo nata ieri (Chimenti e i suoi ”Moda” li andavo a vedere al Suburbia di Perugia negli anni Ottanta) di seguire ancor piu’ radicalmente la tua artisticita’ profonda e personale. Di essere ancora piu’ letteraria della vulgata attuale di tale concetto.
E questo perche’, come hai visto, anch’io non faccio sconti a nessuno, quando narro. Quando critico cerco di esser meno ”me stesso”, per farmi capire e per rispetto delle opere analizzate. Ma la poesia e la narrativa, a mio parere, non devono guardare in faccia a nessuno. Esattamente come fai tu… ma ancora di piu’! Alla faccia degli analfabeti e falsi intellettuali delle case editrici et similia.
Questo, volevo dirti. Cos’altro potrebbe dirti uno che nell’Ottantaquattro andava al Suburbia, allo Uonna di Roma (e a quell’altro locale che stava ad Olmo di Arezzo, non ne ricordo piu’ il nome), e vedeva i Litfiba i Diaframma, i Virgin Prunes e i Killing Joke?
Bacioni
Sergio
P.S.
Lolli. Claudio. Ecco, Lolli lo ascoltavo ed amavo in profondita’ quando avevo quindici anni: m’ha rovinato l’esistenza ma finalmente l’ho fatto fuori interiormente. Perche’ sono uno che ama il mondo, l’Italia, la propria famiglia e la tradizione, la classicita’ greco-romana. Io voglio crescere e aiutare a crescere chi mi sta vicino, non seguire questa decadenza ininterrotta che vedo attorno a me – anzi: che vedevo finche’ stavo in Italia.
Ergo: per me scrivere ha come primo senso quello di procurare un piacere PROFONDO a chi legge. Profondo.
Avendo completato la mia oramai famosa rincorsa alla discussione, vorrei dire la mia sul tema (so che è di almeno un paio di giorni fa) letterati di professione/letterati che fanno altri mestieri.
Innanzitutto, in Italia è impossibile non fare altri mestieri, quelli che campano di diritti d’autore si possono contare sulle dita di una sola mano.
Quanto alla formazione, è discutibile, in genere i migliori letterati sono quelli che fanno altri mestieri (mi vengono in mente tre celebri “avvocati”, anzi 4:Goethe, Kafka, Irwin Shaw, Charles Webb – quest’ultimo è quello di “Il laureato”).
L’importante è che sia “ben strutturato dentro”, che abbia fatto un mestiere a lungo, frequentando al contempo la repubblica delle lettere.
Mi spiego con un esempio tratto dal ‘500 inglese (sono pur sempre un anglista, anche se con la “a” minuscola): Nel ‘500 c’era un letterato inglese, John Lily, che scriveva in una prosa retoricamente molto sostenuta, detta – dal suo libro più famoso, Euphus – “euphism”. Oggi difficilmente leggibile.
Molto preferibile, e non credo solo dal mio punto di vista, Shakespeare, che aveva “little latin and lesse Greeck” (Greene) ma che campava non male con la sua arte.
Del resto, fra Joyce da un lato, e kafka e Proust dall’altro, non ho dubbi…
Se poi vogliamo andare al passato remoto, quanti danni hanno fatto John Dryden ed il nostro Vincenzo Monti?
Ma ve lo chiedete o no, chi sono quelli che guardano “Buona domenica”? O “C’è posta per te”, o “I Cesaroni”? E scagli una pietra (preferibilmente verso Didò) chi non si è mai ritrovato applicato a una puntata di “Un posto al sole” o di “RIS – delitti imperfetti”, e non voglio nemmeno nominare isole o fratelli.
La verità è che la gente si vuole divertire. Non vuole pensare, vuole ridere o rimanere a bocca aperta davanti a un colpo di scena, o meglio ancora piangere davanti alla lacrimevole storia di un bambino violentato dal lupo cattivo, a patto poi che il lupo cattivo faccia la brutta fine che in realtà spesso non fa.
Cara, carissima Nina, che hai scelto la via della sperimentazione e che curi il tuo romanzo come un bambino intelligente e sensibile, tu hai scritto per te stessa: una donna di immenso valore, interiore e piena di cultura. Paghi e pagherai il tuo non essere media, in niente.
Quando ho parlato della rarità dei presenti, questo intendevo. Il grande D’Arrigo, quando ha inventato un linguaggio onomatopeico e surreale, con chi voleva parlare? E prima ancora, Verga che irrompe in un modo di ballerini e cicisbei col graffiante terremoto di Aci Trezza?
Ha ragione Sozi, un piacere profondo, profondo come chi scrive prova. Se gli interpreti di quello che la gente vuole sono gli editori, allora evidentemente la gente vuole “Buona domenica”.
E torniamo a quello che dice Tuena: se ho successo, dove ho sbagliato?
@ Maurizio
Mai visto “Un posto al sole” o “RIS – delitti imperfetti”. Giuro.
In compenso ho seguito la prima edizione del grande Fratello e qualche puntata della prima edizione dell’Isola dei Famosi.
E vado pazzo per Stefano D’arrigo.
Proporrei di spedire i prossimi concorrenti del Grande Fratello all’Isola dei Famosi a leggere l’Horcynus Orca. Chi per primo finisce la lettura dell’opera (dalla prima all’ultima pagina) vince una fera.
@Nina Maroccolo, quindi non avevo torto, dolce signora: è la follia che guida te e tutti gli scrittori (veri)?
…
il primo GF e la prima Isolafamosi erano “prime”, dunque non erano male, anche perchè più genuine: i protagonisti non recitavano un copione (anche se è strano, per esempio, che 10 persone che discutono per 2 mesi 16 ore al giorno non parlino mai di politica).
Sul Posto al Sole, confesso che quando lo vedo mi rilasso: non lo trovo male, a parte le solite esagerazioni (c’è sempre uno a turno in ospedale, curato dalla stessa dottoressa qualsiasi disturbo abbia accusato/ cinque disperati stanno in fitto su un attico a posillipo, etc.): tutto sommato, non lo trovo trash.
@didò
altro che follia, amico mio. molto peggio!
vai sulla “camera accanto”, ho salutato Maugeri e tutti, e non so quando mi risentirete…
ti voglio bene (e credici per favore)
eppoi sono “signorina”…
Nina
@ Maurizio De Angelis
Sul serio non ho mai visto “Un posto al sole”. Ma non dubito che sia uno sceneggiato ben fatto.
–
@ Nina
Ti risentiremo presto, dài…
–
Buona notte a tutti.
Pippo della Monica dice che i migliori letterati sono quelli che fanno altri mestieri e che Monti ha fatto dei danni. Be’, ecco, mi sento in completo disaccordo con queste tesi – alquanto indimostrabili sulla TOTALITA’ degli scrittori, ma ottime solo col ristretto campione che Della Monica stesso ha portato, lasciando in ombra il novanta per cento dei restanti autori letterati di professione e di curriculum studiorum.
Vogliamo completare il quadro, dunque, anche quelli con gli studi umanistici alle spalle?
Eccone qualcuno: Ugo (Nicolo’) Foscolo (studi finiti presso il collegio San Cipriano di Murano), Alessandro Manzoni (collegio Barnabita), Giacomo Leopardi (che ebbe un gesuita e un abate come istitutori oltre a provenire da una famiglia di bibliofili), Luigi Pirandello (Liceo Classico e Laurea in Filologia Romanza), Giovanni Verga (frequento’ i corsi privati del letterato e patriota A. Abate, poi si iscrisse a Giurisprudenza, Facolta’, come sappiamo, umanistica), Carlo Goldoni (Gesuiti a Perugia, poi Domenicani, infine laurea in Giurisprudenza), Dante Alighieri (scuole di Santa Croce e Santa Maria Novella), Giovanni Pascoli (Liceo e laurea in Lettere con una tesi sulla metrica di Alceo), Ezra Pound (studi artistici e letterari).
Ed e’ un piccolo campione anche il mio.
Goethe stesso, poi, si laureo’, si’, in Giurisprudenza, ma ebbe una solida istruzione di carattere linguistico-letterario in famiglia.
Questo insomma volevo dire: bisogna andare a scuola, ad una BUONA scuola, per imparare a leggere e a scrivere. Scuola di precettori o di collegio un tempo e scuola pubblica oggi. Ergo: buona o ottima una volta, mediocre o pessima oggi. E lo si vede da come si pubblica: dopo le revisioni degli editor… ridicolo. Umiliante per un letterato. Ottimo per i non-professionisti di oggi, che guadagnano bene, pubblicando romanzi-sceneggiature rivolti al cinema, visto che non sanno far altro – ossia sogno ignoranti.
Poi, se fra tremila analfabeti spunta UN genio, be’… dal letame, diceva De Andre’, spuntano i fiori. Un fiore su tremila mosconi.
(Sia ben chiaro che non mi riferisco personalmente a Pippo Della Monica, che saluto caramente, pur discutendone le opinioni, ma in tutta amicizia ed amore per le arti ”liberali”)
Sergio Sozi
Facendo un sunto del mio pensiero, il discorso sull’ ”oggi” e’ questo: la gente, in Italia, non potendo farsi ne’ una buona cultura umanistica a scuola, ne’ avendo a disposizione dei precettori privati, o tanto meno spesso le risorse economiche per accedere a dei collegi privati, e’ costretta a far da se’ per seguire la propria passione letteraria: ossia a raccogliere qua e la’ quel che pensa sia o possa essere valido per imparare… corsi di scrittura ”creativa”, libri comprati sfogliando le recensioni in modo disordinato e improvvisato, consigli di amici, blog vari e quant’altro…
Risultato finale: i furbacchioni che seguono le istruzioni della scrittura cinematografica vanno avanti, gli studiosi seri ed impegnati, se stessi e ”strutturati” grazie a bravi insegnanti si attaccano al tram, come si dice a Roma. Calci in culo, diciamo, eh?
P.S.
Notate le differenze, pero’, fra le professioni: grandissimo rispetto per la professionalita’ e gli studi fatti, nelle scienze e nella tecnologia, ma calci in culo a chi studia le Lettere. Bello. Se nostro figlio sta male, va dal Pediatra laureato e specializzato, coi master. Se nostro figlio sta bene e vuole studiare Lettere gli si dice: ”chhhhe? E cosa ci fai con la Laurea in Lettere? al limite vai a far l’attore o la velina!”. Bello. Si’. E anche moooolto europeo.
P.P.S.
E finisco qui, scusatemi tutti. Volevo solo precisare che se molti degli scrittori (quasi tutti) aventi studi umanistici alle spalle hanno poi dovuto far altri lavori per vivere, la colpa non era la loro. E di COLPA in effetti si tratta, di colpa sociale e moderna: far prostituire l’anima e gli studi dei letterati. Un’ignominia, soprattutto in Italia, Paese di grandi tradizioni. cio’ non toglie che avessero studi umanistici alle spalle e che fossero ottimi scrittori. Persone complete.
Buonanotte e pardon per la verbosita’.
Sergio sozi
@Sergio,
per evitare che mio figlio venisse ciuccio come me l’ho messo dai barnabiti: sta diventando folle come te.
“Mario, hai già finito i 50 euro?”
“Illo tempore papà, illo tempore!”
@ didò:
è perché anche dai barnabiti viene impartita un’istruzione ad usum delphini. del resto è noto che anche nelle scuole private mala tempora currunt. il problema è vedere usque tandem uno riuscirà a sopportare la situazione ad libitum.
Vale!
Amici, voglio condividere una bella soddisfazione col forum e con Massimo ante omnia, ottimo anfitrione e padrone di casa: questo vostro piccolo ospite, non so in virtù di quale sotterranea corrente dell’editoria, è nel ristretto gruppo di autori che terranno l’evento di apertura di Galassia Gutenberg, fiera del libro partenopea che si terrà alla Stazione Marittima dal 28 (h. 18,30, appunto) al 31 marzo prossimi.
Con me, e dovrò resistere alla tentazione di chiedere autografi: Diego De Silva, Alberto Ibba di edizioni Ambiente, Simona Vinci e Luca Di Meo del collettivo Wu Ming. Io sarò quello grosso col sorriso ebete, in fondo al tavolo, che se e quando interrogato risponderà cazzate dette in falsetto (mi manca sempre la voce, quando sono emozionato).
Ditemi in bocca al lupo. Non è che qualcuno fa un salto?
@ enrico e didò:
quod erat demostrandum.
uh, poffare!
erratum corrigo:
demonstrandum.
obviously.
🙂
@ maurizio
in bocca al lupo.
hop.
(la vedo dura in altro modo..)
@gea
Quod differtur non aufertur: se l’unico salto che sei disposta a fare al momento è questo, prima o poi presenterò qualcosa dalle tue parti (a proposito: quali parti?). E allora dovrai dirmi che ne pensi del libro, o del fatto di non averlo letto…
Scherzi a parte (sebbene nemo vetat dicere ridendo verum, continuiamo a farci del male in latino), io ODIO questa parte mondana della faccenda della scrittura. Invece mi piace da morire quando, in libreria, vedo qualcuno col libro in mano in fila alla cassa. Peraltro, ha uno spessore perfetto per fare da zeppa in caso di mobile traballante.
trieste, caro.
ai confini del mondo.
Per Maurizio e Gea
Io, invece, un saltino lo farò. O meglio, più di un salto, visto che sul programma di Galassia ho letto il nome di de Giovanni almeno tre volte: introduzione della manifestazione, prevista per il venerdì pomeriggio in compagnia di De Silva ed altri; presentazione di un libro sul Napoli calcio alle 12 di sabato 29 marzo e poi, nel pomeriggio dello stesso giorno, presentazione di un’antologia, uno dei cui autori è, indovinate un po’, Maurizio de Giovanni (!).
In definitiva, o siamo davanti ad un caso di omonimia plurima, o la faccenda…si ingrossa!
Il mondo è una sfera. Non ha confini. E quindi, non sentirti al sicuro.
@bradipanana
Una bradipuzza in mezzo alla… Galassia. Mi rassicura, almeno un mezzo sorriso lo avrò. E un sostegno se non riuscirò a parlare.
Caffè pagato, animaletto pigro e intelligente. E la pizza, naturalmente.
Sono a dieta ferrea.
Per il caffè, ci penserò…
Caro Maurizio,
in cul alla balena!!! E non sarai quello dal sorriso ebete, semmai il ragazzo dal sorriso più sincero e coinvolgente.
Posso chiederti un favore?
Prima di lasciarci per la tua meravigliosa avventura, puoi fare un salto sulla rubrica “La Camera accanto 2” e leggere, per favore, il messaggio
che ho lasciato oggi?
E’ il commento rilasciato in data 18 marzo 2008, ore 1:24 pm.
Ti ringrazio di cuore. Torna, mi raccomando…
Un abbraccio forte,
Nina Maroccolo
***
PS: ho scritto stanotte a Diego De Silva. Non che abbia particolari rapporti con lui. Ma l’ho invitato a sostenere una petizione pro-Tibet. Come sto facendo ora con te.
Baci.
Difficile che sia a Napoli in quei giorni, pur se Roma non è poi molto lontana. Ma a Maurizio De Giovanni faccio tutti i miei auguri e vorrei dirgli che proprio oggi (alle 13.30, nella mia pausa pranzo) ero in fila alla cassa di Feltrinelli in galleria Alberto Sordi, qui a Roma, tenendo in mano il suo libro e quello di Filippo Tuena. Non mi ha visto ma spero possa almeno immaginarlo, sperando che vi trovi soddisfazione almeno quanto la mia di aver trovato il suo libro, e al primo colpo (senza bisogno di prenotarlo al greco Bibliophilos di Trieste, noto pusher della mia cara Gea, sicuramente ormai imbufalito dai suoi tira e molla).
La mia pila sul comodino sta crescendo a dismisura ……
Grazie, caro Carlo. Spero che, quando sarà arrivato il mio… turno sulla pila, mi farai sapere che ne pensi alla mia mail:
maurizio.degiovanni@alice.it .
E così spero per tutti gli amici, dalle cui indicazioni imparerò; in fondo ho cominciato tardi a scrivere, quindi sono assolto da molte colpe se la scrittura è un po’ naif.
@ Nina
La mia risposta sulla Camera Accanto. Sei nel mio cuore, dolce amica. La scrittura è un’arma sorridente, la useremo.
@maurizio de giovanni
Sto finendo un romanzo breve di Bolano. Finito il quale prenderò sicuramente in mano il tuo libro e quello di Tena (non so ancora in quale ordine). Sorpassando nella pila: Ivan Cotroneo, Murakami Haruki, altri Bolano (ho un pò la fissa per Bolano in questo momento), Edward St.Aubin, Catena Fiorello e alcune riletture di classici che ogni tanto mi riprometto (ma che poi passano sempre “in cavalleria” di fronte alle novità). Ma ti farò sapere (promesso).
@Carlo
Fratello, c’è di buono che leggendo prima il mio poi puoi solo migliorare! E’ già un onore essere di quella… pila (l’ollendo foco? Un Trovatore giapponese, mamma mia, a quest’ora non ci si può aspettare migliori battute, da un bancario di mezz’età).
Aspetto ansioso.
st aubin, st aubin..! carlo, non trascurarlo.
bellissimo.
se hai letto e amato ivy compton burnett non potrai non adorarlo.
e sennò correrai a procurarti anche lei, dopo.
vado a lavorare
🙁
Niente di personale, Sozi. Si dà il caso che anch’io abbia fatto studi umanistici (Istituto Orientale), riuscendo persino a laurearmi (con molto comodo).
Sta di fatto che le lingue sono dovute andarmele a studiare negli istituti dei governi stranieri (British Council, Goethe, Université de Grenoble), e che da un punto di vista letterario, l’università, per quanto la mia fosse “aperta” e spregiudicata, non ha poi aggiunto granché al mio bagaglio culturale del liceo…
Certo, una volta la borghesia studiava sodo, e magari sapeva anche suonare uno strumento e recitare a teatro.
E’ che le manipolazioni della civiltà dei mass-media, ed i modelli da supermercato che propone (impone) è davvero difficile smontarli.
In bocca al lupo per il 28, Degiò, se appena appena mi riesce ci faccio volentieri una capatina…
Pippo, il tuo appoggio mi farebbe davvero un enorme piacere, lo sai.
Sergio, si dovrebbe aprire un post a parte sulla condizione sociale degli scrittori, che è stata studiata da molti sociologi della letteratura. In soldoni: Carmina non dant panem, rassegniamoci!
Certo, rode un po’ pensare che a parità di laurea io prenderò sempre il mio bravo stipendio da statale. Ma i sogni non si comprano, non si vendono, non si pagano. Io mi sento come Machiavelli nelle lettera al Vettori. La lessi all’Università e piansi come se riconoscessi uno spirito affine. Machiavelli si rivestiva di panni curiali e per ore e ore leggeva i suoi amati classici dimentico del tempo, della sua epoca, della sua condizione, parlando con loro da pari a pari come alla mensa della sapienza. Per questo ho studiato Lettere.
ok, verrò a Galassia per dar man forte al De Giovanni.
@ Didò
com’è il caffè, nei bar nabiti?
@ Maurizio De Giovanni
In bocca al lupo per tutto.
Maria Lucia e Della Monica,
la rassegnazione e’ l’ultima cosa che mi appartenga. Con la rassegnazione si resta dove si e’. Preferisco cercare di migliorare l’Italia, che’ solo in Italia questa e’ la condizione dei letterati: in altri Paesi europei, se vali qualcosa diventi di professione quel che sai fare, scrittore come medico o lavapiatti. Sarebbe ora di muoversi anche da noi. Basta con la stasi, che favorisce solo i potenti e gli ammanicati. Proponiamo leggi e costumi diversi: per esempio io dico che servirebbe una legge apposita che differenziasse i tipografi dagli editori, dicendo esplicitamente che un EDITORE deve obbligatoriamente pagare all’autore quel che pubblica, il tipografo invece si puo’ far pagare. Iniziamo cosi’, sarebbe gia’ un buon inizio per cambiare rotta e stroncare le mafiette di raccomandati ed incapaci. Solo un inizio, dico, ma gia’ qualcosa di fermo e risoluto, non chiacchiere da bar e lamenti sottobanco.
Sergio: condivido pienamente. Quello che dici è giustissimo ma è come se avessimo introiettato che lo scrittore non campa del suo lavoro. Ma non ho mai pagato per pubblicare qualcosa di mio e non lo farò mai. Certo anche acquistare le copie dell’antologia che ti ospita è una forma subdola di pagamento…
… Naturalmente io parlo da persona che la pagnotta deve trovarsela congiungendo realta’ ad aspirazioni. Se avessi un lavoro fisso forse ragionerei diversamente… dico forse… perche’ in verita’ io sono sempre stato uno che i sogni li ha tramutati in realta’, assieme agli altri, faticando il doppio anche per compensare chi non credeva in quello che faceva con me – parlo dei cinque anni in cui diressi la rivista trimestrale ”I Polissenidi”: pensate: e’ stata per cinque anni L’UNICO periodico culturale di tutta l’Umbria. E l’ho creato e portato avanti io, con scarsi aiuti da parte di gente statica e disillusa che non credeva in quella realta’ anche se ne faceva ”redazionalmente” parte.
Dunque, io oggi ho un curriculum di pubblicazioni lunghissimo e qualificatissimo, e gli altri hanno uno stipendio fisso in campi diversi. Loro sono frustrati perche’ devono ripiegare su cose che non piacciono loro, io sono arrabbiato perche’ guadagno poco ma faccio quel che mi piace. A ognuno il suo. Io pero’ studio, imparo, chino la testa davanti ai bravi scrittori, scrivo, mi esercito, leggo e mi sbatto, perche’ voglio fare solo lo scrittore. Me lo merito, so fare solo questo e questo dunque faro’, non ci sono muri che tengano. Non c’e’ Italia che mi freni. Io devo guadagnarmi la pagnotta e altra gente come me sara’ d’accordo sul lottare per la meritocrazia. Saranno con me i bravi sognatori, i FORTI sognatori, che uniscono umilta’ e tenacia alla voglia di emanciparsi dal medioevo italiano.
E anche se saro’ da solo, credo che prima o poi questa situazione di caos e sfruttamento e porteinfaccia ai letterati meritevoli dovra’ finire: oggi mala tempora currunt, ma presto l’Europa ci costringera’ ad esser seri anche nell’editoria. Perche’ l’editoria e’ un grande mercato, con un fatturato superiore a quello del teatro e del cinema (parole di Rutelli) e, prima o poi, anche gli editori dovranno tirar fuori i soldi. Per legge italiana o europea. Ci conto. Se si paga la mortadella dal salumiere, anche una poesia presto dovra’ esser pagata o rifiutata. Ed a me non me ne fregherebbe niente di esser rifiutato mille volte, se sapessi che potrei un giorno esser accettato e pagato bene. Accetto la sfida, anzi la voglio e la cerco. O si fa gli scrittori di professione o non si pubblica, questo io vorrei. Non mille autori che se non pagano un editore si tengono lo scritto nel cassetto, ma tre scrittori che VENGONO pagati per scrivere – anche articoli e quant’altro, certo, ma non cose lontane dalla loro preparazione e passione specifica.
Cosi’ la vedo. Disposto a lottare con chiunque la veda come me. O da solo, e’ uguale.
Maria Lucia,
certo: in pratica se compri le tue copie e’ come se pagassi l’editore. Chiaro. Una furbata dei soliti delinquenti che si puo’ eliminare per legge costringendo gli editori a pagare ad un prezzo stabilito tariffariamente OGNI cosa che pubblicano. Semplice ed efficace. Conseguenza: meta’ editoria italiana (quella degli accattoni-pseudo-imprenditori) CHIUDE. Bene. Ottimo. Restano i seri e gli imprenditori VERI.
Ragazzi, solo per dire che chiudo e mi trasferisco su a”A ciascuno il suo”.
Grazie a tutti per l’interazione, lascio Tuena e De Giovanni, Ricciardi e Scott, Rocco ed i suoi fratelli, è arrivato il tabaccaio?
Baci, abbracci e pacche sulla spalla a seconda del sesso.
@pippo della monica
a chi vuoi mettere le pacche sulle spalle?
Come già fatto privatamente con il padrone di casa, saluto con affetto tutti quelli che hanno avuto la pazienza di farci compagnia in questa divertente cavalcata attraverso i temi dolceamari dell’editoria e della scrittura in genere.
Resto a disposizione di tutti coloro che vorranno leggere il mio libro; sarei veramente felice se qualcuno mi desse, all’indirizzo e-mail che ho proposto sopra, indicazioni e aiuti per migliorare la mia espressione.
Un abbraccio veramente di cuore, e grazie ancora!
Ci sentiremo di sicuro, caro De Giovanni. I ringraziamenti glieli faccio io, pero’: se li merita tutti per competenza, passione e… soprattutto per la PAZIENZA CHE DIMOSTRA!
Sozi
Caro Maurizio,
sapevo, quando ti ho umilmente proposto al delizioso pubblico di “Letteratitudine”, che non ci avresti delusi, così non lo è stato, così come con Pino Imperatore sul suo post e i divertenti ragionamenti che ne sono poi scaturiti.
Sono contento, per tutti gli interventi della “Napoli sotterranea”, quella che scrive, lavora, produce. Sono felice, ove mai ve ne fosse stato bisogno, di aver rimarcato che questa città, da qualche parte, ha dei cuori che pulsano.
A Francesco e ai napoletani tutti:
voi non avete ”dei” cuori da qualche parte, voi SIETE ”il” cuore d’Italia!
Ho letto il libro di Filippo Tuena e vorrei dire i libri, due, come i percorsi importanti della vita: andata e ritorno. Il progetto romantico del grande amore è in atto, il sentimento è stato dichiarato, l’oggetto del bene è nostro! Alla conquista, andiamo. Tutto è predisposto, tutto è pronto e organizzato; la tecnica aiuta gli uomini, l’entusiasmo dà loro forza. Portano viveri, attrezzature, libri, inchiostro e carta per descrivere il viaggio, le emozioni. Con loro c’è un medico, ma “ Chi è quel terzo che cammina sempre al tuo fianco? (…) che scivola avvolto in un mantello bruno, incappucciato” Sono pagine precise dettagliate, turbate solo un poco dalla domanda “non so se sia uomo o donna. –Ma chi è quello che ti sta dall’altra parte?” Tutto va, per pagine e pagine, per miglia e miglia fino a quando la spedizione incontra l’imprevisto e il Senso vacilla, sussulta. La morte sul ghiaccio “aveva qualcosa di sacrilego (…) come potevano quei corpi tornare alla terra, corrompersi rigenerarsi ritornare a far parte del tutto?” Il dubbio che camminava al loro fianco si manifesta li accompagnerà fino alla fine assumendo nuovi aspetti e infinite mutazioni. “Un’insicurezza dopo l’altra, un dubbio alla volta, un lento perdersi sull’altopiano polare, lontani da casa, perché il loro percorso s’inoltra non soltanto in una terra incognita ma in un non luogo che li annichilisce.” A questo punto del libro ho pensato a Goethe, alla Storia dei colori, perché Tuena cambia modo di scrivere coinvolgendo il lettore in un esercizio visivo. I paesaggi, i colori degli uomini cedono, al bianco abbagliante della luce, vinti dall’immenso, loro, gli uomini anneriscono perdendosi a pezzi lungo la strada. Come un ripercorrere a ritroso la ricostruzione filosofica scientifica del pensiero dell’uomo sul colore e la vista, ritornando alle sue origini, a Platone. Le cose sensibili che ci rendono partecipi della nostra origine e che costituiscono la totalità, sono: bontà, verità, bellezza, a queste se ne aggiunge una quarta: il colore. Perché “la natura- aggiunse A. Kircher nel ‘700- volle donare a quel infinito e trasparente mezzo un colore affinché l’occhio potesse trovare una delimitazione e non si perdesse nell’oscurità e nel nulla”.
Nelle ultime pagine, solo il bianco del ghiaccio e il nero delle vesciche. Il bianco dell’infinito e l’Atramentum dell’uomo. “Quel nero assai sottile che con il suo splendore rendeva ancora più intensa la bellezza dei colori” e che gli uomini, ostinati, aggiungono alla Natura.
Cara Miriam, grazie del commento al libro. Sono rimasto colpito, leggendo i diari degli esploratori, proprio dall’attenzione che prestavano ai giochi di luce del sole o della luna, dei tramonti e delle albe lunghissimi.
Una questione tecnica. Riguarda il libro di de Giovanni. L’ho cercato a Milano ma nelle 3 o 4 librerie dove sono andato mi hanno risposto che non era stato ancora distribuito. Mentre so per certo – l’ho chiesto ad amici – che era distribuito a Roma. Maurizio, perché non chiedi delucidazioni a Fandango?
Caro Filippo,
che trovi in me una grande amante degli esploratori e che si ritrova con dei testi unici assolutamente eccezionali, soprattutto sulla prima donna che ha intrapreso viaggi avventurosi agli inizi del secolo (tu pensa, su questa figura misconosciuta ho sempre avuto l’idea di scrivere un libro…), non posso che augurarti il meglio per la tua opera.
E’ un libro bellissimo, che riporta al nostro lontano esistere, come uno dei fondamenti ancestrali, ed arcani, del nostro più antico vivere (dentro noi)… Il contatto con la natura più aspra, il fulgore naturalistico nottelucente e pittorico (c’è molto richiamo all’espressionismo, nonché al primario impressionismo) è pure straordinario.
Sei tu e la natura. Il biancore assoluto e le profondità notturne archetipiche. Quasi fossero, quest’ultime, elemento occulto ma persistente. Non so se voluto, questo mito nascosto che io comunque accolgo e ricevo.
Caro Filippo, ho viaggiato anch’io. E ti ringrazio di avermi accompagnata per mano.
Non ti fermare. Continua ad andare, a entrare nei nostri cuori.
Vai, vai, vai!
Nina
***
progettoatem@hotmail.com
@Filippo Tuena
Sempre Nina. Ti dedico una poesia scritta da un grande autore norvegese. Prima in lingua originale e poi con traduzione.
***
Tarjei Vesaas
*
Snø og granskog
Tale om heimsleg –
snø og granskog
er heimsleg.
*
Frå første stund
er det vårt.
Før nokon har fortalt det,
at det er snø og granskog,
har det plass i oss –
og sidan er det der
heile heile tida.
*
Meterdjup fonn
kring mørke tre
– det er for oss!
Innblanda i vår eigen ande.
Heile heile tida,
om ingen ser det,
har vi snø og granskog med.
*
Ja lia med snøen,
og tre ved tre
så langt ein ser,
kvar vi er
vender vi mot det.
*
Og har i oss ein lovnad
om å koma heim.
Koma heim,
gå borti der,
bøye greier,
– og kjenne så det fer i ein
kva det er å vera der ein høyrer til.
*
Heile heile tida,
til det er sløkt
i våre innlandshjarte.
***
Neve e abetaia
*
Le cose familiari?
La neve e l’abetaia.
Nostre dal primo istante.
*
Prima che ci raccontino
che esiste la neve, che esistono
gli abeti, abeti e neve
ce li abbiamo già dentro.
E ci restano notte e giorno.
*
Valanghe alte oltre un metro
contro gli alberi scuri.
Sono cose per noi,
mischiate nel respiro.
Giorno e notte, e nessuno
lo vede, abbiamo dentro
la neve e gli abeti.
*
Di più: alle vette innevate,
agli alberi in filari
chiediamo orientamento
dovunque ci troviamo.
*
Con dentro la promessa
di ritornare a casa,
di andarcene di qui,
di piegare i rami
sussultare e capire
che significa stare
dov’è la nostra origine.
*
Di giorno come di notte,
finché si spegne la luce
in questi nostri cuori di montagna.
***
[Traduzione dal norvegese di Ludovica Koch]
(da Parnaso Europeo, L’età Contemporanea,
Ed. Lucarini, Roma, 1989)
Carissimo Filippo, premetto che sono felice, ma anche un po’ intimorito, che tu voglia leggere il mio libro. Speriamo bene!
Mi risulta che a Milano il libro sia presente e anche ben esposto, dato che la direttrice editoriale di Fandango, la mitica Rosaria Carpinelli, vive appunto a Milano. Certamente i circuiti Feltrinelli e Mondadori, ma anche Fnac, sono forniti adeguatamente. Mi dispiace che tu non lo abbia trovato, se credi puoi inviarmi l’indirizzo e te lo faccio spedire direttamente. Ti ringrazio molto, e aspetto di sapere che ne pensi.
La mia mail è maurizio.degiovanni@alice.it .
A Nina, grazie del commento e dei bei versi.
Maurizio, volentieri ti scrivo. Grazie anche della proposta, ma io credo che i libri si devono comprare. Perché se costano, anche poco; se c’è bisogno di uscire di casa per trovarli (anche con difficoltà) , li si rispetta e li si legge con maggior attenzione.
Mo’ proseguo l’indagine e poi ti dico
Ho letto entrambi i libri e debbo dire che mi hanno molto appassionato.
Ho cominciato con quello di De Giovanni: un personaggio interessante questo commissario Ricciardi, timido e melanconico e profondamente differente da tutti gli altri eroi del genere poliziesco. Forse in questo sta buona parte del fascino del romanzo. Ma molto è anche negli altri personaggi che ruotano attorno alla vicenda, ed all’epoca in cui ha scelto di farli vivere, con l’incombente presenza del regime (che appesta l’aria di Napoli e del Paese) e di tutta l’ottusità dei suoi burocrati (non che tra quelli di oggi ve ne siano di meno ottusi ….).
Il romanzo di Tuena è straordinario e ci ho fatto anche le 3 di notte per impossibilità di abbandonarlo. Miriam ne ha fatto una bellissima e profonda recensione e Nina ha ulteriormente sviscerato il tema. Mi resta poco da aggiungere. Ma ho trovato geniale il fare narrare la storia proprio a quell’uomo in più che Miriam ha citato, quell’ombra immateriale ma di cui è testimoniata la presenza (e che viene citata anche da T.S. Eliot in quel capolavoro che è la sua “Terra Desolata”), quell’essere-non essere che spaziava a suo piacimento tra i luoghi-non-luoghi alla fine raggiunti (e perduti) dai 5 esploratori della squadra finale (quelli che periranno sulla via del ritorno) e quelli più geograficamente determinati e materiali della base di Capo Evans, abitata dai pochi che aspettano il ritorno fin dall’inizio e poi più affollata da quelli che tornano man mano dalle tappe intermedie.
E non posso tacere delle bellissime fotografie in b/n della spedizione, tutte perfettamente integrate nella storia fino ad essere parte essenziale della trama. Per questo aspetto, tutt’altro che un mero apparato iconografico aggiuntivo, mi ha ricordato molto i libri di Sebald, lo scrittore tedesco scomparso qualche anno fa che (come qualcuno sa già) io amo incondizionatamente.
Un grazie a entrambi per avere scritto delle bellissime storie.
@ carlo:
Infatti leggendo il libro di Tuena ho pensato al “tuo” Sebald!
🙂
Carlo, ti ringrazio dal profondo. Hai colto perfettamente il cuore del mio romanzo, che sta anche nel mostrare come e quanto fondamentalmente le epoche tristi di questo paese si assomiglino tutte.
E naturalmente condivido l’opinione sul meraviglioso romanzo di Filippo, tenue e delicato ma solido e epico. Grazie a lui, e grazie a voi.
Maurizo, com’è andata a Galassia Gutenberg? Perché non ci racconti le tue impressioni?
Carissimo Massimo, ti sei ricordato dell’impegno, e anche, immagino, della mia angoscia. Grazie. Grazie al cielo è andata molto bene: l’inaugurazione, incentrata sulla problematica ambientale, è stata forse un po’ ingessata ma interessante.
La rassegna aveva un animale come simbolo, l’asino; quindi, una serie di incontri e tavole rotonde da titoli improbabili come “asino chi legge”, “l’asino fuggente” e via parafrasando; personalmente ho detto che gli scrittori interpretano la realtà e la ricordano, quindi se è vero che non possono prescinderne è anche vero che non possono replicarla senza aggiungere la propria ottica personale. In sintesi, e in attinenza con la simbologia, noi siamo quelli che se sentono dire “l’asino vola” non hanno paura di alzare lo sguardo. Con mia sorpresa l’intervento è stato molto apprezzato, forse il tono di voce disperato ha intenerito il numeroso pubblico.
Ho assistito a numerosi incontri, è sempre meraviglioso incontrare gente con la stessa malattia. Io poi ho una particolarità: mi sono riservato con l’editore la possibilità di regalare racconti che non abbiano Ricciardi come protagonista. E’ una facoltà che mi consente, cosa che faccio a piene mani, di supportare la piccola editoria libera napoletana che scelgo sulla base di un unico criterio: tra coloro che non prendono soldi dagli autori per pubblicare.
Quindi, a Galassia avevo quattro-cinque tra antologie e piccole pubblicazioni in cui mi trovavo… implicato: la rievocazione di una mitica trasferta dell’86 (“juve – napoli 1-3, la presa di Torino” per Centoautori), un’antologia sui sette vizi capitali (“Tutta colpa di Dio”, ed. ad est dell’equatore, mi è toccata l’avarizia, niente lussuria neanche lì), una lettera in “Corrispondenze di sensi”, Albus editore) e via scrivendo. Un girotondo stancante ma molto divertente.
E’ una cosa che mi riempie di gioia, l’entusiasmo dei piccoli editori; e il prodotto è spesso di ottima qualità.
Caro Maurizio De Giovanni,
purtroppo, ogni volta, per leggere un tuo libro ne debbo comprare almeno tre copie, perchè le prime me le chiedono in prestito allorquando sono arrivato a leggere solo la dedica, e non le restituiscono più. A proposito, non per fare polemica, ma ho già comprato tre copie de “Le beffe della cena”, quattro de “Il senso del dolore”, dodici de “Juve-Napoli 1-3”, tre de “Tutta colpa di Dio” e sei copie del romanzo nuovo, e mi sono reso conto che mi hai scritto sempre la stessa, identica dedica… “Con affetto. Maurizio”. Ma io non lo so, come hai fatto a diventare uno scrittore di tale livello? Mah?! Comunque la mia praticante suocera, che mi ha fregato il romanzo nuovo quindici giorni fa in spiaggia, dice che è straordinario. Io non avevo dubbi in proposito, ma solo stamane ne ho acquistato una nuova copia. Credo che la Fandango, la Kairos, Cento Autori e Ad Est dell’Equatore mi dovrebbe regalare delle azioni…
P.S. Ah, volevo ringraziare pubblicamente l’Ispettore Ricciardi, che è riuscito a ritrovare la macchina nuova che mi avevano rubato. Non ci speravo più. Grazie Ispettore.
Gianni Puca