Strano il titolo di questo post, vero?
Lasciate che precisi. Non è un titolo. È un’informazione.
"Il soggetto (Kundera) si è allacciato una scarpa. Sinistra".
Queste erano le informazioni che nel 1974 (Kundera sarebbe fuggito a Parigi nel 1975) gli agenti segreti dell’Stb, i servizi speciali cecoslovacchi, pateticamente travestiti da compagni bulgari in gita a Praga, trasmettevano alla centrale.
Vi viene da ridere? Sentite queste altre.
"Siccome il soggetto ha una macchina piccola, sorpassa il camion della spazzatura. Invece la grande Volga grigia degli organi, si incastra".
"Ore 13.04: il soggetto entra nell’enoteca Viola. Ma il vino è finito. Il soggetto esce sorridente, a braccetto con la moglie".
"Ha ordinato un etto di insalata russa".
"Non ha trovato posto nell’Osteria del Convento".
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Milan Kundera
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Giampaolo Visetti su Repubblica del 15 marzo 2007 ha pubblicato un articolo che la dice lunga sulla tragica situazione che un intellettuale come Milan Kundera ha dovuto subire a metà anni Settanta in una città come Praga. Vi propongo stralci dell’articolo di Visetti, ma vi consiglio di leggerlo integralmente cliccando qui.
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« L’anno dei pedinamenti venuti ora alla luce, è speciale. Kundera ha appena terminato La vita è altrove. E’ disoccupato, è stato espulso dal partito, ritirate le sue opere. Gli amori ridicoli e Lo scherzo, in cui racconta del comunista a cui il partito distrugge la vita per niente, sono ridotti a samizdat clandestini.
"La polizia – spiega lo storico Dan Hruby – era ignorante, ma non stupida. Negli interrogatori, citare dettagli insignificanti serviva a destare il terrore".
Kundera, convocato in commissariato il 12 agosto del 1974, si sente porre una sola domanda dall’agente Platenik: "Perché alle 9.27 del primo giugno ha scartato una caramella alla ciliegia sotto il terzo castagno del secondo cortile interno del Clementinum?". Il messaggio è di drammatica violenza. "Da quel momento la tua vita – dice Jan Keller, sociologo dell’università di Brno – era finita. Nemmeno un gesto, un desiderio intimo, ti sarebbero più appartenuti. Tutto era oscenamente pubblico: l’occhio vicino e penetrante della morte ti avrebbe tenuto in ostaggio".
(…)
Immagini e relazioni celano molto più di attimi ordinari rubati al dissenso. Fissano espressioni stanche e sorrisi umiliati, lo sguardo in allarme di chi si sente braccato.
"Sapevano di essere pedinati e spiati anche in bagno – dice lo storico Peter Vlac – . La condanna della dittatura, dopo gli omicidi degli anni Cinquanta, consisteva nella semplice comunicazione di tale controllo. Traditi da vicini e famigliari, si veniva isolati".
E’ il destino di Kundera, frantumato nei personaggi ridicoli e tragici dei suoi romanzi. Il partito, davanti all’ex poeta comunista che da ragazzo glorificava i tempi nuovi degli operai e delle fabbriche, sbanda. La censura inorridisce, scorrendo le pagine nuove che parlano di amore, di sesso, di uomini e di donne, di sentimenti e dell’esistenza insensata perché irripetibile. Nel 1974 basta la frase sgangherata dell’agente Bocek ("Il soggetto andrebbe uscito con Jirka", nome in codice del professore ceco-americano George Gibian), per farlo definire "persona non gradita". Nel 1978 è sufficiente la stesura in francese di Il libro del riso e dell’oblìo per togliergli la cittadinanza cecoslovacca.
Trent’anni dopo, a Praga, ci si chiede però se la maledizione sia davvero finita. E Kundera diventa un caso. Anche dopo la caduta del Muro, non ha più fatto ritorno in patria. Gli ultimi romanzi, per sua volontà, non sono tradotti in ceco. Versioni-pirata circolano su Internet, di nuovo clandestine.»
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Quello di Kundera, naturalmente, è solo un esempio. Sono tanti gli intellettuali – chi per un motivo, chi per un altro – che nel corso del Novecento hanno dovuto abbandonare il proprio Paese.
Parliamone, se vi va.
Ho appena terminato l`eternita` dell`istante di Zoe Valdes esule cubana.
Altro esempio di sdradicamento dalla propria terra, ed ancora piu` bizzarro se si pensa che nello stesso paese, Cubam un altro scrittore, Garcia Marquez, viene trattato alla stregua di un semidio.
Il pensiero va a Pamuk che di recente è stato costretto ad abbandonare la Turchia: il suo Paese.
Viene da pensare che gli intellettuali molto osannati in patria sono quelli che hanno forti doti da “paraculo” (perdonate la volgarità).
Vedo che su Zoé Valdés mi hanno preceduto. Si tratta di una scrittrice che in Italia certa sinistra giudica come una scribacchina finanziata dalla Cia. In realtà la Valdés è una scrittrice immensa, una delle migliori autrici latinoamericane. Vive esule a Parigi e parlare della sua vita sarebbe lunghissimo. Meriterebbe un articolo, un breve saggio, non due righe buttate là come sto facendo adesso. Avete mai letto La vita intera ti ho dato, Café nostalgia o Tu mio primo amore? Libri stupendi. Peccato che in Italia si trovi solo poca parte della sua sterminata produzione. Mi onora il fatto che la Valdés ha presentato a Miami un nostro libro: Versi tra le sbarre, edito dal Foglio, che contiene le poesie di scrittori cubani incarcerati per motivi ideologici. Per restare a Cuba cito tra gli esiliati: Carlos Franqui (pedinato per anni in Italia e in Francia dai servizi segreti di Castro), Guillermo Cabrera Infante (ormai è morto e non lo pedinano più), William Navarrete (Parigi), Felix Luis Viera (Messico)… la lista sarebbe interminabile… a Cuba sono rimasti solo gli scrittori di regime come Abel Prieto e altri coraggiosi pubblicano soltanto all’estero i loro libri controcorrente (Pedro Juan Gutierrez)…
Sui motivi per cui Garcia Marquez a Cuba viene trattato come un semidio consiglio la lettura di Carlos Franqui – Memorie di un fantasma socialista. A Cuba anche Gianni Minà viene trattato come un semidio e pure l’onorevole Rizzo. Per tacere del grande filosofo Gianni Vattimo che vorrebbe importare in Italia il sistema cubano del partito unico (parole sue pronunciate in TV dalla Dandini). Sto diventando di destra oppure sono certi personaggi di sinistra che non comprendono la differenza tra essere di sinistra e appoggiare una dittatura?
Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
Sono in disaccordo con Erika. Non è vero che “gli intellettuali molto osannati in patria sono quelli che hanno forti doti da paraculo”.
Ci sono Paesi democratici che osannano, e giustamente, i loro scrittori. E ci sono Paesi dittatoriali dai quali gli intellettuali e gli scrittori non possono che fuggire, se vogliono esprimersi liberamente.
Gordiano Lupi ha ragione. Le dittature sono deleterie e uccidono il pensiero. Sia che siano di destra che di sinistra.
Con i miti ci si misura sempre; ci sono quelli imposti dai regimi, dalle lobby, dal nostro immaginario. Penso a Parigi, a quanti esuli hanno trovato lì protezione, lavoro e successo letterario. Mi viene in mente Cioran, pensatore apocalittico, nichilista e a suo modo affascinante, ma poi, scopri il suo essere stato antisemita convinto: un agitatore antisemita. E allora decidi di non acquistare mai un suo libro: faccia l’esule, lavi i vetri, e poiché ormai non c’è più, “Sia pace all’anima sua”.
Elektra, è chiaro che un intellettuale che vive in un Paese dittatoriale fugge.
Quello che volevo dire io è che ci sono anche Paesi, oporzioni di Paesi, pseudodemocratici o simildemocratici o semplicemente “culturalmente piatti”, o di cui fanno dell’appiattimento culturale uno dei loro obiettivi.
Propongo un nuovo spunto che procede nella direzione opposta rispetto a quella presa da questo post.
Sulla prima pagina del Domenicale de “Il Sole-24Ore” di oggi (18 marzo 2007) viene pubblicato uno scritto dello storico tedesco Joachim Fest, recentemente scomparso. Nel pezzo, tradotto da Alessandro Melazzini, Fest analizza il fascino dei totalitarismi sugli uomini di cultura.
Vi riporto alcuni passaggi dell’articolo. Poi, se lo credete, proseguiamo il dibattito:
“(…) Sorprende meno di quanto ritenuto da molti il fatto che per gli atti di ingiustizia commessi milioni di volte dai sistemi totalitari, questi hanno trovato sempre difensori e sostenitori tra gli intellettuali. Furono infatti proprio le loro ispirazioni che in quei sistemi presero forma.
Lion Feuchtwanger non era cieco quando alla fine del 1936, al tempo delle terribili purghe staliniane che colpirono un decimo dei cittadini sovietici, visitò l’Unione Sovietica pensando di attraversare un giardino. E ciechi non erano nemmeno Romain Rolland, Sidney e Beatrice Webb o George Bernard Shaw. Dall’altra parte non lo era neppure Hanns Johst quando durante un viaggio a Est nei territori conquistati lodò, insieme ai suoi accompagnatori, il lavoro di ricostruzione del regime nazista (…).
Al senso di onnipotenza degli intellettuali si aggiunse l’odio covato fino al disgusto verso il mondo borghese. (…) Questo sentimento antiborghese è l’energia motrice di pressoché tutti gli estremismi del tempo. (…) Fu così per Brecht ed Ehrenburg come per Ernst Toller, Majakowski, Ignazio Silone e Erich Muhsam o Ernst von Salomon: si può tracciare una linea fino al presente. (…)
Un’intera epoca, il secolo dei sistemi totalitari, è assente o compare ben poco nella grande letteratura. “Buio a Mezzanotte” di Arthur Koestler, il “Doktor Faustus” di Thomas Mann, “Il Tamburo di Latta” di Gunther Grass, “L’Arcipelago Gulag” di Solzenicyn e poco altro”.
L’opera di Kundera è una delle strade ideali per redimere tutti gli ultimi comunisti, modernariato vivente: vadano, prendano, leggano, piangano, si maledicano, maledicano chi ha insegnato loro a essere comunisti, si facciano un bell’esame di coscienza. Lavarla non possono.
Scoprano quanto male hanno fatto ai popoli: a partire dallo sterminio degli ucraini, allegramente rimosso perché non se ne poteva parlare. Uno sterminio etnico da record. Ben prima della seconda guerra…
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Kundera è stato costretto all’esilio per difendere l’essenza della sua patria, e la futura sua libertà. Esemplare: come letterato, come intellettuale, come patriota. Questo articolo lo ricordavo con amaro piacere. Grazie Massimo.