Paolo Ferrucci ama definirsi come un manager che si è dimenticato di esserlo, che ama la letteratura ed è diventato uno scrittore mistery.
Dopo "Omicidi particolari" (Piemme 2000) e "Lune nere" (Aliberti 2005), da marzo 2007 è in libreria "Mistero Etrusco" (Edizioni Sylvestre Bonnard).
Mistero Etrusco è un noir raffinato, corposo e complesso che ha richiesto un attento lavoro di ricerca da parte dell’autore. E la pubblicazione da parte di un piccolo editore di grande qualità, come Sylvestre Bonnard – la casa editrice che pubblica Hans Tuzzi -, credo equivalga a un marchio di garanzia.
Vi accenno la trama.
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Lester Howe è docente universitario di Paleografia all’Università di Cardiff.
Attualmente si trova in trasferta a Firenze, per studiare un fondo di manoscritti conservato nella biblioteca del Museo Archeologico. Recentemente separato dalla moglie, cerca di distrarsi immergendosi nel lavoro. Vive in affitto in un palazzo appartenente a una signora della vecchia borghesia fiorentina.
Un giorno, giù nell’atrio, vede emergere dalle cantine un suo vicino, che è in compagnia di un uomo. Il vicino lo saluta con imbarazzo, come se avesse preferito non farsi vedere. Successivamente, l’uomo che era in compagnia del vicino viene trovato assassinato, e Lester Howe ne riconosce la fotografia sul giornale. Era un discusso antiquario che pare si dedicasse a traffici di reperti archeologici. Howe vorrebbe chiedere spiegazioni al suo vicino, ma desiste, pensando che non sono fatti suoi. Nel frattempo, però, sorprende di nuovo il vicino che esce dalle cantine del palazzo e quasi si scontra con lui: anche stavolta l’uomo è imbarazzatissimo.
Questo vicino è un oscuro professore di liceo che si diletta di studi etruscologici: sta terminando la compilazione di un dizionario della lingua etrusca e propugna teorie sull’antica civiltà che confliggono con gli orientamenti ufficiali dell’Accademia.
In quelle cantine dev’esserci qualcosa di misterioso, si convince Howe.
Nel frattempo, al Museo Archeologico di Firenze fervono i preparativi per l’inaugurazione della mostra etrusca che farà da corollario all’imminente Congresso Internazionale di Etruscologia che si terrà in città. Ne sono coinvolti la direttrice del museo, con cui Howe quasi divide l’ufficio, e un illustre docente universitario coadiuvato da un suo ricercatore, fedele assistente-carrierista.
Howe, che sta meditando sugli strani movimenti del suo vicino, una sera decide di curiosare nella famigerata cantina del palazzo, avendone trovata la porta aperta. Scende e scopre il suo vicino disteso a terra, sgozzato, mentre esala gli ultimi respiri.
Ora gli omicidi sono due, e il protagonista ne viene coinvolto suo malgrado. La polizia indaga e interroga, ma sostanzialmente brancola nel buio.
Howe si mette a indagare per conto suo, stimolato dall’anatomopatologo che ha sezionato i due cadaveri.
Mi fermo qui… ma la storia procede in maniera rocambolesca e avvincente.
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Ringrazio l’autore del libro e la Sylvestre Bonnard per avermi concesso la possibilità di pubblicare il brano che segue.
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II
UN MORTO IN VIA VECCHIA FIESOLANA
giovedì
1.
«Ma perché non avete isolato subito la zona?» protestò l’agente della scientifica Caviglia, mentre tirava fuori le attrezzature dalla valigetta. «Ci sono orme dappertutto, qui. In quanti ci avete camminato?»
Una serie di pedate ancora fresche disegnava ghirigori disordinati intorno alla pozza di sangue, come se qualcuno ci avesse fatto un girotondo.
«Ci ha passeggiato il tizio che l’ha scoperto, era sotto choc.» Il sovrintendente di polizia Tampieri osservò il corpo con riprovazione, srotolando un nastro misuratore agganciato a una parete. «Dice di essere un suo aiutante. Ha le occhiaie nere e la faccia stralunata, come minimo s’è fatto una canna appena alzato.»
L’agente della scientifica montò il flash sulla macchina fotografica e iniziò le operazioni. Scattò un’inquadratura generale del portone in ferro, poi altre due da angoli opposti della rimessa. Quando arrivò al cadavere, s’inginocchiò su uno sgabellino per non pestare nulla. Il morto indossava una maglietta blu scuro e un paio di jeans logori. Il volto era premuto per metà sul pavimento, contratto in una smorfia di dolore, e il prolasso della muscolatura ne deformava i lineamenti.
Il medico legale aveva appena terminato di rilevare le condizioni della vittima, annotandole con una grafia minuscola su un taccuino. Il colpo di forcone gli aveva trafitto il cuore, quasi passandolo da parte a parte. I rebbi arrugginiti erano ancora infissi tra le costole del cadavere, che giaceva riverso su un fianco in un lago di sangue nerastro. A un paio di metri, alcune sedie rovesciate sull’impiantito di cemento e i vetri sfondati d’una vecchia credenza erano i segni evidenti di una colluttazione. Il decesso doveva essere avvenuto tra le ventuno e le ventiquattro della notte precedente, verosimilmente per le lesioni inflitte al cuore. Sull’emivolto sinistro e sulla regione corrispondente del collo erano visibili alcune piccole escoriazioni, la cui natura andava accertata.
Al centro del locale c’era un enorme banco da falegname coperto da molti attrezzi e seminascosto da cataste di mobilia d’ogni genere. Accanto, uno strano sedile in legno scuro col coperchio sollevato, che sembrava un pezzo di confessionale.
All’interno dell’abitazione, l’ispettore capo Gentilini stava ascoltando il testimone, un ragazzotto scuro di pelle con la fronte bassa e i folti capelli nerissimi. Secondo quanto aveva dichiarato, nel tempo libero andava ad aiutare Carletto Massi a titolo d’amicizia, per imparare le tecniche del restauro. Quella mattina avrebbero dovuto ricostruire un vecchio mobile a cui Massi teneva molto. Visto che al campanello non rispondeva e il portone di ferro era socchiuso, il ragazzo era entrato nel deposito e aveva trovato l’uomo stecchito, in un bagno di sangue.
«Allora, ricominciamo. Sei arrivato alle otto e mezzo col motorino. Sei entrato nella rimessa, hai visto il corpo, ci hai gironzolato intorno…»
«Ero sconvolto» biascicò il giovane, «e lo sono ancora, cazzo…»
«Non dire parolacce. Sei sicuro di essere italiano?»
«Certo. Perché, cosa le sembra?»
«Hai una faccia…»
«Sono così di famiglia, abbiamo la pelle scura. E poi cosa c’entra?»
«Le domande le faccio io, stronzo» sibilò l’ispettore capo agitandosi sulla sedia malferma.
Erano seduti in cucina, uno stanzone con un camino gigantesco dov’erano ancora ammucchiate le ceneri dell’ultimo inverno. Sul tavolaccio scrostato c’erano i resti d’un pranzo e su una sedia c’era una sportina di plastica piena di bucce, noccioli, tozzi di pane raffermo e avanzi irranciditi.
«Dov’eri ieri sera, tra le nove e mezzanotte?» venne al sodo l’ispettore.
«Al bar Parigi.»
«Al bar Parigi?»
«Già. E ci sono rimasto fino alle due.»
«Interessante…» Gentilini s’accarezzò la mascella prominente e accentuò l’espressione inquisitrice. Quel bar veniva chiuso a settimane alterne per gioco d’azzardo. «Allora t’avranno visto almeno in sessanta.»
«Proprio così» rispose il ragazzo con aria di sfida.
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“Le mani, nelle aree non imbrattate dal sangue, recano tracce evidenti di terra o terriccio, che le opportune analisi…”. Il medico legale staccò la penna dal taccuino e guardò l’agente Caviglia che raschiava i residui essiccati dalle dita del cadavere, facendoli cadere in una bustina trasparente. I rilievi sulle maniglie e sui piani d’appoggio erano stati eseguiti, mentre il legno sfaldato del manico del forcone non poteva restituire alcuna impronta.
Una tuta da lavoro sporca di terra era appesa a una specie di rastrelliera che accoglieva rudimentali attrezzi agricoli. L’ispettore capo ricomparve sbuffando, e andò a esaminarla da vicino.
«Ieri il terreno era ancora umido» osservò il sovrintendente indicando la terra incrostata sotto le scarpe del morto. «A meno che non le avesse sporche da prima.»
«Già. Deve aver lavorato nell’orto. Hai visto quanta verdura? È la parte più curata in assoluto.» Soprappensiero, Gentilini si accese una sigaretta e fece per gettare il fiammifero, ma un gesto repentino dell’agente Caviglia lo fermò.
«Ehi, capo, non vorrà che mi metta a fotografare anche la sua cenere, vero?»
«Certo che no, cosa credi?» ribatté l’ispettore, piccato. «Volevo solo vedere se stavi attento.» S’infilò il fiammifero in tasca con aria impermalita e fece un cenno verso il portone spalancato. «Là fuori ci sono due impronte di pneumatici ancora umide, sicuramente risalgono a ieri sera. Fagli delle belle inquadrature e poi prendi il calco.»
«Il ragazzo di là che dice?» domandò il sovrintendente.
«Ha già richiesto la presenza dell’avvocato. Uno non può nemmeno far due domande…»
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MISTERO ETRUSCO di Paolo Ferrucci
Edizioni Sylvestre Bonnard, 2007
Pag. 350, euro 18