Nanni Balestrini (nella foto) è un poeta e romanziere, nato a Milano il 2 luglio 1935. Vive attualmente tra Parigi e Roma. Agli inizi degli anni ’60 fa parte dei poeti “Novissimi” e del “Gruppo 63”, che riunisce gli scrittori della neoavanguardia. Nel 1963 compone la prima poesia realizzata con un computer. E’ autore, tra l’altro, del ciclo di poesie della “signorina Richmond” e di romanzi sulle lotte politiche del ’68 e degli anni di piombo come Vogliamo tutto e Gli invisibili. Ha svolto un ruolo determinante nella nascita delle riviste di cultura “Il Verri”, “Quindici”, “Alfabeta”, “Zoooom”. Attivo anche nel campo delle arti visive, ha esposto in numerose gallerie in Italia e all’estero e nel 1993 alla biennale di Venezia.
Sabato scorso, su Tuttolibri (cfr. Ttl del 19/4/08, pagg. VI-VII), ha rilasciato un’interessante intervista ad Andrea Cortellessa.
Ho estrapolato alcune frasi sulle quali – a mio avviso – si potrebbe discutere (di seguito, però, potrete leggere l’intera intervista). I temi sono mercato editoriale, cinema italiano , cultura di massa.
– c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato. Ha ragione Arbasino, che senso ha sapere qual è il libro più venduto? Allora il ristorante migliore è McDonald’s!
– una volta pubblicare libri senza mercato era un investimento sul futuro, nelle case editrici avevano gran peso gli intellettuali.
– una cosa mi colpisce, nel cinema italiano di oggi: che non ci sono più cattivi. Sono tutti buoni! Ma senza cattivi non c’è dramma, non c’è narrazione che tenga.
– non sopporto la moda della cultura di massa. Una cosa è studiarla, o appropriarsene al quadrato; altro questo godimento snobistico che ha avuto effetti deleteri sul gusto. In fondo è buonismo pure questo. Rassicurare tutti, convincerli che i loro gusti vanno benissimo, che non vanno educati in alcun modo.
Avete letto? Bene. Cosa ne pensate?
Di seguito troverete una nota sul Gruppo 63 (fonte Wikipedia Italia), la suddetta intervista, e la successiva punzecchiatura (rivolta a Balestrini) da parte delle Vespe del Domenicale de Il Sole 24Ore (cfr. pag. 33 de Il Sole 24Ore di domenica 20/4/08).
Massimo Maugeri
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Il Gruppo 63, definito di neoavanguardia per differenziarlo dalle avanguardie storiche del Novecento, è un movimento letterario che si costituì a Palermo nell’ottobre del 1963 in seguito a un convegno tenutosi a Solanto da alcuni giovani intellettuali fortemente critici nei confronti delle opere letterarie ancora legate a modelli tradizionali tipici degli anni Cinquanta. Del gruppo facevano parte poeti, scrittori, critici e studiosi animati dal desiderio di sperimentare nuove forme di espressione, rompendo con gli schemi tradizionali.
Il Gruppo 63 si richiamava alle idee del marxismo e alla teoria dello strutturalismo. Senza darsi delle regole definite (il gruppo non ebbe mai un suo manifesto), diede origine a opere di assoluta libertà contenutistica, senza una precisa trama, (ne è un esempio Alberto Arbasino) talvolta improntate all’impegno sociale militante (come gli scritti di Elio Pagliarani), ma che in ogni caso contestavano e respingevano i moduli tipici del romanzo neorealista e della poesia tradizionale, perseguendo una ricerca sperimentale di forme linguistiche e contenuti.Ignorato dal grosso pubblico, il gruppo suscitò interesse negli ambienti critico-letterari anche per le polemiche che destò criticando fortemente autori all’epoca già “consacrati” dalla fama quali Carlo Cassola e Vasco Pratolini, ironicamente definiti “Liale”, con riferimento a Liala, autrice di romanzi rosa.
Il Gruppo 63 ebbe il merito di proporre e tentare un rinnovamento nel panorama piuttosto chiuso della letteratura italiana, ma il suo aristocratico distacco dal sentire comune e la complessità dei codici di comunicazione ne fecero un movimento elitario, accusato di ‘cerebralismo’.
Alcuni autori del Gruppo 63 furono il già citato Arbasino, Luciano Anceschi, Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Gianni Celati, Giorgio Celli, Corrado Costa, Roberto Di Marco, Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Giorgio Manganelli, Giulia Niccolai, Elio Pagliarani, Antonio Porta, Lamberto Pignotti, Edoardo Sanguineti, Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Alberto Gozzi. Il gruppo, che si sciolse nel 1969, diede vita alle riviste Malebolge, Quindici e Grammatica.
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Incontro con la «voce» del Gruppo ’63: ripropone la rivista «Quindici» e fustiga i vizi italiani
“NON CI SONO PIÙ I CATTIVI”
Da Tuttolibri (cfr. Ttl del 19/4/08, pagg. VI-VII)
di ANDREA CORTELLESSA
Non se n’è mai stato con le mani in mano, Balestrini. Ma a settantatré anni vive un periodo di straordinario dinamismo. Ora ripropone con Feltrinelli la rivista Quindici, dopo aver pubblicato da DeriveApprodi un altro reperto dei più fulgidi Sixties, il «romanzo multiplo» Tristano, remigato in più di tremila esemplari ciascuno diverso dall’altro. Esperimento sul quale si interrogano filosofi, semiologi, giuristi ed economisti. Poi, sempre forbici alla mano, continua la sua sorprendente attività di artista visivo. L’ho incontrato a Roma nella sua casa di Via Merulana.
Perché di nuovo «Quindici»?
«Avremmo dovuto farlo già da un pezzo. C’è voluta l’occasione dei quarant’anni del Sessantotto: la rivista fu tra le prime a ospitare i documenti delle proteste studentesche, ma fu anche molto altro. Non mi dispiace però che l’antologia venga letta anche come un libro sul Sessantotto, al riguardo sono uscite soprattutto testimonianze soggettive… quando invece fu un’esperienza squisitamente collettiva. Neppure al cinema s’è visto granché. A parte quella terribile Meglio gioventù, anche Bertolucci o Belloccio si sono fermati al privato. Invece bisogna restituire lo spirito pubblico, collettivo, che a quel tempo ci prese tutti».
Di riviste ne hai fatte tante. Ma dalla fine di «Alfabeta» sono passati vent’anni.
«Il rinnovamento seguente è quello degli Ottonieri, Voce, Nove, Scarpa…»
.…da un lato il «Gruppo ’93», dall’altro i «Cannibali». Due gruppi che però si disgregano subito…
«Non è più tempo di gruppi: c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato. Ha ragione Arbasino, che senso ha sapere qual è il libro più venduto? Allora il ristorante migliore è McDonald’s!Una volta pubblicare libri senza mercato era un investimento sul futuro, nelle case editrici avevano gran peso gli intellettuali. Questa debolezza dei gruppi si vede meglio nelle arti basate sulla collaborazione. Ai tempi di Quindici quello teatrale era il discorso trainante, oggi invece… ci sono artisti interessanti – Antonio Rezza, Valdoca, l’Accademia degli Artefatti – ma non hanno visibilità. Il cinema, poi… una cosa mi colpisce, nel cinema italiano di oggi: che non ci sono più cattivi. Sono tutti buoni! Ma senza cattivi non c’è dramma, non c’è narrazione che tenga».
Insomma, manca tensione drammatica perché è stata espulsa la dimensione del conflitto. Anche nella campagna elettorale sembrava che di cattivi in Italia improvvisamente non ce ne fossero più.
«Il motto è: Vogliamoci tutti bene. E torniamo alla famiglia, o alla Chiesa. Che sono lì appunto per assolverci. Gli italiani non vogliono fare i conti con loro stessi, con la propria storia. Il fascismo non ha mai fatto niente di male, e anche papà era un buon diavolo.Una cosa che mi piaceva dei Cannibali era che di fronte al negativo non si tiravano indietro. Oggi invece chi si rifà a modelli collaudati non rischia niente. Di nuovo quest’idea del romanzo “ben scritto”, alla Piperno… o al contrario la mania del noir… lo apprezzo in quanto paraletteratura, ottima per passare il tempo in treno. Ma i meccanismi di genere forniscono un’unica chiave di lettura del reale, in questo caso il crimine».
L’opposto dell’eliminazione dei cattivi nella narrativa neoborghese: ci sono solo cattivi. Un altro modo per evadere dal conflitto.
«Non sopporto la moda della cultura di massa. Una cosa è studiarla, o appropriarsene al quadrato; altro questo godimento snobistico che ha avuto effetti deleteri sul gusto. In fondo è buonismo pure questo. Rassicurare tutti, convincerli che i loro gusti vanno benissimo, che non vanno educati in alcun modo».
Cosa sia stato il berlusconismo lo sappiamo; ora è il veltronismo che fa sentire i suoi effetti.
«L’ho anche votato, Veltroni, mala cultura che propone… Berlusconi è simpatico ma esprime la vigliaccheria, la cialtronaggine, l’arroganza, la menzogna, il vittimismo aggressivo che abbiamo tutti dentro. Tutto ciò che l’educazione e la cultura servivano a reprimere».
Ma è quello che dicono i berlusconiani intelligenti: che è democratico aver capito gliitaliani, averli giustificati. Senza reprimerli moralisticamente.
«Ma è un bene, reprimerli! Cos’abbiamo contro la morale?».
Fa l’elogio della morale pubblica?
«C’è chi ha proposto che a scuola gli alunni tornino ad alzarsi quando entra l’insegnante. Mi pare normale, quando entra qualcuno mi alzo e lo saluto. Cos’abbiamo contro l’educazione? Guarda come la gente cammina per strada, come guida l’automobile, come parla al telefono in treno!».
Vivere in società significa assumersi la responsabilità dei propri comportamenti. Mentre berlusconismo e veltronismo concordano in questo: che non si debba mai pagare il conto.
«Il motto di Berlusconi è: Così fan tutti. Ci aveva già provato Craxi ma non funzionò. Alloraci fu una bella reazione contro l’arroganza del potere. Oggi ci restano solo i giudici».
Che proprio lei faccia l’elogio della magistratura è il colmo!
«D’accordo, ai tempi del processo “7 aprile” non usarono mezzi molto corretti. Però nella sostanza non avevano torto: io ero davvero un sovversivo, e dal loro punto di vista andavoperseguito come tale».
Non come un terrorista, però.
«Infatti da quello sono stato assolto. Lo voglio proprio dire: in Italia la cosa migliore sono igiudici. La famiglia ci assolve,
la Chiesa ci assolve, restano solo loro. Non a caso Berlusconi li odia, gli vuole fare l’esame psichiatrico».
Proprio lui ha detto la cosa più stalinista che si sia sentita da decenni! Abbiamo cominciato con «Quindici», vorrei finire con «Tristano».
«Mi piacerebbe applicarne il procedimento anche al cinema, ricombinando a caso frammenti di sequenze. Ogni spettacolo una storia diversa. Per me è una forma di realismo estremo: ogni giorno fai più o meno le stesse cose ma ogni volta c’è qualche variazione a cui non fai caso. Stavolta però, per restituire questo realismo, a differenza che su carta dove prelevavo frammenti da testi altrui, bisognerebbe girare i frammenti ex novo. Altrimenti è un’altra cosa, come La verifica incerta di Baruchello e Grifi alla quale s’è ispirato Grezzi per Blob. Lo scriva: cerco un produttore».
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Dal Domenicale de Il Sole 24 Ore (pag. 33 de Il Sole 24Ore di domenica 20/4/08)Rubrica Vespe
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Nessun pasto è gratis. Per essere colti bisogna soffrire, digiunare, indossare il cilicio, ingurgitare polpette indigeste, patire coliche epatiche e vomitare quando è il caso. Già lo sapevamo, ma ora il profeta dell’Avanguardia per eccellenza, Nanni Balestrini, ce lo ricorda in un’intervista a Tuttolibri della Stampa. Non è più tempo di gruppi: c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato. Ha ragione Alberto Arbasino, che senso ha sapere qual è il libro più venduto? Allora il ristorante miglior è McDonald’s? Come dire, che peso specifico hanno le forchette di un ristorante, o le stelle di un albergo?
Una volta – continua Balestrini – pubblicare libri senza mercato era un investimento sul futuro, nelle case editrici avevano gran peso gli intellettuali. Gli intellettuali? Ormai seguono gli insegnamenti di Haruki Muratami (Kafka sulla spiaggia, Einaudi) secondo cui la fitness muscolare è più importante dello stile di scrittura, e quindi è meglio andare in palestra, o a correre al parco, che compulsare il dizionario della Crusca. Quindi il peso (culturale) degli intellettuali è proporzionale alle ore di jogging o di Pilates. Avendo in mente gli scrittori italiani, la loro stazza e le maniglie dell’amore di cui fanno ampio sfoggio sulla spiaggia di Caparbio, il loro peso è inesorabilmente decrescente. Se questa legge fosse vera, molti giornalisti e intellettuali, a cominciare da Giuliano Ferrara, sarebbero condannati ad almeno sei mesi di totale astinenza, gastronomia e non solo, in nome del rispetto della vita. E il prestigio culturale sarebbe inversamente proporzionale al peso-forma.In realtà non è così. Il Pantheon del sapere non è collegato alla massa muscolare. Spesso è in relazione inversa.
Intanto vi invito a leggere l’intera intervista. Credo sia molto interessante.
Poi vi invito a discutere (in particolare) sulla base dei seguenti “spunti” forniti da Balestrini:
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– c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato. Ha ragione Arbasino, che senso ha sapere qual è il libro più venduto? Allora il ristorante migliore è McDonald’s!
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– una volta pubblicare libri senza mercato era un investimento sul futuro, nelle case editrici avevano gran peso gli intellettuali.
–
– una cosa mi colpisce, nel cinema italiano di oggi: che non ci sono più cattivi. Sono tutti buoni! Ma senza cattivi non c’è dramma, non c’è narrazione che tenga.
–
– non sopporto la moda della cultura di massa. Una cosa è studiarla, o appropriarsene al quadrato; altro questo godimento snobistico che ha avuto effetti deleteri sul gusto. In fondo è buonismo pure questo. Rassicurare tutti, convincerli che i loro gusti vanno benissimo, che non vanno educati in alcun modo.
Se dopo aver letto l’intervista avete individuato passaggi che a vostro giudizio meritano di essere discussi o approfonditi… procedete pure.
Buona giornata a tutti!
Ngiorno Massimo!
Ce fosse una sola di queste frasi che non mi desse l’orticaria. Magari dopo leggo l’intervista, anche se non lo so, non ne sono molto attratta. Oggi ho la vis polemica garrula. je darò giù – facendo un discorso piuttosto generico, generato dai sentimenti che questi stralci mi hanno suscitato.
1. Di questo tipo di intellettuali, noi gentilmente non ci facciamo niente. Non mi servono a niente, se non a incerottare un’eventuale narcisismo, infranto dalla concorrenza quando desolantemente reazionario. Per tanto, orfano di strumenti ermeneutici – non solo per il presente, che insomma capita ma anche pèer il passato. Mi colpisce anche Massimo, questa tua passione per “se stava mejo quando se stava peggio” ah i bei tempi in cui l’intellettuali sfigati erano quelli che contavano! Queste sono pose, e tutto sommato pose antistoriche. Perchè no, l’arte non nasce sempre nei terreni della riflessione colta. Anzi, nella vita di un’artista la riflessione colta è il derivato di un cumulo di esperienza che viene dopo, quasi casualmente. Ma insomma non è che Caravaggio fosse n’intellettuale di sinistra, e manco balzac che scriveva a puntate per pagarsi i debiti. E per esempio l’ottimo e sofisticatissimo e bellissimo jazz che io amo, non è nato a teatro. Ma sulla strada. Anzi non di rado col teatro è finito a puttane.
Sicchè se nella storia della produzione culturale la buona arte è spesso stata anche popolare, non vedo perchè oggi il mondo popolare non dovrebbe essere altrettanto interessante.
Buongiorno a te, Zau.
Chi ti dice che io ho una passione per il “se stava mejo quando se stava peggio” (ovvero, ah i bei tempi in cui l’intellettuali sfigati erano quelli che contavano)?
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No, no. Per me si stava peggio quando si stava peggio e si stava meglio quando si stava meglio.
E poi non ho predilezioni particolari per gli intellettuali sfigati.
Per intenderci: io non mi sento un intellettuale sfigato.
In fin dei conti non mi sento nemmeno un intellettuale.
🙂
–
Leggi l’intervista se puoi (e anche la punzecchiatura delle Vespe). E poi – se puoi – torna a commentare.
E aggiungo che non credo che quelli del Gruppo 63 si considerassero “intellettuali sfigati”.
Non credo che i libri che vendano di più siano necessariamente i migliori, forse sono semplicemente quelli che rispondono meglio alla richiesta del pubblico e della società di un particolare periodo.
Difatti, per riprendere il primo spunto, Mc Donald non è il miglior ristorante del mondo ma risponde perfettamente ad un’esigenza della società moderna.
Mi è piaciuto il commento, un po’ forte, di Zauberei (spero di averne colto bene il senso della polemica). La cultura può svilupparsi in molteplici ambienti e non può relegarsi solo ad alcuni di questi. Occorre, a mio parere, superare questa concezione, unica nella storia e dunque anomala, maturata nei primi decenni del dopoguerra e che oggi si sta inesorabilemente spegnendo nonostante le resistenze di qualche nostalgico. E’ vero che la concorrenza è spietata, è vero che ci sono ottimi scrittori, poeti, e artisti in genere, che non trovano il giusto spazio ma è altrettanto vero che oggi come due secoli fa si trovano ottimi artisti tra i facoltosi come tra i miserabili.
Infine, per quanto riguarda i gusti… de gustibus non est disputandum, ma se la gente non vuole pensare con la sua testa noi non possiamo certamente obbligarli.
Ngiorno massimo!
So polemichilla ma affettuosa, nun te scordà… che c’è bisogno perchè -anche se, o forse proprio perchè, sono di ottimo umore sono riottosissima.
Innanzitutto, basta timore delle parole, per l’uso che ne fa una parte della popolazione. Allora: io leggo un mucchio di letteratura, mi rompo le meningi co cose acculturate, e ritengo che codeste cose siano parecchio utili. Questo fa di me, di te, e un di un sacco di altre persone degli intellettuali. Auspicabilmente delgi intellettuali svegli, destri in altre cose. Ma non vedo perchè se un cocuzzaro è allergico alli libbri, io devo far finta di essere allergica, e celarmi dietro cose come “intellettuale io? giammài! Io amo la forza bruta artrochè! viva l’azione, e del pensiero sti cazzi!”. Uffa.
Questa come premessa sintattico -folcloristica.
–
Lo so che tu in fondo non sei così. Ma su Letteratitudine non di rado ci chiedi di riflettere, su dichiarazioni di chi dice che il mercato condiziona in peggio la produzione culturale, che la situazione è peggiorata, che ci sono le montature dell’industria che gonfiano dei casi editoriali ad arte. La struttura di quei post invita a dire oyoyoyoy l’è vero. Poveriaanòi, ognuno pensando (io inclusa) alle tristi vicissitudini delle proprie opere, dentro o in prossimità di un cassetto, o dentro un cassetto un po’ piùgrandino, ma sempre cassetto è, la picciricchia casa editrice.
La sensazione, almeno mia, è un generico aroma di rimpianto, per qualcosa di imprecisato.
–
Non so se voglio leggere l’intervista del nostro. Tuttalpiù potrei farlo, perchè intellettuale sono, si diceva, e mi approprio di quel che si dice, anche se magari è meno sofisticato di un prodotto popolare. Perchè le dichiarazioni da te riportare puzzano di intelligenza per una questione meramente lessicale, ma sono fondamentalmente banali e banalizzanti: non è vero che nel cinema non ci sono più cattivi per esempio. Ma è la modernità che deve contestualizzare la cattiveria, e non si può più permettere le dicotomie der cinema degli anni cinquanta. Se la narrazione del cinema italiano è povera, le cause sono ben altre, questo in caso è un merito. I prodotti culturali e mediatici di oggi, sono molto più sofisticati di quanto questo sguardo presume. Questa presunzione, mi irrita.
(oggi m’è presa così massimo eh, poi me passa:)))
Balestrini? Se la sua è un’analisi…
Mi fermo al cinema: L’amico di famiglia. Si può pure dire che il protagonista non è cattivo, ma allora non lo è neppure il Joker di Batman!
Zaub, appoggio quanto dici al 100%!
@ Zauberei
Quando sei polemichella e riottosa ti adoro. Anche perché porti linfa ai dibattiti che cerco di avviare qui.
Qualche precisazione.
–
a) Quando ho scritto “In fin dei conti non mi sento nemmeno un intellettuale”, avevo inserito di seguito la faccina sorridente (per sottolineare che stavo scherzando). Però quello che hai scritto tu mi ha dato da pensare e ti dico che:
– se per intellettuale (da vocabolario) intendiamo qualcuno che si dedica ad attività artistiche, culturali, letterarie… allora, sì, mi sento un intellettuale (con la modestia, però, di chi è cosciente dei propri limiti; giacché di arte, di cultura e di letteratura ne conosco solo una parte);
– se per intellettuale intendiamo qualcuno che la sa lunga e si sente legittimato a sentirsi superiore al prossimo (e ce ne sono tanti che si professano intellettuali proprio con quest’accezione) allora no, non mi sento un intellettuale.
Sono di poco più giovane di Balestrini, e mi verrebbe di pensarla come lui, ma non è proprio così:
primo perché il signor Nanni pare ignorare che nel corso degli anni la categoria o ceto “intellettuale” si è moltiplicata in rapporto all’istruzione, all’ alfabetizzazioni degli italiani.
Nel 1960 gli intellettuali che contavano, ( intendo in questo caso gli addetti all’editoria letteraria) in Italia, erano poche decine.
Ora, da circa 10/15 anni, aggiungasi l’avvento del pc, di Internet e le rapide comunicazioni, più tempo libero, gli intellettuali sono tantissimi, nascono voci nuove e scompaiono, o no, come caduche comete.
Il libro, poi, il romanzo intendo, già dato per spacciato più volte ( anche da Balestrini) rinasce dalle sue ceneri più forte che mai, sfornato a quintali a guisa di panino briosce pizza al taglio, purché ce ne sia, oggetto di consumo, “prodotto” come già disse Calvino nel 1963.
Indi buona parte di essi romanzi se na vanno al macero su camion a costruire piramidi babeliche.
Non c’è libro, se non rarissimi, che possa resistere più di un anno come fama. Il sistema non lo vuole, c’è bisogno del nuovo a ritmo continuo.
Ecco: l’editoria stessa per sopravvivere ha necessità eionomica di dar di fuori ‘na marea de scartafacci, di vario gusto, al peperoncino, alla cipolla e a quattro stagioni purché si venda: olè.
Che vogliamo fare?
A me ‘sto panorama mica mi piace, però il gioco è così, i libri sono diventati pizzette, buona parte, almeno.
MarioB.
@ Zauberei
b) Hai scritto: “Su Letteratitudine non di rado ci chiedi di riflettere, su dichiarazioni di chi dice che il mercato condiziona in peggio la produzione culturale, che la situazione è peggiorata, che ci sono le montature dell’industria che gonfiano dei casi editoriali ad arte. La struttura di quei post invita a dire oyoyoyoy l’è vero. (…) La sensazione, almeno mia, è un generico aroma di rimpianto, per qualcosa di imprecisato.
–
Non sono d’accordo (ma può essere che mi sbaglio). Potrebbe essere l’esatto contrario (del resto i primi commenti – nella fattispecie – vanno proprio in questa direzione).
Quando riporto dichiarazioni di altri mi sforzo (e sottolineo “mi sforzo”) di mettere sul piatto degli argomenti, o occasioni di dibattito, in maniera neutra. Con l’intento di non influenzare nessuno. In genere esprimo le mie idee più in là, a dibattito avviato.
Tranne (è ovvio) quando decido di scrivere un post dove esprimo un mio pensiero (che in quanto tale è opinabile).
In post come questi non faccio altro che riportare (per poterne discutere assieme) le “discussioni” più interessanti che nascono sulle pagine culturali dei giornali e che qui – on line – possono prendere più vita.
Peraltro è anche un modo per tenere aggiornato (a chi interessa) sull suddette “discussioni”.
Tornando alla tua legittima critica, cara Zauberei, ti dico che se avessi avuto la pazienza e la disponibilità di leggere il post per intero ti saresti imbattuta sulle “Vespe” del Domenicale del Sole 24Ore che punzecchiano a dovere Balestrini.
E allora, forse, mi avresti rimproverato dell’esatto contrario.
Ma va bene così.
Mi piaci riottosa come sei.
🙂
@ cf05103025
Grazie mille per il suo commento.
E complimenti per il nick.
🙂
Leggendo l’intervista c’è un passaggio che vorrei contestare sia a Balestrini che a Cortellessa (che spero ci legga).
Lo farò in seguito.
Ora devo chiudere.
A più tardi e buon pomeriggio.
Sono d’accordo con l’intervento di Mario. Il numero degli intellettuali si è moltiplicato come i pani e i pesci, il livello di istruzione e di alfabetizzazione in Italia è molto elevato rispetto a quaranta anni fa. Internet dà la possibilità a tutti di gridare forte le proprie ragioni. Lo stesso vale per i responsabili dell’industria cartacea che hanno trovato il modo di dare visibilità ai loro prodotti. I libri sono prodotti di consumo, come le saponette, la pasta Barilla ecc ecc. Guai se non fosse così. Cosa vorremmo farne degli oggetti da lustrare in bacheca? O lasciarli a prendere polvere nei magazzini sotterranei delle Case Editrici? Si fermerebbe un ingranaggio che dà lavoro a migliaia di persone. Guai per un piccolo o medio editore che sbaglia a pubblicare tre titoli di seguito, i conti cominciano a segnare rosso. Io credo che alla fine i valori emergono e se uno scrittore è una bufala il bluff non può durare a lungo. Però è anche vero che un romanzo, valido per quanto si voglia, se non è sorretto da un lancio mirato difficilmente riesce a fra breccia nel mercato, Voglio portare un esempio che ho tastato con mano. Anni fa, noi di Terzo Millennio, pubblicammo uno scrittore siciliano, tal Roberto Mistretta da Mussomeli, autore di un giallo interessantissimo, scritto con maestria, che toccava temi estremamente crudi. Essendo noi una piccola Casa Editrice siciliana, con una distribuzione limitata, faticammo a veicolare il romanzo per quel che meritava e le vendite furono piuttosto modeste. A distanza di anni lo stesso romanzo, pubblicato in Germania con una delle migliori Case editrici tedesche ha venduto 30.000 copie. Lo stesso successo sta riportando in Italia ristampato dalla Cairo. Il libro non era buono prima? No. Occorrono le giuste azioni di lancio per far emergere il valore di un’opera letteraria.
grazie, ma,
senza vis polemica contro Balestrini,
voglio aggiungere che detesto ‘sto termine “buonismo”, che non so ancora francamente che significhi: è ambiguo, brutto, adatto a tutte le stagioni e da uno scrittore ci si aspetterebbe di altro, qualcosa di più preciso, che colpisca nel segno.
Rassicurare gli altri che il gusto loro va benissimo sarebbe al massimo adulazione o piaggeria ai fini commerciali.
E poi, il discosro sul gusto è ampio, profondo, vario legato alla psiche dei fruitori dei prodotti, mica è immoblile: ci sono libri che non ti piacevano a vent’anni e poi, magari, li veneri a quaranta.
Ho conosciuto uno che a trentanni gettò in una pattumiera er Pasticciaccio brutto, po’ a cinquanta se l’è già letto tre volte, il tale, ecco.
MarioB.
@Massimo
Anch’io ho provato disagio a leggere l’intervista che in realtà pare scritta,domande e risposte, direttamente dallo scrittore e poeta Nanni Balestrini per la veemenza, post elezioni, questo è quello che ho percepito: riconosce che la famiglia assolve e il giudice ha la bontà d’intervenire a favore dell’espiazione, ma per che cosa forse Lui ha commesso?
E tanto meno la società in cui Lui vive, poeta e scrittore, deve espiare secondo il suo giudizio? E’ tutto qui!:la società si trasforma nel tempo e supera anche le ideologie forti e sa professare la società, il libero arbitrio e il giudizio critico a tutto tondo:perché vivere nell’ignoranza, in alcuni momenti della nostra vita, ci può dare lo spunto di capire, anche, l’infelicità di chi professa certezze e distinguo gratuiti.
Secondo me!
Luca Gallina
P.S. Ciao Zauberei,come stai?grazie per il tuo intervento!
Frase da colica: «Non sopporto la moda della cultura di massa. Una cosa è studiarla, o appropriarsene al quadrato; altro questo godimento snobistico che ha avuto effetti deleteri sul gusto. In fondo è buonismo pure questo. Rassicurare tutti, convincerli che i loro gusti vanno benissimo, che non vanno educati in alcun modo».
1) Appropriarsene al quadrato: che sei, un ultracorpo? a proposito: mi dica il signor Balestrini quali metafore/figure significative egli ha introdotto nell’italiano e che hanno attecchito. Idem vale per Arbasino: che, devo aspettare lui per elevare lo zombi a figura letteraria?
2) Inutile dire che la seconda parte è paternalismo bello e buono. E la domanda: ma in nome di che, mi fai la paternale? Di principi? Di risultati? O semplicemente di “rendta di posizione”?
Il problema delle dinamiche e delle potenzialità della cutura di massa non è nemmeno lotanamente analizzato, viene banalmente stigmatizzato.
(rendta=rendita)
Un saluto a Salvo Zappulla e a Luca.
@ Mario B. (alias cf05103025)
Le vis polemiche contro le opinioni di Balestrini sono più che accettate. Purché le polemiche siano costruttive e motivate. E soprattutto purché le polemiche non siano offensive o irrispettose nei confronti di persone e opinioni (vedi “avvertenza” sul lato sinistro del sito).
Del resto non mi pare che Balestrini abbia mai avuto paura delle polemiche.
Balestrini non ha mai avuto paura, invece io sì,
anzi sono paurosissimo,
per cui mi emendo,
e dico ancora solo, tanto per rompere, che si poteva parlare del “compiacere” il grosso pubblico, più che del buonismo.
( dopo due ore m’è venuto il termine, orca…)
MarioB-)
Mi manca il nesso tra il conoscere quale sia il libro più venduto e l’esempio di McDonald. Dove sta scritto che il più venduto debba essere il migliore? Una cosa è avere un’informazione sulle vendite, un’altra il giudizio.
I buoni non esistono più? Ma che film vede Balestrini?
Si parla di buonismo. Secondo me è solo un’etichetta di comodo, dietro la quale c’è ben poco: la realtà forse è un pochino più complessa. Esiste anche un cattivismo?
Su molte altre cose dette nell’intervista posso anche trovarmi d’accordo con lui, ma nell’insieme debbo dire che non lo capisco molto, perchè non riesco a comprendere bene i suoi parametri di giudizio, i criteri che applica, e a condividere le premesse da cui parte per le sue analisi.
Errata corrige: “I buoni non esistono più ?”… naturalmente intendevo i cattivi.
E già che ci sono preciso che dietro il termine buonismo “c’e ben poco” perchè si tende a metterci un pò di tutto (che è come non metterci niente). Il termine è sciocco perchè alla fine è vuoto.
Finalmente pane per i miei denti (i canini soprattutto). Adesso devo fuggire perche’ stasera qui a Lubiana ho la serata incontro-festa di presentazione pubblica del romanzo di Marani che ho postfato e io e Veronika (che lo ha tradotto) dobbiamo esserci; ma piu’ tardi… preparati Nanni & co…
@Zauberei scrivi: ‘non vedo perché oggi il mondo popolare non dovrebbe essere altrettanto interessante’ Secondo me, il mondo popolare non può più essere interessante perché non ambisce più, come una volta, a elevarsi, non mira più a crescere, ma, quando va bene, si accontenta di guazzare e non credo sia così interessante osservare il porco nel brago, basta autosservarci nelle nostre intimità.
Il concetto di ‘osservazione popolare’ è morto col 68, quando i collettivi parlavano di ‘rovesciare l’ottica’ e, puntato il canocchiale alla rovescia, si sono persi nel macchiato e sfocato che l’uso sbagliato delle lenti provoca. Io cercavo di essere platonico, e continuo a cercare di osservare il mondo sub specie aeternitatis, ottica che non ti farà mai partecipare al grande fratello ma ti può far capire la fratellanza.
Balestrini, secondo me, come tante persone intelligenti ma anziane, osserva l’omologazione odierna con fastidio, e bisogna capirlo: come diceva un romanziere francese, la vecchiaia non è sopportabile senza ideali o vizi.
Caro Nanni Balestrini ti saluto,
ci “conosciamo” dai tempi della Farfalla Luisa, Zoooom, e su quel sito pubblicai, grazie a te, i miei PRIMITIVI interventi: benvenuto su Letteratitudine!!!!
Ho letto la tua intervista e concordo quando affermi che “Allora il ristorante migliore è McDonald’s!”. O cuciniamo in proprio, oppure decliniamo verso qualsiasi piatto pronto, tanto non c’è differenza. Penso che l’Arte sia tutta da reinventare, partendo da una didattica, che dalla mescolanza di mestieri e impulsi, condita con le spezie della riflessione, ci riconsegni una nuova via, un processo pedagogico capace (e solo nel sentimento dell’Arte è possibile) di raccogliere ed esprimere nuovi passi. Una tendenza necessaria che vada oltre i “sistemi,” divenuti ormai solo una raffinata forma di politica turistica. Dai tempi della Farfalla, ho continuato, anzi perserverato, in una mia personale ricerca di Classi d’Arte; instancabilmente ho proposto progetti ad amministratori e in ogni luogo dove questo mi è sembrato possibile. Infaticabilmente ho progettato percorsi, ho inventanto parchi, luoghi aperti agli incontri e alle commistioni. Ho disegnato moltissimo!!!! Ma, che tristezza, questo nostro paese capace solo di rinnovarsi in una burocrazia spenta, bulimica e obsoleta. Forse queste elezioni, con il loro strambissimo esito, possono favorire il grande ripensamento. Non è più tempo di gruppi, ma l’emergenza impone una formulazione; partiamo dall’Arte,declinata nelle sue possibilità di comunicazione, fascino e bellezza. Ho continuato ad occuparmi di scuola e di osservazione; da Zoooom ad oggi ho realizzato molti progetti, aggiungendo, ogni volta, qualcosa. E’ difficile lavorare nella scuola, ma quando si riesce a cogliere quella piccola, flebile possibilità d’interazione con chi ci lavora, aprendo o demolendo i frammezzi del “pedagocichese”, ci si sente, nonostante le difficoltà, su una nuova strada! (dove ci porterà, lasciamolo fra parentesi)
Ancora, benvenuto, su Letteratitudine.
Il rischio di combattere il “nazional-popolare” a colpi di elitarismo snob è sempre dietro l’angolo.
Probabilmente il gruppo ’63 fu dirompente e innovativo, senza trascurare il gusto della provocazione.
Non so, quindi, quanto sia provocatorio o sincero il discorso di Balestrini.
Io, demagogissimamente, non riesco a vituperare i milioni di lettori di Harry Potter, così come non ammetto il bisogno incodizionato di genuflettermi al cospetto di Moravia.
Continuo a pensare (almeno a gusto mio) che i libri inutili siano quelli senza un perché, senza un briciolo dell’autore dentro al libro medesimo e profondamente narcisisti.
Me ne fotto la fava dei libri che scalano le classifiche, ma mi rifiuto di trovare belli per forza i romanzi che vendono 25 copie.
Il preconcetto non è avanguardia nè progresso. E’ snobismo da 4 soldi. Lo dico in generale, ovviamente, perché non conosco il pensiero completo di Balestrini.
E, sempre in generale, dico che quando si critica sarcasticamente (ancorché sinceramente) un intellettuale è meglio evitare di sparpagliare apostrofi come lo zucchero a velo per il pandoro.
Vi ringrazio per i nuovi commenti. Devo scappare, ma più tardi interagirò con alcuni di voi.
Ribadisco il concetto espresso prima: accetto commenti polemici, non accetto commenti offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni (in tal caso sarò pronto a intervenire con tagli, modifiche e rimozioni da “avvertenza”).
Ma so già che non ce ne sarà bisogno.
🙂
Miriam dà il benvenuto a Nanni Balestrini. Io lo dò ad Andrea Cortellessa (anche se forse non è la prima volta che ospito un suo intervento).
A dopo.
gran bel blog, complimenti
– Come capita in alcune imbarazzanti occasioni, mi trovo d’accordo con Gregori, l’uomo con più tendini che neuroni.
– Saluto Luca Gallina e ni ci dico – grazie pure a te! Io sono in vacanza a Parigi a sbafo! Meglio de così? Te todo bièn?
– e domani è pure er compleanno mio.
– Massimo ti ringrazio:)) sono contenta di essere polemica ma insomma nei limiti consentiti dall’umano! Comunque concordo molto sulla tua distinzione a proposito della questione dell’intellettuale, riferita agli oggetti piuttosto che alle presunte e non concesse qualità del soggetto. Non è che mancheno l’intellettuali cretini – ma sono dissimulati.
Sul resto – ti confesso – non sono convinta.
– Gianmario, non mi convince questo tuo ragionamento. L’idea che si scriva o si producano dei significati per elevarsi è mitologia – chi scrive e produce senso lo fa per dar retta a un’urgenza spesso molto ma molto meno nobile. La complessità e la qualità estetica sono derivati alchemici molto complessi – e non a caso ci si scanna in proposito da molto tempo. Sulla questione dello sguardo sulla produzione popolare – ma guarda, un certo tipo di sguardo colto il sessantotto non sa manco che d’è: la grande storiografia francese, i vari Pirenne Bloch, so fioriti prima, i cultural studies invece molto dopo. Anche perchè ciò di cui parli te si riferisce a un’area circoscritta e di ispirazione sostanzialmente marxista. Invece oggi la questione è un’altra, E’ il riconoscimento di una complessità – capita che esploda in posti impensati – quasi malgrado se stessa.
In questi giorni ho letto, per esempio, un Aldo Grasso – la tv del sommerso, un’indagine sulle televisioni private. Ecco, un territorio dove, accanto a delle cose persino ultree per quanto sono kitch, ci possono essere dei prodotti interessanti e di qualità.
difficile non essere d’accordo con gregori, stavolta.
peraltro, io da terricola precisina, gradirei una definizione di ”intellettuale” che non sia a sua volta viziata da pregiudizio.
ho sempre ritenuto che intellettuale sia persona di vaste (ma veramente vaste, e ben digerite) e buone letture e munita di neuroni funzionanti.
all’interno della categoria trovasi di tutto: dal pieno di sè che pontifica allo ieratico asceta. poi anche persone che riescono a non perdere il contatto con la vita. non tantissime, ma in che categoria ce n’è molte?
poi ci sono i tuttologi opinionisti di professione, che di intellettuale non hanno nulla se non le arie.
non riesco a non provare rispetto per l’intelligenza e la cultura vera, comunque vengano declinate. posso non essere d’accordo su alcune cose o anche molte, ma chapeau.
personalmente preferisco coloro che adeguano il linguaggio all’interlocutore, che sanno scendere dalla torre d’avorio e sporcarsi i piedi nel fango. ma la funzione delle avanguardie vere è essenziale, e non possiamo perdercela per uno stupido principio.
qualcuno mi aiuti, per favore.
Sono d’accordo con Zaub e con Enrico.
L’arte è ricerca del senso. Delle risposte ma anche delle domande. Ed è spendersi per questo senso, “sporcarsene ” le mani. Non mi piace leggere una pagina dietro la quale non c’è nessuno. Non mi piace la perfezione formale e anche geniale se non sento e non mi emoziono. Se non vengono coinvolti il cuore e la mente.
Può avvenire a più livelli, certo. E può avvenire anche con linguaggi che oggi suonano nazional popolari e forse domani apriranno strade di sperimentazione.
Quando Pietro Aretino scrisse il “ragionamento della nanna” gli intellettuali dell’epoca storsero il naso e gridarono allo scandalo perchè l’artista sconvolgeva regole e linguaggio, sovvertiva canoni formali, ma soprattutto parlava e faceva parlare i suoi personaggi con una naturalezza e una volgarità – anche – che mandava in visibilio il popolo.
Probabilmente era nazional popolare e tuttavia in quell’adeguarsi ai gusti c’era intuzione geniale e di fondo: cogliere ciò di cui in quel momento si sentiva il bisogno. Anticipare un passaggio.
Quando ciò accade, quando un’opera o un autore sono in sintonia col serpeggiare di una ricerca che si manifesta proprio attraverso le loro parole, proprio attraverso la loro arte, ecco, credo che non abbia importanza etichettare un’opera come popolare o meno.
Se semina, se accende e crea, se apre nuove strade, nuovi linguaggi, perchè no.
L’arte deve somigliarci.
@ Zauberei
1) Tu devi essere pazza. Sei a Parigi e ti metti a scrivere qui sul blog?
Ti consiglio di rivolgerti a qualcuno che si interessa di psicologia. Anche per un semplice consiglio.
🙂
–
2) Cos’è esattamente che non ti convince?
Premetto che posso sopravvivere anche con le tue non-convinzioni, ma… parliamone. Vuoi?
Se le tue non-convinzioni mi sembreranno convincenti farò in modo che tu possa trascorrrere il tuo compleanno a Parigi.
–
3) Auguri di Buon Compleanno, con un paio d’ore in anticipo, da parte mia e di tutti gli amici di Letteratitudine.
Mi sono consultato con qualcuno degli altri e pensavamo di regalarti un viaggio a Parigi. Poi abbiamo desistito. Qualcuno ha fatto notare che saresti così pazza da rinunciare alle passeggiate à les Champs Elysée pur di scrivere qui.
Auguri, Zau
🙂
@ Gea
Hai scritto: “difficile non essere d’accordo con gregori, stavolta”.
Il tuo “stavolta” mi ha fatto ridere.
Però sono d’accordo con te. Se con Gregori è d’accordo persino Zauberei vuol dire che ha proprio ragione (Enrico, intendo)!
Poi si aggiunge anche Simona… a questo punto il commento di Enrico è inattaccabile.
–
Scherzi a parte, sono molto d’accordo con te sulle “torri d’avorio”.
Poi dici: ma la funzione delle avanguardie vere è essenziale, e non possiamo perdercela per uno stupido principio.
Giusto! Ma quali sono le avanguardie vere e essenziali?
Non certo i Cannibali, voglio sperare.
Che ne dici?
ecchennesoooo…
sono mica un’intellettuale, io
🙂
@ Simo
Mi è molto piaciuto il tuo commento. E il tuo esempio su Aretino mi pare calzante.
Brava!
Però la verità non è sempre univoca. Voglio dire che può accadere anche il contrario.
Ti riporto un passaggio estrapolato da un recente saggio di Massimo Onofri: “La ragione in contumacia” (forse l’avevo già riportato non ricordo).
–
(…) il critico vero è colui che ha il coraggio di non cedere ai conformismi. Ciò è vero oggi così com’era vero un tempo: “Quando Guido Da Verona, nel 1911, pubblica il suo primo grande successo, “Colei che non si deve amare”, sa dare assai bene espressione ai pruriti erotici, alla blanda e conformistica voglia di trasgressione dell’estetizzante borghesia italiana. In quegli stessi anni Federigo Tozzi – ma anche Luigi Pirandello –, completamente ignorato, stava scrivendo alcuni suoi capolavori. Il pubblico canonizzava Guido Da Verona. La critica migliore – Giuseppe Antonio Borgese – riconosceva tempestivamente la grandezza di Tozzi. Chi ha avuto ragione?”
–
Forse chi si arrocca dietro posizioni estreme (non è il nostro caso) e dall’alto della Torre d’Avorio a cui faceva riferimento Gea rischia di sbagliare.
Tu che ne dici?
@ Gea
Tu sei intellettualissima! Prenditi le tue responsabilità o sbandiererò ai quattro venti che leggi mediamente due libri a settimana.
🙂
@ alfredo melloni
Grazie mille per i complimenti e benvenuto a Letteratitudine.
Partecipa alle discussioni se ti va.
@ Enrico Gregori
Il tuo commento di oggi è molto gettonato. Ti consiglio di leggerlo più volte e impararlo a memoria.
Grazie Enrico
🙂
@ Miriam
Perché non ci racconti qualcosa della tua esperienza con Balestrini ai tempi della Farfalla Luisa e Zoooom?
massimo, tesoro.
se per essere intellettuali bastasse leggere quello che leggo io..
per la categoria degli intellettuali so troppo poco.
per quella degli opinionisti forse troppo.. 🙂
sto nel limbo dei lettori accaniti, che nulla sono se non recipienti.
p.s.
secondo me il gruppo 63 era avanguardia vera.
per gli stessi motivi per cui picasso era un genio. e il primo taglio di fontana arte pura. (sul secondo ho già qualche dubbio..) 😀
per tacer di manzoni (non quello dei promessi sposi, l’altro) e le sue scatolette.
l’uomo aveva capito tutto.
@ gea
almeno quel manzoni lì la merda la chiudeva nei barattoli. alcuni non disdegnano di pubblicarla. ma, per ribadire, non riterrò mai una cacata un libro che rappresenta comunque uno sforzo dell’autore di raccontare qualcosa agli altri.
@ Balestrini e Arbasino (qualora dovessero passare da queste parti).
–
Riporto questa frase: “c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato. Ha ragione Arbasino, che senso ha sapere qual è il libro più venduto? Allora il ristorante migliore è McDonald’s!”
–
Sul fatto che c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato non ci sono dubbi. Ce lo siamo detti più volte anche qui.
Sono un po’ perplesso sul senso della domanda che senso ha sapere qual è il libro più venduto?. E sul parallelismo con McDonald’s!
In verità il parallelismo è chiaro: se partiamo dal presupposto che il libro più venduto sia il migliore, traslando il discorso sul settore della ristorazione si può sostenere che il il ristorante migliore sia (appunto) McDonald’s (campione d’incassi).
Ma chi ha mai sostenuto che il libro più venduto sia il migliore? Chi può sostenerlo? I primi posti in classifica non fanno i libri migliori (ma nemmeno l’attribuzione dei premi letterari, se è per questo). Tuttavia non possiamo neppure escludere per principio che un libro primo in classifica sia un ottimo libro.
Facciamo l’esempio del vostro collega (di Gruppo ’63): Umberto Eco.
Il fatto che “Il nome della Rosa” abbia sbancato tutte le classifiche non rende il libro migliore o peggiore di quello che è.
E poi la valutazione di un libro dipende senza dubbio anche dal gusto personale (non solo da quello, certo). E questo vale tanto per il lettore, quanto per il critico militante.
Semmai la domanda è: la classifica può influenzare i gusti? E se sì, fino a che punto?
E in conlusione: a cosa serve sapere qual è il libro più venduto?
Intanto dà un’indicazione, un segnale su come si muove il mercato editoriale. Che piaccia o no.
E già questo, a mio avviso, è qualcosa.
–
Chiudo con una battuta (ma solo per sorridere insieme):
Parafrasando la celebre frase di Andreotti (il potere logora chi non ce l’ha), mi verrebbe da dire: “la classifica infastidisce chi non ci entra”.
Ora sorridete!
🙂
manzoni voleva sottolineare come la critica alle volte esalti qualunque schifezza purchè abbia parvenza d’arte di élite e di rottura.
e quindi alla fine quello che dicono massimo, enrico, zaub etc è sacrosanto: la classifica di vendita è totalmente ininfluente su un giudizio di qualità, in bene o in male.
è come la storia del grande cocomero: il migliore orto di cocomeri non è il più trendy, o il più bello da vedere, o il più frequentato, ma il più sincero.
@ massimo:
sorrido, anche perché in parte hai ragione.
io faccio una considerazione che, ovviamente, parte da un mio punto di vista.
E’ comprensibile e naturale che chi scriva un libro sogni, aspiri, gradisca di andare in classifica.
Non condivido, però, scrivere un libro con l’obbiettivo prioritario (se non unico e irrinunciabile) di entrare in classifica. Ciò, tutto sommato, anche a tutela del morale dell’autore, perché la disillusione è dietro l’angolo. Dato che la realtà non è Umberto Eco, nè Faletti, né Camilleri, nè la Rawlings.
La realtà è che quando un editore (anche grande) di un libro vende mille copie, poi stappa lo spumante.
@ Massi…chi si arrocca su un giudizio estremo nella letteratura come nella vita si perde – a mio avviso – molte e variopinte sfumature…E questo vale sia se l’arte asseconda gli umori della massa sapendo interpretarli, sia se li suggerisce in modo che – in un secondo momento – sia invece il pubblico a farli propri e a scoprirli sentendoseli cuciti addosso.
L’importante è che questo flusso dalla parola alla vita e dalla vita alla parola sia aderente al cuore umano. Che lo rappresenti e che gli dia una voce. Che lo rimandi svelandone non dico il mistero, ma l’incontenibile – ostinato – palpito.
In questo caso io sento che l’opera d’arte è autentica.
Che non cede a quello che giustamente Enrico chiamava narcisismo.
E’ avanguardia tutto ciò che anticipa questa scoperta e in qualche modo offre strumenti nuovi per interpretarla.
Aggiungo che la battuta di cui sopra era riferita soprattutto a me.
Confesso che a me piacerebbe entrare in classifica… ma temo che l’evento non accadrà mai.
E sono molto, molto infastidito.
Davvero.
🙂
Mi rifarò sbafandomi un McChicken da McDonald’s.
—
Via, un po’ di leggerezza non guasta.
@ Enrico
Hai scritto: “Non condivido, però, scrivere un libro con l’obbiettivo prioritario (se non unico e irrinunciabile) di entrare in classifica.”
Hai ragione da vendere… ce lo siamo detti altre volte. Del resto credo che scrivere un libro con l’idea di entrare in classifica sia quasi impossibile. Altrimenti quasi tutti entrerebbero, appunto, in classifica.
–
Scherzi a parte… credo che sul fatto che la qualità e la bellezza di un libro prescinda dalla sua posizione in classifica siamo tutti d’accordo.
E credo che sia d’accordo anche Nanni Balestrini.
@ Simo
L’importante è che questo flusso dalla parola alla vita e dalla vita alla parola sia aderente al cuore umano. Che lo rappresenti e che gli dia una voce. Che lo rimandi svelandone non dico il mistero, ma l’incontenibile – ostinato – palpito.
In questo caso io sento che l’opera d’arte è autentica.–
Bello!
🙂
@ Simona:
si potrebbe parlare anche di Mozart! Il flauto magico è un’opera straordinaria, eterna e semplice, amata subito dal popolo e dopo anche dagli “intellettuali” , che quando si identificano in una categoria sono sempre dei conformisti.
@ Massimo:
Il mio approccio con internet è avvenuto con la Farfalla Luisa (Nanni Balestrini e Maria Teresa Carbone). Sito ricco di presenze, informazioni, approfondimenti e proposte. Ci scrivevano dei grandi nomi. Inizialmente legato alla Rai, subì poi delle trasformazioni, sfociando, in seguito in una “rivista a pagamento”; un abbonamento annuale avrebbe dovuto consentire la copertura delle spese di gestione. Uscirono 10 numeri e poi fu chiuso. Nei primi numeri , fra i racconti inediti e di grande qualità, ne ricordo uno su Peter Ustinov, gustosissimo e veramente particolare. (sarebbe bello rileggerlo, anche qui su Letteratitudine, magari puoi chiedere??!??!)
Non c’era il blog, chi voleva scriveva alla Farfalla Luisa: è così che raccontando della mia esperienza a scuola, i miei primi primissimi tentativi di comunicazione furono pubblicati lì, sotto le ali di Zoooom. E la Farfalla Luisa mi correggeva anche gli errori!
🙂
@ Gea
Hai scritto: “secondo me il gruppo 63 era avanguardia vera”.
–
Sono d’accordo, almeno nel senso che – pur nella sua eterogeneità – ha svolto una funzione importante.
@Massi: Faccina e notte!
Grazie Miriam.
Buonanotte a te, Simona.
E buona notte a tutti voi.
a proposito di 63:
erano altri tempi! Erano tempi di certezze e inconguenze manifeste, erano tempi “facili”, i pensieri e le volontà seguivano, nel bene e nel male, delle logiche, fluide. Come nell’arte figurativa. Erano anche i tempi dei piccoli numeri ; un architetto dialogava “piano” con uno scrittore ed era subito una costruzione “rampante”. Oggi, nelle stanze del Manovar (anche io cito Gregori), ognuno manovra per il proprio business, incrociando le dita nella speranza che tenga la baracca .
Felice Notte a tutti.
Buongiornissimo Massimo!
So sempre a Parigi e so sempre pazza:) ecco perchè scrivo sur blog! Ma c’è da dire che vengo qui una volta all’anno, almeno, e insomma come si dice, so de casa ecco.
– volevo dire un paio di cose ancora sulla questione libri mcdonald. Fermo restando che ho una passione sfrenata per MCDonald, e rientra nelle mie perversioni maxime, insieme a Beautiful, sephòra, e la letteratura chip dei primi del ‘900. Per dire, l’ineffabile Annie Vivanti.
Annamo ar sodo.
Mi sembra che si debbano distinguere dei piani di analisi, che spesso vengono invece ammischiati, o mal utilizzati, in conseguenza del principio da te saggiamente adombrato: la classifica logora chi non ce l’ha. Vorrei continuare riottosillamente con la metafora MCDonald che mi è molto cara, e sulla quale posso offrire delle sofisticate competenze eh. Semo o nun semo intellettuali???PPPP
Dunque, metafora:
.
Io sono una buona forchetta, nel senso globale del termine, cioè sia in termini di orizzontalità (magno tutto – solo con una certa resistenza per le cose sane e le cose verdi) sia in termini di verticalità (cioè amo imparare a distinguere un’anatra all’arancia veramente buona da una rotolata nell’olio pella maghina) volendo anche in termini di obliquità (magno nordico, suddico, messico, etiope arabo, giudio e so aperta a tutte le culture). Sono insomma gioiosamente onnivora.
Con le evidenti conseguenze del caso.
Ora, quando vado da MCDonald, io so che troverò una serie di cose: la prima, come mi garantiscono un paio di amici intellettuali che in quanto tali – hanno da arrotondà con un lavoro sicuro – è una ottima qualità della merce: non ci crederete ma da McDonald è tutto freschissimo, se si risparmia è sul personale. Dunque, c’è questo primo dato su cui riflettere: ovvero sia la selezione della materia prima. Poi c’è il dato numero due su cui riflettere: che tu vai a Parigi che tu vai a Roma, che tu vai in Ungheria MCDonald ha sempre lo stesso sapore. Ho registrato delle blande variazioni ner MCDonald israeliano (koshermcdonald!) e in quelllo canadese che per legge devono stracuocere la carne. Ciò dipende dalla formattazione del prodotto, e del personale ad esso deputato. Per il nostro palato potremmo dire – la linea scelta dalla casa produttrice in termini di editing.
Poi c’è il costo. Sempre molto basso: ovunque un menù colle patatine fritte (ah le patatine fritte di McDonald! idea platonica della patatinafrittità!) un panino e una coca viaggia sui sei euro. ogni tanto McDonald propone delle varianti sagacemente epurate da eccessive connotazioni culturali, di cibi tipici. Secondo me, un’operazione di scarso successo, ma ci sono stati periodi di china mcdonald, russian e mexico. Orrendezze – perchè la figata di McDonald è la medietà originaria. teoricamente americana, ma stante lo strapotere dell’america, oggi neutralizzata a anteriore logico di qualsiasi esperienza mangereccia.
Poi c’è l’immagine, il target, la campagna pubblicitaria: piccoli borghesi a noi! La M è quella della mamma, all’interno dei ristoranti ci sono i seggioloni per i bambini, la pulizia è sempre garantita e la plastica c’è ovunque. Non si vende pensiero, non si vende coscienza, non si vende ampliamento culturale, non si vende raffinatezza, non si vende un ceto sociale, si vende più modestamente allegria. Perciò: se vai dall’etiope sei aperto de vedute e de sinistra, se vai alla Pergola sei un ricco vero, se vai da McDonald sei solo uno stronzo di buon umore.
Poi c’è il doppiocheesburher.
Ora, nel 2000, qualsiasi prodotto non solo industriale ma anche individuale, come può essere persino il messaggio che sto scrivendo, ha addosso a se questa stratificazione di chiavi inpterpretative: materia prima, costi, intenzioni, editing, target, campagna pubblicitaria, e certo alla fine c’è esso stesso oggetto come qualità. Ma l’impatto che ha un prodotto su il mondo che incontra è sempre il derivato dell’alchimia di tutte queste cose. Immagino che possa esserci un fattore, che potremmo considerare la somma do tutti questi dati, e che determina il successo dell’oggetto. Quando poi l’oggetto in questione continua ad avere successo, vuol dire in ogni caso che ha qualcosa in più – derivato dalla miscela di quei singoli fattori – ed è la sua capacità di flirtare con un certo momento storico. In questo senso, McDonald, Harry Potter, e la Smart, hanno la capacità di flirtare con un tempo, con qualcosa di anteriormente psichico non immediatamente tangibile. Una necessità che il mercato ha scovato senza aver necessariamente letto dei saggi der Ferrarotti (ma meno male, è na’ pippa er Ferrarotti). Per mio, poche cose mi affascinano come la storia di vicende economiche di certi prodotti. Nel comasco per esempio i calzettari con la questione delle donne che portavano i pantaloni stavano tutti a fallì, poi uno de questi, sull’orlo della bancarotta ebbe la pensata delle calze coprenti colorate: il signor Calzedonia, che oggi ha negozi anche a Lisbona, e qui, a Parigi.
–
Tornando ai libri e uscendo dalla metafora, pur tenendo la porta aperta.
Io credo che per valutare un libro, e le sue vicende sul mercato, dovremmo: partire da onnivori (leggere tutto, senza distinzione, e partendo quasi da ignoranti), analizzare tutte le componenti che lo definiscono in termini di sociologia economica, osservarne l’impatto sul mercato dei lettori nella lunga durata, e separatamente analizzarne la qualità con un occhio a quelle vicende, e con un occhio al prodotto singolo. Camilleri è uno scrittore interessante, a prescindere dal fatto che venda molto. Ma se vende molto è perchè quella sua interessantità ha flirtato con una necessità della cultura media italiana – la necessità per esempio di una specificità culturale, di una poetica del dialetto, di un mondo ribaltato. Più scrive, e più codeste specificità purtroppo si annacquano, e in questo il prodotto editoriale ahimè si corrompe. Tra il Birraio di Preston e l’ultimo Montalbano c’è ahimè una voragine. Ma non possiamo negare, solo perchè nun semo in classifica e oyoyoyoy l’industria culturale, che gli ingredienti sono buoni, l’editing è interessante, la cucina non è male, e la Sellerio una casa editrice interessante.
Sarebbe idiota.
Buona giornata:)
Questa zauberei, pe’ essere n’intelletuale scrive assai fluente!Caspita
@Zauberei
Buon compleanno, sei maggiorenne?
La tua analisi come sempre è politically correct, ma è più vicina al mercato che all’autore, questo secondo me: e questo mi sta bene, ché se l’autore non scrive solo per se stesso deve rispettare il mercato con quello che consegue successo o insuccesso.
Ma la mia vera impressione, invece, è che trattasi sempre di vittima e carnefice: la vittima è lo scrittore e il carnefice è il mercato editoriale,e come mai direbbe un nostro comune amico di letteratitudine?
Il McDonal,intanto, risparmia sul costo del personale e non è detto che riesca a selezionare sempre bene le sue materie prime?
Grazie, e todo bién anche a te!
Luca Gallina
1) Auguri zaub !
2) I libri come il vino, o come i pasti del McDonald ? La quantità è nemica della qualità ? Yes, it is. Ma non nel senso (o non solo nel senso) che laddove uno scrittore diventa di successo e per vile pecunia inizia a produrre 1 libro a settimana, quanto soprattutto perchè l’offerta editoriale oggi ha confini non umanamente percorribili.
La verità è che non si può leggere tutto ciò che si vorrebbe e quindi ci facciamo un’idea, alquanto pallida, solo da quelli che riusciamo a leggere personalmente. Ed è come voler esprimere un giudizio sul quadro “la zattera della medusa” guardandone un centimetro quadrato in basso a destra.
p.s. in relazione a “1 libro a settimana” ogni riferimento a Camilleri non è per niente casuale…
@ Zaub…Buon Compleanno!
Per me il tuo post è eccezionale! Io adoro McDonald, le schifezze (anzi le schife, come dice mio figlio), la smart , Camilleri e non mi perdo un film o un libro di Harry Potter. Sono il massimo della banalità, lo so, e faccio le cose che fa mio figlio…tranne sputare per terra e scazzottare coi compagni.
@Buon compleanno anche da parte mia alla simpaticissima Zaub. Non è detto che qualità e quantità non possono camminare di pari passo. Camilleri ha nel cassetto ancora una ventina di manoscritti che in gioventù non voleva pubblicargli nessuno, quindi dovremo sorbirci ancora molte puntate del commissario Montalbano (come Beatiful).
@Simo. Dopo le straordinarie leccornie gustate a casa tua, come puoi nominare il Mc Donald? Aprila tu una catena di ristoranti, io mi propongo come degustatore.
Mizzica quanti bellissimi boni compleanno! Grazie a tutterrimi! Avevo fatto unna dichiarazione compleannica nella speranza de raccattà un quarche augurio – ma mica mi aspettavo sto quantitativo esaggerato! Grazie ancora:))))
Andando alle faccende libresche. Volevo dire alcune cose, prima di uscire per la città, onde evitare che Massimo mi mandi un TSO dalle italiche terre. Il problema mio è che sono blogorroica.
Io sono d’accordo su quanto dice Luca. Ma la questione è proprio nella confusione dei piani di analisi. Che si tendono a cortocircuitare, ovvero il piano di mercato e il piano della ricerca individuale e artistica – si finisce sempre col cadere nel tranello o della proporzionalità diretta o della proporzionalità inversa: so bravi è per questo che so famosi/sono bravi è per questo che non li pubblica nessuno. entrambe queste dicotomie sono troppo semplicistiche per un mondo così complesso e all’interno variegato. Non tutte le case editrici, come non tutti i ristoranti – per esempio – adottano la medesima politica editoriale, e le medesime strategie. o hanno la medesima ideologia di partenza. Un conto è “strade blu” un conto è “harmony” e un conto ancora è frassinelli. Io credo che il rapporto c’è ma viaggia su binari remoti e complessi, ancora parzialmente da scoprire. Per inciso, questo interstizio segreto da illuminare, è una cosa che mi appassiona tremendamente.
@Massimo
-Facciamo l’esempio del vostro collega (di Gruppo ‘63): Umberto Eco.
Il fatto che “Il nome della Rosa” abbia sbancato tutte le classifiche non rende il libro migliore o peggiore di quello che è.-
Aaaaaah! “Il nome della Rosa” è il migliore. 😉
Fra 200 anni si leggerà ancora “Il nome della Rosa” come si leggerà ancora “Il conte di Montecristo”. Non toccatemi i capolavori. 😉
Dimenticavo… Zaub, buon compleanno.
Auguri transalpini a Zauberei, spero sia in corso di shopping compulsivo sui Campi Elisi (quelli reali, non quelli metaforici, terque quaterque…) per festeggiare. L’amore per i libri non conosce frontiere nè dogane.
Abbiamo detto altrove dell’imperscrutabile mercato, mi pare. In effetti secondo il mio sommesso parere, non è un problema di qualità o meno quanto di originalità: si richiede oggi qualcosa che:
A) sia a qualche titolo in televisione o nei paraggi di essa, tipo la Ventura o i comici di Zelig o gli Amici vampiri della De Filippi;
B) sia facilmente vendibile a strati famelici della popolazione, tipo gli adolescenti che muovono più soldi di qualsiasi altra classe;
C) non si sia visto altrove.
La qualità è assolutamente incidentale: un fattore non richiesto, se c’è tanto meglio, se non c’è (ma ci sono A, B e C) va bene uguale. Ragion per cui, la casualità del prodotto libro di qualità è massima.
Circa le frasi epigrafiche di Balestrini, da condividere o meno che siano, mi suonano molto di “ai miei tempi…”, sono cioè gravate da molte ragnatele. Certo, meglio sarebbe se solo il prodotto di qualità arrivasse alla pubblicazione, e che l’unico ingrediente del successo (id est gratificazione economica e mediatica) fosse appunto la qualità. Ma così non è nè in futuro sarà, e allora veniamo noi, speleologi delle librerie, che completiamo le nostre ricerche; se qualcuno sta pensando “parla proprio lui, che ha scritto un pedestre pessimo romanzo” sono lieto di informarlo che sinora le gratificazioni suddette sono state assai limitate, pur ritenendosi il sottoscritto un fortunatissimo. Ben lungi dal poterci vivere, insomma.
P.S. Il cinema italiano mi sembra traboccante di cattivi: avete visto “Tutta la vita davanti” di Virzì?
@Maurizio de Giovanni
“e che l’unico ingrediente del successo (id est gratificazione economica e mediatica) fosse appunto la qualità.”
Ecco, è che la qualità non è un’entità che si misura con un metro comune, tipo ‘n’ ara, un ettaro, un kilo;
la qualità ( lettararia) è, o può essere, una dote che noi troviamo, apprezziamo con criterio solo personale o condiviso, in parte da altri.
Esiste la parola “gusto”, tanto o spesso presa a calci, che definisce ‘n’assonanza con certi nostri fatti interiori che ha remote origini.
Il gusto si educa pure, e lo si vede, ognidì,
ché alcuni interessati, scopo vendita, cercano di educarci al gusto di schifezze o consimili.
Loro battono, battono, anche sui blog e alla fine, magari, tu deduci o supponi o ha dubbi o trai conclusione:
Che abbiano ragione loro……?
Pochi anni fa andò in uso la tecnica seduttiva “capolavorista”,
alcuni bei tomi di case editrici andavano educando il gusto de le masse incolpevoli ché certi loro amici avevano compitato o scritto “capolavori”,
cioè, uno si diceva, magari:
Ma che abbiano scritto ‘na bella cosa davvero e comprava lo scartafaccio, po’ si trovava magari deluso,
magari dico…
MarioB.
Caro Maurizio de Giovanni,
non so se nel suo caso la qualità sia stata del tutto incidentale, l’unica cosa che posso dire è che a me è piaciuto tantissimo! devo averlo già scritto da qualche parte – non fa niente – che ” il senso del dolore” è a mio modestissimo parere un libro toccante e traboccante di umanità!
p.s. lei ha dimostrato ancora una volta che attraverso il “giallo” si può andare ben oltre la “paraletteratura” come dice Balestrini e poi che c’è di male nei libri da leggere in treno….io ho letto “l’idiota” in treno!
Un saluto
Stefano
@ simona
Va benissimo la smart, camilleri, potter ma ti prego macdonald, no!
Dico questo perché ci tengo alla tua salute( se lasci un hamburger dieci minuti senza cuocerlo diventa giallo, verde e poi viola e poi… gli spuntano delle escrescenze simili a zampette e se ne via di corsa per strada)
Ciao
Stefano
@Stefano
@Stefano
Che dirle? Grazie, grazie di cuore. Anch’io sono convinto che il cosiddetto “genere” sia una gabbia che impedisce di leggere senza pregiudizi un racconto o un romanzo, inevitabilmente orientando il giudizio del lettore. Non è naturalmente il mio caso, anche se sono veramente felice di averle tenuto un po’ di buona compagnia, ma alcuni tra i libri più belli della mia carriera di bulimico della letteratura sono stati appunto dei gialli (il grande Ed McBain, Simenon, Chandler, l’ironico Westlake eccetera).
@MarioB.
Condivido, ma addentrarsi nel territorio di cos’è la qualità è missione al di sopra delle mie forze. Volevo solo dire che per l’editore non a pagamento (chè quello non ha problemi a pubblicare anche l’elenco del telefono non di Atlantide) tra un libro brutto ma adeguato al mercato e uno bellissimo, ma più difficile a propinare alle schiere di spettatori della Ventura e della De Filippi non ha ahimè alcun dubbio.
Oggi, in campo letterario, prendono forma fenomeni di mercificazione per cui certi libri vengono lanciati quasi come si farebbe per un sapone. Questi sono aspetti vistosi delle nuove condizioni create dalla società di massa che riesce a produrre consenso attraverso massicci ed insistiti messaggi pubblicitari. Vi sono recenti grandi successi di cassetta in campo librario che hanno avuto fortuna proprio grazie a questi metodi. E’ una strada che porta, per la prima volta nella storia, a squalificare il libro come strumento di cultura e a trasformarlo in oggetto di consumo. Nella nostra società coesistono almeno due livelli di gusto alquanto diversi (ad esempio quello di livello poliziesco o fantascientifico) e i romanzi sperimentali di lettura spesso assai difficile che tendono a rivoluzionare le regole tradizionali. Ma non si deve credere che la distinzione tra prodotto di massa e prodotto di èlite corrisponda ad una distinzione di prodotto di qualità e prodotto scadente. La situazione è molto più articolata. Vi sono opere di fantascienza eccellenti, mentre vi sono spesso autori assai mediocri che si illudono di aver fatto qualcosa di grande perchè le loro opere risultano facilmente comprensibili.
E c’è anche, purtroppo, chi ritiene che il lettore non vada educato. Questo è, a mio avviso, un atteggiamento di comodo in quanto la buona lettura arricchisce intellettualmente e, conseguentemente, rende le persone “scomode”.
Maria Luisa Papini Pedroni
Buon pomeriggio a tutti.
Intanto un ringraziamento alla dott.ssa Papini che mi ha fatto pervenire il suo commento (vedi sopra) via email.
Poi…
… di nuovo auguri a Zauberei.
BUON COMPLEANNO!
E un consiglio: goditi Parigi e lascia perdere i blog. Per te sarà anche di casa ma… Paris c’est Paris.
Prima di leggere un libro, mi chiedo cosa contenga e se sia idoneo alle mie ambizioni cognitive e istruttive o anche semplicemente al mio stato d’animo nel momento di volerlo leggere.
Le classifiche m’interessano poco; le registro solamente come informazione supplementare, ancora meno le raccomandazioni dei critici quando sono espresse con termini troppo elogianti, non realistici, o anche soltanto le raccomandazioni dei conoscenti.
Leggo sommariamente le prime venti-trenta pagine, per poi sfogliare il resto alla ricerca del suo contenuto globale; dopo, solo dopo m’impegno a leggerlo o no.
Di solito, mi piacciono i libri brevi, perché concisi, quindi le recensioni elaborate con profondità e sensibilità.
Mi piacciono i libri con riferimenti storici-filosofici-religiosi e sociali, come le nebbie di Avalon, la Papessa, la Geisha, Medicus, Troia, l’Eretica tanto per nominarne alcuni; sebbene fossero stati di una lunghezza straordinaria, li ho divorati per il loro contenuto profondo e istruttivo.
Uno scrittore deve, per me, aiutare il lettore a risolvere meglio i suoi propositi posti, allargando così il suo orizzonte percettivo, o anche confermando quello raggiunto.
Ogni traguardo raggiunto comporta l’orientamento verso un altro, il cui superamento presenta nuove difficoltà da affrontare, così che la richiesta di una lettura d’appoggio non finisce mai e gli scrittori hanno sempre qualcosa da scrivere ed elaborare.
L’importante è la serietà degli intenti e quindi l’attinenza a una verità da scoprire.
In questo esercizio, lo scrittore deve usare uno stile chiaro, accurato e semplice, di modo che il lettore lo possa seguire fino alla fine del racconto, come in un dialogo continuo e chiarificatore.
Naturalmente leggo anche volentieri donna Leon, della quale mi attirano le sue analisi caratteriale dei suoi protagonisti, che trovo sempre più precise ed analitiche.
Leggo anche volentieri Camilleri, quando sono in vacanza e desidero divertirmi un po’; mi piacciono Malerba, Fruttieri, Pavese, Svevo, Tamaro, Tommasi di Lampedusa del quale scrissi una recensione sul suo Gattopardo.
Oggi, l’offerta libraria è vastissima; se da una parte crea confusione e incertezza, dall’altra aiuta a migliorare il proprio stato istruttivo, con tutte le conseguenze per la propria attività privata, come lavorativa.
Importante è imparare a scegliere bene i temi, seguendo criteri personali utili e scartando quelli inutili, fino a dannosi.
@ Simo
L’importante è che questo flusso dalla parola alla vita e dalla vita alla parola sia aderente al cuore umano. Che lo rappresenti e che gli dia una voce. Che lo rimandi svelandone non dico il mistero, ma l’incontenibile – ostinato – palpito.
In questo caso io sento che l’opera d’arte è autentica.-
Bello!
Sottoscrivo con un palpito d’emozione per le belle parole espresse.
Saluti
Lorenzo
Zauberei ci ha donato un’originale disanima su McDonald’s e dintorni.
–
Zau, ti vedrei proprio bene vestita da pagliaccio a vendere panini mentre vai in giro in bicicletta e in una mano tieni una bandierina con la M che svolazza al vento.
🙂
Dovrebbero pagarti! (McDonald’s & C., intendo)
Un saluto a Maurizio De Giovanni, Stefano e Lorenzo.
Grazie per i vostri interventi.
@ Jean de Luxembourg
Mica ho detto che “Il nome della Rosa” non è un ottimo libro
🙂
Visto che citi – tra i tuoi preferiti – anche “Il conte di Montecristo” (che adoro anch’io) ti dico che è un libro molto amato da Umberto Eco. Ricordo di aver letto una prefazione in cui Eco ne parlava in termini molto lusinghieri mettendo in risalto, tuttavia, alcune ingenuità (sudorazioni improvvise e similsvenimenti da parte di alcuni personaggi).
Confermo (lo ha già scritto Salvo Zappulla) che la cucina di Simona è eccezionale.
Se Simona dovesse decidere di aprire un ristorante secondo me ci sarebbe la fila dietro la porta.
Altro che McDonald’s.
McSimon Lo Iacon…
No… meglio un più casareccio “Da Simo”.
A dopo!
Da quanto leggo nell’intervista a Balestrini (e in molti commenti) ho l’impressione che si presenti ancora in forma rigogliosa il pregiudizio contro mercato editoriale, classifiche e libri che vendono, lo stesso tipo di pregiudizio che si ripropone in modo sincopato verso tivù commerciali, beautiful e grandi fratelli.
Il ragionamento successivo di chi si fa alfiere di tale pregiudizio è che l’Italia è un paese di rimbambiti (di solito si usano altri termini) ed è per questo che le elezioni sono andate come sono andate.
Negli ultimi giorni in rete e sui media si sono moltiplicate le analisi di questo genere da parte di maitre a penser che valgono un’unghia di Balestrini, tutti a ripetere questo concetto in termini più o meno forbiti.
I più buffi, a mio parere, sono quegli scrittori che si stracciano le vesti perchè loro fanno libri di qualità, loro sono la nuova narrativa italiana, loro sono le nuove tendenze, loro sono duri e puri che non scendono a compromessi e se non vendono è solo colpa del sistema che li boicotta, è colpa delle Grandi Editrici che non li considerano, è colpa che non gli fanno la promozione, è colpa che non vanno in televisione, ecc. ecc., salvo poi rimangiarsi tutto non appena vien loro lanciato un qualche tipo di osso dai suddetti Grandi Nemici. Ecco che allora la televisione diventa un mondo bellissimo e manco le Grandi Editrici sono poi così cattive.
Esaurita questa filippica, Vi lancio un’ultima piccola provocazione.
Non è che in Italia ci sono troppi scrittori di “qualità” e troppo pochi di “cassetta”?
Ciao
Paolo
C’è chi considera l’Italia un paese di rimbambiti e in contrapposizione c’è chi considera costoro dei presuntuosi un po’ arroganti …chi ha ragione? e soprattutto qualcuno si sente offeso?
Caro Cacciolati posso farle una domanda? perché c’è sempre qualcuno pronto a difendere certi programmi televisivi, certi reality, certa letteratura e compagnia bella…ne hanno forse bisogno, non hanno il loro bel successo di pubblico? Perché spesso chi ha un gran successo commerciale e di conseguenza, fama e danaro si “incazza come una iena” con la critica con la “puzza sotto il naso” che regolarmente li bastona?…vogliono proprio tutto…questa è ingordigia!
Perché dobbiamo difendere una televisione che dice che la musica in TV non funziona e mi trasmette da anni Sanremo e similari mentre non mi propone mai un concerto di Jan Garbareck che a me non dispiacerebbe affatto?
Perché dovrei difendere chi non ha il minimo rispetto per il “mio” di gusto?
Nessuno nega che sia possibile produrre un buonissimo prodotto commerciale di gran qualità, ma non sempre – siamo onesti – questo succede.
Guardi, io dipingo e non so se la mia pittura sia “di qualità”( certo, lo spero) ma quello che so di certo è che quella è la “mia pittura”, quello che so fare, e non mi offende chi giudica negativamente il mio lavoro, mi offende chi lo fa con arroganza e mancanza di rispetto tirando fuori ogni volta la cosiddetta “questione di gusto” o soggettività senza domandarsi se possiede gli strumenti per emettere delle sentenze così nette.
Per affinare il “gusto ” ci vuole tempo e curiosità, il resto viene da sé.
Stefano
@ Stefano…e allora perchè si chiamerebbero schifezze?Proprio perchè hanno le zampette!
@Massi…McSimon?…Perchè no? Cerco un aiuto cuoco (l’assaggiatore già ce l’ho).
Paolo Cacciolati
Non trovo, la tua, una provocazione, semmai un’attestazione di una situazione creata negli ultimi decenni dagli affaristi senza merito e allargata agli altri campi degli affari, fino a quello dell’editoria e infine degli scrittori.
L’abilità, in ogni campo, è oggi dipendente dall’esito pecuniario, il quale richiede scaltrezza nell’ingannare il suo pubblico, che non si accorge di venire imbrogliato; il comprare è sinonimo di successo personale e più si compra più si vale.
Il successo determina ogni decisione da prendere, altrimenti non ha valore; esso viene presentato da abili venditori con un bel vestito per creare l’impressione di rivestire ed ornare un valore inestimabile.
Abbaiato da tanta superficialità e bellezza, il compratore s’identifica con l’oggetto comprato e si sente stimato e valorizzato alla pari.
Un giorno, e seguendo questa procedura ingannevole, mancheranno gli scrittori veri, e il pubblico protesterà, invano, di essere stato frodato, perché egli voleva sempre un prodotto genuino e serio, e non capirà perché non ci siano più.
Segno che anche la sua ignoranza e sciocchezza ha un limite, raggiunto il quale, riverserà la colpa sempre agli altri, invece che a se stesso.
Saluti
Lorenzo
@ simona
devo farti una confessione: giorni fa mi sono trangugiato un mezzo sacchetto di gommosissimi e dolcissimi marshmallow! La famiglia era inorridita!
stefano
@ Stefano…le gommose? Buonissime!
Su classifiche e McDonald avevo già detto ieri:
“Mi manca il nesso tra il conoscere quale sia il libro più venduto e l’esempio di McDonald. Dove sta scritto che il più venduto debba essere il migliore? Una cosa è avere un’informazione sulle vendite, un’altra il giudizio.”
Oggi aggiungo gli auguri a Zauberei e i complimenti sulla sua disamina del McDonald. Non concordo con il suo giudizio alimentare (neanche per ciò che riguarda le patatine fritte, la cui massima espressione è per me rappresentata da una trattoria sulla discesa del Passo della Somma verso Spoleto), ma l’analisi era profonda, briosa come suo solito e questa volta anche più chiara del solito. E soprattutto condivisibile.
Che cacchio poi ci faccia a Parigi visto il tempo che dedica a scriverci resta anche per me un mistero. Ma tant’è.
Brava Zaube, e ancora buon compleanno.
E un saluto anche a Maurizio Di Giovanni, sempre garbatamente acuto quanto il suo commissario Ricciardi.
Sugli intellettuali e sulla cacca del Manzoni ecchelodicoaffà sto con Gea e con Gregori al 100%.
Miriam poi cita un racconto su Peter Ustinov pubblicato ai tempi eroici della Farfalla Luisa. Mi associo a lei (sulla fiducia) nella sua preghiera a Massimo di tentare di recuperarlo e pubblicarlo qui.
Dopo le perversioni di McZaube ci tocca anche questo outing di Stefano e Simona riguardo alle gommose. O tempora o mores!
Rieccomi.
Come ho già scritto in un precedente commento, quando Balestrini sostiene che “c’è una concorrenza sfrenata, indotta dallo strapotere del mercato” ha assolutamente ragione. Ce lo siamo ripetuti più volte, anche qui, fino alla nausea.
Sulla questione “classifiche/libro più venduto” ho già espresso la mia opinione.
Aggiungo che quando acquisto Tuttolibri molto spesso la prima cosa che vado a leggere è l’ottima rubrica di Luciano Genta dedicata, appunto, alla classifica dei più venduti. Trovo sia davvero molto interessante (e spesso molto divertente).
Ripropongo le seguenti domande:
La classifica può influenzare i gusti? E se sì, fino a che punto?
è tardi è tardi è tardissimo…
tanti auguri zaub, dal coniglio bianco (si unisce il cappellaio matto, nonostante tu gli abbia fatto rovesciare la tazza di tè con le tue affermazioni sul junk food).
😀
Un caro saluto a Paolo Cacciolati.
Bentrovato qui, caro Paolo.
Scrivi: “Non è che in Italia ci sono troppi scrittori di “qualità” e troppo pochi di “cassetta”?”
–
Rispondo con un’altra piccola provocazione.
Non so se ci sono troppo pochi autori di “cassetta”, di certo ce ne sono troppi da “cassetti” (ricolmi, ovviamente, di manoscritti in attesa di essere riconosciuti per i capolavori che sono).
Io, di questi, ne ho i cassetti pieni.
🙂
@ Simona
Se apri McSimon a me piacerebbe stare alla cassa.
😉
@ Carlo
Non saprei come recuperare il citato racconto di Peter Ustinov. Se riuscite a recuperarlo voi consideratemi come sempre a vostra disposizione.
Ma no, Massi. Ti avrei visto al piano bar (perchè ci sarà un piano bar).
Eccomi qua,
a stringere calorosamente la mano a Nanni Balestrini, del quale condivido il novantanove per cento di quanto ha detto nell’intervista di Cortellessa – e soprattutto la sua civile stima dell’operato dei giudici.
In quell’uno per cento che non mi piace, pero’, mi permetto di elencare questi due punti, contenenti anche le motivazioni della mia incondivisione con l’illustre intellettuale milanese:
1) Sui ”Cannibali” la vedo diversamente. Sono convinto che essi abbiano snaturato le peculiarita’ piu’ tipiche della Letteratura, introducendo un inutile iperbolismo da ”Carosello grand guignol” nei loro registri narrativi che gia’ di per se’ erano del tutto filmici, cinematografici. Il resto – gli aspetti grotteschi; l’iperrealismo sempre lasciato credere come fosse una mera nuova forma di realismo attualizzato; l’ambiguo rapporto con la morale – il resto dicevasi e’ roba vecchia, espedienti solo piu’ descrittivamente crudi e crudeli per ottenere dopotutto (ma io credo da parte loro inconsapevolmente) alle descrizioni di lance nel gargarozzo e frantumazioni corporali varie ed assortite, presenti ad abundantiam nell’Iliade di Omero e nella ”Gerusalemme liberata” del Tasso.
Niente di nuovo, insomma, eccetto il vuoto che sta dietro i Cannibali – questo si’, difficilmente arrivabile dagli scrittori del passato.
2) Il ”Romanzo ”ben scritto” alla Piperno” (sic) si e’ meritato la grande popolarita’ che ha avuto con corroboranti relative stravendite. E il merito maggiore mi pare proprio la capacita’ dell’autore di coniugare autobiografia, racconto e bella scrittura; una scrittura attenta, precisa, articolata, del tutto (mirabilmente) letteraria. Le ”Cattive intenzioni” hanno infatti vinto una battaglia prima di tutte: quella di dimostrare che la Letteratura e’ diversa e spesso superiore al cinema, alla sceneggiatura e che e’ ancora possibile parlare (scrivendo) di qualsiasi tipo di cose utilizzando uno stile ”alto”, ovvero grammaticalmente e sintatticamente, lessicalmente, retoricamente complesso e lento. Niente ”scorrevolezza” del testo, in Piperno, per fortuna: perche’ la Letteratura faccia meditare anche con il suo ritmo umanissimo e avulso dalla sciocca frenesia e spendibilita’ dei ”romanzi-copione” di oggi. Gia’ per questa sua implicita (e vinta) battaglia, Piperno sarebbe da encomiare pubblicamente (al di la’ delle, spesso provocatorie, affermazioni pubbliche di Piperno stesso… chiacchierette che non hanno niente a che vedere con la validita’ letteraria del suo ottimo romanzo).
Cordialmente
Sozi
@stefano
Nonostante queste tue cadute fra i marshmallow (sei giustificato dalla delusione che non vedrai MAI Jan Garbarek in tv- e a volerlo saremmo già in 2) la tua pittura E’ di qualità, e anche discretamente alta da quanto ho visto sul tuo sito. In particolare ho trovato i tuoi landscapes straordinari.
Non sono un critico, ma qualche strumento per un giudizio non proprio ad cazzum canis (come diceva il compianto professor Scoglio, già allenatore del mio Genoa) credo di possederlo.
Balestrini scrive:
una volta pubblicare libri senza mercato era un investimento sul futuro, nelle case editrici avevano gran peso gli intellettuali.
–
Vero. Anche se però non mancano esempi di grandi autori di una volta che sono stati costretti a pubblicarsi a proprie spese, o i cui lavori sono stati rifiutati dai grandi editori (di una volta).
Ed è pur vero che oggi le grosse case editrici sono più in mano ai manager che agli intellettuali.
Però rimango comunque ottimista, poiché sono convinto che se un libro è davvero di qualità prima o poi la sua strada editoriale la trova.
Erratum:
”Per ottenere (…) dopotutto le descrizioni di lance…”.
Pardon.
@ Simo
Io al pianobar? Vuol dire che non ti interessa guadagnare.
🙂
@ Sergio
Più tardi interverrò sui “tuoi punti”.
Buona cena a tutti.
Se penso a Zaube a cena a Parigi da McDonald mi si ferma già la digestione
Massimo,
il problema e’ che la gente oggi legge forse piu’ che negli anni Cinquanta, ma purtroppo (per vari motivi, anche indipendenti dalla volonta’ individuale) non capisce molto di Letteratura, e in primis molti direttori editoriali (questi si’, colpevoli appieno). Cosi’, oggi potrei mettere la firma sotto questa affermazione:
se Gadda fosse nato nel 1970, morirebbe senza veder pubblicata una sua riga. Post mortem, gli amici metterebbero in soffitta le sue ”scartoffie” che cosi’ verrebbero consumate da dei felicissimi topi fino all’ultimo brandello.
Massimo,
abbiamo una remota possibilita’ che Balestrini stesso intervenga qui?
auguri a zauberei? ma piuttosto auguri ai francesi che se la sono trovata tra i piedi. ci vendichiamo iniquamente e con ritardo alla testata di Zidane a Materazzi.
Zauberhaft Zaube, non mi sono fermato al 68 (che del resto ho criticato)ma ho voluto semplicemente indicare i limiti delle etichette concettuali, ricordando che, alla base, siamo pur sempre animali. Non per scuccià nel tuo compleanno, ma ritengo che ‘il riconoscimento di una complessità’ come dici tu sia una di queste, sia pur affascinante. Stringi stringi, alla base, siamo tutti uguali e lo dimostra la pubblicità, con la penetrazione che riesce ad avere anche in mondi apparentemente distanti dal nostro. Ciao.
A Stefano,
le stringo la mano. Sono stufo anch’io di essere continuamente insultato dalla televisione italiana tutta; pertanto la tengo quasi sempre spenta, non potendo chiedere a nessuno di via Teulada (una torre inavvicinabile per noi cittadini paganti) ne’ ai canali privati (contenitori di pubblicita’) qualche buon film italiano o europeo alle ventuno. Niente Sordi, Tognazzi, Gassman, Vitti, Toto’, Fellini… niente di niente! Censura! E allora li censuro anch’io, i canali dei miei corbelli! E appena posso ne parlo male come meritano.
Ciao, Gianmario!
Bella e vera l’analisi del deterioramento della Letteratura attuale – frutto a mio avviso di una congiura plutocratico-ignorantistico-pubblicitaria – stilata da Lorenzo Russo, il quale chiosa:
”Un giorno, e seguendo questa procedura ingannevole, mancheranno gli scrittori veri, e il pubblico protesterà, invano, di essere stato frodato, perché egli voleva sempre un prodotto genuino e serio, e non capirà perché non ci siano più.
Segno che anche la sua ignoranza e sciocchezza ha un limite, raggiunto il quale, riverserà la colpa sempre agli altri, invece che a se stesso.”
–
Ti abbraccio, caro Lorenzo, per quanto dici, aggiungendo che per fortuna esistono ancora scrittori eccellenti come Alessandro Piperno. Ne hai letto l’aootimo ”Con le peggiori intenzioni” (Mondadori)?
Ciao, caro
Sozi
ottimo
Paolo Cacciolati,
va bene, qui ognuno apre bocca e ci fa trombone – dici tu in soldoni. Infatti bisogna vedere COSA scrive OGNI singola persona che si lamenta di tivu’, editori eccetera. Se chi si lamenta scrive bene ha diritto a lamentarsi, se no stia zitto e vada nel branco senza scocciare. Mi sembra un’utile sistema per sottoscrivere quanto da te affermato, offrendo pero’ anche dei criteri per capire meglio da ”che pulpito vengono le prediche”.
P.S. Sempre per Paolo Cacciolati:
I critici servono un po’ anche a questo. Se sono onesti e non guardano in faccia a nessuno, beninteso. Fanno da filtro.
A Zauberei,
se puoi, fa’ un salto anche alla Libreria Italiana di Parigi! L’indirizzo lo trovi su Internet – e’ l’unica in tutta la citta’, che io sappia.
Ciao! E Buon divertimento!
Sozi
Jean de Luxembourg,
CERTO! ”Il nome della rosa” non passera’, manco con i ”bombardamenti” dall’aeroplano di volumetti gratuiti della Tamaro e di Moccia!
Caro e gentilissimo Carlo dopo quello che hai scritto sui miei paesaggi sono fermamente convinto che tu possegga un baule di strumenti per esprimere i tuoi splendidi giudizi …
Sergio, ricambio volentieri la stretta di mano e concordo in pieno.
stefano
posso fare il terzo su garbarek? siamo un po’ pochini per una petizione, ma se troviamo un quarto almeno un pokerino ci scappa.
e a carlo, ma che stranezza, mi associo pure nell’apprezzamento dei quadri di stefano. non so a mezzi come sto messa, però mi piacciono un sacco.
oh, là.
🙂
@ Stefano
Hai visto come ti hanno “inquadrato” bene?
😉
Sarei anche in parte d’accordo con Balestrini se non fosse che queste questioni amletiche e prove tecniche di pessimismo cosmico sulla natura umana vengono puntualmente fuori quando berlusconi vince una elezioni.
Trovo stantio e tedioso il cavaliere di Arcore, comincio a trovare però anche tediosi e involuti i suoi avversari……….
E l’elogio dei giudici poi…… del padre di gravina vogliamo parlarne?
Siamo 57 milioni di itagliani in tutti i campi.
Questa mi sembra la sciagura più grande di tutte………..
@ Sergio
1) Sui “Cannibali”
Secondo me non ha molto senso parlare ancora (oggi) dei Cannibali. E personalmente non li accosterei al Gruppo ’93, che è ben altra cosa (un po’ più seria, a mio avviso). Sbagliava chi ha considerato i Cannibali alla stregua di un’avanguardia o neoavanguardia. E non so neppure se abbia senso considerarli come Gruppo. Secondo me si tratta solo di una “categoria editoriale” studiata e proposta più o meno a tavolino e che poteva avere senso undici anni fa. Oggi, peraltro, alcuni degli “esponenti” rinnegano l’appartenenza alla suddetta categoria.
2) Piperno
La penna di Piperno è senz’altro raffinata (forse un po’ troppo apotropaica) e io ho letto con piacere il suo libro. Un libro che – tra l’altro – è stato un best seller.
Comunque, io tempo fa criticai Piperno per altri motivi. Si tratta di un vecchio post. Forse non l’hai mai letto.
Ti scrivo il link:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/13/piperno-e-saviano-tra-esibizionismo-e-inutilita-della-letteratura/
@ Sergio
Scrivi: “se Gadda fosse nato nel 1970, morirebbe senza veder pubblicata una sua riga.”
Forse hai ragione, ma (forse) se Gadda fosse nato nel 1970 avrebbe scritto cose diverse da quelle (ottime) scritte a suo tempo. E in modo diverso.
Chi può dirlo?
Ciao Massimo!
Niente male la tua controprovocazione sui cassetti!
Per replicare parto subito da nomi e cognomi.
Uno a caso: Andrea Vitali (che non è mio parente, nè amico, nè mi ha promesso di pubblicare ecc.).
Bene, Andrea Vitali è uno che la critica e intellighenzia nostrana non se lo fila più di tanto, sarà perchè sul suo ultimo libro l’Editore ha messo la fascetta “uno scrittore che ha venduto un milione di copie”, sarà perchè si accontenta di scrivere romanzi di intrattenimento (tremenda questa parola, vero?) senza per forza ricercare nuove e mirabolanti soluzioni narrative.
Eppure Andrea Vitali scrive, a proposito dei suoi esordi:”All’inizio quindi era la scrittura, non concepita come esercizio solitario – nessun diario nella mia infanzia e nemmeno nella gioventù- ma come esperienza da condividere. Insomma, ci voleva qualcuno che leggesse quel che scrivevo.”
Ecco, questo è il punto centrale, secondo me, ci vuole qualcuno che legga quello che scrivo, lo scrittore ha solo l’obiettivo di essere letto, da quante più persone possibile. Questo non significa scrivere per entrare in classifica, ma se questo succede non è che si è caduti in preda al demonio.
Quindi, di quanti capolavori che hai nel cassetto, io mi auguro che qualcuno di questi un giorno sia riconosciuto anche solo come un buon libro di intrattenimento (sic!) da quanti più lettori possibili.
@Sergio Sozi.
Sì però “congiura plutocratico-ignorantistico-pubblicitaria” mi ricorda altri termini d’infausta memoria, tipo “circoli imperialisti” o “congiura pluto-giudaica della perfida Albione”.
@Lorenzo Russo.
Sì però quando dici “situazione creata negli ultimi decenni dagli affaristi senza merito e allargata agli altri campi degli affari, fino a quello dell’editoria e infine degli scrittori” sembra che dai a intendere che ci siano stati bei tempi andati, anche nell’editoria, dove non si lavorava per l’utile ma per il Supremo Bene dell’Arte. Ma ne siamo sicuri? Gli editori di un tempo erano più generosi e ispirati rispetto a quelli di oggi? Non credo proprio.
@Enrico.
Bella la sua opera che si vede nel suo blog. Ammiro l’arte contemporanea, per esempio nutro un’insana passione per Robert Gober, e vorrei che la RAI gli dedicasse perlomeno una serata, con una sua retrospettiva, ma temo che saremmo in quattro a guardarla….
@ paolo:
che opera si vede nel mio blog????
1- o hai sbagliato blog
2 – o ti sei fatto con la maionese scaduta
3 – o io faccio delle cose senza rendermene conto (ipotesi più probabile)
Poi, Sergio, mi domandi: “abbiamo una remota possibilita’ che Balestrini stesso intervenga qui?”
–
Guarda, ti rispondo con molta sincerità. Pensavo di invitarlo, ma poi non l’ho fatto. Ho subodorato “aria di turbolenza” e non me la sono sentita. Come ho già scritto altre volte, accetto commenti polemici (purché motivati e costruttivi), non accetto commenti irrispettosi o – peggio – offensivi. Ora, Balestrini (come tutti) può piacere o no. Ed è criticabile (nemmeno io – del resto – sono d’accordo con tutto ciò che ha sostenuto in quest’intervista). Ma è pur sempre un poeta e un romanziere di 73 anni, un uomo che – in un certo senso – ha consacrato la vita alla letteratura. Ecco, io non posso accettare che qui – su questo blog – gli si manchi di rispetto. Non lo posso accettare. E il rischio, dai primi commenti che ho letto, c’era. Del resto mica posso stare sempre online per evitare che si verifichino pasticci.
–
Ecco, questo è il mio grande problema.
A questo punto apro una parentesi generale un po’ fuori tema e mi rivolgo a tutti.
Ogni volta che invito qualcuno qui (non importa se è un esordiente o una celebrità) mi sale un’ansia pazzesca. Con qualcuno di voi ne ho anche parlato per telefono. Ho sempre paura che arrivi un Caio qualunque a lasciare insulti o a sputare sentenze offensive. Magari per fare la figura del “figo”, o per mettersi in mostra, o semplicemente perché in quel momento gli girava storta. Tanto – può pensare Caio – che me ne frega? Il blog è di Maugeri, mica il mio.
Insomma, mi dovete capire. Io qui sono il padrone di casa e se invito qualcuno ho obblighi di ospitalità… a prescindere dal fatto che quell’ospite mi sia più o meno simpatico, più o meno amico, o mi trovi più o meno d’accordo con lui. Anzi, con un amico è più semplice perché c’è confidenza e gli posso dire: senti bello, qui siamo in Internet (e funziona così e così) e se qualcuno scrive che sei uno stronzo non è colpa mia.
Ecco, questo è il mio problema principale.
E a volte penso che sia meglio non invitare nessuno e proporre dibattiti di natura generale (o magari giochini innocui e simpatici… così arrivano anche più commenti… va be’, ora che ci penso lo stress non è mancato nemmeno con certi giochini 🙂 ).
Però poi cambio idea e torno a invitare. Solo che: ansia oggi, ansia domani…
Di recente hanno dimostrato che il Prozac migliora la struttura organica del cervello, ma – onestamente – vorrei evitare di provarlo.
🙂
Scusate se vi sono sembrato paranoico.
E scusate la prolissità.
@ Enrico
Credo che il buon Paolo ti abbia scambiato per Stefano
🙂
Ah ah ah, bella quella della maionese scaduta, in effetti me ne son fatto una dose di troppo, perchè al posto di Stefano (MIna) ho scritto Enrico.
E’ a lui che mi riferivo. La sua opera, che si può ammirare nel suo blog, si intitola “oltre”: niente male!
Ciao
paolo
@ Paolo
Non credo di avere capolavori nel cassetto. Purtroppo.
Però un giorno o l’altro potrei scriverlo.
Tanto ho un cassetto bello capiente.
🙂
–
Hai scritto: “Questo non significa scrivere per entrare in classifica, ma se questo succede non è che si è caduti in preda al demonio.”
Mi pare che siamo d’accordo.
–
Andrea Vitali è considerato un ottimo scrittore e vende bene. Sei sicuro che la critica non se lo fili più di tanto?
Al commento di prima aggiungo che comunque Balestrini sarà già al corrente di questo post.
Ve lo dico per esperienza.
Le voci girano e letteratitudine (per fortuna o per sfortuna) è “sotto i riflettori.”
Intanto, prima di augurarvi buonanotte, ne approfitto per salutare Gianmario e Outworks.
Poi c’è la solita Gea che fa finta di non essere un’intellettuale e di non essere in grado di scrivere ottima narrativa.
😉
Buonanotte a tutti.
Massimo,
io ho usato gli stessi termini che stavano nell’intervista di Cortellessa a Balestrini. Se non ti piacciono dillo a loro, non a me.
Questione Gadda:
allora dico che oggi, secondo me, i veri capolavori dei ”novelli Gadda” sono e resteranno per sempre nei cassetti e faranno la fine che ho detto prima: mangiati dai topi.
Su Piperno,
non ho nessuna intenzione di rivedere ”l’alfa e l’omega” di Piperno, dico solo che mi piace quel suo libro, il quale si e’ pertanto meritato di vendere molto. E ho anche specificato (sopra) che quello che dice fuori dal libro non mi interessa punto. Io mi occupo di critica letteraria, non di ”parole di e attorno agli autori e via dicendo”. Io leggo i libri e li critico. Stop. Sto al posto mio.
Sull’invitare gli autori ”illustri”,
sono comuni mortali come tutti. Io mi becco gli insulti e forse se li beccherebbe anche Balestrini. Forse invece no, come auspico (e anche come faccio, scrivendo come sapete rispettosamente). Purtroppo pero’ il rischio fa parte della vita di tutti noi, belli e brutti. Non per questo smettiamo di discutere. Qualche cafone lo trovi anche a Bukingham Palace.
E faccio un esempio che mi riguarda personalmente:
Heinichen ha detto di non avere tempo per intervenire su Letteratitudine: ”quel poco tempo che ho non mi permette di intervenire” mi ha scritto.
Ecco: io non so quanto vere siano queste affermazioni, quindi non mi permetto di adombrare varie ”dietrologiche” possibilita’. Dico solo che se a me (Sergio Sozi) mi si dedica un post, io me ne sento coinvolto in prima persona ed intervengo come reputo sia mia dovere. Non tutti la vedono cosi’. Democrazia.
P.S.
…Il Sessantotto, mi sembra di aver capito, era basato sulla presenza reale degli intellettuali, non sui proclami o gli interventi distaccati. Ecco: io non ho niente a che spartire col Sessantotto, ma intervengo e se lancio un’idea diversa dalle altre ne accetto consensi e dissensi – isolando i maleducati e rispondendo a tono alle critiche negative. Perche’ dunque privare di questa possibile presenza su Letteratitudine chi il Sessantotto lo ha fatto, come Nanni Balestrini? Mi sembra sia lui il primo a provasr nostalgia per una discussione ”dal vivo” con la gente (che poi non e’ tanto offensiva, in genere, almeno qui a Letteratitudine).
Paolo Cacciolati,
ogni parola puo’ ricordarne diecimila altre. Libere associazioni, si chiamano, direi.
Ciao
Buongiorno a tutti! Alcune ciaccole varie, e un par di cose serie.
– Carlo S. non sono andata a cena da McDonald! (non ieri PPPP) ma a cena in posto chic zona Saint Germain. E ringrazio pure i complimentatori e auguranti come Maurizio e la Gea e il luzemburgo, e pure quel trucido der terzo recchio de Gregori, quello che tiene sullo stinco. E pure insomma Jean de Lux e speremo che numme scordo nessuno-
– E pure Sergio. Sergio conosco due librerie italiane, entrambe belline. Mi sa che te ti riferisci a quella in zona Marais a Rua de sicilie o giù di li. Ce n’è un’altra bellina, dalla parte opposta al Marais, più recente, in zona Maison de Photo. (In passato ho cercato lavoro presso entrambe).
Non vi preoccupate a Parigi ho trotterellato e fatto un mucchio di cosette! Ma al mattino i mariti dormono, e io sfogo la blogorrea.
Venimo alle cose serie.
–
Grazie degli auguri, Massimo! Ho letto della tua preoccupazione di prima, e ho pensato di doverti scrivere, perchè il mio è stato il primo commento, o giù di li, e anche piuttosto aspro. Capisco le tue preoccupazioni, un po’ per la natura di questo blog, un po’ per la natura del tuo carattere. Ma ti suggerirei di pensare ad alcune cose:
– la prima è che, almeno la maggior parte di noi, se non altro per amor tuo, in presenza dell’autore invitato modula i termini. Personalmente in passato l’ho fatto – anche se, un po’ mi conosci oramai, se arrivasse qualcuno che scrive qualcosa che trovo profondamente offensivo o immorale, non esiterei a essere aggressiva.
– La seconda è: tu gestisci un blog, non un asilo nido. Ciò non deve farti trarre alcuna inferenza sulla maturarità dei tuoi ospiti, assolutamente indimostrata:)))) PPP (vale per me soprattutto) Ma farti trarre inferenze sulla responsabilità che hai nei confronti dei loro commenti: cioè scarsa. Se arriva uno cafone e dice tutte parolacce lo puoi bannare. Se arriva una Zauberei inviperita (con un Piperno sarebbe potuto accadere, e come hai letto anche con Balestrini) sono essenzialmente cazzi della Zauberei e del Balestrini o Piperno di turno. Mi sarei sicuramente moderatamente controllata. Ma Massimo, moderatamente, siamo tra adulti. Si deve poter criticare.
-Tu sei un tipo che profuma di pace e vocazione alla mediazione. Sono pregi. Sei modesto, sei gentile, attento a difendere le tue opinioni ma sempre rispettosamente. Non avresti mai lo stile assertivo e arrogante, la spocchia che certi ospiti potrebbero avere. Ora, ci ho tanto rispetto per chi dedica la vita alla scrittura (eh… ma se invitavamo uno che faceva er medico senza frontiere? non esaggeramo eh) ma se ne esce con delle sparate zelantemente del cazzo, all’indicativo e supportate da un’ammessa e non concessa auctoritas, io o chi per me, che non è che la spocchia mi difetti ecco, ma perchè devo commentare con sussiego? Mòre? se rattrista?
– Io credo che questo blog vada bene così com’è insomma, sia con te che prima di intervistare lo scrittore in questione ci chiedi cautela, sia coll’ansia che qualcuno violi questa cautela. Se questa cautela fosse costantemente violata questo blog sarebbe una bagarre, ma se il rischio non ci fosse mai – due cojoni.
E’ bello così!
Insomma tiettè l’ansia. Noi d’altra parte i pomodori mica li potemo tirà!
@ Sergio e Zauberei
In verità con il mio commento delle 11:32 di ieri sera non mi riferivo a nessuno dei due. Nella fattispecie poi, tu, Sergio, sei stato particolarmente garbato (persino io sono stato un po’ più “critico”).
No, tranquilli. Era un’esternazione dettata più da stanchezza che da altro.
Poi, Zau, io gente che scrive – a mio giudizio – qualcosa di profondamente offensivo o immorale non l’invito mica. E se dovesse farlo “in corso”… la “casso”. Tu scrivi: “si deve poter criticare”. Ma ci mancherebbe, tesoro. La critica è bella, la polemica è pure bella, se serve. L’offesa o la mancanza di rispetto no.
Ma ripeto, il mio commento di cui sopra, non era riferito né a te, né a Sergio. In uno dei suoi precedenti commenti, Enrico, aveva scritto: “quando si critica sarcasticamente (ancorché sinceramente) un intellettuale è meglio evitare di sparpagliare apostrofi come lo zucchero a velo per il pandoro”.
Ecco, diciamo che ho soffiato su un po’ di zucchero. Poi – per il resto – il post si è sviluppato in maniera molto serena, secondo me.
Diciamo che ne ho approfittato per aprire una parentesi di carattere generale e per confidarmi un po’ con voi.
Peraltro, Zau, l’ansia di cui sopra sarà dovuta anche al mio carattere, sì, ma in buona parte c’entra la tanta stanchezza accumulata (troppo, troppo tempo davanti al pc… troppa tensione e attenzione nel “vegliare”).
Insomma, non vorrei esagerare. Non vorrei ritrovarmi a fare una vacanza a Parigi e avvertire l’esigenza di collegarmi anche da lì.
🙂
Scherzo, Zau. Invece spero che tu abbia passato un ottimo compleanno.
Sono certo di sì.
Ultima precisazione per Sergio (poi devo scappare)
–
Hai scritto: “Sull’invitare gli autori ”illustri”,
sono comuni mortali come tutti. Io mi becco gli insulti e forse se li beccherebbe anche Balestrini. ”
–
Sì, ma se rileggi il mio commento io avevo scritto: “Ogni volta che invito qualcuno qui (non importa se è un esordiente o una celebrità) mi sale un’ansia pazzesca”.
Anzi, con un esordiente l’esigenza di “tutela” per dovere di ospitalità è ancora più forte.
–
Scrivi: “Io mi becco gli insulti”
Considera un paio di cose:
a) nessuno si becca gli insulti da parte di nessuno; io sono sempre pronto a intervenire a sedare screzi (in fondo non è mai accaduto qualcosa di veramente grave) e a mettere pace.
b) tu vieni qui di tua sponte, sai come funziona ecc.
Se invece inviti qualcuno che non ha la pallida idea di come “funzioni”… il discorso cambia.
Stasera parleremo di Heinichen.
Va be’, ripeto, lasciate perdere il mio commento di ieri sera. Dettato più da stanchezza che da altro.
Anzi, mi scuso se vi ha dato in qualche modo fastidio.
Ora vi lascio. Vi auguro una splendida giornata.
🙂
Tornerò in serata.
@Massimo
Grazie per tutto quello che fai per Noi: è se Vuoi raccontarci il dietro le scene, io per primo mi sentirei meno virtuale,e, per dare un senso vero sull’utilità del confronto in Maugger-Blog day to day.
E allora vorrei cominciare con l’aderire al tavolo di poker lanciato da gea, ché porterei come “dote/posta” di gioco, oltre a Jan Garbarek – The Hillard Ensemble – O Ignis Spiritus:
Van Helsing – Oculus Infernum – Sourney to Transylvania –Massimo Bubola con Fabrizio De Andrè in Avventura a Durango – musica e testo di Bob Dylan e Jaques Levy: così possiamo invitare come 5 giocatore di poker il nostro Enrico Gregori, lo spero vivamente!
Caro Massimo poi, se me lo consenti, come avviso musicale per indicarti la presenza nel blog della Dottorissima Zauberei ti consiglio di installare:
Carmine Burana di Carl Off
Sentirai che musica!: è Lei o non è Lei la dolce e determinata Zauberei?
Grazie, con affetto
Luca Gallina
P.S. come vedi caro Massimo tu fai da collante e Noi tutti facciamo il resto, speriamo bene?
Ascoltatemi bene amici, sarò breve e vado di fretta: al di là della condivisione dell’operato di un artista, il fatto importante rimane il suo attivismo, la sua vitalità all’interno del panorama artistico nazionale e non.
Quando ho visto per la prima volta tutto quello che aveva fatto Balestrini e che continua a fare all’età di 75 anni sono rimasta stupita per la sua interdisciplinarietà fra la scrittura, la critica, le arti visive che comprendono anche la pittura. I suoi quadri con quei grovigli di lettere di parole e di frasi sono interessanti, c’è attivismo di linguaggio figurato!!!!!
Continuo a seguire il rendevouz del sessantotto che oggi interroga vecchie e nuove generazioni sui suoi risultati: personalmente al di là delle opinioni contrastanti affermo che tutta questa nostalgia è dovuta al fatto che la gente desidera ancora quel sentimento di aggregazione, in quel periodo non c’era appiattimento e segregazione individuale, insomma c’era la voglia di dialogare e di partecipare…mi viene in mente Giorgio Gaber con la sua storica frase “libertà è partecipazione”. Ed è in questo senso che mi piace Nanni Balestrini. Ciao.
Inoltre penso che su questo stesso concetto sia nata anche letteratitudine.
Il bisogno di scambio, la nascita di movimento.
Ros
Se può servire, ecco a voi l’esperienza di un “invitato”. Quando mi arrivò la gentile e garbatissima mail di Massimo andai a leggere quel famoso post del libro dell’anno. Non vi nego, miei carissimi e nuovi amici, che alcuni commenti mi rattristarono un po’: ma avevate anche ragione, la verve agonistica di molti napoletani che hanno letto il mio libro li aveva portati a esagerare.
Però adesso non saprei fare a meno di un giretto su Letteratitudine ogni mattina, per vedere che c’è di nuovo. Se uno non accetta le critiche, allora non vale nemmeno la pena di pubblicare, secondo me. Per quanto mi riguarda, nella veste di anziano esordiente, sono straordinariamente felice di essere stato invitato; e tanto più per la gioia di poter leggere quanto Sergio, Gea, Zauberei e tutti voi avete da dire dopo avere letto.
Ecco, dovessi dare un’indicazione operativa (e non un appunto, domine non sum dignus), ho letto molte volte commenti anche articolati preceduti da “non ho letto il libro, però….”: questo lo eviterei.
Il che non impedisce di parlare di tutti gli argomenti che derivano dai libri: siamo uomini, diceva l’amico Terenzio. E ci interessa tutto quanto è umano.
In conclusione, Ricciardi ringrazia Massimo e tutti voi con affetto: e chiede il permesso di restare a guardare, promettendo di dare il minor fastidio possibile.
Scusa, Massimo,
credo sia meglio citare per intero il mio interventino, perche’ riporta concetti che non devono esser tagliati per evitare parziali interpretazioni:
–
”Sull’invitare gli autori ”illustri”,
sono comuni mortali come tutti. Io mi becco gli insulti e forse se li beccherebbe anche Balestrini. Forse invece no, come auspico (e anche come faccio, scrivendo come sapete rispettosamente). Purtroppo pero’ il rischio fa parte della vita di tutti noi, belli e brutti. Non per questo smettiamo di discutere. Qualche cafone lo trovi anche a Bukingham Palace.”
–
Ecco. Io ho scritto quanto sopra senza nessuna vis polemica: ho in pratica detto che io mi comporto bene ma che non e’ possibile mettere del tutto al riparo chicchessia dal rischio di beccarsi il maleducato di turno; e concludo, poi, auspicando un intervento diretto di Balestrini, visto che Letteratitudine mi sembra dopotutto un ”posto” di gente perbene. Io personalmente non ho neanche criticato certe affermazioni sulla ”famiglia e la Chiesa” che, nell’intervista stessa, potrebbero starmi strette – e non le critico neanche ora perche’ sono conscio anche dei limiti sia della famiglia che della Chiesa; non mi sembra di essere un ottuso o un baciapile e credo che una Nazione seria debba basarsi anche su altri enti morali, come un Parlamento e un Governo seri e uno Stato efficiente e laico.
Naturalmente parlo cosi’ perche’ vorrei liberarti, Massimo, delle tue (giustificabili e comprensibili) ansie: stai tranquillo, qui Balestrini sarebbe benaccetto da tutti noi. Chi e’ di passaggio, poi, vede che aria tira e si adegua – eccetto casi sporadici che sono sempre rientrati rapidamente nella normalita’ del confronto civile.
Ciao
Sergio
–
Ciao, Zauberei,
su Parigi ne sai piu’ tu di Maigret! Salutami la Ville de Lumiere!
Sergio
Maurizio de Giovanni,
ciao caro. Hai ragione: ”Non ho letto il libro ma…” e’ un incipit che andrebbe proprio evitato. Forse e’ successo anche a me di esordire cosi’, pero’, magari, andrei parzialmente giustificato visto che vivo all’estero e non ho una libreria italiana in citta’ per comprare tutto quel di cui si discute su Letteratitudine. Non posso spendere ogni volta venti euro solo di spedizione per acquistare i libri su IBS o simili. Pero’ in linea di principio tu hai ragione da vendere.
Ciao
Sergio
E grazie per l’onore che mi fai leggendo le mie fesserie.
@Sergio (il Grande)
Invece grazie a te, per scrivere come scrivi. La realtà come punto di osservazione, una scrittura realistica, febbrile e visionaria. Ho abbracciato Didò (e credimi, è dura) per ringraziarlo di avermi detto di te e delle cose tue. Cito la tua fila alla posta a ogni pie’ sospinto.
C’è di peggio, comunque, del parlare di un libro premettendo di non averlo letto: parlarne fingendo di averlo letto, per il solo fatto di averlo maneggiato quindici secondi in un megastore. Che tristezza.
Posso intervenire a proposito della sovrabbondanza di libri (un signore, che riportava il codice fiscale come firma, paragonava qui l’editoria odierna italiana al fornaio: pizzette/libri a getto continuo, di gusto sempre nuovo per non annoiare il pubblico)?
Secondo me non dico uno sproposito se sottolineo che se una nuova legge obbligasse TUTTI gli editori del cartaceo a pagare gli autori, il numero dei libri calerebbe di tanto. Proviamo ad immaginare tutti gli pseudo/editori (meta’ del mercato attuale) che diano un euro a pagina all’autore: per impossibilita’ di lucro (ossia: causa ”fine schiavismo legalizzato”) la meta’ di essi chiuderebbe e andrebbe a cercare facili guadagni in borsa o altrove. Ottimo. E chiudo qui con l’argomento.
Maurizio Magno,
se il mio editore non mi butta fuori a calci nel sedere, questa tua la metto sulla quarta di copertina del mio prossimo libro di racconti santonastasiani. Sei in tempo per ritrattare (!?).
… in questa sequenza, Maurizio, l’esistenza del megastore e’ il fulcro del dramma. Le mani insensate che tengono il libro vanno in secondo piano (oibo’!).
@ gea
Ciao carissima, sono davvero felice di tutte queste vostre “coccole”.
Le uniche cose che servono, a mio avviso, per apprezzare un lavoro artistico ( da quando miriam mi ha scritto che detesta la parola “opera” non riesco più ad usarla neppure io…lo so, sono un debole!) sono la sensibilità ( che banalità!) e la mancanza il di pregiudizio e queste caratteristiche mi sembra non ti manchino!
p.s. a poker mi sa che sono scarso… se facessimo una scala quaranta?
@Paolo
Grazie della visita e degli apprezzamenti.
@ Massimo
Mi hanno “inquadrato” ma per ora sono arrivate solo gentilezze….durerà?
@ tutti
Tutte le persone che scrivono un libro, dipingono un quadro, compongono una musica sperano di ottenere un briciolo di successo ma non credo che questo desiderio debba diventare così ossessionante da modificare uno stile, che si debba cambiare per compiacere un pubblico sempre più vasto… e poi, si ha davvero scelta? non credo si possa decidere fino in fondo di produrre un quadro, un libro commerciale con la certezza della vendita o un lavoro che sarà “fruito” da pochi eletti…ognuno di noi, in fondo, è quello che è.
Se decidessi di dipingere soggetti più “facili o leggibili “non credo che la gente si accapiglierebbe per un mio quadro.
p.s. Un giorno ho sentito dire a Eros Ramazzotti che appena avrebbe potuto
produrre da solo un suo disco, avremmo potuto sentire il vero Eros…
che cacchiata!
Ciao
Stefano
Perfettamente d’accordo, ci mancherebbe. E a poco vale la solita eccezione, che è peraltro confortatissima da esempi di ogni sorta, che a pagamento pubblicarono Quasimodo, Moravia e via grandeggiando. Lo dico a voce alta: l’editoria a pagamento è un tumore, e uccide la passione della scrittura.
Certo, posso scegliere (e scelgo) di non comprare testi di certi editori – usurai: ma allora il possesso del telecomando rende nullo il problema del conflitto d’interessi, no? Depuriamo le librerie, amici: sono il “nostro” posto, ne abbiamo diritto. Il libraio greco della dolcissima Gea ci sarebbe, credo, alla fine grato.
Essere poi addirittura pagati, giuro, è un’ebbrezza. Ogni volta che mi arriva un bonifico mi guardo attorno preoccupato, pensando che da un momento all’altro salterà fuori un poliziotto (in napoletano “guardio”) con manganello. Il senso dell’inadeguatezza, non del dolore.
Personalmente ho preso un’iniziativa in tal senso, della quale se qualcuno ha voglia di sentire parlerò.
Mr.Sergio Sozi scrisse:
“un signore, che riportava il codice fiscale come firma”
tengo a far rispettosamente notare che isso non è numero di codice fiscale, ma n.matricola cartographe fou, come appartenente all’esimia & premiatissima:
“Societè des cartographes fous”
vedasi:
http://societe.splinder.com/
con deferenza assoluta
MarioB.
Paolo:
Il calcolo delle probabilità c’insegna che aumentando, per esempio, la produzione di un qualcosa, aumenta la probabilità che i prodotti siano ottimi, ma anche quelli da scartare.
Così non è con la produzione letteraria, la cui qualità dipende da fattori esterni, come per esempio dalle circostanze esistenti nell’epoca e dalle condizioni di vita dello scrittore in essa.
Ogni epoca ha quindi i suoi scrittori prediletti, che non si possono confrontare con quelli di un’altra epoca.
È la necessità intima che regge lo scrittore e lo spinge ad essere osservatore e critico del suo tempo.
Il nostro mondo è oggi ancora troppo benestante, razionale, produttore, fino a risultare inflazionistico in ogni campo delle attività umane.
Sulla ragione, soltanto, non si possono scrivere romanzi avvincenti e sconvolgenti, tanto da volerli leggere sempre di nuovo, e quando l’animo tace, perché trascurato e deriso nel suo intimo, tace anche la fantasia, e con lei il bisogno di riportarla degnamente per iscritto.
Arriveranno i tempi del rinnovo spirituale e con loro i romanzieri fertili e innovativi, quelli che ci indicheranno la via da prendere per uscire dal ghetto consumistico; possiamo così osservare che ogni espressione letteraria nasce dalla precedente ed è origine della successiva, in un avvicendarsi continuo e a prima vista necessario e nuovo.
Una stufa che si spegne, va riattivata con carta e legna secca, altrimenti ci coglie il freddo, e con lui la voglia di vivere per creare qualcosa che ci doni la speranza, soddisfazione e il diletto delle necessità primarie.
Sergio:
grazie per i tuoi complimenti. Abbiamo qualcosa in comune, la voglia di avvicinarci alla verità, uguale quale sia e fino a quando sia valida.
Sostengo la tua opinione, quando affermi che un critico, per essere buono, cioè obiettivo, non deve guardare l’autore in faccia.
Troppo sarebbe il suo influsso su di lui, quello buono come cattivo.
Alla fine si tradirebbero entrambi, nel non riconoscere il senso proprio della loro attività.
Saluti
Lorenzo
ps) il libro di Piperno, da te raccomandato, lo cercherò nell’unica libreria con autori italiani nel centro della città.
Maurizio, hai scritto che ”Personalmente ho preso un’iniziativa in tal senso, della quale se qualcuno ha voglia di sentire parlerò”, ebbene si’ che vorrei saperne di piu’! Sono pronto ad orecchie spalancate, Maurizio, dimmi!
Colendo membro della Societa’ dei Cartografi Pazzi,
non avendo finora avuto il piacere di conoscere ne’ Lei ne’ la Sua reverenda Congrega, ringrazio per la precisazione e d’ora in poi m’impegno a chiamarLa Mario B.
Ossequi e reverenze calienti
Sozi
Eccomi di nuovo.
Stamattina, nella fretta, mi sono dimenticato di ringraziare Zauberei per le belle parole.
Lo faccio ora.
🙂
–
Devo ancora delle risposte ad alcuni commenti di ieri…
@ Sergio
Hai scritto: “secondo me, i veri capolavori dei ”novelli Gadda” sono e resteranno per sempre nei cassetti e faranno la fine che ho detto prima: mangiati dai topi.”
–
Anch’io, Sergio, pensavo così fino a qualche tempo fa.
Poi conoscendo meglio il mercato editoriale (di oggi e di ieri) ho cambiato idea.
Penso che un novello “Gadda” – ovvero uno scrittore geniale capace di portare anche innovazioni a livello di scrittura – troverebbe spazio anche oggi. Anzi, è più probabile che trovi più spazio oggi rispetto a ieri.
E sai perché?
1) Il numero (medio per anno) di libri pubblicati, dai tempi di Gadda a oggi, è cresciuto enormemente. Secondo me un libro di qualità prima o poi il suo spazio lo trova. Certo, il rischio è che si perda tra le tonnellate di carta più o meno utile che affollano le librerie. Ma questo è un altro discorso.
2) Grandi autori del passato hanno riscontrato grosse difficoltà a pubblicare. Ce lo siamo detti tante volte. Svevo e Kafka sono i primi due nomi del Novecento che mi vengono in mente.
E non dimentichiamoci che Tomasi Di Lampedusa fu rifiutato da Vittorini e Primo Levi incontrò il “no” della Ginzburg.
Parliamo di due grandi intellettuali (e scrittori) che avevano gran peso nelle case editrici.
–
A questo punto si potrebbe obiettare a Balestrini che è vero che in passato nelle case editrici avevano gran peso gli intellettuali. Ma non è detto che “scelte editoriali” dei suddetti intellettuali non possano essere state sbagliate. Lo dimostra la storia recente della letteratura (valgano gli esempi di Elio Vittorini e Natalia Ginzburg).
A dopo.
D’accordo, Massimo, allora vediamo quali sarebbero i geni riconosciuti che sono emersi in questi ultimi anni – Italiani in Italia, eh. I loro nomi, intendo. Tu ne hai qualcuno?
Io no. Gente brava, molto brava, bravina si’, ma calibri tipo Calvino o Gadda – ma anche Bassani, Bontempelli… tie’… pure Moravia o Buzzati… Tomasi di Lampedusa…
Dove stanno? Come si chiamano?
Attendo fiducioso dei nomi che io non trovo. E parlo da critico, non da collega scrittore, sia chiaro.
…Intanto, mentre mi sbevazzo qualche birretta in attesa di conclamate genialita’ propongo qualche nome, con relativo ”curriculum vitae ad personam factum”:
1) Vassalli Sebastiano – molto bravo. Ottimo un romanzo: ”La chimera”. Ma il resto non e’ allo stesso livello.
2) Tomizza Fulvio – ”La miglior vita” e’ un bel libro. Niente piu’.
3) Meneghello Luigi – ”I piccoli maestri” e’ il miglior libro resistenziale italiano perche’ adotta a pretesto la lotta partigiana per dire di questa nostra sfortunata Italia (e oltre). Della vita e di altre indispensabili minuzie. Lui e’ al di sopra della media, ma, be’, mica lo vorremo confrontare per ampiezza di vedute ad un Tomasi?
4) Baricco Alessandro – stessa storia: buoni racconti, bellino ”Novecento”, ma poi… americanizza, jazzeggia, rimastica e vola senza fiato per libri su libri.
5) Camilleri Andrea – avanspettacolo di qualita’, eccetto i romanzi extra-montalbanesi. In primis ”La concessione del telefono”, che comunque gaddeggia troppo. Troppotroppo.
6) Salvatore Niffoi – un paio di promettenti romanzi, dalla illuminata poetica neo-arcaica: ”Ritorno a Baraule” e il migliore in assoluto, il primo adelphiano: ”La leggenda di Redenta Tiria”. Questo si’. Il resto si autocanonizza e ripete la liturgia, bello grasso di onori in casa Calasso. Ka-lasso stesso e’ un saggista, bravissimo ma saggista appieno.
7) Tabucchi. Buono veramente, ma ormai morto e sepolto. Insopportabili le uscite di questi ultimi sette-otto anni, a partire da ”Si sta facendo sempre piu’ tardi”. Grigiamente paranoico per quanto luminosi e intensi, lirici direi, furono i suoi ”Requiem” e ”Notturno indiano” (ed altri, sempre buonissimi, che non ricordo piu’, mica so’ un calcolatore).
Eccetera.
Ma ho parlato solo di gente che non sta emergendo ora, mi sembra: gente che ormai sta fra i ”vecchi”. I giovani, dove stanno? Cosa dicono di paragonabile al passato?
Io non li conosco, purtroppo. Attendo segnalazioni, disposto ad ammettere la mia grassa ignoranza.
Mi sono spesso chiesto se non esistano nuovi grandi scrittori oppure se siamo noi che non li facciamo esistere rimanendo ancorati a troppi miti.
Ci riempiamo (giustamente) la bocca e la testa di Kafka, Tolstoji, Gadda, Calvino, Alighieri, Manzoni et cetera, quasi che questi nomi si ergano a baluardo per difenderci dal nuovo.
E’ un ragionamento ad alta voce, il mio, perché sono probabilmente tra i più tenaci ottusi di fronte al “nuovo”. Io per primo, alla parola Letteratura, abbino autori celeberrimi. Quelli che si studiano a scuola, insomma. Da Omero a Verga.
Lo stesso Gadda, del quale ho apprezzato “il pasticciaccio”, a mio avviso non entra nel gotha. Laddove, per esempio, siedono Manzoni, Tasso, Pirandello, Ariosto, Shakespeare et similia.
Ma, credo, questo obnubilamento dovremmo attenuarlo. O forse pensare che “quei grandi” sono tali perché sono arrivati prima.
O magari che i tempi cambiano. E quello che ispirava Leopardi oggi non c’è più. C’è, magari, un (micro)cosmo che ispira Cristina Bove.
Forse ci fottono i paragoni, non so. Forse sono ingombranti paraventi nella nostra mente. Di Letteratura non so. Ma di una cosa sono certo. Se, nella musica, avessi pensato che potevano suonare il rock solo i Beatles e i Rolling Stones, mi sarei perso migliaia di dischi sensazionali. Boh!
P.S.
Ho tralasciato per carita’ cristiana gente come Malerba, Maraini, Lodoli, Cannibali e Novantatreini, Tamaro, Moccia, i pubblicitari in massa (”copywriter” si dice ammo’) che andrebbero messi… va be’… la buona educazione borghese prima di tutto. Diciamo solo: c’e’ poco di personale e molto di cinematografico e massificato, di alienato – che come insulto per un letterato basterebbe e avanzerebbe, a mio avviso, se non fosse che nessuno si offendera’, perche’ qui, oggi, esser considerati ”letterati” fa repulsa a tutti: ”scrittori” bisogna essere, per lisciare i capelli alla moda. Scrittori da bere: Campari e tiraccampa’. Copywriter.
Neanche io metterei mai nemmeno le scarpe (senza la corpulenta massa fisica dell’ingegnere) di Gadda sullo stesso palco in cui stanno gli altri, gli illustri. Non e’ un illustre, Gadda, secondo me. E’ un grande.
Ma cio’ che mi preoccupa e’ appunto, Enrico, questo repentino cambiamento antropologico: prima vedi Leopardi, Dante, Petrarca, Boccaccio, piu’ MIRIADI DI MINORI FANTASTICI (loro contemporanei), dai quali possiamo suggere ogni parola. Ogni parola, dico, mica cazzi! Poi arrivano i Maestri un poco minori, come gli otto-novecenteschi e… ecco: giunti al Duemilaotto chi c’e’? Non dico chi c’e’ di paragonabile (vabbe’, non facciamo paragoni storici) ma di ALTRETTANTO APPREZZABILI NEL DUEMILA?
Anche facendo una categoria a se’ del Duemila, distaccando questo secolo di merda dal passato, non troviamo geni, e’ questo il vero problema!
Ogni era ha bisogno di un proprio ordine, di una sua spina dorsale, un suo ”canone morale ed estetico” che ne caratterizzi ed influenzi la vita comune di ogni Nazione, ma che sia, ovviamente, in ogni Nazione diversa.
Se questo canone non c’e’, solo la confusione resta. Scompare l’uomo europeo, nel nostro caso, inghiottito da una globalizzazione che i ”soliti economisti” hanno provocato per i loro interessacci privati. E che noi subiamo anche come effimerita’ delle opere letterarie.
Il succo e’ questo. Tronchetti Provera lo sapra’ di sicuro. Le pecore di scrittori che fanno il secondo lavoro per ”divertirsi a scrivere” lo accettano senza dignita’. Gli autori veri ci crepano, ammesso che esistano – ma credo di si’.
P.S.
A proposito di autori con le palle: Landolfi avrebbe preferito – diceva – mangiare pane e mortadella piuttosto che fare altro che non fosse scrivere. Eccolo. Un nobile. Vero.
E scusatemi per qualche parolaccia… colpa della birra che involgarisce chi e’ nato fra i campi di viti.
Ammesso che esistano, Sergio.
Ammesso che esistano, gli autori veri, verranno fuori.
Lo diranno i testi di storia della letteratura di domani.
Aggiungo tre cose (poi devo chiudere):
1) molti dei grandi autori del passato non sono riusciti a campare con la propria scrittura; ma il fatto che svolgessero un “secondo lavoro” non compromette la loro grandezza;
2) nel tuo elenco di “discreti scrittori anzianotti” manca Waler Siti;
3) la birra si smaltisce… poco male.
Buonanotte.
Cio’ non toglie che di bravi giovani non ve ne siano affatto.
Visibili, eh.
Certo che non toglie niente alla bravura letteraria, il secondo lavoro. Ma i veri grandi del passato, in genere, dopo il secondo libro iniziavano a percepire soldi e a scrivere a pagamento su giornali e periodici. Facevano i letterati-giornalisti, almeno. Oggi?
Oggi in Europa di giornalisti-scrittori ce ne sono trentamila in ogni Nazione, eccetto in Italia, dove solo le minoranze di ammanicati politicanti stanno ”nel numero” di chi non deve fare altro di diverso dalla scrittura.
E sai perche’?
Perche’ qui ti fanno scrivere solo a gratis, i ”padroni editori”. O no?
Incredibile, l’Italia, incredibile: frotte di persone che scriverebbero A VITA gratis solo per farsi vedere, mica per fare la giusta gavetta. Io sono d’accordo con la gavetta, ma non quando il padrone se ne approfitta e non ti fa avanzare nella carriera (se sei bravo)!
Invece cosa succede in questo Paese di schiavi e schiavisti? Gli schiavisti ti dicono: bravo! Scrivi bene! Dammi che ti pubblico! Bravissimo! Ma i soldi li faccio io, non tu. Tu vai a fare l’impiegato, l’operaio, l’autista. Io sono l’EDITORE. Io faccio l’editore e tu l’hobbista a vita.
Medioevo.
E chiudo chiedendomi: chissa’ se chi ha la pancia sicuramente piena sin dal Sessantotto si rende conto di questo. Chissa’ cosa pensa, il Princeps dell’Avanguardia post-super-ultra-avanguardia italiana, di questa condizione degli autori italiani non-privilegiati. Cosi’, ecco, chiudo restando nel tema del post e evito, con la coda, di esser reputato uno che parla solo di cose giuste per la propria categoria.
Vediamo se il Principe dei Sessantottini e’ d’accordo con il pagare per legge ogni scritto pubblicato, in base ad un tariffario futuro. O se gli piacciono, invece, gli hobbisti o i poveri. Eh, Balestrini? Lo sa, lei, che ovunque in Europa gli autori vengono pagati alla pubblicazione e qui si parla solo di royalties ad essere fortunati?
Sergio.
Ultimo messaggio.
Stai riempendo ogni post di questo blog con i tuoi “ovunque in Europa”. Ti è stato dimostrato che non è così, ma tu insisti. E persisti.
Io comincio a stancarmi.
Non voglio esser ripetitivo, ma realistico. Wu Ming non conosce la realta’ europea, io si’ perche’ ci vivo e sto con gli addetti ai lavori.
Comunque ora la pianto, vista la rassegnazione degli scrittori. Scusami, lo facevo anche per te.
Ma si sappia che mia moglie per il suo primo libro di racconti ha ricevuto novecento euro alla consegna, vendite o non vendite. Racconti scritti in sloveno e pubblicati in Slovenia. Gli Italiani in Italia invece… pagano loro l’editore!
Ma qui la finisco per non voler esser invadente. Si deve parlar d’altro, stare in argomento. Giustissimo.
Pardon
Buonanotte a tutti
Un invito:
Gordiano Lupi, tu che conosci almeno la Svizzera, cosa ne dici dei pagamenti agli autori li’? Li pagano subito, tutti, vero? O sono pazzo io? Sai, perche’ qui mi si da’ del pazzo…
So tornata in suolo Italico!
Un saluto a Luca Gallina Carlo Orff è preciso! Lusinghiero pure. troppo:)
Uno pure a Sergio, in effetti Parigi la conosco come le mie tasche.
Uno a Massimo. Massimo, non avere pentimenti: avevi una sensazione e e ne hai parlato. eh!
Poi due cose: io, come credo che sia scontato, ho un’adorazione per Gadda e una certa allergia per le graduatorie in letteratura – mi danno la stessa sensazione delle gare di morti: avete presente quella situazione tipica per cui uno dice: i piripicchi ci hanno avuto 200’000 morti. Allora arriva l’altro e ni ci fa “I turupacchi peggio! 500’000”. Indi si diparte una tremendamente kitch gara della sfiga e del dolore ch fa accapponare la pelle. La misurazione dell’eticamente incommensurabile. Ecco fino a un certo livello per me è ok, cioè: è lecito dire per esempio che un libro di Moccia è una cagata rispetto a Proust, ma mi chiedo oltre a un certo livello che senso possa avere.
Gadda per me è meraviglioso. Anche se a tratti troppo involuto – c’è una serie di libri, tra cui includo anche le opere di Gadda, che leggo perchè mi piace essenzialmente l’impsto della lingua. Ma se me chiedete la trama der Pasticciaccio, o le faccende dell’Adalgisa, ahò brancolo ner buio. E comunque, credo che quando la sperimentazione linguistica si ancora al dialetto, vola altissimo ed è meravigliosa, ma si provincializza da sola, inevitabilmente. Voglio proprio sapere all’estero che cazzo se leggono, quando comprano un libro di Camilleri. Non comprano un libro di camilleri, comprano una fiction. La scrittura che si ancora al dialetto nella traduzione muore più delle altre.
Sulla questione di oyoyoyoy i grandi scrittori un ci sono più! Non credo che questa cosa sia possibile. Sergio, non si può essere troppo allergici al relativismo, è un lusso che non ci si può più permettere, abbiamo perso la verginità in merito da molti e molti anni. “Grande” è un concetto relativo che si può utilizzare solo con uno spazio di riferimento. Non solo per decidere le proporzioni, ma per il variare dei metri di giudizio. Per questo non è raro che esistono due categorie di grandezze, quella della contemporaneità e quella di un momento a venire, che ha ritrovato in un certo scrittore la scala di valori che attendeva, ma che per esempio la contemporaneità non gradiva affatto.
Se proprio devo tollerare le classifiche di inclassificabile. Credo che ci siano già dei grandi. Al momento posso solo però indovinare gli scrittori che piacciono a me, ai posteri l’ardua sentenza. Per citare uno che tira tanto qui.
Bentornata, Zauberei (io invece resto a Lubiana)!
Pero’ la liberta’ e’ anche liberta’ di non essere relativisti. Io non lo sono e credo di poterlo non essere: e’ un lusso che mi permetto e che altri si permettono. Ho dei valori forti e saldi, stabili, chiari. Non per questo li voglio imporre agli altri, esattamente come nessuno mi puo’ imporre il relativismo odierno. Detto da gaddista convinto, eh!
A proposito di Camilleri ne so qualcosa perche’ Veronika ne e’ la traduttrice slovena: ha reso con delle espressioni dialettali del Litorale sloveno (il Capodistriano, per capirsi) i suoi lemmi siciliani ed il risultato sembra buono; dopotutto Camilleri non e’ difficile da tradurre: sintassi italiana con qualche lemma siciliano, tutto qui. Peggio sarebbe, dice Veronika, tradurre il sottoscritto!
Statti bene, cara, ed Auguri di Buon XXV Aprile!
Sergio
@ Sergio (off topic)
Allora, Sergio, sintetizzo qui alcune delle cose che ti ho scritto per email. Non per fare polemica, ma per una questione di chiarezza. Nel successivo commento, invece, seguirà un’idea/suggerimento.
—
1) Su letteratitudine ho dedicato in passato due post specifici sul problema dei giornali e riviste che non pagano articoli e racconti (in uno dando spazio a un intervento piuttosto duro di Roberto Alajmo).
2) Ho pubblicato un paio di post sulla questione degli editori a pagamento (in uno, come ricorderai, ospitando l’intervento di Lupi e l’intervista di De Matteis rilasciata a Di Consoli).
3) Ho pubblicato diversi post sulle contraddizioni del nostro sistema editoriale (con interventi miei e di altri… vedi Cilento)
4) Ho messo la “camera accanto” a tua completa disposizione per questa tua proposta di legge, ecc. (la “camera accanto” è uno spazio libero a disposizione di tutti). Il punto è che, in generale, quando qualcuno mi dà l’impressione di cominciare a usare il blog a proprio uso e consumo, anche se per motivi legittimi e lodevoli, mi infastidisco. Ripeto, di tutte quelle questioni ne abbiamo già parlato ampiamente e più volte e la camera accanto è sempre lì a disposizione… ma non è possibile riproporre lo stesso argomento in ogni post (più che altro per una questione di ordine… e anche perché la gente che ci legge finirebbe con l’annoiarsi)
5) la maggior parte degli autori che conosco vengono regolarmente pagati dai giornali in cui scrivono e beneficiano di lauti anticipi dagli editori per le loro pubblicazioni.
6) “Sulla questione editori in Italia e in Europa”: non conosco la realtà editoriale al di fuori dell’Italia (non benissimo, almeno), ma dal carteggio tuo con Wu Ming (vedi post dedicato a “Manituana”) mi pare che tu stesso fossi giunto alla conclusione che i tuoi “dati” potevano riferirsi con certezza solo alla realtà slovena (peraltro i Wu Ming sono tradotti praticamente ovunque e – credo – che tra gli italiani siano tra i migliori conoscitori del mercato editoriale europeo e internazionale).
L’idea/suggerimento è la seguente. Perché non apri un blog tematico sulla tua idea di “proposta di legge”? Potresti includere lì il pezzo pubblicato su LibMagazine e riproposto ne “la camera accanto” e aggiornarlo di volta in volta con eventuali novità che potresti segnalare sempre ne “la camera accanto”. Ovviamente inserirei il link del blog tra quelli di letteratitudine.
Mi sembra un’idea niente male e facilmente realizzabile.
Buongiorno a tutti. Chiedo scusa per l’assenza, dovuta a stato comatoso della connessione ADSL a casa. Avete mai riflettuto a quanto siamo ormai in dipendenza assoluta da questi aggeggi? Chi di noi scriverebbe, se dovesse ancora scrivere con le Underwood o le Lettera 32, o peggio ancora con la penna? Io certamente no, troppo pigro e con una grafia totalmente incomprensibile.
Devo una risposta a Sergio, che mi ha chiesto dell’iniziativa personale tesa a contrastare l’editoria a pagamento; per inciso, rilevo che questo è un argomento pressoché insuperabile, da dovunque si parta.
Allora: nel contratto con Fandango, che mi obbliga a proporre in via primaria a questa casa editrice ogni romanzo, mi sono riservato la possibilità di regalare racconti alle case editrici della mia regione che non pubblicano a pagamento. Non è una sciocchezza: mi consente di aiutare le giovani case editrici che si propongono di contrastare questo fenomeno.
Siccome ho la fortuna di avere allo stato una certa visibilità, soprattutto per l’ipotesi fiction collegata a Ricciardi (si verificano fenomeni simpatici, tipo abbordaggi di attori e cose del genere, che in altra occasione vi racconterò), questo mi consente di dare una bella mano: antologie con esordienti, presentazioni di progetti, racconti singoli pubblicati in piccoli libri di collane “leggere” e così via. Tutto a titolo assolutamente gratuito per quanto mi riguarda, ma che consentono all’editore di pagare gli altri partecipanti, anche poco ma comunque pagare.
Penso che se tutti quelli che a titolo diverso hanno un po’ di rilevanza, per merito o, come nel mio caso, per mera fortuna, dovrebbero condividere e lottare contro questo fenomeno di soffocamento della creatività.
@ Davvero Maurizio?
Piacere di conoscerti, mi chiamo Rossella. Posso avere la tua e mail: ho da chiederti alcune informazioni. Oppure se hai un sito personale.
Ciao
Maurizio De Giovanni sei un pazzo suicida a lasciare di codeste dichiarazioni in questo blog.
Perchè, come forse Rossella, o come forse altri potrebbero fare dopo di me, ci ho dei raccontini che non mi decido a farl leggere a editore alcuno. Me li leggo io e chiumo.
Non sono in romanesco.
Ora, sono consapevolerrima dello scassamento de minghia che può produrre una richiesta del genere e perciò non ci penso proprio a chiedere la tua mail. Però questa è la mia (blimundaj@yahoo.it)
Massimo, in questo caso ho usato il tuo blog a fini personali e per giunta manco nella camera accanto. In futuro cercherò di evitare. Perdona il raptus autoreferenzialo.
Carissime Rossella e Zauberei, sono felicissimo di darvi la mia mail (maurizio.degiovanni@alice.it), che peraltro ho già rilasciato altrove in Letteratitudine per avere pareri sul romanzo. Tuttavia chiarisco che non ho la funzione editoriale, mi limito a regalare racconti a case editrici di comprovata limpidezza e autonomia: “Ad est dell’equatore” (www.adestdellequatore.it), Centoautori (www.centoautori.it) e Kairòs (www.edizionikairos.com), piccoli grandi editori napoletani intrepidamente convinti di poter sopravvivere anche senza defraudare gli autori.
Il mio voleva, e vuole, essere soprattutto un forte richiamo agli autori a sostenere queste piccole case: e a sostenerle nell’unico modo che sappiamo, cioè scrivendo.
Maurizio, ti sei rovinato!
🙂
Maurizio,
grazie per il tuo apprezzamento. Ne avevo proprio bisogno. Non mi daro’ pace finche’ in Italia non verra’ cambiata la nostra situazione. Dunque… la divulgazione di quanto propongo e’ benvenuta e gli editori che pagano sono da portare ad esempio di corretta imprenditoria.
Ti scrivo presto
Ciao
Sergio
FUORI ARGOMENTO (off topic)
Massimo,
grazie per il ”suggerimento blog”… ma io sono scarsuccio per le cose tecniche: e’ difficile, costa, fare un blog? Io non ho una lira e sono ”endicappato elettronico”…
Comunque parlo di questo (tedioso) argomento solo perche’ ne hai parlato tu: io non sfrutto mai niente e nessuno per fini personali. Adesso scrivo su quell’argomento (editoria) solo per rispondere a chi mi scrive a proposito. Ho detto tutto quanto avevo da dire, come ti ho scritto privatamente, e dunque taccio per tornare a parlar d’altro (e a tema).
Ciao
Sergio
(off topic)
@ Sergio
Non ho mai pensato che tu volessi “sfruttare” qualcosa o qualcuno.
Però l’idea del blog tematico non è malvagia. E creare un nuovo blog non costa nulla. Io, al posto tuo, ci penserei.
Chi vuole dare un supporto tecnico a Sergio?
(ragazzi, non io… mi sento già troppo oberato).