Novembre 18, 2024

133 thoughts on “NARRATIVA E TEATRO: COMICI RANDAGI

  1. Cari amici,
    come ho scritto sul post, sono davvero molto lieto di poter dedicare questa nuova discussione di Letteratitudine al rapporto tra narrativa e teatro e alle tematiche a esso collegate.
    In passato avevamo già avuto modo di occuparcene, ma stavolta tenteremo di farlo in maniera ancora più approfondita.

  2. Lo spunto ce lo fornisce il nuovo libro dello scrittore Orazio Caruso, “Comici randagi” (Sampognaro & Pupi, 2012), che è proprio “in tema”. Si tratta, infatti, di un romanzo che si specchia in una pièce teatrale, sia per quanto concerne la struttura, sia per la trama, ma anche per i contenuti e per lo stile adottato.

  3. Un romanzo, questo di Orazio Caruso, imperniato sul rapporto speculare tra due fratelli, sull’amore per il teatro (che diventa “metafora di salvezza”), e sul “Sogno di una notte di mezza estate” di shakespeariana memoria.

  4. Avremo modo di parlarne con lo stesso autore, che parteciperà al dibattito. Contestualmente – come anticipato – avremo la possibilità di discutere dei temi affrontati dal libro e, in particolare… di teatro.
    Per favorire la discussione, pongo qualche domanda.

  5. 8. Avete mai letto “Sogno di una notte di mezza estate”? E avete mai avuto modo di assistere a una sua rappresentazione? Quali sono i vostri ricordi e le vostre sensazioni, in merito?

  6. Sul post, la lettura di Simona Lo Iacono con cui ho avuto il piacere di presentare questo romanzo nell’ambito di una rassegna di libri e letteratura curata e condotta dalla stessa Simona.
    A fine post, ho inserito il video della suddetta presentazione.

  7. Tutti coloro che hanno avuto modo di leggere “Comici randagi” di Orazio Caruso, sono – naturalmente – invitati a esprimere la loro opinione sul libro dialogando con l’autore.

  8. Chiedo all’amica e socia di scrittura Simona Lo Iacono di darmi una mano ad animare e coordinare la discussione.
    (Grazie, cara Socia: so che posso contare su di te!)

  9. Complimenti a Orazio Caruso! Io adoro il teatro e “sogno di una notte di mezza estate”!
    Guarderò con interesse il video e vi farò sapere!

  10. Per rispondere a una delle tue domande, Massimo…i rapporti tra letteratura e teatro sono strettissimi. E d’altra parte tanti attori e scrittori di teatro sono stati romanzieri, a partire da Pirandello, ma anche Martoglio e il grande Eduardo.

  11. Io adoro il teatro e mi duole non poter partecipare agli spettacoli come vorrei, dati i tanti impegni fmiliari…ma penso che sia un modo per entrare nel cuore dell’arte, immergersi nella storia, uscirne cambiati.
    Sono meravigliose tutte le forme teatrali, le commedie, i drammi e persino i musical.
    Ne ricordo uno a Roma di tanti anni fa all’Olimpico con Gigi Proietti. Un camaleonte che in teatro vibra ancor più che in tv…

  12. Auguro quindi a questo romanzo moltissima fortuna! Mi piacerebbe sentire la voce dello scrittore, sapere se nella sua vita reale il teatro ha un posto oppure…come le è venuta in mente l’idea di questo romanzo?
    Auguri di cuore
    Renata

  13. Comunque il teatro è molto più “anziano” e longevo del cinema. Sopravvivrà ancora.
    Auguri a O. Caruso per il romanzo.

  14. Andrea, l’emozione “live” che può dare una rappresentazione teatrale non potrà mai darla un film.

  15. Ecco le prime impressioni di una amica lettrice sul mio romanzo. così potete cominciare a farvi delle idee sulla storia che ho raccontato e sul modo in cui l’ho fatto.
    Orazio Caruso

    Forse se Eugenio avesse lo sguardo meno attento a chi gli passa davanti, gli sarebbe più facile tro-varsi fino in fondo e presto, riconoscersi nel sorriso di Alice o nello sguardo appuntito di Ida, ma tutto questo Eugenio non sa farlo, perché ha bisogno del teatro per riagganciare i fili della sua vita con Alfio, con Alice, la figlia sbucata dal nulla da cui si sente più disagiato che attratto, col sasso di Ercole, con i frutti del ciliegio, con i genitori e persino con Rosa, fantasma che ha cambiato la vita di tutti e che nessuno nomina per paura di riaprire ferite. Ma la vita è solo un enorme palcoscenico, e anche se non vuoi, una parte la devi recitare e ancor meglio se Puck rimescola il tuo destino fa-cendo affiorare la parte più fragile di te. Allora ecco che scompare il cinico don Giovanni e appare il tenero Eugenio. Quello che ha amato Ida a prima vista, che ha provato paura e curiosità per Alice, che si sente tutto sommato bene negli abbracci sproporzionati di Alfio. Ma siamo sicuri che sia stato proprio lo scambio del magico geode a cambiare Eugenio? O Eugenio don Giovanni aveva già in atto un cambiamento, dato che stranamente non aveva nemmeno sfiorato la conturbante Lucia che nuda gli giaceva accanto? Perché mi chiedo un donnaiolo di quella risma che era stato capace di amare Desdemona sul palcoscenico, dove recitava il di lei marito ora si fa scrupolo di amare Lucia, un’attricetta che pensa di far così una rapidissima carriera? Forse i colpi presi dalla vita lo stavano già cambiando, anche se non si può negare che il geode d’ametista è magico o forse è Alice che è maga? In fondo è lei che cambiando le due metà del geode ha cambiato le personalità del padre e dello zio e tutto sommato ha cambiato anche le personalità di tutti gli altri personaggi. E il bosco, cerchio magico perfetto per una commedia perfetta come Il sogno di una notte di mezza estate? Tut-to in questo romanzo ci riporta magicamente alla magia di Orazio Caruso e del suo essere Oberon in un bosco di cui è lui il maestro perfetto.

  16. mi piacerebbe molto esprimere il mio parere a riguardo! studio recitazione da tre anni a Roma, quindi non parlo da professionista, ma da studentessa innamorata del teatro, e da ex studentessa di Orazio Caruso! che il teatro sia in crisi è un dato di fatto, ma non per i motivi che pensiamo, ma perchè siamo un pubblico abituato ai mass media, e a quello che, per esempio ci propone la tv. e il teatro si sta adattando, e questo credo sia profondamente sbagliato. non bisognerebbe andare a teatro per rilassarsi, o per guardare passivamente una messa in scena simile a uno sketch televisivo, ma per vivere una storia, per emozionarsi, per porsi delle domande e rispondere ad altre. guardando le proposte dei teatri, anche quelli importanti, mi accorgo che ciò che conta è mostrare un nome noto e cercare di attirare pubblico tramite questo,mettendo in secondo piano lo spettacolo. sono soltanto strategie di mercato. ma il teatro è arte, e l’arte non può morire. il vero teatro si trova ancora, non dove ci si aspetta spesso, ma esiste ed esisterà, tutti abbiamo bisogno dell’arte. scusate se mi sono dilungata!
    ad ogni modo, in bocca al lupo per il nuovo libro che sono sicura di divorare appena riuscirò ad averlo!

  17. Carissimi amici
    un caloroso abbraccio ad Orazio Caruso che ho avuto la gioia di presentare a Siracusa insieme a Massimo, in seno alla mia rassegna letteraria “Letteratura ed arte”!

  18. In quella occasione ho affidato il compito di presentare questo intenso romanzo anche a Puck, il folletto di “sogno di una notte di mezza estate”, la commedia che – in seno al libro di Orazio – viene inscenata dai due fratelli, protagonisti del libro, in un bosco alle falde dell’Etna…

  19. Per chi non lo sapesse, infatti, Puck è una figura della mitologia britannica utilizzata da Shakespeare per simboleggiare l’amore. E’ un folletto dispettoso e giocoso, una sorta di fauno, che si fa portatore di tutta la poetica di shakesperae. Nel sogno di una notte di mezza estate si fondono infatti le vicende degli umani e degli dei. Questi ultimi partecipano alle vicende in maniera silenziosa , talora divertendosi, talora soffrendo per essi. Shakespeare rende attuali, quindi, le dinamiche del teatro greco, dato che le vicende sono mosse dalle divinità.

  20. Tuttavia nel teatro moderno anche il carattere dei personaggi ha un peso determinante. Inoltre,a differenza del teatro greco,in cui uomini e dei parlavano, litigavano,si amavano e generavano figli, in “sogno di una notte” gli umani non hanno nessuna consapevolezza diretta dell’influenza degli dei,non possono interagire ne immaginare i motivi per cui le cose succedono , quando queste succedono per via dei trastulli o delle gelosie di oberon e titania.

  21. Un bosco alle falde dell?Etna e due fratelli. Ma lo spazio scenico potrebbe portarci in qualunque punto del globo e i due fratelli potrebbero essere due attori qualsiasi che rappresentano due facce della stessa medaglia o persino due prospettive di una sola faccia.
    Ma la rappresentazione teatrale è finzione? Surrogato della realtà? o si interseca in essa per darle modo di uscire fuori dagli schemi?
    Sogno, realtà e figurazione sono i tre elementi che Orazio, abilmente, fonde per dar vita a una storia in equilibrio tra verità e magia, tra una vicenda reale, fatta di accadimenti comuni, di emozioni solite, come attrazione e gelosie, e di elementi fantastici.
    Di beghe di tutti i giorni e problemi basici ed esistenziali.
    E su tutto questo, una garza, una spolverata di amara ironia

  22. teatro e letteratura? M’invitate a nozze…spero di leggere al più presto il romanzo dell’amico Orazio.

  23. 1. Che relazione c’è tra narrativa e teatro? Che esempi vi vengono in mente?

    Mi sforzo a pensare a romanzi che abbiano avuto a che fare con il teatro, ma al momento non mi viene in mente nulla. A parte questo, sono tanti i romanzieri che si sono occupati anche di teatro. Su tutti il grande Pirandello, come ha ricordato Simona.

  24. 2. Che rapporto avete con il teatro? Assistete abitualmente a spettacoli teatrali?

    Amo anch’io il teatro, anche se – purtroppo – il tempo per assistere agli spettacoli è sempre meno. A mia discolpa, però, posso dire che frequento poco anche i cinema e i concerti. Però alle mie letture notturne non ci rinuncio. Di notte il tempo è mio. Ne dedicherò un po’ anche a questo romanzo di Orazio Caruso.

  25. 3. Qual è la vostra percezione sullo “stato di salute” del teatro?

    Credo che il teatro sia in “sofferenza”, così come l’opera lirica (per fare un esempio). Sono d’accordo con Masha, sul fatto che a furia di “spettacolarizzare” si perde la natura artistica delle origini del teatro. Mal comune con tutte le forme d’arte, temo… ma non c’è mezzo gaudio.

  26. 4. Su cosa bisognerebbe puntare per sostenerlo?

    Bisogna far amare il teatro ai giovani, soprattutto nelle scuole. Trovare il modo per incuriosirli e stimolarli, magari rendendoli protagonisti. Non vedo altre strade.

  27. 5. Come immaginate il futuro di questa forma artistica?

    Non saprei. Spero solo che il teatro possa attraversare una nuova fase di auge. E qui torniamo alla risposta precedente.

  28. 6. Siete d’accordo sul fatto che Shakespeare sia il più grande autore di testi teatrali? Oppure… ?

    Shakespeare è uno dei più grandi, non c’è dubbio. La storia del teatro non sarebbe la stessa senza Shakespeare

  29. 7. Qual è l’opera di Shakespeare da voi preferita? E perché è la vostra preferita?

    “Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, e rifiuta il tuo nome! O, se non lo vuoi, tienilo pure e giura di amarmi, ed io non sarò più una Capuleti.”

    Qual è la mia opera preferita? Secondo voi? 🙂

    Motivo? La più bella storia d’amore e morte di tutti i tempi.

  30. 8. Avete mai letto “Sogno di una notte di mezza estate”? E avete mai avuto modo di assistere a una sua rappresentazione? Quali sono i vostri ricordi e le vostre sensazioni, in merito?

    di “Sogno di una notte di mezza estate” conosco la storia, ma ammetto di non aver mai letto l’opera né di aver assistito a rappresentazioni a teatro.

  31. Vorrei cominciare facendo i miei complimenti a te Massimo, per aver portato questo blog ad essere uno dei punti di riferimento all’interno del mondo letterario. Grazie ai temi ed ai personaggi che tratti, sempre l’uno diverso dall’altro e che in un certo senso ci permettono di cogliere sfaccettatture diverse da quelle “standard” che tutti gli altri operatori del settore mettono in risalto. Davvero complimenti.
    Per ciò che riguarda questo libro, beh, che dire.
    Rappresenta una vera e propria novità, soprattutto per la modalità con la quale è stato scritto, oltre alla storia gradevole e per nulla scontata.
    L’esperimento a mio modesto parere rischioso, di unire la struttura della sceneggiatura teatrale a quella della vera e propria narrazione è stato un pieno successo. E’ un libro che consiglio a tutti proprio perchè rappresenta una “novità” per come è stato strutturato. E in un momento in cui giornalmente escono 1000 libri, trovarne almeno uno che si differenzi dagli altri 999 non è cosa di poco conto.
    Un abbraccio ad Orazio e tutti voi, continuate così!

  32. Ecco la bella recensione della scrittrice e giornalista Anna Pavone

    Comici randagi
    Orazio Caruso

    Alice un giorno scrive al suo professore di liceo. Al suo professorino, come lo chiama. E alterna il “lei” al “tu” perché quel professorino non è più il suo professore, ma le ha lasciato frasi e parole da conservare e da vivere.
    Gli fa sapere che non si iscriverà all’università, non per il momento almeno, non andrà all’estero a formarsi, non cercherà un lavoro.
    Andrà in Sicilia, invece, a conoscere il padre, il “vero” padre. L’ha saputo a diciott’anni che suo padre era solo il marito di sua madre. E in fondo lei l’aveva sempre percepito estraneo.
    Ma il vero padre non vive più in Sicilia da anni, il suo vero padre ha saputo della sua esistenza trovandosela un giorno sulla porta. Il suo vero padre non è mai stato un padre, e neanche un compagno, perché è sempre scappato prima che qualcuno potesse scappare da lui.
    “Chissà che fine ha fatto Eugenio, anima da pirata, che si è lasciato dietro le spalle una città sbagliata, e che ha viaggiato con le scarpe e con le orecchie e con il cuore”. Versi di De Gregori.

    Eugenio, il ben nato, è un regista famoso che ha dovuto lasciare la compagnia perché travolto da uno scandalo da dongiovanni da quattro soldi ed è tornato in Sicilia chiamato da associazioni culturali perché mostrasse l’istrione che la gente voleva conoscere, a cui voleva stringere la mano.
    Perché mostrasse il personaggio, non la persona.
    La persona la conosce solo il fratello Alfio, che invece è rimasto in Sicilia, che fa il bibliotecario, che non si è mai laureato, che non ha figli. Che gli dà un appuntamento a cui arriva puntualmente in ritardo e che poi lo stringe in un abbraccio da cui Eugenio non riesce a divincolarsi perché ha il sapore dell’infanzia, della madre, del bosco, delle corse.
    E dentro quell’abbraccio si lascia convincere a mettere su uno spettacolo per manifestare contro la nascita di un centro commerciale nel bosco. Un centro commerciale che terrà il bosco in una teca.
    È difficile, è un’idea azzardata, provocherà malumori e non è detto che sortisca il suo effetto, non c’è una compagnia, ma Eugenio si lascia incantare.
    Perché il teatro lo vede dappertutto, e il teatro gli si mostra dappertutto.
    Come se volesse tenerlo inchiodato a sé, come se gli dicesse tu puoi lasciare una compagnia, ma non me, non il Teatro.
    Per questo vede attori e scene dappertutto, li vede davanti a un’edicola, dentro una libreria, sul lungomare. Vede personaggi che non sanno di essere tali, vede copioni e storie ovunque si giri, vede le scene e le battute che si avvitano alle loro vite.
    E il lettore diventa spettatore di scene che il narratore decide di far diventare teatro.

    Sarebbe semplice, e anche scontato, dire che il libro di Orazio Caruso è una riflessione sul teatro, un romanzo che parla di teatro e si fa teatro. Ma questo libro è molto più che una riflessione, è più che meta-teatro dentro il romanzo.
    Questo romanzo ha un linguaggio teatrale, ha una scansione temporale teatrale. Ha un procedere cadenzato in cui il tempo si fa protagonista insieme agli altri personaggi. Ha una lingua teatrale, una lingua immaginifica, dialoghi irreali e lontani dal parlare quotidiano, cercati e voluti come battute di un antico dramma greco, non come una commedia del Novecento. Dialoghi sussurrati, rubati alla scena (poco importa che sia un lungomare o un palcoscenico), frasi lunghe e sinuose, come onde lunghe. Un respiro mai ansimante, mai sincopato, mai spezzato.
    Questo libro è una favola. Una favola sui padri mancati, su quelli inconsapevoli, su quelli che cercano disperatamente di esserlo con figli non propri. Una favola.
    E una favola è quella che Alfio ed Eugenio vogliono rappresentare nel bosco: Sogno di una notte di mezza estate. Invocata, provata, attesa, temuta. Che si realizza solo per poche, ultime pagine. E neanche del tutto. Come quell’ospite di cui si parla ma che non c’è, e che forse non arriverà.
    E non è un caso che tale riflessione sul teatro venga non da un attore o da un regista, da qualcuno per cui il teatro è mestiere, ma da un professore di liceo che il teatro lo ama e lo sente nelle viscere, da uno scrittore che a diciott’anni scrisse e mise in scena una pièce e che un paio di anni fa portò sulle scene Saramago vincendo una rassegna di teatro scolastico.
    La messa in scena di Sogno di una notte di mezza estate rende chiari i ruoli di ciascun personaggio del romanzo perché ciascuno possa diventare quello che è sempre stato, per dirla alla Pindaro.
    Ogni personaggio trova nel suo ruolo la sua occasione, la sua seconda opportunità.
    Perché tutti i personaggi di Orazio, e non solo in questo romanzo, hanno un nodo nel passato, ad ognuno di essi è accaduto qualcosa, e da quel momento gli si è spezzato dentro qualcosa, e nessuno è più rimasto lo stesso. Ognuno cerca una seconda possibilità per riscrivere la storia, per tornare al punto di partenza.
    Succede ad Alfio, ligio al dovere fino al parossismo, bella testa che rinuncia alla laurea in filosofia pur avendo scritto e riscritto la sua tesi di laurea. O forse proprio per questo. Che sposa una donna semplice, normale, che fa la sarta, che usa le mani per vivere, non i pensieri. Che ha un grumo nel passato, un dolore, un senso di colpa, un restare fermo a guardare il fratello andare via mentre lui rimane immobile, custode della memoria, custode degli alberi e dei loro nomi, delle loro storie.
    (Perché ogni albero ha una storia e Alfio racconta il fratello alla nipote Alice attraverso le storie degli alberi. Glielo racconta con le parole che si fanno profumi, corse, lotte, sapori, avventure. Perché ogni figlio prova nostalgia per l’infanzia del padre, per quel tempo in cui non esisteva e in cui poteva conoscerlo).
    Succede a Ines, a Jacopo, a Luana, a tutti quei comici randagi che Eugenio inizialmente osserva, scruta, studia, ascolta, ma che poi riunisce in un bosco.
    Il bosco è luogo mitico in cui a ognuno è consegnata una seconda possibilità.

    Alfio ed Eugenio erano piccoli quando un circo acrobatico era arrivato al paese, ed erano rimasti talmente incantati da chiedere ai ginnasti di prenderli con loro. Non ebbero un lavoro, ma un geode da una trapezista. Un geode di ametista spaccato a metà, una metà per ciascuno. Una metà da conservare e a cui consegnare la scelta del destino.
    Un unico destino diviso a metà, un Giano bifronte, una medaglia dai due lati.
    Ma se quel pezzetto di ametista, che racchiude un intero destino, si fosse perso nelle tasche dei due fratelli, o se una ragazzina lo avesse preso e chiedesse ora, nuovamente, come la ginnasta di allora, di scegliere ai due la propria metà… Sceglierebbero la stessa metà? Lo stesso destino? Confonderebbero geode e vita?
    E se non si ritrovassero più e Alfio diventasse un po’ Eugenio ed Eugenio un po’ Alfio?

    Che fine ha fatto Eugenio?
    “La letteratura non basta a mettere in ordine i conti! Bisogna baciare il rospo… scivolare dalle radiose pagine ed entrare nel bosco rognoso della vita, accompagnarsi al lupo, rovistargli la pancia, viaggiarne il pietroso intestino…” scrive Alice al suo professoruccio.
    E Orazio in quel bosco è entrato insieme ai suoi personaggi, ha trasformato Spartacus, il ribelle necessario che lotta contro tutte le ingiustizie, in un fauno.
    E ce l’ha raccontato.

  33. Ecco la recensione della scrittrice Piera Mattei uscita sulla rivista letteraria online “Lucreziana 2008”

    Grazie a Piera Mattei

    Orazio Caruso – Comici randagi – Sampognaro e pupi edizioni 2012 di Piera Mattei

    Quanto del personaggio di Spartacus, quanto di quello di Don Giovanni, sono diventate parti integranti della personalità di Orazio Caruso scrittore? Quanto il teatro (che organizza nelle scuole e per le scuole) è diventato un modo essenziale di rappresentarsi la vita, le sue complicazioni, e quell’elemento insopprimibile che è la sorpresa, il divertimento, il mettersi “in scena”? Il divertimento sembra l’atteggiamento fondamentale di questa scrittura e riesce a comunicarsi al lettore, che non incontra – è diventato evento raro!– banalità o deviazioni volgari nel suo rapido percorso di lettura. Eugenio, coprotagonista col fratello Alfio, che è infatti l’altra metà del geode d’ametista, è certo un Dongiovanni perché è interessato a tutte le donne che capitano sotto il suo sguardo, ma non è il Dongiovanni di Da Ponte – Mozart perché gli basta fantasticare sulla loro immagine, prendere lo spunto da un dettaglio per inventare una storia, non macchina inganni e seduzioni per possederle e abbandonarle. In fondo Eugenio è essenzialmente un creatore di storie, di personaggi. Ma quando torna a fare il regista, pirandellianamente, le sue creature, le sue invenzioni che ha allenato con severa disciplina, una volta collocate sulla scena rivendicano la loro indipendenza, sfuggono a qualsiasi predeterminata intenzione direttoriale. La caratteristica principale di questa scrittura è la leggerezza, la grazia, come a ricordare che il Don Giovanni di Mozart non è una tragedia ma un dramma giocoso. Sul finale il riferimento alla violenza mafiosa che si oppone a ogni difesa della splendida natura dell’isola in nome del profitto, vede infine il trionfo dei buoni e tutti si salvano.

  34. Caro Orazio, ne approfitto per salutarti e per darti il benvenuto (o meglio, il bentornato) su Letteratitudine con questo tuo nuovo ottimo romanzo.
    Grazie per i tuoi interventi.

  35. Un caro saluto e un buon fine settimana a Più libri più liberi a tea caro Massimo.
    Mi lasci in buone mani.
    Un grazie a tutti per i loro interventi e commenti.

  36. Il teatro è la mia passione e non è vero che è in crisi. Bisogna saperlo cercare il buon teatro. Senza farsi prendere dalla sindrome dei Grandi Cartelloni. C’è pure un teatro di ricerca che vive, nonostante tutto, tra i meandri delle città. Basta saperlo cercare.
    Fatelo. E aiuterete chi crede nel teatro e chi vive per esso.

  37. Ben venga un romanzo che affonda le sue radici nelle atmosfere del teatro al punto da farsi teatro esso stesso. Da quel che ho capito è quel che accade nel libro di Orazio Caruso, a cui auguro ogni fortuna.

  38. È stato un piacere partecipare a questa bella discussione in questo bel blog che seguo da tempo, ma a distanza, senza mai aver preso parte ai dibattiti.
    C’è sempre una prima volta.
    Ciao!

  39. Grazie Giuditta per il tuo intervento. Certamente il vero teatro non è in crisi, deve solo un po’ sgomitare in mezzo alle mille offerte culturali della modernità. Bisogna saper scegliere, evitando come al solito gli spettacoli “facili” che non sperimentano niente e si limitano a riproporre ricette consuete.

  40. Tu, Orazio Caruso, che rapporti hai col teatro? Te ne occupi in qualche modo? Ciao. Piacere di fare la tua conoscenza.

  41. Il Sogno di una notte di mezza estate è un testo che, nella complessa leggerez-za di temi e di toni, sfugge a tutti i tentativi di classificazione in un genere preciso. In un ironico e circolare gioco di specchi, il dramma si esprime attraverso la farsa e la farsa si ricompone nella commedia.

  42. Cara Giuditta
    il teatro da sempre è stata una mia grande passione, fin dai tempi del liceo, grazie ad un professore che ci portava a vedere spettacoli nuovi ed insoliti. A diciotto anni ho cominciato a scrivere per il teatro e convinto degli amici a mettere in scena delle mie opere molto sperimentali. Oggi curo un laboratorio teatrale all’interno del mio liceo. Sono io adesso il professore.
    L’ispirazione di questo romanzo mi è venuta mettendo in scena con le mie “Teste Toste” (questo è il nome della compagnia) il “Sogno di una notte di mezza estate”, un testo che fa girare la testa per quanto è insieme complesso e leggero.
    Nel mio romanzo ho provato a realizzare la stessa contaminazione di generi, lo stesso corto circuito di alto e basso, leggerezza e profondità, dolore ed ironia.

  43. Ecco un assaggino del romanzo che, in qualche modo, prova a rispondere alle domande poste da Massimo e da Simona

    Se ad Eugenio Rapisarda avessero chiesto di sintetizzare le ragioni della sua scelta di dedicarsi al teatro, non avrebbe esitato ad elencare i seguenti tre punti:
    a) Il teatro come utopia concreta. Era sempre stato del parere che il teatro non fosse né un semplice gioco di simulazione e dissimulazione né un invero-simile specchio della realtà. Riteneva, al contrario, che la metafora più cal-zante era quella della lente di ingrandimento poiché il passaggio sulla scena ha il potere di approfondire gli eventi e di restituirli più vivi e più veri.
    b) Il piacere di stare in Compagnia. Amava questa parola, gli faceva pensare che non si è monadi individualiste, ma “compagni” che cooperano per rag-giungere un obiettivo comune, consapevoli che dietro il successo c’è il la-voro di tutti.
    c) Fare cultura non solo a parole. Non gli era mai piaciuto il lavoro intellet-tuale fine a se stesso, dello studioso, dello scrittore o del polemista. L’uomo di teatro è un operatore culturale, ma è anche un artigiano che la-vora con il corpo, un lavoratore manuale. Il prodotto teatrale è un oggetto di tipo speciale che non si può toccare, ma è tutto da vedere.

  44. Gentile Orazio, tanti complimenti. Anche per gli estratti che ho letto. Spero di riuscire ad intervenire in maniera più approfondita prossimamente.

  45. Ecco un’altra recensione dell’amica Consuelo Consoli

    Nell’epoca del consumismo, del mordi e fuggi, della svalorizzazione di ideali e sentimenti, e anco-ra, del viagra, pronto rimedio per altrettanto estemporanei amori, ecco affacciarsi sulla scena- ed è proprio il caso di dirlo -, il romanzo di Orazio.
    All’inizio, abituati a letture che vogliono stupire e sconvolgere a tutti i costi, si resta un po’ diso-rientati. Non si capisce quali coordinate voglia fornirci l’autore per condurci attraverso le pagine della sua opera.
    Con il pretesto dell’incontro tra i due fratelli, Eugenio e Alfio, presenta uno dietro l’altro i perso-naggi: Luana, Jacopo, Tommaso, Ines, Ida. Inserisce ad arte la sua prima piéce teatrale, quasi a te-starci, valutarci, a volerci annunciare: ecco cosa vi accingete a leggere. E lo fa con assoluta levità, con un brio in sordina che neppure il mare livido, la nera pietra lavica, o la pioggia irruenta riescono a cancellare.
    Siamo alla prima delle quattro parti in cui il romanzo è suddiviso: “Acqua”.
    A questo punto vorremmo conoscere meglio i protagonisti e Orazio ci accontenta. Solo che non lo fa con gli strumenti utilizzati normalmente nella scrittura. Nessuna azione per caratterizzare i due uomini su cui è imperniato il romanzo, né descrizione dei loro tratti fisici che ne rivelino l’intima natura. Introduce invece, nella trama viva, dei brani molto ben articolati e definiti da un titolo, tra-mite i quali riusciamo a ricostruire l’infanzia di Eugenio e Alfio e comprendere le loro diversità.
    Spartaco, Rosa, Don Giovanni, il geode, d’ametista, Alice, ci raccontano meglio di pindarici flash back, cosa abbia condotto i due fratelli a diventare quello che sono e, ancora, cosa li spinga, aldilà dei discutibili metodi ricattatori utilizzati da Alfio per persuadere il recalcitrante Eugenio, a siglare un patto: rappresentare “ Sogno di mezza estate” nel “loro” bosco. Un accordo oltre il quale esisto-no diversi e non tutti svelati intenti. La salvezza del bosco stesso, destinato a essere trasformato in uno squallido parco commerciale, ma soprattutto il sotterraneo desiderio di Alfio di ricondurre il fratello alle sue radici e a sua figlia.
    Siamo al termine della prima parte e Orazio, quasi a ricordarci la natura della sua opera, chiude con una seconda pièce: l’incontro tra Daniele, giovane e ambizioso giornalista venuto a intervistare Eu-genio, e Lucia. L’altrettanto giovane attrice che Eugenio, contravvenendo alla sua fama di donnaio-lo,- il Don Giovanni, appunto – si è insolitamente astenuto dal sedurre, lasciando intuire i primi sen-tori del cambiamento che in lui avverrà.
    Si arriva così alla seconda parte, al “Vento”. Sono gli alberi, stavolta, e piante, fiori, boschi interi e viali di cimiteri, a indagare il dolore. Quello dei due fratelli per la perdita della sorellina Rosa che, non a caso, porta lo stesso nome di un fiore; quello della madre che si è nutrita del sapore asprigno di cedri per soffocarlo e tramutarlo in storie da raccontare; quello, ancora, di Alice, la figlia di cui Eugenio ignorava l’esistenza.
    Una sofferenza che si concretizza e riversa nella e- mail che la ragazza invia al suo “ professorino” e che colpisce per il bisogno tutto umano di individuare un capro espiatorio a cui attribuire la re-sponsabilità del proprio dolore.
    Ormai agganciati ci apprestiamo alla lettura della terza parte: “Terra”, e non percepiamo più come invenzione i personaggi.
    Ognuno di loro vive, palpita, soffre, sogna, desidera. Alfio vuole ricondurre il fratello alla sua terra, Alice vuole ritrovare suo padre, Eugenio non vuole più provare il costante rimorso- senso di colpa che in modo subdolo, ma tenace, logora la sua coscienza…tutti desiderano e vogliono qualcosa. Ma non è lo stesso nella vita vera?
    Ci ritroviamo così, esattamente come loro, a voler convergere verso il “clou”, all’interno della stes-sa rappresentazione, non più lettori o spettatori, ma compagni di vita di quanti ne animano le pagi-ne.
    Lo spirito è cambiato e Orazio sembra capirlo: nel momento in cui la sua compagnia, i “Comici randagi”, ha ormai preso forma e potrebbe adottare un registro squisitamente teatrale, sceglie inve-ce, quello della narrazione in prosa.
    Con malinconica allegria – si perdoni l’ossimoro, ma nulla definisce meglio la voce dell’autore -, comincia l’addestramento dei suoi attori. Esercizi faticosi, a volte un po’ crudeli che li mettono a dura prova. Specialmente Ida e i sui delicati piedini da geisha. Lavoro imprescindibile se si vuole che la compagnia diventi un corpo unico, capace di sentire e muoversi all’unisono per liberarsi dalle sovrastrutture che ne ostacolerebbero la fluidità sul palcoscenico e nella vita. Siamo all’epilogo, al “fuoco”: ogni personaggio compie una metamorfosi, comprende la sua vera essenza e si libera.
    Lo scambio dei geodi d’ametista, le schermaglie tra Eugenio e Ida, le lacrime di Luana, gli impap-pinamenti di Ines, sono rappresentazioni visive, non più letterali, del cambiamento.
    Un romanzo dall’animo ecologista che riempie il cuore di sentimenti quasi anacronistici in un tem-po dove solo l’agire sembra possibile. Che rivela profondo rispetto verso l’universo femminile, re-stituendolo al sogno, al desiderio, agli sguardi che si nutrono di dettagli, a profumi che”tramortiscono”. E che infine suggerisce un personale rimedio al disincanto e abulia: calcare la vita come un palcoscenico, perché, come dice Orazio, “la parola pronunciata a teatro è una parola viva, quasi oracolare, non è mai volatile, chiacchiera.

  46. Orazio, volevo chiedere: quanto tempo hai impiegato per scrivere il romanzo? L’impressione è che la struttura sia piuttosto complessa.
    E quando hai cominciato a scriverlo, avevi già in testa la trama o si è costruita strada facendo?

  47. Non ho ancora letto il libro ma lo farò a breve. Stimo Orazio Caruso come autore e nutro per lui un sincero affetto. Sarò onorato di averlo come ospite del reading che si terrà alla Feltrinelli di Palermo nel mese di febbraio. Colgo l’occasione per salutare tutti gli amici del blog, in particolare Simona e Massimo.

  48. Caro Leo, ho pensato il libro per circa un anno. Un anno in cui me lo sono (come dico io) “cantato” in testa, costruendone l’intreccio e la struttura. Solo dopo ho cominciato a scriverlo e la prima stesura è durata circa due anni, poi ho cominciato a rivederlo…
    In genere la prima ispirazione mi viene quando “vedo” un personaggio e immagino che cosa potrebbe succedergli in un posto ben preciso. Di questo romanzo sapevo fin dall’inizio che doveva iniziare in un giorno di pioggia d’autunno sulla strada della scogliera che porta ad Aci Castello, un paese di mare vicino Catania.
    In genere quando inizio a scrivere ho già tutto in testa, l’intreccio, la struttura, il punto di vista della narrazione, la voce narrante principale e una vaga idea del finale. Quello che devo trovare, scrivendo, è il “tono” della narrazione, quel particolare piglio che deve essere uniforme per tutto il libro. Se trovo il “tono” il libro va avanti.

  49. Nel tuo romanzo,oltre al chiaro intento di trasporre la stessa magia favolosa di
    ” Sogno di una notte di mezza estate”- cosa che peraltro è resa a meraviglia- ci sono tanti altri nodi che ne costituiscono l’impalcatura, rendendolo paradigmatico dei dilemmi in cui si dibatte l’uomo moderno: la faticosa ricerca di se stessi e dell’altrettanto faticoso e incomprensibile amore, la denuncia per lo scempio devastante della nostra terra, la difesa accanita contro volontà mafiose che perseguono personali profitti.
    Ecco, la domanda è questa: quali, tra questi punti, ti ha maggiormente coinvolto e, per così dire, “travolto”?
    Non uso a caso quest’ultimo termine, sono fermamente convinta che uno scrittore, nel corso della stesura della sua opera, venga letteralmente trascinato per mano da un suo personaggio o da una tematica che lo tocca più intimamente di altri o altre. Per te, Orazio, è stato così?
    Un abbraccio e complimenti a Massimo Maugeri per il suo bel blog.
    Consuelo

  50. Buongiorno. Solo per dire che amo molto il teatro e che parteggio spudoratamente per questo libro di Orazio Caruso che spero di leggere al più presto. L’ho già richiesto attraverso libreria online. Ciao.

  51. Un grande saluto alla carissima Consuelo.
    Sicuramente il tema centrale del romanzo è il rapporto complicato tra i due fratelli, il loro cammino verso la riconciliazione, ma naturalmente tutto il resto non guasta. A me non piacciono i romanzi con un solo personaggio ed un solo punto di vista. Mi annoiano profondamente. Nel romanzo ci sono 10 personaggi. In particolare mi piace Ida.

  52. Un grandissimo abbraccio a Francesco che mi fa i complimenti per la mescolanza di narrazione pura e narrazione teatrale. I complimenti fatti da lui che è un maestro valgono il doppio. Grazie.

  53. Un grazie a Luca che non conosco e che apprezzo per la sua apertura e curiosità. Spero che il libro ti arrivi presto e che possa farti passare delle ore di sano godimento letterario.

  54. Un caro saluto ad Orazio, che conosco e stimo ormai da anni.
    Del libro mi è piaciuta innanzitutto la mescolanza dei generi e delle tecniche: dal dialogo – vista la struttura teatrale del romanzo e i suoi temi, la cosa è naturale – alla narrazione pura, agli squarci lirici che lasciano trasparire l’amore per la Sicilia e i suoi paesaggi e il desiderio di scandagliare le psicologie dei personaggi.
    La paternità, il rapporto tra due fratelli complementari e in fondo simili… tanti sono i temi che Orazio affronta, insieme ad un amore per il teatro e le sue dinamiche che permea ogni pagina del libro.
    Sono alle ultime pagine…

  55. Caro Orazio, cari amici…
    un saluto affettuoso qui da Roma.
    Al mio rientro avrò il piacere di tornare a discutere con voi e di rilanciare questo dibattito dedicato al teatro e a “Comici randagi”.
    Una serena notte e una buona domenica a tutti.

  56. Comici randagi racconta la storia del sogno di Alfio che vuole salvare il bosco di Vignola attraverso la magia di Sogno di una notte di mezza estate, diretto da suo fratello Eugenio. La commedia sarà rappresentata proprio nel bosco di Vignola tra spettatori affascinati e irriducibili incendiari, che per neutralizzare Eugenio gli hanno inviato una seducente Crudelia Demon, ma il gioco non riesce e Eugenio va avanti. La rappresentazione si farà come ha deciso Alice che, con la sua mano fatata, ha scambiato le metà dei geodi di ametista regalati in tempi lontani da una maga circense ad Alfio e Eugenio. Sulla rappresentazione teatrale e nelle loro vite, passeranno acqua, vento, terra e fuoco come vuole la migliore tradizione magica, ma poi saranno i sentimenti a ripristinare l’ordine perduto.

  57. Del libro di Orazio Caruso mi ha colpito la delicatezza con cui Alfio fa conoscere ad Alice il padre attraverso gli alberi. La foresta incantata dell’arancio, il bosco dell’iniziazione, il ciliegio dai rami flessibili, come la vita, il cipresso cimiteriale, il nespolo che gli suggerisce pensieri futuri, la qercia sdradicata come le certezze e infine l’ulivo, albero dei paesi del sud sin dalle origini, ed ora sradicato e trasferito al nord dove non c’entra niente esattamente come Eugenio.

  58. Salve a tutti. Complimenti per il dibattito e auguri ad Orazio Caruso per il suo libro. “Sogno di una notte di mezza estate” è un capolavoro. Si potrebbe cogliere l’occasione per divulgare qualche informazione in merito. Che ne dite?

  59. Non ho letto il romanzo di Orazio Caruso, ma da quello che ho appreso attraverso gli interventi mi ha sollecitato qualche riflessione.
    Ho avuto l’impressione che O.Caruso volesse dirci come la vita sia un miscuglio di realtà e sogno che trasportiamo su un palcoscenico, da attori, per lasciare agli altri la possibilità di divertirsi.Ci divertiamo guardando gli altri progettare, interpretare, recitare la storia che costruiscono all’interno di un destino delineato da un disegno che va oltre la nostra comprensione-Tutto è vero ma tutto è teatro dove i ruoli tra spettatore ed attore cambiano continuamente,pur restando sempre teatro, perchè l’unica cosa vera e reale è il disegno originale che non ci è dato di conoscere a-priori.
    Orazio compòimenti.Lo leggerò . Mi piacciono i libri che sollecitano interpretazioni esistenziali.. anche se a volte risultano arbitrarie.

  60. Purtroppo non ho ancora letto l’opera di Orazio Caruso ma mi affascina l’idea di entrare in una realtà in cui narrazione e teatro possano egregiamente intrecciarsi.Aspetto le vacanze per lasciarmi avvolgere dalla lettura………

  61. Io penso che gli scrittori considerino il teatro come un genere spurio al quale ci si può avvicinare ogni tanto , ma che non può essere una regola d’espressione.Il teatro oggi ha bisogno degli scrittori e questi hanno bisogno del teatro Ha bisogno di scrittori che portino nella consapevolezza e nella fiducia dell’avvenimento, la capacità di visione e di linguaggio al dilà dei limiti del transitorio per pittorisco che sia, senza naturalmente catturare
    con l’astrazione e la rigidità letteraria la fisiologia stessa del teatro.
    Forse non mi sono espressa bene, ma il pubblico è sempre più intelligente di chi scrive.

  62. Un caro saluto e ringraziamenti a: Giuditta, Leo, Alessandro Savona, Consuelo, Luca, Maria Lucia Riccioli, Clara, Antonio Foschi, Mela Mondì, Valeria.
    Grazie a tutte e a tutti!

  63. Naturalmente il dibattito non finisce qui (è quello che auspico!).
    Il libro di Orazio offre ulteriori spunti di discussione e di riflessione.
    E poi rimangono aperte le tematiche sul teatro (provate a rispondere alle domande del post, se vi va!).

  64. Ciao Massimo, ciao a tutti. Sono Margherita.
    Mi piacerebbe tanto leggere il romanzo di Orazio Caruso.
    Intanto però contribuisco al dibattito con qualche informazione su “Sogno di una notte di mezza estate” (il cui titolo originale è: A Midsummer Night’s Dream). William Shakespeare la scrisse intorno al 1595.

  65. La commedia presenta tre storie intrecciate, collegate tra loro dalla celebrazione del matrimonio tra Teseo, duca di Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni.
    Due giovani ateniesi, Lisandro e Demetrio, sono entrambi innamorati della stessa donna, Ermia; quest’ultima ama Lisandro, mentre la sua amica Elena è innamorata di Demetrio. Ma il padre di Ermia, Egeo, impone alla figlia di sposare Demetrio. Allora lei fugge con Lisandro nei boschi, seguiti da Elena e Demetrio, ma si perdono nel buio e nelle loro schermaglie amorose.

  66. (tutti si innamorano di tutti: on vi sembra la trama da classico “telenovela brasileira”?
    Continuo…) 🙂

  67. Nel frattempo, Oberon, re degli elfi, e la moglie Titania regina delle fate, giungono nel medesimo bosco per partecipare alle nozze imminenti. Oberon vuole usare il servo indiano di Titania per farne suo paggio, ma Titania non vuole ed egli le spreme sugli occhi il succo del fiore vermiglio di Cupido, che fa innamorare della prima persona che si incontra al risveglio per poi farsi cedere il servo indiano a cui lei, di conseguenza, non sarà più interessata.
    Nello stesso tempo, una combriccola di artigiani che, per festeggiare il matrimonio, vuole mettere in scena una rappresentazione popolare sul tema di Piramo e Tisbe, si riunisce nella foresta per le prove dello spettacolo. Fra di loro spicca Nick Bottom, il Tessitore, uno dei più apprezzati personaggi comici di Shakespeare.

  68. Oberon ingaggia Puck, chiamato anche Hobgoblin, o Robin Goodfellow, affinché lo aiuti nel suo intento. Inoltre, dopo aver visto Demetrio ed Elena sperduti nel bosco, ordina a Puck di spremere il succo magico sugli occhi di Demetrio per farlo innamorare di Elena, ma per errore Puck spreme il succo sugli occhi di Lisandro che al risveglio vede Elena e se ne innamora perdutamente, con grande disappunto di Ermia.
    Ma Puck ha anche il tempo di fare uno scherzo a Bottom, che scopre che la sua testa è stata trasformata in quella di un asino. Sarà proprio Bottom la prima persona di cui si innamorerà Titania, al suo risveglio, a causa dell’effetto della viola del pensiero.

  69. A questo punto Titania incontra Oberon, che, realizzato il suo scopo, accetta di scioglierla dall’incantesimo. Puck quindi risistema le cose, compresa la testa del povero Bottom.
    Oberon, inoltre, accortosi dell’errore di Puck, mette del succo sugli occhi di Demetrio. Così ora sia Lisandro che Demetrio corrono dietro Elena accapigliandosi tra loro. Alla fine Oberon ordina a Puck di risistemare tutto tra gli innamorati. Puck, allora, fa scendere una nebbia fatata sul bosco tale che i quattro ragazzi si addormentano. Quindi utilizza la viola del pensiero per far sì che Lisandro ami di nuovo Ermia. Così ora tutto è a posto: Oberon e Titania sono riconciliati, e i quattro giovani sono due coppie.
    Questi vengono trovati addormentati al limitare del bosco il giorno dopo da Teseo, il quale si affretta a preparare le nozze. La notizia degli imminenti tre matrimoni manda in agitazione il villaggio, compresi i lavoratori ateniesi che stavano provando la commedia nel bosco, i quali però sono senza il personaggio principale della loro commedia: Piramo, che doveva essere interpretato da Bottom che loro avevano abbandonato nel bosco con la testa d’asino: il morale è a terra. Fortunatamente il protagonista entra in scena proprio in questo momento di sconforto di ritorno dal bosco, ed incita i compagni a prepararsi per lo spettacolo.

  70. Al palazzo, Teseo, nonostante gli avvertimenti del cerimoniere, sceglie proprio il loro spettacolo (Piramo e Tisbe), in quanto sostiene che un qualcosa offerto con una così buona volontà non possa essere rifiutato.
    A questo punto parte lo spettacolo nello spettacolo: gli artigiani mettono in scena una goffa versione della tragedia, rendendo la cosa comica (“sento il volto della mia Tisbe…” “vedo il suono della tua voce..”), nella quale è compreso anche un personaggio nel ruolo del leone, uno nel chiaro di luna ed un altro nella parte di un muro (!). Mitica la performance dell’artigiano Francis Flute, che interpreta (in maniera del tutto singolare) il ruolo della dama Tisbe.

  71. L’opera si conclude con Puck che entra in scena e dice che se lo spettacolo non è piaciuto al pubblico, questo può far finta di aver dormito, e può quindi considerare lo spettacolo come un prodotto dei sogni, e che se lo lasceranno fare, Puck farà ammenda.

  72. Ci sarebbe tanto altro da dire, e forse lo farò. Se questi miei contributi non vi sono piaciuti, potete far finta di aver dormito, e potete quindi considerare i miei post come un prodotto dei sogni…
    Ciaoooo!

  73. Grazie Margherita
    per la sintesi del Sogno di una notte di mezza estate. Un’impresa titanica. Una delle trame più ingarbugliate della storia delle letteratura e del teatro.

  74. Ecco l’articolo scritto dal critico Leda Vasta uscito sul giornale Akis sulla serata di presentazione del mio libro ad Acireale

    “Comici Randagi” ( edito da
    Sampognaro & Pupi, Siracusa), è il singolare
    titolo del secondo romanzo di Orazio
    Caruso, presentato il 21 novembre scorso
    ad Acireale al teatro del Liceo Linguistico
    e delle Scienze Umane Regina Elena,
    scuola nella quale lo scrittore oltre ad
    essere un apprezzato docente di lettere, si
    cimenta ormai da tempo nella regia di
    opere teatrali inter-pretate dagli alunni ed
    allestite sempre con la consumata esperienza
    di un autentico profes-sionista. Il
    prof. Sebastiano Raciti, dirigente del
    Liceo, dopo aver ringraziato il numeroso
    pubblico presente in sala, ha messo in evidenza
    l ’importanza del teatro come elemento
    fondante nella “vita scolastica”, strumento
    di crescita culturale, sociale ed
    affettiva che permette di abbattere il muro della timidezza. Il teatro, inoltre,
    possiede una duplice dimensione: sociale ed estetica poiché aiuta ad esercitare
    il giudizio, il ragionamento ed affina lo spirito critico. Il prof. Raciti ha
    poi voluto sottolineare in modo particolare l’impegno di Orazio Caruso
    quale instancabile promotore di coinvolgenti ed entusiasmanti iniziative
    legate al teatro, ricordando che il primo premio della Rassegna Nazionale
    di Teatro Scolastico “Tindari Teatro Giovani” del 2010, è sta-to assegnato
    alla compagnia Teste Toste, il laboratorio teatrale da lui diretto, per l’allestimento
    del Don Giovanni o il dissoluto assolto di José Saramago. Una
    sapiente disamina degli aspetti formali del romanzo è stata condotta dal
    coordinatore della serata, prof. Giuseppe Strazzulla, che nel romanzo ha
    individuato, in modo particolare, gli innesti testuali shakespeariani. Il poeta
    e scrittore Angelo Scandurra, primo relatore della serata, ha messo in particolare
    rilievo l’originalità del romanzo, il coinvolgimento emotivo che esercita
    sul lettore e la capacità dello scrittore di reggere saldamente i fili della
    trama passan-do, con sapiente e studiata disinvoltura dalla narrativa al
    testo teatrale e dal testo teatrale alla narrativa. Un gioco degli specchi con
    andamento ellittico in cui i personaggi del romanzo di-vengono attori del
    Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare e i personaggi del
    Sogno di una notte di mezza estate divengono attori del romanzo. Secondo
    lo Scandurra, “Comici randa-gi” nell’ambito del desolante panorama letterario
    contemporaneo, rappresenta un luminoso esempio di letteratura
    “colta” e non solo per gli inusuali preziosismi più evidenti nelle scelte lessicali
    e sintattiche, quanto per la personalissima visione del mondo
    dell’Autore che riesce a recuperare la dimensione etica della vita, solo
    apparentemente perduta, attraverso un rappor-to autentico con la natura.
    La dottoressa Anna Pavone è poi intervenuta relazionando in mo-do puntuale
    ed accattivante sul romanzo di Caruso che sembra aperto a visioni da
    diverse prospettive. La Pavone ha infatti sottolineato lo sguardo del protagonista
    Eugenio, regista tea-trale, che riesce a vedere il mondo come teatro
    e i suoi abitanti come attori. La leggerezza di Eugenio, eterno ragazzo,
    la pesantezza di Alfio, che sembra essere destinato ad essere il fratel-lo
    maggiore per sempre, ed il ruolo di Alice che rappresenta l’equilibrio ristabilito.
    La serata, scandita da intermezzi musicali affidati alla flautista
    Antonella Pennisi e alla violinista Vero-nica Cosentino e dalla lettura dei
    brani più significativi del romanzo, interpretati dai giovani e promettenti
    attori Ivonne Guglielmino, Sasha Di Maria e Nino Di Blasi, si è conclusa
    con i ringraziamenti di Orazio Caruso seguiti dal grande e caloroso applauso
    del pubblico.
    Leda Vast

  75. Caro Massimo, per festeggiare il tuo ritorno da “Più libri più liberi” ti dedico questa poesia:

    Quanti libri ho visto bruciare in una sera!

    Li vedevo fino al giorno prima allineati
    negli scaffali della libreria
    Non li avevo mai letti
    Ero troppo piccola per accedere alle porte del sapere
    Avevo da poco imparato l’alfabeto,
    Ma fra qualche anno li avrei divorati
    e di quelle pagine mi sarei saziata.

    All’improvviso però lo zio morì
    E la casa fu all’asta fin da quella sera
    Pagare i debiti
    e dividere l’eredità tra i parenti.

    Nel cortile una fiamma si levò
    E i miei sogni all’improvviso divorò.
    Si divisero persino l’accendino quei parenti meschini
    Ma i libri da ciascuno rifiutati
    bruciarono sul suolo ammucchiati.

    Seduta sulla scalino di quella magione
    Piansi lacrime amare sulla cenere bianca
    Dostoevskij, e sulle verdi colline di Hemingway
    e su quel libro dalla scrittura americana
    da cui si partiva l’urlo
    che al Nord saliva dal profondo Sud .
    Ero troppo piccola per accedere alle porte del sapere
    Avevo da poco imparato un po’ d’italiano vero.

    Quando le fiamme si spensero
    Raccolsi dei fogli che il vento pietoso
    Aveva strappato all’eterno oblio
    E nel petto sotto il vestito li nascosi.
    Giurai che nulla avevo sottratto al suo destino
    Quando mi accusarono di malandrinesca furberia.

    Dopo anni imparai la lettura
    E tra le pagine
    Accartocciate ed ingiallite
    Giacevano parole che mi sembrava aver udito
    Lessi e mi accorsi di essere
    Matura per trasformare in realtà il vecchio mito.
    “Dagli occhi tuoi retorica celeste
    Il mio cuore persuase a uno spergiuro”
    “Nerissa: il vecchio detto non è eresia
    e cioè che la forca e gli sponsali
    Son tutta questione di destino. ”
    “ Hortensio:Vattene pur felice per la tua strada:
    hai domato una bisbetica indemoniata.”

    Non capivo le parole
    Nè conoscevo ancora l’autore
    Ero troppo piccola per accedere al sapere
    Ma lì c’era qualcosa che conoscere volevo.

    Rividi da lontano che un po’ bruciacchiata giaceva
    quella copertina cartonata,
    timidamente
    guardandomi in giro circospetta
    la sollevai con rispetto
    ed al petto la strinsi con dolcezza.
    Ero riuscita a salvare una essere vivente
    Proprio colei che dal mio caro zio
    era stata concepita nella mente.
    Avevo dodici anni quando afferrai la scrittura
    E ne avevo diciotto
    Quando riuscii a farne una lettura.
    La prima pagina si apriva
    Con una colorata miniatura
    Che incoronava una stupenda creatura
    La “L” .
    Tutto mi ricordava la fulgente luna
    Che dal balcone dell’antica libreria
    vedevo sospesa tra le nuvole
    e tutto mi sembrò come magia.
    Ero troppo piccola per desumerne il concetto
    Ma dopo lo compresi in modo quasi perfetto.

    Con una sentenza che lessi e non compresi
    “Se osservi attentamente
    Ti accorgerai di essere tu il tuo problema vero”
    Si chiudeva così il tomo manoscritto
    Ed io compresi di aver salvato dalle fiamme
    un poema che giungeva fino a me
    come un essere proscritto
    e mi chiedeva la libertà di comparire
    nella verità
    prima di morire.

  76. Bellissima!
    tra Fahrenheit 451 ed Auto da fè di Elias Canetti. E poi c’è l’incendio della biblioteca ne Il nome della rosa.
    Un nuovo soggetto per un nuovo libro.
    Complimenti!

  77. Grazie Orazio del bel complimento!. Non so se i libri sono una opportunità e una fortuna o sono quella cosa procurano tristezza e pianto.
    Non so se la conoscenza aggiunga qualcosa alla vita e non so se la sottrae.
    Non so se l’incendio è utile per ricominciare o se niente ricominci senza il passato.
    Non so niente di niente eppure ho letto per quasi un secolo millenni di libri e so che ancora cerco il Libro. Quel Libro che forse ancora deve essere scritto.
    Ti leggerò e ti dirò!

  78. A proposito
    “Il nome della rosa” era libri lontano da me
    che l’episodio del falò lo vissi da vicino.
    Forse ,come fece con Orazio,
    quel monumento antico
    lui Shakespeare amico,
    s’intrufolò tra i versi miei
    e mi diede parole e qualche profezia.

  79. Impressioni su “Comici randagi “ , di Orazio Caruso, Sampognaro Pupi ed, 2012

    L’idea che le pagine scritte di un romanzo possano suscitare le emozioni e le riflessioni di una commedia rappresentata su un palcoscenico può apparire ambiziosa. Eppure, scorrendo questo testo, la sensazione che si prova è proprio quella di essere catturati in una messa in scena in cui da lettori si diventa spettatori e, infine, attori nel ritrovarsi in certe scene o in certe battute dei personaggi.
    Lo scrittore, in una consapevole alchimia di generi e stili, alterna e mescola sequenze narrative, “scene da piecès”, monologhi, descrizioni, lezioni di recitazione, battute di opere drammaturgiche, versi di poesie, crea immaginarie colonne sonore con canzoni d’autore, attirando il lettore in un viaggio ricco di sorprese.
    Le citazioni letterarie, i riferimenti ai miti, ai grandi autori e ai capolavori, si muovono sulla brezza di un’ironia elegante che stimola al sorriso benevolo sulle nostre velleità più che al riso o al giudizio.
    Da esperto regista, il nostro “buono incantatore” ci irretisce in un disegno, la trama del romanzo, che ha il suo acme nella rappresentazione del Sogno di una notte di mezza estate. Qui, i colpi di scena, le incongruenze, i fallimenti e le improvvisazioni dei protagonisti sono rivelatori, nella finzione, delle verità più nascoste dei complessi rapporti interpersonali.
    Punto di partenza: un ritorno, un rapporto di amore odio tra fratelli. Si apre lo scenario su una Sicilia luogo di bellezza e di ricordi di infanzia, (seppur immune dagli stereotipi triti e ritriti di eden perduto), incantevole simbolo della Madre Terra maltrattata dagli uomini di oggi.
    Una ricerca: una figlia in cerca del padre, ma anche un’innamorata del proprio lui, un dongiovanni del vero amore, una ragazza del successo… insomma ognuno in cerca di se stesso.
    Emblematica, in tal senso, la vicenda di Alice (la figlia) ed Eugenio(il padre), in cui alla fine è il padre a intuire il senso profondo della genitorialità, rivedendo così il copione della propria vita e ricercando un nuovo ruolo.
    La rappresentazione del Sogno si inscrive in un bosco alle pendici dell’Etna, la “Montagna”, per i siciliani che vivono ai suoi piedi e la sentono madre.
    Una fantasmagoria di sentimenti, innamoramenti e rivelazioni, lacrime e sussurri, battute che si modificano, confusione tra la realtà della finzione scenica e la finzione della realtà della vita, in un gioco che appare leggero e divertente ma lascia seri e attuali spunti di riflessione.
    Insomma “in un bosco, presi per incantamento ….ci siamo smarriti…… e ci siamo ritrovati”: anche noi, come quegli attori dilettanti, abbiamo intrapreso la ricerca di noi stessi.
    Alla fine dello spettacolo, cioè del romanzo, stiamo ancora a chiederci come andrà a finire. Più saggi che all’inizio del nostro viaggio nel testo, (o era una commedia? O un sogno?) ci sentiamo gradevolmente sollevati, divertiti e contenti: è proprio vero che la felicità sta nella ricerca, di noi stessi, di nuovi territori intellettuali da esplorare, di limiti da superare.
    Insomma, ci è piaciuto questo “ragionar sempre d’amore”.

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