Proponiamo una nuova puntata della rubrica “Letteratura è diritto, letteratura è vita“, pubblicando un breve racconto inedito della scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono (curatrice della rubrica) intitolato “Nati dentro“. Un racconto struggente che riguarda la tematica delle madri detenute e dei bimbi costretti a vivere in carcere.
Segue un approfondimento giuridico.
Ne approfittiamo per segnalare questa puntata radiofonica di Letteratitudine perfettamente in tema (e disponibile per l’ascolto), dove Rosella Postorino – in conversazione con Massimo Maugeri – parla del suo romanzo “Un corpo docile” (Einaudi Stile Libero)
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NATI DENTRO
Il primo rumore a cui hai dato un nome è stato quello del cancello della sezione 22. Un clangore ferroso, lontano, che per anni è stato il suono dell’ora in cui andare a letto. Ogni sera alle 18, dopo la cena e dopo l’ultimo giro d’ispezione. Le luci si smorzano fino a spegnersi del tutto. Le chiavi tintinnano nel buio.
Non ti è mai sembrato un carcere. Né sapevi cosa fosse, fino a che, molti anni più tardi, non te lo hanno detto. Per te era lo spazio concesso, il ritmo del giorno. Niente più che la vita che ti era stata data.
D’altra parte sei nato qui, tua madre è entrata due mesi prima del parto.
Quando sei venuto alla luce eri già detenuto, anche se nessuna sentenza aveva mai decretato la tua condanna.
Ora che cresci in una sola stanza non sai che il mondo è più grande. Misuri le emozioni sui due metri per tre che ti è dato fare dalla mattina alla sera. Non hai termini di paragone e pensi che la scoperta delle cose sia osservare le ombre che fuoriescono dalla tenda. Smontare la caffettiera che si scalda sul fornelletto. Dire alle folate di vento settembrino che ti portino in alto, tra le nuvole di quello spicchio di cielo che ti sovrasta.
Non soffri per ciò che non hai. Non lo conosci, e non fai paragoni che potrebbero ferirti. Solo ogni tanto, e per una specie di nostalgia dell’infinito che qualcuno deve averti messo nel cuore, pensi a un luogo senza recinzioni, ma poi ti ritrai spaurito, perché non hai dimestichezza con ciò che non si misura e che non ti reclude.
Le compagne di cella di tua madre le chiami tutte zie. Solo alcune sono con te da quando sei nato. Altre le hai perse, la condanna che dovevano scontare non ha avuto la pazienza di attendere che il tuo primo incisivo spuntasse, che lo svezzamento attecchisse come un’erba di campo, che pochi volontari portassero in cella qualche gioco sorprendente come le costruzioni.
Si tratta di cubetti che si incastrano gli uni sugli altri, e che possono incolonnarsi fino a creare un grattacielo, un ponte, un treno. La scatola riporta le istruzioni, mostra come costruire strutture incredibili che tu non hai mai visto, che somigliano a un sogno.
Dopo averle messe su, stai a contemplarle qualche minuto, poi le distruggi con un pugno arrabbiato.
Raccogli i pezzi e fai a modo tuo, costruisci una stanza di due metri per tre, ci metti due grate, un bagnetto, i letti a castello.
Ti riconosci, finalmente, e quando ti chiedono cosa hai fatto di bello rispondi, semplicemente, casa.
(Riproduzione riservata)
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UN APPROFONDIMENTO DI NATURA GIURIDICA SUL TEMA DELLE DETENUTE MADRI
E ciò nonostante il Parlamento abbia approvato la legge 21 aprile 2011, n. 62, con la quale ha inteso valorizzare il rapporto tra detenute madri e figli minori.
La legge si è concentrata sulla acclarata necessità di conciliare, da un lato, l’esigenza, di limitare la presenza nelle carceri di bambini in tenera età, dall’altro, di garantire la sicurezza dei cittadini anche nei confronti delle madri di figli minori, le quali abbiano commesso delitti.
Secondo i dati statistici pubblicati dal Ministero della giustizia sul proprio sito Internet (serie storica semestrale degli anni 1993-2012), erano 57 le detenute madri nelle carceri italiane al 30 giugno 2012 (ultimo dato disponibile) e 60 i bambini di età inferiore a tre anni presenti negli istituti. Alla stessa data risultavano funzionanti 16 asili nido.
Il dato non è mutato nonostante la promulgazione della legge.
Il limite all’effettività della normativa in materia è rappresentato soprattutto dal fatto che la detenzione domiciliare dovrebbe essere scontata in strutture ad hoc.
La legge e il decreto attuativo dispongono infatti esplicitamente che la costruzione delle case famiglia dovrà avvenire senza oneri per l’amministrazione penitenziaria, sia sotto il profilo della realizzazione sia sotto il profilo della gestione.
L’art. 4, comma 2, della legge n. 62 del 2011, in particolare, stabilisce che il Ministro della giustizia «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, può stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette».
Considerate le difficoltà economico-finanziarie degli enti locali anche a seguito del loro riassetto attraverso la legge n. 56 del 2014, cd. legge Delrio, e la legislazione successiva, ad oggi nessuna casa famiglia protetta risulta istituita.
Una felice eccezione è “La casa di Leda”, casa protetta per donne detenute con figli minori, servizio volto ad assicurare il benessere dei bambini e sostenere le madri nelle loro funzioni genitoriali, creato in una villa confiscata alla delinquenza organizzata.
La struttura può ospitare 6 utenti in pena alternativa alla detenzione o agli arresti domiciliari con 8 figli minori da 0 a 10 anni. Gli ospiti sono seguiti da educatori e operatori.