Altre volte abbiamo discusso sul binomio libri-film. Lo abbiamo fatto in maniera approfondita in questo post.
Riprendiamo il discorso per analizzare Non è un paese per vecchi (Einaudi, 2006, euro 17), romanzo di Cormac McCarthy (vincitore del nostro gioco: Letteratitudine book award 2008, con La strada) e film dei fratelli Coen.
Discutiamo sia dell’opera narrativa che di quella cinematografica partendo da due recensioni: la prima, relativa al romanzo, è firmata da Giuseppe Genna (e pubblicata su Carmilla online); la seconda, sul film, proposta da Gabriele Montemagno in esclusiva per Letteratitudine.
Vi invito a dire la vostra: sul libro e sul film.
Poi possiamo discutere sui temi generali connessi alle suddette opere.
Secondo Genna il romanzo di McCarthy è “un attacco formidabile al sistema America, al suo sogno putrefatto, alla sua incapacità di radicarsi storicamente nella sua stessa vicenda”. E aggiunge: “Questo romanzo non è un campanello che squilla: è già la campana a morto di un Paese che, allegorizzato a vent’anni dall’attuale situazione, entra nel ventre molle dell’attualità, e lo squarcia senza remore.”
Secondo Montemagno “si potrebbe pensare che ai Coen non prema tanto mostrare la violenza quanto raccontare un mondo (solo gli Stati Uniti? Solo quelli? O solo la dura legge che vige fra i trafficanti di droga?) in cui l’unico linguaggio appare quello della violenza, in cui è divenuto pienamente consueto e legittimo procurarsi le armi nei negozi, in cui gli uomini sono relegati al rango di animali. Un mondo in cui si preferisce delegare le decisioni al caso o al semplice interesse.”
Vi giro, infine, le domande finali del pezzo di Montemagno:
E’ ormai così pienamente diffuso l’uso della violenza, senza il quale sembra non sia più possibile ripristinare la giustizia? E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia? E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
E aggiungo queste mie:
Le società di oggi sono più violente di quelle di ieri?
E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?
Massimo Maugeri
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Non è un paese per vecchi (il libro) recensione di Giuseppe Genna
A volte gli scrittori hanno problemi – o ne creano ai loro lettori. E’ il secondo caso quello di cui qui si scrive. Sono assolutamente sconcertato dalla inaspettata prova di potenza che Cormac McCarthy, autore della memorabile Trilogia della Frontiera (Meridiano di sangue, Cavalli selvaggi e Città della pianura), offre con questo suo nuovo, chirurgico romanzo, Non è un paese per vecchi. Non è un mondo né per vecchi né per giovani, quello in cui McCarthy ambienta il più classico inseguimento a tre dell’hard-boiled anni Cinquanta, pura occasione narrativa per costruire la premessa maggiore alla conclusione di un sillogismo sorprendente, che ha tappe consimili a un’operazione endoscopica: la spietatezza pura, la spietatezza del tempo in generale e di questo tempo in particolare, e di quest’epoca americana ancor più in particolare.
E ciò nonostante il tutto si svolga agli inizi degli anni Ottanta, fatti i debiti calcoli sull’età del più empatico tra i protagonisti, il trentaseienne Moss, reduce dal Vietnam, di professione saldatore, che sarebbe reduce anche da una sfortunata giornata di caccia all’antilope, se non trovasse, immersi in un silenzio assoluto, alcun SUV con a bordo trafficanti di droga, messicani, morti o quasi. C’è stata una sparatoria. Qualcuno è fuggito coi soldi. Quel qualcuno, Moss, lo ritrova: è morto a poca distanza ed è a lui che l’ormai già ex saldatore strappa di mano una borsa contenente due milioni di dollari. E’ l’inizio di una fuga devastante, che ha per protagonista il vecchio sceriffo Bell insieme a un sicario di professione, l’impronunciabile Chigurh, psicopatico, dotato di un’arma allucinante per potenza e modalità di esplosione dei colpi – un aggeggio ad aria compressa che lo rende estraneo a qualunque contesto narrativo, esattamente come il suo sguardo gelido, descrivendo il quale sembra di avvertire tremare il polso perfino al vecchio cuoiato McCarthy, lo scrittore che, con Ellroy, dispone attualmente dell’immaginario più tenebrosamente implacabile del comparto letterario Usa.
A un ritmo che non è frenetico perché viene calmato dai frequenti dialoghi, spesso monosillabici, ma che rimane velocissimo (esattamente come a uno psicotico si dà il Serenase e questo non muta di una virgola la situazione generale), la fuga si snoda in un on the road cupissimo e al calor bianco, sul confine col Messico: stanze di motel affittate e riguardate come tane di serpenti, auto noleggiate o rubate per viaggi che non sono scorribande ma precisi spostamenti che costruiscono la geometria solida di un inseguimento che non lascia respiro, confronti all’arma non bianca che sono freddissime scene di devastazione organica, un profluvio di sangue congelato dallo stile del geniale autore ritiratosi in Texas. Il corredo c’è tutto. Sarebbe già un gran libro a 2/3, ma a 2/3 il giallo ha la sua soluzione più devastantemente impietosa e lascia aperta una porta che nessuno sarà in grado di chiudere.
E’ a questo punto che McCarthy, improvvisamente, al di fuori di ogni logica canonica, inserisce una sorta di secondo romanzo, che è l’esatto opposto del romanzo di formazione: un romanzo di addio, una narrazione di congedo, la profezia enunciata nel momento in cui si avvera e si consuma. La voce fondamentale è quella del vecchio Bell (ma c’è chi è anche più vecchio di lui, che parla e dice cose pesanti), e non resta che assistere, inebetiti come davanti a un miracolo, a questa anticipazione della disgregazione: personale e civile, sociale e morale. Si cammina sul filo di un rasoio: da una parte c’è il rischio del moralismo reazionario tipico degli Stati del sud, mentre dall’altra parte si rischia l’abisso della verità: si cade da questa parte, credo, si affonda in questo abisso. Il romanzo di McCarthy potrà anche sembrare un atto d’accusa alla modernità in genere, ma è uno specchietto per le allodole: si tratta in realtà di un attacco formidabile al sistema America, al suo sogno putrefatto, alla sua incapacità di radicarsi storicamente nella sua stessa vicenda, come dimostra l’apice poetico del libro, nelle pagine finali: uno scolatoio scalpellato in pietra due secoli prima, che, come scrive McCarthy, poteva durare diecimila anni: ma non durerà tanto.
Occhio raggelante che vede tutto, quello dello scrittore di Non è un paese per vecchi: vede la decadenza americana e la descrive, seppure con brachilogismi magistrali, secondo le metriche delle grandi epopee, quelle che noi europei consideriamo minori, vergate dagli antichi quando gli imperi crollavano. Questo romanzo non è un campanello che squilla: è già la campana a morto di un Paese che, allegorizzato a vent’anni dall’attuale situazione, entra nel ventre molle dell’attualità, e lo squarcia senza remore.
Giuseppe Genna
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Non è un paese per vecchi (il film) recensione di Gabriele Montemagno
Bisogna vedere Non è un paese per vecchi, il nuovo ed ultimo film dei fratelli Coen. Bisogna proprio vederlo. Non solamente perché è stato il vincitore all’ultima serata degli Oscar (miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura non originale e attore non protagonista). Anzi, si potrebbe dire che ciò non sia essenzialmente rilevante, poiché è successo che l’attribuzione di premi Oscar non abbia garantito una reale qualità ad una pellicola. Bisogna vederlo, invece, perché questo film si propone come uno sguardo lucido e pienamente disincantato sul nostro presente, a partire proprio dal titolo (che nell’originale inglese suona come quello italiano: No country for old men), che è, come si nota, assertivo. La vicenda, ambientata nel 1980 e che si snoda nei territori al confine fra Texas e Messico, è ispirata all’omonimo romanzo di Cormac McCarthy; ma i Coen sembrano rileggerla attraverso quello stile grottesco ed iperbolico presente nei loro precedenti film. L’inseguimento tra un cacciatore che, giunto su un luogo desertico, teatro di una strage fra trafficanti di droga, trova per caso la valigia piena di due milioni di dollari (vero e proprio bottino del traffico di droga), uno spietato (quanto feroce) killer che insegue detto bottino e vuole uccidere il cacciatore, ed un anziano sceriffo che tenta vanamente di proteggere il cacciatore fuggito con detta valigia, ha momenti di fredda ed implacabile violenza che appare allo spettatore, appunto, iperbolica e quasi non reale. Alcune uccisioni non vengono addirittura raccontate, ma viste nelle loro conseguenze. Si potrebbe pensare che ai Coen non prema tanto mostrare detta violenza quanto raccontare un mondo (solo gli Stati Uniti? Solo quelli? O solo la dura legge che vige fra i trafficanti di droga?) in cui l’unico linguaggio appare quello della violenza, in cui è divenuto pienamente consueto e legittimo procurarsi le armi nei negozi (i frequenti acquisti di armi da parte dei protagonisti), in cui gli uomini sono relegati al rango di animali (nel detto luogo della strage dei trafficanti, giacciono gli uni accanto gli altri i cadaveri degli uomini e quelli dei cani). Un mondo in cui si preferisce delegare le decisioni al caso o al semplice interesse. E tuttavia, un mondo in cui l’essere uomini non pare essere del tutto assente se è vero che il personaggio dello sceriffo (interpretato da un ottimo Tommy Lee Jones) si arrovella nella ricerca del terribile killer per proteggere il cacciatore e la giovane moglie. E si arrovella perché avverte la sua impotenza nel far rispettare la giustizia, il senso dell’importanza della vita degli essere umani, l’assegnazione dei “cattivi” alla legge. Quindi quello che tutti noi pensiamo debba essere “l’ordine” e lo stato delle cose. Ma lui è anziano ed è pervaso da un senso di disincanto circa la possibilità di poter far rispettare tale “ordine”. Appunto, il paese cui appartiene non è più per “vecchi”; non c’è più spazio per quel “vecchio” modo di vedere le cose. Ottimi i Coen che ci fanno riflettere su ciò attraverso una pellicola dura, eccessiva, ma lucida.
E verrebbe da porsi qualche domanda. E’ ormai così pienamente diffuso l’uso della violenza, senza il quale sembra non sia più possibile ripristinare la giustizia? E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia? E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
Gabriele Montemagno
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Il trailer del film
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Sono particolarmente graditi i commenti di chi ha letto il libro e visto il film.
Ma se avete letto solo il libro o visto solo il film… be’, fatevi avanti lo stesso!
😉
Chi non ha letto il libro e non ha visto il film può comunque partecipare al dibattito. Per favorirlo ripropongo nel successivo commento le domande del post.
1. E’ ormai così pienamente diffuso l’uso della violenza, senza il quale sembra non sia più possibile ripristinare la giustizia?
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2. E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia?
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3. E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
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4. Le società di oggi sono più violente di quelle di ieri?
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5. E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?
Non so se e quando risponderò alle domande dell’ottimo Massimo. Intanto mi limito a scrivere a ruota libera, avendo letto il libro e avendo anche visto il film.
Spesso si dice che il film non rende giustizia al romanzo dal quale è tratto. Quindi, leggere il libro e poi “vederlo” al cinema, porta quasi inevitabilmente alla delusione.
Qui, a mio avviso, siamo di fronte a un caso straordinario di perfetto connubio. I fratelli Cohen sono stati fedelissimi al romanzo di McCarthy. Per esigenze di spettacolo, ovviamente, ci sono sintesi e piccole modifiche. Ma complessivamente l’atmosfera, i dialoghi, i personaggi e gli scenari sono aderenti al romanzo. Paradossalmente trovo che, in questo caso, possa essere addirittura meglio guardare il film prima di leggere il libro. Servirà ad avere meno perplessità e meno difficoltà a comprendere quello che McCarthy ha, per esempio, minuziosamente descritto nelle fughe, nel tentivo di trovare nascondigli per uomini e cose e anche nell’utilizzo delle armi.
Grazie mille, Enrico.
Sono curioso di conoscere il parere degli altri.
Intanto, nella speranza che questo post possa suscitare il vostro interesse… vi auguro una buona notte.
Giuseppe Genna mi sta a cuore, per quel che dice e per come lo dice – gli opposti retorici si attraggono a volte, e parlo di retorica strico sensu, beninteso, in senso tecnico. Pero’ delle mie evidenti affinita’ con Genna mi sembrano plateali. Insomma… Come dirti che condivido senza parere uno sviolinatore, un trombone, un tambur battente? Ecco, ho trovato in un lampo: dico a Genna che, dopotutto, io ho un atteggiamento cattolico, anzi che sono cattolico e non intendo cambiare fede o abbandonarla. Sono vecchio e non ho Nazione…
…questo dunque, spero, bastera’ per darmi un distacco dalla sua analisi degli Stati Uniti che, in linea di massima, condivido. Ma forse sarebbe meglio parlare di vecchiaia: chi ne parla piu’, oggi? Il vecchio (quello che ha una ”certa eta”’) e’ fuori dell’attualita’. Rendiamogli almeno questo onore. Un dibattito su di lui – ossia sulla nostra anima, che vecchia lo e’ abbastanza da capire cosa voglia dire vivere in un’Italia scioccamente giovanilistico-efficientistica-economico-rampante.
”efficientistico”, dovevo scrivere. Pardon.
io non ho letto il libro, ma purtroppo ho buttato due ore preziose della mia breve vita vedendo il film orribile…
che delusione l’ultimo dei coen, manca totalmente della loro proverbiale genialità, non capisco l’oscar, un film scontatissimo, lento, colpa forse del libro dal quale è tratto, eppure, a tal proposito, non mancherebbero ben altri libri da trasformare in capolavori cinematografici, ad esempio Philip Roth è a mio avviso, sotto quest’aspetto, una miniera d’oro, checchè ne dicano tanti sulla cattiva riuscita de “La macchia umana” che comunque ha dei pregi, ad esempio il cast e la colonna sonora. Tornando al film dei Coen, sul serio non c’è nulla da salvare, forse il cast, ma anche un cast eccezionale non può fare miracoli, non è un Re Mida. dov’è qui l’ironia, il grottesco propri dei geniali fratelli Coen. Peccato non aver premiato al posto di questa Into the wild di Penn (e lo dice uno niente affatto New age). Hollywood ne avrebbe guadagnato in immagine!!! No, questo non è grande cinema. Ma poi, mi spiegate perchè Bardem è pettinato com e un francese dell’epoca di Luigi XIV?
Dimenticavo: per chi ha dissennatamente paragonato il film ai capolavori di S. Leone, dov’è la colonna sonora? inesistente. Dov’è il pathos? Nullo.
Lo so, caro massimo, non ho letto il libro, ma dovevo sfogarmi, scusamiiiiiiiiiii!!
@ Massi…non ho letto il libro nè visto il film, quindi posso rispondere solo sulle domande sulla …giustizia…perchè sono quelle che tutti i giorni mi pongo nel mio lavoro.
Ecco…credo che l’accostamento (fatto da Gabriele Montemagno) della giustizia all’essere vecchi sia molto pertinente e che ricalchi un pensiero di Platone che diceva:
“Il buon giudice non deve essere giovane, ma anziano, uno che ha appreso tardi che cosa è l’ingiustizia, senza averla sentita come personale e insita nella sua anima; ma per averla studiata, come una qualità altrui, nelle anime altrui ” …
Poichè scrivo da giovane magistrato devo dire, invece, che a differenza di quanto diceva Platone, ho appreso da giovane cos’è l’ingiustizia. E l’ho appreso proprio in aula, quando ho visto che – nonostante gli sforzi di risarcire un danno, di por fine a una violenza, di alleviare un abuso – rimaneva uno scarto così doloroso e ferito tra ciò che era già avvenuto e le sue conseguenze, da essere umanamente irreparabile.
E tuttavia questo scarto giustifica lo sforzo.
Questo scarto deve motivare e indurre a un pietoso esercizio: quello di assottigliare gli spazi tra l’azione e la reazione, tra lo squarcio e una tardiva carezza riparatoria.
Perchè è questo un processo: una tardiva carezza.
Lo scopo è quello di evitare che il male dilaghi, che colpisca nuovamente. Ma gli ostacoli sono tanti.
E forse tra essi c’è anche quell’essere venuti a conoscenza dell’ingiustizia in età precoci, come diceva Platone, prima di avere acquisito e assimilato cos’è la giustizia.
Alla tua domanda , Massi, posso rispondere che ripristinare la giustizia è un compito arduo, che esige sofferenza personale e molto senso del dovere.
Molta voglia, anche quando tutto rema contro, di dare quella carezza a chi ha subìto.
Ma ci vorrebbe anche – come diceva Platone – un’acquisizione del senso dell’ingiustizia tardivo e spostato negli anni. Mentre la prima esperienza che tutti noi ( e i nostri figli) facciamo, è quella di un lamento prolungato e inascoltato, di una realtà che non è equa nè solidale ancor prima di manifestarsi in una forma di violenza che esiga riparazione.
Non ho letto il libro, non ho visto il film. Conto di recuperare. Bellissima la recensione di Genna, comunque. Mi ha invogliato a scoprire un altro McCarthy dopo il capolavoro de “La strada”.
Rispondo alla domanda se l’Italia non e’ un paese per vecchi: no, Massimo, non lo e’. I vecchi di oggi e coloro che lo saranno nei prossimi due decenni, a meno che non si siano assicurati una poltrona in Parlamento oppure a Palazzo Chigi, se la vedranno malissimo. L’Italia dimostrera’ ancora una volta una totale schizofrenia tra il dato anagrafico, siamo un paese di vecchi, e il dato sociale, siamo un paese dove solo chi e’ giovane, forte e con una buona dose di vello caprino sullo stomaco puo’ andare avanti in modo dignitoso. Non parlero’ di come Rita Levi Montalcini sia stata trattata al seggio, non parlero’ dell’indifferenza nei confronti delle oggettive difficolta’ economiche e fisiche cui vanno incontro gli anziani di oggi. Le barriere architettoniche non sono insormontabili solo per i disabili, mia madre ha difficolta’ a camminare, ha 72 anni, e’ perfettamente lucida ma nessuno si sognerebbe mai di concederle il privilegio di una fila privilegiata alla posta, per esempio. Ultimamente si parla degli anziani che rubano nei supermercati, ho visto vecchi guardare a lungo, molto a lungo, i prezzi sulle merci e poi rimetterle sul bancone. Ho visto un anziano arrivare alla cassa con un unico sacco di patate da cinque chili, che non riusciva neanche a sollevare ma che gli avrebbe assicurato pranzo e cena per qualche giorno. Noi abbiamo leader vecchi, presidenti della Repubblica ottantenni, conduttori televisivi che hanno superato i settanta. L’attesa di vita si allunga ogni giorno, i giovani non trovano lavoro perche’ nessuno puo’ andare in pensione. Io, per esempio, non ci andro’ mai in pensione. Da precaria quale sono, non ne avro’diritto. Continuero’ a lavorare finche’ mi reggeranno la vista e il cervello. Poi… poi non lo so, come non lo sanno tutti coloro che si avviano a diventare anziani. Potremmo chiederlo a chi anziano e abbandonato a se stesso e’ gia’. Ma ce ne manca il coraggio.
Laura
“Non è un paese per vecchi” può essere una metafora. Può essere riferito a quasi l’intera superficie degli States. Forse sarà per questo che Cormac McCarthy vive “nascosto” a El Paso.
E il vecchio, nel romanzo e nel film, è lo sceriffo. I suoi tentativi di venire a capo dell’intrigo sono sempre anticipati dalle mosse del “nemico”. Se ne andrà quindi in pensione, con la consapevolezza che al di là del giardino di casa sua, ci sono solo cose che lui stenta a comprendere.
@ giovanni:
rispetto ovviamente la tua opinione. però quanto alla pettinatura di bardem, ci siamo mai chiesti del perché di certe “caricature” felliniane?
Caratterizzazione estrema di un personaggio estremo, direi.
Letto il libro, visto il film in quest’ordine. E piaciuti entrambi, non da inciderli a lettere di fuoco nella memoria, non da rileggerlo e rivederlo, non da citarli a vanvera in discussioni salottiere. Un libro e un film da rispettare.
Da innamorato pazzo dei Coen, due geni assoluti, non mi permetto di criticare il film che ho trovato peraltro molto fedele. Anche McCarthy possiede i segni del genio, innovativo com’è. Quello che un po’ mi preoccupa, e ne abbiamo parlato anche altrove, è il progressivo azzeramento in corso della distanza tra lo scritto e il parlato; mi sta bene per il discorso diretto, ma usare la stessa modalità per la narrazione delle emozioni e la descrizione degli ambienti mi pare un’abdicazione eccessiva di una meravigliosa opportunità, forse l’unica veramente peculiare, che ha la scrittura.
Non sono un maniaco dell’ipotassi, se qualcuno mi ha letto lo sa. Ma penso che scrivere consenta una straordinaria possibilità, quella di articolare un sentimento della realtà senza doverlo necessariamente frammentare. Racconto agli occhi, quando scrivo: non alle orecchie.
a volte penso che alcuni si vergognino di ammettere che un film vincitore di oscar, definito “colto” o “per palati fini” dalla critica non è piaciuto, temono di essere considerati poco intenditori, non al passo coi tempi, e quindi siano forzati a dire “grande film” “capolavoro”.
Io ribadisco invece che il film dei Coen, con tutta l’adorazione che ho per i fratelli geniali e per Bardem, insuperabile interprete di “Prima che sia notte” e “Mare dwentro”, è una mega-cagata.
@giovanni
E allora diciamo del film. E’ vero, dà disagio. Sembra anche non avere un finale, col monologo dello sceriffo che resta là, sospeso senza repliche. E anche qualche personaggio non ha il corretto sviluppo, penso a Woody Harrellson ad esempio. Ma è un film tratto da un libro, e il libro vuole dare disagio e un senso di incompiutezza.
Quindi, il film è riuscito perfettamente. Critichiamo al limite la scelta del libro da cui fare un film, ma non critichiamo un film senza sapere da dove viene.
Quanto all’oscar, io non l’avrei dato, assolutamente.
Post scriptum: “Il grande Lebowsky” è il film perfetto. “Fargo” è straordinario, perfino il vituperato “Ladykillers” a me è piaciuto moltissimo, e ‘fanculo alla critica. “Crash” mi ha preso allo stomaco, sono rimasto triste per tre giorni dopo averlo visto, ma l’oscar se lo meritava.
Tutti hanno applaudito all’impiedi Crialese per “Nuovomondo”, io mi sono addormentato a metà secondo tempo.
La critica è una cosa, il gusto personale un’altra. Ma l’obiettività è comune, o dovrebbe esserlo.
@maurizio
non è disagio, è senso di un film inutile; per il resto concordo in pieno
Ma crash non è dei Cohen.
E dove lo metti allora Un uomo che non c’era o Mr. Hula-Hop, capolavori assoluti.
E viva Ladykillers, che conferma lo snobismo come malattia (purtroppo non mortale ;-))) ) di certi critici
Sono perfettamente allineata con le giuste considerazioni di Simona e di Laura. Forse a questo punto qualcuno dovrebbe analizzare e farsi carico
delle vibranti proteste di tante famiglie che hanno affidato i loro anziani
ad un nutrito numero di badanti senza scrupoli, che sbagliano nel dare le medicine, che lasciano le pazienti paralizzate al letto ed escono tranquillamente per i fatti loro,poi tornano tranquille e giulive dopo un paio d’ore. Troppe lasciano l’impiego da un giorno all’altro, senza avvertire preventivamente la famiglia per poterle sostituire. Anziani che non vengono tutelati, che si dissanguano per pagare uno stipendio sempre più alto, mentre la loro misera pensione non aumenta mai.
Purtroppo sono costretta a dire che spesso la malattia è il male minore, rispetto alle gratuite sofferenze e ai problemi che si devono affrontare.
Come la carenza di pulizia, di professionalità, di educazione, la difficoltà
della lingua, gli oggetti che vengono rotti o rubati. Mi fermo qui, anche se il discorso sarebe molto più ampio ed articolato, ma non voglio andare fuori tema e mi scuso con voi, dico solo che ci vorrebbe un’associazione umanitaria che tuteli anche noi, e che indichi alle nostre famiglie, quelle persone che non si sono comportate bene, per evitare il danno e la beffa di assumerle nelle nostre case e per vivere gli ultimi anni della nostra vita con maggiore sicurezza e serenità.Anche questa attenzione potrebbe essere un segno innovativo di grande civiltà. Grazie
Tessy
@ Laura
vorrei intervenire sulle cose che hai scritto, punto per punto, ma sono di frettissima, solo poche parole.
Tu accenni alla difficoltà di deambulazione degli anziani e all’indifferenza che li circonda. Non è una questione di insensibilità verso i vecchi, è solo maleducazione, e in questo nessuno si tira indietro. Esperienza personale: nemmeno se hai le stampelle ti cedono il posto! ho collezionato “figure” di ogni età e ogni estrazione. quella che mi ha fatto incazzare di più? Essere travolta da due pimpantissime nonne, fresche di palestra, mentre salivo, con una certa lentezza, le scale. (e poi c’è sempre il racconto di Sergio Rilletti “Solo”, che in fatto di sensibilità ed educazione la dice lunga!)
Per fortuna mia, ho usato le stampelle solo per brevi periodi e distanziati nel tempo. rispetto a venti anni fa, ora di bello c’è ,che almeno in Posta si siedono tutti sia i deboli che i forti, e diligenti aspettano comodi l’uscita del numerino. A Roma non è così?
🙂
brava Laura, andiamo a invecchiare tutti in Spagna, ma anche il Burundi mi va bene, se qui continua così…
Ho visto il film e sono rimasto colpito dall’assenza di un personaggio femminile, che accompagni la vita reale di questi uomini violenti, non sempre per scelta personale, e così ho ricollegato l’assenza femminile nell’altro romanzo di Cormac Mccarthy – La strada – forse è in atto in America una visione allegorica dell’uomo misogino?
(recentemente ho visto “Il petroliere” anch’esso un film tutto al maschile americano e violento)
Sono d’accordo con Sergio Sozi e aggiungo che l’autore C.Maccarthy ci vuole far credere che l’America sia così decadente, da farmi ricordare una sorta di “ MACCARTISMO” al contrario: lui forse un Amerikano di sinistra illiberale?
Mentre, secondo me, i fratelli Coen sono riusciti a ridicolizzare la violenza,mi riferisco al finale, ed affermare che nonostante le apparenze l’America è un grande Paese democratico che non rinuncerà mai a una giusta speranza di vita: non è mai solo
colpa dei padri l’insuccesso o il fallimento dei figli.
E per sdrammatizzare, ho apprezzato l’intervento di Laura che incorpora tutte le domande poste riguardo l’essere realisticamente vecchi in un paese come il nostro e in tutti quelli dove non è prevista per gli anziani una qualità di vita necessaria e dignitosa: i vecchi rappresentano, oggi,solo un costo sociale o una risorsa umana già sfruttata ampiamente dal nostro irriconoscente Paese?
Simona, salomonica e umanamente sempre più,che dire: vogliamo costituire,potrebbe essere auspicabile, un’assemblea costituente ed intervenire sul nostro impianto giuridico?
(diritto e procedura penale all’anglosassone)
Grazie Massimo,
per questo attuale e moderno post, molto realistico;con affetto
Luca Gallina
Caro LUca,
il nostro codice di procedura penale si è adattato all’impianto anglosassone da qualche anno, e ha previsto infatti un rito all’americana, per così dire, con una dialettica pressocchè paritaria tra accusa e difesa.
A mio modesto avviso non è solo un problema di riforme (sempre auspicabili, certo, e sempre migliorabili), ma di profondo senso del vivere a un livello – anche e soprattutto – di coscienza collettiva.
Ho visto il film e sono rimasto colpito dall’assenza di un personaggio femminile, che accompagni la vita reale di questi uomini violenti, non sempre per scelta personale, e così ho ricollegato l’assenza femminile nell’altro romanzo di Cormac Mccarthy – La strada – forse è in atto in America una visione allegorica dell’uomo misogino?
(recentemente ho visto “Il petroliere” anch’esso un film tutto al maschile americano e violento)
Sono d’accordo con Sergio Sozi e aggiungo che l’autore C.Maccarthy ci vuole far credere che l’America sia così decadente, da farmi ricordare una sorta di “ MACCARTISMO” al contrario: lui forse un Amerikano di sinistra illiberale?
Mentre, secondo me, i fratelli Coen sono riusciti a ridicolizzare la violenza,mi riferisco al finale, ed affermare che nonostante le apparenze l’America è un grande Paese democratico che non rinuncerà mai a una giusta speranza di vita: non è mai solo
colpa dei padri l’insuccesso o il fallimento dei figli.
E per sdrammatizzare, ho apprezzato l’intervento di Laura che incorpora tutte le domande poste riguardo l’essere realisticamente vecchi in un paese come il nostro e in tutti quelli dove non è prevista per gli anziani una qualità di vita necessaria e dignitosa: i vecchi rappresentano, oggi,solo un costo sociale o una risorsa umana già sfruttata ampiamente dal nostro irriconoscente Paese?
Simona, salomonica e umanamente sempre più,che dire: vogliamo costituire un’assemblea costituente ed intervenire sul nostro impianto giuridico?
(diritto e procedura penale all’anglosassone)
Grazie Massimo,
per questo attuale e moderno post, molto realistico;con affetto
Luca Gallina
Simona mi aggancio a quanto hai scritto su Platone. Lo faccio riportando una frase di una regista spagnola che si chiama Iciar Bollain, a proposito di un suo film TI DO I MIEI OCCHI, storia di una donna come tante che soffre in silenzio la violenza del marito – Con questo film volevo capire e mostrare che cosa succede nella mente di chi accetta la violenza domestica. E poi perchè chi maltratta non è cosciente dell’entità del danno che provoca. L’argomento non è solo difficile, è ingrato –
Non è cosciente ehhhh????? Le mani massacrano e scontano d’esser e perdonate!!! A volte per quattro soldi del cazzo, a volte perchè la persona umana è vista come una specie di banconota che appartiene al proprio portafoglio e deve essere gestita da quelle mani grosse e pesanti, rossicce, sottili e biancastre, dalle unghe non tagliate a dovere, schifosi artigli di bestia che sgusciano fuori sui più deboli, bimbi compresi. Ahhhh si si , lui li amava da morire, qualche borioso psicoanalista o pirla new age (hai presente quelli che giustificano persino
i vermi che strisciano?) sostengono che le botte sono forme d’energia e d’amore canalizzate in modo errato, per giustificare l’errore, evitare il rimorso: che vadano via da me quei mascheroni bugiardi che scontano un sacco di cose, alla pari di chi ha commesso il male e non è cosciente di quel che ha provocato, che vadano a rivestirsi i genitali con la filigrana, siano essi vecchi o giovani, che importa!
La violenza infatti non è solo una violazione sul fisico, ma è soprattutto un fatto morale che si riferisce all’anima e l’anima
@ Miriam: si, perfino a Roma in posta si prende il numero e ci si siede, se si trova posto. Un piccolo passo avanti. E si, certo, la maleducazione fa la sua parte e di sicuro alcune persone anziane non ne sono immuni. Ma e’ l’atteggiamento mentale, nel suo complesso, che non rispetta chi e’ avanti con l’eta’. Ed e’ un atteggiamento schizofrenico che da una parte ci mostra una splendida Jane Fonda rugosa che pubblicizza una crema per il viso delle bellissime oltre i cinquanta e dall’altra esclude da qualsiasi accesso al mondo del lavoro chi ha superato i 35 anni. L’abbigliamento e’ costruito su corpi da sogno erotico per pedofili, la taglia 38 impera sovrana anche nelle boutique dove solo chi ha un certo reddito puo’ entrare. E spesso chi ha un certo reddito non e’ propriamente giovane, e magari neanche anoressico.
Essere vecchi e’ il nostro futuro, se tutto va bene. Ma il futuro e’ fosco anche per chi e’ nato nel 2000, figurarsi per noi che ci arriveremo gravati di anni e di malanni. Gli ospizi non funzionano, le badanti vanno pagate, le assicurazioni sanitarie costano mentre si medita ogni giorno di piu’ di tagliare la spesa pubblica (leggi servizi e sanita’ per meno abbienti). Forse, per quando noi saremo vecchi, il famigerato SSN, che a me personalmente ha salvato la vita e che a mio papa’ ha concesso di vivere dignitosamente un paio d’anni prima di arrendersi ad un cancro, sara’ stato abolito in nome della legge del taglione: se hai guadagnato puoi permetterti l’assicurazione, se non hai guadagnato hai da mori’ schiattato. La maleducazione e’ solo un portato di un modello di vita che e’ spuntato nella Milano da bere degli ’80: il modello del rampante, del vincente, del pippato di cocaina, ricco perche’ furbo o furbo perche’ ricco, comunque sempre all’attacco e poco male se strada facendo deve passare sul cadavere dei perdenti. Un modellino pret-a-porter che non tutti possono indossare. E io gia’ mi vedo, come nell’ormai famigerata foto di Prada sbandierata da Libero di Vittorio Feltri, stesa per terra a far da tappetino ai furbetti di domani.
No, non e’ un paese per vecchi…
Non ho letto il libro e non ho visto il film, però il post mi pare molto interessante perché tratta argomenti attualissimi.
Mi sono molto piaciuti i commenti di Simona e Laura.
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1. E’ ormai così pienamente diffuso l’uso della violenza, senza il quale sembra non sia più possibile ripristinare la giustizia?
(purtoppo sì. E’ diffusissimo)
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2. E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia?
(fino a un certo punto. La giustizia che possiamo applicare è solo una forma di compensazione. le situazioni mutate non sempre possono essere ripristinate).
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3. E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
(credo sia ancora viva, ma potrebbe e dovrebbe esserlo di più).
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4. Le società di oggi sono più violente di quelle di ieri?
(non lo so. questà è una domanda difficile)
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5. E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?
(l’Italia è un paese di vecchi e non è un paese per vecchi. che tristezza).
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Grazie per il post, Max.
Vi ho troppo depressi?
No?
Bene.
Smile
letto il libro, non visto il film.
l’analisi di genna mi pare ottima. la sensazione che lascia addosso è amara e sconsolata. non c’è più posto per l’etica, che è un concetto per vecchi.
e nemmeno per tutti i vecchi, pare.
sottoscrivo pienamente l’ultimo commento di laura, di cui condivido le angosce.
@gea
sì, non per tutti i vecchi, infatti Berlusconi è vecchio ;-)))
Ringrazio tutti per i commenti fin qui pervenuti.
La mia domanda posta per ultimo (E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?) aveva chiari intenti provocatori.
Vi ringrazio per aver colto la provocazione e raccolto l’invito a discuterne.
@ Gabriele Montemagno
Ti invito a dialogare con coloro che hanno scritto commenti specifici sul film (io non posso farlo, perché sono tra quelli che non l’hanno visto).
@ Simo
Ti ringrazio moltissimo per il tuo commento dove (ancora una volta) metti generosamente in comune le tue conoscenze, esperienze (e sensazioni) da magistrato.
Grazie davvero.
Onestamente (ma dal mio punto di vista) non comprendo la critica sull’assenza di un personaggio femminile. La giovane moglie del saldatore, infatti, mi pare una femmina e il suo personaggio ha un’importanza essenziale nella storia. E’ la coscienza, è la salvaguardia di ciò che si è ottenuto, è la speranza per il futuro anche se (per lei) nessun futuro migliore può mettere a rischio la piccola felicità fin lì conquistata. Lei è la ragionevolezza, il marito è la bramosia. Allal fine, comunque, sconfitti entrambi……(senza rivelare il finale)
Un saluto speciale al padre letterario del commissario Ricciardi: Maurizio De Giovanni.
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Alla domanda di cui sopra (E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?), Ricciardi cosa avrebbe risposto?
@ Laura
Colgo molta amarezza (direi condivisibile) nei tuoi commenti.
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Pongo un paio di domande da un milione di dollari (anzi, di euro… che vale di più) a te e agli altri.
Ritieni (e ritenete) che ci possano essere margini di miglioramento nella nostra società che invecchia sempre più senza nemmeno rendersene conto?
Su cosa si potrebbe “lavorare” per creare tali margini di miglioramento?
Domande difficili, lo so.
Dico “bravo” in anticipo a chi si sentirà di dare delle risposte.
Magari il Governo neoeletto potrebbe leggerci e prendere appunti.
O magari no.
Vi auguro buon pomeriggio e buona serata.
Condivido il pensiero di Laura, che fa molto riflettere nella sua amarezza.
Ho letto il libro, non ho visto il film.
Il libro è molto bello (ottima la recensione di Genna, non so cosa aggiungere!), atmosfera quasi irreale ma densa, carica. Si legge come sospesi e tanto lo sai che finirà male, che non ci sarà la giustizia che ti aspetti. Del resto è proprio da questo libro che ho scoperto Mc Charty e ho proseguito con La Strada.
Il film non l’ho visto perchè mi è stata riportata da più parti una “recensione” come quella che ne fa giovanni. Insomma, una palla infinita.
Ora, ormai me lo sono perso sul grande schermo, ma posso rimediare in dvd, se davvero -come dice e sostiene Enrico- ne vale proprio la pena.
@ Laura
Eppure, qui, nella Milano da bere, dei pippati di cocaina, come scrivi tu, c’è un esercito di volontari straordinario. Sono attivi in ogni campo e ti assicuro che fra loro trovi persone di ogni ceto sociale. Vedere certe signore che negli ospedali imboccano anziani anzianissimi, fa un certo effetto. Hanno vinto la mia prevenzione , perché io non so se avrei la forza di starmene lì ad ascoltarli, pettinarli, pulirli, credo proprio che non ne sarei capace. Ogni giorno le vedevo arrivare, belle ed eleganti, e per un’ora piegarsi a lavori umilissimi; ripeto, io non ci riuscirei nemmeno per un giorno. Nemmeno per darmi un tono… nemmeno per noia. Sono moltissime/i e con le loro associazioni “coprono” quasi tutti gli ospedali, anche se molte di loro vestono Prada…
Sulla taglia 38/40, hai visto l’accordo firmato ieri in Francia? Che coinvolge non solo il settore moda, ma si estende a tutti i sitemi comunicativi: pubblicità, tv, cinema ecc.
Ciao
@miriam
s’è vista domenica alle urne la Milano della solidarietà!!! ahahah
@ giovanni
temo che sarà durissimo recuperare i voti persi…..
Vorrei sapere da giovanni se la solidarieta’ ha un colore politico e ,in questo caso,quale.Intanto miriam ci ha dimostrato che non ha un ceto sociale,e gia’ il dato e’ confortante.Riguardo al connotato dell’eta’ e’ chiaro che i vecchi non sono un problema in sè,ma solo se non autosufficienti.Per contro quelli che hanno ancora un buono stato di salute devono essere coinvolti in iniziatve di volontariato o di pubblica utilita’,e trasformati quindi in risorse invece che in una zavorra a carico del sistema previdenzial-assistenziale.a volte sono soltanto malati di solitudine e disinteresse verso la vita e il prossimo.
Le proposte di Tessi sono ottime da suggerire agli uffici di collocamento,l’allarme di laura e’ piu’ che giustificato,almeno i vecchi di oggi una pensione ce l’hanno,ma noi siamo nella totale incertezza.tuttavia non dobbiamo lasciarci vincere dal pessimismo:non e’ escluso che le cose potranno migliorare,l’importante e’ seminare bene da giovani se si vuole raccogliere da vecchi.
Comprendo perfettamente la tendenza di massimo a “provocare” dibattiti che vanno al di là di un libro anche se da esso prendono spunto. A volte, però, ho l’impressione che si debordi un po’ troppo sul sociale e/o sul politico.
Non auspico il qualunquismo, per carità, ma la condizione della terza età non autosufficiente può essere sopportabile o insopportabile in relazione a quanto uno Stato civile è in grado di provvedere con umanità al problema. E ciò a prescindere dal regime dello Stato medesimo.
Tornando a McCarthy, comunque, la sua idea non mi pare quella che sia impossibile avere giustizia, ma che ottenerla non sia sempre facile.
@Maria Gemma
Non si può negare che storicamente la solidarietà non è di destra, Berlusconi stesso non sa o non vuol sapere che grazie alle entrate dell’ICI i comuni possono offrire gratuitamente servizi per i ceti meno abbienti, svantaggiati socialmente e per i disabili.
Berlusconi e i suoi camerati non conoscono cosa sia la redistribuzione della ricchezza.
Le ricche dame che fanno opere di carità ci sono sempre state, bigotte, esibizioniste e senza un briciolo di cuore. Se fanno opere di carità è solo per affermare la loro superiorità sugli altri, la loro filantropia è pura volontà di potenza, da esibire poi con le amiche.
@ giovanni:
dietro lauto compenso potrei fornirti l’elenco delle spese dei Comuni per:
viaggi di consiglieri e assessori a spasso per il mondo per improbabili incarichi (inaugurazioni di scuole alle maldive intitolate a ‘sto cazzo, gemellaggi culturali/gastronomici et similia)
patrocinii e patronati di eventi culturali che poi non vengono fatti,
pubblicazioni editoriali come book fotografici dei muri della città, delle biciclette e delle piantine ornamentali
cancelleria (migliaia di euro come se davvero ancora si consumassero penne e matite come nell’800)
auto blu e noleggiatori per andare a spasso a cazzo di cane…….potrei proseguire e ovviamente indicherei tanto giunte di sinistra che giunte di destra.
Forse le inizative sociali potrebbero essere effettuate tagliando questa serie di stronzate invece che far pagare l’ici a un povero cristo che ha avuto in eredità dal padre operaio un appartametino di 50 metri quadri.
L’Ici e tutte le gabelle inique vanno sempre nel culo dei proletari e non certo di Lapo Elkann.
@enrico
sei ultraconvincente, ma, siccome purtroppo sistema è quello che è e siccome certi privilegi si cancellano solo con le maniere forti, o sono inestirpabili, allora l’ICI serve.
Caro Enrico, mettiamoci in testa che siamo noi a volere la CASTA!!!
@ giovanni:
i Comuni marciavano o non marciavano anche quando l’Ici non c’era. Non so quanti anni hai, ma io ho vissuto per decenni senza che le amministrazioni incassassero l’Ici e non ho notato alcun miglioramento da allora a oggi. Anzi, forse prima si facevano spese oculate proprio per ottimizzare le risorse. Se io devo pagare l’Ici per mandare i consiglieri comunali nel Chiapas (come è davvero accaduto, porca troia) a portare solidarietà alla popolazione messicana, pagala tu anche per me. Tra l’altro la solidarietà ai morti di fame sotto casa loro non la portano manco per il cazzo se non quando c’è puzza di elezioni.
Io sono convinta che Enrico potrebbe volere la Casta in maiuscolo e con l’accento alla francese,ma della casta farebbe volentieri a meno.Stai pure sicuro Giovanni.:-).
Scusami enrico se mi permetto di interpretare un tuo inespresso pensiero.
Scusa enrico, ti ho detto che hai ragione, ma quando non ci sarà più l’ICI, chiamerò te per farmi accompagnare al lavoro?
@ maria gemma:
perfetto!
@ giovanni:
catastrofista
🙂
@Enrico
ma caspita, non è catastrofismo, è un teorema: se aboliamo l’ICI e restano i privilegi che tu hai magistralmente elencato, a chi va in culo? ai fruitori dei servizi. Le risorse certo non le tolgono all’assessore che vuole andare in Chiapas a portare solidarietà o ad inaugurare una scuola alle Maldive!
Enrico scrive, rispondendo a Luca, che la figura femminile c’è, è la giovane moglie del saldatore. “E’ la coscienza, è la salvaguardia di ciò che si è ottenuto, è la speranza per il futuro anche se (per lei) nessun futuro migliore può mettere a rischio la piccola felicità fin lì conquistata. Lei è la ragionevolezza, il marito è la bramosia. Alla fine, comunque, sconfitti entrambi……”
Genna nella sua incisiva recensione ci avverte che “Il romanzo di McCarthy potrà anche sembrare un atto d’accusa alla modernità in genere, ma è uno specchietto per le allodole: si tratta in realtà di un attacco formidabile al sistema America, al suo sogno putrefatto, alla sua incapacità di radicarsi storicamente nella sua stessa vicenda, come dimostra l’apice poetico del libro, nelle pagine finali: uno scolatoio scalpellato in pietra due secoli prima, che, come scrive McCarthy, poteva durare diecimila anni: ma non durerà tanto.”
Quindi quel rapporto, che pure funziona (mi è sembrato di capire, leggerò il libro a giorni) rappresenta altro; l’uomo e la donna sono lì come metafora dell’esito possibile verso “il moralismo reazionario” o “l’abisso della verità”. Se la chiave di lettura è questa, allora non è nemmeno sbagliata l’osservazione di Luca, che non ha visto figure femminili, perché si sta parlanso d’altro. sarà così?
Mi dedicherò alla lettura appena possibile. Da domani, spero…
“Si cammina sul filo di un rasoio: da una parte c’è il rischio del moralismo reazionario tipico degli Stati del sud, mentre dall’altra parte si rischia l’abisso della verità: si cade da questa parte, credo, si affonda in questo abisso.”
@Maria Gemma
Concordo con il tuo scenario e con quanto riferito da Miriam; tu dici Maria Gemma:
l’importante e’ seminare bene da giovani se si vuole raccogliere da vecchi: questo però non è sempre vero, aggiungo io, in quanto le vicissitudini delle vita talvolta penalizzano anche i più oculati.Pensiamo al milione di risparmiatori italiani truffati dalle banche in questi ultimi anni: tutti i risparmi di una vita per gli interessati e nessuno li rimborsa!
Passo a degli esempi: in Svezia lo Stato sociale è improntato a far sì che i cittadini sin da giovani si costituiscano una sorta di salvadanaio previdenziale, attraverso l’imposizione fiscale, che li proteggerà totalmente durante e la fine dell’attività produttiva, a 68 anni sia per gli uomini che le donne, e hanno diritto allo studio e all’agevolazioni nell’impegno culturale; in Francia, i nostri cugini, lo Stato sociale impiega 40 miliardi di euro da investire nella famiglia cominciando a tutelare le donne lavoratrici dall’ asilo nido in poi, a prezzi politici, per la cura giornaliera dei lori figli ; lo Stato finanzia anche iniziative private, in parte questo avviene anche in Italia, di asilo nido approntati a turno in casa di madri-lavoratrici, nei propri appartamenti; e così andando verso la solidarietà sociale attiva.
In Italia questo non è possibile, ché la finanziaria destina meno di 5 miliardi di euro per le attività familiari.
Certo che i poveri,oggi nel nostro bel Paese, saranno sempre più poveri: e’ chiaro che i vecchi non sono un problema in sé,ma solo se non autosufficienti, dici anche.
A Milano oltre agli anziani che operano nel volontariato, ci sono altri che frequentano l’università della terza età (pur essendo stati alcuni, laureati a tempo debito), oltre a chi frequenta il teatro, concerti et similia;tutto questo per scongiurare, quanto rilevi tu giustamente: a volte sono soltanto malati di solitudine e disinteresse verso la vita e il prossimo.
Allora leggendo gli interventi mi sono ricordato che trent’anni fa, si diceva: i giovani potranno istruirsi e farsi valere nella vitaan,anche, grazie ad una loro famiglia dietro le spalle, che li sostiene economicamente e li incoraggia anche nell’area degli interessi personali.
Allora io mi chiedo e Vi chiedo:i vecchi in difficoltà oggi in Italia potranno dire, ed è giusto, che si aspettano di essere aiutati ed incoraggiati dai loro figli allo stesso modo?
Lo Stato non interviene pesantemente nel sociale: perché non ha i soldi o perché la politica è rivolta principalmente a tutelare il capitale finanziario sia di destra che di sinistra e i cittadini italiani stanno a guardare, non tutelati nemmeno dal voto appena espresso?
Luca Gallina
se per seminare bene da giovani si intende risparmiare per gli anni della vecchiaia, vorrei far presente che scialacquare in dissennatezze quali la spesa quotidiana può effettivamente portare molte famiglie a non disporre di nessun gruzzolo da perdere in speculazioni di borsa.
molte.
moltissime.
ops!
l’ultima frase, quella virgolettata, è rimasta lì per caso. Scusate
🙂
Le società di oggi sono più violente di quelle di ieri?
E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?
Massimo Maugeri
Come sempre, le mie affermazioni derivano in gran parte dalle esperienze meditative, come da quelle reali fatte nella mia vita.
Una vita vissuta intensamente, tra il lavoro e la famiglia, il sociale che mi ha sempre attirato, e la religione per liberarmi dai suoi soprusi, agenti un tempo in me, ma dopo non più, avendo capito che era meglio riflettere e agire seguendo le proprie caratteristiche, quelle ereditate e acquisite dopo.
Il richiamo di Simona a Platone mi fa pensare ai suoi tempi, nei quali l’invecchiare aveva un senso riconosciuto ed onorato. Si legge spesso nei poemi di Omero un riferimento al vecchio cieco: vecchio, perché tutore delle esperienze acquisite con l’età, e cieco, perché saggio, cioè non abbagliato dalla superficialità ingannevole del suo tempo.
I giovani, che li rispettavano, sapevano ponderare il loro stimolo d’azione, proprio della loro età, con la saggezza dei loro maestri e trarne più utile e successo.
Purtroppo, oggi, la nostra società consumistica sostiene un’altra dottrina: quella di dover essere sempre giovani e incessantemente laboriosi, oltre il limite utile a sé stesso.
Conosciamo già lo scopo, l’arricchimento rapido di coloro che la impongono, a danno del resto della popolazione.
Il vecchio d’oggi, non è più vecchio nel senso vero della parola; grazie ai grandiosi risultati compiuti dalla medicina, è ancora giovane, ma senza un’occupazione che gli doni il senso di essere ancora parte utile della società.
Allontanato dal processo produttivo, non gli resta che di dedicarsi ai suoi svaghi preferiti; il rapporto tra i giovani e i vecchi, una volta indispensabile per il succedersi delle generazioni, svanisce sempre di più, creando dei ghetti d’isolamento.
Non lontana sarà la percezione che i vecchi, diventati troppi, diventino un fattore deficitario per l’economia del rendimento, già ora vengono guardati di bieco.
L’invecchiare ha perso così il suo senso; nella frenesia delle scoperte scientifiche per produrre prodotti sempre più intelligenti e con essi realizzare sempre più profitti, sta andando perso l’equilibrio tra le fasi formative della vita che erano finora i capisaldi dello sviluppo psichico, sociale e cognitivo dell’individuo: l’infanzia, l’adolescenza, la fase dell’adulto e quella della vecchiaia.
Oggi, vince solo colui che è giovanissimo ed esperto, in un sempre più breve tempo, in molte attività di vitale importanza per l’economia, fino al momento nel quale, purtroppo ancora giovane, viene sostituito da un altro, ancora più giovane ed esperto di lui.
È così che i vecchi non tengono il passo e diventano inutili.
Il tempo scorre sempre con lo stesso ritmo, ma noi abbiamo cambiato il modo di assumerlo.
In questa confusione dei sensi, è difficile ritrovare l’equilibrio andato perso.
Temo che in un prossimo futuro, l’uomo verrà selezionato e i dichiarati inabili verranno sconfinati o eliminati.
In questo contesto, credo che non abbia senso allungare la vecchiaia; il suo allungamento è causato dalla perdita di ideali, i veri ed unici che ci aiutino ad affrontare serenamente il trapasso, oltre che considerare l’invecchiamento un fatto naturale e necessario.
Gli ideali anticipano sempre ciò che un domani sarà necessario prendere seriamente in considerazione.
Ci stiamo elevando al “Dio creatore”, senza la misura e il rispetto verso di Lui.
Concludendo, ritengo di aver, pur nella mia consueta maniera, risposto ai due quesiti posti dall’elogiabile Massimo; i vecchi, che sono già troppi, dovrebbero riassumere le funzioni di un tempo: quello di consigliare, suggerire una modifica efficace dello sviluppo attuale, ma per farlo dovrebbero finirla di dedicarsi solo agli svaghi o al feticismo di voler allungare ancor di più la loro esistenza, diventata ormai troppo costosa, egoistica e dannosa allo scambio benefico generazionale
Saluti
Lorenzo
Caro Massimo, seppure con ritardo (ma rincaso solo adesso) accolgo la tua richiesta di intervenire nel post.
Voglio rispondere a Giovanni che sono perfettamente d’accordo con lui a proposito di “Into the wild”: è un film che avrebbe sicuramente meritato l’oscar. Ma per fortuna ha avuto ottimi apprezzamenti nel festival di Roma: forse noi italiani ogni tanto l’azzecchiamo giusta. Voglio anche aggiungere che ho trovato interessante e partecipata la sua critica al film dei Cohen, sebbene non la condivida. Non condivido infatti la necessità di rappresentare sempre e comunque la violenza con ironia (per quanto questa ironia -mi sembra- faccia capolino proprio in quella capigliatura del personaggio di Barden, tanto stigmatizzata da te): quel senso di disperazione che ho colto nel film non può essere neppure salvato dall’ironia. La violenza è -spesso- solo violenza e non ha posto per altro (anche se è una violenza mostrata e non ostentata, come quella del film). Neanche per la musica. Mi chiedo infatti se, da parte dei Cohen, invece non ci sia stato coraggio nella scelta di privare il loro film di quelle componenti (ad es. la musica) che possono alleviare l’animo dello spettatore di fronte ad una storia così cruda. E se ciò non possa aver rappresentato una cesura con un certo (loro) modo di raccontare. O se non possa essere stato il frutto della scelta di voler aderire al romanzo.
Voglio rispondere anche a Luca, il quale ha constatato l’assenza di personaggi femminili. Sì, è vero, ma è anche vero che è proprio la giovane moglie del saldatore-cacciatore Moss che, con molto coraggio e “saggezza femminile” fa notare al killer psicopatico venuto da lei per ucciderla lui uccide per sua libera scelta e non perché lo stabilisce la sua monetina cui lui attribuisce- da uomo privo di qualunque emozione-ogni potere decisionale. Ed è sempre lei che ha il coraggio di voler seguire il suo uomo braccato dal killer. Almeno, questa è la mia interpretazione. Certamente non è fra i protagonisti, ma il suo ruolo per quanto piccolo è rilevante. A mio avviso è l’unica a credere nei sentimenti e nei legami: ciò che sembra aver perduto l’anziano sceriffo.
Vi ribadisco i miei ringraziamenti per le vostre critiche.
Aggiungo soltanto il mio apprezzamento anche per quanto hanno scritto Laura, Simona e Miriam a proposito della giustizia e della vecchiaia. Mi ha molto interessato leggere le vostre parole e conoscere le vostre esperienze che, secondo me, hanno arricchito il post.
Un saluto.
Gabriele
Saluto il bentornato Luca Gallina – come sempre affabile ed equilibrato. Ciao, Luca. Se hai tempo, vai a vedere il mio lungo articolo qui presente nella ”Stanza accanto 3”. E dimmi cosa ne pensi.
Ciao
Sergio
Ho provato una strana sensazione leggendo le discussioni di questi ultimi giorni su Letteratitudine, una sensazione di vaga assurdità. “Qualcosa” è successo ultimamente in Italia, e io ancora non riesco a farmene una ragione. Se “la bellezza salverà il mondo” – e qui si discute appunto di letteratura, di bellezza – mi avrebbe fatto piacere da parte degli amici di Letteratitudine una manifestazione almeno d’una pur lieve perplessità. Dal 14 aprile, a mio sofferto parere, la bellezza in Italia è maggiormente disprezzata.
Un caro saluto,
Subhaga
@ Simona SULLA VIOLENZA ED IL RAPPORTO CON L’ANIMA
Simona mi aggancio a quanto hai scritto su Platone. Lo faccio riportando una frase di una regista spagnola che si chiama Iciar Bollain, a proposito di un suo film TI DO I MIEI OCCHI, storia di una donna come tante che soffre in silenzio la violenza del marito – Con questo film volevo capire e mostrare che cosa succede nella mente di chi accetta la violenza domestica. E poi perchè chi maltratta non è cosciente dell’entità del danno che provoca. L’argomento non è solo difficile, è ingrato –
Non è cosciente ehhhh????? Le mani massacrano e scontano d’esser e perdonate!!! A volte per quattro soldi del cazzo, a volte perchè la persona umana è vista come una specie di banconota che appartiene al proprio portafoglio e deve essere gestita da quelle mani grosse e pesanti, rossicce, sottili e biancastre, dalle unghe non tagliate a dovere, schifosi artigli di bestia che sgusciano fuori sui più deboli, bimbi compresi. Ahhhh si si , lui li amava da morire, qualche borioso psicoanalista o pirla new age (hai presente quelli che giustificano persino
i vermi che strisciano?) sostengono che le botte sono forme d’energia e d’amore canalizzate in modo errato, per giustificare l’errore, evitare il rimorso: che vadano via da me quei mascheroni bugiardi che scontano un sacco di cose, alla pari di chi ha commesso il male e non è cosciente di quel che ha provocato, che vadano a rivestirsi i genitali con la filigrana, siano essi vecchi o giovani, che importa!
La violenza infatti non è solo una violazione sul fisico, ma è soprattutto un fatto morale che si riferisce all’anima , del rispetto per l’anima dell’individuo e, per diretta derivazione, per la collettività che poi è l’anima mundi.
Che si creda nel vangelo e nel cristianesimo dove l’anima umana è in cammino per la conquista della Verità, o ci si agganci al pensiero classico che sottolinea in Platone l’interesse metafisico risolutore in sé dell’esigenza morale, o al corano ed ai Sufi esoterici per i quali le anime individuali sono partecipazione dell’intelletto massimo, il quale, come una lampada comunica la sua luce ad altre lampade, o che ci si rivolga alla moderna psicologia come scienza della diverse funzioni psichiche, cioè delle manifestazioni dell’anima, qualunque sia la tendenza, dicevo, a proposito dell’anima, ogni atto di violenza è contro le leggi divine e le leggi che hanno fatto gli uomini per proteggere in un certo senso le stesse leggi divine.
Così il fenomeno di violenza perpetrato fra le mura domestiche o sulla metropolitana si allarga su di un piano collettivo che coinvolge le rivolte di piazza e le guerre fra i popoli. Le foto che vediamo giornalmente sui quotidiani sulla Cina e sul Tibet sono violenze perpetrate sull’anima mundi che soffre sempre più della follia dell’uomo. Non riesce più ad essere né tollerante né lontano dall’imposizione del suo pensiero sui suoi simili, e lo fa con la forza, generando catene di orrori. Cartesio dall’aldilà sta iniziando ad imprecare con il suo cogito ergo sum, non riuscendo davvero a comprendere come mai per un pugno di dollari la parte privilegiata del cervello non è più disposta ad ospitare l’anima ed il suoi doveri.
Per sdrammatizzare la serietà dei nostri discorsi vi passo una barzelletta che ho appena ricevuto da una mia amica.
‘La moglie obbediente ‘
C’era un uomo che aveva lavorato tutta la vita,
aveva risparmiato tutti i suoi soldi, e quando si trattava di spenderli
era un vero avaro.
Poco prima di morire, disse alla moglie…. ‘quando muoio, voglio che tu prenda
tutti i miei soldi e li metta nella bara con me.
Me li voglio portare con me nell’ aldilà.
E così si fece promettere con tutto il cuore dalla moglie,
che quando sarebbe morto lei avrebbe messo tutti i suoi soldi
nella cassa con lui.
Beh, poi morì.
Al funerale, era steso nella bara con vicino la moglie, vestita di nero,
seduta affianco alla sua migliore amica. Quando fu finita la cerimonia, e si preparavano a chiudere la bara, la moglie disse,
‘Aspettate un momento!’
Aveva una piccola scatola di metallo;
si avvicinò con la scatola e la mise nella cassa.
Chiusero la bara e la portarono via. E quindi la sua amica le disse,
‘Ragazza, sapevo che non eri così tonta da mettere tutto quel denaro
la dentro con tuo marito.
La mogie fedele rispose,
Senti, io sono una persona credente; non posso tornare sulle mie parole.
Gli ho promesso che avrei messo quei soldi nella bara con lui.’
Vuoi dire che hai messo tutto quel denaro li dentro con lui!?!?!?
‘Certo che l’ ho fatto, disse la moglie. L’ ho preso tutto, l’ ho messo sul mio conto,
e gli ho fatto un assegno……. Se riesce a incassarlo se li può spendere tutti.
Caro Gaetano Failla,
la politica ha gia’ tanti spazi di discussione, in Italia, tantissimi e dovunque. Questo di Letteratitudine e’ invece un piccolo spazio per parlare direttamente dei problemi di fondo anche senza tirarne in ballo gli aspetti politici. Perche’, se e’ vero che ”tutto e’ politica”, e’ vero anche che ”la politica non e’ tutto”. E a me Letteratitudine piace cosi’: ci si confronta, si discute, si cerca, da Italiani, da amanti delle arti, da persone sensibili, di affrontare temi e argomenti eterni – quali la solitudine, la vecchiaia, la speranza, il senso della vita, ecc. – in riferimento al mondo dell’editoria italiana e dintorni.
Te lo dice uno che propone anche cose pratiche e scomode.
Ciao, caro
Sergio Sozi
P.S.
Lo dico soprattutto sapendo che partendo dal parlare di questioni ”politiche” in Italia si finisce purtroppo obbligatoriamente a parlare di ”partitico”. E questo non serve. A me, perlomeno, non serve.
P.P.S.
Ti faccio un esempio personale. Una persona che conosco per questioni di ordine letterario, qualche giorno prima delle Elezioni mi ha inviato una lettera elettronica chiedendomi il voto per un suo compagno di partito ed indirettamente per lei stessa che si candidava in quel partito. Ora: quella persona non lo sa, ma io ho votato da sempre il suo schieramento e cosi’ ho fatto anche nel 2008. Pero’ le ho risposto in maniera infastidita, anche se educata, chiedendole di parlare con me di cose letterarie e non partitiche. Non doveva permettersi, penso tutt’ora, quel gesto. Abbiamo litigato e non ci parliamo piu’. Meglio cosi’. Pero’ se avesse evitato di chiedermi il voto saremmo ancora in contatto (anche se lei aveva dei rancori diversi nei miei confronti, dipendenti da cose non politiche, senza quella richiesta di appoggio politico non saremmo giunti alla rottura definitiva.).
(Naturalmente, Gaetano, non vorrei esser frainteso: mica sto dicendo che tu vuoi parlare di questioni partitiche… dico solo che, secondo me, e’ meglio evitare queste discussioni elettorali per evitare delle inevitabili divisioni, che sorgono spontanee quando si trascende un concetto e si finisce nel partitico, come sempre capita iniziando dal ”politico”. Purtroppo e’ cosi’. Io vorrei tanto parlare di politica senza finire a scontrarmi col partitico, ma in Italia cio’ non e’ permesso dalla mentalita’ attuale. E dopo si litiga, cosa brutta, orrenda. Meglio evitare dal principio certe scintille.)
Caro Sergio,
ti ringrazio per lo scambio di opinioni. Sono d’accordo con te. A me basta questo semplice contatto. Sapere che comunque tra di noi si è consapevoli della delicatezza della “questione politica”. Ti scrivo un po’ di fretta, tra poco sono in partenza per Firenze: parteciperò ad un incontro pubblico, organizzato da Fara Editore, nella splendida abbazia di San Miniato al Monte. Tema: “Lo spirito della poesia”. Ci saranno circa venticinque poeti da tutta Italia. Mi pare di ricordare che tu vivi in Slovenia (spero di non fare confusione…). Peccato, se abitavi dalle parti di Firenze sarebbe stata una bella occasione per conoscersi. Ti mando un abbraccio,
Gaetano
Buona giornata e buon sabato a tutti.
E grazie, come sempre, per i vostri commenti.
(Off topic)
@ Subhaga Gaetano Failla
Caro Gaetano, Sergio in certo senso ha anticipato la mia risposta. Ero stato tentato di aprire un post sui risultati elettorali (i commenti sarebbero fioccati, figurati). Se non l’ho fatto è per la consapevolezza che c’erano già abbondati spazi – giustamente, direi – in rete e furoi rete dedicati all’argomento.
E poi Letteratitudine è un blog letterario. A me, tuttavia, piace trattare argomenti di attualità (anche scottanti), ma preferisco farlo prendendo spunto da libri (come ho fatto in questo post) o da questioni letterarie.
Del resto, all’interno di questo blog, esiste un luogo aperto e libero – “La camera accanto” – dove si può parlare di tutto.
Per cui l’argomento che tu proponi potremmo discuterlo lì: cosa che ti invito a fare al tuo rientro da Firenze.
Quindi ti faccio una domanda:
Perché “dal 14 aprile, a tuo sofferto parere, la bellezza in Italia è maggiormente disprezzata”?
Ti prego di rispondere qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/04/la-camera-accanto-3%c2%b0-appuntamento/
@ Enrico
Hai scritto: “Comprendo perfettamente la tendenza di massimo a “provocare” dibattiti che vanno al di là di un libro anche se da esso prendono spunto. A volte, però, ho l’impressione che si debordi un po’ troppo sul sociale e/o sul politico.”
–
A me il fatto che si debordi un po’ troppo sul sociale e/o sul politico non disturba più di tanto, purché sia attinente con il tema del post (anche perché i libri, e la nostra vita, non possono essere avulsi dalla società e dalla politica).
Provo invece fastidio quando qualcuno prova a strumentalizzare il post per propri fini o per farsi pubblicità o promuovere libri propri o di altri (che non hanno nulla a che vedere con l’argomento trattato) infischiandosene del fatto che all’interno di questo sito esistono spazi appositi dedicati a:
– Presentazione di libri ed eventi
– Iperspazio creativo (dove autopubblicare poesie, racconti ecc.)
– La camera accanto (dove poter discutere di qualunque argomento o fare semplicemente due chiacchiere in leggerezza).
Per fortuna accade di rado.
Grazie comunque per aver esposto il tuo punto di vista, Enrico (che come sai tengo sempre in grande considerazione)
La solidarietà è tutto, così anche, e specialmente, tra i giovani e i vecchi.
Come sia facile di credere di essere sufficienti a sé stessi
e alla fine dover sopperire per la propria ignoranza, ovvero la necessità della solidarietà con gli altri, ovvero i pericoli che si ignorano nel credo che possano colpire solo gli altri, ma che infine colpiscono anche noi.
L’episodio si avvera in una cascina di campagna, là dove la natura detta ancora le sue leggi e tutti gli esseri conservano, forse per questo, una mente ristretta.
Un topolino cauto ed attento scopre sul suo percorso giornaliero una trappola. Che cosa deve pensare, se non che l’uomo, suo nemico, gliela abbia posta, perché preso dal timore che un piccolo topolino gli potesse rovinare la sua esistenza.
Cosciente delle sue incapacità di difendersi da solo e del pericolo che potrebbe sorgere anche per gli altri animali, il topolino cerca di avvisarli e di essere aiutato.
Per prima, si reca dal gallo avvertendolo dell’insidia. Il gallo non esita a rispondere che la trappola non lo riguarda, dato che l’uomo gli ha affidato altri compiti e di certo non vorrebbe mai la sua fine.
Deluso, ma non sconfitto, si reca dal maiale che proprio in quel momento era intento a leccare i resti di una zuppa da una ciotola appena offertagli dall’uomo, suo custode e amico.
Caro amico gli sussurra il maiale, ora ho ben altro da fare, come vedi, lasciami in pace con le tue richieste fasulle.
Che cosa fare, pensa il topolino? Forse il coniglio capisce la mia situazione ed è disposto ad aiutarmi.
Si reca, quindi, dalla conigliera, dove una famiglia già numerosa di conigli è intenta a biascicare l’erba e pensa solo alla sua prolificazione.
Il coniglio non tarda a rispondergli che è contento della vita che conduce e una migliore non possa esistere per lui e i suoi.
Che mondo è questo, si domanda, è possibile che nessuno si accorga di essere mantenuto dall’uomo al solo scopo di servire al suo nutrimento?
Un bagliore di speranza sorge nel topolino, al pensiero che la mucca forse potrebbe reagire diversamente, e si reca quindi nella stalla dove una mucca appena munta sta godendo il meritato riposo della sera.
Una trappola, dici tu, ma hai mai visto una mucca morire perché presa da una trappola per topi?
Senza speranza, e disfatto dall’egoismo ed ignoranza degli altri, il topolino si reca in casa e si nasconde nel suo buco, dove per tutta la notte non riesce a chiudere un occhio per la paura di essere scoperto.
Ora, accade che la moglie del contadino, richiamata da rumori dal fuori, si alzi e si rechi nel cortile, già pensando di trovare il topolino morto nella trappola.
Nell’oscurità, non si accorge di un serpente velenoso, preso dai morsi della trappola solo alla coda. Viene morsicata e ricoverata urgentemente all’ospedale.
Il contadino, ben sapendo dai suoi antenati che un brodo fresco di carne di pollo sia la migliore medicina contro il veleno, sgozza il gallo e lo cuoce in una pentola che mette sul fornello.
Dopo, consegna la mucca alla macelleria per saldare il conto dell’ospedale e dei medicamenti e sgozza i conigli e il maiale per saziare i vicini e ringraziarli della loro premurosità e solidarietà mostrata verso la moglie infortunata.
Qui finisce il racconto che c’insegna quanto valore abbia la solidarietà tra tutti gli esseri di questo mondo.
La sua mancanza può causare la sfortuna anche di quelli che per egoismo e presuntuosità si credono esenti da un destino crudele e pensano che possa colpire solo gli altri.
Trasmesso nella nostra realtà, significa che dovremmo smetterla di credere di essere sempre i fortunati e occuparci meglio degli altri che non lo siano, affinché un giorno non più lontano non ricada anche su di noi.
L’economia dell’utile senza limite, della tecnica sempre più avanzata e dominante ogni aspetto della vita umana blocca la spiritualità dell’anima, l’unica forza capace di fronteggiare l’eccessivo materialismo distruggente.
La materia, così come la percepiamo, è composta di almeno due forme d’energia.
L’una è solida come il fisico, gli elementi, il denaro che vediamo e tocchiamo e l’altra la spirituale (forza della sopravvivenza che ci sprona a superare le difficoltà innate in noi ed esistenti nella nostra dimensione) il cui compito è di non lasciarci distruggere dalla prima. È nostro compito mantenere l’equilibrio tra loro, per il nostro bene.
Non possiamo dividerle e neppure escluderne anche una sola, perché sono un’entità che noi nella nostra limitatezza assumiamo divise e contrapposte.
Questo racconto l’ho letto in una rivista, ma per il suo contenuto potrebbe essere anche il mio. Nel tradurlo, ho seguito il mio gusto di vedere e considerare gli avvenimenti ed ho aggiunto i miei commenti, relativi al tema trattante.
Generalmente, si crede più facilmente a quelli che hanno un nome famoso, che impone suggestione e rispetto, e s’ignora che tanti la pensano nella stessa maniera.
Saluti,
Lorenzo
1. E’ ormai così pienamente diffuso l’uso della violenza, senza il quale sembra non sia più possibile ripristinare la giustizia?
Vogliono farcelo credere. I vari Terminator di turno, le forze di pace, la guerra preventiva… tutti ossimori evidenti.
Chi di spada ferisce, di spada perirà. Quando Pietro taglia l’orecchio a Malco, il servitore che faceva parte della cricca mandata per arrestare Gesù, questi risponde guarendo Malco e dissuadendo i discepoli dal combattere. Chi ricorda la gang degli arrestanti? Violenza e sopraffazione sono state le costanti della storia di regni e imperi e materia quotidiana dei rapporti umani. Ma è vero che le rivoluzioni violente hanno risolto le precedenti condizioni di ingiustizia? O pittusto non ne hanno imposte di nuove?
–
2. E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia?
Apparentemente sì. Ma una giustizia imposta con la violenza si traduce in atto ingiusto. Filosoficamente? No, anche concretamente. Continuo a pensare che il mondo viene e sarà salvato dagli umili, dai silenziosi, da chi ama lotta soffre lavora senza sopraffare gli altri.
–
3. E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
Vorrei crederlo. Ma quando penso alla pedofilia, alla carne dei bambini che ha meno valore della carta su cui vengono stampati certi abomini, mi vien da pensare di no. Quando buttiamo il cibo e ci commuoviamo per i bimbi africani. Quando lottiamo contro la vivisezione – giustamente – e poi ineggiamo all’aborto come simbolo di libertà. Quando i vecchi vengono parcheggiati a luglio ed agosto negli ospedali con la complicità lautamente pagata di medici caposala e a volte anche infermieri da figli che devono godersi le necessarie vacanze…
–
4. Le società di oggi sono più violente di quelle di ieri?
Sono cambiati i mezzi. Oggi con pochi milligrammi di sostanze radioattive nascoste in uno zainetto lasciato su un metrò New York potrebbe scomparire nel tempo occorrente a leggere questa frase.
–
5. E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?
Credo proprio di no. La civiltà di un paese si misura dal’attenzione dedicata alle fasce più deboli. I bambini vengono ritenuti degli intrusi in una società basata sul rampantismo ad oltranza, madri lavoratrici devono inventarsi esercizi di giocoleria per poter fare fronte a casa lavoro figli senza la benché minima assistenza da parte dello Stato, le casalinghe sono ritenute non produttive mentre se scioperassero per una settimana l’Italia finirebe a ramengo. Altro che metalmeccanici!
Essere vecchi in una società dove la cultura dell’anziano non è più consederata radice fondante ma superata arretratezza, in cui saper usare il computer è più importante che sedersi col nonno ad ascoltare una fiaba o un proverbio popolare… non è facile. Gli anziani sono proprio spaesati, si sentono fuori posto in un mondo che non li vuole perché ha fretta, avanti un altro… la canzone di Renato Zero, “Vecchio”, scritta dalla bravissima Mariella Nava, mi sembra che esemplifichi benissimo il senso di questo nostro dibattere.
Caro Massimo, grazie per la risposta. Per me possiamo buttarla in politica anche in un post comparativo tra le frittelle di riso e il panettone. Probabilmente scopriremo che esistono dolci di destra e dolci di sinistra. A naso sembra di destra il panettone perché è milanese come berlusconi. Poi ci sarà un dolce di sinistra, bolognese come il compagno Prodi. Uomo di sinistra di fronte al quale Gramsci, Amendola, Pajetta, Berlinguer e Ingrao si devono genuflettere.
Onestamente non so quanta politica avesse nella testa Cormac McCarthy quando ha scritto il suo romanzo. Forse potrebbe aiutarci quello che dichiarò in una delle sue rarissime interviste concessa dopo l’uscita de “La strada”. Ne riporto qui (inutilmente) un estratto.
“Circa quattro anni fa sono andato a El Paso con mio figlio John. Abbiamo preso una stanza nel vecchio albergo della città. Una notte, saranno state le due o le tre del mattino, mentre mio figlio dormiva, mi sono messo a guardare fuori dalla finestra e a osservare questa città: non si muoveva nulla e si sentiva in lontananza il solitario suono dei treni che arrivavano e ripartivano. Improvvisamente si è formata l’immagine di come potrebbe apparire questa città fra 50 o 100 cento anni. Mi è venuta quest’immagine di fuochi sulle colline e di una distruzione assoluta, e ho iniziato a pensare al mio piccolo bambino. Così mi sono messo a scrivere qualche pagina e tutto è finito lì. Poi, circa quattro anni dopo, in Irlanda, una mattina mi sono svegliato e mi sono accorto che non erano semplicemente alcune pagine di appunti. Erano un libro. E questo libro parlava di quell’uomo e quel bambino. Penso che dopo l’11 settembre la gente sia più preoccupata dai temi apocalittici. La vita è bella anche quando sembra brutta. E dovremmo apprezzarla di più. Dovremmo essere riconoscenti. Non so a chi, ma dobbiamo essere riconoscenti per ciò che abbiamo”.
Enrico, a me non interessa affatto buttarla in politica. Tanto è vero che ho deviato l’input di Gaetano Failla ne “La camera accanto” (anche perché se qualcuno ha voglia di parlare di politica lì può farlo tranquillamente).
Qui stiamo parlando di un libro e di un film. E di argomenti ad essi connessi, dando così la possibilità di intervenire anche a chi non ha visto il film o letto il libro.
–
Tu scrivi: “Onestamente non so quanta politica avesse nella testa Cormac McCarthy quando ha scritto il suo romanzo.”
– Io non so se quando ha scritto questo romanzo Cormac McCarthy avesse in testa politica, un piatto di melanzane, una palla da baseball, Marilyn Monroe con la gonna sollevata, o una barzelletta di Groucho Marx (probabilmente ognuna di queste cose potrebbero essere etichettate come di destra o di sinistra… però le gambe di Marilyn, secondo me sono di centro 🙂 ).
Di certo aveva una storia da raccontare e di questa parliamo. E degli argomenti che questa storia richiama o evoca.
Cercando, possibilmente, questo sì, di trasbordare il meno possibile.
Grazie a te.
Non ho letto il ilbro e non so nemmeno se lo farò.
Ho letto però il commento di Laura Costantini e sono rimasta di sasso: lo avrei potuto scrivere io parola per parola. Laura sottoscrivo assolutamente tutto, purtroppo …
Abbracci
Fausta
non ho letto il libro nè ho visto il film, rispondo alle domande che pone Massimo: 1) E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia? bisognerebbe partire da molto lontano per poter credere nella giustizia italiana, bisognerebbe partire dalle stragi a fare giustizia.
2) E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
E’ questa una domanda talmente complessa perchè implica l’analisi di tutti i campi della vita odierna, partendo dal lavoro, il precariato per dire rende ricattabili: “se non fai questo, se non lavori tot ore, se… ti licenzio” finendo sulla questione degli anziani, perchè questo Paese è vecchio ma i suoi vecchi li rinchiude nei recinti degli ospizi o affidandoli alle badanti (e meno male che ci sono!!!). Un tempo l’anziano era il saggio oggi è considerato un peso perchè fuori dalla produttività.
Penso che la causa di tanta violenza e la mancanza di dignità è strettamente legata al nostro modo di vivere sempre di corsa, sempre in affanno determinato dal continuo aumento dei bisogni, bisogni che si concretizzano nelle cose da possedere. E la televisione non fa che accrescerli e per essere bisogna avere e non il contrario. Ciao Lucia
Io ho letto il libro durante un viaggio in treno, e l’ho terminato prima di arrivare a destinazione. Al ritorno ho letto “La strada” ed è successa la stessa cosa. Invece non ho visto il film, perchè, per una serie di motivi, non vado mai al cinema. Aspetto che i film approdino in tv, dopo un paio di anni.
Entrambi i libri si sono fatti decisamente leggere, ma non mi hanno lasciato il segno. Mi hanno tenuta incatenata per scoprire il finale, ma anche perchè il paesaggio, fuori dal finestrino, lo conoscevo a memoria e non avevo altro da fare. Tra i due ho preferito “La strada”, anche se l’atmosfera angosciante mi stava ammazzando di sconforto, e anche se il finale era un po’ scontato.
Diciamo che li ho apprezzati entrambi, ma non ho gridato al capolavoro. Forse perchè non amo molto il genere, e nemmeno le scene di violenza. Inoltre i dialoghi di quel genere mi stancano, li trovo noiosi. Però si tratterà certo di gusti personali, non dico di no.
Questo sulla letteratura.
Il discorso sociale prevede spazi molto ampi, e qui si è già detto di tutto.
No, l’Italia non è un paese per vecchi, non ancora.
Siamo una generazione, quella dei quaranta-cinquantenni, che si ritrova ad accudire genitori anziani dalle pluripatologie, i quali sopravvivono fino ad età incredibili, ma con una serie di acciacchi che è difficile gestire per i familiari.
Nè si hanno degli aiuti, perchè la società ti costringe a lavorare fino a che sarai tu l’anziano… e non c’è modo di restare a casa ad accudire i vecchi.
C’è, qua e là, qualche piccola agevolazione, un assegno di cura (mia suocera per il marito invalido, allettato e demente prenderà forse 250 euro, che ancora non ha visto, e 400 circa è la pensione di invalidità). Ma una badante o una casa di riposo costano molto di più, e costano tanto anche molte delle medicine che lui è costretto ad assumere, e pure l’assistenza domiciliare per le cure igieniche quotidiane (domenica esclusa), e quindi noi familiari ci diamo i turni per aiutare la moglie. Con notevole stress per tutti, perchè dobbiamo lavorare, e il tempo per noi, per la nostra vita privata, si azzera.
Non è un paese per vecchi, perchè non si è ancora capito che presto i vecchi saremo noi, con a carico vecchi ancora più vecchi e problematici. Al momento quello che c’è in giro reca sollievi minimi, e gestirsi da soli è difficoltoso. E come si fa? Il medico di base dice che si tratta di un problema sociale e non viene nemmeno a vederlo, il povero vecchio, se non c’è un problema acuto. Ma con persone così, e sono tantissime, i problemi sono all’ordine del giorno, di salute, di gestione, di sopravvivenza!!
C’è una soluzione? Non lo so. Non credo immediata. Secondo me si dovrebbero moltiplicare le strutture di ricovero, rendendole più accessibili economicamente, e fornendole di personale preparato (e non quattro operatrici straniere che nemmeno riescono a comunicare con i nonni). Bisognerebbe inoltre agevolare l’assistenza domiciliare, che è sempre la più gradita, fornendo personale di assistenza, stipendiati dallo stato, che si alternino 24 ore su 24. E anche medici e infermieri e fisioterapisti, che periodicamente senza che bisogna pregarli!, passino a valutare le condizioni dei nonni, e psicologi per sostegno ai familiari dove le situazioni sono peggiori.
Sono utopie, le mie? Forse, ma se vogliamo che non lo siano, dobbiamo cominciare a darci da fare. Prima che diventiamo troppo vecchi.
Scusate lo sfogo e la lunghezza.
Approvo al cento per cento quanto detto da Maria Lucia, consigliandole, se non lo sapesse gia’, che anche il filosofo Umberto Galimberti la pensa come lei sui ”vecchi”. Io invece, che filosofo non sono, dico che le persone con le quali mi trovo meglio sono – in genere, certo, non sempre – i bambini ed i vecchi. La gente della mia generazione o i giovani… come dire… invece…
Erratum corrige
ho iniziato scrivendo ”consigliandole” e poi mi sono perso. Ecco: consigliando a Maria Lucia il seguente link per sapere come la pensi Galimberti sulla vecchiaia:
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/011016a.htm
Ciao, Maria Lucia
P.S.
Naturalmente ci sono alcune differenze tra come la vedi tu e come la vede l’illustre filosofo della Storia e studioso di psicanalisi. Ma il quadro risponde appieno.
L’oscar per un film è spesso un limite , nel senso che lo spettatore si aspetta un capolavoro.Il film dei fratelli Coen “ Non è un paese per vecchi “ è molto di più: raffinato, anomalo , difficile.
Llewelyn Moss trova, in una zona desertica, un camioncino circondato da cadaveri. Il carico è di eroina e in una valigetta ci sono due milioni di dollari. Llewelyn è una persona onesta ma quel denaro lo tenta troppo. Decide di tenerselo .Inizia la fuga di Moss con quella simbolica valigetta,e una serie di eventi a catena che non si fermano più. Moss ha alle calcagna un misterioso e sanguinario inseguitore, il classico serial killer psicopatico , e non manca la figura dello sceriffo che , però , non riesce a fermare quella scia di sangue. In un solo film ci sono tutti gli elementi del western ; gli spazi, le pistole, le inquadrature dei morti nella polvere , e del trhiller ; il sangue , la tensione .Il richiamo a Tarantino è scontato , ma qui i personaggi sono diversi , mancano di ironia e piuttosto sottolineano un “ male di vivere” tutto contemporaneo. Indimenticabile la scena del serial killer con il commesso dell’emporio ; paura , tensione e imprevedibilità ; il commesso, infatti , è l’unico ad essere risparmiato dalla furia omicida perché rispetto alle altre vittime ascolta con pazienza l’assassino
Il luogo dell’azione è la frontiera messicana, uno sfondo ambiguo, senza identità ; insomma siamo ai confini di un grande paese ma anche ai confini dell’umanità.
graziella mazzoni
http://www.graziellamazzoni2.blogspot.com
Riscrivo l’indirizzo del mio blog a cui tengo molto. Per noi campani, scrivere , e cercare di restare fuori all’orrore della nostra realtà è rimasta la nostra unica speranza.
Saluti al sig maugeri al quale chiedo scusa per aver aggiunto, in questo spazio, una nota poco attinente all’argomento.
http://www.graziellamazzoni2.blogspot.com
Buona giornata e buona domenica.
Vi ringrazio per i nuovi commenti.
Saluti speciali a Lucia, Ramona e Graziella. È la prima volta che intervenite?
Benvenute a Letteratitudine!
Purtroppo il tema sulla violenza è quanto mai acceso e attuale, soprattutto dopo i fatti di ieri (di Roma e Milano). Ne avrete sicuramente sentito parlare:
http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/cronaca/violentata-studentessa/reazioni-studentessa/reazioni-studentessa.html
La speranza, ovviamente, è che si possa lavorare per trovare soluzioni senza strumentalizzazioni di sorta… da una parte e dall’altra.
Intervengo brevemente per fare i miei complimenti a Graziella Mazzoni per la sua bella recensione al film, che ho apprezzato per sintesi e completezza di giudizi e sensazioni. Mi riprometto di visitare il suo blog. E le domando perché non si mette a scrivere anche lei recensioni a film. O lo fa già?
Un saluto a tutti.
Gabriele.
Io credo che un paese, una civiltà, dovrebbero costruire e difendere un’etica dei comportamenti a monte delle leggi, che dovrebbero solo garantire tutti di fronte a chi non segue i principi comuni condivisi, e chiarire i casi dubbi e controversi.
La legge non avrebbe bisogno di imporsi con la forza se non di fronte a situazioni limite.
Utopie.
L’Italia no, non è un paese per vecchi, se non quelli facoltosi e con una parvenza di autosufficienza, o per i nostri politici. Vale anche per l’America. Nel terzo mondo poi alla vecchiaia non ci si arriva neanche e il problema non esiste. Il mondo di oggi non è un paese per vecchi.
Bravo, Carlo S(peranza), firmo e controfirmo! Un Paese dove doveri e diritti (entrambi elementari) hanno bisogno di lotte all’ultimo sangue per ottenere leggi specifiche a riguardo dimostra di possedere una debolezza strutturale etico-morale. E denota una strana condizione: quella in cui, senza il cerbero della legge a vigilare, i piu’ forti distruggerebbero senza dubbio i piu’ deboli. Dunque ecco l’anomalia italiana: le leggi nascono non dalle consuetudini precedenti e condivise, ma dalle minoranze di legislatori ed intellettuali.
Grazie a Gabriele, mi ha gratificato molto il tuo commento.
graziella
Che cos’è la vita, se non un’occasione di mostrare la propria abilità, quella innata e quella acquisita.
Ognuno, alla sua maniera e uguale di quale età, può dimostrarla: il bambino, l’adolescente, l’adulto e alla fine anche l’anziano.
La discussione sulla cura perpetua dei vecchi sarebbe, a mio parere, fuori luogo, quando il vecchio dimostrasse di aver imparato abbastanza dalla sua esistenza, e di aver dato anche abbastanza, da potersene andare via liberamente e in tranquillità.
Il mio pensiero si regge sul senso della vita; chi l’ha vissuta per un senso che superi la transizione terrena, non avrà difficoltà a lasciarla.
Mi riferisco, naturalmente, ai vecchi che vivono in condizione di disagio fisico assoluto, e solo grazie agli strumenti e metodi della medicina avanzata.
Questo non è un vivere; diventa inoltre un peso eccessivo per i famigliari e i vicini.
In un paese con una presenza numerica eccessiva di vecchi disabili, diventa impossibile assicurare loro un prolungamento della vita, che poi, come ho espresso sopra, non lo è più.
La vita stessa richiede, in ogni sua fase, molto di tutto: coraggio, temperanza, disposizione a scoprirla e farla propria, e chi l’ha capito non temerà più tanto la sua ultima mutazione.
I rimanenti devono imparare a prendere commiato dalla persona scomparsa, ma non persa del tutto, giacché, secondo delle impronte lasciate da lei, rimarrà sempre presente nei loro ricordi.
Gioia, tristezza, piacere, dolore, sofferenza, sollievo, solitudine, compagnia, nostalgia sono le forme percettive del nostro vivere, sono inoltre incentivi per valutare l’esistenza nel suo vero valore, quello di un’apparizione temporanea per svolgere un qualcosa che serva al compimento di un piano complessivo del Creato, e nello stesso tempo di procurarci le forze e convinzioni necessarie a stabilire in noi un equilibrio.
Noto, che nei paesi con un’alta percentuale di giovani, i vecchi sono sopportati meglio, sono venerati per i segni della vita vissuta, che traspaiono dai loro volti.
Sembra, che in questi paesi la vita detti ancora le sue leggi naturali, mentre negli altri paesi, e qui conto anche l’Italia, sono state distorte con l’intento di eliminare le loro forme spiacevoli e maligne; fatto non possibile; la vita sta sopra di noi e non è mutabile nelle sue forme, se non mutando l’intero ingegno che la regge.
Saluti,
Lorenzo
questo post mi sta rendendo tristissima; eppure il libro di Mc Carthy, che ho appena iniziato, offre (pagine in corsivo) grandi spunti… torno al “contrabbando delle nocciole” e al Power point che sto realizzando.
penso che acquisterò un’arma e ai primi sintomi di cedimento tremendo porrò fine al mio passaggio terreno, non senza salutare gli amici.
…buonadomenica….
🙂
Caro Massimo, pur non avendo letto il libro partecipo volentieri al dibattito raccontando a tutti un piccolo episodio.
recentemente ho partecipato ad un concorso letterario, a tema libero, bandito dall’azienda trasporti su gomma della mia regione (Campania).
Tutti i racconti possono essere letti sul sito web dell’ente; ovviamente per curiosità ho dato loro una sbriciatina e quello che più mi ha colpito è il fatto che la maggior parte di essi ha come tema la violenza sui mezzi pubblici: scippi, rapine, coltellate, risse e scazzottate, di tutto e di più insomma…e sullo sfondo c’è sempre la munnezza, immancabile!
Da un lato leggendo è impossibile non percepire il senso di angoscia e di disagio che gli scritti trasmettono, dall’altro è impressionante riflettere sull’assuefazione alla violenza, tale da diventare quotidiana e tale da invadere anche le pagine di chi ama la scrittura mettendosi in gioco.
un saluto a tutti!
Miriam, non ci lasciare!
🙂
Almeno fino al 26…
Grazie Sergio per il suggerimento…
Leucosia, è vero. Quando un tema entra nella letteratura vuol dire che è stato introiettato dall’immaginario, dall’inconscio.
grazie per questo post.è raro trovare in rete la possibilità di approfondire argomenti importanti come questi ,molto bello leggervi
Mi fa piacere che anche Sergio sia d’accordo con me. E dirò ancora che un paese con un elevatissimo numero di leggi in vigore denota proprio la debolezza della sua società ed il bisogno continuo di legiferare un reale stato di incertezza del diritto.
L’Italia, almeno in confronto agli altri stati europei (quelli in Europa da più lunga data almeno: Francia, Gemania,Gran Bretagna, Olanda…) per norme in vigore è da record, se non mi sbaglio.
Mi piacerebbe avere dei dati più approfonditi a livello mondiale per tirare delle conclusioni, ed il parere di un uomo o donna di legge.
Simona ci sei?
torno al film. nessuno è felice, o anche solo contento, nel paese che non è per vecchi. la vita è affidata al caso e la violenza è solo un modo tragicomico di reagire, senza speranze.
Miriam, mi dispiace, se la tristezza ti avesse preso nella lettura del mio intervento.
Invito gli interessati a leggerla con attenzione e senso profondo di riflessione.
IO amo la vita, ma non vorrei viverla in uno stato di grave mancanza fisica e soprattutto mentale. La vita va affrontata con tutte le forze che riusciamo a scoprire in noi, affermo scoprire, perché molte rimangono sconosciute, per mancanza d’interesse, volontà, coraggio ed altro.
Non sono contro di lei, e per questo capisco che va affrontata, alla scoperta del nostro inconscio, nel quale credo di trovare la mia natura e le forze necessarie.
Saluti
Lorenzo
Mi dispiace, che tu non sia più aperta verso di me, come hai fatto all’inizio.
Se avessi mancato di garbo, cosa che non vorrei mai fare, ti prego di accettare le mie scuse.
Ti allego una mia poesia intitolata:
Il flusso e il senso della vita: il bambino strillava e piangeva forse non voleva mai
vivere questa vita. Forse preferiva rimanere nel grembo della mamma al riparo dei pericoli che già prevedeva. Il ragazzo invece esultava alla sua vita. La vedeva bella e degna di volerla tentare. Nessun pericolo lo turbava solo bramosia di cercare la fortuna certo che infine l’avrebbe trovata. L’adulto vive la sua vita cercando di uscirne illeso ben sapendo dei dolori e delle sofferenze ma anche delle gioie intense e brevi che avrebbe anche trovato. Preso dal profitto dimentica i suoi vicini preso dalla fama dimentica di cercare il senso vero della sua esistenza. Come capire che solo
nella semplicità del possedere nulla può possedere tutto quanto la fantasia possa offrirgli. L’anziano che ha cercato e tra i desideri e la rinuncia trovato l’armonia non si sente né anziano né adulto né bambino. La natura l’ha premiato e vive la sua vita fino alla fine come allora nel grembo della mamma
dove sapeva di essere al sicuro perché protetto. L’anziano che non ha cercato e quindi nulla ha trovato temerà la fine perché simile all’inizio quando piangeva e invano implorava di rimanere nell’anticamera dei sensi che ti fanno provare gioia ma anche dolore. Sono riservati solo ai coraggiosi e capaci di affrontare l’impresa che unisce l’inizio con la fine senza il senso dello spazio e del tempo nel quale palpitare e tremare nell’attendere e nel vedere sfuggire il proprio “IO” che superbo e malvagio non è in grado di apprendere il senso vero dell’esistenza vuoto nella logica della ragione ma colmo nelle espressioni dell’animo ispirato dallo spirito. Lorenzo Russo Gänserndorf, 26.03.05
In finale, sento (non ”penso” ma ”sento”) che quel che manca in Italia e’ l’amore per qualsiasi persona viva, di qualsiasi eta’, condizione sociale, religione o sesso.
Se avessimo questo amore, le sottoquestioni (vecchi, natalita’, aborto, divorzio, lavoro, disoccupazione, ecc.) verrebbero almeno ridimensionate nella loro importanza da questo sentire comune, da questo giusto ossequio basilare per la persona viva. Un sentimento che molti, sotto sotto, non hanno. Cosi’ bisogna andar a fare le lotte specifiche, le leggi specifiche, eccetera. E’ un vuoto morale e soprattutto un vuoto SENTIMENTALE che, pero’, non si supera con i ”tecnicismi” legislativi, i legulei o i deputatucci, i comitati popolari o i Partiti, i movimenti eccetera. No, no: e’ questione di ”educazione sentimentale”. Che non c’e’. In Italia. Non c’e’ e basta, ora.
P.S.
Questo amore indiscriminato e prezioso venne sancito dalla nostra Costituzione: o una grande falsificazione dell’indole italiana o il segno tangibile che in sessanta anni noi Italiani ci siamo stravolti i connotati, diventando le ”misere cose” che oggi siamo.
Carlo S.,
oltre a quanto abbiam detto, va anche precisato un fatto importante: che, oltre ad essere troppe, le nostre leggi non sono note a NESSUN CITTADINO NORMALE. Le sanno solo gli specialisti (giudici, avvocati, notai, deputati).
Ora, dimmi se sparo una fesseria: un Paese civile fa le leggi usando si’ il linguaggio giuridico, MA POI dopo ne fa degli estratti, dei sunti rispettosi che divulga in ogni modo per portare i cittadini a conoscenza delle leggi.
Figurati, Carlo, parlo di cose inimmaginabili, da noi…
A stringere ancor di piu’:
ognuno per se’ e Dio per tutti e’ l’abominevole detto che potrebbe essere il succo dell’Italianita’ attuale. Medioevo. Peggio, anzi.
… lo vedi questo detto, se solo provi a portare avanti qualcosa per te e per gli altri: se ne fregano e ti trattano pure da co******. Aiutati che Dio ti aiuta. Allora.
@ Carlo S.
Hai scritto:
“Un paese con un elevatissimo numero di leggi in vigore denota proprio la debolezza della sua società ed il bisogno continuo di legiferare un reale stato di incertezza del diritto.
L’Italia, almeno in confronto agli altri stati europei (quelli in Europa da più lunga data almeno: Francia, Gemania,Gran Bretagna, Olanda…) per norme in vigore è da record, se non mi sbaglio”.
–
Sono d’accordo con te, Carlo. Ma solo in parte.
Tra “molte” leggi e “poche” leggi, preferisco leggi “giuste” e “utili”.
Perdona il giochetto, ciò che voglio dire e che è vero che una maggior diffusione di educazione e amore non potrebbero che migliorare la società. E’ ovvio che sia così. L’ottimo, l’ideale, sarebbe una società che si autogoverni nell’amore e nella “messa in comune” (come accadeva per i primi cristiani).
Purtroppo, però, viviamo in una società che ci appare sempre più violenta e sempre più vecchia. Io credo sia compito di ciascuno di noi, nel nostro piccolo, e senza essere eroi, contribuire a migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda. Ma i grandi “processi” non possono che essere governati dalla Politica (la buona politica, quella con la p maiuscola). Spetta a questa Politica fare leggi “giuste” e “utili”.
Quando sul post scrivevo che l’Italia è un paese di vecchi mi riferivo ai dati statistici in base ai quali il nostro è il paese (o uno dei paesi) con le più alte aspettative di vita e con il più basso tasso di natalità.
L’Italia, dunque, è un paese di vecchi che rischia di diventare sempre più paese di vecchi e al tempo stesso – come molti di voi hanno sostenuto – non è un paese per vecchi.
Questo, a mio avviso, è un problema (che ha varie implicazioni) che non può non essere affrontato (anche) a livello Politico.
Ed è un problema che non è né solo di destra, né solo di sinistra. Perché è il problema di un paese intero.
@ Miriam
Hai scritto: “questo post mi sta rendendo tristissima (…). penso che acquisterò un’arma e ai primi sintomi di cedimento tremendo porrò fine al mio passaggio terreno, non senza salutare gli amici”.
–
Non farlo, Miriam. Lascia che sia io a far partire il colpo finale. Ne sarei molto onorato. Sarò pronto a salutare gli amici per te.
Ma smettila…
🙂 🙂 🙂
…Massimo, su, facci un pensierino anche tu: ti ricordi ”L’inferno sono gli altri” (Sartre)? Ecco, dai’, se fai il gesto estremo, noi potremo goderne per cio’ che ci avrai lasciato: un libro e tanto tantiiiissimo sentimento! (eh! eh! eh! Gia’ lo so DOVE ti stai toccando…).
Miriam: non aver paura, e’ questione di un attimo. Passa pure il confine dell’Acheronte! Gia’ m’immagino i diavoli che faranno un plebiscito per mandarti in Paradiso a dipingere… (eh! eh! eh!).
Pacche sulle spalle. Fortissime. Da Sergio. O dalla sua anima.
a me colpisce molto questo: oggi il suicidio è patologia o fuga disperata. nella Roma antica, che dominava il mondo, era un modo onorevole di togliersi di mezzo qualora non fosse possibile vivere stoicamente. meglio ora? probabilmente sì. voi che ne dite?
Il libro è in attesa sulla cima della pila di quelli da leggere; mi sto avvicinando a Cormac McCarthy con gli altri da lui scritti. Sono partito con Il buio fuori, ora è la volta di Oltre il confine, poi pensavo a Figlio di Dio… ho sbagliato l’ordine di lettura ?
1. E’ ormai così pienamente diffuso l’uso della violenza, senza il quale sembra non sia più possibile ripristinare la giustizia?
Quale violenza e quale giustizia ? Si ha la sensazione che la violenza sia solo dalla parte che delinque.
–
2. E, comunque, si riesce a ripristinare la giustizia?
Questa domanda la prendo come una battuta di spirito, eheheh. Non sapevo che Maugeri fosse un amante della fantascienza.
–
3. E’ viva l’importanza attribuita alla vita e alla dignità degli uomini?
Non mi risulta, almeno nello spazio/tempo che vivo io (Milano/Italia/Prima metà del 2008). Non so da voi su Marte com’è la faccenda.
–
4. Le società di oggi sono più violente di quelle di ieri?
Forse rispetto a 30 anni fa si; no rispetto alle civiltà del passato tipo Egiziane, o, più recenti, tipo Incas o Maya.
–
5. E l’Italia, che è un paese di vecchi… non è un paese per vecchi?
L’Italia sta faticosamente cercando di costruire strutture d’ausilio per gli anziani, ma è partita come al solito con sommo ritardo.
Diciamo così: il problema è ben chiaro e presente nella mente di molti, ma nessuno ha idea di cosa fare per risolverlo.
Purtroppo la soluzione in stile “La fuga di Logan” non è prevista.
Mozione d’ordine sul libro di McCarthy, che invito a leggere non tanto per un valore particolare che gli ascrivo quanto per la rapidità che l’operazione richiede; una scrittura che più serrata è impossibile, credo, una vicenda che per sua natura ha caratteristiche di assoluta imprevedibilità.
Credo che l’assenza di personaggi femminili (di fatto è così: vero che le mogli di Moss e dello sceriffo fanno capolino qua e là, ma sono effettivamente assai secondari) dipenda proprio dalla posizione dell’autore, e mi spiego.
Se voglio definire una realtà degradata nei valori, abbrutita dal guadagno e incline alla violenza, non posso parlare di donne. La loro meravigliosa complessità, la delicata affettività, l’amore di cui sono portatrici e la bellezza delle anime ne impongono l’assenza.
Personalmente, non riesco a farne a meno da scrittore e prima ancora da essere umano: cerco in loro la bellezza che la quotidianità mi sottrae. Ecco il motivo per cui McCarthy, che ci vuole descrivere l’avvenuta decomposizione maleolente dei valori della vecchia America, ne deve defilare la presenza.
Massimo, mio caro Massimo: Ricciardi come tutti noi pensa che per trovare un paese per vecchi, ma più in generale per deboli, debba andare alla Grecia platonica dei saggi o, più concretamente, nelle realtà rurali fino agli anni sessanta. Non i paesi né le epoche sono per vecchi o giovani, è la realtà urbana che non lo è. E questo maledetto villaggio globale lo è meno ancora.
Ve l’ho detto che siete fantastici, tutti, e che vi voglio bene?
per M. De Giovanni
Davvero crede che Mc Carthy non parli troppo di donne perché il mondo
è sporco solo delle malefatte maschili? A me questa vulgata per cui le donne sono dolcemente complicate, intimamente fragili etc etc, è venuta un po’ a noia; è solo una bugia maschilista. Serve a tenerle fuori
dal gioco e a fare del mondo un posto per uomini, per quanto brutto e cattivo. Le più intelligenti, ma solo loro, lo capiscono. Tutte le altre si fanno coccolare da chi le dipinge come angeli vittimizzati dalla brutalità maschile.
Un esempio: nel Modenese pochi giorni fa una ragazzina di 15 anni è
stata presa a botte da sue otto coetanee per ragioni amorose.
La spiegazione è stata: colpa del modello maschile. E ti pareva.
Allora diamoci tutti al suicidio di massa e lasciamo che il mondo si femminizzi ovvero segua uno sviluppo di perfetta bontà e di amore perpetuo…ma per favore!
Per carità. Credevo fosse chiaro che mi riferivo solo e soltanto a figure narrative: non so quanto sarebbe stata credibile una Chigurh in forma di Uma Thurman in Pulp Fiction. Le donne e gli angeli sono cose diverse, e certamente non mi sogno di generalizzare su un argomento così. Troppo poco amore, né perpetuo né momentaneo, e anche su questo dobbiamo essere d’accordo.
E non mi sogno nemmeno di parlare di valore edificante della letteratura. Ma che McCarthy voglia rigorosamente parlare del disfacimento non c’è dubbio, e che non riesca nemmeno lui a rendere realistico un personaggio femminile che scappa con una valigia di soldi altrui o con una bombola d’aria compressa con cui aprire buchi nelle teste, nemmeno.
E invece che le statistiche parlino di donne vittime di violenza in misura di migliaia di punti percentuali (avete letto bene: migliaia!) in più di noi posessori di pene è indubbio.
Per cui, caro Giulio, guardi i giornali e valuti. Sulle pagine di cronaca, come nel libro di McCarthy, la via più breve tra il proprio bisogno e la soluzione di esso è quasi sempre la violenza.
A me non sta bene. Quando poi gli stuprati saranno tanti quanto le stuprate, sempre disponibile a cambiare idea.
ka violenza fisica prevale nel maschio solo perché -più dotato di forza- può permetterselo. le donne, potendo, farebbero altrettanto nei casi di loro convenienza. per difendersi e sopravvivere ai rischi ambientali, ricorrono allora ad altri mezzi, quali la dissimulazione, la capacità di mentire, etc. A dirlo era Schopenhauer, che magari era un po’ troppo di parte e misogino, ma cui non si può negare una certa dose di verità. Almeno secondo me.
Inoltre, quando lei spiega la quasi assenza di personaggi femminili dal romanzo di Mc Carthy parla delle donne del mondo reale che, per la “loro meravigliosa complessità, la delicata affettività, l’amore di cui sono portatrici e la bellezza delle anime” non possono che avere un ruolo di secondo piano. Quindi no, non era affatto chiaro che lei si riferiva soltanto a figure narrative.
Da “Repubblica” di oggi (pag.17 in “cronaca””):
Modena: “Raid punitivo contro una quindicenne picchiata da bulle per ragazzino conteso”. Otto ragazzine hanno preso la “rivale” di una di loro a calci e pugni, ripetendo insulti e parolacce.
E non mi pare sia il primo caso.
Mi pare francamente un po’ semplicistico spiegare col differenziale di forza fisica lo spaventoso numero di violenze che le donne subiscono quotidianamente in questo nostro civilissimo terzo millennio. E, mi scusi, il fatto che a dirla sia stato Schopenhauer non non sottrae dimensione a questa spaventosa sciocchezza.
Ribadisco che è molto difficile sotto l’aspetto narrativo, soprattutto con la scrittura che caratterizza McCarthy fatta di frasi secche e descrizioni con pochi aggettivi, ascrivere certi comportamenti a personaggi femminili. E ribadisco che per il modo di scrivere di quest’autore non deve essere facile portare donne su quel territorio.
Opinione mia, sia chiaro. Ma quello non è un paese per vecchi, e nemmeno per donne o bambini.
A Giulio,
no. Meglio il suicidio dei Romani: oggi e’ disperazione individuale e irrisolvibile; in quei tempi invece era affermazione di principio. Adoro le affermazioni di principio – quelle serie, eh!
Ciao
Sergio
Quando muore un anziano, è come se morisse una biblioteca. Lo ha detto Calvino, mi pare.
Oggi però anziani malati bambini handicappati sono di troppo. I diversi sono di troppo. Non si spiegherebbero tutte le discussioni su aborto eutanasia eugenetica. L’amore è cura. Richiede tempo. Pazienza. Dedizione. Molto più comode pillole, punturine, leggine che ci mettano la coscienza a posto e ci tolgano gli indesiderabili di mezzo.
Torniamo alla cara Italia. Gli urlatori leghisti e i loro reggimicrofono urlano “Dàgli all’immigrato”. Ma chi pagherà la mia pensione? Ogni bambino che nasce si ritrova sul groppino – non groppone, povero caro… – 12 (dodici twelve…) anziani. Come e quanto dovrà lavorare per pagare loro assistenza sanitaria, tv satellitare, badante polacca rumena ucraina a scelta?
Io negli immigrati – quelli che hanno sogni, sogni di famiglia, lavoro, di un futuro migliore – ci spero. Potrebbero insegnare a certi bamboccioni il valore di studio e lavoro. Chissà, magari politici maghrebini o dello Sri Lanka tratterebbero meglio l’Italia rispetto ai nostri strapaesani parlamentari. Ricordiamo che senza immigrati gli USA sarebbero ancora un paese di vaccari e pistoleri.
Gli USA lo sono tutt’ora. Noi lo siamo diventati. Pum! Spara all’indifeso! Bimbo? Autore? Poeta? Vecchio? PUM!!!
…Ma ancora credo che potremmo rinsavire, noi Italiani: basta (”basta” e’ un eufemismo) iniziare a darci una ”quadratina” dal basso: dobbiamo cominciare a guardare altrove, per comportarci meglio: dunque basta con gli Americani e via… alla ricerca di noi stessi e dei nostri co-continentali europei! Ne scopriremmo delle belle, a partire da Atene.
Rieccomi.
Perdonate la latitanza.
Al commissario Ricciardi
–
Caro commissario,
lei sostiene che “per trovare un paese per vecchi, ma più in generale per deboli, si debba andare alla Grecia platonica dei saggi o, più concretamente, nelle realtà rurali fino agli anni sessanta. Non i paesi né le epoche sono per vecchi o giovani, è la realtà urbana che non lo è. E questo maledetto villaggio globale lo è meno ancora.”
–
Caro Commissario,
grazie per il commento. Percepisco amarezza nelle sue parole, ma è anche vero che la realtà giornaliera che lei vive è molto traumatica. Anche per un commissario ferrato come lei.
–
Grazie Maurizio
🙂
Gia’… il buon vecchio collega Ricciardi ha ragioni da vendere!
Ossequiosamente sempre Vostro
Euterpe Santonastasio
@ Maurizio, Giulio, Carlo S.
La violenza ha sesso?
Questa potrebbe essere la domanda per un ulteriore dibattito (prendendo spunto dai vostri commenti).
–
@ Giulio
E’ vero, forse non tutte le donne sono “dolcemente complicate, intimamente fragili etc etc”. (Sì, forse a volte è un luogo comune).
Però in linea generale credo che lo siano un po’ più degli uomini.
Poi: può capitare che due donne arrivino alle mani fino a tirarsi i capelli, ma nella mia esperienza (e credo anche nella vostra) sono più frequenti le colluttazioni tra uomini (è vero o no?).
–
Non credo proprio che se le donne fossero dotate di eguale (o superiore) forza fisica rispetto agli uomini si metterebbero a stuprare l’altro sesso. E comunque il ragionamento è fallace alla base. Se le donne fossero dotate di eguale (o superiore) forza fisica rispetto agli uomini non sarebbero “donne” per come le intendiamo noi.
nessuno che abbia speso una parola sulle colluttazioni tra uomo e donna. eppure sono le più divertenti
🙂
@ Maria Lucia
D’accordissimo con te.
Naturalmente i delinquenti (immigrati o italiani che siano) vanno combattuti e sbattuti in galera.
Ricordiamoci, però, che se la percentuale di immigrati/delinquenti è particolarmente alta i primi a farne le spese sono proprio gli immigrati onesti e lavoratori (la stragrande maggioranza).
Enrico, il tipo di colluttazioni a cui pensi tu sono di certo divertenti.
🙂
… ma qui – come sai – ci riferiamo ad altro.
@ Sergio
A me la letteratura americana continua a piacere. Quindi, sai che ti dico?
PUM!!!
🙂
E aggiungo: Questo non è un paese per i sergiosozi
(ora soffio sulla canna della pistola).
Aspettiamo che sia inventata in provetta la donnamascula… sempreche’ Santonastasio – in un momento di fulminante zelo – non distrugga la provetta.
Massimo Maugger, prode difensor delli Merricani ad’ogni cost – Uest o Ist – attento che se ti sentono da laggiu’ magari stanno caricando la Colt e, senza che siano loro stessi troppo colt, ti fan la fest e si drincano un uischi alla tua ex-salutaccia. Succede, paladin mio. Succede.
…bersaglio amico e fuoco fraterno…
…o fuoco amico e bersaglio italico eterno?
(Va be’, tanto ormai questo post – per colpa mia – sta andando alla deriva).
@ Sergio
PUM!!!
PUM!!!
Ancora vivo?
Non ci sono più i sergiosozi di una volta. Quelli che li colpivi e stramazzavano al suolo al primo colpo.
–
@ Miriam
Sei ancora triste?
PUM!!!
questo non è un paese per occhi alati
… ”Mentalita’ distorte”, eh… falla finita, pistolero maldido, ole’!
e mettiti a scrivere un’altra amerikanata delle tue: carta a Sean… penn!
@ Sergio
Le mie amerikanate sono gravide di retaggio siculo. E lo sai!
Ora vai ne “La camera accanto”… che ti passa lo spirito.
🙂
Adesso devo chiudere davvero.
A domani.
Credo che come “modello culturale” la violenza fisica sia per sua natura maschile; le donne sono sempre state capaci di altre violenze, più sottili, più raffinate se vogliamo.
Oggi, specie tra ragazzini, quel modello si sta propagando anche al mondo femminile per cause molteplici ma riconducibili in estrema sintesi alla caduta dei valori, dei modelli di riferimento ed all’affermazione di comportamenti beceri e violenti cui la tv fa da grancassa di risonanza.
Non ho mai seguito la trasmissione “amici” della DeFilippi, ma mi sono qualche volta fermato per curiosità per qualche decina di minuti facendo zapping. Se ne dicevano di tutti i colori, indipendentemente dal loro sesso. Ho pensato che se si fosse chiamata “nemici” si sarebbero forse uccisi in diretta.
Ciao, a chi interessa qui c’è una doppia lettura di libro&film.
http://www.vibrissebollettino.net/bottegadilettura/archives/2008/03/no_country_for.html#more
Paolo Cacciolati
ma come finisce?