Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA” è dedicato ai racconti “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” di Kazuo Ishiguro (volume pubblicato da Einaudi e tradotto da Susanna Basso).
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“Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” di Kazuo Ishiguro (traduzione di Susanna Basso – Einaudi, 2009)
recensione di Claudio Morandini
Sceglie la via della commedia agrodolce, Kazuo Ishiguro, nei racconti di ispirazione musicale che Einaudi ha pubblicato nel 2009 nella limpida, spigliata traduzione di Susanna Basso con il titolo “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo”.
L’effetto complessivo, piuttosto lontano dalle atmosfere sottilmente, inquietantemente mélo di romanzi come “Quel che resta del giorno” o “Non lasciarmi”, è quello di un mondo di passioni, illusioni (composte) e conseguenti delusioni (mai davvero dolorose), che può ricordare, quanto a ritmo e situazioni, certe canzoni dei bei tempi andati tra il sentimentale e l’ironico, diciamo tra Noël Coward e Cole Porter: brio up-tempo, svenevolezze virgolettate, arguzie british e sottintesi tenuti sotto controllo. Nei dialoghi, nella predilezione per musiche dell’età dell’oro della canzone e del jazz, sembra a volte di trovarsi dalle parti del Woody Allen migliore, quello in cui l’umorismo (anche la comicità più disarmata) non esclude scivolate verso il dramma (che però qui, in Ishiguro, è sempre solo accennato, o per meglio dire eluso).
Lo humour perfettamente british di Ishiguro predilige toni meno farseschi (con l’eccezione del racconto intitolato “Come Rain Or Come Shine”, vera e propria comica slapstick al rallentatore), conversazioni più composte, in cui il non detto finisce per essere più importante delle parole, paradossi meno compiaciuti. Non è cinema, in effetti, è piuttosto teatro, anche nel taglio delle scene, e poco importa che alcuni racconti siano ambientati in luoghi esterni come i rii e le piazze di Venezia o le campagne inglesi.
La musica è raccontata attraverso le vite sempre in bilico di musicisti che vivono di essa: in cerca di riconoscimenti, di successo, anche solo di stabilità economica, questi musicisti (che sono esecutori, ma ambirebbero a essere qualcosa di più, ora compositori, ora grandi interpreti), si confrontano a volte con modelli illustri ma ormai in declino (in “Crooner”), o si trovano dinanzi ad altri colleghi che si sono rassegnati a ruoli di contorno (come nel sottilmente amaro “Malvern Hills”, in cui l’io narrante, chitarrista in cerca di riconoscimento, rivela a poco a poco il suo opportunismo un po’ egoista, l’idealismo ingenuo e velleitario). In “Violoncellisti”, l’ultimo racconto, ancora una volta di ambientazione veneziana, l’io narrante del musicista di turno (violoncellista di una delle tante orchestrine di piazza San Marco) è messo a confronto con la figura affascinante di una dotatissima violoncellista che però non ha mai più preso lezioni da quando era bambina – questo è anche l’unico racconto in cui si sfiora il repertorio classico e vengono fatti i nomi di Britten e Rachmaninov.
Talvolta la musica è in sottofondo, risuona da dischi (CD, o preferibilmente vecchi vinili), affonda nei ricordi di gioventù. Sembra allora che non se ne parli, che la musica sia stata dimenticata, invece è lì, nascosta tra le cose non dette, sedimentata nei rapporti di amicizia coltivati sin dalla gioventù, nei gusti musicali che rafforzano o appannano queste amicizie (in “Come Rain Or Come Shine”).
In tutti i racconti, insomma, le ambizioni dei personaggi vengono messe alla prova, le vite piene di speranza si avviano verso un declino morbido ma palpabile. I veri talenti stentano a essere riconosciuti, nel mondo tratteggiato da Ishiguro, ormai contaminato dall’industria dello spettacolo, mentre a contare sono piuttosto l’apparenza, l’esteriorità, la bella faccia: si pensi al talentuoso saxofonista di “Notturno”, spinto dal suo agente a farsi una plastica facciale per apparire più bello e arrivare quindi al successo, o al chitarrista di “Malvern Hills” che si vede rifiutare le proprie creazioni da ottusi esponenti del sottobosco pop e rock inglese.
Eccolo, il “crepuscolo” evocato nel sottotitolo, eccoli gli accordi in tonalità minori con cui si chiudono duetti e terzetti anche brillanti.
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Kazuo Ishiguro è nato a Nagasaki nel 1954 e si è trasferito con la famiglia in Inghilterra nel 1960. Tutti i suoi romanzi sono tradotti in italia da Einaudi: Un pallido orizzonte di colline (1982), Un artista del mondo fluttuante (1986), Quel che resta del giorno (ultima edizione Super ET 2016), Gli inconsolabili (1995 e 2012), Quando eravamo orfani (2000), Non lasciarmi (ultima edizione Super ET 2016) e Il gigante sepolto (2015, ultima edizione Super ET 2016). Per Einaudi ha pubblicato anche la raccolta di racconti Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo (2009 e 2010). Da Quel che resta del giorno (Man Booker Prize 1989) è stato tratto un famoso film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson. Nel 2008 il «Times» l’ha incluso fra i 50 più grandi autori britannici dal 1945.
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