CONGEDO DAL NOVECENTO
Un primo bilancio sull’opera di Chiara Palazzolo. Dieci anni dopo
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La narrativa degli anni “00” – il decennio che inaugura il Duemila – prende congedo dal Novecento inoltrandosi in un impervio sentiero lungo il quale incombono fosche inquietudini che già segnano, al suo apparire, il nuovo millennio. La letteratura, in quegli anni, registra la crisi di una società in cui è avvenuta la «trasmutazione di tutti i valori»: una società rosa dal tarlo dell’iperconsumismo ed imprigionata nell’incantesimo dello ‘specchio di Narciso’ (Bischi 2018).
In questa temperie storica, Chiara Palazzolo (Catania, 1961 – Roma 2012) è tra i primi scrittori italiani a rendere conto, nei suoi romanzi, di una seconda ‘mutazione antropologica’ – dopo quella registrata da Pier Paolo Pasolini negli anni Settanta – che investe il nostro paese e che trasforma irreversibilmente comportamenti, abitudini e stili di vita declinando verso la prospettiva del posthuman e aprendo la strada all’insinuarsi ineluttabile del ‘mostruoso’ nella vita normale di tutti i giorni.
A un decennio dalla scomparsa della scrittrice floridiana, spentasi prematuramente a Roma, città dove viveva e dove aveva compiuto il suo apprendistato letterario, è possibile tentare un primo bilancio sulla sua opera.
Quando, nel 1987, la scrittrice vince il Premio Teramo con il racconto Damasco e dintorni, la cifra narrativa che la caratterizza è collocabile entro un gruppo di giovani scrittori che esordiscono tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta e la cui scrittura risente della lezione di Italo Calvino, maestro riconosciuto di quella «visione narrativa» che avrà le sue migliori attestazioni in autori, tra gli altri, quali Daniele Del Giudice e Andrea De Carlo. La singolarità della presenza calviniana nella letteratura secondonovecentesca, infatti, si fonda sul riconoscimento del primato della fantasia creatrice contro ogni vincolo che ne mortifichi l’insorgere spontaneo: una fantasia che, tuttavia, il grande scrittore era in grado di dominare e di ricomporre entro un equilibrio e una disciplina delle proprie capacità immaginative che conferiscono alla sua attività letteraria il valore di un contributo di verità. La dimensione immaginativa della sua scrittura si sprigionava, così, nel mondo attraverso uno sguardo ‘visionario’ e ‘visivo’.
Alla ‘visività’ Calvino dedicherà la quarta delle Lezioni americane, dedicata alla Visibilità. Calvino parte dalla ben nota immaginazione visiva di Dante nel Purgatorio, per poi citare il manuale degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio de Loyola. In entrambi gli esempi l’immagine visuale diviene una via di accesso alla conoscenza dei significati profondi della realtà per cogliere le intime verità ultramondane: la «cinema mentale» del pellegrino dantesco sulla cornice degli iracondi si agglutina in una metafora del potere conoscitivo che ha l’immagine di afferrare la realtà e di ‘trasmutarla’ in parola attraverso l’invenzione creativa.
Elaborando questo straordinario paradigma letterario ed epistemologico, Chiara Palazzolo farà dell’elemento visivo uno dei costituenti della sua scrittura; la quale, nel proseguimento della sua attività letteraria, assumerà come proprio anche quel «carattere binario» che attraversa tutta l’opera di Calvino. La scrittrice si apre, perciò, ad accogliere la ‘visionarietà’, la ‘visività’ e la ‘binarietà’ come cifre costitutive di un universo narrativo dominato dalla fantasia e da un rigoroso sguardo conoscitivo gettato sul reale.
La scrittrice, dotata di una fertile invenzione creativa e di una scrittura colta, raffinata e misuratissima, pubblicherà durante la sua attività sei romanzi.
La casa della festa (2000) e I bambini sono tornati (2003) inaugurano la «poetica del distacco senza distacco» dalla realtà (Simonetti 2018), in cui l’elemento ‘visionario’ scaturisce dallo scardinamento del mondo alto-borghese colto nella sua feroce indifferenza, nelle sue ipocrisie, nei suoi traumi e nella sua condizione perversa.
In questi due romanzi affiorano i temi del soprannaturale e del magico associati a personaggi femminili, restituite fantasticamente nella loro sembianza di ‘streghe’.
Protagoniste dei romanzi di Chiara Palazzolo sono, infatti, personaggi femminili che entrano in conflitto con il vuoto, con le ipocrisie e con la violenza della società, dell’ambiente famigliare e professionale. Le donne di Chiara Palazzolo reagiscono al malessere ‘disconnettendosi’ dal mondo in cui vivono e trasformandosi in creature della notte, come accade nei romanzi di Carolina Invernizio e di Matilde Serao, e assumendo il volto ambiguo dell’Angelo-Demone dal quale affiora il dualismo ancestrale Kore-Persefone, in una complessa mescidanza tra mitologia classica, demonologia e ‘mitografia di celluloide’, quest’ultima legata al cinema e al fumetto dark americano degli anni Cinquanta.
Le Dark Lady dei romanzi di Chiara Palazzolo scendono a compromesso con il Male per riscattarsi da un destino oscuro. Sono donne che disperano, ma che lottando trasformano il mondo. Archetipo di queste figure femminili è Mirta-Luna, la giovane protagonista della ‘trilogia dei sopramorti’ – Non mi uccidere (2005), Strappami il cuore (2006), Ti porterò nel sangue (2007) – saga che ha consacrato il successo della scrittrice con la candidatura a prestigiosi premi letterari come il Premio Strega, con la vendita di migliaia di copie dei suoi libri e con la realizzazione di un film, Non mi uccidere, diretto da Andrea De Sica, prodotto dalla Warner Bros ed uscito nel 2021. All’uscita del primo romanzo della saga, Loredana Lipperini su «la Repubblica» saluterà Chiara Palazzolo come la «Signora dell’horrror italiano».
Mirta, giovane di buona famiglia, si innamora di Robin, un ragazzo più grande di lei ed eroinomane. L’amore e la paura di perdere Robin spingono Mirta a condividere l’esperienza della droga, che porta i due giovani alla morte per overdose. La promessa di amore eterno pronunciata dalla ragazza per il suo innamorato riporta in vita Mirta, trasformata in una ‘sopramorta’ (Luna), creatura ‘binaria’ appartenente a un mondo parallelo, sospeso tra la vita e la morte, alla continua ricerca di carne umana per sfamarsi e braccata dai Benandanti, un’antica setta di cacciatori-stregoni nata per sterminare le creature della notte, indagata da Carlo Ginzburg in un saggio capitale degli anni sessanta (Ginzburg 1966).
Quello della ‘metamorfosi’ è il grande tema della narrativa di Chiara Palazzolo, un tema complesso che la scrittrice inaugura, appunto, con la trilogia dei ‘sopramorti’, creature ‘binarie’ di una favola nera di formazione che anticipa tematiche attuali come la biopolitica e il post-umano e che si chiude con il romanzo Nel bosco di Aus.
Il romanzo Nel bosco di Aus, chiudendo il cerchio inaugurato con La casa della festa attraverso la ricorrenza della figura della Strega, investe la ‘trilogia dei sopramorti’ ricomponendola in una ‘tetralogia della metamorfosi’. La visione della ‘tetralogia’ si fonda sulla convinzione, sempre più radicale e irreversibile, del baratro che il neoliberismo post-capitalista ha spalancato fra poveri e ricchi – fra la Moltitudine e il General Intellect (Negri, Hardt 2000, 2004) – fra l’inferno dei popoli poveri e sottomessi e il paradiso abietto del mondo dominato dalla ‘fame’ di desideri sempre più condizionati dal potere e dalla tecnologia. Tutto ciò ha generato il «peggio del male» (Pecchioli 2017) che domina la nostra società.
È una convinzione, questa, che la scrittrice matura da una costante frequentazione con la filosofia della storia – della quale il padre della scrittrice, filosofo e poeta, fu raffinato e profondo studioso – e dalla conoscenza della filosofia contemporanea, soprattutto francese, e, in particolare, dell’opera di Michel Serres, i cui riverberi del pensiero sull’Angelismo (Serres 1993) e sulla «fluttuazione dei corpi» (Serres 1999) attraversano le pagine della Palazzolo. Non è un caso, infatti, che la ‘tetralogia’ della Palazzolo incroci, anche cronologicamente, la ‘trilogia del magico’, o «trilogia delle metamorfosi», di Andrea Camilleri, costituita dai romanzi Maruzza Musumeci (2007), Il casellante (2008) e Il sonaglio (2009), nella quale – afferma lo scrittore agrigentino – «risiede il meglio di me» e il cui progetto compositivo attinge all’Angelismo e alla visione magica della realtà che il padre di Montalbano ha ereditato dall’ultimo Pirandello de I giganti della montagna.
Facendosi, dunque, carico anche di una ‘pesante’ eredità letteraria riconducibile alla sua isola, l’opera di Chiara Palazzolo, che lascia diversi inediti – tra cui un romanzo ambientato, appunto, nella Sicilia del ‘demone meridiano’ – ha avuto una notevole influenza su quella ‘nouvelle vague’ siciliana che raccoglie un gruppo di scrittori presenti sulla scena letteraria nazionale contemporanea (Massimo Maugeri, Simona Lo Iacono, Veronica Tomassini, Orazio Labbate, Viola Di Grado, Cristina Cassar Scalia, Nadia Terranova, Luca Raimondi, Stefano Amato, Giuseppe Maresca, Rosario Russo, Irene Chias). È una generazione di scrittori che privilegia i generi fantasy, gotico, noir, la biofiction e il giallo – contaminati con il documento storico, con l’indagine sociologica e con le ‘scritture dell’io’ – per indagare la complessa e contraddittoria realtà isolana.
Negli scrittori della ‘nouvelle vague’ siciliana la pagina si trasforma nella dimensione in cui l’individuo si confronta con i nodi irrisolti del vivere ed estrinseca il carattere decisivo della scrittura come dubbio, come «sfida al labirinto» e come atto di responsabilità morale, lungo la linea tracciata da Chiara Palazzolo con la sua opera, la quale afferma prepotentemente il primato della ricerca di senso su ogni verità prestabilita, con una scrittura che può essere considerata, a pieno titolo, come un ‘laboratorio’ di verifica e di rielaborazione delle forme di rappresentazione del reale legate alla Midcult e alla Masscult contemporanee e come un progressivo distacco dalla tradizione narrativa del Novecento, con esiti felicissimi ed esaltanti approdi che si profilano sull’orizzonte letterario.
Questo ‘laboratorio’ rappresenta uno dei lasciti più preziosi che Chiara Palazzolo ha affidato alle generazioni a venire.
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