Ci lascia CLARA SERENI (Roma, 28 agosto 1946 – Perugia, 25 luglio 2018). Letteratitudine le dedica questo ricordo commosso
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Clara Sereni e ho avuto la possibilità di intervistarla nel mio programma radiofonico in occasione dell’uscita del suo libro “Via Ripetta 155″ (Giunti). Ho avuto anche la gioia e il privilegio di ospitare Clara nella prima sezione del volume “Letteratitudine 3: letture, scritture e metanarrazioni” (LiberAria), quella dedicata alle dieci domande a dieci scrittori sulla lettura e la scrittura. In quell’occasione le chiesi anche di inviarmi una breve biografia, da inserire alla fine dell’intervista. Me ne inviò una brevissima, che riporto di seguito:
Clara Sereni è cresciuta a Roma ma vive da molti anni a Perugia, dove ha ricoperto incarichi amministrativi e politici. Attiva nella promozione della salute mentale con la Fondazione “La città del sole”-Onlus, è autrice di numerosi volumi di narrativa, da Casalinghitudine a Il gioco dei regni, da Il lupo mercante a Una storia chiusa e Via Ripetta 155. Dal 2009 dirige, per ali&no, la collana “Le farfalle”.
Vorrei ricordare Clara proponendo qui, in questo post, le sue risposte dedicate alla lettura e alla scrittura. La sua voce, invece, potete ascoltarla cliccando sul “pulsante audio“: è una registrazione del mio programma radiofonico del 22 aprile 2015. Discutiamo di Via Ripetta 155 e delle tematiche affrontate nel libro. Nella seconda parte della puntata abbiamo proposto, tra l’altro, un brano musicale composto e cantato dalla stessa Clara Sereni.
Chiedo agli editori di provvedere alla ristampa del volume “Manicomio primavera”. Il perché lo capirete leggendo quanto scritto poco più avanti (nella risposta alla domanda n. 7).
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Dieci domande sulla lettura e sulla scrittura a CLARA SERENI
1. Partiamo dalla lettura. Perché leggere?
Non mi sento di dare una risposta in termini generali, dunque posso spiegare i motivi per i quali io leggo. A parte i motivi ovvi (si legge per imparare, esplorare, ecc.), per quanto mi riguarda posso dire che la lettura coincide con i pochi momenti della mia vita in cui posso stare davvero sola con me stessa. Sono sola, però al tempo stesso sono accompagnata da una guida… perché ciò che leggo mi guida. Alla fine, però, conta ciò che risuona dentro di me. Per questo parlo di solitudine. Ed è un’esperienza impagabile.
2. Fra gli innumerevoli testi di narrativa che hai letto nel tempo, quale “eleggeresti” come tuo testo di riferimento? E perché?
È difficile rispondere. Potrei indicare un piccolo libro che ha una strana storia intitolato “Yossl Rakover si rivolge a Dio” di Kolitz Zvi. Il titolo più esatto forse sarebbe “Yossl Rakover discute con Dio”. È un libro inventato che si immagina sia stato scritto dall’ultimo sopravvissuto del ghetto di Varsavia, il quale chiede a Dio quando la smetterà di metterci alla prova e di essere così cattivo. Ma la cosa che mi interessa di più, e che mi rappresenta, è che a un certo punto il protagonista scrive: “forse smetterò di credere in te, ma non smetterò di credere nella tua legge”. Per una ebrea totalmente agnostica come me, questa è una bella indicazione.
3. Tra i grandissimi scrittori del passato, chi indicheresti come tuo possibile “padre letterario” (o “madre letteraria”)? E perché?
Anche in questo caso è difficile rispondere. Sinteticamente direi: Stendhal, perché con una scrittura modernissima (cosa che non appartiene affatto a tutti gli scrittori dell’Ottocento; per esempio, non appartiene certamente a Balzac, che è grande per altre ragioni… ma non ha questa caratteristica). Stendhal l’ho studiato e l’ho tradotto. E ho passato parecchio tempo leggendolo. Quello che più mi interessa di questo scrittore, ancor più dei grandi romanzi e degli scritti di viaggio, è il fatto che dopo una grande crisi mondiale – come quella attraversata dall’Europa dopo il 1815, in cui il sogno napoleonico in cui egli stesso aveva creduto si è infranto – Stendhal va cercando le scintille del nuovo; quelle che Carlo Ginzburg in un suo saggio molto famoso chiamava “spie”. Credo che provare a individuare le scintille di novità sia un’operazione particolarmente difficile, e utile oggi più che mai.
Tuttavia non posso fermarmi solo a Stendhal. Un’altra figura di riferimento, per me, è Jane Austen per la sua geometria e per la sua ironia. E poi aggiungo Alba de Céspedes, perché (sebbene forse non sia dotata di una grandissima scrittura), come dice il titolo di un suo libro, è sempre “Dalla parte di lei”. Riesce sempre a cercare e a trovare le ragioni delle donne… anche delle donne che stanno abbastanza antipatiche.
4. Passiamo alla scrittura. Perché scrivere?
Anche stavolta mi limito a dire perché io scrivo. Ci sono due ordini di motivi. Uno: alla fin fine si tratta di una lotta contro la morte. Parlo, cioè, dell’idea di qualcosa che possa sopravvivere alla nostra fine. Peraltro non credo nell’aldilà, dunque questa è già una ragione profonda.
Un’altra ragione rilevante è la seguente: scrivere è il modo che io conosco per mettere ordine nella mia esperienza; nel senso che il binario letterario mi porta a ragionamenti, a emozioni e a quant’altro che senza di esso non riuscirei a raggiungere. Diciamo che in questo senso la scrittura ha qualcosa a che fare con la psicanalisi: non perché abbia una funzione curativa, ma perché consente di tornare alla propria esperienza con una guida.
5. Come e quando nasce il tuo amore per la scrittura?
Onestamente non so nemmeno se possa parlarsi di amore. Nella genia di scrittori e scrittrici ci sono due tipologie: coloro che stanno bene solo quando scrivono (e in genere scrivono di getto) e coloro che, invece, faticano e patiscono. Io faccio parte della seconda tipologia. In questo senso, quindi, amore non mi sembra la parola giusta. È più un bisogno, semmai… nel quale c’entra certamente il fatto di essere ebrea. Del resto, nell’ebraismo, il valore dato alla parola è pressoché assoluto. È qualcosa che ci si porta dietro comunque. E ciò vale anche per me che sono agnostica, ma pure profondamente ebrea.
E poi c’entra la mia famiglia, nel senso che nel mio contesto famigliare scrivevano tutti e quindi, come dire… per esistere dovevo scrivere anch’io.
6. Come si sviluppa il processo creativo dei tuoi romanzi?
In verità non lo so benissimo nemmeno io. Quel che posso dire è che in genere parto da qualcosa che voglio affermare, o dimostrare. Poi, lungo il percorso, molto spesso cambio idea. Quello che è sicuro è che non sono tra coloro che dicono “i miei personaggi mi hanno preso per mano”. Assolutamente no. Per me vale il contrario. Sono io che li conduco. È chiaro che se creo un personaggio di un certo tipo, non è poi possibile che quel personaggio si comporti in modo difforme da come l’ho costruito. Però non mi sento mai trascinata. Sono sempre io che, faticosamente, costruisco il percorso.
7. Fra tutti i libri che hai pubblicato, qual è quello a cui ti senti più legata e che più degli altri desidereresti che perdurasse nel tempo? E perché?
Penserei a un libro che è andato un po’ meno bene di altri. Quelli che sono andati meglio, per tutta una serie di ragioni li amo un po’ meno. Penserei a un libro attorno al quale sono anche cresciuta sotto vari punti di vista. Si intitola “Manicomio primavera”. Ecco: se dunque dovessi sceglierne uno, è proprio questo.
8. Di recente si è tornato a parlare di “morte del romanzo” (questione, per la verità, piuttosto antica), anche per la diffusione di nuove forme di narrazione legate allo sviluppo della tecnologia. Qual è la tua posizione a riguardo?
Non ne posso più di sentir parlare di morte del romanzo. A partire dalla tragedia greca, per arrivare ai grandi romanzi dell’Ottocento e del primo Novecento, è già stato detto e raccontato tutto. Allora, per quale ragione continuare a scrivere oggi? In me scatta uno strano meccanismo che non pretendo sia di altri. In un certo senso, per ogni cosa che scrivo mi devo prima “autorizzare”. Questo perché ritengo che scrivere per gli altri sia un grande atto di presunzione, quasi di violenza, o di supponenza. Io scrivo pensando che poi qualcuno impiegherà un po’ del proprio tempo, della propria vita, per leggere ciò che ho scritto. Dunque quello che io scrivo deve avere una sua ragione. La ragione che trovo è quella della possibilità di offrire un punto di vista che non è già stato esplorato in maniera esaustiva. Deve trattarsi, dunque, di qualcosa di necessario. Non basta ricorrere a “trovate”, o a ricerche stilistiche. Certo, a qualche “trovata” ho fatto ricorso anch’io. Posso fare l’esempio di “Casalinghitudine”: fino a quel momento libri che contenevano ricette di cucina non ne erano stati pubblicati (tanto è vero che all’epoca la Siae non mi voleva dare l’iscrizione), ma quelle ricette erano necessarie per ciò che stavo raccontando. Dunque non era una “trovata” fine a se stessa, ma una necessità interna al libro.
9. In che modo l’esplosione del web e dei social network ha inciso (ammesso che abbia inciso) sulle attività legate al leggere e allo scrivere?
Credo che ci sia una differenza enorme tra la mia generazione (non solo la mia per la verità, ma più d’una) e la generazione digitale. Io scrivo al computer, perché trovo sia molto comodo farlo, però poi a un certo punto, quando ritengo di essere venuta a capo di una stesura, comunque stampo. Ho bisogno ancora della carta.
Certo, per quanto riguarda le modalità di lettura le possibilità si sono ampliate. Io, per esempio, ho un nipote che passa tre quarti dell’anno in barca in Grecia e capisco che, in quel caso, sarebbe molto complicato portarsi dietro un quantitativo enorme di libri di carta ed è preferibile utilizzare l’e-book reader, che consente di trasportare una biblioteca intera dentro a un piccolo dispositivo e con un peso irrisorio. Ma non è qualcosa che mi appartiene. Uso Internet, non sono così retrograda. Però, in generale, mi pare che sulla Rete si sia affermata un po’ troppo la tendenza a raccontare i fatti propri senza ricorrere a nessun tipo di filtro. Un’altra cosa che mi lascia perplessa riguarda la possibilità di intrattenere rapporti con l’interruttore. Questo vale sia per le email, sia per le chat. Hai l’illusione della comunicazione continua. Se a un certo punto però qualcosa ti disturba, puoi staccare, ti puoi disconnettere. Questa possibilità, a mio avviso, rischia di produrre un impoverimento.
10. Che consigli daresti ai giovanissimi che ambiscono a cimentarsi nella “scrittura letteraria”?
Intanto consiglierei di diffidare dei corsi di “scrittura creativa”, non tanto perché non sono utili (anzi, in alcuni casi possono anche essere molto utili) quanto per il fatto che il talento della scrittura non può essere insegnato. Si può insegnare e si può imparare a governarlo, a sfruttarlo al meglio; ma il talento non può essere insegnato.
Secondo: vivere. È necessario fare un po’ di esperienza di vita prima di cimentarsi nella scrittura. Altrimenti, di che si parla?
Terzo: tenere sempre d’occhio il rischio di fare il giro del mondo intorno al proprio ombelico.
Infine: leggere. Leggere tanto. Parrebbe che il numero della gente che scrive superi quello di coloro che leggono. Il che è un evidente paradosso. Senza la lettura, la scrittura è un’attività a dir poco presuntuosa e che non porta lontano.
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Cara Clara, ci mancherai tanto!
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