OMAGGIO A GIORGIO BASSANI: a cento anni dalla nascita e sedici anni dalla morte
Ricordiamo Giorgio Bassani (Bologna, 4 marzo 1916 – Roma, 13 aprile 2000) riproponendo una puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” di qualche anno fa andata in onda in occasione del cinquantenario della pubblicazione del suo romanzo più celebre: “Il giardino dei Finzi-Contini“.
Ospite della puntata, il critico Paolo Vanelli, autore del saggio “La finzione autobiografica del Romanzo di Ferrara” (Corbo editore), dedicato alle opere narrative di Bassani.
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In “La finzione autobiografica del Romanzo di Ferrara“, Paolo Vanelli elabora un’indagine sulle sei opere narrative di Giorgio Bassani, riunite dallo stesso autore in un unico volume dal titolo emblematico di Il Romanzo di Ferrara (Mondadori, 1974). Il saggio unisce l’analisi delle opere singole ad una integrale introspezione dell’universo narrativo di Bassani, fondata sul riconoscimento di una tensione etica inerente l’atto stesso dell’affabulazione e sulla stretta relazione tra letteratura e vita.
L’idea portante del saggio è che il Romanzo costituisca un’opera unitaria, nella quale il narratore, mascherandosi dietro personaggi suoi eteronimi, oppure presentandosi in prima persona, abbia rappresentato il difficile e contorto percorso della coscienza e dell’anima verso la definizione di un carattere e di una personalità.
L’unità del Romanzo però non starebbe tanto nella scelta di uno spazio che ritorna in tutte le opere (Ferrara) o di un tempo circoscritto (gli anni del fascismo e quelli immediatamente seguenti la fine della guerra) nel quale si svolgono le vicende dei personaggi, alcuni dei quali si ripresentano in vari testi, con riprese e rimandi che costituiscono un’interessante trama intertestuale.
L’unità che il saggio si propone di ricostruire è ben diversa. Si tratta di rintracciare l’architettura sotterranea che attraverso un sistema di relazioni latenti tra i testi fa di tutta l’opera un edificio organico, nel quale ogni parte interagisce con le altre, e ogni elemento è compreso pienamente solo nella sua connessione con l’insieme: essa è l’idea costitutiva, la verità, che sempre meglio si dichiara nel progressivo manifestarsi delle singole opere. Quale sia questa idea costitutiva, che agglutina tutti i testi, lo esplicita il titolo del saggio: si tratta di una “Finzione autobiografica”. L’autore, cioè, attraverso la finzione letteraria (storie e personaggi di invenzione o liberamente elaborati dall’immaginazione) racconta in realtà la parabola esistenziale del proprio Sé, per cui la finzione letteraria deve leggersi in trasparenza come la storia di un’anima, che, passando attraverso importanti esperienze personali o conoscendo e osservando quelle dei suoi concittadini, affina la percezione e la comprensione di se stesso e della realtà, fino ad arrivare ad una autentica maturazione del carattere.
Il Romanzo di Ferrara sarebbe quindi la storia di una personalità in formazione, con un’evoluzione interiore, che il saggio scandisce in quattro tempi fondamentali (il saggio è strutturato infatti in quattro parti): La Coscienza, L’Anima, La Verità, La Saggezza.
Il tempo della coscienza: si riferisce alle prime due opere bassaniane, Cinque storie ferraresi (poi col titolo di Dentro le mura) e Gli occhiali d’oro. Sono opere impostate su una stridente dicotomia: da una parte sta la città, luogo esemplare della decadenza e della degenerazione etica e civile, dove si afferma indisturbato il potere fascista, che nella generale letargia morale e nella connivenza di tanti può commettere liberamente i suoi soprusi. Al sonno della coscienza , che tarpa la volontà e l’intelligenza dei propri concittadini, il narratore contrappone dall’altra parte l’indignazione della propria coscienza, proiettandola nella reazione di alcuni protagonisti (suoi eteronimi) o facendola emergere dalle stesse strutture stilistiche e linguistiche. La reazione della coscienza offesa assume spesso toni acuti, aspri, “foscoliani”, dove emerge il conflitto tra la purezza morale di poche figure e i compromessi, le falsità, la cecità dei tanti che hanno silenziosamente avvallato le violenze della Storia. E si conclude con l’emblematico distacco del narratore-personaggio, il “diverso”, che si autoesilia dai suoi, per non compromettersi col mondo della sua città e con la sua stessa famiglia (pagine finali degli Occhiali d’oro).
Il tempo dell’anima: si riferisce al Giardino dei Finzi-Contini e Dietro la porta. Dal grido foscoliano contro la sua città, il narratore passa ad una elaborazione interiore della sua diversità e del suo dramma etico. Ciò è dovuto ad uno sguardo più profondo sulla realtà: lo sguardo a cui l’ha educato Micòl nel suo soggiorno nel “giardino”. La realtà pare ora più complessa; l’intransigenza e il radicalismo civile si ammorbidiscono; subentra un sentimento di pietas e affiora una comprensione più matura degli uomini e delle cose, fatta anche di carità e di amore. Il Lògos si fonda con l’Anima, e favorisce il riavvicinamento del protagonista alla sua gente. Giudato dalle ragioni interiori, ma senza mai cedere alle lucide ragioni della coscienza, il narratore-protagonista perviene ad una visione meno rigida e più problematica dei fatti e delle persone. Se prima la coscienza e la ragione dividevano nettamente il bene dal male, e individuavano sicure la verità, ora i contorni delle cose sfumano (emblematica la figura di Micòl, metafora di tutto ciò che nella realtà è indefinibile e irraggiungibile) e appare assai più arduo definire il valore autentico delle vicende umane.
Il tempo della verità: si riferisce a L’airone. Dalla dimensione storica, a cui il Romanzo era legato nei testi precedenti, qui si passa ad una dimensione tendente al metafisico, segnata emblematicamente anche dal mutamento dello spazio: dalla città al paesaggio solitario e vastissimo delle Valli di Comacchio. L’autore è alla ricerca della “verità”, che, come ha sperimentato nelle opere precedenti, risulta sempre indefinibile: nella dimensione storica essa oscilla continuamente tra le ragioni della coscienza, le intermittenze del cuore e le esigenze dell’anima, che intrecciandosi e scontrandosi tra loro impediscono il raggiungimento di un’idea stabile, appagante e chiarificatrice. Così il protagonista, Edgardo Limentani, l’eroe-antieroe del racconto, uscendo dalla città e spingendosi nella sconfinata solitudine delle Valli, si trasforma nell’emblema dell’uomo (e del narratore) che esce dalla Storia, per ricercare Altrove il senso dell’esistenza. La sua esperienza approderà al convincimento che la Verità è Altrove, là dove baldanzosamente si avvia nelle ultime pagine del libro.
Il tempo della saggezza: si riferisce all’ultima opera, i racconti di L’odore del fieno. Ora il narratore-protagonista possiede la Verità, è può valutare la vita col disincanto e la serenità che gli vengono dalla conquistata saggezza: la saggezza di chi può osservare gli uomini e le cose del mondo avendone scoperto il loro autentico valore e con l’attestato di una coscienza che non ha mai ceduto a compromessi, ricatti ed egoismi. Anche lo stile si trasforma, si fa più geometrico, limpido, lavato e colloquiale, talvolta anche ironico (l’ironia e l’autoironia della saggezza), con una precisione e una chiarezza visive – si potrebbe dire una leggerezza – che denotano la sapienza dell’intelligenza. La narrazione si snoda con associazioni e rapporti inediti, che sottendono la volontà di sperimentare nuove forme espressive, come l’apologo, la fiaba, il racconto surreale. Siamo di fronte ad uno scrittore “nuovo”, rigenerato dal viaggio compiuto all’interno della propria esperienza autobiografica e del suo spirito, che ora guarda il mondo da un livello superiore, per così dire “sub specie aeternitatis”.
In ultima istanza il Romanzo di Ferrara è la storia di una vita, una grandiosa finzione autobiografica, nella quale il narratore cela la storia della sua personalità, il suo percorso di uomo e di artista, che delle sue esperienze ha fatto gli strumenti per un sempre più raffinato esercizio di conoscenza e i contenuti per le meravigliose invenzioni della sua creatività.
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