CENTO ANNI DALLA NASCITA DI ITALO CALVINO
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Nel settembre 2010, proponemmo un post in occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985).
In occasione del centenario della nascita, riproponiamo lo stesso post di allora, con le stesse domande, gli stessi spunti, gli stessi contributi, in omaggio a questo grandissimo scrittore del Novecento letterario (non solo italiano) che è stato Calvino.
Dedichiamo, dunque, questo “spazio” alla memoria di Italo Calvino con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
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VENTICINQUE ANNI DALLA MORTE DI CALVINO
(settembre 2010)
Il 19 settembre 1985 Italo Calvino moriva all’ospedale di Siena, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima nella sua villa di Roccamare.
Non sembra passato molto tempo, ma sono già trascorsi venticinque anni. Un quarto di secolo ad alta velocità, però; a cavallo tra due millenni. Un quarto di secolo che, forse, in termini di intensità e di velocità di cambiamento, non ha eguali rispetto al passato.
Su La Stampa del 12 settembre Marco Belpoliti scrive che “all’inizio degli anni Ottanta Calvino era un intellettuale-scrittore in panne, il cui motore, perfetto e oliato, girava a vuoto. Era sospeso nel vuoto della fine del XX secolo. (…) La solitudine è l’esperienza fondamentale della contemporaneità su cui s’innestano, pur nella loro diversità, sia il fascismo novecentesco sia il Grande Fratello. Calvino sta al di qua di questa soglia, indica il problema, ma non fornisce soluzioni. Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino”.
Sempre sulle pagine de La Stampa, nell’inserto Tuttolibri di sabato 18 settembre, Ernesto Ferrero scrive: “L’enfasi celebrativa con cui di solito ci occupiamo di ricorrenze e anniversari sta a significare il suo contrario: celebriamo rumorosamente i grandi scomparsi per meglio auto-esentarci dal dovere di rileggerli. Con Italo Calvino questi rischi non si corrono. I venticinque anni che sono passati dalla sua prematura scomparsa (aveva da poco passato i sessanta) servono a capire ancor meglio quanto ci sia (sempre più) necessario, addirittura indispensabile. (…) Perfettamente consapevole dell’inevitabile scacco finale, ha continuato a disegnare mappe sempre più esatte del labirinto che ci tiene prigionieri. Per questo continueremo ad avere bisogno di lui. Per questo continuano a leggerlo in tutto il mondo”.
Vi propongo di ricordare Italo Calvino partendo dalle sue opere. Credo che (come abbiamo fatto in altre circostanze) sia un buon modo per “tributare” un grande autore scomparso. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.
1. Che rapporti avete con le opere di Calvino?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Calvino che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Tra le varie “citazione” di Calvino di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Calvino ha lasciato nella letteratura italiana?
Di seguito, l’intero articolo di Ernesto Ferrero citato prima.
Massimo Maugeri
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da LA STAMPA – Tuttolibri del 18.9.2010
Nel labirinto ci serve ancora la sua bussola
di Ernesto Ferrero
L’enfasi celebrativa con cui di solito ci occupiamo di ricorrenze e anniversari sta a significare il suo contrario: celebriamo rumorosamente i grandi scomparsi per meglio auto-esentarci dal dovere di rileggerli. Con Italo Calvino questi rischi non si corrono. I venticinque anni che sono passati dalla sua prematura scomparsa (aveva da poco passato i sessanta) servono a capire ancor meglio quanto ci sia (sempre più) necessario, addirittura indispensabile.
E cade opportuna la dedica di «Portici di Carta» anche perché il sardo-ligure Calvino qui aveva trovato il suo habitat naturale. Di Torino, scrisse, gli piaceva «l’assenza di schiume romantiche, il far affidamento soprattutto sul proprio lavoro, una schiva diffidenza nativa, e in più il senso sicuro di partecipare al vasto mondo che si muove e non alla chiusa provincia, il piacere di vivere temperato di ironia, l’intelligenza chiarificatrice e razionale». Lo aveva attratto «un’immagine sociale e civile» più che «letteraria».
Qui ha messo a punto la sua strategia cognitiva. Figlio di scienziati, e scienziato per abito mentale egli stesso, Calvino elabora nientemeno che un nuovo modo di vedere il mondo al di là delle vecchie convenzioni neo-impressioniste o neoespressioniste.
Gli interessa definire le complicate reti di relazioni che si danno tra le persone, le cose, gli eventi: simile in questo a Gadda, ma con tutt’altri registri di scrittura. È un cartografo, un costruttore di sestanti e astrolabi, un maestro del calcolo combinatorio, un architetto-urbanista di palazzi e città letterarie, un inventore di apparecchi radiografici e tomografie assiali computerizzate.
Nulla lo appassiona quanto fare continuamente il punto, fissare la posizione propria e degli altri, cercare nessi, indagare il rovescio, la trama segreta di quell’arazzo di inganni e di apparenze che è la vita.
Tutto questo, si badi, partendo più o meno dall’Ariosto, cioè da un’apparenza di leggerezza fantastica, quasi d’evasione fiabesca. Che invece è un modo di giocare di sponda, di sottrarsi alle servitù della cronaca e del realismo, ai gonfiori e alle complicazioni dell’Io e dello psicologismo, alle pretese dello storicismo, ai lenocini dell’intrattenimento.
Scegliendo la posizione defilata e lievemente rialzata del “Barone Rampante”, Calvino è quello che ha visto meglio di tutti. Ci voleva una grande intelligenza e un grande coraggio per esordire raccontando la guerra partigiana nei modi del “Sentiero dei nidi di ragno” e proseguire in piena età
dell’impegno con la trilogia degli antenati (ma già i raccontini giovanili hanno un’impronta di apologo filosofico incredibile per quei tempi). E poi andare avanti a sperimentare, senza mai ripetersi, senza mai campare di rendita, fino alla fine, sempre contando su una qualità di scrittura che rende ogni pagina, anche la più estemporanea, semplicemente perfetta.
Per via della stessa lucidità del suo talento d’indagatore, Calvino ha conosciuto il disincanto sin dalla metà degli Anni 50, ma non si è lasciato travolgere dallo sgomento e dall’angoscia, non ha alterato la sua fisionomia illuministica con sogghigni nichilisti alla Cioran o voluttà apocalittiche.
Fedele al diritto-dovere della laconicità, ha tenuto la postazione senza arretrare, ha continuato a esercitare il pragmatismo stoico definito in una celebre pagina delle “Città invisibili”: l’inferno esiste, è il qui e ora che abbiamo costruito insieme, ma se non vogliamo lasciarcene inghiottire o diventare parte integrante di esso, dobbiamo «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
In questi anni di basso impero è un invito che costituisce una bussola sicura. Leggendo alla radio il poema ariostesco, Calvino aveva osservato a proposito del destino già scritto a cui Ruggiero è condannato: «Tra il punto in cui egli si trova ora e l’adempiersi del destino possono succedere tante mai vicende, tanti ostacoli frapporsi, tante volontà entrare in campo a contrastare il volere degli astri: la strada che il predestinato deve percorrere può essere non una linea retta ma un interminabile labirinto. Sappiamo bene che tutti gli ostacoli saranno vani, che tutte le volontà estranee saranno sconfitte, ma ci resta il dubbio se ciò che veramente conta sia il lontano punto d’arrivo, il traguardo finale fissato dalle stelle, oppure siano il labirinto interminabile, gli ostacoli, gli errori, le peripezie che dànno forma all’esistenza».
Antieroe della «perplessità sistematica», anti-presenzialista che cercava di far perdere le proprie tracce tra le moltitudini delle metropoli, Calvino non si è mai sottratto alla sfida, fino a schiattare letteralmente di fatica, come un contadino dei poderi paterni, durante la stesura delle “Lezioni americane”, un libro che da solo può dare la misura di una civiltà letteraria. Perfettamente consapevole dell’inevitabile scacco finale, ha continuato a disegnare mappe sempre più esatte del labirinto che ci tiene prigionieri.
Per questo continueremo ad avere bisogno di lui. Per questo continuano a leggerlo in tutto il mondo.
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AGGIORNAMENTO DEL 22 settembre 2010
L’uomo grasso che è in me
(Intervista a Italo Calvino – del 1985 – di Sandra Petrignani uscita sul Messaggero, poi in volume)
Italo Calvino ricorda un verso bellissimo del Purgatorio: «Poi piovve dentro a l’alta fantasia… » La fantasia, dunque, è un posto in cui piove dentro, piovono immagini dal cielo. Per Dante l’ispirazione artistica viene da Dio come nella concezione classica veniva dalle Muse.
«Le Muse come custodi della memoria, figlie della Memoria, la memoria collettiva» dice Calvino. «Le Muse rappresentano il deposito di tutto il raccontabile, di tutto il dicibile. Saper attingere a questo repertorio potenziale è la dote del poeta».
« E nella sua fantasia come piove, quanto, cosa?»
«Piovono immagini e parole insieme. Mi baso su un processo misto. Spesso è un’immagine visiva prima che verbale a venirmi in mente. Però il momento decisivo è quello in cui mi metto a scrivere. Allora l’intenzione originale cambia, può anche trasformarsi del tutto, venire completamente dimenticata. Altre volte resiste. Per esempio: l’immagine iniziale era un uomo tagliato in due? Era un ragazzo che si arrampica su un albero e non scende più? Era un’armatura vuota capace di muoversi per la forza di volontà, sorretta da nessun corpo? Su queste immagini figurali lavoro. Faccio tutti i casi possibili, mi chiedo cosa succederà…»
Ora l’uomo tagliato in due, il ragazzo scontroso che va a vivere sugli alberi, l’armatura senza corpo se ne stanno guardinghi sul divano. Parlare con Calvino è sempre un avvenimento, è stato detto. Infatti lo è, non tanto per le snervanti resistenze dello scrittore a farsi intervistare, quanto per la sua prerogativa, davvero unica, di circondarsi di un’invisibile eppure tangibile barriera. Come intorno a un’inespugnabile fortezza, corre intorno a Calvino un minaccioso fossato. Forse dentro ci sono coccodrilli, o forse soltanto pesci rossi, chissà. Intimiditi, si resta dall’altra parte a guardare. Calvino si offre di profilo. Fissa un punto indefinito di fronte a sé; le dita sono intrecciate sul petto, le gambe tese in avanti e incrociate. Di tanto in tanto si volta fugacemente, lancia uno sguardo marrone e curioso. Qualche volta, in mezzo a un’immensa serietà, ride. Brevemente, ma ride.
«In un’intervista di qualche anno fa ha dichiarato: “Credo all’esistenza del mondo”. Dunque lei non mette in dubbio ciò che si definisce “realtà”. La fantasia fa parte della realtà o vi si contrappone?»
«Non ricordo mai quello che ho detto in precedenti interviste e di solito sono tentato di affermare il contrario; se una cosa era vera nel momento in cui l’ho detta, probabilmente non è più vera in un altro momento. Penso però che quella dichiarazione fosse in polemica con chi sostiene che esiste solo il linguaggio o, comunque, che soltanto il linguaggio possiamo conoscere. Mentre io credo che esista anche il non linguistico, il non dicibile, il non scrivibile e che lo scrivere sia appunto un rincorrere sempre questo mondo non scritto e forse non scrivibile. In tal senso il mondo è fatto anche di immagini, di pensieri: è il mondo moltiplicato le proprie immagini, le proprie trasfigurazioni. Quindi sul mondo aleggia sempre una specie di nuvola, una fantasfera, che è un’atmosfera creata dalle nostre immagini del mondo. Di queste immagini abbiamo bisogno per agire, per crescere, per operare, per giudicare. Ecco, in questo senso credo alla realtà e alla fantasia insieme, se la fantasia è l’insieme delle immagini».
«La saggezza cos’è?»
«Non vale. Lei prima mi dice che mi vuole intervistare sulla fantasia e poi mi chiede della saggezza… Mi prende in contropiede… Vediamo,.. La saggezza è una capacità di decidere, di giudicare nelle cose della vita sulla base di ciò che si è acquisito nell’esperienza. È la capacità di applicare in casi singoli quello che si è imparato in altri casi singoli completamente diversi. È qualcosa di quasi impossibile o richiede una particolare dote di astrazione e di adesione al particolare contemporaneamente ».
«La fantasia non ha niente a che vedere con la saggezza?»
«Sì, è vero, la fantasia c’entra qualcosa. Perché la fantasia è velocità nell’immaginare il possibile o l’impossibile. E’ avere in testa una specie di macchina elettronica che fa tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono a un fine o che, semplicemente, sono le più interessanti, piacevoli, divertenti. È dunque anch’essa basata su astrazione e adesione ai particolari allo stesso tempo».
«Fra fantasia e ragione vede contrapposizione?»
«No. La fantasia salta dei passaggi. La ragione senza fantasia comporta una grande perdita di tempo. Perché bisogna percorrere tutti i passaggi e anche tutti i casi che poi vanno scartati».
«Quando ha scritto la prima fiaba?»
«Da bambino leggevo molto il “Corriere dei Piccoli” e prima ancora di leggere lo sfogliavo e attraverso le figure mi raccontavo da me stesso delle storie. Facevo variazioni di storie possibili. Credo che quella sia stata una scuola di immaginazione e di logica delle immagini. Perché pur sempre di logica si tratta, soprattutto nella fiaba, che è un tipo di narrazione molto semplice e in cui tutto ha una funzione».
«Com’era il bambino Italo?»
«Non troppo sveglio, non molto precoce, non molto dotato, non molto agile».
«La fantasia la portava all’isolamento o alla comunicazione?»
«Ah, all’isolamento totale, sì. Sì. Un isolamento che è durato fino a questo momento. Tanto è vero che è forse la prima volta che ne parlo a qualcuno».
«Allora una spiccata fantasia rende più soli i bambini? »
«Naturalmente i bambini non vogliono essere diversi dagli altri. Se ero diverso, rifiutavo di ammetterlo e in fondo tutti i bambini sono fantasiosi e quindi una maggior fantasia avrebbe dovuto accomunarmi agli altri… Ma è difficile parlare della propria infanzia da adulti, soprattutto passati i sessant’anni. Penso che non si possano che raccontare fantasie sulla propria infanzia. No, credo che la mia memoria non sia affidabile…»
«Sua madre com’era?»
«Era una donna molto severa. Era anche dolce. Ma era una donna molto severa… Cosa c’entra?»
E’ qui che Calvino lancia una delle sue rare occhiate frontali. Un’altra arriva quando chiedo quale dei tre tavoli disposti in fondo alla sala sia il suo.
«Tutti e tre. Lavoro un po’ qua, un po’ là».
Il colore prevalente della casa, arredata in stile moderno, è il bianco. Vi spiccano piante verdi. Siccome il salotto, oltre che studio, è anche ingresso, la moglie dello scrittore e la figlia, una ragazza sui vent’anni, vanno avanti e indietro, rispondono al telefono, aprono la porta. Ma lui non fa caso a loro, loro non fanno caso a lui. Intorno alla fortezza il borgo è agitato e vivace, rumoroso e vitale.
«Crede in fate, streghe, elfi, gnomi?»
«Oh, che bella domanda! Fate, elfi, gnomi sono quelli che nella fisica rinascimentale si chiamavano “spiriti elementali”, proprio così, con la elle. Credo in una società di tutti gli esseri viventi, e delle piante, e degli oggetti, e delle pietre. Penso che se ho un’anima io, ce l’hanno anche i cosiddetti oggetti inanimati ».
«Lei ama giocare?»
«No, non gioco a niente».
«Vuol farlo adesso?»
«Giocare adesso? A cosa?»
«Le suggerisco delle immagini che, a giudicare dai suoi scritti, dovrebbero esserle care. Lei mi dice che fantasie le fanno venire in mente. Cominciamo con lo scheletro ».
«Lo scheletro mi pare assolutamente essenziale. È qualcosa che portiamo in noi ed è un simbolo universale. Soprattutto è dotato di una sua allegria. E di una sua funzionalità e pulizia. È un’immagine allegra. Ha uno stile, ha sempre un grande stile».
«Preferisce i magri ai grassi?»
«Ah! Alle volte penso che io interiormente sono un uomo grasso. I grassi non esistono quasi più, nel senso che non si vedono quasi più. Ma certamente ci sono ancora. Ci sono dei grassi nascosti nei magri. Amo molto la snellezza come agilità. Io sono magro, ma non sono agile. Quindi tanto varrebbe che fossi grasso».
«Torniamo al nostro gioco. Ora tocca al labirinto ».
«È un altro simbolo universale. In qualsiasi spazio possiamo trovare un labirinto. Non dimentichiamo che il labirinto è una macchina per uscire, diciamo che è una porta un po’ più complicata, è qualcosa che bisogna attraversare».
«Ma è una porta verso cosa?»
«Una porta è sempre verso il dentro e verso il fuori. I veri labirinti ci mettono nella condizione di scegliere che cosa è il dentro e che cosa è il fuori. Ogni fuori può essere trasformato in un dentro, così come possiamo considerare fuori ogni dentro e decidere che la nostra cella è l’unica libertà possibile».
«Adesso c’è l’uovo».
«Uovo. È una grande riuscita di design, è il container universale, è qualcosa che dovrebbe essere librata nello spazio, perché non può stare in piedi. Ed è, a differenza del labirinto e della porta, qualcosa per cui il dentro e il fuori sono decisamente opposti e non può esserci alcuno scambio possibile. Quello che è dentro è dentro e quello che è fuori è fuori. Quindi si pone sempre il problema del fuori. Se l’Universo è un uovo, è circondato da un non-universo. E si pone il problema di quale sia l’alto e quale il basso. A meno che non ci sia un portauovo o portauniverso ».
«E la gallina non ha alcun merito?»
«Ecco, ho detto design e lei ha subito pensato a un architetto milanese. Invece io pensavo anche alla gallina e a tutte le specie ovipare, ivi compresa la coppia uomo-donna. Perché anche l’uomo nel far diventare l’uovo un uovo ha una sua parte».
«Se una zingara le indovina passato e futuro resta incredulo o si affida alla profezia?»
«No, non rimango incredulo. Penso sia un caso di velocità mentale: il potersi rappresentare nello stesso tempo tutto il possibile ed escludere via via tutto l’improbabile. Però è solo in questa velocità che simili fatti possono avere a che fare con la fantasia. In genere gli esempi del cosiddetto paranormale appartengono a un repertorio molto noto e prevedibile e che non trovo più stimolante di tanti aspetti dell’infinità del possibile che ci si presentano anche nelle esperienze cosiddette normali».
«Pensa che l’esperienza dello scrittore sia in qualche modo medianica?»
«No, non credo, non so. Sì, è un’esperienza che ha pur sempre a che fare con la molteplicità. Cercare l’espressione adatta ogni volta è cimentarsi con un vocabolario immenso, con un repertorio di usi. Ma come sempre si tratta di circoscrivere le proprie scelte. In questo senso io non sono molto medianico, perché scrivo molto lentamente. Un tipo di ultrasensibilità dovrebbe portare a scrivere con il minor sforzo possibile. Io no, fatico come una bestia. È il caso di dire che mi guadagno il pane con il sudore della fronte».
«Si sente nei suoi romanzi e nei suoi scritti teorici una costante posizione di bilico fra fantasia e ragione, come se il tentativo di dare confini, di costringere nel cerchio della scrittura l’esistente fosse costantemente minacciato dallo sconfinamento fantastico. E così? »
«Sì, mi pare una bellissima metafora del lavoro dello scrittore. Mi ci riconosco anch’io. Lo stimolo a immaginare viene dalle restrizioni che ci si pone. Si stabiliscono le regole del gioco e in quelle si attua una quantità enorme di combinazioni, si realizza la propria libertà e si può a un certo punto anche rompere le regole. Ma se regola non c’è, non è possibile infrangerla. Le norme in letteratura sono sempre state un grande stimolo per l’immaginazione. La metrica in poesia è stimolo a costruire un verso. Nessuno può sostenere che la poesia sia diventata più immaginativa da quando è invalso l’uso del verso libero. E del resto anche il verso libero ha una metrica implicita, sottintesa».
«C’è una parte della vita che ha un legame privilegiato con la fantasia: l’amore… »
«In amore ha una parte enorme quello che gli psicoanalisti chiamano il fantasma: fra gli amanti si frappone sempre un’immagine o più immagini incorporee. Mi pare sia stato Freud a dire che ogni incontro amoroso è l’incontro fra almeno quattro persone: i due partner e i loro fantasmi. Questi fantasmi possono essere poco o tanto simili al vero; se sono totalmente separati dalla realtà non credo sia una buona cosa. Diciamo che l’incontro amoroso avviene nella realtà, accompagnato da centomila variazioni possibili nella fantasia».
«Ma gli amori sono sempre “difficili” come dice un suo titolo?»
«Bah! Tutto è difficile e molto è possibile. Ma guardi un po’ che razza di frase mi fa dire… »
Ora Calvino guarda l’orologio. È passata più di un’ora dall’inizio della conversazione.
«Avevamo detto un’ora al massimo» commenta. E la sua voce è diventata improvvisamente fredda e burocratica. Impenetrabile.
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Sono molto felice di dedicare questo spazio a Italo Calvino, uno degli autori che ho amato di più. Uno di quelli che “conservo” più nel cuore…
Come ho scritto sul post, il 19 settembre 1985 Italo Calvino moriva all’ospedale di Siena, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima nella sua villa di Roccamare.
Non sembra passato molto tempo, ma sono già trascorsi venticinque anni. Un quarto di secolo ad alta velocità, però; a cavallo tra due millenni. Un quarto di secolo che, forse, in termini di intensità e di velocità di cambiamento, non ha eguali rispetto al passato.
Sul post ho messo in evidenza due brani estrapolati dagli articoli di Marco Belpoliti e Ernesto Ferrero pubblicati sul quotidiano “La Stampa” nei giorni scorsi.
Vi propongo di ricordare Italo Calvino partendo dalle sue opere. Credo che (come abbiamo fatto in altre circostanze) sia un buon modo per “tributare” un grande autore scomparso.
Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.
1. Che rapporti avete con le opere di Calvino?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. E l’opera di Calvino che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Tra le varie “citazione” di Calvino di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Calvino ha lasciato nella letteratura italiana?
Sul post ho inserito tutto l’articolo di Ernesto Ferrero. Di seguito, pubblico l’intero articolo di Marco Belpoliti citato sopra.
Le lezioni di Calvino oggi non bastano più
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(di Marco Belpoliti – da La Stampa del 12 settembre 2010)
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Quando nella notte tra il 18 e il 19 settembre di venticinque anni fa Italo Calvino si spense nell’Ospedale di Siena, dopo che i medici avevano inutilmente tentato di salvarlo operandolo alla testa, lo scrittore ligure era arrivato quasi al culmine della sua popolarità e fama. In quei mesi era intento a redigere le sue Lezioni americane, da tenersi di lì a poco ad Harvard, il cui sottotitolo era «sei proposte per il prossimo millennio». In quelle lezioni si va dalla «leggerezza» alla «molteplicità», toccando l’esattezza, la rapidità e la visibilità. La sesta lezione sarebbe stata intitolata Consistency, coerenza. Calvino non ha fatto in tempo a scriverla, ma restano degli appunti, e si sa che si sarebbe riferita a un racconto di Melville, Bartleby.
Oggi che molte delle sue previsioni intellettuali, per quanto riguardanti in primis la letteratura, sembrano essersi avverate – la leggerezza è una delle parole passepartout del postmoderno -, forse la conferenza che ci sarebbe servita di più è quella sulla «coerenza». Bartleby, il personaggio della novella, è un impiegato di Wall Street; lavora presso un avvocato e trascrive atti giudiziari. Se non che, a un certo punto, smette di farlo, e oppone alle richieste del suo principale una frase: «Avrei preferenza di no». Un modo manierato per sottrarsi a ciò che gli è richiesto. Il racconto, che è diventato oggetto di commenti di tanti scrittori e filosofi (da Deleuze ad Agamben, da Borges a Perec), finisce tragicamente con Bartleby che si ritira su se stesso, ostinato, costringe l’avvocato a cambiare studio, resta lì, e infine messo in prigione muore d’inedia.
In questa lezione mancante si concentra tutta l’attualità e l’inattualità di Calvino, il suo appartenere allo stesso tempo al XX secolo e al XXI: un autore della transizione. Il narratore sorgivo del Sentiero dei nidi di ragno e quello riflessivo di La giornata di uno scrutatore, nonché di Palomar, è stato uno degli scrittori per cui all’idea di letteratura si accompagnava anche quella di un impegno per creare una società più giusta. Pasolini, Sciascia, Volponi, Morante, ma anche Manganelli, sono stati antifascisti, iscritti o simpatizzanti del Partito comunista, in altre parole degli intellettuali-scrittori (non scrittori-intellettuali), che hanno fatto della letteratura uno dei punti fondamentali della loro attività. Narratori, certo, ma anche saggisti, polemisti, presenti sui giornali, nelle riviste, dediti alla politica in senso forte. Prima intellettuali e poi letterati, senza piegare la letteratura alle ragioni di partito. Ma pochi anni prima che Calvino morisse, qualcosa è cambiato di colpo.
La letteratura, come questi scrittori la concepivano, è finita. Nasceva qualcosa di diverso sul piano sociale, e dunque anche letterario. A spiegarlo è un altro scrittore, forse l’unico erede di Calvino, e proprio per questo divergente da lui: Gianni Celati. È Celati a far conoscere a Calvino la novella di Melville, e anche Wakefield, il racconto breve di Hawthorne, altro riferimento di Consistency.
In entrambe le storie ci sono due personaggi che si sottraggono alla relazione sociale – lavorativa in Bartleby e famigliare in Wakefield -, alle convenzioni, in nome di una coerenza che trae il proprio fondamento da un disincanto che si è installato nella vita sociale. Con la morte di Moro e l’inizio degli anni Ottanta inizia il cosiddetto «riflusso», va in crisi la politica tradizionale, c’è la fuga dall’impegno. Finisce il mondo di cui Calvino era uno degli interpreti più ariosi, leggeri, e insieme intensi. La società umana, quella italiana, non sa più bene su cosa si fondi il legame che tiene insieme gli individui. Calvino sta su questa soglia e per molti aspetti non sa più che pesci pigliare, come si vede molto bene nei racconti di Palomar. La sua crisi era già iniziata, e si annunciava lunga e complessa.
Forse non aveva più, nonostante la sua indubbia intelligenza gli strumenti adatti per interpretare il cambiamento. Per questo si era rivolto nel 1968 a Celati, il suo Marco Polo, il viaggiatore, mentre lui retrocedeva al ruolo di Kublai Kan, il vecchio imperatore immobile delle Città invisibili, il suo capolavoro, ma anche il suo punto più alto di scacco. Tuttavia Celati non era bastato, e neppure più i vecchi e nuovi maestri parigini. All’inizio degli anni Ottanta Calvino era un intellettuale-scrittore in panne, il cui motore, perfetto e oliato, girava a vuoto. Era sospeso nel vuoto della fine del XX secolo. Somigliava sempre più a Bartleby, e come lui incarnava un lutto; e l’accentuarsi del suo manierismo letterario era anche la conseguenza del suo «avrei preferenza di no».
Ora non sappiamo cosa avrebbe scritto riguardo alla «coerenza», però un’ipotesi, seguendo il suo Marco Polo, si può formulare. Bartleby, ha scritto Celati, è la figura che pone il problema delle sacche di estraneità che si formano all’interno della vita sociale. Problema che nasce con la nascita delle grandi masse anonime nella vita urbana, «dove non si possono più nascondere le distanze assolute che separano gli individui». La solitudine è l’esperienza fondamentale della contemporaneità su cui s’innestano, pur nella loro diversità, sia il fascismo novecentesco sia il Grande Fratello. Calvino sta al di qua di questa soglia, indica il problema, ma non fornisce soluzioni. Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino.
Credo sia molto interessante questo articolo di Francesco Mannoni (con intervista a Ernesto Ferrero) pubblicato sul quotidiano “La Sicilia” del 16 settembre.
Lo pubblico di seguito…
(Dal quotidiano La Sicilia del 16 Settembre 2010)
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Il pieno e il vuoto di Italo Calvino 25 anni dopo
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A colloquio con Ernesto Ferrero, direttore del Salone internazionale del Libro, nonché allievo dell’autore di Marcovaldo: «Una lezione che non tramonta»
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di Francesco Mannoni
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A 25 anni dalla morte, Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 Settembre 1985) il 18 e il 19 settembre verrà ricordato a Torino con una singolare cerimonia inserita nell’ambito di Portici di carta, la manifestazione letteraria ideata da Rocco Pinto e giunta alla quarta edizione. La città intende così celebrare uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano con una “passeggiata letteraria” nei luoghi dell’autore di Marcovaldo, e con una “serata letteraria ” nella quale la vita di Calvino sarà raccontata attraverso la lettura di sue pagine autobiografiche.
Ne parliamo con lo scrittore nonché direttore del Salone internazionale del libro di Torino Ernesto Ferrero, che giovanissimo, negli anni gloriosi della casa editrice Einaudi, lavorò al suo fianco animato da grande passione e dall’insegnamento di un uomo che nella letteratura aveva riposto forza di volontà, coscienza, intuizioni, amori. Nel suo libro “I migliori anni della nostra vita” (Feltrinelli 2005) Ernesto Ferrero lo ricordava così: «Era brusco, Calvino, di poche parole. Per timidezza, per l’abitudine al silenzio che gli veniva dagli avi, forse per un riflesso difensivo nei confronti di un padre e di una madre autoritari, che sarebbe stato vano contrastare. L’aveva scritto lui stesso: la parola è una cosa gonfia, molle, un po’ schifosa, mentre ogni tipo di comunicazione dovrebbe essere improntato a un massimo di precisione, d’economicità “.
– Ferrero, qual è il suo ricordo di Calvino?
“Calvino è molto più che uno scrittore brillante: è uno scrittore necessario, un costruttore di microscopi e telescopi che ci insegna a vedere, un cartografo che costruisce mappe sempre più esatte del labirinto che noi stessi abbiamo costruito, e in cui ci siamo persi”.
– Com’era il suo comportamento nell’ambito della casa editrice?
“Era un grande lavoratore, al pari del suo maestro Pavese. Diceva di aver consumato la sua vita sui libri degli altri, ed era vero. Si adattava con semplicità, con umiltà al lavoro di gruppo del collettivo einaudiano. Anche quando era diventato famoso, e dunque avrebbe anche potuto imporre all’interno della casa editrice la sua autorevolezza, si guardava bene dal fare la voce grossa o battere di pugni. Al contrario. Era piuttosto deciso se si discutevano libri e autori che non gli piacevano, poteva arrabbiarsi sino allo sdegno: diceva che l’editoria si fa soprattutto con i no. Se invece doveva presentare qualche proposta sua assumeva un tono sommesso, quasi esitante. Sottolineava i difetti più che i meriti”.
– Quali furono i suoi rapporti con Calvino?
“All’inizio mi sono preso delle robuste e sacrosante bacchettate, che sono poi quelle che insegnano a lavorare. Gliene sono grato. Era un uomo notoriamente taciturno, riservato, parsimonioso (ma anche molto spiritoso), che alle parole preferiva l’etica del fare. L’ambiente einaudiano gli assomigliava: una famiglia molto coesa malgrado ospitasse forti personalità diverse tra loro. Ci si poteva anche litigare, ma mai per motivi personali, piuttosto per rendere più forte e coerente il progetto al quale lavoravamo tutti con passione”.
– Fu effettivamente, secondo il suo punto di vista critico, quel grande innovatore della letteratura quale oggi viene considerato?
“Calvino pensava la letteratura come una lunga catena, o come una rete in cui tutto si tiene. Ebbene, in questa rete vedo due ‘nodi’ che continueranno ad essere fondamentali per chi scrive come per chi legge: Calvino e Primo Levi, che tra l’altro erano amici e affini”.
– Recentemente mi è stato detto da una critica francese che Pavese è un classico mentre gli scritti di Calvino sono solo libri al pari di tanti altri originali, geniali o fortunati che siano…
“È esattamente il contrario. Pavese oggi lo leggiamo con qualche difficoltà, riflette temi e situazioni esistenziali che ci sembrano un po’ datate. Allora molto meglio Fenoglio, grandissimo scrittore che non invecchia (ma in Francia non se ne sono ancora accorti, così come è scandaloso che la Pléiade non abbia ancora dedicato un volume a Levi). Calvino risponde invece perfettamente alla definizione di classico che lui stesso ha dato: uno scrittore che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.
– I rapporti fra Pavese e Calvino, furono sempre cordiali o ci furono anche attriti?
“Il burbero Pavese è stato paterno e affettuoso con il giovane Calvino, di cui aveva immediatamente colto le grandi qualità. E lo sgomento con cui Calvino accolse la sua fine, da lui non prevista, fu profondo e sincero”.
– C’è nell’opera di Calvino un capolavoro assoluto, paragonabile a qualcuno dei libri di Pavese che sono considerati tutti capolavori?
“Non vorrei isolare un titolo in quello che è stato l’approfondimento continuo, mai ripetitivo, di una ben precisa idea di letteratura. Ma se dovessi portare un libro sull’isola deserta, sarei incerto tra i ‘Racconti’, ‘Le città invisibili’ e ‘Lezioni americane’.”
– A 25 anni dalla morte, qual è secondo lei il ruolo di Calvino nella letteratura italiana?
“Posso rispondere solo per me: io con Calvino ci dialogo tutti i giorni, quando ho bisogno di capire qualcosa mi vado a leggere le sue pagine, e trovo sempre quel che mi chiarisce le idee. Se continua a essere letto in tutto il mondo, e affascina sempre nuove generazioni di lettori è perché ci ha insegnato un modo di vedere, di fare emergere dal magma confuso delle apparenze i rapporti segreti, le linee di forza, il diritto e il rovescio, il pieno e il vuoto.”
–
(da “La Sicilia” del 16/09/2010 – pag. 23)
Per il momento mi fermo qui e vi invito – se volete – a espriemere il vostro pensiero in merito (magari provando a rispondere alle domande proposte, ma non necessariamente).
Ne approfitto per segnalarvi che qui…
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/09/21/la-camera-accanto-18/
… stiamo ricordando Michele Perriera.
A tutti voi una serena notte.
Credo che Calvino sia un autore unico. Amo i suoi libri e vado pazzo per le Città invisibili. Libro non facile, ma eccelso.
Grazie per averlo ricordato.
Massimo caro, grazie per questo post davvero sentito. Italo Calvino è stato davvero il padre della letteratura degli ultimi trent’anni. Senza di lui, senza la sua lucidità, senza il suo amore per le formule numeriche, per le algebre geometriche, per lo spazio, per i volumi, la forma, senza la sua sapienza che ha dato spessore alla pagina armonizzando parola e concetto numerico, arte e ragionamento razionale, senza le sue lezioni americane, senza il suo immenso contributo saggistico, poca cosa sarebbero secondo me le lettere odierne. Ti ringrazio per questo spazio necessario e appagante, perché fa bene a tutti tornare a parlare di un intellettuale e uno scrittore che ha cambiato qualcosa dentro di noi…
come non ricordare l’autore di Palomar, del Visconte dimezzato, delle lezioni americane e di tante altre opere “necessarie”?
grazie anche da parte mia.
Ho un buonissimo rapporto con le opere di Calvino. E’ uno scrittore che ho conosciuto nella mia gioventù. La prima opera che ho letto è stata “La giornata di una scrutatore” che mi colpì per l’ umanità dello scrutatore, appunto,che di fronte a un mondo di sofferenza mentale che un partito vorrebbe strumentalizzare, prima si indigna poi riflette e si apre ad una visione più complessa del problema. Poi ho letto “Il visconte dimezzato” dove la leggerezza serve a riflettere sulla natura umana. Nel “Barone rampante ho letto il modo, secondo Calvino, di leggere la storia: guardandola dell’ alto. Recentemente ho letto “Il sentiero dei nidi di ragno” uno dei libri più belli della letteratura resistenziale. Non sto a fare l’ elenco di tutte le opere di Calvino che ho letto. E’ uno scrittore che amo molto e sul quale ogni tanto ritorno come si va a salutare un amico. Credo che l’ eredità che ci ha lasciato Calvino sia il rigore della scrittura, un rigore non freddo ma coinvolgente, e il suo impegno civile non sbandierato ma, oserei dire, pudicamente affidato alla scelta lessicale.
Non è facile preferire un’opera di Calvino piuttosto che un’altra: ognuna è di per sè unica nel suo genere!
Non so dirvi come mi sia avvicinata a questo autore, forse ho avuto dei bravi insegnanti, o forse, è più probabile che sia stato lui ad avvicinarsi a me!
Sarà stato quel tono fiabesco che caratterizza ogni suo scritto…l’uso di un linguaggio di per sè semplice ma allo stesso tempo complesso nella sua profonda interpretazione.
E’ un autore eclettico; uno scenziato che cerca di far coniugare scienza e letteratura, che guarda il mondo ora come un fanciullo, ora come uno studioso, cercando di dare un ordine a ciò che ordine non ha.
L’opera che ho più volte riletto è “le città invisibili”, forse perchè, le descrizioni così minuziose, mi offrono un viaggio in quelle terre che Marco Polo racconta al Kublai Kan: terre inesistenti, surreali, invisibili appunto, eppure così straordinariamente “palpabili”.
Tuttavia, se dovessi associare questo autore ad un opera in particolare quella sarebbe Palomar; difatti, come la maggior parte della gente pensa, anche io ritengo che questo personaggio sia l’autoritratto di Calvino.
Infine, cito (tra i miei preferiti)un celebre aforisma di questo personaggio che è stato il padre della letteratura del Novecento italiano (bisogna ricordare che come editore presso l’Enaudi ha indirizzato gran parte della letteratura del secolo scorso),ma anche un maestro di vita per suoi contemporanei e postumi: ” A volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane”.
Un saluto a tutti
Senza dubbi… “IL SENTIERO dei NIDI DI RAGNO…”
L’ho amata e continuo ad amarla..
Grazie a Calvino, grazie a te Massimo.
Marlene
Ho amato tutto Calvino, ma soprattutto “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, che è tra i miei libri preferiti in assoluto. Mi chiedo spesso perchè, dato che molto altro Calvino forse ha uno “spessore” maggiore, eppure è il primo libro che ho letto, ce ne sono poi stati degli altri ma la prima volta è pur sempre la prima volta ;-), in cui l’autore parlava a me direttamente, proprio a me, e conosceva le mie abitudini, e l’attitudine alla stupefazione… Tendo a rimuovere le storie che leggo, trattenendo solo le emozioni e i sentimenti che mi hanno suscitato, e ogni volta che, periodicamente, lo rileggo, mi dico “Caspita, ecco perchè mi è piaciuto così tanto: è bellissimo!”
Grazie Massimo, le tue proposte di riflessione son sempre un invito vero a riflettere. Buona giornata
Calvino e la sua scrittura non mi hanno mai lasciata. Nel corso dell’anno mi capita sempre di riprendere in mano i suoi libri e leggere qualche passo.
Calvino è uno dei giganti della letteratura italiana. E non bisogna dimenticare che è uno dei nostri autori della seconda metà del Novecento più conosciuto e letto al mondo. Questo vorrà pur dire qualcosa.
Calvino è stato e rimarrà un punto di riferimento. Ma i punti di riferimento del passato non bastano per andare avanti. Ne servono di nuovi.
Per questo Belpoliti scrive “Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino”
Ovviamente, come ha scritto l’amico qui sopra, Calvino è un gigante della letteratura.
Chapeau.
Giusto e lodevole, ricordarlo.
adoro Le lezioni americane.
grazie dei vostri suggerimenti
« L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. »
(Italo Calvino, Le città invisibili, 1972)
Quella sopra è la mia citazione calviniana preferita. Una delle più famose di questo indimenticabile e indimenticato autore che è Italo Calvino.
Ottima idea quella di ricordare Calvino. Provo a rispondere alle domande.
1. Che rapporti avete con le opere di Calvino?
Molto buoni. Ho un ottimo ricordo delle letture calviniane. E la voglia di riprendere in mano certi testi è rimasta immutata.
Per es., vorrei rileggere il romanzo d’esordio: Il sentiero dei nidi di ragno.
2. Qual è quella che avete amato di più?
“Il visconte dimezzato”, che avrò letto tre volte.
3. E l’opera di Calvino che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
L’intera trilogia dei Nostri Antenati, che include anche il Visconte dimezzato.
4. Tra le varie “citazione” di Calvino di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
In questa, secondo me c’è tutto Calvino.
« Forse è arrivato il momento di ammettere che il tarocco numero uno è il solo che rappresenta onestamente quello che sono riuscito ad essere: un giocoliere o illusionista che dispone sul suo banco da fiera un certo numero di figure e spostandole, connettendole e scambiandole ottiene un certo numero di effetti. »
(Italo Calvino, La Taverna dei Destini Incrociati, 1973)
5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Calvino ha lasciato nella letteratura italiana?
L’eredità sono i suoi scritti (romanzi, saggi, articoli) di grandissimo valore. Come “eredità vera e propria” primeggiano le lezioni americane le quali, checché se ne dica, secondo me rimangono attuali.
intervengo dopo. intanto segnalo questa intervista rilasciata da Pietro Citati su Italo Calvino http://firenze.repubblica.it/cronaca/2010/09/15/news/citati_in_maremma_trov_un_altra_patria-7088662/
E’ indubbio che Calvino abbia rappresentato per me, e continui a rappresentare, la conferma che l’uomo può andare oltre la realtà di tutti i giorni, entrando in uno spazio indefinito e del tutto autonomo nel quale finisce con il comprendere meglio proprio quella realtà da cui è evaso.
Il fantastico in Calvino non è fatto per stupire, ma per spiegare, in una sorta di compendio di metafore che hanno il grande pregio di educare divertendo.
Per quanto ovvio il mio rapporto con i suoi romanzi non è di amore-odio, ma di apprendimento e di comparazione fra ciò che vedo ogni giorno e ciò che mi spiego grazie alla lettura delle sue opere.
Pur amante del genere il romanzo che più mi sta a cuore è forse quello in cui l’elemento fantastico non è dominante, ma si presenta a sprazzi in modo intelligente, a rafforzare situazioni e concetti. Mi riferisco al Sentiero dei nidi di ragno, la sua prima opera, improntata per certi versi al neorealismo verghiano, pur se interpretato in maniera del tutto autonoma.
Credo invece che il suo lavoro più rappresentativo e in ogni caso di maggior valore sia Le città invisibili, grazie anche al concetto espresso e volto al ritorno della città al passato, in una dimensione più umana e più consona alle effettive innate esigenze dell’individuo, e non quindi frutto di imposizioni dall’alto.
In questo rifiuto di lacci, lacciuoli, di norme comportamentali, speso derise in altre sue opere, come, per esempio nel Barone rampante, si nota un Calvino attento alla natura umana, di per sé libera alla nascita dell’individuo, ma poi imprigionata in condizionamenti che ne limitano la grande potenzialità. Il suo è un amore per la libertà che comincia proprio con Il sentiero dei nidi di ragno, con una Resistenza che fa da contorno alla vicenda di un bimbo che assume lentamente coscienza e che va alla fine verso l’ignoto alla ricerca del suo mondo.
Il fatto che oggi se ne parli, che si ricordi questo grandissimo scrittore è la prova che ha lasciato un segno indelebile nella letteratura non solo italiana, con quel suo fantastico così particolare, tutto teso a spiegarci come va il mondo.
ITALO CALVINO «L’umano arriva dove arriva l’amore»
di Alessandro Banfi
….
Italo Calvino.C’era una volta uno scrittore che ci diede il gusto di leggere Ariosto, di raccontare una fiaba, di sognare un’intera esistenza su un albero. Ma anche di scrivere la prosa in endecasillabi. Si chiamava Italo Calvino, nome affascinante ed autentico nonostante le apparenze. È morto venticinque anni fa in un ospedale di Siena, lasciandoci il disagio di non aver letto abbastanza della sua arguta letteratura. Della sua critica letteraria, ma anche della sua narrativa. E qui non si vuol dare un giudizio di valore, giudizio che tanto tempo non ha chiarificato e che divide i critici. Fu un grande, ma fra i minori del Novecento, per citare ciò che scrisse il grande Geno Pampaloni quando morì? Oppure è un genio assoluto anti-manzoniano, come sostenne Goffredo Parise, in una visione certamente condivisa ancora oggi dal suo amico Eugenio Scalfari, fondatore de la Repubblica?
Difficile entrare in questa disputa con una opinione definitiva. Per me, lettore appassionato, Calvino è innanzitutto un amante della parola e del meccanismo narrativo. Un autore razionale e illuminista, sempre alla ricerca della verità, quasi scientifica. Un empirista, per cui i sensi contano, quando spalancano all’immaginazione. Prima e nonostante ogni teorizzazione e sovrastruttura. Come i suoi genitori amarono la natura attraverso la botanica, così fin da giovane lui scopre nel linguaggio e nel racconto la chiave, quasi scientifica, per redimere la realtà, per attutirne i dolori ed evitarne le trappole. Per cercare, nella nostra vita labirintica e oggettivamente ironica, il percorso per arrivare alla compiutezza. Passando attraverso il neo realismo de Il sentiero dei nidi di ragno alla favola urbana del Marcovaldo. Con Calvino si va sulla luna, come accade con l’Ariosto, ma si attraversa anche la storia, come capita con Manzoni.
Certo, l’impressione è che tanta letteratura in lui tenga lontana la vita. Quella violenta e vera di tutti i giorni. Ma non è così. Dall’apparenza algida, dalla leggerezza ariostesca si passa a volte ad un registro autenticamente coinvolgente ed emotivo che centra la questione. Scrive ne La giornata di uno scrutatore: «L’umano arriva dove arriva l’amore». Ed è davvero così: il suo approccio razionale, scientifico alla realtà, convive con una poderosa fantasia. Si risolve nell’immaginazione. Il suo apparente distacco emotivo non cancella il cuore, ma anzi lo ripropone spesso come istanza ultima al termine di un tragitto. Come accade per tutti i geni (Calvino insieme a Primo Levi è lo scrittore italiano del Novecento più conosciuto al mondo), il suo racconto alla fine pone una domanda sulla verità. La sua ricerca, basti pensare alla raccolta stupenda delle Fiabe italiane, arriva a porre la questione dell’identità dell’uomo e del suo paragone col destino. Il suo oscillare fra prosa e poesia (persino nel suo Se una notte d’inverno un viaggiatore) porta al nocciolo duro della narrazione e della lingua. Ed al fondo di essa, come nei primi versi della Genesi e del Vangelo di Giovanni, c’è una profondità e una luce che riguarda il rapporto misterioso e insieme storico fra essere umano e Dio. Come per Primo Levi ci resta il rammarico di non avergli parlato, di non averlo incontrato o fatto incontrare con qualcuno che potesse comunicargli davvero l’unica storia che conta. La grande narrazione che oggi ci salva. Ma questo vale per tutti, tutti i giorni. Persino per noi stessi e per il nostro vicino di metropolitana, che sentiamo estraneo e a cui non abbiamo il coraggio di dire: vieni e vedi, l’allegria c’è in questo mondo.
di Josephine Condemi
…………………
Quelli della mia generazione (anni 90) lo collegano, a volte, a “Il Barone rampante”, il testo che per la maggiore si fa studiare a scuola, ma di fretta, in quinto, che già l’anno scolastico è finito e bisogna prepararsi agli esami di stato (infatti molti non ci arrivano neanche col programma, ma questa è, forse, un’altra storia).
Il mio “incontro” con Calvino è avvenuto invece proprio sui banchi di scuola, con “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. E mi si è aperto un mondo. Si parla spesso (sempre tra gli addetti ai lavori!!!!!) del “primo Calvino”, quello neorealista de “Il sentiero dei nidi di ragno”, quello della Resistenza, dell’impegno etc etc, si guarda al periodo “fantastico” (quello della trilogia cui appartiene il suddetto “Barone rampante”) sempre in relazione all’ “impegno” e si “snobba” abbastanza il “secondo Calvino”, quello del periodo “combinatorio”, “bollato” come una serie di “esercizi di stile” di un intellettuale che per un mondo ormai in crisi aveva perso la sua funzione “civile” e non si spingeva a dare risposte, rimanendo “sulla soglia” (v. uno degli ultimi articoli di Belpolito su “La Stampa”).
Il problema è che per Calvino più che per altri è pressoché impossibile, a mio avviso, parlare di “periodi”. Proprio perché lo stesso autore si dedicava a più “filoni” contemporaneamente (così che nel ’67 pubblica gli “Appunti sulla narrativa come processo combinatorio” e l’anno successivo “Ti con zero”, appartenente al periodo “fantastico”) e fino all’ultimo rivedeva, aggiustava, correggeva le riedizioni delle sue opere, integrando le parti scritte successivamente (è il caso de “Le cosmicomiche”).
Se però dobbiamo “stare” a queste terminologie accademiche, io credo (al contrario di molta critica attuale) che il Calvino che ha più da dire ai ventenni di oggi e di domani è proprio quello del periodo “combinatorio” e “fantastico”. Proprio in quest’ordine. Proprio perchè la dimensione prevalente in questi due “periodi” è il gioco. Il gioco inteso come collaborazione tra autore e lettore, sempre più parte attiva nel testo. Un gioco che si fa esplicito proprio in “Se una notte d’inverno un viaggiatore” ma che è presente in tutta la produzione combinatoria e fantastica, con tutta una serie di allusioni che strizzano l’occhio al lettore più attento e di-vertono per tornare al punto in maniera più mirata.
Un gioco “serio”, che parte da tutta una serie di considerazioni di carattere epistemologico e filosofico (oltre che storico-letterario), di una “crisi” che può diventare un’opportunità (una delle formulazioni più complete si ha ne “La sfida al labirinto” e ne “Le città invisibili”).
Un gioco che parte proprio dal “mettersi in gioco”… Se la “definizione è un confine”, come ha scritto Gentile, poiché circoscrive solo la parte che si prende in esame e lascia in ombra il resto (e tuttavia, aggiungiamo noi, è necessaria per una qualsiasi descrizione, insomma, per metterci d’accordo momentaneamente su ciò di cui parliamo), Italo Calvino lo sapeva e infatti oscillava continuamente tra “Il cristallo e la fiamma” (uno dei suoi saggi più affascinanti) tra la regolarità e lo scarto, l’invarianza e il mutamento, tra la sua anima “scientifica” e quella “umanistica”.
Un gioco che si proponeva, a dire dello stesso Calvino, come una metafora del vivere (memorabile la sua rilettura de “L’Orlando furioso” dell’Ariosto, con tutti che cercano tutto e trovano quello che non cercavano!).
Leggerezza (come “alleggerimento” della cultura da orpelli inutili), Rapidità (continuità e discontinuità del ritmo narrativo), Esattezza (come limite che tende all’infinito), Visibilità (immagine mentale tramutata in parola), Molteplicità (rete, enciclopedia “aperta”), e “Coerenza” (o “Consistenza”?): questi le sue sei proposte per il Terzo Millennio, che avrebbe dovuto esporre ad Harvard in una lezione magistrale (prima di lui, solo Eliot, Stravinsky, Borges, Frye, Paz).
Sono diventate il suo testamento, la lezione di un maestro che ha ancora molto da insegnarci.
Non dimenticherei il suo ruolo di traduttore: la versione italiana di “I fiori blu” di Raymond Queneau, dovuta alla sua penna, è un altro capolavoro.
Quanto all’autore idi testi originali (racconti, romanzi, saggi) molto è già stato detto e non posso che associarmi. Nella cultura italiana contemporanea è stato uno dei pochi di vero grande respiro internazionale.
Difficile scegliere un libro come più rappresentativo, o il mio preferito (non saprei scegliere neanche quale solo all’interno della trilogia degli antenati) .
quando si parla di un gigante come Calvino si nota che, a differenza di altri grandi autori, scegliere il suo capolavoro è meno semplice, e forse ciò è anche dovuto alla predilezione Calvianiana per la narrativa breve (evviva!). Scelgo così il racconto sull’ultimo dinosauro (onestamente non ricordo il titolo) e il racconto sulle formiche argentine, e poi Marcovaldo, che non è sicuramente il suo capoalvoro, però, e che ci possa fare… mi piace un sacco.
ricordo una vecchia intervista a bruce sterling in cui gli veniva chiesto perché in italia non si faceva così tanta fantascienza (o qualcosa del genere) e Sterling rispondeva (vado a braccio, scusatemi): ma in Italia avete Calvino, che ha scritto splendidi libri di fantascienza.
Calvino e le sue opere al limite dell’immaginazione. Ancora oggi mi affascina quel libro, omaggio a Marco Polo, Le città invisibili. Lo scelgo spesso come regalo agli amici. I suoi libri son passati fra mani giovani e adulte, in tutti ha lasciato il segno e l’attesa di un suo erede.
…”la città esiste e ha un semplice segreto: conosce solo partenze e non ritorni.”
un saluto Massimo
Calvino e le sue opere al limite dell’immaginazione. Ancora oggi mi affascina quel libro, omaggio a Marco Polo, Le città invisibili. Lo scelgo spesso come regalo agli amici. I suoi libri sono passati fra mani giovani e adulte, in tutti ha lasciato il segno e l’attesa di un suo erede.
…”la città esiste e ha un semplice segreto: conosce solo partenze e non ritorni.”
un saluto Massimo
Calvino e’ il mio autore preferito. Non per essere polemico, ma se fossimo in un paese che non e’ l’Italia sarebbe stato celebrato in ben altro modo. In maniera piu’ degna di un grande del suo calibro
Complimenti comunque a letteratitudine per l’iniziativa
Quando si dice telepatia.
Stavo pensando al fatto che mi sento ai tempi della decadenza dell’impero romano ed è quello che leggo qui. Serendipità?
Calvino.
Ricordo ancora la trepidazione gioiosa quando la professoressa delle medie mi mise in mano le FIABE ITALIANE. Un’esperienza di lingua, di storie che mi viene in mente adesso, ripensando al fatto che da 25 anni siamo più poveri. Chissà cos’avrebbe pensato Calvino di quest’epoca sciagurata, di un’Einaudi svenduta alle logiche del mercato.
E poi, sempre a scuola, la trilogia degli antenati, fantastica.
E Marcovaldo, lunare e straniato.
E poi l’Università, il Calvino strutturalista, le lezioni americane…
Un maestro, una delle pietre miliari della mia formazione.
Come posso non rispondere, io che abito a Sanremo, ho studiato al liceo Cassini, conosco Libereso e mi chiamo come una città invisibile?
1) i rapporti con le opere sono un po’ viziati dal fatto di cercare in molte di esse il riferimento a luoghi della città o a persone che ho conosciuto o di cui ho sentito parlare, quindi c’è una familiarità che in genere non si ha con uno scrittore.
2) sono incerta tra Fiabe Italiane, che naturalmente è un’opera divulgativa molto particolare, Marcovaldo e Il sentiero dei nidi di ragno, che pur è un po’ immatura.
3) certamente la Strada di San Giovanni, che secondo me rappresenta Calvino in vari momenti della sua vita e evidenzia nella parte omonima il suo essere ligure.
4) Naturalmente
“A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili. […] Riedificano la città di Ersilia altrove. […] Poi l’abbandonano e trasportano ancora più lontano sé e le case. Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.”
5) la leggerezza,che tuttavia sottintende un forte spessore narrativo e di costruzione del testo
se una notte d’inverno un viaggiatore….il barone rampante….il sentiero dei nidi di ragno…Marcovaldo…le città invisibili…che eredità ci ha lasciato questo grande scrittore..!ringrazio il mio professore di lettere al Liceo che mi “iniziò” alle letture calviniane, da allora non ho mai smesso di apprezzare Calvino ed i suoi scritti ai limiti dell’inverosimile, affascinanti nelle parole e nei meccanismi narrativi. Consiglio spesso ai miei alunni di leggere Calvino.
@ Caro Massi, come hai ben evidenziato, Italo Calvino morì nel nostro antico Ospedale Santa Maria della Scala, oggi divenuto un magnifico ed elitario spazio museale.
Il Comune di Siena e il mondo intellettuale ed artistico della nostra città, dal 16 al 19 Settembre 2010, si sono subito attivati, con un fitto e variegato programma ( alcuni incontri , due mostre e spettacoli in luoghi diversi) per onorare e ricordare uno dei più grandi autori della Letteratura Italiana .
Giovedì 16, alle 16, 30 nel Foyer del Teatro Comunale dei Rinnovati, si è tenuta l’inaugurazione della Mostra del valido artista senese Fabio Mazzieri, ispirata alla narrativa calviniana “Le Cosmicomiche “, dal titolo” Senza colori 1980/2010”. I 28 dipinti sono stati realizzati
su carta, con tecnica mista.
Alle ore 18,00 sempre del giorno 16, nel complesso museale Santa Maria della Scala, a cura della Fondazione Mondadori, è stata presentata una pregevole Mostra bibliografica dal titolo:-
“ Calvino Tradotto”, pare in più di 45 lingue e da 64 editori stranieri.
(Le opere provengono dall’Agenzia Letteraria Internazionale e sono conservate nella suddetta Fondazione Mondadori.)
Dopo la mostra, il folto pubblico ha potuto visionare, le video – interviste di Calvino, tratte dall’Archivio della Radio Televisione Svizzera e Italiana.
L’ interessante iniziativa senese, ha così ampiamente dimostrato quanto sia stata essenziale e meritoria, l’attività editoriale per promuovere far conoscere la nostra cultura italiana all’estero.
Il 17 settembre alle 10,30 e poi alle 16,00 pomeridiane, al Santa Maria della Scala , si è aperto un denso Convegno di Studi “ CALVINO LEZIONI SENESI”, con i dotti interventi dei noti studiosi:- Mario Barenghi, del traduttore inglese Martin Mc. Laughlin e di Francesca Serra.
Alle 17,30 – Nel suggestivo Cortile del Podestà, gli attori di – Aresteatro, hanno declamato agli intervenuti “ Il Castello dei destini incrociati”.
Lo spettacolo era liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Italo Calvino. Ha curato il progetto e l’accorta regia il bravo attore Francesco Burroni.
Alle ore 21,30 nel Teatro dei Rinnovati, è stata presentata Danny Rose “ L’illusionista”- Opèra Lumiére, da un idea originale di Sergio Carrubba, che ha curato anche la regia insieme a Daniela Schiavone.
L’ideazione e realizzazione delle immagini erano di Paola Ciucci e Lucia Frigoli, il disegno e le luci di Pasquale Mari.
Sabato 18 settembre – ore 15,30, presso L’orto de’Pecci “Pleiades”
– La fantasia è un posto dove ci piove dentro – Se un pomeriggio di settembre qualche amico.
Una simpatica animazione, con storie. laboratori creativi, che hanno fatto giocare e divertire i bambini.
Ore 21,15 Nel Teatro dei Rinnovati – Teatro Alkaest – si è potuto assistere a una godibile serata di – letture sceniche, – tratte dalla trilogia di Calvino ( Il Barone Rampante, Il Cavaliere Inesistente,
Il Visconte Dimezzato)
Domenica 19 settembre alle ore 15,30 – in Piazza del Campo, dentro il Cortile del Podestà ” Pleiades” -La fantasia è un posto dove ci piove dentro – Ma le mucche si mettono gli sci per andare in montagna? Ancora una giocosa animazione con laboratori per bambini –
– Oltre la superficie della pagina – era una gradita performance e musica dal vivo, per iragazzi più grandi.
Ore 21, 00 nel Cortile del Potestà – Teatro02 – Il Cielo sopra Calvino,
è iniziata una maratona di “ lettura cosmica collettiva” attraverso il mondo calviniano, che partendo dalle ” Città invisibili, Le Cosmicomiche e infine ” Palomar”, hanno fatto rivivere l’immaginifica opera
dello scrittore, con un viaggio onirico, ricco di luci di immagini e con uno straordinario accompagnamento musicale.
“ L’opèra Lumiére”, allestita a Siena, per tale felice commemorazione, inizierà un lungo tour in altre città italiane e straniere.
*****
@Dolce Massi, ho cercato di descrivere i numerosi eventi, per sommi capi .Non rimane che inviare un caro abbraccio letterario a Te
e agli amici del blog.
Tessy
Di Calvino amo soprattutto la trilogia fantastica, ma nel complesso ritengo che tutte le sue opere appartengano alla grande letteratura. Il magico, il surreale hanno sempre avuto grande ascendenza su di me. Un personaggio e un intellettuale di assoluto spessore internazionale, con un occhio particolare alla natura e alla libertà degli esseri umani. Condivido in pieno l’analisi che ha fatto Renzo e più su Luigi La Rosa.
Caro Massi, è una ricorrenza che non si può davvero tralasciare.
Per me Calvino è, da sempre, l’approccio con lo sguardo, con quella capacità tutta interiore di percepire la realtà e di travasarla nella parola. La sua grande lezione sta nel fare della percezione una voce narrante e di strutturare la storia allargando a tal punto il battito pulsante del cuore, da creare un mondo. A ben vedere tutti i mondi di Calvino non sono che la dilatazione immaginifica e trasbordante della sua realtà interna, della trasformazione in essa del fuori, e della restituzione a noi attraverso questo mirabolante viaggio.
Per questo amo moltissimo “Il sentiero dei nidi di ragno” e ho sentito ronzare in me le scoperte di Pin, la sua meraviglia incontaminata pur da figlio della guerra, da bambino già anziano, che ha un’innocenza feroce e tuttavia saggia. Matura.
Credo che far coabitare in questo modo la purezza e il male, farli innestare l’uno sull’altro in una combinazione pietosa, commossa, fragilissima, sia il segno di un’arte assolutamente completa e viva. Perchè la resistenza non è solo l’esperienza di un periodo storico, ma della condizione umana in generale, della feroce lama del forte sul debole, e del grido – rassegnato, ottuso, spaesato – di chi oltre a subire lo smacco degli eventi, deve farlo suo come un destino e conviverci.
Grazie Massi per avermi ricordato una delle mie scoperte letterarie più belle. La voce di questo bambino. Che possa tuonare – e forte – anche adesso.
«Verrebbe voglia di buttare il falchetto nella grande aria della vallata e vederlo aprire le ali, e alzarsi a volo, fare un giro sulla sua testa e poi partire verso un punto lontano. E lui, come nei racconti delle fate, andargli dietro, camminando per monti e per pianure, fino a un paese incantato in cui tutti siano buoni. Invece Pin depone il falchetto nella fossa e fa franare la terra sopra, con il calcio della zappa».
Da: Il sentiero dei nidi di ragno
ciao Massimo, è da un po’ che non faccio un salto qua, ma questa non me la potevo perdere.
quando penso a Calvino penso a qualcuno che ho perso troppo presto, mi sarebbe piaciuto avere qualche anno in più e avere la consapevolezza piena di quanto fosse grande quando era ancora vivo. insomma, quasi un amico immaginario, ecco…
Il barone rampante e Fiabe italiane, prima di tutto. Letti e riletti. Ma pure tutto il resto.
L’opera più grande che ha lasciato è lui stesso, tutto quello che ha fatto. La sua persona, la sua riflessione sulla letteratura, sulla lingua, la sua testa pensante, la sua coscienza civile e coerenza morale e intellettuale. Merce rara, di questi tempi.
E la sua eredità, temo, non sono stati in molti a coglierla. Forse è stato meglio così, che se ne sia andato prima di vedere lo squallore attuale della “cultura” italiana.
Un abbraccio (ti leggo sempre, anche se sono un po’ pigra, ultimamente… 🙂
@Giorgia. Ma tu hai qualche anno in più, solo che non te ne rendi conto.
Cari amici, ringrazio tutti per i numerosi e bellissimi commenti.
Ne approfitto subito per salutare: Donato, Anita, Luigi La Rosa, Franca Maria Bagnoli…
E grazie a: Ida, Marlene Carboni, Stefania, Antonio Mirabile, Sara, Federico…
Saluti e ringraziamenti anche a: Anna D’Elia, Renato Occhipinti , Amelia Corsi…
Belle le disamine di Renzo Montagnoli, Carlo e Simona.
E non mi dimenticherò di certo di ringraziare anche Lorella, Ang, Anna Maria Ercilli, Salvo Zappulla, Ruben, Maria Lucia, Ersilia Ferrante, Chiara
Un ringraziamento speciale a M. Teresa Santalucia Scibona (la dolce Tessy) per la sua ottima relazione senese-calviniana.
E un caro saluto a Giorgia (bentornata!).
Egregio Massimo,
sono stati trovati tacquini molto interessanti dove Italo Calvino disegnava figure, storie fantastiche, paesaggi, accanto ai quali annotava versi o addirittura poesie. Forse è proprio da lì che nascevano i suoi bellissimi racconti, di cui è maestro del “racconto breve”.
Una delle immagini più belle che Calvino abbia dipinto con la parole, è stata la scomparsa di Cosimo (protagonista del Barone Rampante) dall’albero al cielo…
Vorrei aggiungere che Italo Calvino è uno dei pochi scrittori che si presta alla narrativa figurata, intendo dire che è stata ed è fonte d’ispirazione per chi si occupa di arti grafiche.
Grazie
salutoni
Cara Rossella,
grazie anche a te per il tuo intervento.
Nel frattempo ho aggiornato il post inserendo un’intervista che Italo Calvino rilasciò a Sandra Petrignani nel 1985.
La suddetta intervista fu pubblicata su “Il Messaggero”… e poi in volume.
@ Sandra Petrignani
Carissima Sandra, ti ringrazio di cuore per aver messo a disposizione mia e di Letteratitudine questa bella intervista.
(Invito tutti a leggerla e – se volete – a commentarla).
Mi permetto ancora una volta di segnalarvi il pezzo di Domenico Calcaterra sulla recente scomparsa dello scrittore Michele Perriera.
Lo trovate qui, ne “La camera accanto”: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/09/21/la-camera-accanto-18/
Il post e la discussione rimangono aperti per ulteriori interventi.
Ri-scrivo di seguito le domande del post…
1. Che rapporti avete con le opere di Calvino?
–
2. Qual è quella che avete amato di più?
–
3. E l’opera di Calvino che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
–
4. Tra le varie “citazione” di Calvino di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
–
5. A venticinque anni dalla morte, qual è l’eredità che Calvino ha lasciato nella letteratura italiana?
DIMENTICAVO!!!
Desidero segnalarvi la prossima puntata di “Letteratitudine in Fm” che andrà in onda venerdì mattina (h. 12.30 circa) su Radio Hinterland.
Avrò come ospite (oltre Silvia Avallone)… udite, udite… Italo Calvino.
Cosa significa?
Per scoprirlo dovrete ascoltare la puntata.
Per informazioni sugli orari e modalità di ascolta vi rinvio a questa pagina:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/
A tutti voi, una serena notte.
Davvero bello leggere tutti questi pensieri e testimonianze dedicate a Calvino. Come potrei aggiungere a quanto è già stato detto?
Credo poco.
Dunque, piuttosto che rispondere alle belle domande poste preferirei riportare alcune citazioni di Calvino, indicando la fonte nello spazio nome del commento come ho visto hanno fatto anche altri.
Sto cercando le citazioni…
A un certo punto era solo questo rapporto a interessarmi, la mia storia diventava soltanto la storia della penna d’oca della monaca che correva sul foglio bianco. (da I nostri antenati, p. XIX)
C’è una persona che fa collezione di sabbia. Viaggia per il mondo, e quando arriva a una spiaggia marina, alle rive d’un fiume o d’un lago, a un deserto, a una landa, raccoglie una manciata d’arena e se la porta con sé. Al ritorno, l’attendono allineati in lunghi scaffali centinaia di flaconi di vetro entro i quali la fine sabbia grigia del Balaton, quella bianchissima del Golfo del Siam, quella rossa che il corso del Gambia deposita giù per il Senegal, dispiegano la loro non vasta gamma di colori sfumati, rivelano un’uniformità da superficie lunare, pur attraverso le differenze di granulosità e consistenza, dal ghiaino bianco e nero del Caspio che sembra ancora inzuppato d’acqua salata, ai minutissimi sassolini di Maratea, bianchi e neri anch’essi, alla sottile farina bianca punteggiata di chiocciole viola di Turtle Bay, vicino a Malindi nel Kenia.
ITALO CALVINO
(da Collezione di sabbia)
Chi ha l’occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi.
ITALO CALVINO
(da Marcovaldo)
Il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto. Finché il primo libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può usare una sola volta nella vita, il primo libro già ti definisce mentre tu in realtà sei ancora lontano dall’esser definito; e questa definizione poi dovrai portartela dietro per la vita, cercando di darne conferma o approfondimento o correzione o smentita, ma mai più riuscendo a prescinderne.
ITALO CALVINO
(dalla prefazione del 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno)
La vita d’una persona consiste in un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a un’architettura interna.
ITALO CALVINO
(da Palomar)
Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente anche gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra.
ITALO CALVINO
(da un’intervista con gli studenti di Pesaro, 11 maggio 1983, in Il gusto dei contemporanei, Quaderno n. 3, Italo Calvino, Pesaro 1987, p. 9)
Ciao Massimo, ciao a tutti gli amici di letteratitudine!Ottima cosa ricordare un grande grandissimo Calvino che io ritengo un vero “esploratore” della letteratura, una lezione indimenticabile e fortemente attuale, da rileggere per chi lo avesse già letto da conoscere per quelli che non l’abbiano ancora fatto.Anche se penso che Calvino si apprezzi di più con la maturità. Amo Le città invisibili e la forza evocativa di luoghi che potrò visitare esclusivamente con la mente.Forse ci sarebbe la mia città lì.Mi sono gustata i racconti di Amori difficili, lo adoro soprattutto nella sua brevità, incisivo, scalfisce ogni segno dell’umanità e ti lascia una traccia dentro.Un concentrato di tante arti, un mito.
Vorrei solo segnalarvi la sua posizione nei confronti dei classici- mi pare che non sia stata riportata già altrimenti scusate-.
“D’un classico ogni rilettura
è una lettura di scoperta come la prima. D’un classico ogni prima lettura
è in realtà una rilettura.”
“Un classico è un’opera che provoca incessantemente
un pulviscolo di discorsi critici su di sé,
ma continuamente se li scrolla di dosso.”
“I classici sono libri
che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire,
tanto più quando si leggono davvero
si trovano nuovi, inaspettati, inediti.”
“Chiamasi classico un libro che si configura
come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani.”
“Il «tuo» classico è quello
che non può esserti indifferente e che ti serve
per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.”
Calvino è certamente un “mio” classico, come di tutti voi che lo amate.
grazie Massi, un abbraccio a tutti, alla Simo sempre bravissima e dolce speciale!
AFFARI ITALIANI: La Avallone e ‘Calvino’ ospiti in radio di Maugeri
http://www.affaritaliani.it/culturaspettacoli/la_avallone_calvino_ospiti_in_radio_di_maugeri230910.html
questa pagina sembra quasi uno speciale dedicato a Calvino. la consiglierò senz’altro ai miei studenti.
lancio una proposta. oltre alle opinioni e impressioni personali, perché non inserire anche notizie più approfondite sulla vita e sulle opere di Italo Calvino? in tal modo chi arriva qui tramite motore di ricerca, come ho fatto io, troverebbe informazioni dettagliate a 360 gradi.
Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno.
ITALO CALVINO
(da Eremita a Parigi)
Bravo Massimo, splendido veramente questo speciale su Calvino. Uno dei nostri autori preferiti segnalo per chi ama oltre che leggere ascoltare i contributi dedicati a Italo Calvino in alcuni delgi audiolibri da noi pubblicati:
LE CITTA’ INVISIBILI ( selezione ) http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/48/Italo-Calvino—-Le-Citta-Invisibili-riduzione—CD.html
Tre racconti:’L’ultimo canale’, ‘L’avventura di una bagnante’ e ‘Tutto in un punto’ http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/129/Italo-Calvino–Racconti-1—download.html e ancora per i ragazzi due fiabe L’uccel bel-verde e La foresta-radice-labirinto http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/55/Italo-Calvino—L-Uccel-bel-verde-e-La-Foresta-radice-labirinto—CD.html. Inoltre abbiamo inserito il racconto ‘I figli di Babbo Natale’ nella raccolta in audiolibro RACCONTI ITALIANI DI NATALE http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/267/Racconti-italiani-di-Natale—-download.html, nella raccolta di racconti dal titolo IL GATTO è stato scelto ‘Il gatto e il poliziotto’ di Calvino: http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/149/Il-Gatto–Racconti-dautore—download.html. Mi piace segnalare anche l’audiolibro, disponibile anche nel nostro sito in formato digitale, MARCOVALDO, letto da Marco Paolini con le musiche di Massimo Nardi e Gianluca Ruggeri, eseguite dal gruppo Tanit, con uno splendido Paolo Fresu, prodotto e pubblicato dalle Edizioni Full Color Sound, di Roma http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/240/Italo-Calvino–Marcovaldo-ovvero-Le-stagioni-in-citta—download.html.
Grazie a tutti per questo tributo virtuale a Italo Calvino.
Un caro saluto con abbraccio a Massimo e a tutti gli amici di Letteratitudine.
Grazie mille per i nuovi commenti.
@ Amedeo Villari
Grazie mille per le citazioni.
@ Francesca Giulia
Cara Fran,
grazie tante anche a te per gli splendidi contributi.
@ Loretta
Mi pare una buona idea, quella di inserire notizie più approfondite sulla vita e sulle opere di Italo Calvino.
Vuoi farlo tu?
L’importante è evitare di inserire testi molto lunghi in un unico commento (stancano la vista). Meglio spezzarli, per favorirne la visualizzazione.
Grazie di cuore ad Affari Italiani per aver segnalato l’intervista radiofonica “impossibile” a Italo Calvino.
L’ho fatto con il cuore, per rendere omaggio a questo grande autore che molti di noi hanno amato e continuano ad amare attraverso la lettura delle sue pagine.
Spero di non deludervi.
Caro Massi,
un Italo Calvino inedito è quello che emerge dalle lettere d’amore all’ attrice Elsa de’ Giorgi. E’ un Calvino intimo, lontano dallo scrittore «freddo» e intellettuale di cui spesso parlano i critici. La sua storia d’ amore con Elsa (di dieci anni più vecchia), cominciata nel ’ 55 e finita nel ’ 58, circolò nel mondo della letteratura italiana, ma se ne sa pochissimo. Dell’ epistolario, conservato dal ’ 94 nel Fondo Manoscritti di Pavia, alcune carte furono rese note nel ’ 90 dalla stessa de’ Giorgi.
Ti riporto di seguito alcuni stralci
La trasmissione va in Fm a Milano, Pavia e dintorni (Fm 94,600)… ed è ascoltabile via Internet da qui:
http://www.radiohinterland.com/streaming/radiolimpia.asx
“…Certo, il mio amore per te è nato come una protesta di individualista (e quindi d’altera solitudine) protesta contro tutto un clima mosso da un bisogno profondissimo, ma con un significato generale, una lezione per tutti, di non-rinuncia, di coraggio alla felicità. Come questa lezione si tradurrà nell’opera creativa è ancora da vedersi…”
Dall’epistolario ad Elsa
Ci siamo incrociati! E’ geniale l’idea di questa intervista! Bravissimo, Massi!
Grazie, Simo… davvero interessante il Calvino inedito e innamorato che proponi!
Aspetto di leggere gli stralci…
Se mi mancasse il tuo amore tutta la mia vita mi si sgomitolerebbe addosso. (…)
——–
(…) Tu sei un’eroina di Ibsen, io mi credevo un uomo di Cechov. Ma non è vero, non è vero. Gli eroi di Cechov hanno la pateticità e la nobiltà degli sconfitti. Io no: o vinco o mi annullo nel vuoto incolore. E vinco, vinco, sotto le tue frustate. (…)
———
(…) No, cara, non hai nulla dell’eroina dannunziana, sei una grande donna pratica e coraggiosa, che si muove da regina e da amazzone e trasforma la vita più accidentata e difficile in una meravigliosa cavalcata d’amore. (…)
——–
(…) Ho la tua lettera dal treno – Cara, amore – Ho sempre un’apprensione quando apro una tua lettera e uno slancio enorme di gratitudine e amore leggendo le tue parole d’amore. Il ritratto del giovane P.P.[Pier Paolo Pasolini, ndr] è molto bello, uno dei migliori della tua vena ritrattistica, di questa tua intelligenza delle personalità umane fatta di discrezione e capacità di intendere i tipi più diversi, questa tua gran dote largamente provata nei coetanei. È la stessa dote che portata all’estremo accanimento dell’amore ti fa dire delle cose così acute e sorprendenti quando parli con me di me che ti sto a sentire a bocca aperta, abbacinato insieme d’ammirazione per l’intelligenza, o inconfessabile narcisismo, e di gratitudine amorosa. (…)
———
(…) Ho più che mai bisogno di stare fra le tue braccia. E questo tuo ghiribizzo di civettare che ora ti ripiglia non mi piace niente, lo giudico un’intrusione di un motivo psicologico completamente estraneo all’atmosfera che deve regnare tra noi. Gioia cara, vorrei una stagione in cui non ci fossi per me che tu e carta bianca e voglia di scrivere cose limpide e felici. Una stagione e non la vita? (…)
——
Dall’epistolario ad Elsa
Sì, Simo… ci siamo incrociati.
Bellissima, la citazione dall’epistolario ad Elsa. “Una lezione per tutti, di non-rinuncia, di coraggio alla felicità”.
Grazie davvero. 🙂
(…) Ora basta, perché ho cominciato così questa lettera, io voglio scrivere del nostro amore, voglio amarti scrivendo, prenderti scrivendo, non altro. È forse anche qui la paura di soffrire che prende il sopravvento? Cara, cara, mi conosci troppo, ma no, troppo poco, devo ancora farmi conoscere da te, devo ancora scoprirmi a te, stupirti, ho bisogno di farmi ammirare da te come io continuamente ti ammiro. Sto scrivendo una cosa su Thomas Mann per il Contemporaneo – sotto forma di lettera – su cosa significa per me il suo atteggiamento d’uomo classico e razionale al cospetto dell’estrema crisi romantica e irrazionale del nostro tempo. Sono temi che ritornano puntualmente nella cultura e nell’arte contemporanea come nella mia vita: il mio rapporto con Pavese, o la coscienza della poesia, il mio rapporto con te, o la coscienza dell’amore. (…)
———-
Dall’epistolario ad Elsa
Ammetto che non ero al corrente dell’epistolario ad Elsa.
Una bella scoperta!
Grazie di cuore.
(…) Il male non ha destino, del male ne vanno disperse le ceneri. Il bene resta, non si distrugge, sparge i suoi semi e ricresce. (…)
(…) Ho avuto coraggio ad amarti, a portarti in questa mia vita d’uomo che sempre insegue la felicità e non conosce la calma. (…)
(…) Ho due belle lettere tue cui rispondere. Una (quella di giovedì) sulla «missione di darmi gioia» che tu con meravigliosa generosità amorosa hai scelto (e io potrei parlare di una mia «ambizione di darti gioia», di un mio orgoglio, che quando non riesco mi fa sentire sconfitto), l’altra, quella di ieri, col dialogo delle donne sul perfetto amante, che pare un po’ da corte d’amore, ma con una malizia da brigata di Boccaccio in villa durante la peste, e con una razionalità da ragionamento filosofico e cortese cinquecentesco e in più un senso dello scabroso e dell’insoddisfatto che è tutto moderno. Ma tu che taci, e dici l’ultima battuta, e le altre che stanno in silenzio, e quel tipo di Panfilo o Filostrato o Dioneo che trae, galante ma concettoso, la morale, è un quadro di pura bellezza. Ma a parte quest’ammirazione formale, quello che soprattutto m’ha attratto è la bellezza della tua etica amorosa, che è anche mia, che io t’ho insegnato – perdona il mio orgoglio – nel momento stesso in cui l’imparavo da te, su te e di cui tu ora dai una formula perfetta, questo «suscitare l’amore senza mai stimolare il vizio», questa condizione così rara, che tu sola sai creare.
(…) Ti scrivo in una pausa di una giornata intensamente «filosofica», in discussione d’estetica con Lukács la mattinata, poi a pranzo con lui in collina (nel ristorante in cui un anno fa ho portato la più affascinante delle donne, quest’anno sono andato con la più formidabile testa di filosofo) e tra poco lo dovrò accompagnare in giro per Torino. È un vecchietto dalla formidabile chiarezza, venata dalla malinconia e malizia degli ebrei. Mi diverto a cercare di buttare sassolini puntuti nella sua macchina e vederglieli restituire perfettamente levigati e sferici. (…)
—-
Dall’epistolario ad Elsa
(…) L’averti incontrata è stato un’esplosiva conquista di tante cose per me, dentro di me, un tale salto e volo nella mia vita, che mi sembra di non riuscire a toccare terra, a riportare queste mie forze in una vita integrata. E tu dirai: «E che dovrei dire io allora?». E io sarei al solito confuso, ma non è vero: per te sono crollate cose intorno, tu sei rimasta te stessa, puoi decidere di te come ora dicendo che reciterai con sicurezza di quel che sei. A me, in una generale irritabilità per tutto, non resta che un nugolo di ragioni astratte, e la concretezza del tuo corpo nudo. (…)
(…) Amor mio. Tutte le lettere ora mi viene da cominciarle con l’elemento climatico-atmosferico ma non è una cosa da scherzare. Qui si vive sotto un cielo caliginoso, un freddo che serpeggia nelle ossa, un’aria da finimondo. Se ne parla poco, ma la coscienza che un terribile cataclisma atomico sia stato scatenato e sia ormai impossibile salvarci, s’affaccia all’animo di tutti. Da anni vivevo nella completa ignoranza della pioggia e del sole; ora questo inizio dell’inverno alla fine di maggio mi riempie di un nervosismo che non conoscevo finora. (…)
(…) La tua lontananza s’inserisce in questa situazione come qualcosa di simbolico. La tua identificazione col sole non è casuale. Bisogna che ti raggiunga al più presto e che questa tristezza, che non è, direi, psicologica ma quasi metafisica, si dissipi… Dopo questa lettera arrivo io. Ti abbraccio e desidero. (…)
——
Dall’epistolario ad Elsa
Carissimi mi permetto di mettervi il link ad una intervista fatta a Calvino.Mi piace l’atmosfera che si respira con lo scrittore che conversa amabilmente sul prato ed è bello ciò che dice sulla libertà dello scrivere uscendo dalle gabbie precostituite.Spero vi piaccia:
http://www.youtube.com/watch?v=zwEqCQ7xPTM&feature=fvw
Ancora grazie, Simo. E grazie anche a te per l’intervista su youtube, Fran.
Bellissimo, no?
L’esperienza d’amore per Elsa fu un attraversamento nella dimensione della conoscenza e della stessa scrittura. Un trovarsi anche per mezzo della parola, del risanamento interiore dato dal suo posesso e dalla sua chiaroveggenza.
Una buona notte a te e a tutti coloro che scoprono questo volto di Calvino, disarmato, trafitto, innamorato.
Baci!
Be’, mi pare che questa pagina si stia sviluppando in maniera piuttosto… viva, direi.
Ciao Fran! Un bacio!
Sì, Simo. Davvero bellissimi questi stralci di lettere.
Buonanotte e baci a te… e a tutti gli amici di Letteratitudine.
–
(Continuate a rendere viva questa pagina, se potete).
Molto belli i brani tratti dall’epistolario ad Elsa, grazie Simona!”Da anni vivevo nella completa ignoranza della pioggia e del sole;” è il senso di astrazione della dimensione amorosa…la tristezza quasi metafisica…un Calvino innamorato che perde la bussola!!fantastico.
un abbraccio
Grazie Simona,
che belle lettere. Secondo me Italo calvino è un uomo innamorato ma molto consapevole. Intendo dire che cuore ed intelletto, insieme, cavalcano molto bene. Beata Elsa!
Baci
Rossella
La coscienza a posto
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti
C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere.
Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente, cioè chiedendoli a chi li aveva in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo di una sua autonomia.
Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna, ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito, anzi benemerito, in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune;….. …….
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva di applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili……………………………………………………………….
Avrebbero potuto, dunque, dirsi unanimemente felici gli abitanti di quel paese se non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. Erano, costoro, onesti, non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici, né sociali, né religiosi, che non avevano più corso); erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso, insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno al lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione di altra persone.
In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre gli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare…………………………………………………….
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che, così come in margine a tutte le società durate millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, tagliaborse, ladruncoli e gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare “la” società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante ed affermare il proprio modo di esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera, allegra e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa di essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.
Italo Calvino, da “La coscienza a posto”, la Repubblica, 15 marzo 1980
Avete letto la data?Anni ’80.
Lo scriverebbe ancora così il grande Calvino? 🙂
Un saluto affettuoso a tutti e buonanotte!
se posso inserisco un po’ di notizie biografiche di Calvino nel pomeriggio. grazie.
Ciao Massimo, ciao a tutti.
Il post “Calvino” è una seduzione troppo grande e non potevo resistere perché porta il ricordo indietro di alcuni anni. Esattamente suoi banchi di scuola dove incontrai lo scrittore la prima volta: Il barone rampante.
“Che cosa illegibile” mi dissi dopo alcune pagine, ma lo finii per obbligo. Impiegai circa un anno a capirlo e, da allora, è uno dei libri che mi porterei sulla famosa “isola deserta in compagnia di…”
Anche il resto della trilogia allegorica, visconti e cavalieri, ha il merito tutto suo di aver portato nella letteratura italiana del tempo, piena di fermenti avanguardisti neo o post qualcosa, il segno di un surrealismo reso comprensibile da una scrittura piana, senza incertezze, dalla base fortemente “volgare” (intesa come popolare) resa nobile ed arricchita dai salti davvero intellettuali dei quali Calvino era capace.
A parte le frequenti incursioni in una dimensione “altra” che si divertì a proporre in quasi tutti ii suoi scritti, percettibile solo a chi vuole vederla, una grande lezione di abilità nello scindere piani narrativi diversi, viene da “il castello dei destini incrociati” che personalmente trovo pure molto intrigante, per non dire bello.
Ecco, se dovessi indicare il contributo particolare di Calvino alla letteratura italiana, penso proprio sia stato questo: saper movimentare le sue rappresentazioni con dei piani narrativi, tutti chiarissimamente descritti, che si muovono in continuazione, si intersecano se il lettore lo vuole, tendono tutti allo stesso senso oppure hanno significati diversi.
Esponente di diritto di una nuova interpretazione della lingua, a partire quasi dall’impianto grammaticale, la semiologia, ecc.ecc.
Insomma , avete capito tutti che, per me, Calvino è stato grande.
A parte le mie preferenze, credo anch’io che il suo scrittto più rappresentativo sia “Se una notte d’inverno un viaggiatore”
Del suo ruolo nella vita sociale e nella politica non parlo, perché credo abbiano semplicemente contribuito a costruire lo scrittore. Che fosse egli stesso convinto di ciò, lo testimonia il fatto che, come già Croce ed altri grandi, si identificava totalmente con le proprie opere, giustamente pensando che potessero parlare per lui (non mi ricordo il pensiero tanto da poterlo citare, ma lo approvo parecchio).
Ancora ciao a tutti.
Caro Massimo, anche se non partecipo spesso, mi tengo aggiornata sui post che lanci
MAril
Ho sempre amato Calvino, specialmente la sua anima surreale eppure così potentemente simbolica ed umana. “Il cavaliere inesistente” e “Il visconte dimezzato” sono i romanzi che ho amato di più.
Quello che ho amato di meno è “Il sentiero dei nidi di ragno” e in fondo anche l’anacronistica ribellione de “Il barone rampante” non mi ha troppo appassionato.
Le citazioni non sonoil mio forte, e credo che ridurre il pensiero di uno scrittore nel microuniverso concentrazionario ed estrapolativo di una citazione significhi minimizzarne i meriti e la poetica.
L’eredità che ha lasciato?
I suoi libri senza tempo che vengono letti ancora oggi in tutto il mondo.
La letteratura ringrazia uno scrittore vero che non ha fatto compromessi col business.
Maria Antonietta Pinna
Ciao. Complimenti per la bella pagina calviniana. Vi segnalo un sito dedicato interamente a Italo Calvino http://italocalvino.it/
ho trovato sul web una storiella su Calvino riportata da Luca Goldoni (se non erro).
la citazione è questa: “L’Italia, come dice Calvino, ricorda il lampione della storiella: l’ubriaco sta cercando la chiave sotto la lampada, un passante gli chiede se è sicuro di averla perduta proprio lì; no, risponde l’ubriaco, ma qui ci vedo”.
ora, la storiella in sé è famosissima, però ricordo che la si raccontassa a proposito dell’incedere della scienza e non come metafora dell’italia. Chi lo sa, forse tutto ciò avrebbe divertito lo stesso Calvino.
La verita’ vera e’ che Calvino ha lasciato un vuoto incolmabile nella letteratura italiana. E questo e’ quanto.
Massimo, amici,
da Calvino c’è sempre molto da apprendere, soprattutto perché nelle sue opere non ci sono concessioni o cedimenti al moralismo e tantomeno all’intellettualismo. Non c’è retorica vuota o fine a se stessa. Calvino mira, infatti, a scandagliare le complessità della vita in modo concreto, realistico, sia nella saggistica sia nella narrazione, sebbene si avvalga (magistralmente) di favole o apologhi.
In Calvino apprezzo anche il suo ottimismo, definito acutamente da Pazzaglia “vitale”, che nasce dalla fede nella ragione e dall’amore della vita come azione e costruzione dell’uomo.
Le opere che preferisco?
“Il visconte dimezzato”, “Il barone rampante”, “Le cosmicomiche”, “Marcovaldo”, “Le città invisibili”, “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, “Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società”.
Ma non mi dispiace affatto “Sotto il sole giaguaro”, uscito postumo, nel 1986, e incompleto: i racconti sono tre anziché cinque, ovvero il numero dei sensi. In quest’opera, curiosa e affascinante, Calvino sposta – come annota Giorgio Manganelli – la tensione del narrare dagli eventi al filo guida della presenza aromatica, degustativa, uditiva, giungendo a rappresentare sottilmente e mitologicamente le nostre angosce quotidiane. Io lo estraggo dallo scaffale della libreria quando la fantasia e la vena creativa o affabulatoria si sono affievolite.
Cordialmente.
accolgo la rischiesta lanciata da Loretta di riportare notie biografiche su Italo Calvino, tenendo conto della richiesta di Massimo Maugeri di spezzare i commenti.
Italo Giovanni Calvino Mameli (Santiago de Las Vegas, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) è stato uno scrittore italiano. Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato forse il narratore italiano più importante del secondo novecento. Ne ha frequentato tutte le principali tendenze letterarie, dal Neorealismo al Postmoderno ma restando sempre ad una certa distanza da esse e svolgendo un proprio coerente percorso di ricerca. Di qui l’impressione contraddittoria che offrono la sua opera e la sua personalità: da un lato una grande varietà di atteggiamenti che riflette il vario succedersi delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985; dall’altro, invece, una sostanziale unità determinata da un atteggiamento ispirato a un razionalismo più metodologico che ideologico, dal gusto dell’ironia, dall’interesse per le scienze e per i tentativi di spiegazione del mondo, nonché, sul piano stilistico da una scrittura sempre cristallina e a volte, si direbbe, classica[1] . I numerosi campi d’interesse toccati dal suo percorso letterario, sono meditati e raccontati attraverso capolavori quali la trilogia de I nostri antenati, il Marcovaldo, Le cosmicomiche, Se una notte d’inverno un viaggiatore, uniti dal filo conduttore della riflessione sulla storia e la società contemporanea.
« Dati Biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere (Quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e Glielo dirò. Ma non Le dirò mai la verità, di questo può star sicura »
(Italo Calvino, lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno 1973)
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L’infanzia
Italo Calvino nasce nel 1923 a Cuba (esattamente a Santiago de Las Vegas, presso L’Avana), dentro un grande bungalow del coloratissimo giardino botanico tropicale allora diretto dai genitori. Il padre, di nome Giacomo, detto Mario, è un agronomo di origine sanremese, mentre la madre, Dorotea Evelina Mameli, detta Eva, nativa di Sassari in Sardegna, è laureata in scienze naturali e lavora come assistente di botanica all’Università di Pavia. Dopo un uragano che nel 1925 quasi distrugge la loro casa-bungalow, i coniugi Calvino (dopo una sosta di lavoro a Santiago de Cuba) decidono nel 1926 di ritornare in Italia.
A Sanremo, Calvino vive la sua infanzia, che egli ricorda spensierata nel clima amorevole di una famiglia dedita alle attività scientifiche ed alla ricerca. Il periodo fascista non sembra sulle prime segnare in modo particolare la sua personalità né sconvolgere la serenità familiare di quegli anni. Nonostante i genitori siano intimamente e culturalmente contrari al “Regime”, la loro posizione (socialista lei, tendenzialmente anarchico lui) sfuma dentro una generale condanna della politica.
Il primo vero contatto con la cultura fascista è vissuto da Calvino negli anni tra il 1929 ed il 1933, quando non può sottrarsi all’esperienza di diventare balilla, obbligo scolastico esteso anche alle scuole valdesi frequentate dal piccolo Italo.
Nel 1934 inizia la frequentazione del ginnasio-liceo “G. D. Cassini”, dove coltiva l’amicizia con Eugenio Scalfari e con Eugenio Curia, che più tardi diverrà un importante rapporto per la sua crescita letteraria e politica.
La famiglia Calvino non ha una fede religiosa, e per quei tempi manifestare un certo atteggiamento agnostico comportava almeno l’appellativo di “anticonformisti”. Segno che Calvino ricorderà poi quale elemento di formazione importante, per averlo presto svezzato ai sentimenti della tolleranza e della diversità, con la conseguenza di predisporlo al costante confronto con le ragioni dell'”altro”.
Sono questi i semi culturali e storici di quella formazione che il giovane Calvino più tardi tradurrà in una scrittura capace di spaziare dalla saggistica politica a quella letteraria e teatrale; dal racconto impegnato, a quello ironico e umoristico; dalla pungente critica sociale, alla sceneggiatura di testi teatrali, finanche alla composizione di testi per poesie.
Ma proprio quando l’età gli darebbe occasione di gustare appieno quella grande ricchezza cosmopolita e culturale che si addensa nel circondario di Sanremo in quegli anni, la guerra sconvolge la serena vita di provincia. Destina Calvino ad una serie di vicissitudini, dai toni anche drammatici, capaci però di saldarsi con l’apertura di vedute già matura nel fisico, forgiando così l’impegno politico e storico che Calvino esprimerà in forma di partecipazione e di scrittura.
Gli anni della guerra
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Nel 1943 interrompe gli studi per non essere costretto ad arruolarsi nell’esercito della R.S.I. ed entra come partigiano nelle Brigate Garibaldi vivendo così la guerra in modo diretto.
« Avevamo vent’anni oltre il ponte / oltre il ponte che è in mano nemica / vedevamo l’altra riva, la vita / tutto il bene del mondo oltre il ponte / tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent’anni la vita è oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l’amore »
(Italo Calvino, Oltre nella battaglia di Baiardo, una delle ultime battaglie partigiane. Ricorderà l’evento nel racconto Ricordo di una battaglia, scritto nel 1974. (Il suo nome da partigiano era “Santiago”, dal nome del paesino cubano – Santiago de Las Vegas, vicino all’Avana – dove egli era nato 20 anni prima).)
L’impegno politico e culturale
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Dopo la Liberazione, mentre la sua inclinazione anarchica e libertaria non affievolisce, in lui va costruendosi un’ampia e complessa visione del mondo che non cede a semplificazioni politiche e sociali. Non esalta l’idea comunista sotto il profilo culturale e filosofico. Matura, ciononostante, l’esigenza di organizzare forme politiche e strutture sociali a difesa dei diritti, della dignità umana e della libertà. Con questo spirito aderisce al P.C.I. (Partito Comunista Italiano) e ne diviene attivista e quadro, esprimendo la sua partecipazione con interventi di carattere politico e sociale, su quotidiani e periodici culturali, oltre che nelle sedi istituzionali del partito.
Si iscrive alla Facoltà di lettere di Torino, accedendo direttamente al III anno, grazie alla legislazione postbellica in favore dei partigiani ed ex combattenti. Conosce Cesare Pavese che diverrà guida culturale ed umana, oltre che “primo lettore” delle sue opere. Scrive Angoscia in caserma ed inizia una collaborazione con Il Politecnico, periodico diretto da Elio Vittorini. Tra il ’46 ed il ’47 compone Campo di mine, vincitore di un concorso letterario indetto da “l’Unità”, ed una serie di racconti che saranno poi messi assieme ne Ultimo viene il corvo pubblicato nel 1949. Tra l’estate e il 31 dicembre del 1946, per concorrere al Premio Mondadori per un inedito, scrive il primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno. Dopo la laurea nel 1947, che consegue con una tesi su Joseph Conrad, inizia una collaborazione con l’Einaudi, curandone l’ufficio stampa. Il rapporto con la casa editrice sarà centrale nelle attività di Calvino, anche se talvolta intermittente ma ricco di incarichi sempre diversi e via via più importanti. Durerà fino al 1961, momento in cui si trasformerà in “consulenza editoriale esterna”.
Le attività culturali si intensificano assieme alle conoscenze personali. Frequenta Vittorini, Natalia Ginzburg, Delio Cantimori, Franco Venturi, Norberto Bobbio, Felice Balbo. Collabora con l’Unità e con Rinascita. Nel 1949 viene pubblicato Ultimo viene il corvo e resta inedito Il bianco Veliero. Scrive interventi politico-sociali e di saggistica letteraria, su diverse riviste culturali, tra cui Officina, Cultura e realtà, Cinema Nuovo, Botteghe Oscure, Paragone, oltre che su Il Politecnico di Vittorini già citato. Sulle riviste pubblica anche brevi racconti, fra cui La formica argentina e le prime novelle di Marcovaldo.
Nel mese di agosto del 1950 Cesare Pavese si uccide e Calvino perde l’amico e maestro, oltre che il suo “primo lettore”. Ne rimane sconvolto poiché Pavese era da lui vissuto come uomo forte di carattere e di temperamento risoluto. Gli resta il profondo rammarico per non aver intuito il dramma dell’amico.
I suoi viaggi sporadici si infittiscono e nel 1951 visita l’Unione Sovietica per un paio di mesi, dandone puntuale resoconto nel Taccuino di viaggio in URSS di Italo Calvino, con cui vince il premio Saint Vincent. Scrive il romanzo I giovani del Po e, quasi di getto, Il visconte dimezzato.
Tra il ’53 ed il ’54 tenta un romanzo di ampio respiro che resterà inedito La collana della regina, mentre lavora assiduamente ad un progetto nuovo che lo appassiona particolarmente. Si tratta delle Fiabe italiane, rimaneggiamento e raccolta di antiche fiabe popolari, pubblicate nel novembre del 1956.
Sul versante dell’impegno politico, l’idea di società maturata con gli anni non delude il suo spirito anarchico e libertario, anzi lo arricchisce e lo caratterizza nella forma di precisi interventi critici in occasione del XX Congresso del PCUS del 1956. Calvino esprime il dissenso per certi aspetti che la politica sovietica va prendendo, soprattutto in ragione della libera espressione e circa l’importanza della forma democratica. Ma non risparmia critiche neppure ad una certa chiusura culturale dei dirigenti del PCI, né a a talune pratiche interne all’apparato. L’idea di un nuovo PCI riformato e rifondato, che ispira Calvino, è dichiaratamente di matrice giolittiana. La disillusione è però incolmabile solo pochi mesi dopo il Congresso, quando l’armata rossa invade l’Ungheria. Con i fatti di Poznan e Budapest matura in Calvino la decisione di abbandonare il partito.
Il 1º agosto 1957 formalizzerà con una lettera al Comitato Federale di Torino le proprie dimissioni, seguite a quelle di Antonio Giolitti. Spesso interviene su una rivista di intellettuali dissidenti “Città aperta”, a conferma che l’amarezza maturata a seguito di certe scelte del partito non degrada in qualunquismo, ma si fa critica puntuale e propositiva.
È poi tra il 1957 e il 1958 che si viene a creare quell’articolato connubio di poesie e musica che fu il Cantacronache, cui Calvino partecipò scrivendo i testi di alcune delle più famose canzoni (Dove vola l’avvoltoio?, Oltre il ponte, Sul verde fiume Po, Canzone triste).
La maturità artistica
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Continua a scrivere ed a viaggiare e fonda con Vittorini Il Menabò. Tra il ’58 ed il ’62 pubblica La gallina di reparto, La nuvola di smog e l’antologia I racconti.
Nel 1959 pubblica il romanzo Il cavaliere inesistente e parte per un viaggio negli Stati Uniti, esperienza che diverrà soggetto del racconto inedito Un ottimista in America . Escono su Il Menabò il saggio La sfida al labirinto ed il racconto La strada di San Giovanni.
La sua fama è ormai affermata. Spesso è chiamato per conferenze e dibattiti in ogni parte d’Europa. Nell’isola di Maiorca riceve il premio internazionale Formentor. Nel 1962, in occasione di un ciclo di incontri letterari, conosce a Parigi la sua futura moglie, la traduttrice argentina Esther Judith Singer, detta Chiquita, che sposerà all’Avana il 19 febbraio del 1964. A Cuba ha anche occasione di incontrare Ernesto Che Guevara. Torna in Italia e si stabilisce a Roma con la moglie ed il figlio di lei Marcello Weil.
Nasce in quegli anni il gruppo ’63, corrente letteraria neoavanguardista, che Calvino segue con interesse pur senza condividerne l’impostazione di fondo. Pubblica i racconti La giornata di uno scrutatore e La speculazione edilizia, inclusi in un irrealizzato progetto di trilogia sulla crisi dell’intellettuale negli anni cinquanta. A fine ’64 vanno in stampa le prime cosmicomiche La distanza della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in punto. Poco dopo pubblica il dittico La nuvola di smog – La formica argentina.
Sempre nel 1964, lo scrittore torna all’Avana per sposarsi con la sua compagna argentina-parigina Esther Judith Singer (detta “Chichita”) in un ufficio notarile di Calle Obispo e con brindisi finale nel bar della piscina del loro “Hotel Avana Libre”. In quella occasione egli fu chiamato a fare parte della giuria del Premio Casa Las Americas, e qui conobbe il comandante Ernesto Guevara, al quale poi dedicò due pagine dopo la sua morte in Bolivia, le quali furono pubblicate sul numero speciale dedicato al “Che” della rivista culturale avanera Casa de Las Americas. Quando a fine 1964 Calvino tornò in Italia, a Torino e a Roma, dove lavorava presso la casa editrice Einaudi come addetto stampa, si attivò per co-fondare l’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba. Poi nel 1965 nacque la figlia Giovanna Calvino, la quale, trent’anni dopo, fu contattata dalle autorità cubane per dare il nullaosta ad una lapide che poi fu da lei inaugurata nel 1996 nella vecchia casa restaurata, nel giardino botanico di Santiago de Las Vegas, a cura dell’Ambasciata Italiana all’Avana, dell’Oficina de l’Historiador de La Habana e del Comune di Sanremo. Ora in questo bel parco caraibico c’è pure un alberghetto per ricercatori botanici e per giornalisti stranieri. Nel vicino museo municipale (dove vi è la “Sala Calvino” dedicata allo scrittore che qui considerano non solo italiano ma anche cubano) è possibile comperare un bel foto-libro a lui dedicato, stampato a Cuba nell’anno 2000, il cui titolo è Las dos mitades de Calvino (“Le due metà di Calvino”, parafrasando Il visconte dimezzato per indicare che lo scrittore era per metà italiano e per metà cubano). Il libro è stato scritto dal locale poeta, scrittore, musicista e musicologo Helio Orovio, per le Ediciones Union di La Avana.
Il 12 febbraio del 1966 muore l’amico Elio Vittorini, al quale dedica il saggio Vittorini: progettazione e letteratura. Calvino traccia nel saggio il pensiero d’un intellettuale aperto e fiducioso, in dissonanza col pessimismo letterario di quegli anni, della decadenza e della crisi. All’indomani della morte di Vittorini, Calvino inaugura un periodo di meditazione, necessario forse ad elaborare il proprio vissuto, distante dal frastuono delle città e della vita pubblica. Così egli descrive il cambiamento: Lo stendhalismo, che era stata la filosofia pratica della mia giovinezza, a un certo punto è finito. Forse è solo un processo del metabolismo, una cosa che viene con l’età, ero stato giovane a lungo, forse troppo, tutt’a un tratto ho sentito che doveva incominciare la vecchiaia, sì proprio la vecchiaia, sperando magari di allungare la vecchiaia cominciandola prima.
Nel 1967 si trasferisce a Parigi assieme alla famiglia. Segue il dibattito culturale francese ma conduce una vita pressoché in disparte, pur frequentando alcuni intellettuali parigini come Georges Perec, François Le Lionnais, Jacques Roubaud, Paul Fournel, Raymond Queneau. Di quest’ultimo traduce I fiori blu, da cui la letteratura del maturo Calvino trarrà gli aspetti più umoristici ed i riferimenti cosmologici. Approfondisce la sua passione per le materie scientifiche e per il gioco combinatorio. I frutti di questo nuovo arricchimento già si manifestano nella raccolta di racconti Ti con zero, vincitore del Premio Viareggio 1968. Premio che però Calvino rifiuta, ritenendo ormai tali manifestazioni letterarie semplice espressione retorica, anche se, successivamente, accetterà altri premi letterari. Pubblica la prima edizione dell’antologia scolastica La lettura. Assieme a Guido Neri, Gianni Celati ed altri intellettuali, lavora al progetto per la realizzazione di una rivista sociale e letteraria a larga diffusione, destinata al grande pubblico.
Mentre Calvino era a Parigi il suo amico Che Guevara venne ucciso il 9 ottobre 1967 in Bolivia. Il 15 ottobre 1967 (il giorno del suo 44º compleanno) scrisse un articolo a lui dedicato che fu pubblicato in spagnolo nel gennaio 1968 sulla rivista cubana “Casa de las Americas” (in un numero speciale tutto dedicato al “Che”). Invece il testo originale integrale italiano fu pubblicato in Italia solamente trent’anni dopo, nel 1998, sul primo numero della rivista “Che” della Fondazione Italiana Ernesto Guevara presieduta dall’editore romano Roberto Massari.
Pur non condividendo l’ideologia di fondo del sessantotto francese, Calvino è particolarmente attratto ed affascinato dal valore utopico disseminato di certe rivendicazioni del movimento studentesco e sociale. Tra il ’69 ed il ’73 lavora ad alcuni progetti letterari e pubblica racconti e saggi su diverse riviste. Escono il racconto I tarocchi ed i saggi Osservare e descrivere e Problema da risolvere, pubblicati nella nuova edizione del testo scolastico La lettura.
Nel 1971 scrive Gli amori difficili per la collana “Centopagine” della Einaudi. Nel 1972 vince il Premio Feltrinelli conferito dalla Accademia nazionale dei Lincei, pubblica Le città invisibili che sarà finalista al XXIII Premio Pozzale 1974 per la letteratura. In quell’anno inizia anche una collaborazione con il “Corriere della Sera” che durerà fino al 1979, quando inaugura la serie di racconti del signor Palomar. Pubblica due lavori autobiografici, il primo, Ricordo di una battaglia, rievoca la dura ed umanamente ricca esperienza da partigiano. L’altro, Autobiografia di uno spettatore, particolare sguardo di Calvino sul cinema, diventa prefazione a Quattro film di Federico Fellini. In questi anni fa costruire la sua villa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia (GR), dove trascorrerà tutte le successive estati della sua vita.
Nel mese di maggio del 1975 inizia un altro periodo di intensi viaggi. A maggio è in Iran dove, per conto della RAI, cura la preparazione di un programma radiofonico. L’anno successivo si reca negli USA, in Messico ed in Giappone, per una serie di incontri e di conferenze. Il signor Palomar in Giappone, racconto che pubblica nelle colonne del Corriere della sera, s’ispira a quei viaggi. A Vienna, nel 1976, viene insignito d’un importante premio letterario europeo, dal Ministero dell’Istruzione austriaco.
Nel 1979 pubblica Se una notte d’inverno un viaggiatore ed inizia la sua collaborazione con il giornale “La Repubblica”. Chiude quasi completamente il suoi interventi di carattere politico e sociale, con l’amaro articolo L’apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, pubblicato l’anno successivo sul quotidiano diretto da Eugenio Scalfari.
Gli anni ottanta vedono Calvino, ritornato a Roma con la famiglia, prevalentemente alla ricerca lungo quel territorio che è il punto di confine tra letteratura e scienze, sempre ispirato all’amico francese Queneau. Ne cura l’opera Segni cifre e lettere e ne traduce la Piccola cosmologia portatile, redigendone anche la guida. S’impegna altresì nella stesura di testi teatrali, dove tenta d’inserire l’arte cosmologica e combinatoria.
Nel 1983 esce Palomar pubblicato da Einaudi. Per la casa editrice torinese cura anche l’introduzione ad America di Franz Kafka. A causa della seria crisi in cui versa l’Einaudi, nel 1984 è costretto a pubblicare presso Garzanti Collezione di sabbia e Cosmicomiche vecchie e nuove.
Nel 1985, durante l’estate, Calvino lavora ad una serie di conferenze (Lezioni americane, pubblicate postume) che avrebbe dovuto tenere presso l’Università Harvard. Colto da ictus il 6 settembre nella sua villa nella pineta di Roccamare, viene ricoverato all’ospedale Santa Maria della Scala di Siena dove muore nella notte tra il 18 e il 19 settembre. Lo scrittore è sepolto nel cimitero di Castiglione della Pescaia.
Sono usciti postumi anche i volumi Sotto il sole giaguaro, La strada di San Giovanni e Prima che tu dica pronto.
La poetica
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In questa prima fase della sua produzione, collocabile all’interno del movimento neorealista, Calvino scrive il suo romanzo breve Il sentiero dei nidi di ragno e numerosi racconti raccolti nel volume Ultimo viene il corvo. Con queste opere Calvino mostra una lucida capacità rappresentativa della realtà che coniuga impegno politico e letteratura in modo spontaneo e leggero.
In queste opere lo scrittore ligure per raccontare le storie della sua esperienza partigiana adotta un punto di vista oggettivo, tramite il quale i suoi ricordi diventano la misura della comprensione del mondo.
In Il sentiero dei nidi di ragno l’intreccio è narrato dal punto di vista di Pin, un ragazzo, il protagonista del romanzo. Questa ricerca di oggettività, comunque, non scade mai in pura cronaca: è sempre presente la dimensione mitico-fiabesca che permette a Calvino di far intravedere la realtà sotto le spoglie del sogno.
È proprio con quest’opera che Calvino dà l’avvio all’operazione di sdoppiamento dei piani interpretativi che contraddistingue la sua produzione: da una parte il livello puramente narrativo, semplice e comprensibile da tutti i lettori, dall’altra quello visibile solo dai lettori più smaliziati.
Questa scelta è compiuta, all’inizio, su precise basi ideologiche, in seguito, con la contaminazione di forme colte e popolari, Calvino mantiene la tecnica dello sdoppiamento dei livelli di lettura.
Il periodo fantastico
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Calvino da sempre era stato attirato dalla letteratura popolare, con particolare attenzione al mondo delle fiabe.
Con Il visconte dimezzato percorre sempre di più la strada dell’invenzione fantastica: l’impianto è ormai totalmente abbandonato al fiabesco e la narrazione procede secondo due livelli di lettura: quello di immediata funzione e quello allegorico-simbolico, in cui sono presenti numerosi spunti di riflessione (contrasto tra realtà e illusione, tra ideologia ed etica, etc.). In conclusione il romanzo invita i lettori all’equilibrio, in quanto non è possibile possedere una verità assoluta.
Anche le altre due opere della trilogia I nostri antenati mostrano caratteristiche simili. Il protagonista de Il barone rampante è un alter ego di Calvino che ormai ha abbandonato la concezione della letteratura come messaggio politico. Il cavaliere inesistente invece è velato da un cupo pessimismo, dietro al quale la realtà appare irrazionale e minacciosa.
Accanto alla produzione allegorico-simbolica, Calvino continua comunque un tipo narrazione che descrive la realtà quotidiana. Riprende ad esaminare il ruolo dell’intellettuale nella società, constatando la sua assoluta impotenza di fronte alle cose del mondo.
Sempre a questa fase appartengono i racconti di Marcovaldo, in due serie: più aderente a strutture fiabesche la prima (1958) mentre le seconda (1963) tratta temi urbani con toni che a volte sfiorano l’assurdo.
Nel 1963 esce anche La giornata di uno scrutatore, in cui Calvino narra le vicende di un militante comunista che, scrutatore all’istituto Cottolengo di Torino, entra in contatto con l’irrazionale ed entra in crisi.
Nella pubblicazione Sfida al labirinto (dell’esistenza) Calvino espone le sue idee riguardo la funzione degli intellettuali, i quali, secondo lui, devono cercare di comprendere il caos del reale per tentare di dare un senso alla vita.
Si è molto parlato dei rapporti di Calvino con la scrittura fantascientifica in opere come Le cosmicomiche o Ti con zero. Come lui stesso afferma, ha sempre amato leggere “science-fiction”, ma pensa che le sue storie siano costruite in modo diverso: mentre la fantascienza tratta del futuro, egli si rifà ad un passato remoto, una sorta di mito delle origini. Inoltre mentre lo scrittore ligure si serve del dato scientifico per uscire dalle abitudini dell’immaginazione, la fantascienza tende ad avvicinare ciò che è lontano.
Il periodo combinatorio
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Intorno agli anni sessanta Calvino aderisce ad un nuovo modo di fare letteratura, intesa ora come artificio e come gioco combinatorio. Per lo scrittore ligure è necessario rendere visibile ai lettori la struttura stessa della narrazione, per accrescere il loro grado di consapevolezza. In questa nuova fase produttiva Calvino si avvicina ad un tipo di scrittura che potrebbe essere definita combinatoria perché il meccanismo stesso che permette di scrivere assume un ruolo centrale all’interno della produzione; Calvino infatti è convinto che ormai l’universo linguistico abbia soppiantato la realtà e concepisce il romanzo come un meccanismo che gioca artificialmente con le possibili combinazioni delle parole: anche se questo aspetto può essere considerato il più vicino alla Neoavanguardia, egli se ne distanzia per uno stile ed un linguaggio estremamente comprensibili.
Questa nuova concezione di Calvino risente di numerosi influssi: lo strutturalismo e la semiologia, le lezioni parigine di Roland Barthes sull’ars combinatoria e la frequentazione del gruppo di Raymond Queneau (l’Oulipo), la scrittura labirintica di Jorge Luis Borges nonché la rilettura del Tristram Shandy di Sterne, che definirà come il progenitore di tutti i romanzi d’avanguardia del nostro secolo.
Già nel 1967, nella conferenza intitolata Cibernetica e Fantasmi, Calvino affronta la riflessione su un’idea di letteratura come pura combinazione formale, ma il primo prodotto di questa nuova concezione della letteratura è Il Castello dei destini incrociati (1969), al quale in seguito verrà aggiunto La Taverna dei destini incrociati (1973), in cui il percorso narrativo è affidato alla combinazione delle carte di un mazzo di tarocchi. Un gruppo di viandanti si incontra in un castello: ognuno avrebbe un’avventura da raccontare ma non può perché ha perduto la parola. Per comunicare allora i viandanti usano le carte dei tarocchi, ricostruendo grazie ad esse le proprie vicissitudini. Qui Calvino usa il mazzo dei tarocchi come un sistema di segni, come un vero e proprio linguaggio: ogni figura impressa sulla carta ha un senso polivalente così come lo ha una parola, il cui esatto significato dipende dal contesto in cui viene pronunciata. L’intento di Calvino è proprio di smascherare i meccanismi che stanno alla base di tutte le narrazioni, creando così un romanzo che va oltre se stesso, in quanto riflessione sulla propria natura e configurazione.
Questo gioco combinatorio è centrale anche nel successivo romanzo dello scrittore, Le città invisibili (1972), sorta di riscrittura del Milione di Marco Polo in cui è lo stesso mercante veneziano a descrivere a Kublai Khan le città del suo impero. Queste città però non esistono tranne che nell’immaginazione di Marco Polo, vivono solo all’interno delle sue parole. La narrazione quindi per Calvino può creare dei mondi ma non può distruggere l’inferno dei viventi che sta intorno a noi, per combattere il quale, come suggerito nella conclusione del romanzo, non si può far altro se non valorizzare quello che inferno non è.
Ne Le città invisibili l’esibizione dei meccanismi combinatori del racconto diventa ancora più esplicita che nel Castello dei destini incrociati grazie anche alla struttura stessa del romanzo, segmentata in testi brevi che si susseguono dentro una cornice. Le città invisibili infatti è composto da nove capitoli, ognuno all’interno di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l’imperatore dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All’interno dei capitoli vengono narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità compositive dell’opera: in questo senso Le città invisibili è un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce a produrre riflessioni su sé stesso e sul funzionamento della narrativa in generale.
L’opera più metanarrativa di Calvino, però, è sicuramente da considerarsi Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). In questo romanzo, più che altrove, Calvino mette a nudo i meccanismi della narrazione, avviando una riflessione sulla pratica della scrittura e sui rapporti tra scrittore e lettore.
I dieci inizi di racconti da cui è composto il libro corrispondono ognuno ad un diverso tipo di narrazione. Mediante questo “esercizio di stile” Calvino esemplifica quali sono i modelli e gli stilemi del romanzo moderno (da quello della neoavanguardia a quello neo-realistico, da quello esistenziale a quello fantastico surreale). Alla base del racconto c’è dichiaratamente lo schema a incastro delle Mille e una notte, all’interno del quale Calvino colloca i suggerimenti e le sollecitazioni provenienti dal romanzo contemporaneo.
La morte
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Italo Calvino morì all’ospedale di Siena il 19 settembre 1985, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima nella sua villa di Roccamare. Nel 1995, in occasione del decennale della sua morte, all’Avana sorse il comitato promotore (detto dei “calvinisti”) Pro-Fondazione-Calvino, sponsorizzato dall’Arci Nazionale di Roma e dall’Ambasciata Italiana all’Avana. Tale Fondazione nel 1996 dette vita al Premio Letterario Biennale Italo Calvino, riservato a giovani talenti cubani, per teatro, poesia, narrativa e saggistica. Ora Italo Calvino riposa nel panoramico e grazioso cimitero-giardino di Castiglione della Pescaia, in Toscana. L’Ambasciata Cubana a Roma sta progettando di attivare due comitati promotori per realizzare un futuro gemellaggio culturale tra le cittadine di Santiago de Las Vegas (a Cuba) e di Castiglione della Pescaia (in Italia), in omaggio a Calvino “Italo”, ma anche “Cubano”.
Nel frattempo, l’istituto di botanica diretto un tempo dai genitori è diventato l’Istituto di ricerche di agricoltura tropicale Alejandro Humboldt ed è ora gestito dall’Accademia cubana delle scienze. Tale luogo è in Calle 1, nella prima strada a destra, arrivando dall’Avana, all’ingresso del paesino di Santiago de Las Vegas, a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale avanero dedicato a José Martí.
saluti a tutti.
Ringrazio tutti per i nuovi commenti pervenuti.
Un caro saluto a Rossella, Francesca Giulia (grazie per le citazioni, Fran), Loretta
Grazie milla a Maril e a Maria Antonietta Pinna per i loro contributi.
Un saluto a Ludmilla (ma sei il personaggio di “se una notte d’inverno…”?)
E grazie ad Ang, Andrea Lodi, Leo.
Grazie anche a Ausilio Bertoli che mette in evidenza che “non ci sono concessioni o cedimenti al moralismo e tantomeno all’intellettualismo. Non c’è retorica vuota o fine a se stessa”.
Grazie, infine, a Jerry Nobile per aver riportato le notizie biografiche.
La discussione su Calvino e le sue opere (se volete) continuerà nei prossimi giorni. Ringrazio anticipatamente chi vorrà contribuire con ulteriori spunti, considerazioni, citazioni.
Intanto ne approfitto per augurarvi una serena notte e una buona domenica.
Mi piacerebbe che da questa doverosa celebrazione di questo gigante della letteratura non solo italiana, scaturisse l’occasione per restituire piena dignità ad alcune opere dello scrittore da sempre considerate, da gran parte della critica e dal pubblico (perlomeno così è stato in passato) minoritarie o assimilabili a puro svagato divertissement di uno scrittore deluso dall’impegno e dalla politica. Alludo ai racconti di Le cosmicomiche e Ti con zero. Si esaltano sempre (e a ragione) libri come Le città invisibili, Palomar, Se una notte d’inverno… Ma si elude sempre di chiarire che dietro la letteratura cosmica delle due raccolte di racconti in questione c’è dietro un preciso progetto di letteratura che segna un’evoluzione sostanziale, un punto di non ritorno nella parabola intellettuale dello scrittore ligure: un’idea di letteratura intesa come razionale slancio conoscitivo, nel quale tanta parte assume il dialogo con il mondo della scienza: prima con il dato scientifico fatto lievitare dalla verve immaginativa dello scrittore giungendo ad una rinnovata mitopoiesi (Le cosmicomiche); poi con l’assunzione vera e propria di un metodo, un paradigma per decrittare la complessità del reale, quello per intenderci del razionalismo critico popperiano (si leggano in Ti zero i 4 racconti finali poi definiti e non a caso dallo scrittore “racconti deduttivi”). Raccolte, peraltro, che contengono in chiusura rispettivamente due delle vette narrative, sperimentali e compiute sul piano di un’idea della letteratua come avventura più che estetica essenzialmente epistemologica: mi riferisco a La spirale (racconto perfetto, degno di essere contenuto in un’ipotetica antologia universale della narrativa breve) e a Il conte di Montecristo (racconto spartiacque che contiene in nuce il germe, l’indicazione precisa di quelli che sarebbero stati di lì a poco i futuri e immediati sviluppi delle sue scritture, con la stagione della letteratura combinatoria). Invito umilmente tutti i frequentatori del blog a rileggere i due libri in questione sotto altra luce, a partire da queste modeste considerazioni che mi sono permesso di svolgere e offrire…
Domenico Calcaterra
Vorrei poi spendere qualche parola sull’intervento apparso qualche settimana fa su La Stampa a firma di uno dei massimi studiosi e specialisti di Calvino, Marco Belpoliti (dal sottoscritto assai stimato come interprete di Calvino, specie per quanto concerne il suo rapporto con la visualità, nodo centrale per coprendere l’universo calviniano). Ho trovato vecchio e deludente il discorso tenuto da Belpoliti, tutto imperniato sui riferimenti che avbrebbero fatto da sfondo o piuttosto da humus a Constancy, l’ultima mai scritta Lezione americana. Bene, credo che il “preferirei di no!” di Calvino sia iniziato molto tempo prima, nei primi anni Sessanta, quando esce dal PCI, dismette i panni dell’intellettuale ingaggiato e inizia un suo progetto di letteratura totalmente diverso (e qui cominciano le incomprensione, che a quanto pare perdurano fino ad oggi) per cui il suo viene letto e quasi indicato come un ripiegamento, un affanno, quasi un’ammissione d’incapacità. Il mio modestissimo parere rimane diametramente opposto: Calvino va a fondo al problema di risolvere il rompicapo complesso della realtà, fino a sfasciarsi la testa. E lo fa con infinita coerenza e con una sempre variata ricerca sin dalle Cosmicomiche e Ti con zero, fino a Palomar e quel progetto di racconti sui cinque sensi di Sotto il sole giaguaro e gli altri.
E aggiungo:
Magari gli intellettuali-scrittori di oggi avessero un’unghia di Calvino, la sua lucidità, l’idea della letteratura come ricerca, un’approccio ogni volta diverso al confronto con il reale…
Il “dopo Calvino” credo sia un’illusione, una bolla di sapone appannaggio di scrittori-intellettuali ingessati entro posizioni che sanno di naftalina in bella calligrafia. Questo giudizio di insufficienza sempre addebitato al ligure è il perpetrare un abbaglio critico (come dire che nonostante tutto la critica ha sempre frequentato più che il giudizio di valore il pregiudizio ideologico).
Quanto alla presunta incapacità di Calvino, a un certo punto della sua carriera letteraria, di fornire “soluzioni” (così si esprime mi pare Belpoliti):
per favore ditemi chi, tra i contemporanei (o comunque tra i successori di Calvino), abbia saputo indicare delle “soluzioni”. Ma che pretese, ma che fraintendimento antico!…
Un punto a sfavore di Belpoliti che fino a qualche ano fa si era rivelato uno dei più attenti interpreti dell’eredità letteraria di Calvino.
Sottoscrivo i due interventi di Domenico Calcaterra giacché interpretano perfettamente il mio pensiero sull’argomento in questione.
Complimenti per questa bella pagina dedicata a Italo Calvino.
C’era una guerra contro i turchi. Il visconte Medardo di Terralba, mio zio, cavalcava per la pianura di Boemia diretto all’accampamento dei cristiani. Lo seguiva uno scudiero a nome Curzio. Le cicogne volavano basse, in bianchi stormi, traversando l’aria opaca e ferma.
– Perché tante cicogne? – chiese Medardo a Curzio, – dove volano?
Mio zio era nuovo arrivato, essendosi arruolato appena allora, per compiacere certi duchi nostri vicini impegnati in quella guerra. S’era munito d’un cavallo e d’uno scudiero all’ultimo castello in mano cristiana, e andava a presentarsi al quartiere imperiale.
– Volano ai campi di battaglia, – disse lo scudiero, tetro. – Ci accompagneranno per tutta la strada.
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[Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Mondadori]
Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.
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[Italo Calvino, Il BARONE RAMPANTE]
Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano li; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po’ coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell’immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l’armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo. D’un tratto, tre squilli di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell’aria ferma come a uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino che s’era sentito fin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri incupito dalle gole metalliche degli elmi. Finalmente ecco, lo scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul pomo della sella. Regna e guerreggia, guerreggia e regna, dài e dài, pareva un po’ invecchiato, dall’ultima volta che l’avevano visto quei guerrieri.
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[Italo Calvino, IL CAVALIERE INESISTENTE]
Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire.
Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.
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[Italo Calvino, LE LEZIONI AMERICANE]
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.
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[Italo Calvino, SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE]
La molle Luna
Secondo i calcoli di H. Gerstenkorn, sviluppati da H. Alfven, i continenti terrestri non sarebbero che frammenti della Luna caduti sul nostro pianeta. La Luna in origine sarebbe stata anch’essa un pianeta attorno al Sole, fino al momento in cui la vicinanza dalla Terra non la fece deragliare dalla sua orbita. Catturata dalla gravitazione terrestre, la Luna s’accostò sempre di più, stringendo la sua orbita attorno a noi. A un certo momento la reciproca attrazione prese a deformare la superficie dei due corpi celesti, sollevando onde altissime da cui si staccavano frammenti che vorticando nello spazio tra Terra e Luna, soprattutto frammenti di materia lunare che finivano per cadere sulla Terra. In seguito, per influsso delle nostre maree, la Luna fu spinta a riallontanarsi, fino a raggiungere la sua orbita attuale. Ma una parte della massa lunare, forse la metà, era rimasta sulla Terra, formando i continenti.
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S’avvicinava, – ricordò Qfwfq, me ne accorsi mentre rincasavo, alzando gli occhi tra le mura di vetro e di acciaio, e la vidi, non più una luce come tante che brillano la sera: quelle che s’accendono sulla Terra quando a una data ora alla centrale abbassano una leva, e quelle del cielo, lontane ma non dissimili, o che comunque non stonano con lo stile di tutto il resto, – parlo al presente, ma mi riferisco sempre a quei tempi remoti, – la vidi che si staccava da tutte le altre luci celesti e stradali, e acquistava rilievo sulla mappa concava del buio, occupando non più un punto, magari anche grosso, tipo Marte o Venere, come una sforacchiatura da cui la luce s’irradia, ma una vera e propria porzione di spazio, e prendeva forma, una forma non ben definibile perché gli occhi non c’erano ancora abituati a definirla ma anche perché i contorni non erano abbastanza precisi da delimitare una figura regolare, insomma vidi che diventava una cosa.
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[Italo Calvino, TI CON ZERO]
Amerigo Ormea uscí di casa alle cinque e mezzo del mattino. La giornata si annunciava piovosa. Per raggiungere il seggio elettorale dov’era scrutatore, Amerigo seguiva un percorso di vie strette e arcuate, ricoperte ancora di vecchi selciati, lungo muri di case povere, certo fittamente abitate ma prive, in quell’alba domenicale, di qualsiasi segno di vita. Amerigo, non pratico del quartiere, decifrava i nomi delle vie sulle piastre annerite – nomi forse di dimenticati benefattori – inclinando di lato l’ombrello e alzando il viso allo sgrondare della pioggia.
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[Italo Calvino, La giornata d’uno scrutatore, Einaudi]
Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d’arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico. Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l’orina dei muli. Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all’aria sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di Pietromagro il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché dai davanzali nasca un’eco di richiami e d’insulti.
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[ Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi]
La distanza della Luna
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Una volta, secondo Sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla Terra. Furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree che lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia.
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Lo so bene! – esclamò il vecchio Qfwfq, – voi non ve ne potete ricordare ma io sì. L’avevamo sempre addosso, la Luna, smisurata: quand’era il plenilunio – notti chiare come di giorno, ma d’una luce color burro –, pareva che ci schiacciasse; quand’era lunanuova rotolava per il cielo come un nero ombrello portato dal vento; e a lunacrescente veniva avanti a corna così basse che pareva lì lì per infilzare la cresta d’un promontorio e restarci ancorata. Ma tutto il meccanismo delle fasi andava diversamente che oggigiorno: per via che le distanze dal Sole erano diverse, e le orbite, e l’inclinazione non ricordo di che cosa; eclissi poi, con Terra e Luna così appiccicate, ce n’erano tutti i momenti: figuriamoci se quelle due bestione non trovavano modo di farsi continuamente ombra a vicenda.
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[Italo Calvino, Le cosmicomiche, Mondadori]
Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.
Un giorno, sulla striscia d’aiola d’un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lí prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto.
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[Italo Calvino, Marcovaldo, Einaudi]
Molto sopravvalutato. Sinceramente non ne sento la mancanza.
Amo le storie più “infantili” di Calvino. Quelle che maggiormente hanno lasciato il segno nella mia immaginazione sono i racconti di Marcovaldo: “Luna e Gnac” è forse il mio preferito. Ricordo anche una incantevole versione televisiva di Marcovaldo, nel 1970, con due attori del calibro di Nanni Loy e Arnoldo Foà.
Forse “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è stato sopravvalutato. Perec, Queneau e altri avevano saputo fare di meglio. E alcune delle “Lezioni americane” non mi convincono del tutto, un po’ troppo vicine allo stereotipo (per esempio quella sulla leggerezza).
*
Qualche anno fa ho visitato la tomba di Calvino e ne sono rimasto commosso. E’ in un paese di mare molto bello, con un porticciolo e un castello: Castiglione della Pescaia, nella Maremma grossetana. Si giunge al cimitero attraverso una via panoramica, su un colle con uno sguardo meraviglioso sul mare. La tomba di Calvino è semplicissima: una lastra grigia simile alla pietra, posta sulla terra, con nome e cognome e date di nascita e morte.
–
“La notte durava venti secondi, e venti secondi il GNAC. Per venti secondi si vedeva il cielo azzurro variegato di nuvole nere, la falce della luna crescente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi stelle che più le si guardava più infittivano la loro pungente piccolezza, fino allo spolverio della Via Lattea, tutto questo visto in fretta, ogni particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell’insieme che si perdeva, perché i venti secondi finivano subito e cominciava il GNAC.
Il GNAC era una parte della scritta pubblicitaria SPAAK-COGNAC sul tetto di fronte, che stava venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nient’altro. La luna improvvisamente sbiadiva, il cielo diventava uniformemente nero e piatto, le stelle perdevano il brillio…”
(“Luna e Gnac”, in “Marcovaldo” di Italo Calvino)
in effetti Le cosmicomiche sono un capolavoro. Pensare che c’è chi le considera inferiori ad altre “più serie” di Calvino mi fa venire in mente il prete cattivo e psicopatico de Il nome della rosa. Ma in fondo… amici, è questa la storia della nostra cultura, sempre guidata da idealità altissime talmente alte così vertiginose da scomparire alla vista oltre le vette più ripide inospitali e irraggiungibili; e soprattutto terribilmente seriosa, goffa, tronfia.
Su “Se una notte d’inverno un viaggiatore” le opinioni sono dicordanti. C’è chi considera questo libro una delle massime produzioni di Calvino, c’è chi lo considera un divertissement.
Io propendo per la prima ipotesi.
Secondo voi?
Romeo, io propendo come te. E di Calvino ne sento la mancanza, eccome.
Grande anche il Marcovaldo e le Cosmicomiche, come dicono Gaetano e Ang.
Mi permetto di postare un intervento dal mio blog Kropio
libri degli altri
Quando non scriveva libri suoi, Italo Calvino leggeva libri di altri. La sua intensa vita editoriale oggi è documentata in un appassionante epistolario che ha per titolo una frase ripresa da una sua intervista: i libri degli altri. Sono 300 lettere che possono essere consultate come un Baedeker. Una guida indispensabile per orientarsi nei labirinti della letteratura, per capire cosa leggere, per scoprire i continenti le isole le capitali ma anche i villaggi sperduti della nostra geografia culturale. Sono lettere di Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Beppe Fenoglio, Giorgio Caproni, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, Alberto Moravia, Luciano Foa, Franco Fortini, Lalla Romano, Anna Maria Ortese, Natalia Ginsburg, Mario Rigoni Stern, Carlo Levi, Emilio Cecchi, Goffredo Parisi, Giorgio Manganelli, Francesco Biamonti, Andrea de Carlo, Hans Magnus Erzensberger e molti altri. Ma soprattutto sono lettere d’amore alla letteratura. Lettere che rivelano i perché di molte scelte e le ragioni di certe esclusioni. Pagine che partono da un manoscritto inedito e si addentrano lungo complessi itinerari critici, aprono dibattiti sulla cultura contemporanea e anticipano interrogativi su nuove tendenze. Ma anche pagine che rivelano una umanità e una sensibilità rare, che oggi siamo tentati di rimpiangere
(Italo Calvino, I libri degli altri, a cura di Giovanni Tesio, con una nota di Carlo Fruttero, Einaudi, Supercoralli, 1991)
(Italo Calvino, I libri degli altri, a cura di Giovanni Tesio, con una nota di Carlo Fruttero, Einaudi, Supercoralli, 1991)
Molto superiori a Calvino, letterariamente parlando, Beppe Fenoglio e in particolar modo Dino Buzzati. Calvino è infantile quando non banale e inutile; e non sto a dire di quello che ha fatto all’Ariosto.
La città dei segni
(Le città invisibili)
[ ] Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante …
L’uomo esce dalla città senza riuscire a intendere come veramente sia la città. Malgrado abbia avuto tutte le indicazioni, perché la città con le sue strade, i suoi negozi, le sue insegne gliele fornisce tutte, la vera essenza, per lui rimane un mistero. La città diventa come un libro, costituita da parole. Al di fuori del linguaggio nulla è conoscibile. La città è come l’essere umano, nonostante abbia un’apparenza e un suo ordine, rimane sconosciuta anche a se stessa. La grandezza di Calvino sta nell’assemblare scienza, fantasia, umanità. Ne risulta una miscela perfetta costituita da tutti gli ingredienti necessari.
Un Calvino diverso lo troviamo ne Il sentiero dei nidi di ragno, in cui il piccolo Pin, durante la resistenza, fa continue esperienze, che riporta sempre a una dimensione fantasiosa che gli dà la capacità di sopravvivere in unl mondo sporco e violento.
Maria Rita Pennisi
Caro Massimo ti saluto affettuosamente.
Saluto anche Simona, Marialucia e Salvo.
Maria Rita Pennisi
Calvino è un grande! Rileggere le sue pagine, per me, non è mai tempo perso. Se ne sente la mancanza, altroché.
Grazie per lo spazio dedicato.
Grazie mille a tutti voi per i nuovi commenti e per i nuovi contributi.
Spero, nei prossimi giorni, di potervi fare sentire la voce di Calvino tratta dall’intervista radiofonica improvvisa andata in onda nella scorsa puntata di “Letteratitudine in Fm”.
Una serena notte a tutti.
Per quanto anche io ami (e molto) Fenoglio e Buzzati, dire che Calvino sia infantile se non banale e inutile mi pare solo stoltamente provocatorio.
Poi, per carità, a ognuno le sue opinioni!
Ben detto, Carlo S.
Sottoscrivo e ti stringo la mano!
Comunque devo dire che stimolato da questo post sto riprendendo in mano un po’ di libri di Calvino.
Oggi ho tra le mani Le città invisibili.
Il libro che ho amato di più di Calvino non è stato il primo. No, troppo difficile entrare nel suo mondo a dieci anni, troppo superficiale il professore che con Marcovaldo pretendava di leggerci un libro per bambini. No io all’epoca preferivo Rodari (Novelle scritte a macchina!!!). Poi si cresce e scopri Palomar, il visconte dimezzato ed infine il mio libro preferito: Il Barone Rampante. Da lì in poi ho preso quasi tutte le opere di Calvino in libri e poi i Meridiani con la summa dei suoi scritti. Probabilmente uno dei miei autori preferiti. La opera più rappresentativa Il CAstello dei destini incrociati se non fosse solo per le riflessioni che stanno al principio, prima ancora della nascita di questa opera. Le sue frasi che mi hanno colpito sono quelle sulle donne, riconoscuite come elemento indispensabile e fondante dell’uomo (inteso come soggetto universale ma anche come “omo”). A tanti anni di distanza dalla sua morte penso che la sua figura sia ancora un fondamentale punto di riferimento per la maggior parte degli scrittori se non fosse altro per la sua continua ricerca sia formale che di contenuto.
Siamo al Pasolini contro Calvino delle Benedetti. Certo Buzzati e Fenoglio sono dei grandi, ma perché rimpicciolire Calvino. Perché la necessità di fare classifiche?!… Mi pare, mi permetto e chiedo scuso, un approccio puerile al valore letterario di uno scrittore.
Siamo al Pasolini contro Calvino della Benedetti. Certo Buzzati e Fenoglio sono dei grandi, ma perché rimpicciolire Calvino. Perché la necessità di fare classifiche?!… Mi pare, mi permetto e chiedo scuso, un approccio puerile al valore letterario di uno scrittore.
(te pensa Carlo S. Io Buzzati invece lo trovo davero davero assai sopravvalutato:) Mi sta allegramente sui maroni. In ogni caso sottoscrivo).
Calvino non è un mio autore. Non è cioè uno di quelli che amo come fratelli, che mi sono cari. Quelli che vorresti a cena perchè tuoi amici. , però io ho cominciato a leggere voglio dire ad amare il fatto di leggere con Marcovaldo – anche io letto da piccola ma grazie a qualcuno che lo usò per spiegarmi il concetto di surreale, e poi con il cavaliere inesistente – che amo moltissimo e che ho riletto un mucchio di volte, per quell’aggancio metafisico che ha. Devo a Calvino il merito di avermi fatto conoscere certi sentimenti, di avermeli come dire fatti inventare. E io ancora non so dar loro un nome – per esempio il Marcovaldo che coglie i funghi alla fermata dell’autobus, mi suscita qualcosa che insieme è magico, struggente, rivoluzionario romantico, e un sacco di cose, che una parola sola non ha e che ha solo un momento letterario come quello. In Italia, solo un altro scrittore mi ha dato questa sensazione si regalarmi un lessico sentimentale – ed è Meneghello, che mi piacerebbe anche lui fosse ricordato qui,magari in un altro post.
@ Zauberei
Anch’io amo Meneghello, scoperto una ventina d’anni fa, quando abitavo in Veneto, immerso in un ambiente sonoro-linguistico per me del tutto nuovo e vissuto con una sorprendente profondità estetica proprio con Meneghello (e anche con Rigoni Stern, e i suoi boschi, le api, Asiago…).
Temo sia stato troppo osannato Calvino, questo a discapito di scrittori ben più valenti di lui. A ben guardare Calvino ha adoprato gli stilemi tipici del narratore, aggiungendoci di suo solamente un po’ di stile. Lo trovo non troppo dissimile da un onesto Salgari. Se questi avesse avuto modo e tempo di guardare anche allo stile, oggi sarebbe non da meno di un Calvino. Non dico poi come ha straziato l’Ariosto riducendolo a una buffonata: simili scempi dovrebbero essere proibiti! Ariosto è nella tomba che si rivolta, indarno purtroppo. Se c’è un cattivo esempio di letteratura è nel Calvino che ha messo mani all’Orlando furioso.
Non è una questione di classificazioni. Non per me. Riconosco il valore di Calvino ma è per me quello che ho già espresso, banale e inutile, quando non nocivo (si guardi all’Orlando furioso e a come l’ha rovinato). Trovo che ci siano scrittori molto più innovativi per linguaggio e sostanza a Calvino. I già citati Fenoglio e Buzzati, ma anche Primo Levi (chi ha letto i suoi meravigliosi racconti?), il grandissimo Arpino e il non meno grande Soldati.
Purtroppo è più facile celebrare la facilità quando non la faciloneria. Rimango dell’opinione che Calvino è stato sopravvalutato, davvero troppo.
@ Giuseppe Iannozzi
Senti, Giuseppe… io ti ho riaccolto in questo blog a braccia aperte… tenuto conto anche del tipo di approccio che avevi usato nei post precedenti.
Ma immagino si sia trattato di una sorta di “specchietto per allodole”.
La allodola, ovviamente, sono io.
–
Avevi già espresso la tua opinione lunedì, 27 settembre 2010 alle 12:06 pm, scrivendo, riferendoti a Calvino: “Molto sopravvalutato. Sinceramente non ne sento la mancanza”.
Opinione chiara. Poteva bastare.
Solo che nessuno ti ha calcolato e, per farti notare, hai dovuto alzare i toni scrivendo un commento palesemente fastidioso (molto lontano da un approccio polemico di tipo costruttivo): “Calvino è infantile quando non banale e inutile; e non sto a dire di quello che ha fatto all’Ariosto”.
–
Missione compiuta!
Peccato che a me questo tipo di approccio alla “alzare i toni” non aggradi molto. Diciamo pure che lo considero “banale e inutile, quando non nocivo”.
E mi verrebbe anche da pensare: “simili scempi dovrebbero essere proibiti!”
–
Che facciamo, Giuseppe… ripristiamo la situazione come era in precedenza?
@ Zauberei e Gaetano
Di Meneghello ne avevamo parlato qui: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/06/28/coccodrillo-su-meneghello-una-rima-imperfetta-per-un-grande-di-sergio-sozi/
😉
@ Gaetano
Di Rigoni Stern ne abbiamo parlato qui: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/17/addio-sergente-della-neve/
Ringrazio i nuovi intervenuti: Fabio, Antonio, Pierpaolo, Maria Rita, Anna…
Gaetano 🙂 io invece giro iontorno a Stern senza mai riuscire a bussare. Ci ho solo il bosco degli urogalli – ma forse è ora che cominci.
Meneghello mi ha proprio insegnato delle cose, ma anche tante oltretutto:)
Grazie Massimo ci vo:)
Convengo con Massimo Maugeri: certi interventi (senza togliere nulla alla libertà d’espressione della persona) sono “nocivi”. Credo sia utile, costruttivo, argomentare sui possibili “limiti” di talune operazioni letterarie di Calvino. Ma, in un blog che ha per scopo discutere sullo scrittore e le opere, il ribadire un giudizio (per quanto legittimo) quanto meno frettoloso, non mi pare corretto. Certo Meneghello è un grande scrittore; certamente i Racconti naturali o Il sistema periodico di Levi sono pagine che vanno riscoperte per la loro qualità letteraria, magari confrontandole proprio con quelle cosmicomiche di Italo Calvino… ma in altro contesto. Lo scopo, mi pare (mi corregga Massimo Maugeri se sbaglio) sia quello non di delineare un canone della letteratura del secondo Novecento, quanto piuttosto di far rivivere, riportare l’attenzione dei lettori-partecipanti di Letteratitudine sulle pagine di Calvino, potendo ciascuno esprimere la propria opinione relativamente a opere, stile, contesti, importanza nella indivudale storia di lettore… Mi permetto un invito: la migliore critica, certe volte, se non si apprezza affatto uno scrittore o lo si ritiene sopravvalutato, è non farne affatto menzione; come dire che la strada del silenzio è il miglior modo per disocciarsi. Scrivo questo in tono aichevolissimo e senza alcuna volontà di polemizzare con nessuno.
Convengo con chi sostiene che Calvino sia uno dei grandi del Novecento. Non tutti i suoi libri, però, mi piacciono allo stesso modo. Personalmente apprezzo di più il Calvino “classico” e un po’ meno quello sperimentale degli ultimi anni. Ma questo probabilmente è un mio limite giacché prediligo le letture di tipo tradizionale.
Vorrei aggiungere qualcosina poi rispetto al rapporto di Calvino con il fantastico dell’Ariosto: si può apprezzare o meno l’operazione condotta da Calvino sul capolavoro ariostesco, ma non si può negare che egli sia stato il massimo interprete nel secondo Novecento italiano di quella assai preziosa eredità: qualcuno saprebbe dirmi dove trovi fondamento primo in Calvino quella particolare declinazione di un “fantastico a tensione razionale” se non nell’eredità (attualizzata e senza la ben minima idea di competere con il ferrarese) costituita dalla lezione dell’Ariosto?… L’imitare rinnovando è alla base di qualsiasi scrittura.
Sì, direi di sì, è meglio.
Noto purtroppo con dispiacere, ma senza sorpresa, che chiudere il becco a chi ha opinioni diverse è diventata la norma nell’informazione, anche quando su di un blog.
Io ho parlato con educazione esprimendo una libera opinione.
Ti faccio notare, caro Massimo, che al mio primo commento lasciato sono seguiti diversi commenti, dove qualcuno batteva il cinque e qualcun altro diceva che la mia era mera provocazione. Questo significa palesemente che il commento non fu ignorato. E’ invece assodato che se l’opinione è diversa da quella del coro, allora si invita (è un eufemismo chiaramente) chi ha osato parlare a censurarsi da solo prima che si intervenga altri metodi.
Caro Massimo, dire che il mio primo commento non ha suscitato risposte è falso. Il thread è qui. Forse hai avuto un momentaneo abbassamento della vista, ma i commenti in risposta ci sono. Rileggiti il thread, forse è meglio. In quanto uomo libero ho risposto ribadendo la mia posizione.
Il problema non è di educazione. La mia educazione è sempre stata superlativa. Non la tua nei miei confronti, in quanto ti sei limitato a scimmiottare il mio parlare invece di rispondere con approccio critico da uomo e da uomo libero dai pregiudizi.
Sì, torniamo che lascio questo blog, dopo un anno di assenza. Un altro anno o due di assenza non potrà farmi male.
Non amo essere tacciato di presenzialismo, non da te comunque e in ogni caso non lo permetto a nessuno. Se c’è una cosa che non amo è finire in catene e di dar la caccia alle allodole. Se tu ti senti allodola, il problema è tutto tuo. Proprio tutto tuo. Io non ti ho pensato mai allodola né mi sono mai permesso.
Il mio solo e unico errore è stato ritenerti un pochettino migliore rispetto ad altri personaggi.
Allora statti bene. Tieniti le opinioni, se tali si possono mai definire, tutte belle uniformate con lo stampino da catena di montaggio e che te ne venga tutto il bene possibile.
E per inciso: io non ho pregiudizi e accolgo tutte le opinioni, di centro di destra di sinistra, che siano favorevoli o no a un post, che siano fatte di silenzio o di provocazioni. Non accetto solamente la violenza e apologie in favore di nazismo o stalinismo. Io non ho mai invitato qualcuno a tacere, il che la dice lunga sulla mia educazione. Forse abbiamo concetti diversi di educazione.
Non ti devo scuse perché non colpevole, tranne nel caso la libertà sia qui ritenuta crimine da punire. Semmai sei tu a doverti scusare per i toni pregiudiziali che hai usato contro di me. Ma sarebbe come chiedere a Dio di donare agli uomini tutti pace e eguaglianza perché mai e poi un uomo sia sotto a un altro uomo.
Ti saluto.
Le parole “stoltamente provocatorio” espresse da Carlo S. sono ribadite dal commento qui sopra.
Certo che ci vuole arroganza a iosa… ma proprio tanta.
L’impressione della allodola la avevo avuto pure io, caro Massimo. 🙂
Vedi di non cascarci una seconda volta, però.
Anche secondo me Calvino è sopravvalutato, ma scrivere che è banale, inutile e addirittura nocivo mi sembra offensivo nei confronti della memoria dell’autore e di coloro che hanno amato le sue opere.
Scrivere poi ‘simili scempi dovrebbero essere proibiti!’…
Ti ringrazio Massimo per la segnalazione del post su Meneghello, di cui non avevo notizia, e grazie anche per il riferimento a Rigoni Stern, post a cui avevo partecipato (ho ricordato l’emozione di quella sera, alla notizia della morte di Rigoni Stern, il quale avevo conosciuto anche personalmente).
Un abbraccio e grazie ancora,
Gaetano
Mi spiace per Giuseppe Iannozzi, che non conosco… lo dico davvero! Secondo me bisgnerebbe stare tutti in po’ più tranquilli. Caro Giuseppe voglio precisare che il mio intervento non era contro di te… Non scrivevo contro, scrivevo per e reputo il tuo intervento prezioso quanto quello degli altri. Spero che il diverbio tra te e Massimo si ricomponga e tu possa tornare ad esprimere in piena libertà la tua opinone. Un cordialissimo saluto.
Zauberei, io sono rimasto molto colpito, tra i tanti libri letti di Rigoni Stern, dallo stracitato “Il sergente nella neve”, ma anche da suoi deliziosi esili libretti, meno citati, come ad esempio “Inverni lontani”.
–
E per ritornare in tema, proprio in questi giorni ho pensato di riprendere in mano, di Italo Calvino, “Le città invisibili”, non solo come opera narrativa, ma anche come evocazione più ampia relativa al tema “città”.
@ Domenico Calcaterra
Gentile Domenico,
sono d’accordo con te quando hai scritto ‘in un blog che ha per scopo discutere sullo scrittore e le opere, il ribadire un giudizio (per quanto legittimo) quanto meno frettoloso, non mi pare corretto’.
Secondo me il problema non è quello di ribadire, o di esprimere un giudizio in controtendenza, ma come lo si fa.
Per quanto mi riguarda, pur considerando anch’io Calvino un po’ sopravvalutato, mi dissocio dall’intervento a gamba tesa usato da Iannozzi.
Nelle partite di calcio per gli interventi a gamba tesa si usa il cartellino rosso.
Gaetano Failla, anche a me è venuta voglia di riprendere Le città invisibile. Un’opera complessa e dal grande valore metaforico.
D’accordo con Renato. Volevo solo esprimere che non mi pare il caso di fare rissa. La moderazione è cosa rara. Ciò che dice Renato e ciò volevo significare anch’io con il mio intervento di prima. Torniamo a Calvino, dunque!…
D’accordissimo con Renato. Volevo solo esprimere che non mi pare il caso di fare rissa… Era per smorzare i toni, far da pacere insomma.
La moderazione è cosa rara. Ciò che dice Renato è ciò che volevo significare anch’io con il mio intervento di prima. Torniamo a Calvino, dunque!…
D’accordo con te Domenico. Ma l’effetto di quel tipo di interventi è appunto quello di scatenare la rissa o comunque un’aria di tensione ed è giusto stigmatizzarli.
Per quanto riguarda Calvino, come ho scritto, anche secondo me è un po’ sopravvalutato. In alcune sue opere mi è parso un po’ ‘artificiale’, cerebrale, secondo quello che il mio gusto, che predilige invece un tipo più sanguigno di narrativa. Ciononostante considero Calvino un grande autore, per nulla banale ed inutile.
La bellezza è proprio qui: io trovo Calvino eccezionale per quella impressione di leggera metallica cerebrale bellezza della scrittura e per il castello conoscitivo che ne costituisce il retrosceno più pesante e caratterizzante. Viva la diversità di vedute: e viva la coesistenza di pensieri diametralmente opposti!…
Domenico
Ciao Amelia, i libri amati sono come cari amici, poterli condividere è un vero piacere.
Infatti Domenico. Il giudizio su un’opera letteraria o su un autore deriva dal proprio gusto personale, che per fortuna è diverso. L’importante secondo è esporlo in maniera serena e non sgradevole, come stiamo facendo noi.
L’importante secondo me è esporlo in maniera serena e non sgradevole, come stiamo facendo noi.
scusate il refuso.
Non capisco: non mi pare di essere stato “sgradevole” nel presentare le mie opinioni ne di offendere alcuno. Se l’ho fatto chiedo scusa…
Mi riferivo a quelle frasi di G. Iannozzi, non a te Domenico. Tu mi sembri gradevolissimo.
Mica facile comunicare con quest’aggeggio.
perdonami, avevo equivocato… Ci vorrebbe un vigile, per dirigere lo scambio di informazione sul bus.
Mi permetto di fare ancora alcune considerazioni sull’affair Iannozzi, essendo stato io il primo a sentirmi urtato dal suo intervento, e avendolo io per primo definito “stoltamente provocatorio”.
Tengo a ribadire che la disparità di opinioni è il sale di qualsiasi discussione, e di un qualsiasi blog nato per discutere (anche accaloratamente) su determinati argomenti. Ma mi pare opportuno ai fini di qualsiasi discussione motivare in qualche modo le opinioni , favorevoli o contrarie che siano, e specialmente quelle “controcorrente” in un post che nasce con evidente intento celebrativo.
Asserire lapidariamente che Calvino possa essere infantile, inutile e banale, senza spendere un rigo per motivarlo (e più tardi Iannozzi ci dice di essere orripilato dall’operazione calviniana sull’Ariosto, definendola “straziante”, ma ancora senza dirci perché) rischia di apparire un’operazione puramente autoreferenziale ed ai limiti dell’offensivo nei confronti non solo dell’autore, ma di quanti qui aderiscono all’invito di celebrarlo.
Condivido l’opinione di Domenico Calcaterra riguardo alla migliore espressione del proprio dissenso mediante il tacere (dissenso elegante), ma capisco anche che nessuno, in tal caso, noterebbe l’assenza di Iannozzi Giuseppe. Appare evidente quindi l’intento di voler far notare tale (non motivato) dissenso.
Molto più ragionevole il pacato dissenso di Renato, che infatti riconosce in quello di Iannozzi un “intervento a gamba tesa”. Volontario, aggiungerei, e giustamente punito dall’arbitro Maugeri da Catania con il cartellino rosso. Chi scende in campo si assuma i propri rischi e le proprie responsabilità, anche di semplice opinione.
Riferendomi poi a quanto Calcaterra afferma riguardo al nesso Calvino-Ariosto sottolineerei che la “straziante” operazione sull’Orlando furioso potrebbe avere anche uno scarso valore in sé (se vogliamo dare retta a Iannozzi), ma assume un valore enorme proprio per come pone in luce l’utilizzo da parte di Calvino del fantastico-razionale ariostesco nelle proprie opere, nella propria personalissima creazione narrativa.
A proposito di come Calvino abbia introiettato la lezione dell’Ariosto è proprio quanto volevo significare con il mio precedente intervento: ciò che sostenevo è proprio quanto brillantemente ha scritto Carlo S.
Siamo pienamente in sintonia.
D.
E io rendo a Calcaterra ciò che (se non fosse chiaro) è suo. Intendevo solo sottolineare quanto da lui già affermato.
Mi pare che il commento di Carlo delle 6:17 pm sia perfetto.
Che ci siano opinioni discordanti, nell’ambito di un dibattito, è auspicabile (e qui, come negli altri, ci sono state). Ma c’è modo e modo per esprimere la propria opinione, così come ci sono polemiche costruttive e polemiche sterili e autoreferenziali.
Quello che davvero mi dispiace è non essere riuscito a far capire a Giuseppe Iannozzi (ma forse è lui che non lo vuole capire) lo spirito di questo blog che, con coerenza sin dal giorno in cui l’ho aperto, mi sforzo di mantenere intatto.
Eppure ci ho provato.
Nel post dedicato al libro di Vins Gallico, Giuseppe Iannozzi ha parlato del libro di Vito B. Zingales inserendo il link del suo blog con la rencensione (precisando che riteneva di non essere andato fuori argomento).
Con commento (di venerdì, 17 settembre 2010 alle 5:58) gli avevo scritto:
“Caro Giuseppe, come sai intervengo sui commenti solo laddove (come recita la nota “avvertenza” inserita nella colonna di sinistra del blog) dovessero essere considerati fuori argomento, o offensivi e/o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni.
Oppure quando mettono “in imbarazzo” i miei ospiti.
Non solo quel tuo commento non rientra in nessuna delle suddette tipologie, ma ti ringrazio pure perché ci dài la possibilità di conoscere Vito B. Zingales.
Anzi, Giuseppe… poiché Letteratitudine si basa sui principii dell’accoglienza e del coinvolgimento ti chiedo (se ti fa piacere… e se dovesse far piacere anche all’interessato) di far intervenire Zingales in questo dibattito.
Magari potrebbe fornire una sua risposta a una o più delle domande del post.
E poi ci potrebbe far conoscere un po’ di più questo suo libro che hai recensito sul tuo blog”.
–
Evidentemente il messaggio non è passato.
Del resto è scritto a chiare lettere nella “netiquette” del sito che recita così: “Letteratitudine nasce fondamentalmente come luogo di incontro. Per tale motivo si basa sui principii dell’accoglienza e della cordialità. Il creatore e gestore del blog ringrazia anticipatamente tutti coloro che, con i loro interventi, daranno un contributo a mantenere un clima di accoglienza e serenità.
Naturalmente, nell’ambito delle discussioni proposte, è ammessa la polemica… purché sia sensata, utile e costruttiva; ma sempre entro i limiti dell’assoluto rispetto di persone e opinioni”.
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Ora quelle frasi di Giuseppe Iannozzi buttate lì (da voi definite giustamente come “stoltamente provocatorie” e “interventi a gamba tesa”) mi pare che vadano nella direzione opposta a quella di dare un “contributo a mantenere un clima di accoglienza e serenità” o di proporre una polemica “sensata, utile e costruttiva”.
Detto ciò non ho nulla contro Giuseppe e gli auguro il meglio… ma Letteratitudine (che piaccia o no) è un blog impostato sulla base di quanto sopra evidenziato.
Scusate se non mi dilungherò molto, ma sono febbricitante.
Tuttavia ci tengo a ringraziare i nuovi intervenuti per i loro interventi… in special modo Renato che ci dimostra che è possibile esprimere pareri in disaccordo (se non opposti) senza essere fastidiosi.
Ho aggiornato il post con una nuova nota (andate a vedere!).
Si tratta di questo.
Nella puntata di “Letteratitudine in Fm” del 24 settembre (trasmissione di radiofonica libri e letteratura che curo e conduco su Radio Hinterland) ho avuto come ospite “virtuale” proprio Italo Calvino nell’ambito di una sorta di intervista radiofonica “impossibile”. L’intento è stato quello di omaggiare il grande scrittore facendo sentire la sua voce in radio in occasione del 25° anniversario dalla sua morte.
Potete ascoltare la registrazione di quella porzione di puntata cliccando sul pulsantino che trovate alla fine del post.
Dura poco più di dieci minuti.
Vi invito (se potete e se vi va) ad ascoltarla e a commentarla.
Per agevolarvi inserisco il link anche qui di seguito…
http://www.rhprogrammi.com/letteratitudine/puntata_Calvino.mp3
Concordo pienamente con Domenico, di cui sposo l’espressione “dovremmo stare tutti un pò più tranquilli”.In fondo si parla per scambiarsi opinioni, competenze e pensieri, si discetta amabilmente, ci si incuriosisce ma non vedo alcuna necessità di ribadire posizioni nette e di contrapposta aggressività.Non credo affatto che gli ospiti di letteratitudine siano uniformati ad un’unica voce, ognuno è stato sempre libero di esprimersi con spontaneità senza peraltro rinunciare al rispetto delle opinioni altrui, senza sparare sentenze e senza offendersi come se fosse tutto un fatto personale.Sono lieta di leggervi sempre tutti, ogni commento ogni pensiero aggiunge qualcosa a ciò che resta dentro di me, ogni scambio di opinioni letto qui è per me stessa un seme che germoglierà.Grazie Massimo perchè in realtà è come se sedessimo tutti nel salotto di casa tua.A me piace tanto il tuo modo di farci sentire a nostro agio.
Auguri per una veloce guarigione, in tempo per la trasmissione radio di venerdì!
Grazie di cuore a te, cara Fran.
E grazie a tutti.
Comunque lancio una proposta ad uso di noi commentatori. Quando intervengono personaggi così la situazione diventa problematica perchè da una parte si capisce che quelllo la vuole solo provocare, quindi sarebbe meglio non rispondere – dall’altra la tentazione è ferocissima tanto più per i veterani del blog che al blog sono affezionati. Solo che se si risponde si ottiene l’effetto sperato: che qui potete vedere…
Secondo me la cosa migliore da fare allora è, nel caso di legittimo prurito commentatorio, rispondere al tizio di turno nella camera accanto – dopo tutto è OT. In questo modo la compattezza del post e del dibattito non viene minata li commentatori si sfogano e il tentativo di sabotaggio della discussione fallisce.
Scusate l’ot. Massimo guarisci.
Legittimo prurito commentatorio?
🙂
Cara Zaub, tu in un modo o nell’altro riesci sempre a farmi sorridere.
Impagabile!
E ora… ri-calvinizziamo il post e la discussione.
In chiusura della puntata radio che vi ho linkato qui sopra, leggo un brano tratto dalla “Leggerezza” (Lezioni americane) che mi è sempre piaciuto.
Ascoltate e dite, se potete!
Sono giovane e non ho avuto ancora la possibilità di leggere tutti i testi di Calvino,ma sto seriamente pensando di rifarmi,sia perché mi ha sempre incuriosita come scrittore,e sia perché ho avuto modo di ascoltare in questi giorni le letture radiofoniche che la rubrica “Ad alta voce” di Radiotre ha proposto dei racconti della raccolta “Gli amori difficili” e de “Il visconte dimezzato” (e qualche tempo fa anche de “Il barone rampante”). La cosa che mi ha colpita di più di questi testi è stata la naturalezza delle descrizioni di Calvino, descrizioni dettagliate ma non pedanti, che riescono a farti interessare alla trama e a farti “catturare” da essa, a prescindere dal suo contenuto; un modo di scrivere che ti incuriosisce tanto da non permetterti di fare a meno di sapere come andrà a finire la storia…come ogni buon testo letterario dovrebbe fare.
Saluti a tutti 🙂
Sara
L’intervista radiofonica impossibile a Calvino è geniale. Molto bella anche la chiusura. Mi sembra perfetta e attualissima.
Bravo.
Interessante quello che dice Calvino sul potere, mi riferisco all’intervista radio.
Però quando mai il potere è stato appannaggio d gente ‘giusta e pulita’?
Su questo forse si potrebbe discutere.
Grande Italo Calvino. Io appartengo alla generazione di quelli nati all’inizio degli anni ’50 quando l’ultimo conflitto bellico era ormai alle spalle e si pensava al positivo della ricostruzione, della rinascista (o almeno ci pensavano i miei genitori). Ho vissuto le prima giovinezza nel pieno del boom anni ’60 e dai 17 anni in poi – lettrice onnivora – dopo i grandi classici mi sono avvicinata alla letteratura italiana contemporanea. Tra le mani e nell’anima sono passati e sono stati da me molto amati: Ortese, Pavese, Bassani, Prisco, Rea ed altri. In questa overdose di “nostra” letteratura ho letto il “Barone Rampante” di Calvino, che ho scoperto più tardi, ed è stata una esperienza notevole. In lui convivevano straordinarie forme di fantasia e lucidità, osservazione analitica ma anche visione surreale ed ironica delle cose del mondo. Una complessità d’intenti e una fascinazione di scrittura indimenticabile. “Per questo continueremo ad avere bisogno di lui” – concordo con Ernesto Ferrero, delle sue Fiabe Italiane, delle Lezioni Americane, delle Città Invisibili. Delia
Massimo, ho ascoltato la trasmissione. Mi hanno colpito i consigli finali di Italo Calvino. E mi è venuto in mente che non sono per nulla in grado di estrarre (si dice così?) una radice quadrata.
E’ grave? 🙂
Bello sentire la voce di Calvino, anche se mi sentirei di dire che lo scrittore fosse di gran lunga superiore all’oratore (e succede in molti casi).
Comunque grazie Massimo, è stata una trasmissione interessante. La ciliegina su questo post a lui dedicato.
Che bello sentire Calvino dialogare nel programma radio. E’ riuscito bene. Dava proprio l’impressione di essere lì. Ottima idea per ricordare questo grande autore.
Ho ascoltato la registrazione radio in questo momento e con grande emozione. Le affermazioni così moderne, la lucida vena profetica di Calvino mi hanno profonamente colpita. E ciò che tu hai letto Massimo da Lezioni Americane a proposito della leggerezza, quel bel passo in cui Calvino cita la novella di Boccaccio e la figura poetica di Guido Cavalanti, mi trovano prfettamente concorde. Calvino conosceva i suoi tempi e li riconoscerebbe anche oggi, col suo profondo senso critico, se fosse ancora tra noi. Grazie. Delia
Caro Massi,
ascoltare la tua voce che intercala quella di Calvino è stata un’emozione enorme, quasi una vertigine che ha spezzato barriere temporali e spaziali. Non solo per la assoluta naturalezza del vostro domandare e rispondere, ma perchè suggerisce l’eternità delle sue parole , l’essere adatte a qualsiasi momento storico, umano e sociale, il restare impigliate ancora nel cuore, come dette ieri , pronunciate sulle nostre vite in atto.
L’idea è commovente e amorevolissima, e getta sul passato, su chi ci ha preceduto, su chi – come noi – ha scritto, sofferto, amato, una benefica soffiata di fratellanza e intimissimo approdo.
Caro Massi, dare corpo alle voci di chi ci ha lasciato è quasi riportarle in vita o rammentarci che, in realtà, non passano se la memoria le accarezza e le cerca. Se l’amore per l’uomo ha la meglio su mode, momenti, attimi passeggeri come il vento.
Grazie quindi a nome di questa dimenticanza risanata, di questo impasto tra te e lui, e ancora tra lui e noi tutti, tra il passato e il sempre, tra il restare e il non andare via mai più.
Un bacio
Simo
Calvino è il più lucido.
Mi fa piacere che “l’intervista radiofonica impossibile” a Calvino mi abbia convinti e che l’abbiate giudicata favorevolmente (in effetti era piuttosto rischiosa).
Grazie di cuore a te, Simona, per il bel commento. Come hai scritto “dare corpo alle voci di chi ci ha lasciato è quasi riportarle in vita o rammentarci che, in realtà, non passano se la memoria le accarezza e le cerca”.
Il mio intento era proprio questo.
Grazie davvero.
E grazie anche a: Sara, Amelia, Renato, Delia, Carlo, Vale, Luisa, Gabri.
Grazie a tutti.
Massimo sei stato bravissimo, l’intervista è molto interessante anche se sono certa che se avessi potuto davvero interloquire con Calvino con la tua verve avresti fatto sbottonare di più lo scrittore!Grazie di questo dono che ci hai fatto,i ricordi si nutrono di stimoli che li rinnovano dentro di noi e danno la sensazione che il passato non sia messo da parte.
un abbraccio
Complimenti, aggiungerei, per la scelta del brano tratto dalla “lezione americana” dedicata alla Leggerezza. Bravo Massimo, come sempre del resto.
D.
con Calvino iniziò la mia passione per la lettura: andavo alle scuole medie e leggevo Marcovaldo, Il Visconte dimezzato ecc. Oggi, a distanza di quasi tre decenni, leggo ancora “Se una notte d’inverno un viaggiatore” con la stessa voglia di imparare, di incuriosirmi, di scoprire…
Avevo dimenticato di ringraziarvi per i nuovi commenti pervenuti qui.
Grazie mille a: Francesca Giulia, Domenico e Paola.
E grazie, in particolare, per le belle parole espresse per la trasmissione radiofonica con “ospite” Calvino.
Era indeciso se farla o no… poteva essere considerata un’operazione di cattivo gusto.
Ma voi avete colto perfettamente lo spirito che mi ha animato.
Grazie davvero, amici.
Intervengo solo ora perche’ prima non avevo notato il post, chiedo venia.
Ecco: io ho onorato Calvino scrivendo un saggio narrativo, dal titolo ”Un piatto di lumache”, che vorrei tanto pubblicare. Li’ c’e’ tutto il mio pensiero su di lui, non credo serva dire altro.
Salutoni da Sergio
… ed io ho trovato un’interessante (o almeno così dicono i lettori del mio “Potere di link”) attitudine di Calvino ad anticipare le caratteristiche della cultura digitale. A proposito di ipertesti, reti e multimedialità “ante litteram”, le “Lezioni americane”, in particolare, sono davvero illuminanti.
OMAGGIO A ITALO CALVINO (a trent’anni dalla sua morte)
Care amiche e cari amici di Letteratitudine,
cinque anni fa, nel settembre 2010, proposi un post in occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Italo Calvino.
A distanza di cinque anni, in occasione del trentesimo (che ricorrerà domani 19 settembre 2015), vorrei riproporvi lo stesso post di allora, con le stesse domande, gli stessi spunti, gli stessi contributi, chiedendovi di contribuire a (r)innovarlo e a integrarlo, in omaggio a questo grandissimo scrittore del Novecento letterario (non solo italiano) che è stato Calvino.
Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Italo Calvino con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non ha ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Su Panorama
http://www.panorama.it/cultura/libri/italo-calvino-30-anni-morte-foto/
Su Left
http://www.left.it/2015/09/16/trentanni-senza-italo-calvino-mostre-e-iniziative-per-ricordarlo/
Su RaiNews
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/30-anni-dalla-morte-di-Italo-Calvino-6a4f1d35-bcc3-474d-b7fc-d15bd1294df5.html
Su Il Giornale
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/italo-calvino-sue-lezioni-30-anni-morte-1172623.html
Su Il Corriere della Sera
http://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/15_settembre_17/italo-calvino-trenta-anni-morte-1668e612-5d12-11e5-a9e6-18c301067c0c.shtml
Adoro Calvino. E’ uno dei miei autori preferiti.
Pensare che siano già trascorsi 30 anni dalla sua morte mi rattrista molto.
Penso che molte delle sue opere rimarranno intatte nel tempo a offrire e emozioni ai lettori che verranno soprattutto grazie alla visionarieta’ e alla valenza allegorica che le contraddistingue.
Mi capita di rileggere le opere di Calvino anziché leggere romanzi contemporanei di dubbia qualità.
Il tempo libero purtroppo si riduce sempre più e occorre impiegarlo bene.
Un saluto a tutti.
Viva le opere di Italo Calvino!
Caro Massimo, ciao!
Avrei un po’ di materiale che ho raccolto su Calvino in collaborazione con una mia amica che si chiama Valeria. Vorrei pubblicarlo tra i commenti. Prima di farlo però chiedo la tua autorizzazione.
Grazie per il tuo intervento, Luna.
Cara Margherita, ma certo!
I tuoi contributi saranno i benvenuti.
Scusami per il ritardo della mia risposta.
Scusa Massimo. Ho avuto un problema. Spero di farcela nei prossimi giorni.
Non c’è alcun problema, Margherita (né alcuna fretta).
Grazie comunque, anche se non dovessi riuscire a intervenire.
Io preferisco il primo Calvino, quello più visionario e meno matematico.
Nella trilogia degli Antenati c’è tutto.