Quale rapporto c’è tra letteratura, linguaggio e nuovi media? A distanza di oltre 10 anni dall’esplosione del web, le nuove tecnologie hanno cambiato il modo di scrivere, di raccontare, di farsi leggere? Le speranze di rilancio della letteratura e della scrittura creativa che agli inizi degli anni ’80 alcuni intellettuali avevano riposto in internet sono state disattese o si sono concretizzate in nuovi orizzonti? E come ha reagito a tutto questo il mercato? Quali sono le prospettive artistiche ed economiche di questo mondo?
“ORONZO MACONDO” vuole porsi e porre queste ed altre domande in un week-end (dal 2 al 4 ottobre 2009) di incontri, dibattiti, workshop, approfondimenti sulla letteratura italiana contemporanea. Una residenza artistica per analizzare le nuove frontiere della cultura, le sue prospettive, i suoi successi, i suoi fallimenti, le illusioni. Scrittori, blogger, sociologi, studiosi e critici saranno ospiti del Salento in una sorta di grande fratello della comunicazione.
Ho avuto il privilegio di essere uno degli autori contattati. Oltre me, parteciperanno: Gianni Biondillo, Davide Borrelli, Girolamo De Michele, Carlo Formenti, Elisabetta Liguori, Giulio Mozzi, Paolo Nori, Antonio Pascale, Livio Romano, Michele Trecca, Giorgio Vasta, Dario Voltolini (qui l’elenco dei partecipanti; e qui il programma).
“Oronzo Macondo” è organizzato dall’omonima associazione culturale, vincitrice del concorso “Principi Attivi – Giovani idee per una Puglia migliore” promosso dalla Regione Puglia e dal Ministero per la Gioventù.
Vorrei provare a condurre, contestualmente, una discussione anche qui su Letteratitudine, partendo proprio dalle domande formulate da Oronzo Macondo riportate all’inizio del post.
Francesca Giulia Marone mi darà una mano a moderare il dibattito che (spero) possa svilupparsi anche qui.
Ne approfitto inoltre per presentare il libro di Rosa Maria Di Natale “Potere di link. Scritture e letture dalla carta ai nuovi media” (Bonanno, 2009) – recensito, di seguito, da Salvo Mica – e per chiedere all’autrice il suo parere sull’argomento (e di raccontarci l’esperienza di scrittura di questo libro).
Massimo Maugeri
—————–
Se il sacro atto dello scrivere passa dai nuovi media
di Salvo Mica
E’ il momento di dire addio alla dicotomia culturale di una volta: i libri e la carta ai sapienti umanisti, le tecnologie ai più empirici studiosi dell’informatica. Chi ama i libri, e persino chi li scrive, sembra oramai orientato a sfruttare al massimo tutte le potenzialità dei bit e sono già in tanti coloro che scelgono di vivere l’emozione della lettura, e del sacro atto dello scrivere, direttamente al computer.
“Potere di link. Scritture e letture dalla carta ai nuovi media” (Bonanno editore) è il saggio di Rosa Maria Di Natale (nella foto), giornalista catanese, docente di giornalismo e nuovi media, già vincitrice del premio “Ilaria Alpi” nel 2007. La prefazione è firmata dal compianto giornalista Enrico Escher. Presentato alla Fiera del libro di Torino e già libro di testo a Scienze della comunicazione, “Potere di link” fa quello che ogni buon testo scientifico dovrebbe fare: spiegare per filo e per segno qual è il forte legame tra la scrittura e la cosiddetta “rivoluzione digitale”. Ne viene fuori un’analisi degli e-book e dell’ormai famoso Kindle, ma l’autrice fa il punto sugli ipertesti, sulle biblioteche immateriali, sulle librerie virtuali, sul self publishing ma soprattutto sul famigerato “link”, la porta virtuale che conduce da un testo all’altro senza un processo lineare, e senza che qualcuno definisca a priori il percorso.
E’ arrivato dunque il tempo di dimenticare la carta? Niente affatto, assicura Di Natale, che pur invitando a cogliere le novità che arrivano da blog e siti Internet, dalla cosiddetta “scrittura collaborativi on line” e dalla creatività che incontra il multimediale, spiega che libro elettronico e libro di carta sono da considerare alleati e non concorrenti. Non è un caso che il grande ispiratore di “Potere di link” sia il grande Italo Calvino che nelle sue Lezioni americane offre la visione del romanzo come “grande rete”, sottolineando il pregio di una qualità fondamentale del sapere, la leggerezza, ma soprattutto rivendicando l’identità della letteratura anche nell’avvento dei nuovi media.
E così Rosa Maria Di Natale accompagna Calvino al modernissimo guru Manovich, Walter Ong a De Kerkchove, Umberto Eco a Manuel Castells, ma anche Platone a Mc Luhan. Forzature temporali? Nessuna. Tutto coincide, e sembra che il passare dei secoli abbia complottato per evidenziare una verità che sembriamo aver dimenticato: scrivere è una tecnologia. Se su carta o su un dispositivo elettronico, cambia davvero poco.
———————–
Foto del 3 ottobre 2009: Agnese Manni con Uomo con la Camicia Celeste misteriosamente imbronciato
Cari amici, sono in partenza per “Oronzo Macondo”: un grande evento organizzato nel leccese nell’ambito del quale si discuterà di “Letteratura e Rete”.
“ORONZO MACONDO” vuole porsi e porre queste ed altre domande in un week-end (dal 2 al 4 ottobre 2009) di incontri, dibattiti, workshop, approfondimenti sulla letteratura italiana contemporanea. Una residenza artistica per analizzare le nuove frontiere della cultura, le sue prospettive, i suoi successi, i suoi fallimenti, le illusioni. Scrittori, blogger, sociologi, studiosi e critici saranno ospiti del Salento in una sorta di grande fratello della comunicazione.
Ho avuto il privilegio di essere uno degli autori contattati. Oltre me, parteciperanno: Gianni Biondillo, Davide Borrelli, Girolamo De Michele, Carlo Formenti, Elisabetta Liguori, Giulio Mozzi, Paolo Nori, Antonio Pascale, Livio Romano, Michele Trecca, Giorgio Vasta, Dario Voltolini.
Il programma della tavola rotonda lo trovate qui:
http://www.oronzomacondo.it/oronzomacondo/index.php?option=com_content&view=article&id=82&Itemid=77
Ricordo che “Oronzo Macondo” è organizzato dall’omonima associazione culturale, vincitrice del concorso “Principi Attivi – Giovani idee per una Puglia migliore” promosso dalla Regione Puglia e dal Ministero per la Gioventù.
Vorrei provare a condurre, contestualmente, una discussione anche qui su Letteratitudine, partendo proprio dalle domande formulate da Oronzo Macondo…
Quale rapporto c’è tra letteratura, linguaggio e nuovi media?
A distanza di oltre 10 anni dall’esplosione del web, le nuove tecnologie hanno cambiato il modo di scrivere, di raccontare, di farsi leggere?
Le speranze di rilancio della letteratura e della scrittura creativa che agli inizi degli anni ‘80 alcuni intellettuali avevano riposto in internet sono state disattese o si sono concretizzate in nuovi orizzonti?
E come ha reagito a tutto questo il mercato?
Quali sono le prospettive artistiche ed economiche di questo mondo?
Francesca Giulia Marone mi darà una mano a moderare il dibattito che (spero) possa svilupparsi anche qui.
Inoltre colgo l’occasione per presentare il libro di Rosa Maria Di Natale “Potere di link. Scritture e letture dalla carta ai nuovi media” (Bonanno, 2009) – recensito, sul post, da Salvo Mica.
Chiedo a Rosa Maria il suo parere sugli argomenti proposti da “Oronzo Macondo” (e di raccontarci l’esperienza di scrittura di questo libro).
–
So che anche Rosa Maria Di Natale, in questo giorni, è impegnata in un convegno. Dunque interverrà quando potrà (credo la sera).
Ne approfitto per salutarvi e augurarvi un buon week end.
Ma avrò modo di scrivere e – spero – di raccontarvi qualcosa sullo svolgimento dei lavori a “Oronzo Macondo”.
Buongiorno a tutti, buongiorno caro Massimo e buon viaggio!Di certo non poteva mancare una figura di peso rilevante come te nell’ambito di questo interessante convegno sulla letteratura in rete.
Le domande son tante e cercheremo lentamente di avviare una bella discussione,che credo ci riguardi un pò tutti.
La prima cosa che mi è venuta in mente pensando al rapporto fra letteratura linguaggio e nuovi media è stata la lezione sulla leggerezza di Calvino-da Lezioni Americane- quando ci parla del software,la leggerezza dei bits di un flusso d’informazioni.Io aggiungerei la velocità, che di questo mezzo di comunicazione è carattestica preponderante.
Leggerezza e velocità mi pare siano essenziali nel linguaggio e rappresentano la forza anche di questo stesso blog,di cui è superfluo sottolineare la crescita degli ultimi due anni e la rilevanza assunta nella cimunicazione letteraria.
Buon viaggio Massi! Portaci con te!
@FRancesca Giulia, buongiorno a te, carissima. E un bacio. A più tardi (per adesso: bimbo con otite, sentenze, ordinanze e supermercato)….
@simo priorità massima a bimbo!!!
baci
Non avevo ancora letto il bel articolo di Salvo Mica dove si parla anche della leggerezza di Calvino,perciò diciamo che mi trova perfettamente d’accordo.Mi piace soprattutto dove dice”libro elettronico e libro di carta sono da considerare alleati e non concorrenti”.
Siete d’accordo con questa affermazione?Secondo voi sono solo due strumenti diversi per suonare la stessa musica,cioè il piacere della letteratura?
caro Massimo, spero che avrai tempo di segnalare nell’occasione l’esperienza de Le Aziende InVisibili, che sia nei modi di produzione, sia nel risultato finale (la particolare organizzazione del testo), sia in alcuni output (Metablog, Web Opera in Second Life, “”sequel” biblico in corso d’opera….) mi sembra rappresenti bene una possibile sperimentazione del futuro Wikiromance!
sono perfettamente d’accordo con te, francesca giulia. le parole di calvino sono anticipatorie e illuminanti.
complimenti per oronzo macondo. un bell’evento. un saluto a tutti i partecipanti.
Ciao Marco,vuoi ricordare brevemente tu stesso l’iniziativa di cui parli sopra?Mi pare che suggerisca l’altra carattestica fondamentale della letteratura in rete,cioè la”condivisione” che nel caso citato,è condivisione non solo di lettura ma addirittura di scrittura,poichè è di lavoro collettivo che stiamo parlando.Questo naturalmente cambia anche la natura finale del prodotto,il libro,qui mi piacerebbe sentire qualche vostra considerazione…
Ciao Mariano,grazie per essere intervenuto!Ricambio i tuoi saluti a nome anche di Massimo.
Un convegno molto interessante al quale mi piacerebbe assistere. Molto interessante anche il saggio di Rosa Maria Di Natale. L’argomento è per me di grande fascino. Spero che ci racconterai qualcosa al tuo ritorno. Buon viaggio, Massimo. Un abbraccio
Molto interessante. Rimango collegato per saperne di più.
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/10/15/le-aziende-in-visibili/
Peccato aver saputo così tardi del convegno! Avrei partecipato (da uditore) assai volentieri!!!
L’argomento mi interessa moltissimo, visto che il 23 ottobre dovrò parlarne a Jyväskylä (Finlandia) in un congresso sulle New Literacies. Premesso che il congresso sarà abbastanza una palla (si parlerà quasi esclusivamente di softwares e applicativi per la lettura ad alta voce per non vedenti o cose simili, cfr. il programma: ) e che io sarò l’unico a parlare veramente di “robba curturale”, mi piacerebbe avere un po’ di imput sulla situazione italiana e internazionale della “letteratura in rete” da parte di persone sicuramente più esperte, come molte delle presenti.
Fermo restando che a mio avviso la rivoluzione della scrittura è solo all’inizio, e che la solidarietà fra scrittura on-line a quella cartacea è una realtà a breve termine.
Infatti cambiare il modo di leggere (e di scrivere) cambia il modo di pensare, e la rivoluzione dei link porta a modalità di acquisizione delle informazioni meno lineare e più variegato e dispersivo di quello librario. Se il passaggio dal rotolo al codice (il libro moderno) ha comportato la possibilità di costruire indici, e quindi una cultura del rimando interno, con conseguente perdita di necessità della memorizzazione di tutto il possibile, come era invece nell’antichità, così la cultura del testo ubiquo porterà a ulteriore diminuzione della mnemonizzazione di dati oggettivi, ma anche a minor capacità di portare avanti dall’inizio alla fine testi lunghi e complessi ricchi di rimandi interni. L’aspetto positivo è ovviamente l’approfondimento indefinito e non pre-programmabile (da parte dell’autore dei saggi, qualsiasi cosa “autore” significherà in futuro) delle informazioni oggetto di studio, e l’integrazione con elementi visivi e audiovisivi (prima o poi in 3D). D’altro canto a scapito della capacità di concentrazione esclusiva e di lungo termine che già oggi è nota a chi ha più di 30 anni.
Domanda: 20 anni fa era così difficile “studiare” un libro come lo è oggi? Secondo me no…
Ops, certo che dovevo dimenticare il link al programma del convegno di Jyväskylä. In realtà noto che on-line il programma vero nonc’è, ma solo l’annuncio dell’evento. Cmq lo posto:
http://www.reading.org/general/calendar/09-03-31/New_literacies_-_Reading_and_writing_with_new_technologies.aspx?Meetings=CntItem
Massimo, su Le Aziende InVisibili ricorderei questo:
Le Aziende In-Visibili (Libri Scheiwiller, 2008) è, in prima battuta, un “Romanzo – anzi, un Wikiromance – a colori”: impreziosito dalle illustrazioni di Luigi Serafini, è stato scritto da un centinaio di personalità dell’economia e della cultura virtualmente costituenti la Living Mutants Society. La sfida che hanno accettato: racchiudere la propria conoscenza umana e professionale in un’opera narrativa collettiva, ispirata alle celebri Città Invisibili di Italo Calvino.
L’operazione rappresenta il più recente prodotto di una riflessione metadisciplinare sviluppatasi inizialmente intorno alle riviste Hamlet (da me fondata nel marzo 1997 e diretta fino al luglio 2003) descritta in termini teorici generali nel Manifesto dello Humanistic Management (Etas, 2004) ; approfondita nei volumi L’Impresa shakespeariana (Etas, 2002, illustrato da Milo Manara) , e Nulla due volte (Scheiwiller, 2006), scritto in collaborazione con il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska. Ho chiamato l’approccio messo a punto in questo percorso “Humanistic Management”: una apertura al nuovo che guarda alle possibilità dell’Information & Communication Technology coniugate a discipline che solo da qualche tempo hanno cominciato ad essere utilizzate in contesti imprenditoriali – la letteratura, la filosofia, l’antropologia, la drammaturgia, la cinematografia . “Dalla poesia all’apprendimento”: così è sintetizzata la questione nella controcopertina del Manifesto.
In questo quadro, sono partito dall’idea di realizzare una nuova modalità di scrittura mutante che andasse oltre le barriere e le divisioni classiche del sapere. Ora, il modo più ovvio e radicale di riprodurre la poliedrica virtualità dei punti di vista con cui si può leggere il reale è fare scrivere insieme un numero il più possibile elevato di persone, provenienti da campi disciplinari diversi e da esperienze eterogenee, facendole interagire come se fossero i neuroni di uno stesso cervello, creando sinapsi creative al servizio di una opera finale collettiva, interconnessa e condivisa, dall’identità molteplice, certo, ma al tempo stesso unica e coerente. Come ha ben messo in luce il recente libro Wikinomics , il concetto di “mashup”, di contaminazione, trasformazione e trasferimento fra conoscenze, discipline e prodotti artistici o di altro tipo, è essenziale per lo sviluppo della conoscenza e della innovazione nella nostra epoca neo-alessandrina. Sotto questo aspetto assai significativa è la presenza di 190 immagini di Luigi Serafini (il grande artista italiano scoperto proprio da Calvino) che commentano il testo, divenuto così un “romanzo a colori”.
Si trattava dunque di affrontare il tema cruciale della narrazione collettiva in modo radicalmente innovativo, in linea con le pratiche collaborative di produzione open source e wiki che in tutti i campi stanno segnando le nuove frontiere della conoscenza e dell’innovazione. In sintesi (il metodo da me proposto è nei dettagli descritto nell’Introduzione de Le Aziende In-Visibili) alla luce dell’esperienza fatta, io credo che nella realizzazione di un romanzo collettivo:
a. il Direttore Artistico debba partecipare attivamente alla produzione del testo. Il suo ruolo (come quello di Linus nel caso della creazione del sistema operativo Linux) è di proporre il nucleo narrativo del progetto che intende sviluppare, insieme ad una serie di regole di scrittura da condividere con il gruppo dei co-autori. In questo caso io ho scritto i 18 Episodi-cornice, nonché una decina altri Episodi intermedi: ho collaborato poi con ciascuno dei 98 co-autori nella redazione delle altre parti del romanzo;
b. nella logica “mashup” il testo di base è una mutazione di uno (o più) testi classici. In questo caso il testo “tradito” è Le Città Invisibili di Calvino, con interpolazioni tratte da tutta l’opera narrativa e saggistica dello scrittore, nonché da numerosi altri capolavori della letteratura mondiale;
c. i materiali prodotti nelle varie fasi di lavoro (durato due anni) sono sempre stati messi a disposizione del gruppo, a scadenze mensili. Responsabilità del Direttore Artistico è stata quella di definire quali fra le modifiche e le integrazioni (al testo originale e/o alle regole di scrittura) proposte via via dai co-autori andassero validate o meno. Sotto questo profilo è interessante notare che il nostro Wikiromance è stato realizzato senza utilizzare una “tecnologia” wiki. Per me “wiki” è un modo di pensare e lavorare, prima che un artefatto tecnologico, che si è tradotto nella creazione di un frame accogliente dove ogni Mutate si è potuto esprimere liberamente ma nel rispetto di un contesto comune. Come del resto continuo a fare nel mio ruolo di “metablogger” su NOVA100, dove i contenuti espressi dal romanzo diventano oggetto di un dialogo “impermanente” fra autori e lettori.
Un’ ultima nota. Recentemente Berardinelli ha ricordato la caratteristica peculiare del romanzo secondo E.M. Forster: only connect. Una attitudine a connettere secondo lui estranea alla maggior parte della narrativa italiana contemporanea. Io credo che Le Aziende In-Visibili possa indicare la strada di una scrittura collettiva basata su un complesso gioco di connessioni che passa per la ricerca di un equilibrio fra l’espressione del romanzo individuale e quello collettivo. Il risultato finale è costituito da un’opera che riflette la molteplicità dei piani comunicativi su cui occorre porsi per leggere, almeno tentativamente, la complessità del mondo contemporaneo: come in un impossibile “ipertesto barocco” il soundtrack, il link alle Città Invisibili, gli Esagrammi dal Libro dei Mutamenti Organizzativi, la posizione di ogni Azienda In-Visibile nell’Astrogramma, indicati nelle In-Visible Scorecards che accompagnano ciascuno dei 128 Episodi (ovvero un versione Ante e una Retro di ciascuna delle 55 città calviniane, più i 18 Episodi-cornice che aprono e chiudono i 9 capitoli in cui il romanzo è articolato), tracciano innumerevoli percorsi di lettura. Ha scritto Michele Dotti: “C’è chi, attraverso il romanzo, ha colto la molteplicità di cui parla… Credo però che Le Aziende In-visibili lo faccia meglio e con più consapevolezza di sguardo. È come avere non dico cento occhi, ma occhi da mosca. “. E Alessandro Zaccuri ha affermato: “Ciò che più mi ha affascinato della scrittura mutante proposta da Minghetti è vedere come cambia il singolo contributo quando viene inserito nella trama narrativa collettiva ed entra in relazione con i testi degli altri. E’ una cosa di cui si è parlato molto in linea teorica ma che forse solo adesso è stata concretamente realizzata”.
Come sai il romanzo ha poi avuto una versione “blog”: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2009/05/le-aziende-in-v.html
una versione facebook:
http://www.facebook.com/group.php?gid=57922885134
e si è trasformata in una web opera realizzata in second life presentata a giugno all’ara pacis di Roma:
http://leaziendeinvisibili-webopera.blogspot.com/
Marco Minghetti
Su Le Aziende In-Visibili
Le Aziende In-Visibili (Libri Scheiwiller, 2008) è, in prima battuta, un “Romanzo – anzi, un Wikiromance – a colori”: impreziosito dalle illustrazioni di Luigi Serafini, è stato scritto da un centinaio di personalità dell’economia e della cultura virtualmente costituenti la Living Mutants Society. La sfida che hanno accettato: racchiudere la propria conoscenza umana e professionale in un’opera narrativa collettiva, ispirata alle celebri Città Invisibili di Italo Calvino.
L’operazione rappresenta il più recente prodotto di una riflessione metadisciplinare sviluppatasi inizialmente intorno alle riviste Hamlet (da me fondata nel marzo 1997 e diretta fino al luglio 2003) descritta in termini teorici generali nel Manifesto dello Humanistic Management (Etas, 2004) ; approfondita nei volumi L’Impresa shakespeariana (Etas, 2002, illustrato da Milo Manara) , e Nulla due volte (Scheiwiller, 2006), scritto in collaborazione con il Premio Nobel per la Letteratura Wislawa Szymborska. Ho chiamato l’approccio messo a punto in questo percorso “Humanistic Management”: una apertura al nuovo che guarda alle possibilità dell’Information & Communication Technology coniugate a discipline che solo da qualche tempo hanno cominciato ad essere utilizzate in contesti imprenditoriali – la letteratura, la filosofia, l’antropologia, la drammaturgia, la cinematografia . “Dalla poesia all’apprendimento”: così è sintetizzata la questione nella controcopertina del Manifesto.
In questo quadro, sono partito dall’idea di realizzare una nuova modalità di scrittura mutante che andasse oltre le barriere e le divisioni classiche del sapere. Ora, il modo più ovvio e radicale di riprodurre la poliedrica virtualità dei punti di vista con cui si può leggere il reale è fare scrivere insieme un numero il più possibile elevato di persone, provenienti da campi disciplinari diversi e da esperienze eterogenee, facendole interagire come se fossero i neuroni di uno stesso cervello, creando sinapsi creative al servizio di una opera finale collettiva, interconnessa e condivisa, dall’identità molteplice, certo, ma al tempo stesso unica e coerente. Come ha ben messo in luce il recente libro Wikinomics , il concetto di “mashup”, di contaminazione, trasformazione e trasferimento fra conoscenze, discipline e prodotti artistici o di altro tipo, è essenziale per lo sviluppo della conoscenza e della innovazione nella nostra epoca neo-alessandrina. Sotto questo aspetto assai significativa è la presenza di 190 immagini di Luigi Serafini (il grande artista italiano scoperto proprio da Calvino) che commentano il testo, divenuto così un “romanzo a colori”.
Si trattava dunque di affrontare il tema cruciale della narrazione collettiva in modo radicalmente innovativo, in linea con le pratiche collaborative di produzione open source e wiki che in tutti i campi stanno segnando le nuove frontiere della conoscenza e dell’innovazione. In sintesi (il metodo da me proposto è nei dettagli descritto nell’Introduzione de Le Aziende In-Visibili) alla luce dell’esperienza fatta, io credo che nella realizzazione di un romanzo collettivo:
a. il Direttore Artistico debba partecipare attivamente alla produzione del testo. Il suo ruolo (come quello di Linus nel caso della creazione del sistema operativo Linux) è di proporre il nucleo narrativo del progetto che intende sviluppare, insieme ad una serie di regole di scrittura da condividere con il gruppo dei co-autori. In questo caso io ho scritto i 18 Episodi-cornice, nonché una decina altri Episodi intermedi: ho collaborato poi con ciascuno dei 98 co-autori nella redazione delle altre parti del romanzo;
b. nella logica “mashup” il testo di base è una mutazione di uno (o più) testi classici. In questo caso il testo “tradito” è Le Città Invisibili di Calvino, con interpolazioni tratte da tutta l’opera narrativa e saggistica dello scrittore, nonché da numerosi altri capolavori della letteratura mondiale;
c. i materiali prodotti nelle varie fasi di lavoro (durato due anni) sono sempre stati messi a disposizione del gruppo, a scadenze mensili. Responsabilità del Direttore Artistico è stata quella di definire quali fra le modifiche e le integrazioni (al testo originale e/o alle regole di scrittura) proposte via via dai co-autori andassero validate o meno. Sotto questo profilo è interessante notare che il nostro Wikiromance è stato realizzato senza utilizzare una “tecnologia” wiki. Per me “wiki” è un modo di pensare e lavorare, prima che un artefatto tecnologico, che si è tradotto nella creazione di un frame accogliente dove ogni Mutate si è potuto esprimere liberamente ma nel rispetto di un contesto comune. Come del resto continuo a fare nel mio ruolo di “metablogger” su NOVA100, dove i contenuti espressi dal romanzo diventano oggetto di un dialogo “impermanente” fra autori e lettori.
Un’ ultima nota. Recentemente Berardinelli ha ricordato la caratteristica peculiare del romanzo secondo E.M. Forster: only connect. Una attitudine a connettere secondo lui estranea alla maggior parte della narrativa italiana contemporanea. Io credo che Le Aziende In-Visibili possa indicare la strada di una scrittura collettiva basata su un complesso gioco di connessioni che passa per la ricerca di un equilibrio fra l’espressione del romanzo individuale e quello collettivo. Il risultato finale è costituito da un’opera che riflette la molteplicità dei piani comunicativi su cui occorre porsi per leggere, almeno tentativamente, la complessità del mondo contemporaneo: come in un impossibile “ipertesto barocco” il soundtrack, il link alle Città Invisibili, gli Esagrammi dal Libro dei Mutamenti Organizzativi, la posizione di ogni Azienda In-Visibile nell’Astrogramma, indicati nelle In-Visible Scorecards che accompagnano ciascuno dei 128 Episodi (ovvero un versione Ante e una Retro di ciascuna delle 55 città calviniane, più i 18 Episodi-cornice che aprono e chiudono i 9 capitoli in cui il romanzo è articolato), tracciano innumerevoli percorsi di lettura. Ha scritto Michele Dotti: “C’è chi, attraverso il romanzo, ha colto la molteplicità di cui parla… Credo però che Le Aziende In-visibili lo faccia meglio e con più consapevolezza di sguardo. È come avere non dico cento occhi, ma occhi da mosca. “. E Alessandro Zaccuri ha affermato: “Ciò che più mi ha affascinato della scrittura mutante proposta da Minghetti è vedere come cambia il singolo contributo quando viene inserito nella trama narrativa collettiva ed entra in relazione con i testi degli altri. E’ una cosa di cui si è parlato molto in linea teorica ma che forse solo adesso è stata concretamente realizzata”.
Altre info: Web Opera: http://leaziendeinvisibili-webopera.blogspot.com/
Facebook:http://www.facebook.com/group.php?gid=57922885134
Metablog: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/
Marco Minghetti
Apprendo di questo megaevento da questo blog. Anche a me, come Lorenzo, mi avrebbe fatto piacere partecipare. Grazie dunque per questo post. Aspetto notizie da qui.
Sì, Calvino. Il grande Italo. Concordo in pieno.
Interessante anche il libro della Di Natale.
Interessante quello che dice Lorenzo sulla websfera letteraria,mondo variegato e contaminazione di generi.Visto così di sicuro è un arricchimento,anche se invertendo le parole di Lorenzo potremmo dire che il pensare differente cambia il modo di leggere e di scrivere,dalla rivoluzione di pensiero a quella dei link,cioè forse quel 2disordine creativo” è dato alla luce prima dentro la testa perchè frutto della vita come è vissuta oggi,velocemente.ma per tornare al maestro calvino,attenzione che velocità non significhi superficialità,segni e parole gettate a casaccio.calvino lo dice e dovremmo farne tesoro prima che il mezzo prenda il sopravvento sui contenuti,velocità leggerezza e PRECISIONE.Auguriamoci che nella foga inarrestabile del processo non si perda il controllo su ciò che ne viene fuori,quindi sulla precisione.
…A proposito di Precisione: “disordine creativo” Ma, Calvino con maiuscola. 🙂
grazie agli altri per gli interventi!
Credo che come regola generale l’evoluzione tecnologica e quella culturale si generino l’una con l’altra. Una tecnologia senza una cultura che la richiede rimane inerte anche per secoli, mentre una cultura senza tecnologia che la esprima non evolve. Così anche per l’invenzione della stampa: poteva forse essere stata sperimentata in precedenza (es. in Cina) ma solo alla metà nel Quattrocento in Europa l’invenzione ha avuto risvolti culturali (ed economici) sufficienti a superare la resistenza del mondo intellettuale più conservatore. Inoltre la stampa a caratteri mobili è stata inventata in Germania ma, almeno all’inizio, è “esplosa” in Italia, perché in Italia c’erano più lettori e più esigenze diversificate (non solo bibbie, in poche parole).
Così anche per la rete: la struttura aperta della rete corrisponde certo a un mondo culturalmente non strutturato come quello classico, ovvero molto aperto, policentrico, non piramidale, di chiara concezione euro-anglosassone contemporanea. Se la rete fosse stata elaborata nell’Ottocento avrebbe forse avuto un’altra struttura (e altre priorità). D’altro canto questa struttura favorisce la dispersività, la non esaustività della raccolta di informazioni, e l’approccio al volo a tanti argomenti (senza mai soffermarsi su uno in particolare), così maledettamente tipico della nostra èra.
Chi si èduca su questa struttura riceve un imprinting culturale che non è assolutamente neutrale, né l’unico che si possa definire ‘moderno’. È semplicemente il modello vincente dei nostri tempi, con tanti saluti alla lentezza della riflessione e alla cura dei dettagli e della precisione (o fonte) delle informazioni.
Ma ovviamente come in tutti i sistemi ci sono elementi positivi che si possono sfruttare, sia per migliorare il sistema, sia per migliorare il nostro mondo e le nostre conoscenze del mondo. Inoltre è indubbio che il sistema piramidale ottocentesco era fondato su una serie di equivoci in pare (e solo in parte) saltati. Sul piano letterario poi la rete apre nuove possibilità di scrittura collettiva, che sarà interessante valutare.
Però non nascondiamoci i problemi. Fra gli altri che 1) non tutte le innovazioni tecnologiche hanno prodotto i cambiamenti teoricamente possibili (es. proprio la stampa, ma ne parlerò in un altro post); 2) c’è il rischio che alla marea delle informazioni veicolate dalla rete non corrisponda una ruminazione delle stesse. In poche parole sotto il vestito … non dico nulla… ma forse non abbastanza?
…le nuove tecnologie hanno cambiato il modo di scrivere, di raccontare, di farsi leggere?Sicuramente,hanno cambiato il modo di scrivere,ma nonstante io personalmente apprezzi tanto il cavalcare l’onda della forza di questi nuovi mezzi,non posso nascondere di sentirne un certo timore se penso ad alcune connotazioni d’uso,non proprio facili da comprendere(per quanto mi riguarda).Ad es. l’uso del cellulare per scrivere e/o leggere racconti e- orrore- poesie via sms.Uno dei concorsi più autorevoli d’Italia ha ormai da qualche anno una sezione di poesia sms,ecco questo sarà il mio limite personale,ma io una poesia via sms e con il linguaggio tipico del mezzo in questione non la riesco a digerire.
Perciò chi stabilirà in questa corsa libera quali e se ci siano limiti nel fare e considerare letteraria una produzione realizzata in modo tanto distante concettualmente dall’idea che abbiamo da sempre della letteratura?
Ciao Francesca,
qualcuno può/deve stabilire qualcosa? Chi ne ha il diritto? In fondo molti grandi capolavori sono nati da situazioni culturali borderline oppure sottovalutate o disprezzate dalla cultura ufficiale. In questo caso ovviamente la cultura ufficiale siamo noi. In quanto tale, non dobbiamo d’altronde nasconderci che tante situazioni borderline o disprezzate dalla critica non hanno generato un bel niente. Si tratta in realtà della maggioranza dei casi.
In buona sostanza non credo si tratti di rifiutare o abbracciare in blocco le mille sperimentazioni grandi o piccole che nascono con le nuove tecnologie, quanto piuttosto valutare se nel marasma di questa diffusa microcreatività ci sia qualcosa che possa durare più a lungo di un bip sul cellulare, e magari comunicare emozioni o concetti che prima erano più difficili da esprimere.
Anche nelle iniziative dei grandi scrittori, che sperimentano nuove soluzioni con la rete, può esserci molto velleitarismo. Coinvolgere i lettori nella scrittura (Kai Zen, Wu Ming con Manituana) è un esperimento, ma darà frutti culturalmente significativi sul lungo periodo? Oppure rimarrà un esperimento isolato, peraltro pregevole?
È successo che esperimenti partiti dall’alto non abbiano smosso di una virgola la concezione della letteratura: es. i libri illustrati del Quattrocento nei quali immagini e testi creavano assieme il senso del libro (= le immagini non erano solo illustrazioni, ma integravano il testo a tutti gli effetti) non hanno prodotto esiti, se non in epigoni di élite: in effetti ancora oggi il libro di narrativa per adulti è ancora largamente privo di illustrazioni. Invece le illustrazioni sono diventate essenziali nella manualistica, a partire dal Cinquecento, ovvero quando la fase di maggior sperimentazione formale sul libro era già terminata.
Non è sempre facile prevedere il futuro, e ancor meno facile è forgiarlo…
Caro Lorenzo,pensavo però che in un certo senso questo nuovo modo di fare letteratura è di natura squisitamente antigerarchica,rompe con una tradizione in cui esiste uno schema ben preciso dall’autore o aspirante autore all’editore e al pubblico.Chiunque può essere autopresentandosi e scavalcando ogni filtro,autocertificando la propria “arte”un autore sul web, in questo è la forza ma anche la debolezza di questo tipo di comunicazione,cosa ne pensi?
Nessuno ha il diritto di stabilire,però se esiste uno scopo nella scrittura è nell’altro,è altro da noi stessi,come dice S.King scriviamo con la porta aperta perchè essa abbia un valore.Molte situazioni che nascono e muiono in rete,sono esclusivamente autoreferenziali e senza attese di feedback.Il problema cui tu facevi giustamente riferimento dell’assenza del “ruminare”è un fatto serio.Ruminare come elaborare,sedimentare,scartare,scegliere,ma l’asse temporale su cui si muove la parola in rete è veloce,è un tempo senza tempo che non da possibilità di ruminare.
p.s.mi piace molto questo termine che hai usato.
@Lorenzo Amato ti ringrazio moltissimo per le tue riflessioni,sono preziose e aprono interessanti spunti di domanda,grazie mille!
Eh, la questione è ovviamente spinosa. Ma una cosa vorrei dirla: la figura dell’editore esiste “solo” da mezzo millennio, ed è una figura culturale solo in subordine. In primis è una figura economica, o meglio nasce come figura imprenditoriale a causa degli investimenti necessari per acquistare e far funzionare le apparecchiature che servono per stampare.
Nell’antichità e nel Medioevo non esisteva intermediario fra autore e pubblico. Un qualcuno autoproclamatosi scrittore scriveva un’opera su dei lacerti di carta (papiro, pergamena o cellulosa che fosse) e poi la dava da leggere ad amici / parenti / nemici / sconosciuti, che, SE VOLEVANO, potevano copiarla su altri pezzi di carta. A un certo punto (anche dopo decenni) i fascicoli venivano rilegati e venivano costruiti libri, la cui longevità spesso era assai discutibile. Non è un caso che le opere dei tempi antichi siano sopravvissute in numero così ridotto. Tuttavia quelle sopravvissute sono, normalmente, fra le più importanti delle varie tradizioni linguistiche. Il criterio di importanza può variare da cultura a cultura, però è un fatto che in qualche modo il pubblico ha sempre individuato ciò che è importante a prescindere dall’esistenza di un editore (sia nel senso di editor che nel senso di proprietario di casa editrice).
In fondo in questo sono ottimista: normalmente è il tempo che fa piazza pulita del ciarpame, anche quello strombazzato dalla pubblicità culturale. E poi le mode passano, e non è detto che la frenesia di scrivere sempre e comunque continui come in questo periodo. O forse sì, ma magari in un modo più ordinato e strutturato che ora non possiamo immaginare. Se poi tu vedi tante opere o micro-opere online che le persone scrivono quasi solo per se stesse, e rimangono irrelate, senza un pubblico reale, beh, questo aspetto più che destare preoccupazioni letterarie apre uno squarcio sull’antropologia del web e sulla socialità contemporanea: sempre connessa, e sempre più sola…
–
Per quanto riguarda l’oggi letterario, poi, vedo che, almeno al momento, certe gerarchie reggono. Ovvero per ora il libro tradizionale (cartaceo) ha ancora uno status culturale superiore rispetto ai vari esperimenti online. I quali per nobilitarsi infatti cercano spesso di arrivare prima o poi a una qualche versione cartacea. Non so se la cosa durerà, anzi, non credo che durerà in questi termini.
Credo che il libro tradizionale resisterà se saprà sfruttare la propria materialità come punto di forza. Nessuno comprerebbe un libro cartaceo se potesse trovare una versione pdf identica a una frazione del costo. Però se il cartaceo contiene belle immagini su carta speciale, copertina speciale (seta?), ecc., la cosa cambia. Il libro cartaceo potrebbe diventare un qualcosa di lusso, contro un libro elettronico che invece potrebbe essere la modalità standard di lettura. Notate che non mi auguro che sia così, ma mi immagino questa possibilità nel caso di pannelli di e-book finalmente leggibili bene e ovunque.
–
Inoltre ci sarebbe da immaginare la possibilità teorica di opere veramente multimediali. Intendiamoci: finora non ne ho viste di belle. Però, dato che non tutta la scrittura è scrittura d’arte, almeno per la manualistica le potenzialità sono sconfinate. Manuali (testuali) di storia con possibilità di vedere ricostruzioni di luoghi o battaglie, di archeologia o architettura con rappresentazioni in 3D di edifici o città, di medicina, fisica, ecc. con la ricostruzione di reazioni o esperimenti… Il tutto teoricamente strutturabile utilizzando sì i link, ma senza che siano tanto aperti da invitare alla dispersione.
Grazie a te Francesca Giulia.
Anche a me fa bene scrivere e leggere le opinioni altrui! È proprio vero che la scrittura, oltre che comunicazione, è comunicazione con se stessi…
Ho letto con grandissimo piacere il libro di Rosa Maria Natale e l’ho trovato incoraggiante per il futuro della letteratura online. Sebbene il libro cartaceo resti principe dei nostri cuori di lettori (io adoro i libri quasi a livello feticistico), l’e-book sta crescendo e, a mio parere, potra’ fare la differenza per le prossime generazioni.
Anche io credo come Lorenzo e Laura che il libro cartaceo non morirà soppiantato dall’e-book,perchè la magia di un fruscìo di pagine è insostituibile,il rapporto fisico con la pagina ,l’attesa di aprire sfogliare e perchè no, odorare.Io ricordo che quando compravo i libri nuovi di scuola la prima cosa che facevo era metterci il naso dentro ed aspirare forte quel profumo di carta lucida e passarci le dita sopra per sentirne la grana,quasi a voler afferrare ogni figura,ogni colore e ogni parola.Però le potenzialità di una letteratura in rete sono enormi,e non bisogna ignorare l’aspetto economico,spesso ci sono ragazzi che pur desiderando molto leggere non possono spendere la media di 15, 18 € a libro.E’ necessario che l’editoria tradizionale pensi a qualche soluzione alternativa,ad un sistema di promozione diverso,a vesti grafiche accattivanti,e tant’altro.Giorni fa in funicolare sentivo una ragazza parlare che diceva:”Sai io ne leggo minimo uno ogni tre giorni,perciò molti libri li scarico,costa molto meno!”.Ma sono certa che molti editori giocheranno la partita su più campi e tengono d’occhio la rete per non perdere-o per guadagnare di più- conquistando importanti fette di mercato.
Renato Nisticò fa un’interessantissima panoramica sulle modifiche che internet ha apportato alla letteratura.
Dice:
“….Dal punto di vista di un’ecologia della lettura, la fruizione dei testi letterari on line non equivale alla stessa cosa rispetto alla lettura sul cartaceo solo cambiato lo strumento. Quando mi accingo a leggere on line, lo faccio con il presupposto psicologico-culturale di un imprinting tecnologico (di tutto un mondo produttivo e di un apparato tecnico-scientifico), che si traduce in autorità, e che mi sostiene e mi autorizza, appunto, a svolgere l’attività che sto imprendendo. È un dato di fatto che, come avviene per qualsiasi altro settore delle attività umane nel mondo contemporaneo, mi aspetto dalla tecnologia anche una semplificazione/velocizzazione dei miei processi di studio, di lettura, di decodifica dei messaggi. Questa “aspettativa di semplificazione” è condivisa con l’emittente dei messaggi o con l’organizzatore (come ad esempio un curatore di una edizione di testi on line)….”
“…La velocità della macchina influisce (asse della quantità) sull’esperienza della lettura (asse della qualità). Essa infatti, come nel caso di un motore di ricerca interno a un’edizione di testi (quella che viene detta la “funzione di analisi” di alcune codifiche di opere e corpus elettronici; ad esempio il DBT creato da Eugenio Picchi), accorcia brutalmente i tempi della lettura della ricerca; e cambia tutti i procedimenti di memoria umani che hanno finora sorretto le operazioni della lettura personale e della lettura critica di un testo. Queste ultime hanno talvolta assegnato una specifica qualità, un’impronta personale, uno stile alle letture (esiste uno stile di lettura oltre che di scrittura) che in qualche caso ha fatto, o ha contribuito enormemente a caratterizzare una determinata voce critica. Si pensi ad esempio al filtro della memoria nei Quaderni dal carcere di Gramsci; ma anche, che ne so, a Mimesis di Auerbach, capolavoro della critica novecentesca, che è stato scritto in una condizione coatta di impossibilità di reperire testi, e dunque basandosi molto sulla funzione ordinatrice della memoria…”
Mia cara Francesca Giulia che ne pensi delle tesi di Nisticò?
Sto leggendo con vero piacere il botta e risposta tra Lorenzo Amato e Francesca Giulia (:-))
Bravissimi, molto stimolante.
Ciao Simona!!!
Ci andiamo domani a Sortino?
Cos’è un DBT?
Ciao Mari!…No…niente Sortino, domani…bimbo mio ha l’otite…
—–
E poi….
Il DBT, Data Base Testuale, è un software di analisi testuale e di interrogazione “full-text” sviluppato da Eugenio Picchi presso l’ILC; esso costituisce ormai un punto di riferimento nel panorama letterario e linguistico italiano per le ricerche di tipo testuale.
I testi analizzati con il sistema DBT vengono strutturati secondo il sistema di formattazione del DBT stesso e rimangono disponibili per essere utilizzati da altre procedure applicative tramite le funzionalità di accesso che il sistema DBT mette a disposizione.
Il sistema DBT in grado di elaborare e gestire materiale testuale è disponibile per i singoli utenti presso una ditta di distribuzione che commercializza il sistema su licenza CNR (consiglio nazionale delle Ricerche).
Se le mie reminiscenze universitarie sono giuste, dovrebbe essere il sistema che permette di numerare le occorrenze di parole (quante volte ricorre un termine nell’opera di X?). Vero?
Cara Simona,è interessantissimo il pensiero di Nisticò.Il rapporto che io ho nella mia semplicità denominato “fisico” con il libro è il ponte fra il lettore e l’altro sè che scopriamo attraverso l’esperienza della lettura,esperienza non sempre facile e piacevole,perchè fatta di materia inafferabile che ci mette in discussione e che necessariamente và vissuta in solitudine.Forse è anche per questo motivo che,oltre alla spinta economica al risparmio,molti,come detto sopra,”esemplificano” l’esperienza stessa del leggere,attraverso un comportamento sicuramente meno attivo rispetto all’atto di scegliere e leggere un libro nella nostra stanza solitaria.Inoltre credo che la memoria personale sia una mappa di conoscenza per ogni essere umano che abbia il coraggio di riaffrontarla,ci aiuta ad orientarci nel labirinto della conoscenza di noi stessi.Quindi insostituibile.
Quando apro un libro devo scoprire in esso non solo la lettura di quella storia ma di tante altre ipotesi di storia,solo così ne aprirò un altro.Questo è per me il piacere della lettura.
ti ringrazio veramente per il tuo intervento che come sempre ci fa fermare a riflettere e assaporare pensieri che si aprono a nuovi pensieri.
un abbraccio
Quindi permette di esplorare un testo in maniera finora impensabile.
Le nuove tecnologie hanno stravolto il nostro modo di pensare e di leggere, di scrivere e studiare… meraviglioso e terribile a un tempo. Per privilegiare qualche aspetto dovremo sacrificarne altri, è palese. Gli sviluppi sono imprevedibili, ma l’atteggiamento giusto è la curiosità nutrita però da spirito critico.
Ciao Maria Lucia,che ci fate a Sortino?Venite a Napoli,dai…
Io un database l’ho strutturato e realizzato anni fa per la direzione amministrativa di un quotidiano.Si realizza in ambiente Access ed è un archivio di dati ( a me erano cifre e nominativi,etc,nel caso sopra di parla di testi,parole) che tu puoi ordinare a seconda delle esigenze e poi interrogare incrociando i dati stessi e ottenere una fotografia ottimale di una specifica situazione.Spero di essere stata non troppo oscura,ma Simona aveva già spiegato benissimo.Siete grandi ragazze!
Quale rapporto c’è tra letteratura, linguaggio e nuovi media?
Finora si sono fatte il viso dell’arme, almeno in Italia, ma l’esplosione di siti e blog letterari e le esperienze di scrittura in rete dimostrano che il gap si colma ogni giorno di più… penso ai domino letterari di Laura e Lory, ai Quattromani di Remo Bassini, a Letteratitudine…
A distanza di oltre 10 anni dall’esplosione del web, le nuove tecnologie hanno cambiato il modo di scrivere, di raccontare, di farsi leggere?
Ma naturalmente… la rete è una piazza virtuale, un palco in tempo reale. Con i pro e i contro.
Le speranze di rilancio della letteratura e della scrittura creativa che agli inizi degli anni ‘80 alcuni intellettuali avevano riposto in internet sono state disattese o si sono concretizzate in nuovi orizzonti? E come ha reagito a tutto questo il mercato? Quali sono le prospettive artistiche ed economiche di questo mondo?
Basti pensare ai corsi e concorsi letterari, alla scrittura creativa face to face oppure on line, alla videopoesia… i sentieri che si biforcano di Calvino!
care amiche,sarà pure emozionante interrogare un database,ma vi dico in tutta sincerità che quest’estate sono stata a Dublino al Trinity College dove c’è una biblioteca da far venire i brividi con più di un milione di testi in scaffali antichi altissimi-tipo quella di H.Potter- e manoscritti antichi di valore pregiato.Ho visto The Book of Kells,manoscritto miniato fatto da monaci nell’800,sono rimasta senza fiato di fronte a questo capolavoro!
Magari! Non vedo l’ora…
🙂
Hai ragione, il rapporto fisico coi libri è meraviglioso…
Ma pensiamo a questo. La rivoluzione Internet è stata un po’ come quella della stampa. Ah i bei manoscritti! Altro che questi demoniaci fogli, queste copie tutte uguali, al posto dell’unicità del lavoro di un copista!
Ed anche la scrittura non è stata un’invenzione indolore… si pensava che avrebbe distrutto oralità e memoria – verissimo! Ci sono oggi aedi o uomini-memoria?
Eccomi. Meglio tardi che mai. Un saluto a Massimo e a tutti voi. Vedo che il dibattito su letteratura e new media interessa. Molti mi chiedono perché scrivere un saggio su un argomento del genere? Prima risposta: era un’esigenza molto personale. Non potevo ignorare più a lungo l’esistenza di una “bitletteratura”, di una scrittura cioè che viene veicolata dai nuovi media, e in primo luogo proprio dal Web. Le sfaccettature sono tante, forse troppe. In “Potere di link” ho cercato di mettere insieme almeno le più importanti: le radici della scrittura digitale, l’e book, gli scrittori che hanno saputo anticipare di decenni la questione (tra questi Calvino, ma anche Gibson), gli studiosi di digital life che legano sapere umanistico e informatica. Ma anche la forza dei blog e della scrittura collaborativa in Rete.
A Sortino il buon Salvo Zappulla organizza da anni un concorso letterario di quelli antichi: voti segreti in busta, scritti in finale alla lavagna tipo Campiello… preistoria!
🙂
Sì che ci sono.Il primo che mi viene in mente?L’Aedoweb dalla camicia celeste!!!
C’è però un’altra ragione che mi ha spinto a scrivere il saggio: i nostri studenti universitari, quelli che ci superano tutti in abilità tecnologiche, ignorano che certe questioni hanno radici molto lontane. Che da secoli, ad esempio, si dibatte su quale possa essere il medium più adatto a manifestare il nostro sapere e la nostra memoria. Io cito Calvino, sì, ma anche Platone. A quei tempi guardavano di traverso il medium scrittura, destinato a scavalcare la cultura orale.
Una cosa è certa. Anch’io, come tanti di voi, adoro i libri di carta. Il fatto che libri e e book siano da considerare alleati e non concorrenti è frutto di una scuola di pensiero attuale e molto solida tra i massmediologi. E riguarda la letteratura così come l’editoria giornalistica.
Per la cronaca: gli esperimenti di Laura et Lory, di Letteratitudine e di Remo Bassini sono citati nel mio saggio
Ciao Rosa Maria,intanto complimenti per il libro,non l’ho ancora letto,ma lo farò.L’argomento come hai potuto constatare da te è di grande interesse,speriamo davvero che i due mondi possano fondersi con un arricchimento reciproco e di qualità.
Per la cronaca: gli esperimenti di Laura et Lory, di Letteratitudine e di Remo Bassini sono citati nel mio saggio, così come molti altri
Una buona notte a tutti e a domani per chi vorrà continuare la discussione!
Buona giornata a tutti. E un caro saluto a Massimo e a Francesca Giulia.
Cara Rosa Maria,buona giornata a te,ti giro una delle domande del post a cui mi piacerebbe tu rispondessi per noi tutti.
Le speranze di rilancio della letteratura e della scrittura creativa che agli inizi degli anni ‘80 alcuni intellettuali avevano riposto in internet sono state disattese o si sono concretizzate in nuovi orizzonti?
Quali orizzonti intravedi?Secondo te gli editori tradizionali come guardano le iniziative di scrittura nate sul web?Tengono d’occhio i nuovi autori e l’originalità di qualche proposta nata in un ambito collettivo?
Naturalmente se gli altri amici vogliono dire qualcosa in proposito sarà un piacere leggerli.Mi interesserebbe parlare delle aspettative che riponiamo-se ci sono- nella letteratura futura in internet.
Un caro saluto a tutti.
Vi sto scrivendo al volo da Oronzo Macondo… da una postazione Internet disponibile.
Per il momento non ho la possibilità di leggere i commenti, ma ci tenevo tanto a salutarvi e a ringraziarvi.
Ho difficoltà di connessione col mio computerino, perchè il campo è quasi inesistente… ma proverò a tornare.
Dimenticavo di ringraziare Francesca Giulia.
E un abbraccio speciale a Rosa Maria Di Natale…
Grazie Massimo,un abbraccio a te aspettiamo che tu possa raccontarci l’esperienza di Oronzo Macondo.
Buongiorno a tutti, mi scuso per la temporanea latitanza ma sono in una situazione problematica. Cercherò di recuperare quanto prima. Riuscissi anche a leggere il libro sarebbe il top, ma dubito di riuscire prima della prossima connessione. A presto!
Sì Lorenzo,non ci abbandonare!!Io ti aspetto per dialogare ancora con grande piacere.
Mia carissima Francesca Giulia, alcune interessanti risposte ai quesiti che poni si trovano in questa intervista a Giulio Ferroni, professore di letteratura italiana alla Sapienza di Roma:
http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/biblio.asp?id=443&tab=int
@ Rosa Maria Di Natale: complimenti! E’ bellissima la riflessione del “mezzo” attraverso cui esprimere il pensiero a partire da Platone. La seguirò con moltissimo interesse. Grazie!
vi seguo con interesse. aspetto riscontri da oronzo macondo
Allora, uff, forse riesco a scrivere qualcosa anche oggi.
@ Simona: mi pare che le questioni sollevate da Nisticò riguardino soprattutto la sopravvivenza di una critica su base mnemonica, più che la lettura in sé. E sono, fra tutte, le questioni di impatto più immediato. Io stesso nel commentare testi latini del Rinascimento ho usato database testuali (BTL, Poetria Nova, Corpus Christianorum, ecc.) che mi hanno evitato la lettura di numerosissimi testi “minori”. Da un certo punto di vista la cosa è negativissima: io ho sì letto l’Eneide in lingua originale, ma né l’ho mai memorizzata né lo farò, visto che ci sono database che mi permettono di non doverlo fare (se non per mio diletto personale); d’altro canto i database aprono il mondo dei testi minori, soprattutto medievali, offrendo prospettive critiche precedentemente impensabili (e quindi scuotendo certezze radicate, e possibili solo in assenza di riscontri con tali testi minori).
Su un piano generale, che la scrittura in rete (con testi completi sempre disponibili) sia un incentivo a non memorizzare come un tempo, mi pare un fatto oggettivo e già verificabile (in primis in noi stessi). La cosa è sicuramente negativa, ma segue un trend millenario, che ha origine con l’invenzione della scrittura, e prosegue con la creazione delle enciclopedie, poi dei lessici, infine dei repertori tradizionali (i Thesauri, ecc., già ottocenteschi). Insomma, le cose che doveva imparare a mente Poliziano, già un Carducci poteva evitarsele, per dire.
–
Mi piacerebbe poi fare delle riflessioni sparse. Prima di tutto l’intervista a Ferroni, se notate, è del 2001 (giusto?). Ora, di questo IperDante (o SuperDante, non ricordo), se ne è sentito più parlare? Il fatto è che le promesse di esaustività di repertori e biblioteche online finora sono state regolarmente disattese. Intere collezioni di manoscritti fotografate e messe online! MAGARI! Sapete quanti viaggi mi dovrei evitare? Mi basterebbe andare nelle biblioteche alla fine, per l’esame autoptico dei materiali, filigrane, fascicolature ed eventuali rasure e sottoscritture. Roba da un giorno. Invece spesso tocca (soprattutto in Italia) pagarsi vitto e alloggio per settimane per sforzarsi di leggere cose che si potrebbero invece leggere a casa. Anche in questo caso: promesse di repertori online… SEEEH, quando li vedo ci credo. In effetti, se ci pensate bene, sono 15 anni che in modo diverso si sente parlare della rivoluzione della rete. Per ora sinceramente la rivoluzione non l’ho vista. Qualche avvisaglia di cambiamento, sì, e tante promesse. Ma guardate, che per una tecnologia esistente da tanti decenni, questa partenza è in realtà piuttosto lenta…
Poi, gli e-book.
Credo che sia un po’ come la macchina fotografica nel cellulare: va a scapito della macchina fotografica reflex? Direi proprio di no. Semmai delle compattine di bassa qualità. Cioè, fuor di metafora, su quale mercato può impattare l’e-book? Direi soprattutto sul mercato dei tascabili a basso costo e bassa qualità, ovvero quei libri che dopo due letture sono già sfasciati, e che dopo dieci-venti anni sono tutti ingialliti per la scarsa qualità della carta. Ma avete visto quanto sono brutti i libri economici degli anni ’60? Insomma, diciamocelo: se troviamo un Moravia economico sbrecciato e ingiallito, non tendiamo a pensare “questo lo dovrei leggere”, salvo poi, con una scusa, comprarne una nuova edizione (magari in qualche raccolta di lusso, a sua volta illeggibile…)?
Insomma, non tutti i libri sono belli. E intendo i libri in quanto oggetti. Ecco, questi a mio avviso potrebbero ridursi a vantaggio degli e-book. Anche perché a loro volta gli e-books potrebbero acquisire schermi a basse emissioni, più confortevoli della stessa pagina bianca (che come dicevano i romani tende a riflettere troppo la luce del sole). Magari arrotolabili, o, come diceva qualcuno, identici a pagine di cellulosa. Insomma, mica male…
Non credo poi che la risposta degli editori possa essere un abbassamento del prezzo dei libri. Cioè, intendiamoci, alcuni libri sono sovraprezzo (es. Stile Libero Big di Einaudi) però il problema resta quello della qualità dei materiali. Come i vestiti italiani che devono far concorrenza a quelli a una frazione del costo provenienti dalla Cina, così i libri cartacei non posso competere sulla diminuzione prezzo. Casomai sulla qualità assoluta dell’oggetto-libro, e dell’esperienza fisica della fruizione del libro. Con conseguente innalzamento di prezzi (sì), ma mantenimento del mercato dei lettori “forti”, che certo son disposti a spendere se non si sentono presi per i fondelli da editori che sparano prezzi alti per libri di bassa qualità editoriale (praticamente tutti).
Come dicevo sopra, credo che il mercato degli economici sia perduto, a medio termine, con l’eccezione dei super-iper best-seller
@simona grazie mille,l’intervista di cui hai inserito il link è pertinente e aggiunge ulteriori riflessioni.Oltre alle tante cose già dette da voi,in particolare da Lorenzo che è tanto generoso nelle sue esposizioni- lo ringrazio di essere tornato-mi colpisce e vorrei riflettere con voi su questa parte dell’intervista del prof. Ferroni:
“La cultura sempre disponibile diventa un’altra cosa: il fatto che prima non fosse così costringeva a un pensiero più lento, che anche quando il mondo è veloce, serve a capire la complicazione. Il rischio, oggi, è di rimanere immersi in un flusso infinito, di godere di tutto, di scambiare tutto, ma di perdere la capacità di interrogare davvero in profondità questo tutto. Bisognerà creare degli anticorpi a questo fenomeno, in modo che pur circolando in un universo sempre disponibile, non si perda la capacità di tesaurizzare le cose e di svolgere un pensiero a partire da tale tesaurizzazione.”
Diciamo che questo pensiero si ricollega alla mancanza del “ruminare” accennata anche da Lorenzo,che mi fa pensare ,in maniera preoccupante,soprattutto all’utilizzo che fanno i più giovani delle informazioni dalla rete.
Quali possono essere per voi gli “anticorpi”?
Eh, domanda da un milione di euro (anzi se qualcuno ne avesse da dar via…).
Non so cosa possano essere questi anticorpi. Ma certamente istituire enciclopedie online, tipo wikipedia, ma autorevoli, sarebbe un inizio. Oppure opere multimediali che possano rivaleggiare in quantità di testo con gli equivalenti cartacei, anche in questo caso autorevoli (con comitato redazionale scientificamente riconosciuto, patrocinio pubblico o comunque importante, ecc.)
Sì, Lorenzo,sarebbe un buon inizio,ma il vero problema secondo me è proprio quello dell’attendibilità delle fonti,oggi le fonti da cui attingono molti che fanno ricerche esclusivamente in rete,non sono sempre,spesso, attendibili.Guardate voi quanti e quanti errori si incontrano in Wikipedia ,è proprio il sistema di compilazione e raccolta dei dati che presenta falle.Nel mio piccolo,quando mio figlio fa ricerche per la scuola,consiglio sempre di confrontare più fonti,sia web sia cartacee.
Quello che trovo eccezionale è ciò che accade qui,su questo blog,lo scambio culturale fra le persone,la condivisione di sguardi e passioni letterarie,tutto questo è impagabile ed è il punto di forza su cui la nuova letteratura dovrebbe basarsi senza essere arroccata su posizioni “reazionarie” e di rifuto come ancora qualcuno fa,speriamo pochi e per poco.
@ Francesca Giulia
Appunto, proprio perché Wkipedia è, in definitiva, un fallimento (almeno per ricerche serie), avere strumenti come Wikipedia ma autorevoli, cioè con voci scritte da persone esperte in materia (e non amatori autoproclamatisi esperti) e con revisione e coordinamento (e omogeneizzazione) di un comitato redazionale iperqualificato.
Immaginate risorse come quelle cartacee (es. lett. it. Garzanti, Einaudi, Salerno, e cose simili) ma costruite per la rete da persone di eguale specializzazione, e dizionari online che siano non l’equivalente dei tascabili, ma il meglio del meglio. E così lessici, enciclopedie, generaliste e specialistiche.
Beh, questo aumenterebbe il problema antropologico dell’inutilità della memoria, e quindi della progressiva diminuzione della memorizzazione. Però al tempo stesso renderebbe i dati citati più autorevoli e gli svarioni dei giornalisti che si affidano a Wikipedia meno consistenti). Insomma, se non si costruiscono opere scientificamente impeccabili per la rete, non si può pretendere che i brufolosi adolescenti americani lo facciano al nostro posto, e lo facciano bene…
Posso dare una risposta globale alle domande di Massimo?
Ecco: la mia impressione e’ che lo scadimento qualitativo della Letteratura italiana – manifestatosi chiaramente in questo ultimo decennio – dipenda da un insieme di fattori fra i quali l’apparire dei nuovi mezzi tecnologici ne rappresenta solo uno d’ordine sovrastrutturale. Lo scadimento della Letteratura italiana, infatti, trae la propria vera origine dal mutamento delle condizioni economico-sociali del Paese; in parole povere: se le condizioni occupazionali (o a maggior ragione ”inoccupazionali”) non concedono tempo per pensare alla gente, costringendola a lavorare dodici ore al giorno, la lingua letteraria e’ la prima a rimetterci, poiche’ gli italiani devono pensare prima a sopravvivere e solo dopo essersi assicurati la ”pagnotta” leggono, anche se sono dei forti lettori, e scrivono, anche se sono dei forti scrittori.
Salutoni Cari a tutti
Sergio Sozi
@Lorenzo e dai facciamola questa Wikipedia Avanzata!!!Poi per il problema antropologico dell’inutilità della memoria-che effettivamente è grave,mia nonna ricordava molte più cose di me, mio padre recita pezzi delle Bucoliche in latino come i miei figli cantano le canzoni di Tiziano Ferro!-io la soluzione l’avrei:impariamo la Wikipedia Avanzata a memoria, in ordine alfabetico dalla zeta alla a e con il num.di pagina web per ogni voce!
🙂
Tanto per sorridere un pò,scusami per l’intervallo.
Salve Sergio!!Per risponderti con cognizione di causa…vado prima a mangiare qualcosa e poi torno.Sono felice di risentirti.
Ciao a tutti!
Ciao Francesca Giulia!
Ho letto un po’ di commenti, tutti belli – ma Dio oopiniono so 85! Io pure ci ho lo zauberillo piccolo me se svegliava ar 73°.
Allora dico delle cose sperando che non siano già state dette, se lo sono chiedo pardon vado per punti che mi sovvengono.
1. Mi piace moltissimo la possibilità di interazione e divulgazione che la rete crea. Specie nei forum in cui c’è scambio tra chi commenta e chi posta. Perchè è quello il modo con cui si crea una strutturazione della conoscienza diversa dai normali canali di acquisizione del sapere, che funzionano come strade a senso unico a traffico controllato. Gino scrive Pino legge. La piazza scritta ha il duplice vantaggio della piazza e della scrittura: cioè ci so confronta a livelli multipli e scrivendo si ha il dovere di compiere una prima strutturazione intellegibile del proprio pensiero. La conoscenza per accrescersi ha bisogno di questo, quasi altrettanto che del mero apprendimento delle vecchie strade a senso unico. Letteratitudine secondo me è riuscitissima per questo e io sono davvero grata a Massimo perchè retrospettivamente mi ha dato occasione di acquisire delle consapevolezze ragionado sui temi qui proposti.
Credo che ci siano dei blog comunque, anche meno noti che hanno questo medesimo merito, magari dedicati a un solo tema specifico. Questo è un modo di produrre consapevolezza e conoscenza molto bello.
2. Sulla letteratura creativa on line. Dirò una cosa che certamente vale solo per me e che non vuole essere polemica. Secondo me la rete è un humus fantastico e il mezzo offre delle notevoli possibilità espressive. Seguo dei blog che trovo molto divertenti o interessanti per la capacità di usare il mezzo. Ma li trovo interessanti proprio perchè fanno delle cose possibili sono con questo mezzo e non con altri. Blog che possono essere solo blog – potrebbero certo diventare dei libri, qualcuno forse lo diventerà, ma sarebbero per forza di cose dei libri “tratti da”. E probabilmente sarebbero un’esperienza intellettuale diversa, e meno interessante – sbiadita rispetto all’originale. La quotidianità della scrittura la circolarità del rapporto con chi legge, la possibilità di linkare immagini e musiche rende il prodotto del web diverso dagli altri. Anche l’assenza di editor fa tanto.
Coerentemente con questo sono respinta – dai racconti tradizionali messi su blog o in rete. Alcuni sono belli e interessanti, ma io proprio non ce la faccio. Mi sento anche in colpa perchè ci sono dei miei amici che fanno questa cosa, ma a me pare sempre un passo indietro rispetto alla possibilità creativa. Avverto un senso di ovvio.
Ecco. La volevo dire da un sacco questa cosa.
@ Francesca Giulia
La Wikipedia avanzata (chiamiamola per comodità futupedia 🙂 ) non possiamo farla né io né te. Sarebbe come costruire una megaenciclopedia, per la quale servirebbero migliaia di specialisti PAGATI diretti da un comitato redazionale de facto pagato per anni. Come per un’enciclopedia “seria” (= cartacea) ma più ampia e aggiornabile. Quindi, cosa serve? emh, soldi? 🙂 In fondo questo è un altro punto importante da ristabilire: il lavoro intellettuale si paga, anche online. Il gratis va bene per i siti dei singoli, ma non per opere monumentali “serie”. Ecco un ottimo modo per ristabilire le gerarchie…
–
@ Sergio Sozi:
quando mai la letteratura importante è nata solo in contesti economici agiati? E i romanzi di denuncia? E la poesia popolare? E le canzoni dei lavoratori? E, beh, oggi il tempo e modo di scrivere c’è, anche troppo. Però è frammentato, come tutto il resto che facciamo oggi. Quindi si scrive tanto, ma male. L’unico antidoto è, ovviamente, l’autodisciplina (Benedetto Croce docet).
Altra cosa: in che senso la letteratura degli ultimi dieci anni sarebbe peggiore di quella dei precedenti dieci anni? O degli anni ’80? Perché? Chi l’ha detto?
@Zaub buonasera a te e allo zauberillo.
Sul tuo punto 2.il problema che hai sollevato è quello di adeguare il linguaggio della letteratura “tradizionale” in rete al mezzo proprio per non renderla “sbiadita” come dici tu,ma questo non è semplice,anche se credo stia avvenendo attraverso un processo che va avanti automaticamente con la creazione di un codice espressivo proprio della natura del web.Però non è detto che non possiamo godere di cose scritte e lette su due binari differenti,avendo ben cosciente nella testa che provengono da due nature differenti,l’una coesistente all’altra.Per i tuoi amici,dove sta scritto che devi leggerti tutto e apprezzare tutto?Con quelli di cui non ti piacciono le cosine tradizionali in rete vai a prendere un caffè al bar e ti fai portare il manoscritto se proprio insistono!
Baci allo zauberillo
@Lorenzo ok,rinuncio all’impresa titanica,anche perchè se non ci pagano….però se la chiameranno Futupedia i diritti d’autore sul nome te li devono dare.
@sergio non sono sicura che il problema sia solo il contesto economico,credo sia il fatto che oggi scrivono un pò tutti,forse troppi,così si è abbassato il livello,ma a ben cercare c’è sempre la qualità,c’è fermento, ci sono voci originali,c’è cambiamento e dove c’è un certo “movimento” credo possano nascere le idee e le buone intenzioni,anche letterarie.
cari saluti
– Secondo me Sergio dice qualcosa di vero ma non ne condivido le cause che adduce. Io vedo un generale affievolimento delle forze creative in questo paese, il che non è dovuto generalmente alla condizione socioeconomica – anche se ci stiamo impoverendo .. ma ragazzi cari rimaniamo uno dei paesi più ricchi del mondo, la povertà che non fa scrivere è ben altra… invece il paese invecchia mentalmente. Non nel senso di pensare cose vecchie, ma di pensare da vecchi, il che avviene in una dimensione globale che non riguarda solo la scrittura ma investe tutto: non c’è imprenditoria culturale, non c’è sguardo buttato avanti, non c’è desiderio di domani. La creatività ha un bisogno terribile del domani, la zona immaginaria dei suoi mondi, ma noi al domani non ci pensiamo mai – noi stiamo sempre a guardarci alle spalle e a raccontare o restaurare l’esistente. Abbiamo perso il fattore rischio che è quello che fa vincere le grandi scommesse, e che le fa fare. Ivi incluso il campo dell’imprenditoria culturale. Invece oggi si fanno le indagini di mercato, si individua il tema che farà vendere, ed ecco qui il libro che non inventa un bisogno, ne soddisfa solo uno vecchio.
E oggi sono andata alla manifestazione, c’era un sacco di gente è vero… ma sapete, non so se mi è piaciuta. Ahò dovevamo essere tutti un tantinello inviperiti, un pocarello indignati. Invece abboh tanti ok ma come assuefatti.
Ciao Franceschissima Giulia!
Caro Massimo, mi inviti a nozze.
Sono stato uno dei primissimi a credere nella Rete pubblicando sin dal 2002 (e continuandolo a fare) la mia produzione letteraria sul mio sito internet.
La Rete è una vetrina e il suo contributo alla letteratura può essere notevole in termini quantitavi (penso agli autori esordienti, poco noti o non pubblicati) ma anche in termini di diffusione del sapere. A costi irrisori permette a tutti, ovunque si trovino nel mondo, di accedere alle conoscenze.
Internet è un mezzo che funge da cassa di risonanza ma alla base deve esserci sempre un prodotto di qualità.
@ Zauberei
secondo me hai ragione in più punti. Resto in generale un po’ scettico all’idea che la letteratura di oggi sia peggiore di quella di 20 anni fa. Chiedo di nuovo: sapete nominarmi i grandi maestri degli anni ’80 (che non avessero all’epoca 80 anni, si intende)? Quando si pensa lett. it. del Novecento pensiamo a Pasolini, Gadda, Sciascia, Calvino, ecc.: si tratta però di personaggi che hanno dato il meglio fra gli anni ’40 e gli anni ’70. Poi è arrivato il secondo postmoderno, ovvero la letteratura ipermetaletteraria…
–
Va detto che Zauberei dice una cosa giusta: pensiamo da vecchi. Ma non è che lo stesso concetto di libro chiuso è un concetto da vecchi? Forse. Ma quale l’alternativa altrettanto ricca di contenuti? E altrettanto adeguata ad insegnarli? Per questo (@ Fabio Lentini) direi che la rete è sì una cassa di risonanza, ma il rischio è che i contenuti seri scarseggino, a favore di velleità di autoproclamatisi esperti di tutto. Se ricordate la bolla dei .com (“dotcom”), il problema era la proliferazione di contenitori ipervalutati dalle banche. Ma i contenuti? Ecco, appunto…
–
Infine, ancora su Zauberei: dice una cosa fondamentale ammettendo di non riuscire a leggere online. Neanche io. Ad esempio, se vado su Carmilla.com, leggo volentieri gli articoli politici, e su Letteratitudine e simili polemizzo volentierissimo. Ma la scrittura creativa è un’altra cosa. Ad esempio io ora ho aperte quattro finestre (skype, facebook, ecc.) e non riuscirei a concentrarmi sul serio su un racconto, men che meno su un libro. Voi?
Bel dibattito. Saluti Cari a Zauberei e Francesca Giulia: ben ritrovate, carissime. Risponderei ora a Lorenzo Amato – e per farlo devo citarlo:
–
”quando mai la letteratura importante è nata solo in contesti economici agiati? E i romanzi di denuncia? E la poesia popolare? E le canzoni dei lavoratori? E, beh, oggi il tempo e modo di scrivere c’è, anche troppo. Però è frammentato, come tutto il resto che facciamo oggi. Quindi si scrive tanto, ma male. L’unico antidoto è, ovviamente, l’autodisciplina (Benedetto Croce docet).
Altra cosa: in che senso la letteratura degli ultimi dieci anni sarebbe peggiore di quella dei precedenti dieci anni? O degli anni ‘80? Perché? Chi l’ha detto?”
–
Allora, punto per punto, domanda per domanda:
1) La letteratura importante.
La letteratura importante, almeno in Italia, e’ stata finora, in larga parte, frutto di scrittori d’estrazione borghese o aristocratica – dal Tasso, Dante, Petrarca, Ariosto, giu’ giu’ fino ai Calvino, Landolfi, Montale, Bassani, Moravia (figlio di un architetto),ecc.
Una componente minoritaria viene dal ”basso”, certo, ma i grandi sono tutti, o quasi, figli almeno di genitori piccolo-medio-borghesi. Pasolini e’ un’eccezione – pero’ credo che non venisse dalla fame neanche lui.
–
2) I romanzi di denuncia.
Qualche nome con relativa provenienza sociale: Sciascia era un maestro elementare figlio di un impiegato (non di un contadino o di un manovale); Saviano e’ figlio di un medico e per giunta laureato in filosofia; Pasolini era figlio di un ufficiale e di una maestra elementare.
Dunque anche la ”denuncia” nasce in buona parte dai ceti agiati italiani.
–
3) Poesia popolare e canzoni dei lavoratori.
Qui ti devo dar ragione, Amato, perche’ in effetti questa produzione e’ a larga preponderanza popolar-proletario-rurale, almeno parlando dell’origine di testi e canzoni. Tuttavia spesso – vedi per esempio la napoletana Nuova Compagnia di Canto Popolare – la musica popolare riprende anche testi rinascimentali che sono frutto o rielaborazione di ceti addottorati e colti.
–
4) Il tempo e il modo di scrivere che oggi c’e’ ma e’ frammentato.
Qui discordo del tutto. Perche’? Confrontiamo la giornata di un impiegato del 1920 e di un impiegato del 2009.
L’impiegato del 1920 lavorava otto-nove ore al giorno, cioe’ lo stesso tempo di quello del 2009, ma aveva dei ritmi molto piu’ lenti di quello del 2009 e anche aveva alle spalle la garanzia di un contratto non a termine. Inoltre la situazione non tumultuosa dell’economia del 1920 creava un’Italia ove le ”cose” erano poche, le esigenze limitate, la vita scorreva in genere tranquilla e senza frenesia. Oggi: l’impiegato ha contratti massimo quinquennali e viene sovraccaricato di logoranti incombenze, dunque si trova in uno stato di perenne insicurezza e provvisorieta’, inoltre i furori dell’economia globalizzata gli impongono mille bisogni indotti che creano la confusione che vediamo, con mode che impongono l’acquisto di sciocchezze e futilita’ che variano ogni tre mesi.
Se non e’ questo un ambiente che uccide tempo libero e creativita’, autonomia di pensiero e rigore, meditazione e concentrazione, quale ambiente lo potrebbe di piu’? Ergo: Benedetto Croce e’ nato in un periodo in cui l’autodisciplina era ”economicamente” possibile per i tempi lavorativi correnti allora. Noi no: noi siamo schiacciati da uno Stato liberista, una burocrazia sovraccarica ed un capitalismo rampante che non ci assicurano niente per il futuro.
–
La letteratura di oggi migliore o peggiore.
Rispetto agli anni Ottanta mancano i grandi vecchi, classe anni ’10 e ’20, oggi ormai morti. Il ricambio generazionale pero’ non c’e’ e pochi sono i capolavori letterari scritti da gente oggi in eta’ adulta, paragonabili alle opere di Calvino, Bontempelli, Gadda, D’Arrigo, eccetera. Le idee oggi circolano, si’, ma spesso manca la padronanza della lingua italiana e dunque l’originalita’ stilistica non puo’ esistere, se non nasce da un approfondito studio della nostra lingua. Gli scrittori di oggi non brillano – eccezioni fatte – per originalita’ e studi letterari quotidiani: scrivono senza leggere quotidianamente e sono telespettatorizzati. Si rifanno ad esempi o stranieri o di moda, apportano qualche variante e via in libreria, a sfruttare la moda del momento. Gli italiani insomma oggi vedono l’Italia in tivu’ e sui libri (stranieri), mentre negli anni Settanta ancora vivevano l’Italia degli italiani, la realta’ delle cose e della vita ed i propri sogni ed ispirazioni soggettivi. Senza fretta. Senza dover imitare l’americano di turno o il film per poter vendere mille copie. Per esempio un Faletti e’ paragonabile con chi o con cosa? Con un film giallo, non con la storia letteraria d’Italia.
E questo concedendo che esistono voci fuori dal coro – ma marginali: Tuena, Di Giovanni, Cilento, Pazzi, Marani, una manciata ancora e fine: il resto e’ ”genere”, eccetto forse un certo rifiorire del romanzo storico o simili (Vassalli pero’ gia’ mi basta, e non e’ un giovane di certo).
Ma il grande romanziere o novellista dove sta, oggi? Io non lo vedo. Vedo scrittori intrappolati nella diabolica macchina dell’economia liberistica e dei mezzi di comunicazione.
–
Saluti Cari a Massimo e a Lei, Amato.
P.S.
Si’: la generazione degli anni Ottanta non aveva geni. Tondelli non mi piace. Il resto sono vecchi autori in semipensionamento. Ma non tutti rimbecilliti, tuttavia.
Lorenzo Amato grazie! Ma ci sono delle cose che vorrei specificare.
Perchè io sono meno negativa sulle capacità della rete. Non ho scritto che non leggo on line, io leggo TANTISSIMO on line. Ho scritto che non leggo on line ciò che sembra essere una riproduzione del cartaceo. E io leggo moltissimo cartaceo. On line io cerco contenuti espressi in modo diverso rispetto al libro. Non è meno valido, non è più valido è creare qualcosa coerentemente con il mezzo.
Ci sono in ogni caso delle caratteristiche costanti, che sono in ogni contesto con qualsiasi medium dei campanelli di qualità. Anche voglio dire per un libro. Perchè non è che manchino i libri in cui sedicenti esperti scrivono cazzate a rotta de collo… i criteri con cui ci assicuriamo della credibilità di un autore sono sempre gli stessi dallla carta alla conferenza al web. Almeno per me che diffido costantemente dalla divulgazione non documentata da fonti bibliografiche o nel caso telematiche, che diffido specie per i contesti scientifici da dichiarazioni eccessivamente plateali (chi studia seriamente sa che una ricerca è tanto più seria quanto meno permette grandi generalizzazioni) e che, ancora, diffido dai toni forti, non misurati aggressivi. Almeno sotto il profilo della divulgazione.
Il discorso narrativo merita un piano diverso. In polemica anche con il padrone di casa (ciao Massimo!) io ho già dichiarato qui, la mia profonda allergia per le scuole di scrittura creativa. Non amo l’idea si una professionalizzazione della scrittura creativa, non amo l’idea di uno standard di partenza, di qualcosa che somigli a un canone. E’ proprio il massimo dispiegamento dell’industria culturale come la intendeva Adorno e infatti oggi, mi bastano tre pagine per individuare uno scrittore scappato fori da una scuola di scrittura creativa. ZZ Packer magari ci aveva del talento… beh, l’hanno rovinata. La rete in questo senso funziona in direzione opposta, ognuno è l’editor di se stesso, e sta al suo senso di disciplina cesellare ciò che scrive in virtù delle sue necessità estetiche e intellettuali. Ripeto, escono delle cose interessanti.
Non dico neanche che il libro vada in dimissione. O Dio e perchè mai? Nè credo che questo possa accadere almeno nell’immediato. Credo che la rete offra qualcosa in più da mettergli accanto.
Interventi tanto corposi che non saprei da dove riprendere oggi…mumble mumble…Dunque non è tanto il problema di stabilire se sia meglio o peggio la letteratura di oggi rispetto al passato,ilpassato è la storia nostra,il segno della nostra memoria, ci sono le pietre miliari,come i sassolini meno insistenti,ma tutto esiste e non si rinnega,nè si disconosce di importanza.Ma il paragone non credo che serva,nel contesto del discorso qui,cioè quello che può nascere da un mezzo di comunicazione diverso,è per sua natura differente,dovremmo utilizzare un metodo e un metro di giudizio differente,altrimenti non ci “svecchiamo” mai.Pensiamo alla potenzialità della rete di commistione di generi,di forme di comunicazione,di espressione, che legano parola immagine suoni.E’ un linguaggio nuovo,nè migliore nè peggiore,apriamoci a riceverlo poi saremo in grado anche di selezionare e evidenziarne le qualità.Ogni cambiamento riceve in risposta resistenza,accettarlo con acriiticità sarebbe un male ma non cavalcarlo sarebbe un errore e una perdita di opportunità per tutti.
@Fabio @Lorenzo @Sergio e @Zaub
Vi ringrazio sinceramente per ragionare con noi,io vi sono grata di aprire in me tanti punti di domanda.
E auguro una buona domenica a tutti.
Eccomi, ancora una volta arrivo con molto ritardo. Qui a Ferrara, al festival organizzato da Internazionale con i giornalisti di tutto il mondo c’è un gran da fare per tutti. In attesa di Saviano, ho trovato una postazione libera. Datemi il tempo di rieggere i vostri interventi e cercherò di rispondere.
Nel mio “Potere di link” non mi sono soffermata sulla qualità della letteratura on line, ma sulle potenzialità della condivisione e della sperimentazione. E non è stato un caso.
Mi spiego meglio. Contrariamente a quanto vogliono farci credere i mass media ( non dovrei dirlo, faccio la giornalista, ma tant’è) cose come l’ipertesto, la narrazione non sequenziale, la scrittura collaborativa, i finali aperti, la commistione testo, immagine e movimento, NON sono novità recenti, e non sono frutto di Internet. La grande Rete, però, li ha fatti riemergere e li ha democratizzati, se così si può dire.
Mi premeva sottolineare che dietro la scrittura on line così come viene percepita adesso esiste un vissuto, che ad esempio i miei studenti (insegno giornalismo e nuovi media all’Università) non conoscono, salvo poi rimanere incantati una volta appreso l’esistenza di alcune realtà vecchie di centinaia di anni.
Osservare i meccanismi di scrittura e di lettura attraverso i nuovi media, significa recuperare una memoria perduta, o che comunque conservano in pochi.
Altro punto: i libri di carta e i gli e book. Personalmente credo che il problema sia malposto. Esiste un processo di mediamorfosi cui non possiamo sottrarci, ma che ci ha insegnato una verità fondamentale: il nuovo media non distrugge il medium precedente. Semplicemente gli impone di innovarsi per poter sopravvivere. Penso spesso a Baudelaire e alla sua reazione di fronte al nuovo media dei suoi tempi: la fotografia. Charles era furioso! Vedeva nella foto un abbrutimento della pittura. E vedeva nel ritratto fotografico una realtà senz’aura che invece solo l’arte poteva assicurare. Se Baudelaire avesse la possibilità di tornare tra noi, sarebbe costretto a ricredersi. La fotografia è diventata un’arte e la pittura non è scomparsa. Si è soltanto trasformata.
Ecco, credo che i libri di carta non scompariranno, così come non scompariranno i giornali di carta. Credo anche che l’alleanza durerà molto, molto a lungo.
per adesso mi congedo. Continuerò stasera
Salve a Rosa Maria
avevo scritto una risposta piuttosto articolata, ma il sistema me l’ha cancellata. Ora mi ritiro nel mio muto dolore (ah i tempi della scrittura a mano 🙂 )
@Rosa Maria (chiedo il permesso di dare del tu a tutti in questo forum… ok?)
Allora, ci riprovo (accidenti a me, ho selezionato paste invece di copy e un post lungo se ne è andato nel mondo dei bit estinti).
Dicevo che concordo pienamente sulla percezione della novità come indotta, spesso, dall’ignoranza del passato. Sì, molte sperimentazioni e soluzioni esistevano ed esistono già, ma noi non ne abbiamo notizia per tanti motivi (spesso colpa nostra, intendiamoci). Ad esempio studiando i primi decenni del libro a stampa mi sono imbattuto nel caso di opuscoli di identico formato, caratteri e numero di linee per pagina che venivano stampati e venduti in fascicoli slegati. Così ogni lettore poteva acquistare gli opuscoli che voleva, scartando gli altri, e farli rilegare assieme (magari con l’aggiunta di decorazioni a pennello e il proprio stemma familiare). Sono modalità che prefigurano in parte l’on-demand, e che mostrano una concezione di libro modulare successivamente e fino ad oggi impossibile nella cultura editoriale europea.
Quindi su questo siamo d’accordo (anche se immagino tu ti riferissi ad altri casi che io magari non conosco…)
Allora, il secondo punto (che avevo elaborato proprio bene, mannaggia a me!) era quello del disaccordo (sed contra, avrebbe detto il filosofo).
Secondo me non regge il paragone del rapporto pittura/foto con quello libro a stampa/scrittura elettronica (intendendo sia e-book sia letteratura su internet). Prima di tutto perché la pittura perseguiva il fine del naturalismo, o del realismo, solo a parere della corrente naturalista, o realista, di metà Ottocento. Le correnti moderne, es. l’Espressionismo, hanno avuto buon gioco nel dimostrare che correnti antiche, es. il Manierismo, erano del tutto antinaturaliste. La pittura quindi era in concorrenza con la fotografia solo se la si intendeva come “rappresentazione del vero”, il che appunto non è mai stato (con l’eccezione suddetta).
Ma fra libro cartaceo e, ad esempio, e-book, il rapporto è diverso. Si tratta infatti di due supporti per la stessa forma espressiva. In questo senso la rivoluzione potenzialmente realizzabile è paragonabile a quelle che hanno visto il passaggio dalla scrittura su pietra a quella su cortecce di legno, poi tavolette cerate, poi rotoli di pergamenta, poi libri di formato moderno (ca. II secolo d.C.) ovvero con fascicoli rilegati a una costola, e pagine (in pergamena e poi cellulosa) numerate progressivamente. Il mutamento antropologico è stato lento ma profondo e irreversibile (immaginate di leggere un poema o un libro lungo senza numero di pagine, e senza poter tornare indietro a cercare passi che non ricordate). La cultura occidentale “moderna” si basa largamente sulle indicizzazioni (e quindi i rimandi interni non mnemonici) rese possibili dal “codice”, ovvero dal libro rilegato moderno. L’introduzione della stampa non ha provocato mutamenti simili, poiché il tipo di libro prodotto con la nuova tecnologia era formalmente (quasi) identico al libro manoscritto quattrocentesco (dimensione non grande, impaginazione a colonna unica, grafia umanistica, niente glosse ai lati se non in libri giuridici o scientifici, ecc.). La rivoluzione della stampa è stata infatti prettamente quantitativa, con enormi risvolti sociali (riduzione del costo del libro, alfabetizzazione di strati enormi della popolazione, ecc.) e qualche risvolto significativo nei generi letterari, ma niente di paragonabile alla rivoluzione del pensiero generata dall’introduzione del codice.
Oggi siamo invece di fronte a un mezzo che può nuovamente cambiare tutto. Un e-book (per limitarci all’esempio meno trasgressivo e più tradizionale offerto dalle nuove tecnologie) potrà essere fisicamente accattivante (anche arrotolabile o ripiegabile, con le sembianze di un papiro, ad esempio), più leggibile (con schermi del tutto antiriflesso e regolabili sulle diotrie del leggente), più trasportabile (antiurto, completamente impermeabile e resistente alla polvere, ecc.) e potrà contenere o scaricare numerosi libri. Vi ci vedete in spiaggia a leggere sotto il sole cocente un libro che non riflette il sole? E che non vi costringe a cumulare occhiali da vista e da sole? E che potete buttare nella sabbia o portare in mare? Io sì, mi ci vedo. Ecco, a quel punto io stesso giustificherei difficilmente l’acquisto di un libro tradizionale, se non esteticamente bello. E dico esteticamente nel senso di oggetto-libro, non solo (non tanto) di contenuti. Peccato che molti editori non la pensino come me, almeno per ora…
E un’ultima nota: con il cambio di formato del supporto di scrittura, con il conseguente mutamento della forma mentis di chi legge e di chi scrive, non si torna più indietro. Vi ci vedreste voi a scrivere un romanzo sulla pietra? O su cortecce di legno? Ecco, voglio proprio vedere (come disse un cieco) se fra 200 anni, con tutti gli eventuali cambiamenti che gli oggetti letterari avranno acquisito dal passaggio alle nuove tecnologie, uno scrittore del 2209 penserà ancora seriamente di poter pubblicare su cartaceo. Io ne dubito fortissimamente…
@ Zauberei
(oddio scusate lo so son logorroico me lo dicono tutte prima di mollarmi…)
Sono ancora abbastanza d’accordo con te. Fermo restando che quando, es. su Carmillaonline, io vedo qualcosa di letterario, … cioè, non è che non voglia leggerlo, ma rimando, rimando. Quando sono in rete (e in genere al computer) non mi sento mai sufficientemente concentrato su una cosa singola. Quindi ok i blog, ok le mail, ok i giornali ecc., ma non la letteratura. Ci ho provato, non riesco. E se la stampo su fogli A4 mi intristisco il doppio. Problema mio, probabilmente… (problema mio?)
@ Sergio Sozi (ormai siamo O.T., scusate tutti)
Sono in disaccordissimo (emh) sull’analisi del perché la letteratura di oggi sarebbe peggiore di quella di ieri. Tu elenchi scrittori di provenienza economica agiata, e poi scrivi che un tempo il lavoratore aveva altri orari ecc. Ma anche oggi esistono persone messe bene economicamente (non io, per l’amor del cielo, che devo lasciare casa fra 3 mesi). E son convinto che la scrittura sia una di quelle cose (come il Jogging, o la buona cucina, o il buon sesso, ecc.) che se uno vuol farle le fa, cioè in qualche modo trova il tempo di farle. So per esperienza che la disoccupazione, ad esempio, non significa stare tutto il giorno in otium, secondo l’accezione nobile antica. Anzi si corre quotidianamente per trovare un lacerto di lavoro. Ma il tempo per le cose importanti, volendo, si trova. Sì, è una questione di autodisciplina, cento anni fa come oggi. E te lo dico io che non ho ancora avuto modo di scrivere un romanzo che progetto da anni. Ma non mi faccio illusioni: sono le palle che mancano, non il tempo. Le palle di confrontarmi con le mie capacità e con i miei fallimenti. E in questo senso sì, la cultura iperdispersiva di oggi mi dà la valida scusa del troppo da fare. Ma quel troppo che si fa oggi è in gran parte largamente superfluo (es. controllare l’email 8 volte al giorno, e così facebook ecc.). Ed è un superfluo che impatta sul lavoro, prolungandolo a casa (per forza, se invece di scrivere il saggio che devo scrivere perdo tempo su internet… che poi spesso la cosa nasce come legittima verifica con google di qualche dato, e finisce su Repubblica.it e poi su fb e poi su letteratitudine ecc…). Quindi, appunto disciplina.
Se poi aggiungiamo che la quantità di libri scritti negli ultimi tempi non è assolutamente diminuita (anzi) direi che la diagnosi dell’eventuale (!!!)peggioramento della letteratura sia semmai da individuare in precise correnti culturali degli anni ’80-’90 che hanno allontanato i lettori da libri divenuti troppo autoreferenziali. Diresti tu che Baricco dedica poco tempo alla scrittura? Oppure, se i suoi libri non piacciono (almeno a me) i motivi sono semmai altri?
E poi, insomma, esemplificare la letteratura di genere contemporanea con Faletti mi pare cosa un tantinello tendenziosa (cfr. almeno Carlotto, Vichi, Camilleri, soprattutto non Montalbano, Genna, Carofiglio, ecc.; nel complesso minga mal’!).
Grazie a Rosa Maria per il suo intervento,mi pare che si trovi abbastanza in linea con il mio ultimo commento,il che mi spinge ancora di più a leggere il suo libro.
@Lorenzo ma chi frequenti?Il dialogo è il sale dei rapporti,saranno donne “sciapite”….parla parla con noi che ci fa tanto piacere!
Zau,
insomma secondo te il motivo della pochezza letteraria italiana attuale sta nell’invecchiamento mentale del Paese, cioe’ nella sua mancanza di speranze per il futuro. Ma non mi sembra che i quarantenni oggi ragionino da vecchi, quanto piuttosto da adolescenti. E gli adolescenti veri invece il futuro davanti ce l’hanno, anzi ce l’avrebbero se qualcuno li aiutasse a trovare un lavoro e a fare una famiglia. E torniamo li’: all’economia di oggi e allo Stato che non supporta i giovani nella ricerca di sicurezza lavorativa e che permette lo sfruttamento all’osso e i contratti a breve termine dei quarantenni gia’ impiegati e con famiglia fatta.
–
Amato: le ho risposto prima.
Amato,
il tempo materiale forse, si’, lo si trova – ma non tutti lo trovano, anzi molti non ce l’hanno proprio se sono impiegati nel privato. Ma il tempo mentale e spirituale non c’e’, perche’ il lavoro oggi sfibra la gente, la spreme come un limone. E per scrivere e pensare, e sentire soprattutto, bene, bisogna esser calmi, pieni e non distrutti dopo dieci ore di corri-corri, traffico congestionato e mille altri obblighi sociali. I ritmi di oggi li crea l’economia, e sono ritmi inumani, mentre… la letteratura abbisogna di uomini.
Vorrei riportare l’attenzione sull’argomento del post,così quando Massimo rientrerà non mi “banna” per abbandono del salotto…:-)
Partendo da questa frase di Rosa Maria, vi chiedo di dirmi se vi sentite in sintonia con il pensiero espresso.
“Osservare i meccanismi di scrittura e di lettura attraverso i nuovi media, significa recuperare una memoria perduta, o che comunque conservano in pochi.”
Mi è venuto anche in mente che ho letto sul Venerdì:Quattro giovani torinesi vogliono salvare la memoria del 900.Con una banca dati in rete e interviste in video a chi è nato prima del ’40.New economy e sentimento.
Allora ce la vedete la memoria del 900,e perchè no, anche quella letteraria ,salvata in una banca dati in rete?
A Lorenzo: sul tuo rilievo in merito alla “qualità” dei prodotti (letterari) su internet ne convengo e, oltre ad averlo ribadito nel mio primo intervento, ne sono consapevole.
In una vetrina planetaria come la Rete trovi originalità e novità accanto a (molta) immondizia.
A Francesca Giulia: grazie (e buona domenica) anche a te.
Buongiorno a tutti.
Finalmente mi trovo davanti al mio PC e con una connessione degna di tale nome.
Facciamo un po’ d’ordine. Rispondo alle prime domande di Francesca Giulia:
**Le speranze di rilancio della letteratura e della scrittura creativa che agli inizi degli anni ‘80 alcuni intellettuali avevano riposto in internet sono state disattese o si sono concretizzate in nuovi orizzonti?Quali orizzonti intravedi?**
E’ presto per tirare le somme. Internet non è poi così usato e letto in Italia come sembrerebbe. Tuttavia un caso come quello di Letteratitudine non è da sottovalutare; in un forum autogestito sono i lettori – nella maggior parte dei casi per nulla sprovveduti- a parlare di libri, a stroncarli o a elogiarli. C’è ancora molta resistenza da parte degli autori ad esporsi sul web, ad autoprodursi, a scommettersi, con la conseguenza che è ancora difficile monitorare lo stato di salute della letteratura italiana giudicandola da Internet. Una cosa è certa: il cammino è iniziato e molto presto saremo in grado di saperne di più.
**Secondo te gli editori tradizionali come guardano le iniziative di scrittura nate sul web?Tengono d’occhio i nuovi autori e l’originalità di qualche proposta nata in un ambito collettivo?**
Gli editori italiani, soprattutto quelli medi e tutto sommato attenti agli autori emergenti, sono abbastanza attratti dal web, ma non quanto lo sono in America, ad esempio.
Tuttavia, cosa succede se uno scrittore o aspirante tale si affida a un blog o a un sito Internet per divulgare i propri pensieri, o i propri
romanzi, o i propri saggi, senza che tutto questo passi dal filtro tradizionale di una casa editrice? Spesso i risultati non sono di buon livello, ma è un prezzo da pagare. Bisogna saper scegliere.
Di contro, lo scrittore portoghese e premio Nobel Josè Saramago, uno che ha sperimentato tutto ciò che un autore vivente può ricavare dalle glorie letterarie, dal 2008 si è aperto un blog: El cuaderno de Saramago,
.
Nel suo blog Saramago non scrive racconti, né tanto meno
romanzi, ma affida al suo diario on line delle riflessioni brevi, colte
e molto acute su temi legati alla politica o al sociale. Si potrebbero
considerare dei microsaggi in alcuni casi, in altri delle riflessioni
sulle dinamiche che governano uomini e Paesi.
Dicevo dell’America. Kate Lee, assistente all’International
creative management di New York, dice che i libri dei blogger potranno
divenire un fenomeno culturale e assicura che molti blogger altro non sono che potenziali esordienti “in vetrina”. Ma negli Usa, è inutile negarlo, l’attenzione al web è qualitativamente diversa.
@marco minghetti: grazie Marco per avere citato questa esperienza. Merita di essere conosciuta e approfondita.
Torno ad un’altra riflessione di Francesca Giulia.
Lei scrive:
1) l’uso del cellulare per scrivere e/o leggere racconti
2) e- orrore- poesie via sms
Sono due cose molto diverse.
1) Anche a me viene molto difficile leggere racconti sul cellulare- e molto dipende comunque dal modello- ma non sui lettori di e-book. Ed è su quello che bisogna ragionare. In Italia il Kindle non c’è ancora, ma vi assicuro che leggere un romanzo, o un racconto, o un giornale sugli e book readers è tutta un’altra cosa.
2) Condivido lo sgomento. Ma la curiosità di comprendere quali sono i meccanismi creativi legati al medium, per me è troppo forte. Non a caso nel mio saggio accenno anche ai Keitai shosetsu (Giappone) e ai twillers (Usa).
@Amato su Baudelaire:
Mi spiego meglio. Per Baudelaire la modernità si accompagna all’effimero, alla perdita di eterno. Per lui la foto è “palestra per pittori mancati”. Il supporto e il medium utilizzato (la fotografia) sono una concausa tecnologica di uno spreco culturale e creativo tipico di “quel” momento storico.
E’ l’aura che viene a cadere (la distanza tra l’opera d’arte e il suo fruitore. Ricordate Benjamin?). Ebbene, a dispetto di tutto questo, agli occhi dell’uomo di oggi esiste anche un’aura dell’arte fotografica.
Cosa c’entra con il libro elettronico? C’entra se consideriamo la resistenza di alcuni a concepire scrittura creativa al PC; alcuni scrittori si vantano di scrivere capolavori con la cara vecchia BIC perché la penna e la carta concedono loro il tempo giusto alla creatività (e qualche big strizza l’occhio a tutto questo: http://www.sudmediatika.it/?p=103) e altri rigettano l’idea di leggere un libro su un supporto che non sia di carta. E questo perchè il libro di carta ha una vita propria, un corpo, un odore, le macchie di caffè ecc ecc. Un libro lo si possiede davvero se lo possiamo infilare nella nostra libreria.
Vedo tutto questo come una normale e accettabilissima resistenza ad un nuovo medium. E sono d’accordo con te sulla storia della pietra e le probabili prospettive del 2209. Ma senza presunzione e con molta cautela credo ancora nell’alleanza a lungo termine tra bit e carta.
(http://bitletteratura.blogspot.com/2008/09/e-book-e-libro-di-carta-alleati-e-non.html)
Poi, si sa, nessun amore dura per sempre…
Dimenticavo. Massimo non vi ha avvertiti che l’argomento trattato in “Potere di link” presenta molte, forse troppe sfaccettature per un unico dibattito.
Ringrazio Rosa Maria per le risposte e concordo pienamente con lei sul punto 2.La curiosità è il motore che nessuno di noi dovrebbe mai spegnere,sia che riguardi la cretività letteraria sia che riguardi gli eventi delle vita.Detto ciò vi inserisco qualche notizia sui nominati “keitai shosetsu” nati in Giappone,all’incirca 4-5- anni fa,per chio non sapesse cosa siano.
I keitai shōsetsu significa “romanzi per il cellulare”. Si tratta appunto di romanzi virtuali che, non solo vengono letti, ma anche scritti sullo schermo del proprio telefono cellulare da giovani autrici amatoriali le quali narrano con estrema semplicità le loro esperienze di vita sociale, introducendo al tempo stesso un nuovo tipo di scrittura all’occidentale. Per pubblicare online il proprio romanzo per prima cosa ci si deve iscrivere a un sito web per keitai shōsetsu .Chi desidera leggere il romanzo non deve far altro che connettersi a internet, accedere alla homepage dell’autore e scaricare il romanzo nel proprio cellulare, oppure leggerlo direttamente online. l’80% delle autrici e lettrici di keitai shōsetsu sono ragazze tra i quindici e ventiquattro anni, mentre i ragazzi sono solo il 9%.I keitai shōsetsu vengono sostenuti con tanto fervore dai ragazzi della nuova generazione innanzitutto perché non sono nati con base commerciale, ma si sono diffusi grazie ad un passaparola spontaneo.E’ molto probabile che i keitai shōsetsu diventino un genere letterario a tutti gli effetti, riconosciuto come tale non solo dalla cultura popolare ma anche dalla letteratura ufficiale.
Interessante come fenomeno no??
buona giornata a tutti.
@Rosa Maria non credo che abbiamo un limite di tempo e spazio per parlare delle tante sfaccettature che l’argomento del tuo libro stimola…diciamo che qui siamo in possesso-con il benestare di Massimo- di un “Potere di letteratitudine”illimitato! 🙂
@ Rosa Maria,
grazie degli approfondimenti. Ovviamente (disclaimer) non concepivo Baudelaire come un “realista” o “naturalista”. Ma ora capisco meglio quel che intendevi. Io, in quanto amante della fotografia (per hobby) so bene che anche la fotografia è un’arte, e in quanto tale non mostra una realtà oggettiva, ma racconta una storia attraverso il punto di vista del fotografo. Ovviamente gli esempi di scrittori con la bic sono, beh, divertenti. Grazie dei link. Il maestro del mio maestro di filologia ha appena pubblicato 5 volumi di edizione critica di Rime di Dante, e tre volumi di commento, scrivendo tutto con la macchina da scrivere. Anche i microfilm li guardava con la lente di ingrandimento davanti alla finestra. Come dire: a suo modo un grande, ma lui se lo può permettere per l’età (e infatti aveva iniziato a scrivere il tutto col computer, salvo perdere mesi di lavoro per un clic di troppo). Non può ovviamente essere un esempio per noi “giovani”…
Poi il futuro è un altro mondo 🙂
desideravo ringraziarvi per gli innumerevoli spunti di riflessione. davvero tanti, e anche le informazioni date.
fosse solo per questo……. pollice in alto per il web e per la letteratura sul web
A Rosa Maria Di Natale: sono felice che gli esperimenti in rete cui – modestamente e con entusiasmo – io stessa ho collaborato siano nel tuo libro… seguire questa discussione è un autentico arricchimento. Sono felice di vivere un momento così esaltante per la cultura: una vera e propria rivoluzione simile a quella vissuta da chi vide per la prima volta i libri stampati a caratteri mobili.
“Questo ucciderà quello”. Victor Hugo così scriveva in NOTRE DAME DE PARIS, quando preconizzava la morte dell’architettura ad opera della stampa e la morte di questa per via di un nuovo medium, di un nuovo mezzo di espressione. Certo è affascinante che gli uomini primitivi, dominati ancora dall’oralità, impermanente per natura, abbiano ideato dei pensieri di pietra che poi sono divenuti parola stampata, diffusa, condivisa. Oggi c’è la rete, la globalizzazione mi permette di essere letta e leggere in tempo reale, di integrare il mio sapere con mappe, video, suoni… una rivoluzione.
Un bentornato a Sergio…
concordo con Francesca Giulia e Lorenzo Amato, il contesto è importante ma tanta della nostra migliore letteratura è nata in contesti non solo depressi ma drammatici – pensiamo alla seconda guerra mondiale per non andare oltre.
Hai ragione quando dici che la qualità diminuisce a scapito della quantità. La cattiva letteratura è sempre esistita, solo che adesso il buono che c’è rischia di perdersi nel mare magnum dell’offerta. Siamo in un mercato globale e la cultura è merce spesso deperibile, a volte mal distribuita. Ignorata.
Ma qui interviene il web, in cui molti costi vengono abbattuti, le distanze azzerate e Ciccio Ricotta in teoria ha le stesse probabilità di farsi leggere rispetto a uno scrittore importante.
Discorso infinito.
Concordo con Zauberei sulla specificità del mezzo: on line vorremmo legger, anzi, vorremmo vivere dei contenuti esperenziali SPECIFICI di questo nuovo medium. I racconti e le poesie io personalmente li leggo se sono accompagnati da musica o da una grafica particolare o da video – videopoesia, videoracconti… – altrimenti scarico e leggo con calma. La lettura su pc è stancante e non ti dà le stesse sensazioni del rapporto fisico col volume – che bella parla, volume: qualcosa che fisicamente occupa uno spazio e che lo occupa insieme a te.
Rosa Maria Di Natale: hai ragione. Mi hai fatto riflettere sul fatto che anche prima di Internet c’erano delle sperimentazioni che oggi ci sembrano nuove – o forse ci vengono spacciate come tali.
Penso a Vittorini, che nel Politecnico sperimentava con fumetti, disegni, quadri, giocava con la grafica – e che cos’è questo se non un ipertesto?
Ci hai incuriositi con questo tuo citare le esperienze giapponesi e americane: puoi dirci di più?
Lorenzo Amato e Sergio Sozi: alla fine i vostri commenti non sono così distanti. Occorre molta volontà per ritagliarsi gli spazi da dedicare alla scrittura… nella dispersività del nostro vivere diventa sempre più complicato.
Grazie a tutti per gli spunti di riflessione.
Certo, Maria Lucia.
Nel gennaio del 2008, il New York Times segnalando
il caso della ventunenne Rin, spiegava che su dieci best-seller
giapponesi, cinque erano stati originariamente scritti sul (e per il)
cellulare; si tratta per lo più storie di amore in stile sms, strutturate
con frasi brevi. Nulla a che vedere, dunque, con i romanzi tradizionali.
Nelle novelle mobile phone le frasi sono però troppo corte, le storie
prevedibili. La critica, anche hollywoodiana, ha accolto con interesse Closed Note, film tratto dall’omonimo libro di Shizukui Shu¯suke edito nel gennaio del 2006. Il romanzo è nato come keitai shösetsu.
I Twillers? Sono un incrocio tra un Twitter e un thriller. Puoi leggere questo:
http://bits.blogs.nytimes.com/2008/08/29/introducing-thetwiller
In “Potere di link” cerco di spiegare i percorsi di questi esperimenti.
Grazie a te Renata per leggerci,diciamo,come direbbe Massimo,che Letteratitudine siamo tutti noi insieme.
Io poi sono estremamente grata a Massimo e a questo luogo per le tante riflessioni che mi spinge a fare anche dopo aver chiuso il p.c.
@Maria Lucia grazie dei tuoi interventi sempre pieni oltre che di competenza di passione,di cui sento di condividere in pieno queste parole:
“Occorre molta volontà per ritagliarsi gli spazi da dedicare alla scrittura… nella dispersività del nostro vivere diventa sempre più complicato.”
Ogni vera passione necessita di essere difesa.
@Rosa Maria l’atteggiamento corretto dovrebbe essere proprio quello tuo, di aperta curiosità,e non solo perchè tu ne possa studiare i percorsi- il che naturalmente fa parte della tua professione- ma anche per chiunque altro non voglia tirarsi fuori dall’evidente cambiamento che ci investe.Magari non da tutti questi ibridi nati dall’incontro di nuove tecnologie di comunicazione e scrittura nasceranno dei capolavori,ma è anche, oltre che curioso studiarli,opportuno capire se nascano rispondendo a dei bisogni.(Il Giappone ne partorisce di cose strane eh?)Ti ringrazio per tutte le indicazioni che ci stai dando,in particolare “I Twillers” di cui non conoscevo l’esistenza,chissà cosa ne pensa uno scrittore nostro “tradizionale” come un Lucarelli o altri.
http://bits.blogs.nytimes.com/2008/08/29/introducing-the-twiller/
Ecco il link esatto sui Twillers
Cari amici, dopo una bella “oronzo-macondata” eccomi di nuovo qui…
Intanto mi preme ringraziare di cuore Francesca Giulia per lo splendido lavoro svolto.
E grazie a tutti voi, uno per uno (specialmente a Lorenzo Amato per i corposo commenti).
Ringrazio, naturalmente, l’amica Rosa Maria Di Natale per essere intervenuta e per i contributi apportati alla discussione attraverso gli spunti forniti dal suo ottimo libro.
A proposito, Rosa Maria, perché (se ti è possibile) non inserisci tra i commenti un estratto (che magari consideri particolarmente significativo) del tuo libro?
Veniamo a Oronzo Macondo…
Come prima cosa consentitemi di ringraziare tutti gli amici dello staff e del progetto che mi hanno accolto a braccia aperte (e con grande affetto) facendomi sentire a casa.
Grazie. Grazie di cuore.
Tra tutti devo fare per forza il nome di Agnese Manni: ragazza dolce, splendida e preparata che – non ho dubbi – darà sempre più (ma lo sta dando già adesso) un contributo importante alla crescita dell’editoria italiana di qualità.
Brava, Agnese!
Maria Lucia (ciao cara, grazie per il Bentornato!), Francesca Giulia e Lorenzo Amato,
vorrei dedicare solo un ultimo brevissimo intervento alla questione ”qualita’ letteraria attuale e sue cagioni”. Eccolo:
–
Ma certo che la quantita’ delle opere circolanti ne abbassa la qualita’ e vero anche che la buona letteratura e’ nata anche nei momenti di poverta’ e depressione. Solo che oggi dovremmo tener presenti anche le seguenti considerazioni, credo:
1) La letteratura italiana novecentesca e’ nata in gran parte da autori borghesi che non avevano impellenti problemi economici, anche mentre gli altri italiani erano poveri, e che anche avevano molto tempo libero a disposizione, mentre gli altri lavoravano dodici ore al giorno;
2) La crisi economico-occupazionale odierna e’ diversa dal passato: crea masse di semi-occupati che non hanno pace, stritolati come sono da contratti a termini e sfruttamento padronale;
3) L’accelerazione e la frantumazione dei tempi, individuali e collettivi, crea confusione, preoccupazione e necessita’ di fare lavori che paghino economicamente subito. Scrivere non da’ questo beneficio, se si scrive veramente bene – ossia studiando, pensando, approfondendo e leggendo, oltre a riempire i fogli di carta bianchi.
4) La riduzione dei campi d’intervento assistenziali dello Stato Neoliberista comporta un continuo taglio alla cultura, con le conseguenze che vediamo – fra le quali una e’ che tutti gli scrittori esordienti cercano di trovare generi letterari e stili espressivi di successo per non rischiare di vendere tre copie e mezza (Le altre conseguenze le sappiamo gia’: meno occupati nel settore culturale, film in meno ed editoria libraria che non prende una lira dallo Stato, eccetera).
Come si fa a dire che tutto questo non crei nevrosi e dunque involuzione della nostra letteratura?
Aver avuto, attraverso Oronzo Macondo, la possibilità di incontrare (contestualmente) tutte le persone che sapete già… è stato, per me, un dono di inestimabile valore. Nonché un’importante occasione di riflessione e confronto.
Anonimo sloveno: metti la firma 🙂
La prima riflessione che mi viene in mente è la seguente: sebbene Internet annulli “i tempi” e le “distante”, in ogni caso non riesce a colmare i benefici (insostituibili) di un incontro fisico.
Ma questo lo sapevamo già… anzi, come dico sempre, “l’incontro on line” favorisce e fa accrescere l’esigenza dell’ “incontro fisico”.
Nei prossimi giorni proverò a introdurre alcuni spunti e considerazioni, anche interagendo con alcuni dei vostri commenti (davvero belli e stimolanti, complimenti…).
Massi, avremmo voluto essere tutti nella tua valigia!
🙂
Della Manni mi avevano parlato benissimo, ci stai dando una conferma…
Bentornato, carissimo.
Sergio, anonimo sloveno (…), ti dò ragione sullo stato di crisi della nostra società che trova riflesso nella letteratura… noi tutti vorremmo un’Italia migliore, più generosa verso chi lavora e verso chi fa arte, ma il fermento che c’è intorno ai nuovi media mi fa sperare. Non tutto è perduto, ci sono belle energie e belle voci. Siamo fiduciosi.
Intanto vi consegno qualche “risultato” dell’incontro utilizzando il materiale multimediale messo a disposizione da Oronzo Macondo…
Ciao Mari 🙂
Dimenticavo di sottolineare questa frase di Francesca Giulia che mi ha fatto molto ridere: Grazie a te Renata per leggerci, diciamo, come direbbe Massimo, che Letteratitudine siamo tutti noi insieme.
–
Grazie, Fraaaaan: ti autorizzo a pronunciarla al mio funerale.
😉
Certo, Massimo… postaci un po’ di quello che hai visto e ascoltato.
Siamo curiosi!
L’incontro fisico non viene escluso da Internet, che è un medium, non una barriera! Anzi… ho conosciuto Remo Bassini e un sacco di persone stimolanti e fantastiche – poi divenuti amici in qualche caso – proprio grazie alla rete, che ha ampliato le mie conoscenze, i miei contatti, le mie possibilità. Prima il mio rapporto con la letteratura si fermava alla lettura, alla scrittura – gioia ma anche solitudine – e alla partecipazione a qualche concorso letterario. Stop.
Oh, scusami Massimo: ero abituato al nome gia’ scritto sul computer ma stavolta non me l’ha messo. Provvedo subito.
Abbraccioni
Sergio Sozi
Giusto, Mari: ben detto!
(Scusate, stacco un attimo. Ritornerò tra un po’…)
Sì, Letteratitudine, come scrisse bene Simona Lo Iacono, è un libro che si legge e si scrive, continuamente, collettivamente. E noi, dico io, siamo le sue parole.
Pardon per l’anonimo: il computer non mi ha messo il nome automaticamente come al solito e io non ci ho fatto caso. Provveduto. Sono Sergio Sozi: tutto bene, caro Macondiano? Garcia che fa, scrive, scrive…?
”Il video vabbe’, pero’… pero’ la carta stampata e’ sacra: la tocchi!”
(San Tommaso)
Sergio, credo che Garcia sia alle prese con una solitudine centenaria…
Sull’incontro fisico Massimo ha ragione da vendere. Caso personale che lo conferma: ”Sergio Sozi e’ un mistero della letteratura italiana”, hanno scritto recentemente su un giornale. E l’hanno scritto solo perche’ da nove anni sto fuori Italia e dunque nessuno mi vede anche se pubblico in Italia.
Sì, Mari… infatti! Ovviamente ho avuto modo di raccontare l’esperienza di “Letteratitudine”: così come Gianni Biondillo ha raccontato quella di “Nazione Indiana”, Girolamo De Michele quella di “Carmilla”, Dario Voltolini quella de “Il primo amore”, Michele Trecca quella di “Booksbrothers”…
(Scusate, oggi vado a singhiozzo: abbiate pazienza.)
…se sapessero quanto puzzo non scriverebbero cosi’…
Massimo,
Biondillo ha spiegato anche perche’ quel sito si chiama cosi’? Me lo chiedo da sempre.
Lo ha spiegato Dario Voltolini, Sergio (uno dei fondatori di Nazione Indiana).
Partiamo da qui, allora… dal racconto di Dario Voltolini:
Voltolini parla degli albori di Nazione Indiana, blog nato dall’idea di creare una comunità che fosse come una tribù (da qui il nome). Un luogo in cui ognuno ha la sua autonomia ma dove, insieme, possono resistere agli attacchi di metaforici yankee.
http://www.youtube.com/watch?v=UbcNjNvJ_GI&feature=player_embedded
Qui, Gianni Biondillo affronta la “questione commenti”:
http://www.youtube.com/watch?v=Q3THKKXn_DQ&feature=player_embedded
Per Giorgio Vasta il rapporto con la Rete sta nella ricerca di strutture metaforiche. Internet è flusso ematico di linguaggio, un fluire indistinto di parole, presenti in tale quantità da suscitare il piacere di non distinguere. In quest’ottica, la militanza è incentrata all’interno del linguaggio.
Ecco il contributo video:
http://www.youtube.com/watch?v=zyRgGLcfVHo&feature=player_embedded
“La lingua e più del sangue, come il sangue”: dice Vasta.
Qui De Michele racconta del romanzo Esbat: un fantasy non solo promosso attraverso il blog dell’autrice, ma con l’interccio direzionato dai commenti alle singole parti postate, dimostrando la possibilità di modificare le scelte autoriali in base alle preferenze, ai gusti e alle competenze specifiche del pubblico:
http://www.youtube.com/watch?v=gfJTzc68-5Q&feature=player_embedded
Qui Carlo Formenti si esprime sul paradosso insito nei grandi negozi online (Amazon e ebay): necessitano di utenti, i cosiddetti prosumer, per poter collocare i loro prodotti. Dall’utopia democratica agli albori di Internet, la collaborazione è diventata un meccanismo strategico per la produzione di nuovi prodotti:
http://www.youtube.com/watch?v=hsA1fhgMhIk&feature=player_embedded
Qui Antonio Pascale scompagina gli equilibri del dibattito. Afferma di non aver fiducia nella narrativa, ma solo nella funzione dell’intellettuale. La militanza così intesa deve mirare a riformulare le immagini, ridefinendole in opposizione al lavoro di semplificazione visibile nei media:
http://www.youtube.com/watch?v=lmo2Qg5u6MQ&feature=player_embedded
Ciao Massimo, raccolgo il tuo invito.
Ecco una pagina della premessa:
Potere di link.Scritture e letture dalla carta ai nuovi media
PREMESSA
LA CARTA, I MEDIA E IL VALORE DEL DOCUMENTO
LA SCRITTURA E LE PASSEGGIATE SOCRATICHE
Fedro e Socrate passeggiano amabilmente sulle rive del fiume Ilisso
e discutono delle orazioni di Lisia, di cosa sia l’amore per gli umani
e di quanto conti per costoro l’idea del bello. In verità, maestro e
discepolo finiscono per concentrarsi sul binomio scrittura e oralità,
argomento molto caro ai pensatori del tempo.
Platone non lo sa, ma fa anticipare di qualche migliaio di anni
al suo Socrate i temi che un sociologo canadese di nome Marshall
McLuhan avrebbe portato in auge a pochi decenni di distanza
dallo spegnersi di un importante secolo. Un secolo, il nostro
Novecento, dove non si è osservato un solo medium, ma i tanti
media, molteplici e oramai insinuanti.
Socrate si schiera dalla parte della parola, a danno del medium
scrittura. McLuhan fa molto di più, evitando l’ostacolo e asserendo
che il medium è il messaggio, che coincide con esso, e che va
osservato in base ai criteri strutturali attraverso i quali organizza la
comunicazione.
Se dunque Socrate afferma che la scrittura in sé non possiede
alcuna magia “perché vedi, Fedro, la scrittura ha una strana qualità,
simile veramente a quella della pittura. I prodotti della pittura ci
stanno davanti come se vivessero; ma se domandi loro qualcosa,
tengono un maestoso silenzio”, per McLuhan dai media bisogna
proprio tenersi fuori, perché solo così “si possono individuarne i
principi e le linee di forza. Ogni medium infatti ha il potere di
imporre agli incauti i propri presupposti”.
Nessuno dei due, però, riuscì a immaginare che un giorno oralità
e scrittura potessero in qualche modo trovare un terreno comune. Che un giorno, ad esempio, un lettore qualunque potesse imbattersi
in un nuovo modo di intendere la comunicazione tra due o più
esseri umani; seduto davanti a una scatola intelligente – un personal
computer –, intento a osservare, prima ancora che a leggere, alcuni
testi che si è ritrovato disponibili nel giro di pochi secondi.
Testi fluidi, manipolabili e “parlanti” nella misura in cui riflettono
la nuova retorica, quella di una scrittura che si commistiona
alle immagini e che imita il parlato, ne rielabora le regole inventandone
pure di nuove.
Il salto dal Fedro a McLuhan, sino ad approdare a un blogger qualunque
dei giorni nostri che scrive come parla, può sembrare azzardato,
e forse lo è.
Ma la convinzione che da secoli alcune domande si rincorrono
senza trovare risposta – ossia, qual è il medium di comunicazione più
adatto all’uomo? Quale mezzo ci dobbiamo augurare che abbia la meglio? E perché? – ci sembra persino lapalissiana.
Oggi è di uno scrittore e di un lettore che vogliamo parlare.
Il primo lo immaginiamo alla ricerca del medium migliore per
trasmettere ai suoi contemporanei storie, idee, notizie, creatività.
Il secondo lo immaginiamo, alla maniera di Umberto Eco, ideale,
adatto senza dubbio a recepire quei testi. Anzi, a trasformarli e
rifondarli nell’atto stesso della lettura.
Non c’è differenza tra questi due attori di oggi e quelli di ieri. È
il medium che, ancora una volta, cambia. E che ora elegge l’alfabeto
a techne, al pari dell’immagine.
Intanto ci avviamo verso una digitalizzazione globale che tocca
anche la produzione culturale, e che si orienta verso la creazione e
la fruizione di testi la cui stessa natura è condizionata dalla tecnologia
digitale.
L’impatto non implica solo trasformazioni sociologiche, cognitive
e persino etiche, sulla cultura.
La scrittura e la lettura elettronica rivoluzionano un’abitudine
tutta umana di fissare i pensieri su supporti fisici che dura da almeno
cinquemila anni, passando dalla tavola d’argilla al papiro, dal
codex al libro per come lo conosciamo oggi. Il linguista Walter Ong
distingueva tra oralità primaria, antecedente cioè all’invenzione della
scrittura, e oralità secondaria, figlia di un’oralità di ritorno “quella del telefono, della radio, della televisione, la cui esistenza dipende dalla
scrittura e dalla stampa”.
La scrittura esiste in quanto tecnologia, obbligata a dover dipendere
da carta e penna, e ancor prima da pelli di animali e colori, per
poter sussistere. Anche Ong segnala che “Platone pensava alla scrittura
come a una tecnologia esterna, aliena nello stesso modo in cui
oggi molte persone pensano al computer”, mentre “noi oggi l’abbiamo
ormai interiorizzata così profondamente, l’abbiamo resa una
parte tanto importante di noi stessi, che ci sembra difficile pensarla
come tecnologia al pari della stampa e del computer”. Ong però
non andò oltre, non pensò che si potesse approdare a una scrittura
ulteriormente nuova. Scrive Tomàs Maldonado che
curiosamente, Ong non ha preso in considerazione che, in concomitanza
con l’oralità secondaria, esiste oggi anche la scrittura secondaria,
ossia la scrittura risultante dall’uso dei mezzi elettronici di seconda
generazione.
È questo il punto. Ci troviamo di fronte a una scrittura pensata
ed eseguita in modo diverso e non perché il trascorrere dei secoli
abbia cambiato alla radice i nodi della creatività e della trasmissione
del sapere, ma perché i nuovi media, inevitabilmente, hanno
provocato un terremoto simile a quello che per gli antichi rappresentò
la scrittura quando si sostituì alla retorica comunitaria e raffinata.
La “progressione”, non si arresta alla fase gutenberghiana,
né persegue una linea retta e prevedibile (…)
Grazie, Rosa Maria…
Ho aggiornato il post con una foto (la trovate alla fine). Andate a vedere…
Tornerò domani sera con altre considerazioni.
Auguro una serena notte a tutti.
Heilà capo bentornato!!Ti è piaciuta la frase che avresti detto tu?!Mi sto Maugerizzando ai “Massimi” termini….ma la camicia celeste come sta bene a te non sta bene a nessuno nemmeno a Francesca Giulia,quindi ti ricedo la poltrona e il mezzo busto.
E ti ringrazio di cuore per l’opportunità che mi hai dato di imparare tante cose interessanti dai tuoi affezionati letteratitudiniani.
saluti a tutti, domani mi guardo i video!
massimo, grazie ancora per gli spunti bellissimi. ho ascoltato i video. aspetto le ‘altre considerazioni’. svolgi un lavoro essenziale. davvero.
grazie anche a francesca giulia
giornalisti, editori, direttori di giornali ed esperti di mass media concordano da anni su una cosa: la causa principale della crisi della stampa “scritta” deriva dal fatto che i giornali, a un certo punto, hanno iniziato a imitare il linguaggio e i metodi dell’informazione radiotelevisiva. a ciò aggiungono che, invece, proprio una diversificazione sarebbe auspicabile per una maggiore peculiarità del giornale di carta.
parole condivisibili. o almeno alle quali crede profondamente la stragrande maggioranza dei giornalisti. direttori ed editori, preso atto e concordato, continuano imperterriti a fare ciò che apparentemente disdegnano. stranezze italiche.
la premessa è per dire che anche nella letteratura, un conto è prendere atto dei nuovi linguaggi e forme di comunicazione proposti dalla rete, un altro è adeguarcisi.
credo, anzi, che sarà proprio nel ritorno alla peculiarità della parola scritta se la latteratura potrà sopravvivere e avere un suo spazio inalienabile.
non mi sembra, insomma, che la letteratura ispirata a mode e modelli abbia avuto vita duratura. è durata quel tanto da suscitare curiosità, poi è andata via via esaurendosi.
Domanda per Massimo Maugeri: secondo te questo evento, Oronzo Macondo, ha creato “valore aggiunto” rispetto al passato? Le aspettative sono state attese o disattese?
sono molto d’accordo con il commento di enrico gregori.
Grazie a Renata, Jasmine e Enrico Gregori (che esprime il suo parere nel suo duplice ruolo di giornalista professionista e romanziere).
Un altro sentito ringraziamento per l’ospitalità “oronzo-macondiana” a tutti gli amici dell’associazione e a Giancarlo Greco (editor della Manni).
Walter, dal mio punto di vista il bilancio è più che positivo. Per me Oronzo Macondo ha offerto un’importante occasione di scambio e di confronto. Non siamo giunti a conclusioni “definitive” o “definitorie”, ma non credo che fosse questo l’obiettivo.
Di fatto è un punto di partenza (o un passaggio) per ulteriori riflessioni.
Oronzo Macondo, ha gettato dei semi. E infatti, tornando a casa, mi sono venuti in mente pensieri e riflessioni che avrei voluto mettere in comune in quella sede.
Ma c’è tempo…
Prima che mi dimentichi… vorrei integrare questo post con questi altri due.
Il primo è questo: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/03/18/la-rivoluzione-internet-e-pasolini/
Il secondo è questo: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/04/02/e-piccola-la-letteratura-della-grande-rete-la-letteratura-dopo-la-rivoluzione-digitale/
Una delle notizie che viene fuori da Oronzo Macondo è la seguente: Giulio Mozzi ha deciso di chiudere il progetto “Vibrisse libri“, perché non ha raggiunto i risultati sperati.
Nei prossimi giorni, magari, spiegherò il perché…
Domanda della notte: E “Letteratitudine” in cosa spera?
buona notte…
Un’importante “voce critica” nell’ambito del dibattito è stata quella di Carlo Formenti, autore – tra l’altro – del saggio “Se questa è democrazia” (Manni):
http://www.mannieditori.it/index_x.asp?contenuto=dettaglio_libri&ID=1278
(Andate a dare un’occhiata alla scheda: è interessante)
Ricordo che Carlo Formenti insegna Teoria e tecnica dei nuovi media nell’Università del Salento, dopo una lunga carriera giornalistica (è stato caporedattore del mensile “Alfabeta” e redattore del “Corriere della Sera” con il quale ancora collabora). È autore di numerosi saggi sul rapporto tra le nuove tecnologie e le trasformazioni sociali, fra i quali Incantati dalla Rete (Cortina 2000), Mercanti di futuro (Einaudi 2002), Cybersoviet (Cortina 2008).
Approfondimenti al libro (il cui sottotitolo è “Paradossi politico-culturali dell’era digitale”) li trovate qui (dove potete leggere l’introduzione):
http://www.mannieditori.it/index_x.asp?contenuto=dettaglio_libri&ID=1278
Letteratitudine spera in voci come la tua, Francesca Giulia… altrimenti non avrebbe ragione di esistere.
😉
Per il momento chiudo qui. Per altre considerazioni vi rinvio a domani sera.
Una serena notte a tutti.
Mi permetto di segnalare questo articolo uscito su Repubblica http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/spettacoli_e_cultura/libri-web/libri-web/libri-web.html?ref=hpspr1
Riguarda i pirati del libro.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate sulla questione. Grazie.
Questo passaggio dell’articolo è particolarmente interessante:
“La pirateria associata ai libri è un fenomeno relativamente recente e tutto sommato ancora marginale. Ma la nascita di dispositivi che agevolano la lettura su monitor, rendendola in qualche modo paragonabile a quella delle pagine stampate, crea terreno fertile per i pirati proprio mentre spinge in alto le vendite di libri elettronici. Secondo gli ultimi dati, il mercato dei cosiddetti e-book è cresciuto in un anno, negli Stati Uniti, del 228 per cento. Si tratta del 2% delle quote del fatturato, ma molti dei titoli, 52mila, sono già disponibili nei siti di scambio (quattro sono i principali). E se fino a pochi mesi fa, gli utenti si mostravano scettici rispetto alla possibilità di leggere un libro sullo schermo del pc, ora, da quando sul mercato si sono affacciati lettori digitali sempre più simili ai libri per peso, leggibilità e formato, la situazione è cambiata. Amazon ha lanciato Kindle, un dispositivo portatile che vuole essere l’iPod della letteratura. Il mercato si è presto riempito di concorrenti: Stanza, un’applicazione che permette di leggere e-book sull’iPhone, è stata scaricata due milioni di volte. E altri attori di peso si preparano a entrare in competizione.”
Mi piacerebbe conoscere l’opinione di Massimo Maugeri, di Rosa Maria Di Natale e di tutti gli altri.
non so se è un caso o no ( mi riferisco al commento di leoncato e all’articolo di repubblica ), ma nella posta elettronica di oggi mi è arrivata una mail da amazon con questo testo ( vi risparmio i link )
” oggi Amazon ha annunciato che Kindle, il suo prodotto più venduto, per la prima volta è disponibile per i clienti in tutto il mondo. ”
e poi seguiva il comunicato stampa
c’è qualcun altro di voi che oggi ha ricevuto una mail simile ?
@ Mariano
Io no, mai, anche perché non ho mai comprato da Amazon (per pigrizia, più che altro). Però credo sia un passaggio fisiologico dalla carta all’e-book. Fino ad ora erano solo possibilità per il futuro, adesso diventano un business, per i venditori e per i pirati.
Succede un po’ quel che è già successo per altri media, es. la fotografia: una partenza molto lenta, poi l’inizio del business vero e proprio, e nel giro di qualche anno il sorpasso quantitativo del medium digitale su quello tradizionale. Notate che hanno dato il nobel agli inventori del primo sensore ccd, datato 1969! Circa 10 anni fa il digitale è diventato competitivo con la Nikon D1; ma ancora 5 anni fa si poteva blaterare – e io per primo lo facevo – di analogico meglio del digitale ecc.; oggi chi compra una macchina analogica – necessariamente usata perché non se ne producono più – lo fa per collezionismo. Credo che con gli e-book siamo oggi come per la fotografia digitale 10 anni fa. Vediamo che succede…
grazie, lorenzo. io però non mai acquistato nulla da amazon. e la mail l’ho ricevuta lo stesso. la mia riflessione è che per ora la pirateria sui testi non è avvenuta, ma nel momento in cui saranno accessibili a tutti questi supporti tipo kindle potrebbe succedere qualcosa di simile a quello che è avvenuto con gli mp3. con conseguente morte dell’editoria.
Sottopongo alla vostra attenzione questo altro passaggio dell’articolo:
“Ma proprio mentre si apre la prospettiva di un nuovo mercato, gli editori affrontano un incubo: la “napsterizzazione dei libri”, come l’ha definita il New York Times in un recente articolo. Negli anni Novanta, Napster fu il primo software per lo scambio di massa di musica digitale, progenitore di una lunga serie di servizi che, nonostante le battaglie legali lanciate (e spesso vinte) dalle case discografiche, hanno reso facilissimo ottenere tutta la musica del mondo gratuitamente. L’industria del disco non ha saputo reagire, se non tardivamente, alla sfida lanciata degli mp3, con perdite pesantissime. Gli editori di libri, che operano in un mercato non altrettanto prospero, temono di fare una fine anche peggiore. L’ultimo libro di Dan Brown, “The Lost Symbol”, a meno di un mese della pubblicazione è già disponibile in 166 versioni sui siti per lo scambio illegale di file. “Ci sono artisti che accettano di diffondere gratuitamente online le proprie canzoni perché questo è un formidabile traino pubblicitario per i loro concerti”, spiega Fernando Folini, responsabile della Commissione Editoria Digitale dell’Associazione Editori (Aie). “Ma per i libri il paragone non funziona, i modelli sono diversi”.”
L’ultima frase, quella di Folini, spiega bene la differenza tra musicisti/cantanti e scrittori e tra il mercato della musica e quello dei libri.
🙂 bravo, bravo.
sarai stato un’ottima presenza.
Elisabetta
Si, ma secondo me il problema delle perdite di risorse legate alla pirateria sui libri può riguardare fenomeni come quello di Dan Brown. Viceversa se il libro, scritto da un autore non famosissimo, e pubblicato da un piccolo editore, cominciasse a venir “rubacchiato”, in tal caso la pirateria svolgerebbe un ruolo di propaganda a vantaggio dell’autore non famosissimo e del piccolo editore. O no?
Ma se i pirati si leggono il libro dai loro aggeggi elettronici, dove sarebbe il business per l’autore non famosissimo e il piccolo editore?
Non c’è un modello di business in tal senso,almeno non ancora. Ciò non toglie che gli autori interessati alla divulgazione dei loro testi, e non ai guadagni, ne trarranno beneficio. Ma gli editori?
Io credo che Riccardo parli di ritorno in termini di diffusione del prodotto,anche se atraverso canali differenti da quelli autorizzati.
Credo che parlando del problema della “pirateria” bisogna fare molta attenzione,in fondo siamo tutti un pò “pirati” nell’utilizzo delle informazioni e altro in rete,nello scambio e nella diffusione che ne consegue.In Italia c’è stata una proposta di legge che ha fatto molto discutere,sulla scia della dottrina Sarkozy,per combattere la pirateria digitale,ma ha scatenato,giustamente secondo me, l’inferno.L’attuazione di questa legge porterebbe ad una capacità di controllo tale degli utilizzatori di internet pari ad una sorta di censura vera e propria,imbavagliando le enormi potenzialità del mezzo e l’uso che noi tutti,spesso senza scopo di lucro, ne facciamo.Il rischio ch equalcuno ne approfitti,c’è ed esiste dalla notte dei tempi,ma attenzione alle agli strumenti di controllo e in mano a chi si danno perchè ci farebbero correre rischi molto più dannosi per la comunità.Si colpirebbe oltre a tutto il provider e l’utilizzatore che abbia scaricato immagini,o testi o altro ad uso personale e /o da condividere con altri utenti,insomma sarebbe lesivo del diritto di ogni utente e non possiamo stabilire facilmente fino a che puntopossa arrivare un controllo.Direi che bisogna trovare metodi poco invasivi e potenzialmente meno pericolosi per la nostra libertà di espressione e comunicazione,forse li stiamo ancora studiando.
saluti
Ad ogni modo il nuovo libro di Dan Brown ha venduto un milione di copie nel suo primo giorno di uscita. La pirateria non pare quindi averne intaccato il successo. Sono convinto che autori poco conosciuti possano in effetti farsi pubblicità anche tramite la pirateria. Purché il libro stampato alla fine sia un bel libro, anche fisicamente. Gli editori sono abbastanza a rischio, certo. Ma in qualche modo sopravviveranno…
Domanda, secondo voi quale tipologia di editore è più a rischio? Quelli di letteratura popolare, di saggistica, di arte… ?
Secondo me chi fa saggistica, o solo saggistica, è più a rischio degli altri. I libri d’arte hanno una loro connotazione “fisica” che li caratterizza. La narrativa, in un modo o nell’altro, tira e continuerà a tirare. La saggistica è già in crisi oggi, figuriamoci quando esploderà l’ebook con i vari kindle e compagnia bella.
Ci credo che la saggistica è in crisi. Io faccio (de facto) il ricercatore, e per un volume di saggi iperspecialistici e generalmente borio-pallosi spendo quanto 3 volumi di Einaudi Stile Libero Big, 8-10 tascabili o 20-25 albi a fumetti (es. Bonelli). Ho fra le mani un libro di saggi che sto recensendo, e che costa “solo” 40 euro. Ovvero quanto un “bel” catalogo patinato di una mostra di pittura. E ovviamente questo libro nnon è bello avedersi e contiene solo qualche immagine in bianco e nero (quindi spese di stampa poche). Considerate poi che libri di questo genere danno agli autori lo 0% degli incassi. Considerate inoltre che spesso libri di questo genere sono finanziati da qualche dipartimento universitario, e quindi per l’editore hanno costi di stampa e distribuzione bassissimi. E quindi: perché 40 euro? E, domanda, potendolo fotocopiare, voi non lo fareste? Altro che pirateria digitale…
I grandi editori resisterebbero piùa lungo ma se la pirateria funzionasse a pieno regime non avrebbe più ragione di esistere il libro. O no? Coelho e altri autori stanno sperimentando insieme ai loro editori sulla pubblicazione on line dei loro libri: se piacciono, spesso i lettori li comprano in formato cartaceo. La sfida sarà, per gli editori old style, produrre libri che piacciano oltre che per il contenuto per l’aspetto – qualità di carta, illustrazioni… Un po’ come i cd con i contenuti speciali, i gadget…
Lorenzo Amato: mi stai confortando. Quando fotocopiavo i testi dei miei proff universitari mi sentivo un po’ una ladra…
Vero è che i saggi sono libri per cui difficilmente si spende, per i costi – meccanismo vizioso: la gente non li compra e c’è sempre meno denaro da investire per produrli – e perché il lettore non specialista non li acquista preferendo destinare quei soldi semmai all’acquisto di libri “godibili”.
Io conoscevo esempi di libri finanziati al 100% da istituzioni pubbliche (dipartimenti universitari, fondazioni, il ministero direttamente, ecc.). Finanziati anche nei costi di distribuzione, intendo. Quindi, anche se l’editore avesse venduto le copie a 1 euro, avrebbe guadagnato 1 euro per copia venduta. Ecco: 3 volumi indivisibili erano ad esempio venduti al prezzo di 170 euro. Insomma viva la cultura, ma abbasso le prese per i fondelli. Questo genere di libri, poi, potrei tranquillissimamente averli su e-book, e non perderei la nottata a piangerne la scomparsa dal cartaceo…
ecco un comunicato ufficiale. Kindle sbarca in Italia. E ne vedremo delle belle.
http://ict.asca.it/interna.php?articolo=E-BOOK_ICT__AMAZON__LANCIA_KINDLE_ANCHE_IN_ITALIA&idnotizia=1658&sezione=news
Allora… premesso che ricevo giornalmente qualcosa come 100-150 mail al giorno… non mi è mai arrivato nulla da Amazon.
E invece, poco fa, ecco arrivare una mail che comincia così:
“Gentile collega,
oggi Amazon.com ha annunciato che Kindle, … “
Ora, non ho mai avuto a che fare con Amazon. E che vuol dire, gentile collega?
Mi sa che ha ragione Carlo Formenti quando dice che per le grandi organizzazione del web siamo solo una grande massa di consumatori…
Comunque, prendiamo atto del fatto che, come dice Rosa Maria, Kindle sbarca in Italia. Vedremo che succederà.
Vi ringrazio molto per questo sviluppo della discussione. A mio avviso, la categoria più a rischio rimane quella dei piccoli librai. I piccoli editori – quelli di qualità e con le idee buone – continueranno a vivere anche grazie alle librerie virtuali, giacché gli acquisti on line (per ora bassissimi) sono destinati a crescere in misura esponenziale.
@ Elisabetta Bucciarelli
Scrivi: “sarai stato un’ottima presenza“. Be’, diciamo che ho fatto del mio meglio per non essere un fantasma.
😉
Qui trovate alcuni dati sulle vendite di libri on line:
http://www.ibuk.it/irj/portal/anonymous?NavigationTarget=navurl://45c6d1c7722ae14f2b06a337018958a5
Giusto per farvi un’idea.
Nei prossimi giorni mi piacerebbe approfondire la discussione sull’e-book, anche a seguito dell’entrata di kindle nel mercato italiano.
Va detto che l’Italia sconta un problema pesantissimo, per quanto riguarda la vendita online: il peggior sistema postale del mondo occidentale. Conosco numerosi negozi americani che spediscono in tutto il mondo “ricco” tranne in Italia, perché i tempi di consegna non permettono di rispettare il massimo della forchetta garantita dai siti dei venditori. Non a caso siamo ancora indietrissimo nello sviluppo di questo mercato (basta confrontare ebay.it con ebay.de). Anche per i libri tempo qualcosa di simile. Un mercato potenzialmente ottimo, che permetterebbe di evitare gli esosi costi di distribuzione (che incidono notevolissimamente nul prezzo finale del libro, soprattutto nel caso dei piccoli editori con basse tirature), e permetterebbe l’agevole sopravvivenza di molte piccole realtà editoriali di ottimo livello, rischia di non essere percorribile per i soliti inghippi di Posteitaliane…
tempo = temo, ovviamente.
Scusatemi per gli errori di battitura, ma ho problemi di visualizzazione in tempo reale di quel che scrivo…
In effetti il sistema postale carente è un grosso deficit.
@ massimo.
Io non saprei bene come intervenire sugli ebook, nel senso che non avendo mai avuto in mano un lettore, scrivo solo di ipotesi e congetture su come potrebbe essere se… Ad ogni modo, mi farebbe molto piacere avere tutte le mie enciclopedie, manuali, storie della letteratura, saggi e cose simili sempre disponibili su lettori di e-book, e se fosse possibile (qualità dei lettori permettenndo) con quel genere di testi sceglierei decisamente e in modo definitivo l’alternativa elettronica… Diverso per i libri d’arte e la letteratura…
Lorenzo Amato: allora il mio senso di colpa scompare!
🙂
Certo, la saggistica e i manuali dovrebbero decartaceizzarsi – che verbo, eh? – ma la narrativa e i libri d’arte credo resisteranno. Vedremo, anche per kindle e aggeggeria varia.
Leggetevi questo,mi pare interessante:
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/tecnologia/e-book-sviluppo/kindle-italia/kindle-italia.html
Grazie per il link, Francesca Giulia.
Lorenzo, sì… capisco cosa intendi. Sono d’accordo.
–
Kindle, dunque… vedremo.
Riflessione su libro ed e-book
–
Non dico nulla di nuovo, ma da sempre l’uomo ha avuto la necessità di comunicare attraverso segni scritti. La storia della comunicazione scritta segue un percorso che va in tre direzioni: leggerezza, trasportabilità, riproducibilità (ovvero… trasmissione).
La comunicazione scritta ha sempre richiesto l’esistenza di supporti. I primi supporti furono le pareti delle caverne (il massimo della pesantezza, intrasportabilità, irriproducibilità). Poi si usarno lastre di roccia, pergamene, papiri, pagine rilegate e ricopiate a mano, i volumi stampati (Gutemberg), l’era digitale. L’e-book (con kindle e altri supporti).
Un percorso, dicevo, che persegue la leggerezza, la trasportabilità, la riproducibilità.
Lo sappiamo, lo abbiamo già evidenziato, e non possiamo che prenderne ulteriormente atto.
Definizione di libro
–
Poiché l’avvento dell’e-book con supporto “friendly” è alle porte… è probabile che sia necessario riconsiderare la definizione di libro.
Che cos’è un libro? un supporto cartaceo o il suo contenuto? O entrambi?
Probabilmente entrambi, diremmo…
–
Altra domanda…
Ma tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su Kindle… quale considerereste più libro?
Per stasera chiudo con queste riflessioni (o meglio, spunti per riflessioni).
Una serena notte a tutti…
@ Massimo
In questo momento di passaggio bisogna però aver chiaro che le parole che usiamo hanno una storia, che non coincide nelle sue etimilogie più antiche con le nostre abitudini di uomini del ventunesimo secolo.
“liber” significava originariamente corteccia di albero. Poi però è divenuto ciò che si scrive dentro la corteccia, ovvero l’opera letteraria.
“volumen”, da “volvo” (avvolgere), è invece il rotolo di papiro, e poi, modernamente, il supporto fisico del libro moderno, ma anche una parte di un’opera in più volumi.
L’etimologia e la storia delle parole quindi una prima risposta la danno: il libro è un’opera letteraria, incluso il suo supporto, ma anche a prescinderne. In fondo dal cinese traduciamo come ‘libro’ anche le lastre di pietra, modelli di calligrafia, conservati ad es. a Xian. Con il termine ‘libro’ si indica oggi anche il mero supporto cartaceo, ma non è un caso che, per disambiguare, molti cataloghi tendano a usari altri termini, più specifici a seconda del contesto (codice, stampa, edizione, volume, ecc.; si noti en passant che il termine volume in nessun modo potrebbe essere usato per le lastre di pietra…).
Poi anche in questo caso è difficile parlare del futuro: le parole cambiano, e come in passato anche in futuro potrebbero voler dire qualcosa di diverso….
etimilogie = etimologie, sori…
caro Lorenzo,come giustamente tu stesso dici”L’etimologia e la storia delle parole quindi una prima risposta la danno:…….”.Dunque io credo che non possiamo fermarci a questa prima risposta perchè non è più sufficiente a contemplare tutto il significato che oggi dovremmo attribuire alla parola in questione.Il linguaggio è soggetto a cambiamenti profondi,pensiamo a quante parole oggi sono cadute in disuso,imbarbarite e sostituite da stranierismi o da linguaggi tipici della comunicazione veloce;qualche parola non è più usata anch eperchè è sparito l’oggetto a cui era destinata.Perciò ,pur restando l’intenzione di salvaguardare la buona lingua italiana,non si può non prendere atto del fatto che il cambiamento sta investendo anche il linguaggio e non sappiamo “libro” cosa potrà contenere,bisogna abbracciare l’eventualità di allargare la nostra percezione di intendere le cose stesse e la storia delle parole.
Del resto concludi tu caro Lorenzo,così”Poi anche in questo caso è difficile parlare del futuro: le parole cambiano, e come in passato anche in futuro potrebbero voler dire qualcosa di diverso….”
un caro saluto
Non so fino a che punto l’etimologia può venirci in soccorso. Viviamo in un’epoca di fortissime accelerazioni. Ed il contesto è globale, non nazionale o limitato a una singola lingua. Se ci spostiamo in ambito globale, cosa inevitabile, altrimenti tutti i nostri ragionamenti che abbiamo fatto finora non avrebbero senso, la parola chiave è ‘book’. Nel momento in cui parliamo di e-book, libro elettronico, e ne accettiamo e condividiamo il significato, di fatto sganciamo l’idea di libro dal supporto cartaceo e mettiamo in risalto il testo, il contenuto.
Dunque alla domanda (tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su Kindle… quale considerereste più libro?) non ho alcuna difficoltà a dire che è più libro il secondo.
Riteniamo che la discussione sia molto interessante e stimolante. Grazie e complimenti.
Vorremmo aprire una parentesi sul rapporto tra carta stampata e Rete.
Prendiamo atto del fatto che alcuni dei principali quotidiani del Paese: Il Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole24Ore hanno inserito alla fine di ogni articolo cartaceo la dicitura “riproduzione riservata”. Riteniamo, con molto rammarico, che tale scelta vada in direzione opposta allo spirito di condivisione che ci era parso animasse la Rete fino a poco tempo fa.
Applaudiamo invece la scelta del quotidiano La Stampa che, viceversa, continua ad adottare il cosiddetto Creative Common (consentendo, così, ad altri, di poter utilizzare i loro articoli purché, ovviamente, non vi sia scopo di lucro).
–
La redazione di Terzapagina.blog
@ Francesca Giulia e Salvatore Leoncato
Io infatti la penso come voi. L’etimologia non viene in soccorso nel senso di darci una risposta, ma nel senso di far capire che la storia delle parole già contiene elementi interessanti che non sono desumibili dagli usi quotidiani. Inoltre, ancora senza dare risposte, posso dire che un’evoluzione del linguaggio che conservi il termine libro nella pura accezione di oggetto letterario, ovvero supportato da Kindle e altri futuri oggetti elettronici, non contrasta assolutamente con l’accezione attuale, secondo la quale il libro è un oggetto fisico solo in seconda istanza.
Poi è vero che bisognerebbe allargare il discorso ad altre lingue, ecc., però si prenda questa evoluzione del termine latino come un esempio di evoluzione semantica nel passato, non come una verità dogmatica.
@Lorenzo Amato Infatti avevo messo in evidenza i punti della tua riflessione,in particlare il finale,dove siamo in sintonia.
@Salvatore Devo però discostarmi dal pensiero di Salvatore:”Dunque alla domanda (tra un volume rilegato di fogli bianchi e un romanzo leggibile su Kindle… quale considerereste più libro?) non ho alcuna difficoltà a dire che è più libro il secondo”.Non metterei il discorso sulla base di una gerarchia fra due mezzi diversi che hanno in comune lo stesso scopo:la lettura,penso che ,pur accettando l’ampia accezione del termine,come sopra detto, l’immaginario colletivo dei lettori non sostituirà mai completamente l’idea di libro cartaceo con e-book,perciò nè primo nè secondo…direi semplicemente “altro”.
un caro saluto,tornerò più tardi…
Libro… ed etimologie, argomento affascinantissimo.
Certo che per noi la parola “libro” susciterà sempre in prima istanza il riferimento ad un oggetto che è come noi l’abbiamo conosciuto. Ma per i nostri figli o meglio nipoti? Il linguaggio è in primo luogo referenziale, cioè si riferisce a qualcosa. Per utilizzare una canzone, IT’S THE END OF THE WORLD AS WE KNOW IT.
Oggi alla radio sentivo che le nuove generazioni sono Internet native, sono cioè nate nell’era della rete.
Pensiamo alla parola LIBRO ai tempi dei greci o dei romani… cosa avrebbe richiamato?
@ Terzapagina
In compenso ti autorizzo a prelevare da qui tutto quello che vuoi. Compreso questo commento.
(riproduzione riservata).
–
Scherzo, eh! 🙂
Lorenzo, Fran, Salvatore, Mari…
grazie per lo scambio.
Ovviamente quelle mie domande erano un po’ provocatorie (e finalizzate a favorire una riflessione). Secondo me c’è del vero un po’ in tutte le cose che avete sostenuto. Grazie.
Domani, se riesco, mi piacerebbe approfondire alcuni aspetti legati alla nostra… sensorialità.
Una serena notte a tutti.
Piccolo terremoto nel mondo dell’editoria Usa. Il ‘Wall Street Journal’, grazie ai suoi oltre 350.000 abbonati all’edizione online, e’ diventato il primo quotidiano per diffusione negli Stati Uniti. La bibbia della finanzia mondiale, di proprieta’ di Rupert Murdoch, e’ riuscita a scalzare dal podio il piu’ popolare ‘Usa Today’, da anni in cime alla lista dei giornali a stelle e strisce. Piu’ che un’avanzata del Wsj, fermo complessivamente sui due milioni di copie, il cambio al vertice e’ da attribuire a una calo delle vendite di Usa Today, arretrate del 17% pari a 1,88 milioni. E’ quanto emerge da un’anticipazione del bollettino ufficiale dell’ “Audit Bureau of Circulations” (l’agenzia che attesta le vendite dei giornali americani), che sara’ pubblicato il prossimo 26 ottobre. Usa Today formalmente resta il primo quotidiano per numero di copie cartacee. Il punto di forza del Wsj sono, infatti, i 356.000 abbonati all’edizione online, unico caso di sito web giornalistico a pagamento di successo.
(10 ottobre 2009)
Un dato significativo. Evidentemente il ‘Wall Street Journal’ ha saputo lavorare bene con la propria piattaforma web…
Vorrei provare a lanciare un’altra piccola provocazione (rimarcando alcuni aspetti già evidenziati in questa nostra chiacchierata). Una provocazione che ha a che fare con la nostra… sensorialità.
Premesso che sono legato visceralmente all’oggetto libro (cartaceo) – prova ne è la pubblicazione di “Letteratitudine, il libro” (Azimut) -, ecco… mi capita ancora di incontrare – di tanto in tanto – persone, per lo più gente anziana, che si rifiuta di utilizzare il computer (considerato un mezzo “freddo”) e che non rinuncerebbe mai a sentire il rumore della stilografica che graffia il foglio di carta, a visualizzare l’inchiostro che lascia traccia seguendo i percorsi personali della propria grafia. Sì, ogni tanto mi capita ancora (sebbene sempre meno spesso). Ho pensato che il rifiuto di utilizzare il mezzo tecnologico fosse più che altro di natura “nostalgica”… e che questa nostalgia derivasse da una un’interazione sensoriale (il suono della penna sul foglio, la vista dell’inchiostro che si imprime sulla carta) diversa da quella che si attiva utilizzando il computer (il rumore delle dita sulla tastiera, il click del mouse). Una nostalgia che non va certo stigmatizzata (semmai compresa).
A un certo punto però ho pensato che anche il mio rapporto d’amore con il libro di carta, che considero irreversibile, (poter toccare la carta con i polpastrelli, sentire il profumo della stampa, sfogliare le pagine e ascoltarne il fruscio) potrebbe essere condizionato da fattori di natura nostalgica. Mi domando: e se tra un po’ di tempo (così come probabilmente sarà) dovessero essere immessi sul mercato degli apparecchi elettronici leggerissimi (del peso di qualche foglio di carta, per esempio), ancora meglio del Kindle, dotati di ottima grafica e capaci di contenere migliaia di libri… come reagirei? Come coloro che non rinuncerebbero mai a sentire il rumore della stilografica che graffia il foglio di carta e a visualizzare l’inchiostro che lascia traccia seguendo i percorsi personali della propria grafia?
Ovvero… l’amore per il libro di carta è dettato più dalla “necessità” o dalla “nostalgia”?
Secondo voi?
Una serena notte a tutti.
La “provocazione sensoriale” è interessante. Non c’è dubbio che l’esperienza incide sulle nostre scelte e sui gusti, ma è anche vero che certe opportunità vengono colte a prescindere (laddove sono davvero utili). Oggi tutti, o quasi, scrivono al pc. Ritengo che nel momento in cui i supporti per gli e-book diventeranno così comodi, i lettori non avranno difficoltà ad affiancare al libro cartaceo quello leggibile con il mezzo elettronico.
da lettrice incallita non rinuncerò mai al libro di carta. per me è necessità.
libri di carta per sempre
🙂
E’ una bella domanda caro Massimo.Dunque secondo me è un amore dettato da entrambe le cose,ma anche da altro che potrei dire attiene alla sfera delle necessità e della nostalgia.Non penso soltanto alle bellissime cose da te dette sull’odore delle pagine,il fruscìo,la traccia dell’inchiostro che segue l’inclinazione della penna,penso, per ciò che mi riguarda,a quella sorta di rito che si compie attorno ad una scelta di un libro.Il camminare curiosi fra le copertine in libreria,lo sbirciare dentro qualche pagina di autore nuovo,il prendere la copia che sta più in basso nella pila perchè non è stata sfogliata ed è solo mia,lo scambio di vedute con il vicino che sta scegliendo un autore che non conosco,il portare a casa il pacchetto con i sospirati libri che andranno a far compagnia agli altri nella libreria.Per non parlare del libro prestato perchè ti ha tanto emozionato e la tua amica deve leggerlo,il dito che scorre sulle stesse pagine che hai letto tu,insomma condivisione intima e necessaria della storia dell’oggetto che è ciò che dona valore aggiunto all’oggetto stesso perchè ci restituisce qualcosa di noi.Tutto questo accadrà un domani con l’e-book?Costruiremo,o costruiranno i lettori il rapporto necessario e nostalgico che si fa tutt’uno con la gioia del leggere e del tramandare il segno della memoria a chi verrà?Speriamo.
un caro saluto a tutti.
Ma quando mai…sono io Francesca.
Ringrazio Salvatore Leoncato, Letizia e Francesca Giulia per le contro-considerazioni…
Aspetto altri interventi (se ne avete voglia… s’intende):-)
Secondo me queste considerazioni sulla sensorialità del libro, o meglio sull’importanza della sensorialità, le possiamo fare noi che siamo nati quando internet non c’era. Ora siamo in un momento di passaggio. Fra un paio di generazioni non credo che le persone ci faranno più caso.
Peraltro scrivere a mano è un atto graficamente molto più creativo che scrivere a macchina o al computer. Per quanti font si inventino, sapete bene quanto più liberamente si possa cambiare il nostro modo di scrivere, o fare segni o simboli per prendere appunti o fare richiami per successive riscritture ecc. Se la scrittura a macchina/computer ha soppiantato così bene quella a mano, lo farà anche la lettura.
Ciò detto, il rappporto fisico con il libro è per me importantissimo. Peraltro come ben sappiamo la nostra lettura di un’opera è fortemente influenzata dagli aspetti fisici del libro. Qualcuno ha mai provato a leggere un romanzo di Montalbano nell’edizione Sellerio, e poi nell’edizione dei Meridiani Mondadori? E così per qualsiasi raccolta di poesia o opera pubblicata nei Meridiani: sono bei libri da libreria, ma difficili da leggere. Anche il “peso” di un libro ha la sua importanza. E quando leggo un romanzo di 1000 pagine vedere che quel che mi rimane da leggere ridursi ora dopo ora mi incoraggia a continuare a leggere. Chissà come funzionerà con gli e-book…
Ciò detto, ribadisco un concetto: molti libri stampati oggi sono BRUTTI, sul piano fisico. Anzi non mi viene in mente un editore che stampi libri perfetti. Sellerio ad esempio fa molta attenzione alla presentazione dei propri libretti, e mi piace. Però ad esempio i caratteri interni sono talvolta un po’ slavati. E questa nuova serie di piccoli Sellerio (serie “La rosa dei venti”) è esternamente deliziosa (poi mi piace il formato in sedicesimo) però internamente un po’ meno: lo “specchio di scrittura” (non so come si chiami in stampa) è troppo grande per la pagina, e resta pochissimo margine. Ora, come regola generale, più il margine è ampio, più il libro è elegante. Lo so che restringere il margine avrebbe comportato un ispessimento del libro (ci sarebbero state più pagine) però il risultato finale è a dir poco sgradevole. E cito Sellerio perché, come ho detto, costruisce dei bei libri. Non credo ad esempio che Einaudi stampi begli oggetti (mi piacciono le copertine di Stile Libero, ma solo le copertine; idem per Mondadori, con l’eccezione della “Piccola Biblioteca Mondadori”, che però usa un carattere largo e un cattivo inchiostro, ecc.)
Credo che questi “dettagli” debbano essere più curati se si vuol far sopravvivere il medium cartaceo, perché questa È l’esperienza sensoriale.
da qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=2269&ID_sezione=81&sezione=News
Lorenzo, grazie per i nuovi spunti.
E grazie a Terzapagina per il link.
Salve a tutti! Ho appena concluso il convegno a Jyväskylä (che fatica…). ci sono novità?
Caro Lorenzo, raccontaci qualcosa del convegno a Jyväskylä.
Come è andata?
Insomma, aggiornaci… 🙂
@Lorenzo Amato caro Lorenzo bentornato,io ci credo che sia stata una gran fatica,solo pronunciare il nome del luogo è una bella impresa, ho provato a dirlo ad alta voce 4,5 volte ma non sono sicura di pronunciarlo bene….raccontaci tu di questo convegno,in che lingua hai parlato?
Allora, prima di tutto chiedo venia per non aver risposto prima. Ma sono per ora ospite (a Helsinki) e non ho accesso a internet. Torno in Italia domani.
Prima di tutto: Jyväskylä si pronuncia (più o meno… 🙂 ) “iuvèschiulè”, dove le “e” accentate sono in realtà “a” chiuse (come in inglese “cat”); accento sulla prima “y” (in finnico l’accento è sempre sulla prima) e accento secondario sulla seconda sillaba. Meglio di così non lo posso spiegare 🙂
–
Il convegno è andato bene. Devo dire, e me l’aspettavo, che era un convegno di un’altra disciplina, ovvero pedagogia, e trattava del rapporto fra lettura/scrittura e internet. Quindi, di fatto, approccio dei “ragazzi” alla lettura online, tecniche di alfabetizzazione con le nuove tecnologie, ecc. Molto interessante, a dire il vero, ma ovviamente io ero l’unico interessato alla letteratura non come “case of study” di approccio all’alfabetizzazione, ma in sé come tecnica di costruzione di nuova narrazione, o di dibattito di alto livello on-line.
–
Ciò detto, pur essendoci due sessioni separate (una in finnico, una in inglese, e io ero nella seconda), la mia relazione è stata molto seguita, e in molti si sono detti interessati (il che è il massimo ottenibile in un contesto i persone che non sanno chi è Montale e, spesso Umberto Eco, né conoscono la realtà letteraria contemporanea in lingua inglese o anche in finnico). Sono stato molto sorpreso dalla delegazione russa, che si è detta entusiasta, mi ha chiesto di mandare il powerpoint, ecc. Una signora (docente di scuola a Mosca) ha detto che valeva la pena andare in FInlandia solo per la mia relazione… mah, direi un po’n esagerata!
–
Comunque sono stato contento, anche perché ho conosciuto una docente finnosvedese amica del grandissimo scrittore Bo Carpelan (in italiano è tradotto solo “Il libro di Benjamin”, es. Iperborea: leggetelo!). Spero che gli porti i miei saluti!