“Patricia Highsmith. Diari e taccuini. 1941-1945” (La nave di Teseo). Intervista alla traduttrice del libro: Viola Di Grado
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Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato “Vista dal traduttore“ (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul volume “Patricia Highsmith. Diari e taccuini. 1941-1945” (La nave di Teseo), tradotto dalla scrittrice Viola Di Grado.
Di seguito, l’intervista alla traduttrice.
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Intervista a Viola Di Grado, traduttrice di “Patricia Highsmith. Diari e taccuini. 1941-1945” (La nave di Teseo)
Patricia Highsmith è nata a Fort Worth, in Texas, nel 1921; ha trascorso la maggior parte della sua vita in Francia e Svizzera, dove è morta nel 1995. Viola Di Grado vive a Londra, dove si è laureata in Filosofie dell’Asia Orientale: i suoi libri sono tradotti in diversi paesi. Le strade letterarie di queste due scrittrici si sono incrociate sulle parole dei “Diari e taccuini” di Patricia pubblicati da La nave di Teseo (e tradotti da Viola).
– Cara Viola, che tipo di “sfida” è stata per te cimentarti nella traduzione dei “Diari e taccuini” di Patricia Highsmith?
Restituire un lessico italiano a una scrittrice così importante è una grande responsabilità. In più si tratta dei suoi diari, dunque della sua voce più intima, delle parole che riservò all’esplorazione del suo io, alle zone più segrete di sé. Ciò ha richiesto un’enorme cura, quasi religiosa: un diario è un testo sacro in quanto nato nella purezza del monologo, nella lingua cristallina e incorruttibile del “tra sè e sè”, che è il territorio psichico dove il mondo esterno giunge solo distillato.
– Cosa conoscevi già di questa autrice? Cosa avevi letto di lei?
Amavo Patricia Highsmith da sempre, non solo come scrittrice, ma anche per l’importanza politica che ha rivestito quella che per me è la sua opera migliore: Carol. In un’epoca in cui il lieto fine non era ammesso nelle storie d’amore tra due donne, lei si batté affinché venisse ammesso, aprendo le porte a una maggiore libertà letteraria non condizionata dalle ristrettezze morali dell’epoca.
– Che tipo di donna emerge da questi diari? Che tipo di persona è stata Patricia Highsmith?
È stata tante persone: entusiasmante seguire il filo della sua complessità che si dipana attraverso le fasi della sua vita. All’inizio una Casanova cinica e spericolata (diverse sue amanti tentarono per lei il suicidio), in seguito una trentenne sregolata e afflitta, alla ricerca di donne sadiche e sofisticate da cui elemosinava affetto e attenzioni, infine una misantropa gattara e severa, sepolta nel suo castello svizzero.
– Cosa puoi dirci sulla connessione tra la vita privata della Highsmith e la sua carriera letteraria?
Da sempre la sua vita e le sue opere si sono mischiate senza alcuna gerarchia: non era sempre la vita ad avere la meglio, anzi spessissimo era solo uno strumento inerte da utilizzare per creare. Questa subordinazione della vita alla scrittura è tipica dei veri scrittori, che vengono da quello che Cristina Campo chiamava l’altro mondo, quel mondo che emanava i raggi rosa in cui Philip Dick leggeva rivelazioni, o gli angeli evanescenti di cui parlò Antonia Pozzi nei suoi diari (e chissà, forse anche le voci di Virginia Woolf). Pat incontrò E.R. Senn, la futura Carol, mentre come la futura Therese lavorava nel reparto giocattoli di Bloomingdale, e quando iniziò a scrivere Carol decise di non conoscerla (limitandosi a spiarla fugacemente, appunto) pur di dedicarsi solo al personaggio che aveva inventato, e non contaminarlo con la persona reale che lo aveva ispirato. All’epoca stava facendo un percorso di psicoanalisi per “curare” la sua omosessualità, percorso che al contrario la portò a scrivere quel romanzo bellissimo, recentemente diventato un film altrettanto bello di Todd Haynes.
– C’è una domanda che pare tormentare questa grande scrittrice: “Qual è la vita che ho scelto?” Perché questa domanda? E che risposta si dava?
E’ un dilemma tipico delle scrittrici di ogni tempo, influenzate in quanto donne dalle limitazioni imposte dal patriarcato, che le condannava a un senso di colpa inconscio che nasceva dalla consapevolezza di aver rinunciato a un proprio ruolo subordinato, materno di cura dell’altro. Certamente fu difficile per Patricia navigare quella società da donna economicamente ed emotivamente indipendente. Non esistevano ancora i mezzi, e soprattutto il linguaggio, per dare a questo tipo di vita una dignità esistenziale. A ciò si aggiungeva l’identità non binaria di Pat. Ora possiamo dire non binaria, ma lei viveva ancora in una fluidità indefinibile, domandandosi ossessivamente come fosse possibile sentirsi un uomo, eppure anche una donna, eppure nessun* dei due. La letteratura le servì anche in questo, a creare territori in cui non era necessaria la fatica della definizione, poiché poteva sezionare il suo io in diversi personaggi. Scrisse un giorno che se non ci fosse stata la scrittura sarebbe diventata una serial killer, e penso non si sbagliasse.
– Che tipo di risposta darebbe oggi Viola Di Grado a questa domanda?
Vuoi sapere che vita ha scelto Pat secondo me o che vita ho scelto io? Ti rispondo a entrambe in un unico modo: la vita della letteratura, che ha a che fare con la mente molto più che con il reale. Questo tipo di vita ha un costo molto alto ma anche la ricompensa esistenziale, suppongo, è preziosa.
– C’è una connessione tra Patricia Highsmith e l’Italia. E questa connessione passa da un luogo e da un personaggio letterario. Il luogo è Positano, il personaggio è Tom Ripley. Cosa puoi dirci a tal proposito?
Pat amava molto l’Italia, e in genere l’Europa, molto più che i suoi Stati Uniti. Visse anche in Francia e Inghilterra e infine si trasferì in Svizzera, ma non perché fosse il suo luogo preferito: solo perché le costavano meno le tasse!
– Tra le varie cose che hai appreso su questa grande autrice nel corso della traduzione di questo testo, qual è quella che ti ha colpito di più
Difficile rispondere. Forse che a tratti mostrò più interesse per le sue lumache che per i suoi cari.
– Viola, cosa puoi dirci in generale sulla tua attività di traduttrice? Cosa significa per te tradurre un’opera altrui?
E’ un lavoro di enorme importanza, che in Italia viene ancora sottovalutato. Davvero, chi legge non si rende conto che sta leggendo un libro che è stato riscritto. Una traduzione può distruggere, salvare, o salvaguardare un testo.
–Sei, a tua volta, una scrittrice tradotta in vari paesi. Hai mai avuto modo di confrontarti con i traduttori in lingua straniera dei tuoi romanzi? C’è qualche aneddoto che puoi raccontarci a proposito?
Cerco di essere coinvolta solo in parte, per rispetto del lavoro dei traduttori e perché un vero coinvolgimento mi farebbe venire un esaurimento nervoso: bisogna accettare che una traduzione è un libro diverso dal romanzo di partenza. Presi questa decisione quando Éditions du Seuil mi mandò la traduzione del mio primo libro: lessi la primissima frase, che era sbagliata: normalizzava lo stile ed eliminava il paradosso. Scrissi loro per correggerla e da allora il mio coinvolgimento fu minimo per scelta.
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La scheda del libro: “Patricia Highsmith. Diari e taccuini. 1941-1945” (La nave di Teseo). Traduzione di Viola Di Grado
Considerata per tutta la vita la regina del mystery, Patricia Highsmith è oggi riconosciuta come “una delle più grandi scrittrici moderniste” (Gore Vidal). Amata dai lettori di tutto il mondo, la Highsmith non ha mai autorizzato una propria biografia, lasciando fino alla fine i lettori, dal suo ritiro in Svizzera, all’oscuro delle vere ragioni dei turbamenti che si intravedono nella sua scrittura. Soltanto nel 1995, mesi dopo la sua scomparsa, l’editor Anna von Planta ha ritrovato in un cassetto i diari e taccuini dell’autrice: un patrimonio di oltre ottomila pagine manoscritte, che aiutano a scoprire il mondo segreto nascosto dietro alle sue pagine leggendarie.
A partire dagli anni giovanili al Barnard College, nel 1941, Patricia Highsmith tiene costantemente un diario delle sue giornate, e appunta su numerosi taccuini idee e spunti per le sue storie. Questo volume organizza e presenta per la prima volta questi testi, preziosi per cogliere l’intreccio fatale tra la vita privata dell’autrice e il suo immaginario letterario.
La giovane Pat si scatena nei bar del Greenwich Village degli anni quaranta, grazie a Truman Capote frequenta Flannery O’Connor nella colonia di artisti di Yaddo, ma già davanti ai primi successi (come il romanzo Sconosciuti in treno, pubblicato nel 1950 e presto adattato da Alfred Hitchcock per il cinema) una domanda la tormenta: “Qual è la vita che ho scelto?”. Una libertà di pensiero e scrittura che si scontra con il bigottismo dell’America di McCarthy, costringendola a pubblicare sotto pseudonimo il suo capolavoro Carol, che pure riceverà una straordinaria accoglienza commerciale. In cerca di sollievo dal provincialismo degli Stati Uniti, la Highsmith gira l’Europa con le sue inseparabili sigarette fino ad approdare in Italia, a Positano. Qui, rivelano i suoi appunti, nasce il personaggio che l’avrebbe consacrata, l’antieroe affascinante e pericoloso Tom Ripley.
Per cinquant’anni Patricia Highsmith ha raccontato la sua vita turbolenta nei diari e taccuini: un’autobiografia irrituale e fedelissima, la cronaca della ribellione di una donna contro le convenzioni, e del percorso luminoso di una scrittrice verso l’olimpo della letteratura.
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Patricia Highsmith è nata a Fort Worth, in Texas, nel 1921; ha trascorso la maggior parte della sua vita in Francia e Svizzera, dove è morta nel 1995. Nel 1955 compare il suo personaggio più famoso, Tom Ripley, protagonista della fortunata serie – Il talento di Mr. Ripley, Il sepolto vivo, L’amico americano, Il ragazzo di Tom Ripley e Ripley sott’acqua – che ha ispirato grandi registi, da Wim Wenders (L’amico americano) a Anthony Minghella (Il talento di Mr. Ripley) a Liliana Cavani (Il gioco di Ripley). Nel 1963 Patricia Highsmith si trasferisce definitivamente in Europa, dove da sempre i suoi libri ricevono un’accoglienza entusiasta. Tra i suoi romanzi e le sue raccolte di racconti, ricordiamo Vicolo cieco, Acque profonde, Gioco per la vita, Quella dolce follia, Il grido della civetta, Urla d’amore, Piccoli racconti di misoginia, Delitti bestiali, Il diario di Edith, La follia delle sirene. Dal romanzo Carol è stato tratto il film di Todd Haynes con Cate Blanchett e Rooney Mara, mentre da Acque profonde Adrian Lyne ha tratto un film con Ben Affleck e Ana de Armas. Tutta la sua opera è in corso di pubblicazione in una nuova edizione presso La nave di Teseo.
Viola Di Grado (1987) è l’autrice di Settanta acrilico trenta lana (2011, vincitore del premio Campiello Opera Prima e del premio Rapallo Carige Opera Prima) e Cuore cavo (2013, finalista al PEN Literary Award e all’International Dublin Literary Award). Con La nave di Teseo ha pubblicato Bambini di ferro (2016), Fuoco al cielo (2019, vincitore del premio Viareggio Selezione della giuria) e Fame blu (La Nave di Teseo, 2022).
Vive a Londra, dove si è laureata in Filosofie dell’Asia Orientale. I suoi libri sono tradotti in diversi paesi.
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