Dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pubblichiamo un nuovo articolo di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).
Venezia73 – Concorso
“Piuma” di Roan Johnson
con Luigi Fedele, Blu Yoshimi, Sergio Pierattini, Michela Cescon e Francesco Colella
(Venezia, 6 settembre 2016)
Leggero come una Piuma. Senza gravità come in Acqua. E se non si sente mai una volta dire la parola Amore, l’Amore si respira ovunque, nella voglia di esserci. Ad ogni costo, con incoscienza e responsabilità.
«La cosa più dolce che possa esserci è la volontà di prendersi cura di chi abbiamo accanto, questo vale molto più delle parole. Non ci credo mai, quando nei film sento dire ti amo. Nella vita non c’è lo diciamo mai, o almeno non così spesso come fanno nei film».
Scherza il regista italiano Roan Johnson, nome inglese e accento toscano. E nel suo modo di dire cose serie con il sorriso sulle labbra, senza filtri e con immediata sincerità, c’è molto del suo modo di fare cinema. Quel cinema che porta alta la bandiera della leggerezza, entrando nelle cose in profondità. Per raccontarle così come sono. Senza filtri e senza troppi cliché.
Lo aveva fatto già nel suo precedente “Fino a qui tutto bene”, storia di un gruppo di coinquilini giunti al fatidico capolinea della convivenza studentesca per fare il tuffo nella vita da adulti. E lo ha confermato con questa nuova commedia, “Piuma”, in concorso alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in uscita il prossimo 20 ottobre.
Risate a cuore aperto, idee che inondano, tenerezza che prende il largo, poesia che tocca terra per riprendere subito a volare. Come solo due diciottenni saprebbero fare. Messi di fronte ad una gravidanza inattesa arrivata troppo presto. O forse no. Trovando impreparati gli adulti, più che i futuri genitori. Giovanissimi, alle prese con le rispettive famiglie, sgangherate e più caotiche del caos che regnerà sovrano per nove mesi in questo nucleo allargato che schiera in campo un cast indovinatissimo. Dai due protagonisti, Ferro e Cate, interpretati da Luigi Fedele e Blu Yoshimi, ai due padri, Franco e Alfredo, che offrono due ruoli esilaranti a due ottimi attori, Sergio Pierattini e Francesco Colella.
Sono loro a strappare applausi a scena aperta, qui a Venezia, soprattutto Pierattini alle prese con le confessioni del figlio in una scena che vale da sola tutto il film. Girato con lunghi piani sequenza e molti piani di ascolto, per non farci perdere neanche un attimo delle reazioni dei personaggi a ciò che accade loro intorno.
Tutto questo, Roan Johnson lo fa – complice il suo direttore della fotografia Davide Manca – con incanto e fantasia. Riuscendo persino a trasformare Roma in una distesa d’acqua da attraversare a nuoto, lasciando sulla terra ferma la zavorra della razionalità. Che deve comunque fare i conti con il dramma della sopravvivenza e della quotidianità.
Perché essere leggeri, non vuol dire essere irresponsabili. Così come essere giovani oggi non vuol dire necessariamente essere fannulloni e inconsistenti. «L’incontro con i due giovani attori protagonisti è stata la conferma che la scelta fatta nel copione era quella giusta» sottolinea il regista, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, allievo di Paolo Virzì e Francesco Bruni, a loro volta figli cinematografici di Age e Scarpelli. Nella tradizione della migliore commedia (all’)italiana.
E se la polemica alla Mostra non è mancata, ad opera di chi non ha ritenuto “Piuma” all’altezza del concorso principale, viene da pensare che sì, a volte, la nazionalità conta. Non sempre a vantaggio dell’opera. Che in questo caso non è di certo meno riuscita dell’altra bella – e invece apprezzatissima – commedia in concorso battente bandiera argentina, “Il cittadino onorario” di Gastón Duprat e Mariano Cohn, con altre due prove d’attore sublimi, quelle di Oscar Martinez e Dady Brieva. Protagonisti di una intelligente divagazione sul tema della notorietà e della provincia, in cui lo humor è il risultato di situazioni scomode che invitano lo spettatore a pendere posizione uscendo dalla propria passività. Un’acuta riflessione critica sul mondo della cultura, della letteratura e dei premi, che peraltro celebra l’importanza della semplicità dell’Arte. Semplicità che, nel campo della scrittura, viene definita “un gesto di generosità creativa”.
E a proposito di premi, chissà se mai qualcuno avrà il coraggio di fare a Venezia un discorso spiazzante e geniale come quello pronunciato dallo scrittore argentino (immaginario) Daniel Mantovani alla consegna del Nobel per la letteratura. Potrebbe essere un’idea per un eventuale remake, di cui si fantastica già, qui in Laguna.
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