Nel nuovo appuntamento dello spazio “POESIA” di Letteratitudine ospitiamo Cettina Caliò autrice della silloge “Di tu in noi” (La nave di Teseo)
Ecco le risposte di Cettina Caliò alle domande “ricorrenti” di questa rubrica dedicata alla poesia.
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– Cettina Caliò, chi è poeta?
Il poeta è uno che si fa delle domande, sempre. È uno che vede il lato stanco e incolore di ogni cosa, è uno che vede la meraviglia nel dettaglio e ne fa metafora.
– Poeti si nasce o si diventa?
A monte c’è la necessità del respiro: alcuni nascono col fiato corto, ad altri, il fiato, si accorcia strada facendo. In entrambi i casi diventa essenziale scrivere l’urlo del fiato.
– Cos’è la poesia?
La poesia è una condizione del sentire, come il dolore (è del più forte sentire la più forte figlia, diceva Vittorio Alfieri).
– A cosa serve la poesia?
La poesia non serve, la poesia offre, offre la possibilità di raggiungere se stessi attraverso un comune sentire.
– Che consiglio daresti a chi volesse avvicinarsi alla lettura della poesia?
A chi volesse, direi: lasciatevi leggere dalla poesia. Noi siamo convinti di leggere la poesia, ma è lei che ci legge nella misura in cui ci riconosce e si fa specchio del qui e ora del nostro sentire. La poesia funziona come una canzone: si ascolta, ci si galleggia dentro. Magari si trattiene solo un verso, ed è già tantissimo, perché quel verso diventa compagno, si fa carezza.
– Cosa consiglieresti a un poeta esordiente che ha velleità di pubblicazione?
Direi di leggere moltissimo, di essere severo e selettivo, moltissimo, nei confronti della propria scrittura.
– Parliamo di te. Come nasce il tuo amore per la poesia?
Come quando ci si imbatte in qualcuno e si prova per questo qualcuno una istintiva simpatia, come quando batte il cuore e forse è amore. E a quel qualcuno senti il bisogno di ritornare. Quel qualcuno te lo ripeti, te lo canti in testa.
– Guardando all’intera storia della poesia, quali sono i poeti che consideri come tuoi punti di riferimento?
Probabilmente quelli a cui sento il bisogno di ritornare. Quelli con i quali avrei voluto condividere un bicchiere di vino rosso. Cito qualcuno per affioramento: Alejandra Pizarnik, Wislawa Szymborska, Jaime Sabines, Cesare Pavese, Antonia Pozzi, Paul Celan…
– Quali sono i versi poetici che non ti stancheresti mai di rileggere?
Sono quelli che mi capita spesso di ripetere a memoria, a mo’ di preghiera:
Antonia Pozzi: io non devo scordare che il cielo fu in me.
Francesco Scarabicchi: toglimi da quest’ansia che mi spegne, portami dove sei umido e spine (…) Quest’ora del respiro, questa pena porta con sé per sempre la tua grazia.
Emily Dickinson: Quante mai cose possono venire e quante andare, senza che il mondo finisca. Else Lusker-Schuler: Io so l’inizio – di me di più non so però mi sono sentita singhiozzare nel canto.
Rainer Maria Rilke: Non avere paura, sono io. Non senti che su te m’infrango con tutti i sensi? Julio Cortazar: se mi volto, oh Lot, sei il sale dove la sete mi si rompe a pezzi.
Salvo Basso: Di te con me rimane uno sguardo per sbaglio e un pensiero che non finisce.
Franco Loi: Vòltati per ritornare, che dimenticato ci sono io dietro le spalle per rubarti quel niente del camminare, quel tuo andare via.
Mascha Kaléko: Nostalgia dell’altrove cui non sai sottrarti nostalgia di essere dentro, se sei fuori, di essere fuori, se sei dentro.
Edward E. Cummings: Il tuo cuore lo porto con me. Lo porto nel mio, non me ne divido mai. Dove vado io, vieni anche tu (…) Non temo il fato perché il mio fato sei tu.
Iosif Brodskij: difendo in me il ricordo del tuo volto, così inquietamente vinto.
Milo De Angelis: Dov’eri? Io ero lì, ero nel cortile che fu tutto. Ero lì, inchiodato a un esistere sparito.
Mario Benedetti: qui avvengo e qui mi inganno sommamente.
– Qual è il filo conduttore di questa tua nuova silloge intitolata “Di tu in noi”? E come nasce?
Il filo conduttore è la frattura, il crollo, la vita che ama, perde, dolora… e nasce mentre si muore rimanendo vivi.
– Ti chiedo di scegliere alcuni tra i versi che consideri più rappresentativi di questa tua raccolta e di offrirceli in lettura qui di seguito.
Sulla soglia dell’ora
che non torna e trasparente
mi vive intera
nel forse di ogni passo
a ridosso del silenzio
tu mi parli ovunque
*
Ti lascio
a un esistere altro
recupero le mie ossa
faccio carezza di ogni pensiero
e tanto
l’infinito che sai
*
… a perdifiato
io sto
al riparo di noi
– Per quale motivo hai considerato questi versi come i più rappresentativi della silloge?
Perché sono alcuni fra quelli che mi ripeto più spesso per tenermi compagnia.
– Come immagini il futuro della poesia?
Lo immagino in salita, purtroppo. Per una serie di ragioni. C’è, in questo mondo di fretta, l’incapacità di molti di indugiare sul suono e sul senso delle parole, l’incapacità di lasciarsi incantare da loro, di lasciarsi consolare e innamorare. C’è che la poesia è sostenuta poco e male da chi dovrebbe sostenerla tanto comprendendone il valore. Edgar Lee Masters scriveva: A questa generazione vorrei dire: imparate a memoria qualche verso di verità o bellezza. Vi potrà servire una volta nella vita.
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La scheda della silloge: “Di tu in noi” di Cettina Caliò (La nave di Teseo)
Tre le sezioni di questo testo, in cui la prima si fa antefatto delle due successive: “Quel mio ritornare a te / da tutte le strade / per sottrarci da tanta morte”. Fra le pagine una mappatura dell’anima che è luogo e memoria ? “Ti tengo / nell’entroterra dell’anima / in un respiro di due sillabe”, la vita come frattura in fiore su un muro: “la conseguenza del mattino / uno schianto in due tempi”, e ovunque il frammento dell’esperienza restituito in trama: “nulla sappiamo della mano / che ci regge il giorno / a tremare / fra la memoria e la sete”. C’è un tempo fatto di attimi che sono già ricordo: “faccio ogni cosa / per l’ultima volta”; il respiro scardinato dagli eventi e lo scontro e il confronto con la perdita che si fa crollo: “mi cade addosso / il cielo che fu”. L’esperienza è rimodulata in senso e suono. “Scrivo perché mi aiuta a respirare meglio. Perché ho nostalgia di tutti i momenti in cui mi sono sentita viva”. Così l’autrice conferma lo stile ormai riconoscibile e la cifra della sua ricerca poetica: la capacità di tradurre la quotidianità viva dei giorni restituendo profondità e consistenza alle parole comuni. Attraverso l’indagine lucida, l’essenzialità delle immagini, l’accuratezza dei suoni e la misura del verso, l’autrice riesce a fare delle occasioni della vita metafora assoluta: “di noi stessi erranti / è certo / il destino corroso”.
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Cettina Caliò è nata a Catania nel 1973. Scrive poesia e prosa. Traduce dal francese. Cura libri.
Ha pubblicato: Poesie (1995), L’affanno dei verbi servili (2005), Tra il condizionale e l’indicativo (2007), Sulla cruda pelle (2012), La Forma detenuta (2018), Di Tu in noi (2021).
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