Il nuovo appuntamento dello spazio “POESIA” di Letteratitudine è dedicato alla silloge di Laura Pugno intitolata “L’Alea” e pubblicata da Perrone editore.
“Tu-io sei quella che rimane”, inizia così La mente paesaggio di Laura Pugno, pubblicato per la prima volta da Perrone nel 2010, e qui riproposto. Il libro di un’assenza, la linea d’ombra di tutte le vite, con l’io che affiora, una volta sola, in questa voce poetica che dice della natura della coscienza – dove inizia in noi? dove finisce? – e dell’identità. Eppure, a dieci anni di distanza, cambia la parola fine, diventa “tu-isola coperta di bosco”. Ora l’assenza si diffonde e sfuma nella bellezza intorno. È la linea dorata, intrecciata a quella d’ombra, che traccia il secondo poemetto, L’alea, in cui la mente-paesaggio, la mente-corpo, si riunisce al mondo. Un mondo le cui leggi allo stesso tempo ci sfuggono completamente e ci sembrano aver a che fare con noi, con la nostra presenza, il nostro inevitabile osservare ciò che accade e così modificarlo mentre siamo allo stesso tempo osservati, siamo sempre un tu-io.
Laura Pugno è nata a Roma nel 1970. È autrice di poesia, prosa, saggi e testi teatrali. Tra gli ultimi libri, i romanzi La metà di bosco e La ragazza selvaggia, Marsilio 2018 e 2016; il saggio In territorio selvaggio. Corpo, romanzo, comunità, Nottetempo 2018, e la raccolta di poesia I legni, Pordenonelegge/Lietocolle 2018. Ha vinto il Premio Campiello Selezione Letterati, il Frignano per la Narrativa, il Premio Dedalus, il Libro del Mare e il Premio Scrivere Cinema per la sceneggiatura. Collabora con L’Espresso, Elle, e il sito Le parole e le cose 2, ed è tra i curatori della collana di poesia I domani dell’editore Aragno. Dal 2015 dirige l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (proponiamo un’ampia intervista a Laura Pugno dedicata all’IIC di Madrid).
Di seguito, un’intervista all’autrice.
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L’ALEA: il mondo quantistico, costituito di lampi di luce, dove albergano le parole di Laura Pugno
– Cara Laura, partiamo dall’inizio. Come nasce il tuo amore per la poesia?
Nasce nell’infanzia, c’è da sempre. Ho appreso prestissimo la capacità della scrittura, e quindi letteralmente non ho memoria di una me stessa che non scriva, e la forma materiale di questo scrivere è sempre stata la poesia. Ogni altra forma di scrittura che ho praticato – prosa, teatro, sceneggiatura – , e che ho praticato con amore, viene in qualche misura dopo, o accanto. Nel tempo e nello spazio la poesia è prima, è avanti e oltre, per me.
-Sappiamo che il poemetto “L’alea” è stato pubblicato per la prima volta nella collana Zoom di Feltrinelli (e che è stato scritto tra il 2013 e il 2016); mentre “La mente paesaggio” è stato pubblicato per la prima volta nel 2010, da Giulio Perrone Editore, che lo ristampa ora insieme a “L’alea”. Ciò premesso, considerandola nel suo complesso, quale potrebbe essere il principale filo conduttore di questa tua silloge che troviamo adesso in libreria intitolata, per l’appunto, “L’alea”?
L’alea è in un certo senso un tentativo di percezione, e un tentativo di descrizione, di un mondo intorno, in cui il soggetto si muove – anche se non dice io, ed è situato nel tu – e che ci si rivela profondamente altro rispetto alle categorie con cui fino ad ora era stato pensato: un mondo quantistico, costituito di lampi di luce, connesso a se stesso, e a noi, in ogni sua parte. Questa connessione non nega il dolore, la perdita, il lutto come fatti innegabili in una singola vita, ma li iscrive in un orizzonte più ampio: l’orizzonte degli eventi, che è il futuro, “la superficie limite oltre la quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno”.
In Vertumno, Iosif Brodskij scrive “In un certo senso non c’è nessuno/nel futuro; in un certo senso/nessuno ci è caro nel futuro”, e anche “Nel futuro il passato non esiste e là/tu non hai nulla da fare”, perché “Il futuro comincia sempre quando qualcuno muore”. (La traduzione è di Serena Vitale, dall’edizione Adelphi). Questo è stato scritto e resta vero. Eppure è un futuro e un presente più vasto, quello che iniziamo a percepire, perché di nuovo sperimentiamo non la sensazione, ma la percezione di farne parte, di fare parte del mondo, di mutare in tutto, di mutare in un tutto. È un cammino che si intravede solo a tratti: per questo va percorso in poesia, perché la poesia è sempre in anticipo.
-Che posto occupa, a tuo avviso, “L’alea”, nell’ambito generale della tua poetica (tenuto conto anche della narrativa)? Che connessioni ci sono con le altre tue opere?
È un libro che riassume un percorso di anni, e che prepara un nuovo movimento, in cui ancora più ci si apre verso il mondo. In qualche modo, L’alea è un libro che “fa il punto”, rendendo anche visibile come i libri stessi in certo modo si riscrivano nel dialogo con i testi successivi, all’interno di una storia poetica. È come se, in certi libri, ci si raccogliesse per poi spiccare un balzo, anche se la traiettoria di questo balzo appare visibile solo dalla prospettiva di un’opera successiva e nuova. Intorno, c’è un’aria di cambiamento. Non sono solo i poeti a respirarla, ma i lettori, le lettrici. Lo stesso contesto in cui scriviamo poesia in Italia oggi è mutato, siamo in una nuova decade, le categorie con cui la poesia è stata pensata fino a ieri in qualche modo non bastano più, si sono assottigliate fino a diventare trasparenti. E anche la sofferenza della narrativa letteraria – non per la qualità delle opere, ma per i meccanismi e modi, possiamo dire, della sua produzione e distribuzione – sta restituendo centralità alla poesia. Non è necessariamente il modo in cui avremmo voluto che la poesia recuperasse centralità, ma è un dato reale. La poesia sopravvive in una estrema economia di mezzi, nella materialità stessa della sua scrittura, nella sua quantità e qualità: non è un’arte resa marginale dal mercato, è un’arte che precede il mercato, che può muoversi al suo interno ma che non lo necessita come precondizione. Esiste prima di ogni società editoriale avanzata, prima di ogni società letteraria. Prima.
-Lavare le parole custodite / in una sacca di pelle, / affilarle di nuovo come strumenti di caccia“. Questi bellissimi versi compaiono sulla copertina del volumetto. Sono versi che celebrano le parole e la necessità di “custodirle”, “lavarle”, “affilarle”. Partendo dalla considerazione che, come accennato, oltre a essere autrice di bellissime poesie scrivi anche ottimi romanzi, ti chiedo: mettendo a confronto poesia e narrativa… la necessità di “custodire”, “lavare”, “affilare” le parole… è del tutto uguale (o ci sono differenze)?
È la stessa, ma la poesia è senza dubbio il luogo della scrittura in cui questa esigenza si esprime al più alto grado. Ci sono dei versi di T.S. Eliot che ho appreso negli anni della mia formazione, e che cito anche nel mio saggio In territorio selvaggio (Nottetempo), che lo dicono perfettamente, quindi li riporto qui:
So here I am, in the middle way, having had twenty years –
Twenty years largely wasted, the years of l’entre deux guerres –
Trying to learn the use of words, and every attempt
Is a wholly new start, and a different kind of failure
Because one has only learnt to get the better of words
For the thing one no longer has to say, or the way in which
One is no longer disposed to say it. And so each venture
Is a new beginning, a raid on the inarticulate
With shabby equipment always deteriorating
In the general mess of imprecision of feeling,
Undisciplined squads of emotion. And what there is to conquer
By strength and submission, has already been discovered
Once or twice, or several times, by men whom one cannot hope
To emulate – but there is no competition –
There is only the fight to recover what has been lost
And found and lost again and again: and now, under conditions
That seem unpropitious. But perhaps neither gain nor loss.
For us, there is only the trying. The rest is not our business.
Home is where one starts from–
E così, eccomi qua, nel mezzo del cammino, dopo vent’anni
Vent’anni in gran parte sciupati, gli anni dell’entre deux guerres…
A cercar d’imparare l’uso delle parole, e ogni tentativo
È un rifar tutto da capo, e una specie diversa di fallimento
Perché si è imparato a servirsi bene delle parole
Soltanto per quello che non si ha più da dire, o nel modo in cui
non si è più disposti a dirlo. E così ogni impresa
È un cominciar di nuovo, un’incursione nel vago
Con logori strumenti che peggiorano sempre
Nella gran confusione di sentimenti imprecisi,
Squadre indisciplinate di emozioni. E quello che c’è da conquistare
Con la forza o la sottomissione, è già stato scoperto
Una volta o due, o parecchie volte, da uomini che non si può sperare
di emulare – ma non c’è competizione –
C’è solo la lotta per ricuperare ciò che si è perduto
e trovato e riperduto senza fine: e adesso le circostanze
non sembrano favorevoli. Ma forse non c’è da guadagnare né da perdere.
Per noi, non c’è che tentare. Il resto non ci riguarda.
La casa è il punto da cui si parte–
(la traduzione è di Filippo Donini, nella vecchia edizione Garzanti). Ma questo non vuol dire che la prosa non sia allo stesso modo un luogo in cui si fa una lingua. Per me anzi è una condizione della sua leggibilità, della sua praticabilità come prosa, e può essere la lingua più rarefatta, la più apparentemente naturale di tutte, che è il bersaglio a cui tendo.
In che modo “L’alea” influenza la poesia? E in che modo incide sulle nostre vite?
Siamo in un’intermittenza di apertura, di possibilità. Per quanto si lavori sul progetto – ed è qualcosa che ho appreso anch’io, nella storia della mia scrittura, il passaggio dal frammento al progetto – la poesia resta qualcosa di dato, di evocato: siamo noi che evochiamo noi a noi stessi. L’alea è ciò che può accadere, esattamente nel senso del possibile, e porta con sé l’idea di unknown unknown, di ignoto ignoto, contrapposto al known unknown, il noto ignoto: non ciò che sappiamo di non sapere, ma ciò che non sappiamo di non sapere e che fa irruzione in noi, e intorno a noi. Come fa la poesia.
-Ci sono nuovi “progetti poetici” sul tuo orizzonte letterario?
Sono al lavoro su una nuova raccolta, ed è come se avessi iniziato ora a scrivere per la prima volta. Allo stesso tempo, in questo scrivere si condensano tutte le vite di scrittura che ho attraversato fino ad oggi. Per dire di più, però, è ancora presto.
– Grazie mille, cara Laura. E tanti complimenti per le tue molteplici attività
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