Novembre 18, 2024

146 thoughts on “POTEVO ESSERE IO di Renata Ciaravino

  1. Invito tutti i letteratitudiniani a riservare una calorosa accoglienza a Renata Ciaravino, nostra ospite.
    E chiedo a Renata di presentarsi e di raccontarci un po’ di lei.

  2. Se c’è qualcuno che ha letto questo libro è invitato a farsi avanti e a lasciare un commento.
    Agli chiedo di commentare il brano e il video.
    E poi ci sono quelle domande su cui dibattere.
    Le ripeto.
    Vi è capitato mai – di fronte a una situazione che ha coinvolto qualcun altro – di dire a voi stessi: potevo essere io?
    E…
    Quando si nasce in certi posti, in certe strade, qual è la molla che può salvare una vita in bilico e cos’è che la fa precipitare?
    Chi si salva, davvero si salva?
    O è destinato per sempre a portare con sé quelle facce, quelle urla, quelle strade?

    A voi…

  3. Ci siamo detti e ripetuti centinaia di volte che qualche estrapolazione non può dare un’idea completa di un libro. In realtà ciò vale per tutto. Due note di “Bach” possono lasciare perplessi. Ascoltanto un’opera intera il discorso cambia. Non voglio mettere le mani avanti, ma solo essere onesto nel dire che (a me ovviamente) gli stralci di Renata mi hanno lasciato del tutto indifferente. Ho letto e ascoltato tramite video una sorta di diario scritto da una ragazza di terza media che, però, conosce qualche vocabolo in più rispetto alle sue coetanee. Nel filmato si vede la verve, questo sì. Ma credo che Moccia recitato da Robert De Niro possa acquistare pregio fino a un certo punto.
    Ovviamente auguro all’autrice una fortuna incommensurabile. Ha comunque creato qualcosa nella quale crede e, già questo, merita grandissima considerazione. Spero anche di essere l’unico a pensarla così. Senza rancore, spero.

  4. Benvenuta Renata!
    Prendo spunto dalla prima domanda di Massimo (Vi è capitato mai – di fronte a una situazione che ha coinvolto qualcun altro – di dire a voi stessi: potevo essere io?)
    e rispondo che sì, mi è capitato, eccome, e quasi sempre come fortunata esclamazione per essere scampata a qualcosa. Difficilmente ho pensato “potevo essere io” pensando a qualcuno con miglior sorte della mia.
    Proprio per questo preferisco dire “meno male che io sono io”! 🙂

    Non so se mi è sfuggito, ma volevo chiedere a Renata quando ha pubblicato il suo libro e quanto è stato in “gestazione” prima che l’abbia partorito!

  5. Caro Enrico, hai ragione quando scrivi che “qualche estrapolazione non può dare un’idea completa di un libro”.
    A mio avviso questo libro non c’entra molto con Moccia (con tutto il rispetto per Moccia).
    Credo proprio che Renata abbia scelto di utilizzare un linguaggio volto a riprodurre quello “scritto da una ragazza di terza media che, però, conosce qualche vocabolo in più rispetto alle sue coetanee”.
    Però mi piacerebbe che ci fornisse indicazioni sulla scelta del linguaggio la stessa Renata.

  6. @ MASSIMO:
    grazie a Dio Moccia c’entra solo con Moccia medesimo. Era solo un paradosso per dire che Renata ha molta verve ma che ciò che legge (a me, e spero solo a me) non “arriva”.
    Sono comunque pronto a farmi scuoiare vivo dall’autrice

  7. Grazie per questa accoglienza e questa presentazione! Molto volentieri dico due parole su Cadmo, una “piccola” casa editrice che nasce nel 1975 a Roma si occupa prima di filosofia, e poi, dal 1991, da quando viene trasferita a Fiesole da Mario Casalini, diviene il ramo editoriale della Casalini Libri dedicando un’attenzione particolare all’italianistica internazionale.
    Io sono arrivata alla Cadmo nel ’99. Da allora abbiamo cominciato a interessarci alle “scritture”, ai modi della narrazione contemporanea. Sono nate prima “Scritture in corso” collana dedicata agli scrittori che scrivono oggi e poi “il cinema e le idee”. Il gusto per le forme di narrazione, insomma è stato il motore trainante dello sviluppo del nuovo piano editoriale che ha incontrato il suo culmine in “Pop up”. “Pop up” nasce da un grande incontro, quello con Manuela La Ferla. Ci siamo messe a ragionare in un grigio pomeriggio primaverile di tre anni fa e la passione ha fatto lievitare le idee. Volevamo dare spazio a voci nuove per la narrativa italiana, volevamo storie che parlassero di noi. Le storie e la scrittura, questi i nostri obiettivi. “Pop up” si è chiamata così proprio perché ci piaceva dare l’idea delle storie che saltano fuori, come le “finestre” di comunicazione in internet, come le favole del genere di letteratura per bambini che si chiama proprio come la nostra collana. Un gioco di rimandi di narrazione che ha coinvolto anche il progetto grafico delle copertine, che di volta in volta propone opere di artisti diversi. “Pop up” è un progetto preciso, curato e fatto crescere. Un progetto e uno spazio per una narrativa italiana di qualità.

  8. @ Enrico:
    sono certo che Renata eviterà di scuoiarti vivo, e che se proprio dovrà scuoiarti lo farà solo dopo averti accoppato in maniera indolore
    🙂
    Prima o poi organizzerò un faccia a faccia tra te e Moccia.

  9. il video che ho visto e il paragrafo del libro mi hanno fatto un po’ rabbrividire….. in senso positivo. mi ci sono rivista io quand’ero adolescente. mi ha fatto un po’ impressione. cercherò questo libro.
    riguardo alle domande dico di si, anche a me è capitato di pensare potevo essere io.
    quando si nasce in certe strade è difficilissimo salvarsi davvero, perchè ti è tutto contro. io ho l’esperienza di molti amici. però qualcuno ce l’ha fatta.

  10. A me quello che più colpisce per ora è l’apertura di questo post immediatamente dopo quello di Antonella Cilento; come a smentire (talvolta) coi fatti gran parte di quello che è stato detto lì: le accuse alle case editrici, agli editors, al sistema librario eccetera eccetera eccetera.
    Beh, per ora il sapere che esistono case che incoraggiano giovani autori/autrici è piuttosto incoraggiante.
    Sulle domande poste per il post (o domande ‘post2post’, per essere ‘a la page’) fatemi riflettere un pò (ho il cervello lento).

  11. Grazie per l’estratto, adesso ho voglia di leggere il libro…

    Potevo essere io? Me lo sono mai domandato? Sì, più o meno tutti i giorni. O almeno tutte le volte in cui mi capita di vedere situazioni disagiate, “vite difficili”, per le vie della città o in televisione.

    Mi ci sarei potuta trovare io in quella situazione se fossi nata lì, se avessi avuto una famiglia di quel tipo, se solo e malauguratamente mi fossi trovata in quel posto in quel momento…

    A volte non ci si salva affatto, perché non si riesce ad afferrare la corda che porta dal fondo all’ingresso del burrone, o perché quella fune non l’ha mai tesa nessuno. Altre ci si salva solo in parte, perché un frammento di anima rimane nei luoghi dai quali si fugge, dalle persone che hanno ferito, da certe realtà che, semplicemente, continuano a essere reali anche quando sono, nello spazio e nel tempo, lontane.

    E quanto è vera l’affermazione secondo la quale dovremmo essere “solo” persone che scrivono…

    M.

  12. Benvenuta Marcellina! È la prima volta che intervieni?

    Bentornata Luisa (ma che fine avevi fatto)?

    @ Carlo S.
    Giusta considerazione la tua. Hai fatto bene a far notare il contrasto. Anche se la provocazione di Antonella Cilento, in linee generali, ha una sua ragion d’essere.
    Grazie Carlo

  13. E allora ti invito a tornare a scrivere, Marcellina. Benvenuta nell’allegra congregazione libresca di letteratitudine. Da questo momento sentiti cooptata anche tu.
    Massimo
    😉

  14. @ massimo:
    quello che forse non sai è che Federico Moccia è un “corsivista” del Messaggero con rubrica trisettimanale. Rubrica che, peraltro, spesso sono io a titolare.
    Ergo, Moccia frequenta spesso la redazione. Finora, comunque, il faccia-a-faccia non si è verificato, perché quando arriva lui, vado a pisciare io
    🙂

  15. @ massimo:
    ma tu hai minimamente riflettuto cosa potrebbe accadere qui dentro se, Dio non voglia, l’estratto di Renata non convincesse Sergio Sozi? Per argomentare il suo “dispitto” credo che partirebbe dal “Fiore d’Italia” di Guido da Pisa, spaziando poi da Calvino a Rabelais fino alle istruzioni del suo micro-onde.
    Come si dice a Roma “nun te vorei esse manco camicia”!
    🙂

  16. @ Enrico.
    Bravo. Prima critichi Moccia e poi gli titoli i pezzi che pubblica sul Messaggero.
    Secondo me pensi ai suoi dati di vendita e dici… potevo essere io
    😉

    Aspettiamo pure Sergio. Però chi non ha letto il libro sarebbe meglio che dibattesse sulle domande poste sopra (vedi commenti precedenti)

  17. …Per quanto riguarda la pagina estrapolata dal libro e la lettura dal vivo dell’autrice, purtroppo devo condividere quanto detto da Enrico Gregori. Magari qui servirebbe un estratto un po’ meno esiguo, per farsi un idea completa del romanzo. Certo, la lingua e’ quella che e’. La storia e’ quella che e’. Ma chi sa… andando avanti nella lettura…
    Comunque Auguri a Renata Ciaravino anche da parte mia
    Sozi

  18. Stavolta non ho coinvolto (come da tradizione personale) Caio Melisso (il quale poteva pero’ essere in tema), il Kalevala e gl’Inni Omerici. Pero’, se e’ vero quel che diceva D’Annunzio, che si puo’ (o meglio che si deve andare ”per aspera ad astra”, allora anche questa giovane autrice sapra’ crescere. Come tutti gli uomini.
    Abbandonando dunque questo tema (non ho letto il libro, dunque taccio), preferirei affrontare la domanda generica di Massimo sul fatto che questo ”potrebbe esser toccato a me”.
    Certo. Come tutti noi, mica ho solo conosciuto raffinati critici ed eruditi affabulatori, io.
    I miei due migliori amici d’infanzia sono finiti uno nell’Arma e l’altro in Polizia. Il terzo, del mio periodo romano (durato quasi cinque anni), tal Massimiliano, non saprei proprio. Ricordo solo poche cose, fra le quali una freccia che egli mi tiro’ nell’occhio… prendendomi di striscio per fortuna. A quattro anni aveva gia’ arco e freccia, l’arciere in erba! Oggi sara’ sicuramente un campione di tiro al bersaglio: un franco tiratore?
    Con simpatia
    Sergio

  19. caro massimo, sono tornata. purtroppo posso connettermi solo ogni tanto.
    gentile sergio, nemmeno io ho letto il libro, ma lo leggerò.
    secondo me più che altro è una questione di gusti. ho letto il tuo racconto, qualche post fa e pur trovandolo interessante ho pensato che la scrittura è un po’ stantia e formale, ma non ho avuto il coraggio di scriverlo. poi ho pensato che probabilmente è anche una questioni di obbiettivi che si pone chi scrive. in questo estratto di renata ciarvino ho colto un linguaggio che rende più l’idea dell’espressività dei giovani che non abitano posti troppo in.
    ciao a tutti

  20. Entro scostando il sipario, come sempre, mi guardo in giro…niente paura, c’è solo Gregori, ma abbaia dietro il cancello.
    Maledizione! Non avevo visto Sozi, però è tranquillo, ringhia senza azzannare, e come potrebbe, la povera Ciaravino giace già sbranata, l’hanno data in pasto ad Enrico per il suo compleanno; d’altro canto penso che la colpa sia tutta del custode del canile.
    Mezza paginetta e una copertina infelice uccidono anche un cavallo.

    Però c’è il quesito ed è stimolante: “Potevo essere io?”

    Mi capita invece di fare un ragionamento a rovescio: “Non dovevo essere io”.

    Sono dall’altro lato, sono “lo specchio” (Citazione Silvioleonardiana) e vedo Francesco. Lo vedo crescere tra cattivi insegnanti, genitori dolcissimi e distratti; cugini dispotici e crudeli che fanno dello scherno ragione. Lo vedo piangere alla morte di Kennedy nella tv di famiglia, l’Allocchio-Bacchini a valvole, mentre si festeggia un compleanno di qualcuno e i parenti, col naso rotondo di vino, pensare e poi dire, “Maria, questo ragazzo è un po’ strano, che gliene frega del presidente é ll’america?”.
    Sognare di diventare architetto disegnando palazzi su ruscelli e scoprire che Frank Lloyd Wright aveva fatto già la Fallingwater, e per lui era tardi a 16 anni ricominciare a studiare; diventare un formidabile ristrutturatore di palazzi e scoprire che le commesse, dopo il terremoto dell’80, le prendeva la camorra; nel tempo libero fare il tecnico del suono e non avere il coraggio di andare con Pino (Daniele) e gli altri in Inghilterra; scrivere su “Il Mattino” di satira e scoprire che una mattina Pasquale Nonno chiude la pagina perchè “L’umorismo, non interessa nessuno!”; fare l’arredatore, andare a cena con un famoso ministro che “via Francesco, stia tranquillo, non permetterò che lei continui a guidare un bus” e scoprire che il giorno dopo si è dimesso perchè inquisito e forse lo arrestano, e…via mi fermo agli inizi del ’90!
    “Quello non dovevo essere io!”

    Forse ha ragione Giorgio Bocca: “Nascere a Napoli è una maledizione!”
    Non sarò fuori tema? Ma non è autocommiserazione: io sono felice, anzi no, non vorrei contraddirmi, sono sereno.
    @Marcellina benvenuta.

  21. Cara Luisa,
    Beh… per me e’ un’occasione mancata di conoscere un’opinione in piu’. Poteva scrivermelo, il suo giudizio: chi pubblica si mette in piazza, accettando fischi e abbracci.
    In ogni caso la mia personalita’ di scrittore (e di scrittura) non ne e’ scalfita: ho il mio stile, che metto in discussione per ben piu’ di due parole negativamente critiche (io argomento molto le mie recensioni e pretendo altrettanto prima di mettere in discussione un millesimo di quanto io sono).
    Scrittura ”Stantia e formale”? Ne sono onorato, visto la facile, diretta, uniforme melassa che gira. Io sto dalla parte di chi scrive per farsi interpretare con lentezza e meditazione – oppure, alternativamente: di chi e’ abituato a leggere cose meno scorrevoli del solito sbrigativo piattume italiano. Naturalmente non so cosa Lei legga e apprezzi e non mi riferisco, pertanto, a Lei.
    In ogni caso, la velocita’ odierna – di vita e di scrittura – non mi appartiene. Vado lento e seguo una ratio sintattica che poco ha a che fare con il Duemilasette.
    Grazie comunque!
    Suo
    Sozi

  22. Francesco: stavolta hai superato te stesso! Straordinario resume’ di qualche decennio personale ed italiano!
    Sergio

  23. Non so bene per quale motivo, ma quando accade qualcosa che mi piacerebbe vivere io sono sempre impegnato in altre faccende. Così molti treni sono passati e di essi ho sentito solo il fischio, in lontananza. Questo mi ha aiutato a non avere mai piena consapevolezza di cosa avessi perso.

    Sulla seconda domanda potremmo andare avanti tutta la notte. In effetti ho alcuni post sul tema nel mio blog (uno per tutti “quello normale”). Tuttavia, anche in questo caso, posso affermare che la mia dose di fortuna l’ho avuta. Ho camminato sempre vicino al fuoco senza scottarmi veramente. Ne ho conosciuto il calore, ho visto altri riportare ustioni gravi. Ho vissuto per strada senza appartenere ad essa, ma non essendo nemmeno dei quartieri bene. Questo ti lascia addosso una strisciante sensazione di inadeguatezza che maschero bene con una sapiente mistura di timidezza e spontaneità. Finora nessuno se ne è mai accorto oppure ha avuto quanto meno il buon gusto di non farmelo notare.
    Non avendo letto il libro e sulla base del breve estratto disponibile posso solo dire che ogni scrittore scrive per qualcuno. Quelli che hanno successo sanno esattamente per chi ed in quali condizioni il loro libro verrà letto. Gli altri hanno solo una vaga idea del loro lettore e se lo raffigurano come una sorta di interlocutore di passaggio (in genere affermano di scrivere per sè stessi).
    A me sembra, istintivamente, che Renata sia più vicina ai primi.

  24. Caro Massimo Maugeri, finalmente ci siamo! Perché il cambiamento è in atto e tutto al femminile.Una scrittura letteraria generosa di veri sentimenti,semplici ma ricorrenti a tutte l’età, ché esplodono liberi dai preconcetti:”Non potrei rinunciare alla condivisione della scrittura che c’è nel teatro!”,dichiara la giovane scrittrice Renata Ciaravino,invitata a scrivere di narrativa.
    .La condivisione dei media e contaminazione della scrittura creativa è questo il punto focale:perciò, è pertinente al post di Antonella Cilento, che non prende in seria considerazione:e se provassimo,almeno, a trovare delle alleanze creative con gli altri media?
    In questo caso il travaso è la scrittura letteraria teatrale che diventa narrativa;così sarà per la sceneggiatura cinematografica,televisiva,diventare narrativa. I personaggi devono vivere al di fuori della scrittura letteraria,prendere corpo,animarsi,colorarsi,musicarsi e utilizzare scenografie adeguate.Non dobbiamo rimanere antichi: o preferiamo rispondere alla domanda: la narrativa può diventare una scrittura letteraria,implosa in se stessa,destinata a letterati,critici,lettori elitari?
    Volutamente non entro nel merito del racconto di Renata Ciaravino – potevo essere io – ora mi basta sapere che esiste una nuova generazione di scrittori che utilizza la multimedialità Vs la propria creatività.
    Benvenuta Renata Ciaravino, avrai modo di invecchiare attraverso la tua creatività,svincolandoti dal “nichelismo” della tua generazione,di oggi,
    e dal disincanto degli “anzionotti” di ieri.
    Sono d’accordo con Silvia Leonardi ciascuno pensi al proprio Io,e,se possiamo miglioriamoci giorno per giorno,senza pensare da dove veniamo e le delusioni patite;piuttosto è meglio credere, dove vogliamo arrivare:fermamente!
    Questo post si lega bene,secondo me,a quello di Silvia Leonardi,nell’intenzioni,non vi pare?
    Complimenti a Massimo per il filo conduttore e narrativo fra tutti i post.
    Ciao a tutti e buonanotte,
    Luca Gallina
    P.S. non ho tempo per rileggere,speriamo bene!

  25. Caro Francesco, quando mi dicevano che guidare l’autobus è deleterio al cervello se non altro per gli scossoni delle ruote sul selciato, io minimizzavo. Sono uno stolto. Un giornalista che ormai da troppi anni sta seduto su una poltroncina a sbraitare “vai qui, fai così, daje, vaffanculo”.
    Le vibrazioni causate dalla pavimentazione stradale, al tuo cervello hanno causato danni irreversibili. O forse, aimè, è questa “sfaccimma” annata 1954 che è stata contraddistinta da una peronospora cerebrale.
    Sta di fatto che non ho capito “manco l’anima del cazzo” di quello che hai scritto. Probabilmente ho esagerato coi liquorini e con il Percarlo (cercate questo vino su intrnet, almeno capirete qualcosa della vita).
    Ammesso, comunque, che gli estratti di Renata, come me e a Sergio, non ti sono sembrati convincenti, sappi che io e te siamo vecchi. Sergio no, ma è talmente rincoglionito da sembrare più lesso di noi. Probabilmente ci sfugge qualcosa. Ma io sono stato abbastanza esplicito. Auguro a Renata, al di là di quello che penso io, di vendere più copie della saga di Harry Potter,
    @ massimo:
    io ho detto che la rubrica di Moccia la titolo, non ho detto che la leggo.
    Invento “il cuore ti conduce al di là del pensiero”,
    “parole e sorrisi abbracciando l’aurora”, “lacrime di gioia leggendo i diari”, e grosso modo il titolo funziona.
    Federico (che antipatico non è, e nemmeno presuntuoso se non si guasta) cambia cappello allo stesso spaventapasseri

  26. Non giudico un libro che non ho letto. Ma sul lessico, più che un’attenzione al pubblico cui ci si rivolge mi pare doveroso che uno scrittore lo adatti ai personaggi che crea (e tra essi naturalmente anche l’io narrante); e una particolare attenzione a questo mi pare naturale debba venire poi da chi generalmente scrive per il teatro, il cinema, la televisione (se di qualità).

  27. @ carlo:
    Assurbanipàl…scusami ma è l’unico commento che riesco a fare al tuo intervento che non ho capito. Ma a questo punto non ci sono dubbi: i liquori e il Percarlo hanno colpito a sangue.
    ps: ve piacerebbe, eh? posso bere una vasca da bagno di vino e scrivere meglio di Moccia. E mo’ non dite ” e me cojoni” perchè non sareste carini con Federicuccio nostro trottolino du-du-du da-da-da

  28. Enrico,
    Se tu e Moccia faceste il bagno nel vino insieme, lui rimarrebbe quello che e’ (ecchee’, Moccia?) e tu un poeta stile Burchiello. Meglio stare sobri.

  29. Scusate. Riesco a connettermi solo adesso. Un po’ tardi per la verità.
    Vi ringrazio per i commenti. Interverrò con calma domani (credo nel pomeriggio).
    Intanto spero che domattina Renata abbia la possibilità di rispondere alle vostre “sollecitazioni”, sia a quelle critiche che a quelle elogiative.
    Del resto i dibattiti sono belli quando c’è qualcuno che la pensa in maniera diversa da qualcun altro, no?
    Buonanotte.

  30. Buongiorno a tutti avrei voluto cominciare prima a scrivervi ma riesco ad accedere al mio computer solo ora e sono le due di notte e intanto grazie per avere avuto voglia di spendere delle parole sul libro o meglio sugli “estratti”…
    (E’ la prima volta che partecipo a un blog, vediamo cosa riesco a fare)
    Gentile Enrico, la rassicuro subito: non saprò “scuoiarla” e tantomeno voglio. Mi interessa piuttosto raccontare per come posso cosa sono per me quelle parole. Il libro. Quel personaggio. Come parla. E quindi come pensa.
    Comincio ora e continuerò domani. Piano piano. E scrivendo, forse, capirò anche io qualcosa.
    Prima della storia arriva il personaggio. Col personaggio il metro delle frasi. Il vocabolario. E’ un romanzo in prima persona. Una donna della mia età circa. Non posso che accondiscendere – togliendomi – a come lei può o vuole parlare. E’ un personaggio che ricorda cosa significa avere avuto sei, otto, dodici anni. E raccontando mantiene la stessa ingenuità che provava quando, a otto anni, guardando suo fratello chiedere centomila alla madre per bucarsi, pensava che centomila erano tante e che lei “centomila” le aveva sentite nominare solo dal padre quando a fine mese andava a pagare la rata di aiazzone. questo personaggio continua a guardare il mondo tutto sommato come lo guardava allora. Non giudica. Non fa teoria. Guarda la vita accadere bruciando per natura ogni possibilità di commento (morale). Come fanno i bambini appunto. I matti, talvolta. A suo modo è un’idiota. E dell’idiota non ha solo la vita, ma anche la sintassi. Per certi versi: la leggerezza.
    Fosse stato in terza persona forse sarebbe stato tutto diverso. Forse ci sarei stata io…

    Ecco. Adesso sono le tre e undici. Vi auguro buonanotte.
    E a domani.

    ps
    speciale per Silvia L. : il libro è uscito in libreria il 20 ottobre 2007. Parti di questo libro sono nate anni fa. Diciamo che anni fa (due, tre) è nato questo personaggio. Questa persona. La storia invece è arrivata dopo. Quando ho capito di cosa questo personaggio desiderava parlare.
    E io naturalmente.
    Parlare di cosa significa nella vita AVERLA SCAMPATA.
    E se quello che siamo ora è meglio di quello che avremmo potuto diventare. E se quello che avremmo potuto diventare in fondo lo siamo diventati. Perché se cresci in certi posti, in certe famiglie puoi andare dove vuoi ma…

  31. Complimenti a Renata per questo libro che pare molto interessante. Non sempre è facile scrivere con un linguaggio idoneo al personaggio, quando si scrive in prima persona. Ho l’impressione che tu ci sia riuscita. Ma ti dirò dopo che l’avrò letto.
    Ciao
    Stefy

  32. Chi ha vissuto in strada lo sa che le esperienze ti restano addosso come sporcizia sottopelle. Però c’è sempre una possibilità per tutti.
    Auguri per il libro. Ho letto il commento dell’autrice………. fare parlare i personaggi con i loro modi e i loro tempi è fondamentale. Brava, bravissima. E’ così che la scrittura prende vita e i personaggi corpo. Continua a scrivere che sei in gamba.

  33. @Enrico
    Non mi pareva di esser stato tanto criptico. Forse il percarlo (dal nome pare fosse destinato a me: regolati in futuro) davvero ti ha annebbiato non poco. Comunque Renata Ciaravino stessa ha spiegato più dettagliatamente quello che volevo suggerire io nelle mie poche righe: un personaggio pe’ esse credibbile ha dda parlà come magna lui (anvedi: io stesso non ho ancora diggerito la pajata de ieri) . Poi notavo che chi scrive peril teatro dipinge i suoi personaggi SOLO attraverso i dialoghi e quindi è più abituato a questo. E quindi non necessariamente un certo linguaggio viene usato per ‘inseguire un certo pubblico’ (anche se a volte personaggi, storie, ambienti e CONSEGUENTEMENTE linguaggi sono artificialmente sputtanati proprio PER inseguire quel certo pubblico: Moccia ? forse, ma francamente non l’ho mai letto, nè mi va di leggerlo).
    Me sò dde novo reintorcinato troppo (… eh, Nabuccodonosor!) per le tue offuscate meningi ? Prova a rileggermi dopo il caffè con Silvia, ma prendilo amaro e quanto al Percarlo … fai onore al suo nome.
    Oppure vogliamo riaprire una nuova battaglia di Magenta ? (Però il Maugeri ci ha già cazziato perchè non seguiamo il tema iniziale proposto !!!!)
    Ciao Enrì, con affetto.
    Carlo

  34. @ francesco di domenico
    che sei un uomo felice (pardon, sereno) e di sostanza, l’ho intuito dalla prima volta che ti ho letto. Sono felice di avere l’ennesima riprova dalle tue parole. Sei un uomo consapevole e tanto basta perchè tu sappia che non dovevi essere tu, ma ormai ci sei. E ci sei nel migliore dei modi.

    @ Renata
    grazie per la risposta! Credo che il “se” accompagni spesso i pensieri di tutti. Se fossi stato, se fossi andato, se avessi fatto… solo che guarda caso subito dopo aggiungiamo un “ma”: ma sono così, ma non sono andato, ma non ho fatto.
    Quelle che tu vai a esplorare sono ipotesi suggestive, spesso mi trovo a fantasticare ad occhi aperti su vite possibili. Ora, io non ho letto il libro, ma mi auguro che alla fine possa dare a tutti la sensazione che siamo ciò che siamo al di là dei “se” che mettiamo nella nostra vita.

    Un caro saluto e ancora tanti auguri.

  35. Potevo essere io?
    Mi è venuto in mente un episodio che non c’entra con l’ambiente in cui sono cresciuta o con il mio background bensì con un’evento improvviso, inaspettato dove però ricordo benissimo di aver pensato che poteva capitare a me, potevo essere io tra quelle lamiere.
    7/1/2005
    Io e quello che sarebbe diventato mio marito ci siamo presi un giorno di ferie per andare a visitare Verona, io abito in provincia di Bologna (Persiceto) e in treno ci vuole poco più di un’ora. Siamo saliti presto, mi sembra verso le otto e qualcosa.
    Poi mentre eravamo in giro, sotto un sole tiepido, tra l’aria fredda e le vetrine, mentre camminavamo ignari per Verona sono iniziate le telefonate ‘dove sei? State bene? E’tutto a posto?’ ect.
    Noi naturalmente siamo rimaste di stucco. Pietrificati. La mini gita è finita con uno scatto alla prima nebbia in salita.
    Stessa tratta.
    Stesso giorno.
    Solo qualche ora di differenza.
    E potevamo esserci anche noi dentro quei due treni che si sono scontrati. 17 morti.
    Ricordo il ritorno come una mezza odissea tra la nebbia ormai fitta dentro la corriera messa a disposizione da TrenItalia. Stipati e incerti sul quando saremmo riusciti a rimettere piede nelle nostre case. Ricordo la stanchezza, la paura, l’orrore. Ricordo che davvero mi sono sentita nel posto sbagliato. E ricordo si, di aver pensato che bastava poco, proprio un attimo per.

    http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/01_Gennaio/07/ferrovia.shtml
    http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/cronaca/botreno/binliberi/binliberi.html

  36. Scusate, sono andata un pò fuori tema. E’che la domanda iniziale mi ha fatto scattare il ricordo, e devo dire che era un pò che non ci pensavo.
    Buona giornata a tutti.

  37. Caro Massimo, sono daccordo con Enrico. Sergio e gli altri che condividono il nostro pensiero. E’ impossibile che dalla lettura di una smilza paginetta si possa dare un serio giudizio di valutazione su un primo libro. Dopo averlo letto, potremmo almeno sapere, se l’autrice ha ben descritto l’ambiente sociale di cui parla? Se la trama è banale o intrigante? Se l’autrice alterna una scrittura alta o semplicemente quotidiana e colloquiale. Se i dialoghi hanno un mordente che appassiona e coinvolge. Se i personaggi sono ben delineati dal punto di vista fisico e psicologico? Se nella storia narrata vi è un messaggio positivo negativo, nel quale il fruitore vi si possa ritrovare tanto da assimilarlo e farlo suo. Naturalmente a Renata, auguro tutto il successo possibile, la mia non vuo essere una critica, ma solo un suggerimento dettato dall’esperienza. Nel Salotto della Cultura e del Vino dell’Enoteca Italiana di Siena, per oltre un decennio, ho presentato a cadenza mensile, i volumi di noti scrittori come: Francesco Grisi, Gina Lagorio , Gabriele La Porta, Maurizio Maggiani, Ferruccio Parazzoli, Michele Prisco,Walter Pedullà , Paolo Ruffilli, Giorgio Saviane, Gabriella Sobrino e tanti altri. E solo approfondendo almeno le principali opere di ciascuno , si può in parte conoscerne l’anima e azzardare un salominico giudizio critico. Naturalmente, ciascuno ha i suoi gusti e le sue preferenze letterarie, ma se dobbiamo essere degli onesti mediatori fra gli scrittori e il potenziale lettore, la nostra opinione deve essere limpida, attendibile e alquanto circostanziata. A mia discolpa, vi assicuro che sono pignola e rigorosa anche con me stessa. Sono convinta che i giovani vanno sostenuti ed incoraggiati, se poi hanno riposto fiducia in noi e ci lasciano leggere le loro elaborazioni sperimentali, si possono anche guidare nelle letture, per favorire una armonica crescita letteraria. Oggi che è Santa Lucia uno spassoso amico catanese mi ha scritto:-” P. Santa Lucia u iurn cris quant u cuc r cuccia e p Natàl quant un pas r can ” . Massimo illuminami, che cosa è questa – cuccia-? Grazie per l’ascolto della filippica!.
    M. Teresa Santalucia Scibona

  38. Buongiorno a tutti sono le 10:40.

    @Gentile Enrico: buongiorno anche a lei.
    Sono entrata nel cinema, ho visto un quarto d’ora di “sliding doors” e poi sono uscita. Non so, forse avrei dovuto rimanere, ma non mi interessava. Quella sera. Cercare di raccontare che “potevo essere io” non è stato soppesare tutti i SE della vita…. “Se quel giorno fossi andato anch’io in quel tal posto forse…” Questi tipi di “se” sono giochi della mente. “Se quella porta non si fosse chiusa avrei forse potuto…”.
    A me interessava (e purtroppo i famigerati “estratti” tagliano via tutto il resto ahimé) che la protagonista tornasse indietro e scegliesse tra tutti gli altri bambini
    cresciuti con e come lei in un cortile,
    negli anni 80,
    in una periferia abitata da immigrati italiani con figli nati lì, al nord, la cosiddetta “prima generazione”, cioè la protagonista,
    uno e uno solo. Giancarlo Santelli.
    Due premesse simili per un diverso svolgimento. I ( a questo punto due) protagonisti svolgono parallelamente la loro storia. Ma sono la stessa persona. Chi si salva porta con sé l’altro. E viceversa.
    Lei, la protagonista, l’idiota, si attacca a tutto per uscirne viva, per non rimanere a piedi. Lui, l’altro, fa tutto quello che ci si aspetta da storie del genere: devia sempre di più. Carico di odio. Ma quell’odio non è solo suo. Anche se con lui è impietoso. Quell’odio gira come un’epidemia e assume le forme più strane anche nella vita di chi si salva.
    “Potevo essere io” non è solo il sollievo di averla scampata.
    “Potevo essere io” è anche che certe volte viene la voglia di tornare indietro e non essere bravi e non essere giusti e non essere coscienziosi e non volersi salvare e dire subito che la vita non la si sta sopportando, che sta facendo male. Dirlo nel momento in cui accade. Subito. A costo di perdere tutto. E non salvarsi.
    Ma averlo detto. Almeno.
    E a sua volta, l’altro, Giancarlo Santelli, ci prova come può a salvarsi.
    Ma ha presente i personaggi “perduti”, lavorati dentro dal demone che a uscirne, dal nero, non potranno più?

  39. Caro Massimo, è vero che in editoria accadono incontri che restano e che a volte si trasformano in libri. Giulio Einaudi parlava spesso della “felicità di fare i libri” e se posso aggiungere qualcosa a quel che ha già molto ben detto Antonella Fabbrini, l’Editore della collana che seguo da un paio di anni, vorrei dire questo soprattutto. Che “pop up” è un luogo dove cerchiamo di accogliere e curare con grande amore e passione gli autori esordienti in cui riconosciamo una voce. Una voce narrativa autentica. Che sappia raccontare storie in cui, noi ragazzi degli anni Sessanta e dintorni (ma non solo noi), possiamo riconoscerci .È una collana unica nel suo genere perché è dedicata appunto solo a nuovi autori. Ci sono stati antecedenti illustri, tipo i “gettoni” di Vittorini e compagni di strada che riconosciamo vicini, penso alla collana gli “intemperanti” di Meridiano Zero, per esempio. Ma l’idea di dar voce e spazio a nuovi autori, da parte di una casa editrice piccola è sempre molto più che un atto di coraggio. È quasi un sogno ad occhi aperti. Non so quanto durerà, ma fino a quando ci riusciremo, le vetrine belle ed aperte e libere come la tua sono un dono. Quindi Grazie davvero, chiunque sia intrigato dalla collana, dall’idea, dalle copertine che riproducono sempre opere originali di giovani artisti contemporanei, oltre che cliccare su “pop up” on line, vada però anche in libreria e li richieda, se non li trova esposti.
    I libri vivono tra le mani di chi li legge, fateli vivere, allora, e buona lettura a tutti. Manuela La Ferla

  40. @ Renata Ciaravino:perché non fai un salto sul post dedicato a “Bambine, fra letteratura e vita”? Un tuo contributo sarebbe prezioso. Ciao, con affetto, Miriam Ravasio

  41. @ Renata:
    se sei d’accordo passerei a darci del “tu”. se non sei d’accordo me ne accorgerò dalla tua replica.
    Dunque, dovevi rimanere a guardare “Sliding Doors”?
    Non so, diciamo che andare al cinema non è come essere agli arresti domiciliari per cui, se uno non resiste, è libero di uscire e andarsene altrove. La mia opinione è che non ti sei persa un capolavoro. Certo, se fossi rimasta a guardarlo, lo avresti capito. Esattamente come io, se leggessi tutto il tuo libro, capirei di più al di là dei brevi stralci qui riportati.
    Le tue spiegazioni, comunque, mi hanno in qualche modo fatto comprendere qualcosa in più circa la genesi del tuo libro.
    Peraltro voglio sottlineare che io non ho detto né pensato che sia una bufala. Credo che nessuno possa esprimere giudizi oggettivi e insindacabili. Ho detto semplicemente che, leggendo questi passaggi, il tuo libro “non mi arriva”. Ma se arriverà a migliaia di persone ne sarò felice per te. E ovviamente te lo auguro.

  42. Mi permetto, pur da assoluta neofita, di dire la mia.
    Ho definito “estratto” la parte del libro proposta perché solo questo poteva essere, in un blog; e questo è.
    Un saggio, un “assaggio”, del tutto. Non c’è –ovviamente- alcuna pretesa di completezza. Sarebbe una contraddizione in termini. C’è la voglia di proporre un lavoro, di far sapere che esiste e che, con grande approssimazione, parla di …
    Il materiale è sufficiente per incuriosire o no. Non è abbastanza per giudizi complessivi, più o meno generosi.
    Ciò che mi fa dire che leggerò questo libro è la prima, primissima impressione ricevuta. Traspare un’emozione poco filtrata, immediata. Restituita con una forma altrettanto poco –apparentemente- limata.
    Con questo non dico che manchi una volontaria “costruzione” del testo in questo senso. Che non ci sia, all’origine, la scelta di un target di riferimento. Può darsi, ma a me poco importa. Ne sono incuriosita. Leggerò, un po’ con i miei tempi 😉 e poi saprò dire.
    Ogni fortuna, in ogni caso, all’autrice.

    @ Francesco, grazie per il benvenuto.

    E grazie per l’ospitalità al padrone di casa.

    Marcellina.

  43. @marcellina
    grazie per la fortuna. veramente.
    @enrico
    enrico ciao. Possiamo sancire che gli estratti ci portano di qua e di là piegandoci un po’ la testa? Detto questo mi rimetto totalmente alle impressioni che umanamente danno i pezzi di cose/persone che intercettiamo intorno a noi. Tutto ciò ha una sua parte di divertimento.
    Come quando intercettiamo un dialogo per strada e apriamo una nostra storia parallela e certe volte non ci importa se alla fine le due storie non combaceranno… Noi immaginiamo.
    Un abbraccio. r..
    @miriam
    Lo farò sicuramente. E grazie per questo invito.

  44. Quando si nasce in certi posti, in certe strade, qual è la molla che può salvare una vita in bilico e cos’è che la fa precipitare? Chi si salva, davvero si salva? O è destinato per sempre a portare con sé quelle facce, quelle urla, quelle strade?

    Vi invito a discutere di questo libro e a riflettere sul titolo.
    Potevo essere io.

    Scusate, una volta tanto che sono serio – lasciando la professione di cattivo a Gregori
    che se bevesse Falanghina flegrea sarebbe sicuramente più lucido (piantala di bere vini chic, appena vieni a casa ti faccio flebo di Solopaca nero e ti faccio ricordare i bei tempi)-
    ma Massimo, che puo avere fatto un leggero errore a dar poco del tomo Ciaravineo, non aveva detto che il tema non era solo il libro ma i quesiti che poneva?
    Io penso che esista il Dio di cui parla continuamente il vescovo di Enrico, quel Peppino Razzinger che ultimamente scorazza per Roma su di un fuoristrada bianco.
    Credo che ci sia un’ineluttabilità dell’universo e che Sozi doveva finire in Slovenia e Gregori incatenato all’urbe; che la loro condizione sociale, fisica e politica di partenza fosse ininfluente (come pure la mia), che tutto è mal…benedettamente deciso da una matematica superiore, altrimenti ci sarebbe il paradosso di Russel, e tutti noi potremmo aver potuto modificare la nostra vita e gli eventi (ma fosse il paradosso di ritorno al futuro?).
    Sergio Sozi, ti prego non mi lasciare nelle mani di Enrico, avrà sicuramente una pistola puntata, conosco i tipi!
    @Renata Ciaravino,
    comunque vada ti vogliamo bene, dall’etilismo etimologico nel cognome.
    @Silvia,
    dire ti voglio bene sarebbe riduttivo, dire “ti amo”, sarebbe compromettente e farlo in pubblico mi coinvolgerebbe ancor di più come target della pistola soprastante.
    @ A tutti,
    Scappo al “Maschio Angioino, dove un napoletano, primo al mondo, presenta tre (3) libri contemporaneamente. Si tratta di Pino Imperatore e della sua trilogia umoristica: ne saprete di più a gennaio (ma il Guinnes è seriamente interessato alla cosa, ciao).

  45. Cara Renata, sentiti auguri per questo tuo libro che ha l’aria di essere molti interessante e diretto. A me è arrivato. Ed è arrivato bene.
    Smile

  46. elektra grazie…
    apro il blog ogni tanto, sono nella sede della mia compagnia.Stiamo allestendo la sala prove che stasera presentiamo informalmente il libro. Leggiamo alcuni “estratti” poi c’è musica e un po’ di vino… Capisco in questi giorni che non è facile presentarlo un libro… stasera proviamo con la leggerezza no anzi l’immediatezza no anzi… col teatro che lo capisci subito a fine spettacolo se arriva o non arriva un testo. Ma la gran cosa della drammaturgia è che puoi passare una vita a ritoccare quello non funziona, a riempire ciò che manca. Cambia il testo con te fino a che un giorno è lui a respingerti perché tutto si è calibrato ormai, e Lui non vuole più essere toccato.
    Se qualcun* è di Milano è naturalmente benvenut*…
    Un abbraccio

  47. Francesco Dido’: tranquillo, non sei nelle unte mani del Greg! Io vigilo sulla tua salute mentale – e intanto rovino la mia col Rosso di Montefalco! Prosit! e… buone risate al Maschi Angioino (ma dopo ce ne devi parlare, senno’ abbandono la piazza e il Greg…)
    Sergio

  48. La scrittura di Renata mi parla del mondo in cui vivo non cercando di evitare i particolari, un po’ di squallore, le cose concrete dei giorni, le parole veramente dette, eppure è come se dall’impaccio dei nostri antierosimi nascesse quella risata di quando si guardano i clowns. E poi dopo aver attraversato con leggerezza e morbosa curiosità le esistenze che lei racconta ecco che quando dobbiamo accomiatarci si apre una crepa e appare la tragedia senza essersi fatta annunciare da tappeti rossi. Appare come l’alba che prima non c’è niente e poi c’è tutto il sole e non ti commuovi ma ti scoppia il pianto, tutto in una volta con un po’ di meraviglia, perché il fatto di aver seguito i personaggi nelle loro vite piccole e uniche come la tua non ti ha fatto restare lontano anzi ti sei legato ancora più stretto con un affetto profondo una compassione dalla pancia uno struggimento per loro e per te. Nel cortile del mio palazzo c’era un albicocco. Non faceva quasi frutta, ed era spelacchiato perché aveva radici nell’aiuola, però faceva qualche fiore a primavera. Poi l’hanno tagliato. Non si può parlare di niente di grandioso, ne l’albero né io né il palazzo lo siamo. Ma io ho provato il senso di avere un buco dentro e mi è venuto da piangere. E come posso non ringraziare chi con la sua scrittura sa raccontare e evocare in me, tutte quelle presenze che si sono trasformate in mancanze?
    valeria t.

    E voglio lasciare questa citazione che per me racconta in modo perfetto ciò che vorrei dire sul legame fra ciò che si dice alto e ciò che si dice basso:
    “Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l’eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.”
    Christos Yannaras

  49. @ Dido’
    “Scusate, una volta tanto che sono serio”, ci ha detto Francesco Di Domenico.
    Bene, probabilmente mi sono distratto ma nel suo intervento vedo tanta serietà, quanta bellezza vedo in Tina Pica.
    Non sono obnubilato dai miei vini chic, ma ti preannuncio che il tuo Solopaca nero lo puoi regalare al “mio” Peppino Ratzinger quando dovrà procedere al rito del lavaggio dei piedi.
    @ Renata:
    sai che c’é? tu in questo tuo libro “ci sei?”, insomma, ti ci riconosci? rispecchia (o rispecchiava) in qualche modo come pensi, come parli, come cammini, come mangi, come sorridi, come piangi e come trombi?
    Be’, se la risposta è “sì”, allora è un libro ben fatto e che ha significato.
    Il resto è questione di gusti. Fregatene!

  50. @Maria Teresa Santalucia Scibona.
    Carissima, da vera siracusana che oggi festeggia la patrona con tanto di processione e fuochi d’artificio, ti dirò cos’è la “cuccia”.
    Permettimi anche un accenno alla tradizione facendo un …passo indietro.
    Precisamente al 13 dicembre del 304 dc quando, subito dopo la morte della santa , Siracusa era in preda ad una furiosa carestia.
    Si narra che la popolazione si rivolse alla martire per essere tratta in salvo dalla fame.
    Ed ecco, nel porto piccolo comparvero navi di incerta provenienza e velate da nebbiume notturno. Scaricarono nel porto un carico di grano e scomparvero, ingoiate dai fumastri dell’alba incipiente.
    La città era salva.
    Da allora in poi ogni 13 dicembre si prepara la “cuccia”. Un dolce di frumento ammollato nel latte che è d’obbligo offrire ai vicini di casa e ai parenti in memoria di un’antica condivisione e di quel carico misterioso che trasse tutti in salvo.
    Nell’antichità veniva sparsa a frammenti anche nelle stalle, sui davannzali e nei tetti perchè anche gli animali se ne potessero cibare…
    Come quella notte anche oggi nuvole si addensano sulla città, un tenebrore l’avvolge.
    Ma abbiamo tutti preparato la cuccia e l’abbiamo avvolta in nastri colorati.Chissà che, come allora, il cielo non si apra, il tepore riscaldi la terra e raggi sciroccosi illuminino la folla che serpeggia tra le vie gridando:”viva Santa Lucia!”

  51. Grazie a Simona da Sergio per questo particolare storico-tradizionale su Santa Lucia. Auguri a tutti i siracusani – anche il mio amico Santonastasio lo e’ e ora sta festeggiando con tre grappe diverse (e un po’ di ”cuccia” tanto per non esser blasfemo).
    Sergio
    P.S.
    Stasera leggero’ con piu’ calma il tuo racconto su Simona-Elsa. Non scomparire, cara Simona.

  52. Gregori e Sozi, i ‘malcontenti’ dell’antipasto ciaravineo, hanno manifestato una perplessità che proverò a spiegare con la mia esperienza unendomi idealmente alla Renata. Che l’ambiente condizioni è innegabile a tutti, almeno in partenza, e non avete idea di come l’atmosfera umida e fredda di Milano si possa appiccicare addosso e vestirci di una cappa tipicamente milanese che può lasciare freddi gli altri. La Renata, secondo me, da quello che ho sentito, esprime molto bene questo e lei stessa si rende conto di essere incompleta, come una piece da rifinire, perfezionare, perché possa trovare una strada precisa che porti da qualche parte e non mille strade uguali che ti fanno girare sempre in tondo, come una formica prigioniera in un bicchiere capovolto.
    Potevo essere io diventa un quesito relativo dove la vita che passa ti lascia, in ogni caso, con un pugno di mosche (dal punto di vista affettivo e di vita vissuta, perché, per lavoro e soldi, Milano è imbattibile).

  53. @ gianmario:
    non far passare me e sozi per i killer di Renata, ti prego!
    Credo di essere stato molto chiaro circa le mie impressioni e non sottovaluto affatto il libro. Non so dirti se c’entra o meno Milano (ma credo proprio di no), il fatto semplicissimo e assolutamente superfluo è che, almeno leggendo qui brani scelti, il libro lo sento remoto dalle mie corde. Il ché non toglie nulla al lavoro di Renata, anzi….
    🙂

  54. @Sergio Sozi,
    mi associo a te nei complimenti a
    @Simona. Veramente pittorica la gouache che hai disegnato: le tradizioni popolari sono la colonna vertebrale della memoria, e la memoria è cultura: Viva ancora Santa Lucia!
    @Sergio, di questa trilogia divertentissima ne parlero con calma a gennaio, sempre che il PadronCortese Maugeri sia d’accordo.
    @Enrico,
    vedo che ha cominciato a comprendere che vanno prese delle distanze dott. Gregori (“ma nel suo intervento vedo tanta serietà”), nella prossima missiva può anche darmi dell’ “Ella” (linguaccia da cartoon della Warner – che detto da un disneyano come me dovrebbe risultare offesa ineguagliabile):
    Ma perchè, tirare in ballo il “Creatore”, per l’ineluttabilità dei destini è una comica da Marx (Groucho)?
    Io ci credo che tutto è scritto! Tu quantomeno opina, non mi lasciare nell’inedia del superficiale silenzio!
    Maledetto beone!

  55. @Gianmario,
    Un po’ sono d’accordo con te sull’ambiente, quello condiziona molto le anime (così come sono ineguagliabili l’umorismo milanese e gli ambienti francesi di Simenon) però Sozi & Gregori li devi prendere cosi: Dobermann dell’esegesi.

  56. Caro Gianmario,
    francamente, la milanesita’, la romanita’ o la napoletanita’ e via dicendo, non sono i requisiti che io considero per stabilire la validita’ di un’opera letteraria. Il discorso, a mio avviso, e’ un altro e concerne l’uso della lingua italiana, che puo’ esser personale e forte o anonimo e mediocre; poetico o prosastico; alto o basso; eccetera. Inoltre le opere narrative a sfondo autobiografico-sociologico, tranne che in rari casi, non mi interessano. Sono un antirealista fervido, come tutti sanno. E considero la scrittura un’arte che deve far (seppur in svariate maniere e con infinite sfumature) sognare il lettore, non ripetergli quello che gia’ sa o quello che gia’ vive o ha gia’ vissuto.
    Per questo ultimo fine (parlo sia da lettore che da scrittor-ucolo) esistono fonti informative d’altro tipo: gli amici, i familiari, i compagni di scuola o i vicini di casa, la stampa quotidiana o i telegiornali. Soprattutto esiste la nostra propria vita, il nostro passato, che considero cosa da dividere con persone veramente amiche e note, non con ignoti lettori o con ignoti autori.
    Insomma, il rapporto di pseudo confidenza lettore-autore che si trova in molti libri del genere sullodato, mi sembra il piu’ delle volte abusato, abusivo nonche’ fuori luogo. A meno che non sia una grande personalita’ scrittoria e umana a parlare – ovvero a scrivere. Di Roma, Palermo o Trento, poco importa.
    Naturalmente quanto fin qui detto non va riferito al libro di cui all’oggetto, quanto piuttosto ad una infinita congerie di opere ad esso affini se non peggiori: cose a meta’ via tra la confidenza bisbigliata all’orecchio e la retorica del ”parlare delle vite bruciate”. Per parlare di questi problemi italiani, basta Pasolini, coi ”Ragazzi di vita” e con ”Una vita violenta” (libri che non reggo) ad esprimere tutto il disagio, la solidarieta’, eccetera, verso i piu’ deboli e denigrati: dopo, il filone si e’ fatalmente esaurito. Nonostante cloni e microscopiche varianti. Dopo sarebbe dovuto esser stato il caso di scrivere d’altro e cominciare a cambiare VERAMENTE le condizioni mentali, economiche, ambientali e culturali delle nostre periferie e/o ghetti urbani. Invece no: continuiamo a scriverne. Scriviamone pure. Ma io leggo altro.
    Senza nulla togliere a chi la veda diversamente da me. Anzi, con vera stima. Umana.
    Saluti Cari
    Sozi

  57. Grazie mille per i nuovi commenti.
    Francesco Di Domenico giustamente ha tentato di rilanciare gli interrogativi evocati dal libro di Renata.
    Grazie Francesco!
    Li ripetiamo (per chi si fosse messo in ascolto solo adesso… si fa per dire, eh?):
    1. Vi è capitato mai – di fronte a una situazione che ha coinvolto qualcun altro – di dire a voi stessi: potevo essere io?
    2. Quando si nasce in certi posti, in certe strade, qual è la molla che può salvare una vita in bilico e cos’è che la fa precipitare?
    3. Chi si salva, davvero si salva? O è destinato per sempre a portare con sé quelle facce, quelle urla, quelle strade?
    Secondo me sono belle domande.

  58. Due domande per Renata (curiosità personale):
    a) da dove nasce la tua passione per il teatro? Mi racconteresti il percorso che ti ha portato alla fondazione della Compagnia Teatrale Dionisi?
    b) com’è, a tuo avviso, lo stato di salute del teatro italiano oggi?

  59. Certo, Massimo: nessun’opera e’ inattaccabile e nessun’opera e’ censurabile in toto. Pero’ tutto e’ criticabile – con il dovuto rispetto umano: quello che porto a chiunque non si macchi di crimini tremendi – ma parliamo d’altro, no? Questa e’ solo critica letteraria, anche se piccola e misera. Niente piu’.

  60. Sergio, quell’ “ognuno regge ciò che è in grado di reggere” era riferito alla tua battuta su Pasolini (altra figura che divide, ancora oggi). Ma mica ti stavo criticando… non fraintendermi. Era solo una considerazione.
    ll diritto alla critica esiste ed è sacrosanto. Poi, si può essere d’accordo oppure no.
    Io per esempio non digerisco le storie rosa.
    Però su Pasolini, prima o poi, ci torniamo. Secondo me ne verrebbe fuori un bel dibattito. Che dici?

  61. Invece leggendo i commenti precedenti mi verrebbe voglia di scrivere qualcosa sul rapporto tra forma/stile/linguaggio/storia (o plot), e delle differenze tra la letteratura italiana contemporanea e quella straniera. Solo che sono troppo stanco. Magari domani scrivo due parole.

  62. Non vedo l’ora. Me lo deve – pace all’anima sua – per quel ”Salo’ o le 120 giornate di Sodoma” che mi fece subir… ehm vedere al cinema. Non vedo l’ora. Che strana persona, Pasolini: candido come ”la ricotta” e profondo come ”Il Vangelo secondo Matteo”, contorto ed irrisolto come ”Uccellacci…” e mirabile esegeta come il ”Decameron”. Poeta sublime e narratore decadente e morboso. Un ”personaggio”, eh?

  63. Sì, un personaggio… nel bene e nel male. Allora prima o poi torneremo a Pasolini (anche se, lo ammetto, sul Pasolini regista non sono molto ferrato).
    Ma stiamo andando fuori dai temi del post.
    Ed è colpa mia.
    Scusate.

  64. Massime’: altro che ”due parole”! l’argomento forma-contenuto e’ magnifico e se non ci scrivi quanto meno un post diviso in ventinove ”stanze” sei… sei stanco!
    ‘Notte, vecchio nostro!
    Sergio
    P.S.
    Spero di non aver offeso nessuno, prima. Comunque scuse anticipate alla signora Ciaravino: mi capisca, signora, sono troppo intinto in minestre eminestroni letterari devianti e immoralistici come ”Identita’ distorte” o ”Un te’ prima di morire” per poter parlare razionalmente di qualcosa. Baciolemani (a lei, non a Maugger, eh!).

  65. Cacchiolini! Mi butto sul tosco immediatamente. Addio! (a proposito: ho capito perche’ lo mandano in onda su un canale importante: se no come farebbe Sermonti a stroncarlo dopo?).
    Vacci anche tu, suvvia, Massime’!

  66. Avviso ai naviganti: su Rai uno c’e’ ancora un povero demente che dice ad altri suoi simili: ”Attenzione, momento importantissimo: adesso vediamo quanto vale l’identita’ del capostazione, ammesso che egli lo sia…”
    Aspettate ancora tre minuti prima di accendere il tubo catodico per rinascere con il Sommo Poeta e il Benignaccio nostro gagliardo e tosto.

  67. Dunque faccio un secondo avviso ai naviganti:
    ieri mattina avrei intervistato telefonicamente qualcuno di importante della nostra Letteratura. L’autore della ”Notte della cometa” per intendersi! Ma il registratorino mi ha tradito e… nei prossimi giorni ci riprovero’. Porc…
    Ma qui si devia troppo, eh! Va be’: scusate: che si torni alla Renata Ciaravino. Questo spazio e’ il suo. E delle belle domande poste poco sopra da Massimo Maugger.

  68. caro Massimo,
    solo due post ai molti post, sono un po’ siracusana anche io, dato che son cresciuta ad Augusta, mi piace ricordarlo qui dato che oggi avete parlato più volte di Santa Lucia. Anche se con il libro non c’entra nulla, c’entra con il tuo bellissimo blog che è pieno di gente vera che è più vicina alla vita che alle parole vecchiotte di noi editoriali. E poi volevo ringraziare Valeria T. non so chi sia, ma scrive benissimo. Grazie per quel che scrive e soprattutto per come lo scrive. Quel che scrivi tu, invece, Massimo, sulla differenza tra narrativa italia e straniera, oggi, sarebbe davvero un discorso da affrontare, ma sono molto stanca anch’io adesso, ne riparliamo, ok?
    Spero la presentazione di Renata sia andata come doveva, io ero a Milano ieri, ma oggi son dovuta tornare a Firenze, spero che lei ci legga e ci racconti in diretta dal tuo blog, domani…
    ‘notte Manuela

  69. Massimo è una persona sorprendente per la sua capacità (quando vuole) di riaccendere il dibattito o anche (sono cattivo) perchè non vuole lanciare un nuovo post.
    1) Il teatro
    2) Pasolini
    Ricordo quella mattina di novembre, domenica mattina. Mi chiama mio cugino Giuliano “Francè?”
    “Giù?”
    “E’ morto Pierpaolo!”
    Chi cazzo è sto Pierpaolo pensai; mentre mi rivoltavo tra le coperte mi cadeva dal comodino “La stanza del Vescovo” di Piero Chiara; a Napoli ci sarebbero state venti persone negli anni ’70 che si chiamavano così e io non ne conoscevo nessuno.
    “Pierpaolo chi, Giù?”
    “Francè, Pasolini, eh che cazzo?”
    Robba da ricchioni, pensai, ma non lo dissi, Giulio era, è, un delicato intellettuale che si occupava, si occupa di teatro.
    Poi cominciai a rileggere le “cose” di Pasolini, guardai pezzi dei suoi film (interi erano e restano inguardabili e tristi), riandai ai brani corsari del “Corriere”, quelli della grande direzione di Piero Ottone e mi pentii riconsiderando l’epopea magica di questo grande provocatore che, e non erano ancora gli anni ’70, disse di buttare giù dalle finestre i televisori; parlò del “Palazzo”, inventando un neologismo ormai storico;
    aveva già parlato, poeticamente di ecologia, prima di tutti quei “Pecorari” che si sciacquano la bocca con la natura, difendendo natura, cultura popolare e tradizione con lo stupendo “Transumar e organizar”; aveva difeso la democrazia della legalità difendendo i poliziotti di Valle Giulia “figli di proletari, contro figli obesi della borghesia”.
    Ci sarebbe poco da aggiungere (con molta presunzione) su uno dei monumenti dell’intelligenza del ‘900, ma sono stanco e vado a dormire, domani se possibile parliamo anche di teatro che è fratello della letteratura.

  70. @ Francesco Di Domenico:
    Potrei dire che: se non fossi bravo non saremmo qui!
    Ma siccome, a differenza tua (che sei cattivo), sono buono… non lo dico!
    😉
    Non ti “squadernare la testa”, come direbbe il personaggio di Renata. Domani sera ci sarà un nuovo post: tre a settimana, questa è la regola.
    Ma il dibattito qui continua!
    Parliamo di teatro, sì.

    E prima o poi torneremo a Pasolini (mi prefiguro già la sfida Sozi/Didò).

  71. cari tutti
    la presentazione è appena finita.
    domani che è l’ultimo giorno blog scriverò di più.
    Intanto buonanotte.

  72. Ho letto nuovamente l’estratto “Telefonare” del libro di Renata. E allora ho compreso meglio il requisito della milanesità o, comunque, l’enorme differenza con la “romanità”.
    Il personaggio di Renata, infatti, in piena notte entra nella prima cabina telefonica che trova e…telefona!
    Se ambientato a Roma, in effetti, quel brano avrebbe avuto necessariamente stesura diversa. Tipo:
    entrai nella prima cabina telefonica che trovai. ‘Tacci tua, ma ‘ndo sta ‘a cornetta? Ci avevano lasciato solo la tastiera a simulacro di quel che fu oggetto di comunicazione.
    Ma con la seconda non andò meglio. In teoria non mancava alcun componente. Ma la cabina campeggia proprio sotto casa della signora Pizziconi. Ma come pretenni che possa funziona’ quer telefono! Ogni tanto er fijo d’a Pizziconi lo sfonna a carci pe’ fregasse li sordi. E poi se va a buca’.
    E cammina, cazzarola, cammina.
    La terza cabina ti rifiuti persino di verificarla. Apparentemente sembra a posto. Ma come fai a entrarci?
    Sembra che ci abbiano pisciato dentro tutti i militari della caserma limitrofa dopo aver mangiato uno sformato di asparagi e cipolle.
    Dovresti entrarci con la maschera antigas, ma poi, ammesso che quello stronzo ti risponda, come ci parli?
    E cammina, aricazzarola, cammina.
    L’ennesima cabina…oddio, ma che a Roma c’è il terremoto?
    Occhi ai palazzi, occhi agli alberi. Tutto fermo.
    Ma allora perché quella cabina sembra attraversata da un sisma dell’ottavo grado Richter?
    Ah ecco, ci si è chiusa dentro Barbara, detta “aspiratutto”, con un cliente. Vabbè, si sta in piedi e viene come viene. Ma per 10 euro che vuoi, pure il bidet?
    A forza di cammina, cazzarola, cammina, ti accorgi che sei sotto casa di colui al quale volevi telefonare. A quel punto, perso per perso….ma sì.
    “OOOOOOOO, OOOOOOO, AOOOOOOO”
    Al decimo urlo…incerto balbettante scricchiolante artritico rumore di serranda che si solleva.
    “E mo’ chi cazz…ao’, ma sei te? Ma che sei scema?”
    “Sì, sì sono pazza. Pazza d’amore per te. Ecco…”
    “De che?”
    “E te lo volevo dire”
    “Dimme che?”
    “Che ti amooooooooooo”
    “A quest’ora?”
    “Ma perché, c’è un’ora per dirsi ti amo?”
    “Nun lo so. Ma questa è l’ora pe’ ditte d’anna’ affanculo!”
    La serranda, miracolata, si chiude di colpo.
    Cammina, cazzarola, cammina
    🙂

  73. @ Massimo, in relazione alla tua domanda:”chi si salva, davvero si salva?”
    Credo che in situazioni di emarginazione sociale e umana si salvi chi coltiva la speranza.
    Chi, nel marasma delle insicurezze generate dalla mancanza di punti di riferimento, trova una voce che incoraggia, non abbatte.
    Che crede in te.
    Ho avuto spesso modo di notare nelle mie esperienze di volontariato nella scuola soprattutto con bambini portanti un “handicap sociale” (così si definiscono i bimbi nati in famiglie già segnate da gravissime carenze educative o perchè inseriti in contesti di delinquenza o perhè privi di figure genitoriali salde: per esempio recluse per detenzione) che i piccoli, sia pur trafitti, rispondono benissimo alla sollecitazione alla speranza e alla gioia.
    Un progetto che abbia un domani, un gioco lasciato in sospeso per essere ripreso, un dono che gratifichi uno sforzo, li conquista in modo travolgente, li riempie e li rafforza.
    Spesso torna il sorriso su faccette rabbuiate, o la capacità di fare progetti per se stessi, per un domani che nessuno gli aveva insegnato a credere possibile.
    I veri miracoli del cambiamento sono i frutti della fiducia.

  74. @Renata:
    scrivere dialoghi realistici, dando loro il tono giusto, aderente all’età degli interlocutori, non è facile.Ma credo che tu ci sia riuscita, perchè tutte le assonanze del tuo testo fanno entrare nei pensieri e nelle imprevedibili sensazioni di una bimba di quell’età.Pare di pensare con la sua testa. E, questo, in letteratura non è facile nè scontato. Credo che il teatro ti abbia positivamente influenzata, perchè hai riprodotto sulla carta proprio le inflessioni di una parlata vera, convincente. Brava!

  75. @ Enrico…anche in Sicilia sarebbe stato improbabile il dialogo.Prima avresti proprio dovuto trovarla, una cabina!
    Il tuo racconto è esilarante!Bravo!

  76. @ simona:
    ‘na cosetta ar volo.
    Mi secca di solito invadere gli spazi altrui con produzioni personali, ma voleva essere un piccolo omaggio a Renata nella speranza che ormai abbia compreso che il suo libro lo trovo valido a prescindere dai miei gusti.
    Vorrei fare un esempio paradossale. Non mi ha mai coinvolto Boccaccio, eppure lo ritengo un Sommo. Ovvio che se uno scritto, un film, un quadro o una canzone ti “prendono” anche è meglio. Ma, a costo di ripetermi alla nausea, qui abbiamo letto poche righe del romanzo di Renata. E’ come vedere di una persona solo le scarpe e decidere se per te è vestita bene o male.

  77. Ma è così per tutti. Comprendere che una cosa è bella o valida non vuol dire necessariamente “sentirla”.
    Anzi, se ritenessimo bello solo ciò che “sentiamo” nostro, sarebbe riduttivo!Come dire che è bello solo perchè ci piace!

  78. @ silvia:
    ooooooo, tesorooooooooooo, ma già il fatto che l’abbia apprezzato tu mi riempie il cuore di felicità. Una felicità che deve farsi largo tra l’immenso amore che provo per te.
    ps: post a beneficio di eventounico
    🙂

  79. C’e’ un ”bello oggettivo” (storico, tramandato, collettivo, cumulato) e un bello soggettivo (cio’ che piace al singolo uomo). Il critico li unisce e scrive le recensioni.
    Sergio

  80. Ma il “bello oggettivo” può essere codificato a causa di una serie di “belli soggettivi”. E peraltro sono in sintonia con quei critici che ti aiutano a “inquadrare” un’opera. Non con quelli che tendono a fartela piacere per forza o, viceversa, disprezzarla.

  81. Carissima Simona, grazie della tua poetica descrizione della “cuccia”.
    mi hai fatto venere un certo languorino..Amo molto la cucina siciliana, ho anche tentato di fare qualche vostra pietanza, che mi ha insegnato mia cognata, lei abita a Valguarnera e cucina divinamente! Noi però, siamo
    venuti solo d’estate a trovare la nostra folta tribù e non ho avuto modo
    di conoscere questa delizia tradizionale, che è ancora più preziosa per la
    sua valenza storica.Come i famosi pani di San Giuseppe che ogni famiglia
    prepara in paese anche per i più poveri.Siete un popolo meraviglioso.Il cibo preparato , con amore e passione, è una super letteratura……
    Se nei giorni festivi mangerai le cassatelle al miele con la ricotta, pensami. Se clicchi su http://www.valguarnera.com sezione da leggere, troverai i miei testi dedicati all’amata Trinacria.Un radioso saluto e ancora grazie
    Maria Teresa Santalucia ( non ancora martire…ma sulla buona strada..)

  82. @ Sergio. Sottoscrivo in pieno tutto quello che mi hai risposto ieri, anzi sembrava scritto da me. La mia osservazione sulla ‘milanesità’ voleva solo richiamare l’attenzione su ciò che può dare una impronta che, per altri che non l’hanno vissuta, può risultare non gradevole. Questo vale anche per i grandi: così mi ero permesso di definire ‘troppo isolano’ il grande Verga e, sono convinto, una prima lettura dell’arci romano Belli
    potrebbe infastidire molti. Poi, si tratta di vedere se l’autore comunica qualcosa di più dell’ambito ‘del suo piccolo villaggio’, qualcosa di più universale. Se decide insomma di forzare le sliding doors (bell’idea quella del film) scorgendo altre prospettive (non è detto che siano di dannazione, ma almeno di riflessione) o appagarsi. Ma qui siamo di nuovo a Silvia Leonardi! Un ultima cosa, per il Massimo: mi sembra che stia mettendo un po’ troppa carne al fuoco, per noi, perché lui…svicola
    (distrutto?). Ciao a tutti.

  83. buongiorno a tutti.
    dunque.
    ciò che coinvolge e ciò che no. come non dire che certo è vero che coinvolge ciò che coinvolge ed è la differenza di quando la letteratura diventa il pane e di quando diventa un libro in seconda fila nela tua libreria, diceva rilke no? che fa bene tenere solo i libri che hanno contato qualcosa e hanno contato perchè sono diventati la mappa delle tue umiliazioni e fallimenti, diceva lui: tenere solo “quelli” e non tutti quelli che ti sei comprato con la feltrinelli card che ti hanno regalato, lui se li portava sempre in giro, nei viaggi, quando sapeva che sarebbe cascato dal dolore e allora ce li aveva lì per riprendere il filo delle cose. E vale anche quando scrivi. Scegli di scrivere con quel fiato, quelle parole, quegli andamenti, perché ti sembra giusto così per esempio se parli di bambini, se cerchi di tirare fuori quella sconnessione sublime delle loro valutazioni sulle cose. Scrivi questo ma poi magari leggi tutt’altro. Perché quando scrivi volendo raccontare una storia e non te stesso fai delle scelte. Non so chi chiedeva se il libro contiene anche pagine alte o solo dialoghi da strada, da target preordinato… ma si dai, sono estratti di estratti di vita di un personaggio, questo possiamo darlo per dato no? Però Moccia no, e non ho niente contro di lui perché sono laica, però Moccia no, che non è che se scrivi di bambini o adolescenti scrivi per forza di problemi tipo: a che ora è meglio chiamare il mio lui perché lui mi risponda e soprattutto mi dica “si, si dai usciamo… ”
    Qui si parla di bambini. Quelli che si sono fatti da padre e da madre.
    E non c’entra niente (chi è che lo diceva?) con le vita violente, i ragazzi di vita. In “Potevo essere io” non c’è estetica della dannazione. Non ci sono demoni. Tanto meno angeli. Non mi interessa. Ci sono delle persone.
    E soprattutto ci sono io che ricordo tutto per filo e per segno delle cose che sono accadute, di ciò che mi raccontano, di ciò che inavvertitamente ascolto. E il basso profilo della scrittura di quegli estratti è un modo per non cedere alla tentazione di entrare io “col senno di poi dello scrittore” che “già sapendo” giudica e cerca di educare il lettore, e infila le sue summe tra un’azione e l’altra… E anche questo poi è relativo. A me essere educata da Dostojevskij è sempre piaciuto… DIpende forse dalla storia che vuoi raccontare e se vuoi andare dritto o invece vuoi fare delle soste nella narrazione, tipo “facciamo il punto della situazione di tutto ciò che ho scritto”. Io non tiro conclusioni. Cerco di raccontare dei personaggi. Li sollevo da ogni santità e neanche lì condanno. Racconto.
    E il teatro certo è maestro in questo. Il dialogo teatrale deve condensare. Non c’è spazio per elucubrare c’è spazio solo per incedere, perché una frase scaturisca dall’altra e faccia accadere le cose… Un dialogo deve tenere dentro azione, carattere del personaggio, relazione. E deve andare spedito. Dritto alla meta. E ad ogni battuta devi stare dalla parte del tuo personaggio, pensare come lui.
    Shakespeare sta con Otello e quel furore che infuoca come il ghiaccio e poi sta con Iago, col suo ordire amorale, e poi subito dopo sta con Desdemona, con l’ atterrimento di chi davanti alla corte sa di essere innocente e tutti dicono il contrario. Si sta di volta in volta con chi serve, perché sia credibile quel personaggio. Io in questo libro sto (ho cercato di stare) coi bambini. Ho abbassato il mio sguardo a un metro, a un metro e dieci. E ho riprovato a guardare il mondo da quell’altezza.
    In un testo teatrale che ho scritto (che verrà a Roma a febbraio…) le tre protagoniste sono tre ottantenni. E lì tutto cambia e volge verso altri respiri e parole e andamenti.
    Voi forse chiedete (e certe volte lo faccio anche io perché certe volte è giusto così) a uno scrittore di essere uno scrittore, e di sollevare la parola fuori dal giorno… Certe volte è possibile certe volte no. Si sceglie giusto? In altre parti del libro lo sguardo cambia. E poi ritorna a mezza altezza e poi si risolleva. Siamo vasti, conteniamo moltitudini.
    E questo lo dico aldilà che poi un libroarrivi o no. Non tutto può arrivare a tutti. Ma questa è una banalità giusto? E poi la milanesità… Anche con Manuela, il mio editor, ne abbiamo parlato spesso. Lei me lo diceva, c’è Milano in questi accenti. E c’è Milano si, chè è ambientato a Milano. E avendo scelto di stare attaccata alla parola parlata ho scelto evidentemente di stare attaccata a Milano.
    Ma badate che stare attaccata alla parola parlata non significa scrivere come si parla. Significa stare attaccata a una credibilità. A un rapporto numerico pensiero-parola che tu possa percepire come naturale.
    Non significa dire cazzo “ehm” ” già-già” , bruciare tuttii congiuntivi ecc ecc.
    E poi, me lo chiedevi tu Enrico, ci sono io si.
    Scegliere di non esserci non significa non esserci.
    Ci sono tutta e piena. Non ho scritto una riga “perché si doveva scrivere così”, non c’è personaggio che non abbia tolto da me un pezzo. Non c’è pezzo che non abbia tolto da me ore della mia vita.
    Caro Enrico, non so se ho scritto come mangio o scritto come trombo.
    Ma come vivo sicuramente.
    Sono troppo abituata alla scrittura che sta attaccata alla vita e ai corpi delle pensone per inventarmi scrivano a un certo punto.
    Se non fossi io tutta non saprei scrivere.
    Se parla l’assassino e non trovo dentro di me da qualche parte l’assassino che vorrei essere non riesco a scrivere.
    E questo vale per il nero ma anche per il sublime.
    Un abbraccio a tutt*.
    @Simona. Grazie.

  84. @ renata:
    tutto ciò che hai scritto in questo tuo ultimo intervento mi conferma che il tuo libro ha un senso. ha senso perché “è tuo”, con i tuoi modi di essere e i tuoi significati. hai fatto bene a scriverlo, hanno fatto bene a pubblicarlo.

  85. @ Gianmario:
    Sta’ tranquillo, le “finestre” che ho fatto finta di aprire nei commenti predendenti vedranno la luce in appositi post (probabilmente dopo le feste).
    E comunque… meglio avere troppa carne sul fuoco che tutto fumo e niente arrosto (ti pice l’unione di questi due proverbi carnivori e mangerecci?).
    P.S. Se io sono il Massimo tu sei la Ricchezza di questo blog.
    (Per chi non lo sapesse Ricchezza è il cognome di Gianmario)

  86. @ Renata (ancora).
    però non hai risposto alle mie due domande.
    Te le ripeto:
    a) da dove nasce la tua passione per il teatro? Mi racconteresti il percorso che ti ha portato alla fondazione della Compagnia Teatrale Dionisi?
    b) com’è, a tuo avviso, lo stato di salute del teatro italiano oggi?

  87. @ Renata
    Non credo ci siano banalità in quello che hai scritto, anzi ci sono grandi verità. Come quella per cui “non tutto può arrivare a tutti”. Tu ci metti te stessa, per me è questo quello che conta. Sono certa che il tuo messaggio non arriverà a tutti, altrettanto certa che arriverà a molti.
    I miei più sinceri complimenti!

    @ Gianmario
    Caro Gianmario, in che senso si torna di nuovo a me? 🙂

  88. Ciao, Enrico, tu mi dici ”Ma il “bello oggettivo” può essere codificato a causa di una serie di “belli soggettivi”. E peraltro sono in sintonia con quei critici che ti aiutano a “inquadrare” un’opera. Non con quelli che tendono a fartela piacere per forza o, viceversa, disprezzarla.”
    Rispondo che hai ANCHE ragione: l’inquadramento dell’opera e’ importante, pero’ ci sono le altre coordinate le quali costituiscono il quadro complessivo dell’opinione critico-letteraria. Tutto insieme. Solo l’inquadramento di un’opera e’ cosa da recensioni in pillole dei giornali. I commenti critici veri e propri sono degli approfondimenti che richiedono spazio, confronti d’ordine storico-letterario e analisi del testo.

  89. Potevo essere io.
    Parla di bambini certo. E poi quelli crescono e allora parla di quando quelli crescono e lo sguardo del racconto si alza.
    Parla di quando dall’oggi al domani ti viene paura di morire.
    Di quando senti che troppa felicità tu non la riesci a sopportare e hai paura che all’improvviso arrivi qualcosa o qualcuno che te la porti via.
    Fino poi a scoprire che quello che doveva venire a distruggere tutto sei proprio tu, che più di tutti sai cucinarti la tua disperazione.
    Parla di tutto quello che uno si inventa quando la testa se ne va da un’altra parte. Di quando ti attacchi a tutto.
    Di quando cresci e hai le parole e allora torni indietro e presenti il conto.
    Per poi magari non trovare più nessuno a pagarlo.
    Parla di Milano, ma anche di Caserta e Skopje.
    Di Little Tony e Fausto Papetti e Federico Fellini.
    Dell’amore che fanno i bambini nelle capanne costruite da loro, e di quello che fanno i signori nel cesso delle discoteche.
    Parla di quando si diventa padre senza sentirsi all’altezza ma volendolo ma senza sentirsi all’altezza ma volendolo ma…
    Parla di come sia lieve e carico di futuro per uno come Giancarlo Santelli fare l’amore in un rientro della tangenziale con le quattro frecce con la ragazza/denti da cavallo che lavora in un centro toilette per cani.
    Parla della trama di un film porno girato in un capannone a Bruzzano.
    Di quelli che ti dicono quando sei a pezzi “Eh lo vedi a esagerare!…” Parla di quelli che sanno tutto loro.

    Parla di più cose.

    Al liceo ho partecipato a uno di quei corsi di teatro pomeridiani che detta così uno non ci può credere che ti cambiano la vita. Fare teatro al Gallaratese. Come dire fare teatro a Soho. Non suona benissimo.
    Ma io da un giorno all’altro ho perso la testa. Non andavo più a lezione, non studiavo più. Pensavo solo a quel corso. Ma non perché capivo che il teatro mi piaceva: capivo solo che avevo 17 anni e nessun’altra cosa come quelle ore riusciva a placarmi. Ero il cavallo pazzo della mia età.

  90. tra
    “Parla di più cose.”
    e
    Al liceo ho partecipato”

    ho dimenticato di mettere due spazi almeno.

  91. @ Silvia. Certo!!!Da anni raccolgo “ricette storiche” e ne ho per tutti i gusti!L’unico problema è: dove ci incontriamo?A metà tra Sicilia e Roma, in Sicilia o a Roma?
    @Maria Teresa..se torni in Sicilia fammelo sapere…ti preparerei la “cuccia”!

  92. Gentile Renata, solo per dirLe che la sua scrittura mi piace tantissimo e che per certi aspetti mi ricorda quella di Paola Mastrocola. Complimenti ancora e in bocca al lupo.

  93. Cara Renata Ciaravino, complimenti e sono subito d’accordo con Lei che lo scrittore deve essere considerato un individuo:senza distinzione tra una scrittura letteraria femminile o al maschile.Come anche :”Non potrei rinunciare alla condivisione della scrittura che c’è nel teatro!”.
    Inoltre,quello che io ho sempre pensato che fosse la missione dello scrittore,cioè, non si può scrivere per se stessi: bisogna restituire agli altri, le emozioni, le idee partite da molto lontano, da autori che ci hanno preceduto. Il “divenire” del genere umano che aspira a sublimare la realtà e non disperdere la memoria storica: assumendosi la piena responsabilità di continuare a trasmettere integrandola, la varia umanità delle genti che ci hanno preceduto.Non so capire personalmente, se ne valga la pena, anche, perché questo attiene al vero motivo che impedisce a qualcuno di scrivere per la continuità di quanto sopra.Dopo aver letto le sue esternazioni riguardo i contenuti e l’ispirazione del suo libro: Potevo essere io.Le rivelo quello che ho percepito: bisogna restituire dignità alla realtà.Secondo me,le incomprensioni generazionali che si pongono tra Voi scrittori è l’equivoco di dover sublimare la realtà a tutti costi e continuare a sopportare un senso di colpa atavico che riguarda gli ideali,la cultura,i valori alti dei sentimenti,e dello stile scrittorio.Lei mi ha dimostrato che la sua cultura classica,sensibilità creativa, l’ha portata all’azione dei personaggi attraverso la rappresentazione:il teatro.
    La narrativa deve venire dopo,secondo me, per spiegare più lentamente quello che è stato rappresentato:vale anche per la cinematografia.Il nostro amico di scrittura,Sergio Sozi,senz’altro saprà spiegarci meglio se stiamo rappresentando il naturalismo letterario dell’800 o il verismo dell’900 o entrambi;vero è,secondo me, che siamo o la sua attuale generazione di scrittori preparati in modo adeguato per poter scegliere di ridare DIGNITA’ alla realtà in cui viviamo: senza dover sublimare,come nel passato,per un senso di colpa di inadeguatezza del genere umano.
    Cara Renata Ciaravino, sono stato ridondante,anche se ho cercato solo di scrivere come parlo, in realtà.
    Grazie!
    Con empatia,
    Luca Gallina

  94. Leggendo mi sono accorto, almeno ho cercato di percepire quanto sia duro, per un autore esordiente, il sopportare determinate critiche. Ho capito , ho compreso, che alcune righe di questo blog l’hanno quantomeno rattristata. Un consiglio: le prenda con la dovuta moderazione e ne faccia tesoro e scudo per quelle tante volte in cui capiterà di ricevere attacchi. Per quanto mi rigurda la Sua scrittura ha un bel ritmo, respira e fa respirare proprio perchè arriva, coinvolge. Quindi cara Renata, su con la vita e sia contenta del suo bel lavoro.

    P.S. La invito ad intervenire al dibattito riguardante il mio romanzo sempre che abbia il tempo, la voglia, e anche l’umore di farlo.

  95. SARAUSANA è! VIVA SANTA LUCIA!
    Permettetemi le maiuscole: questo è il grido con cui noi areusei sarausani DOC inneggiamo alla Santa per esprimere l’orgoglio di essere suoi concittadini.
    SuperSimo è sempre poetica nel raccontarvi stavolta una delle innumerevoli tradizioni legate alla Santa della Luce. Io sto cercando di scribacchiarle un po’ tutte, sia in poesia che sotto forma di racconto e romanzo.
    Il proverbio di cui parlava Teresa Santalucia Scibona (hai un titolo da romanzo, a proposito, oltre ad essere veramente coltissima!) credo che si riferisca al fatto che Santa Lucia è festeggiata il 13 dicembre, quindi a ridosso del solstizio d’inverno. Nel proverbio si parla delle ombre, perché il 13 dicembre è considerato il giorno più corto dell’anno dopo il quale il sole inizia a tornare per un maggior numero di minuti e ore. Si capisce anche il motivo per cui Siracusa abbia allacciato rapporti di piacevole gemellaggio con la Svezia, paese protestante che venera come unica Santa proprio Lucia, portatrice di luce…
    Brava Marcellina! Condivido… Ho insegnato in una scuola a rischio ed oltre alle insicurezze sulle mie reali capacità spesso mi portavo dietro la tristezza dell’impotenza nei confronti di certe situazioni…
    @ eventounico e Francesco: bravi. Parlando di libri altrui vengono fuori racconti e parti di noi che pensavamo sepolte anche per noi stessi. Grazie anche a Barbara per averci offerto il ricordo della sua tragedia mancata…
    @ Valeria T. Che bella la tua citazione e il racconto sull’albicocco! Mi ha ricordato l’ulivo di Montalbano… Gli alberi che muoiono mi hanno sempre messo tristezza. Sono presenze amiche…
    Concordo con Sozi… Auguro però a Renata ogni fortuna sia letteraria che non, perché se la sua è letteratura vera e non costruita a tavolino, arriverà. Potrei suggerirle, visto che bene o male ce l’ha fatta, di tornare un giorno o magari adesso nel suo quartiere, mettersi a disposizione di scuole e volontari per tirare fuori qualcuno che rischia di non farcela?
    Lo scrittore puro è bello, ma quello che si assume dei doveri morali anche piccoli è sublime…
    Inutile dire che quanto suggerisco a Renata potrei dirlo anche a me stessa… Cambiare la realtà invece che descriverla soltanto?
    Enrico: a parte quando fai lo sboccato per forza… sei fortissimo!!! Ho riso come una pazza!!! Bravo e facce ride…
    Posso offrire a “Letteratitudine” i miei personalissimi e sinceri auguri di Buon Natale? Sono parole di una persona che ha fatto dell’aiuto morale, materiale, spirituale verso gli altri la sua ragione di vita. Io mi sento così piccola nei confronti di gente così!

    è Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano; ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare un altro; ogni volta che volgi la schiena ai princìpi che scacciano gli oppressi ai margini del loro isolamento; ogni volta che speri con i “prigionieri” (gli oppressi dal peso della povertà fisica, morale e spirituale); ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza. è Natale ogni volta che permetti al Signore di amare gli altri attraverso di te.

  96. Silvia, parlando di Sliding doors, mi riferivo non al discorso sulla forzatura del destino (di sinistro significato) ma alla scelta caparbia che può portare a cercare oltre agendo diversamente dal solito, e mi è sembrato di tornare al dibattito sul tuo libro (che devo ancora leggere! e mi scuso).
    Massimo, ti ringrazio dell’elogio, iperbolico, ma il Massimo Intrattenitor sei tu. Comunque, i paragoni di cucina mi si confanno (così si esprime la mia parte pedantesca) tanto che ne utilizzerò uno come prefazione di un’opera che uscirà a febbraio. Ciao.

  97. Maria Lucia Riccioli,
    quanto scrivi mi sta dentro il cuore:
    Posso offrire a “Letteratitudine” i miei personalissimi e sinceri auguri di Buon Natale? Sono parole di una persona che ha fatto dell’aiuto morale, materiale, spirituale verso gli altri la sua ragione di vita. Io mi sento così piccola nei confronti di gente così!
    Tanti Auguri a Tutti! E soprattutto a me stesso, perche’ ne ho proprio bisogno, acche’ io divenga un po’ meno ”buccimpero” (il ”buccimpero” e’ un personaggio familiare che ho inventato io, a volte simpatico e goliardico, altre volte birichino e ”pro domo sua”: io devo essere molto meno la seconda accezione del ”buccimpero soziano”).
    Sergio

  98. @ Enrico: allora asseconda la tua natura… spero solo che il tuo mestiere non ti abbia reso cinico. è difficile credere nella gente quando uno vede quello con cui hai a che fare tu. Lo dico con tutto il rispetto possibile…
    Ti auguro un Natale sempre sboccato ma con un sorriso nonostante tutto… finché esisteranno Didò e Sergio camperai di rendita!!!
    🙂

  99. @ maria lucia:
    grazie e altrettanto. tra un saluto e un augurio, comunque, hai buttato lì concetti mica da ridere. approfondirei volentieri, ma fuori dal blog per non tediare gli altri. troveremo il modo

  100. ”Finche’ esisteranno Dido’ e Sergio camperai di rendita”. Perche’, Enri’: de che campi ora, anche senza di noi?

  101. Sig. Gianmario,
    mi ha messo la pulce nell’orecchio: a quale opera allude, quando dice che la introdurra’ a breve?
    Suvvia… lo sveli!
    Saluti Cari
    Sergius Curiosus

  102. @ Sergio: togli pf il Sig e il Lei, si può dare del tu anche a un vecchio, specie se non lo conosci e c’è il filtro del computer; perchè poi, conoscendolo, puoi tornare a dargli del Lei (o meglio del simpatico Voi napoletano) nel caso fossi imbarazzato per le sue stupidate o il suo aspetto… Detto questo, non ci sono misteri, l’opera non è mia, io ho fatto solo da semplice traghettatore dal 1500 a oggi: da diverso tempo faccio il collaboratore di alcuni scrittori, conosciuti e non, per quanto riguarda ricerche in biblioteca, stesura e revisione di testi storico-filosofici. Sono sopravvissuto all’estinzione dei Typosauri (famosi utilizzatori di macchine per scrivere) camuffandomi da Editor (nuova specie che cerca di farsi largo a cornate) rimanendo quasi sempre mazziato, perchè il lavoro è molto e il guadagno scarso. Ora, volendo strafare ma da solo, ho portato a termine la prima versione moderna del Candelaio di Giordano Bruno, opera nota a molti ma letta da nessuno nell’originale, perché infarcita di latino, termini desueti, dialettali ecc. La consiglio a tutti, non certo per il mio guadagno (traduzioni e trascrizioni sono ‘a scatola chiusa’) ma perché si rivela come la più bella commedia italiana del Rinascimento, non solo divertente ma ricchissima di contenuti e considerazioni, anche di attualità: il Bruno va ben oltre la sua epoca (e anche la nostra). Comunque, nell’attesa di febbraio, se interessa l’argomento, consiglio di leggere un’opera originale e molto bella: Chi ha paura di Giordano Bruno, del bravissimo disegnatore napoletano 35nne Maurizio Di Bona, Mimesis, Milano 2006, 13 euro.

  103. @ Sergio Ho dimenticato di dirti che mi piace molto il tuo Buccimpero, fa pensare a un antico suonatore di buccina, magari su un bucintoro, potrei tradurlo come ‘strombazzatore imperiale’? Buon Natale a Tutti, Navigeri compresi.

  104. Caro Vladimir
    non ho potuto scrivere nel blog dedicato a te ché non ero a mi ed ero senza pc.
    Grazie per le tue parole.
    Leggerò il tuo libro. Però.
    Un abbraccio.
    R.

  105. Caro Gianmario,
    grazie mille per i suggerimenti su Giordano Bruno – sinceramente leggo di filosofia da tanti anni ma finora mi son limitato a quella greco-romana. Io pero’ i testi vorrei leggerli in edizione magari critica ma originale. Voglio sentire le parole dello scrittore ed eventualmente leggere le note a pie’ di pagina. Poi cerco altri testi, se ho bisogno di verifiche e dubbi varii. Cosi’ ho sempre fatto. Il mio ”Buccimpero” suona la buccina? Magari! Che bella associazione!
    Continuo a darLe del Lei perche’ e tradizione. Mia, nazionale e familiare. Pero’ la sento vicina e calda. Una persona calda in questa freddezza mi prende l’anima.
    Buon Natale
    Sergio

  106. P.S.
    Il Buccimpero suona la buccina su un buccintoro… si’… navigando nel mar della mia follia. Ah! Ah!

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