Dicembre 21, 2024

202 thoughts on “POZZOROMOLO E MERIDIANO ZERO. Incontro con Marco Vicentini e L.R. Carrino

  1. Come ho già scritto in premessa è da tempo che seguo con interesse Meridiano Zero, la casa editrice condotta da Marco Vicentini.
    Ed è da tempo che mi riprometto di dedicare un post a uno dei suoi libri.

  2. Come vi dicevo quando qualche giorno fa ho ricevuto una mail dallo stesso Vicentini… ho colto la palla al balzo.
    Nella mail, tra le altre cose, si parla di un libro in particolare.
    Un romanzo che, così mi scrive Marco, “tratta temi gravi e importanti, quello dell’identità sessuale e della malattia mentale, tramite la storia di un giovane travestito che è rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario ante-legge Basaglia, e li tratta con la sapienza e delicatezza del poeta che sa quando affondare la lama oppure accarezzare con il suo respiro”.

  3. Ho promesso a Marco che avrei organizzato una discussione su Letteratitudine…
    Vorrei discutere con lui, e con voi, del progetto editoriale di Meridiano Zero. E dello stato di salute della piccola editoria.

  4. E poi vorrei approfondire la conoscenza di questo libro grazie alla conpresenza dell’editore e dell’autore. Il titolo del romanzo è “Pozzoromolo”. L’autore si chiama Luigi Romolo Carrino.

  5. La storia della Meridiano zero è presto raccontata: la passione per la lettura che esiste da sempre, si alimenta durante gli studi universitari in Chimica Fisica, cresce durante gli anni passati a lavorare in un’industria metalmeccanica, fino a sconfinare nella domanda “Perché non ci provo?”.
    E questa è stata la partenza: la scelta di pochi titoli (i primi due sono ancora ristampati, il “Cosmic Bandidos” di Weisbecker e l’ “E morì a occhi aperti” di Derek Raymond), la traduzione a cura di un amico e mia, la grafica tratteggiata da un’amica, un tavolo, un computer e un telefono. Insomma la classica partenza in proprio su piccola scala, e poi gli incoraggiamenti della stampa (Repubblica e la Stampa che hanno fatto subito delle recensioni di plauso ai libri e all’iniziativa), l’affinamento della grafica e dopo un paio d’anni di avviamento, la Meridiano zero era diventata indiscutibilmente un nuovo nome nel panorama delle case editrici. Ha iniziato con una collana dedicata al noir, a cui è seguita l’apertura alla narrativa contemporanea e recentemente alla narrativa italiana. Per dare un’idea degli autori italiani pubblicati, alcuni esordienti con la Meridiano zero sono passati poi a Adelphi, Garzanti, Feltrinelli, Bompiani, Rizzoli.
    Molti problemi, legati soprattutto alla situazione della piccola editoria, li ho scoperti sul campo. Per citarvene uno di curioso, che probabilmente non è molto noto, l’editoria è un settore in cui i costi legati al prodotto aumentano retroattivamente di anno in anno.
    Lo sapete che le copie rese dalle librerie hanno un costo per la casa editrice? Già le librerie hanno il diritto di resa per cui ogni libro può venire restituito all’editore e ha diritto al rimborso integrale del prezzo di copertina, ma le copie rese (salvo una franchigia fissata dal distributore) comportano un costo addizionale di qusi il 10%.
    Per cui i libri prodotti ad esempio nel 2008, vedono comparire i “costi rese” nel 2009, 2010 e così via…
    Questo è un primo assaggio, e posso dare altri spunti sulla piccola editoria (che mi dicono si dovrebbe chiamare più correttamente “editoria indipendente”, però non riesco a impedirmi di pensare “Ma non sono indipendenti anche la Mondadori e la Rizzoli?”)

  6. Tu hai scritto, Marco… alcuni esordienti con la Meridiano zero sono passati poi a Adelphi, Garzanti, Feltrinelli, Bompiani, Rizzoli…
    però Luigi Romolo è rimasto.
    Perché, secondo te?
    (Poi lo chiederemo anche a lui).

  7. E poi, Marco… cosa ti ha spinto a puntare con maggiore determinazione su questo nuovo romanzo (Pozzoromolo)?
    Se non sbaglio lo hai stampato in numero di copie superiore rispetto agli standard di Meridiano Zero…

  8. nella carne, io c’ho ancora lorelay, e il male mica se ne va così. quindi quando t’accosti a luigi, ci devi andare preparata. ma io preparata non lo sono mai, visto che gli altri dicono che sono malata. ora lo dico anche io, e quindi un passo avanti l’ho fatto, dice la psichiatra, ma io non ne sono molto convinta, ché per me la malata è lei.
    non credo, che sia stato fatto nulla di più, se non cambiare l’ingresso, ché a secondo di dove sei lo vedi o lo sei, il malato.
    viaggio per ospedali e medici da un decennio, e forse un passo avanti è stato fatto, infatti ora se ne parla di più e i malati si ammazzano da soli, mentre prima.
    sono indignata e incazzata, per come vanno le cose. vivo allo sprofondo di roma, e non posso rimanere indifferente, quando vado al cim di zona, a ciò che mi si presenta di fronte. eppure una medicina che mi prescrive sempre la dott.ssa è la parola “fregatene”, ma io non ci riesco proprio.
    il libro di carrino io non ce l’ho, ma l’ho letto a tocchi, e quando sarà tempo lo avrò e leggerò tutto, ma mi ci devo preparare, perché per me leggere qualcosa di doloroso è svenarmi, ed ora il sangue mi basta appena per sopravvivere. leggere questo libro, ti ci devi immergere e viverlo diventando gioia, ma non tutti sanno sopportare la sofferenza, nemmeno se è quella degli altri. ma quella di gioia non è una storia, è la vita vera, ché chi lo ha vissuto lo sa, lo sa che ci si parla così. lo sa, che poi non sa più niente. e fa le peggio cose, ché poi le peggio sono quelli che gli raccontano gli altri.
    qui c’è una magia, una bellezza che pochi sapranno riconoscere, perché la paura fa paura, e allora uno pensa meglio a te che a me, ma non sa che chi non muore vivo non si salva.
    ora mi fermo, e non rileggo. però poi torno. e mi leggo pure meglio le domande.
    con stima
    simonetta

  9. Molto bella come iniziativa ma è come parlare della sabbia in una clessidra, della sua composizione chimica, da dove arriva e quanto durerà… Il fatto è che il tempo lo si vive e non lo spiega. Pozzoromolo lo si legge e si resta incantati, anzi, disincantati… anzi, non si resta proprio…:)
    Tutto il resto lo lascerei agli addetti ai lavori, a chi sa le teorie spazio-temporali e le dinamiche delle connessioni neuronali. Ma penso che il tuo libro vada ben oltre a tutto questo, sia proprio in un’altra dimensione.

  10. Ringrazio Massimo per l’ospitalità e per le domande, che aprono una bella finestra di dibattito.
    Il mio nome è Luigi. E dal momento che nel tempo ‘occupato’ faccio l’informatico, devo scappare al lavoro perché… sono già in ritardo.
    Intanto buongiorno a tutti.
    A dopo

    L.

  11. Pogetto editoriale.

    Ah dimenticavo, Mi avevi chiesto del progetto editoriale, Massimo. Anche questo è presto detto: uno stile personale e una storia forte, nell’ordine.
    Uno stile “personale” indica una mia preferenza per uno stile che non abbia le caratteristiche della letteratura commerciale, uno stile che non sia sciatto o senza carattere, ma che presenti degli elementi che lo rendano degno di nota. Non deve necessariamente essere originale, o creativo, o nuovo, o intenso (ma ovviamente non guasta), pero’ deve avere qualcosa che faccia sentire l’anima dello scrittore. Ecco questo è quello che intendo con personale. Esempi di questo sono il Petrella di “Cane rabbioso”, il Carrino di “Pozzoromolo”, il Balocchi de “Il diavolo custode”, eccetera.
    Per la storia invece cerco un plot che agganci l’attenzione del lettore e non la molli, lo tenga stretto e gli impedisca di mettere giù il libro, una narrazione che è distante dai romanzi intimisti o di pura riflessione. Riguardo alla storia, cerco una qualche originalità (lo so, lo so, tutto è già stato scritto, ma comunque basta cambiare la prospettiva di narrazione, l’angolo di visuale per dare tutt’altro taglio alla storia, un po’ come la narrazione a ritroso di Carrino in “Acqua Storta” che cambia completamente uno sviluppo narrativo che poteva sembrare un classico del noir.

    Altre osservazioni sul progetto: l’attenzione come editor ai nuovi autori italiani, che non vuol dire semplicemente pubblicare quello che sta in piedi al 60%, ma lavorare su tempi lunghi guidando, incoraggiando, lavorando assieme a tanti nuovi autori esordienti in modo da presentare sul mercato delle prime opere “solide”.

    Le storie (e i personaggi messi in scena) devono avere la capacità di reggere a un’analisi che vada un po’ al di la’ della trama. Il tipo di lavoro (che si fa nel teatro o nel cinema) nel definire il carattere di un personaggio o lo sviluppo narrativo, che consiste nel valutare che cosa direbbe o farebbe quel personaggio, come reagirebbe in una situazione imprevista, come si comporterebbe in un ambito completamente diverso, tutto questo aiuta a chiarire la verosimiglianza e coerenza, e a togliere le pecche e debolezze che ogni romanzo puo’ avere.

  12. Fedeltà all’editore.

    Sì, molti esordienti con la Meridiano zero sono passati poi a Adelphi, Garzanti, Feltrinelli, Bompiani, Rizzoli… e tu mi chiedi perché Luigi è rimasto.

    Mah… secondo me ci sono vari elementi (ma ovviamente bisogna sentire lui). Credo innanzitutto che Luigi abbia una maggiore maturità professionale (senza nulla togliere agli altri) che gli impedisce di farsi abbagliare dal nome del grande editore traendone semplicistiche garanzie di grande successo, e possa valutare correttamente il valore di un lavoro di crescita più lento, ma più approfondito con un piccolo editore.
    E poi, ma questo è un elemento squisitamente personale, abbiamo raggiunto un’intesa di lavoro, una sintonia di scrittura, che io ritengo preziose e non così facile da ottenere tra editore e scrittore. È una cosa a cui do grande valore, ed evidentemente anche lui.

  13. Io devo ancora leggere “Pozzoromolo”, ma sin da ora posso dire che soffermerò la mia attenzione soprattutto sulla forma, sul linguaggio, sul concretarsi della parola in carne e sangue testuali. No, non m’interessa soffermarmi sulla malattia mentale, come su qualsiasi altra lettura esclusivamente e biecamente contenutistica. Sarebbe ben triste cosa ascrivere il successo di un testo solo alle tematiche rappresentate: si sarebbe lontani dalla vera letteratura e si cadrebbe nel paraletterario. Tomi e tomi di teorie letterarie, da Aristotele in poi, ci hanno insegnato che non importa il COSA venga rappresentato dalla scrittura, ma il COME. Quindi non posso che augurare a “Pozzoromolo” che venga preso in considerazione per la maniera in cui viene articolata linguisticamente e stilisticamente la narrazione, per la forza espressiva dei personaggi, e non per i contenuti immediatamente percepibili in una lettura sotto l’ombrellone.

  14. Luigi Carrino ama e uccide in una provincia di Napoli, ormai scomparsa, che rivive antropologicamente nel suo racconto delirante e lucido, violento e dolce. Una descrizione minuziosa di una provincia agreste fatta di foglie di tabacco e seicento abbandonate nei capanni, di animali che partoriscono e di mamme e padri frustrati, di nonne e nonni che segnano la “via” e di zii che aprono un’altra “via”. Questo e altro porteranno il protagonista del romanzo all’OPG.
    Qui Carrino affonda le sue lame e libera la sua arte di scrittore, il racconto è crudo e il dolore si diffonde come il sonno che procura il Serenase, meno male che ci sono le citazioni di tante canzoni famose degli anni ’70, ricantandole, con il libro tra le mani, ti viene da sorridere e vai al capitolo successivo.
    Un romanzo bellissimo e vero. Grazie a Luigi Carrino.

  15. io ho amato Acqua storta ed ero quindi preparata ad una certa scrittura di Carrino. Ma, come ho scritto a lui in una mail, ho trovato in Pozzoromolo una scrittura ancora più matura e avvolgente [che molte parti siano poesia pura è vero] e un personaggio, Gioia, così ricco e pieno e vero da rimanerne affascinata.
    Mentre scrivevo la recensione ho dovuto iniziare anche un racconto, e questo dice qualcosa.
    Non mi accade spesso di terminare una lettura e iniziare subito una mia scrittura.
    Ma sono uscita dal seminato, come al solito quando scrivo di getto.
    Tornerò. è una minaccia.

    E una parola anche per Meridiano Zero, una casa editrice che amo molto.
    E c’è anche un motivo aggiunto, oltre alle belle scelte editoriali, alle copertine curate e di grande impatto e alla cura con cui Vicentini sceglie i testi.
    Ed è questa: alla presentazione di Acqua storta a Bologna ho visto Vicentini seduto tra il pubblico, poche file davanti da me. Questo mi è sembrato molto bello e mi ha fatto pensare che lui segua con passione e dedizione i suoi autori. Che ci tenga davvero. Ecco.
    Considerato come è messa l’editoria, questo mi sembra un gran bel motivo aggiunto.

  16. Domenica 25 ottobre ho pubblicato sul mio facebook questa nota critica a proposito di POZZOROMOLO.

    Ha la struttura di un epistolario mancato, di un monologo interiore rivolto, gridato a tutte quelle persone che hanno partecipato alla messa-in-scena del proprio destino, segnandolo. Diario di bordo su un battello ebbro di follia, flusso di coscienza e di inconscia ragionata narrativa che travolge e straripa in vari registri di stile e di senso. Un po’ La coscienza di Zeno e un po’ Tropico del Cancro, vicino al teatro dell’assurdo ma anche ad Annibale Ruccello, sceneggiatura da film horror, thriller pulp o giallo rosa-romantico, Pozzoromolo è il pantano sotterraneo che raccoglie le acque contaminate che piovono dal cielo del mondo contemporaneo. Acque filtrate da un Terra ancora fertile di Poesia. Dintorno noccioleti, e piantagioni di tabacco che cedono il posto ad altre case, discariche abusive e centri commerciali…
    Credo che sia la prima volta che si parli di napoletanità dietro il Vesuvio, oltre il monte Somma, in direzione di Avellino. C’è l’odore tipico delle foglie dei noccioli che si bruciano a settembre, c’è tutta la cultura contadina che soccombe o che mostruosamente copula col mondo incivilito.

    Nino Velotti

  17. mi sembra interessante sia il libro in questione, sia il proggetto editoriale di meridiano zero. faccio tanti auguri ad entrambi.

  18. trovo sia difficilissimo, stavolta, rispondere alle domande di massimo. infatti ancora non ha risposto nessuno.
    ci provo………..

  19. come sono percepiti, oggi, la malattia mentale e i disturbi psichici nella nostra società?
    “oggi come ieri malattia mentale e i disturbi psichici danno fastidio. la società tende ad emarginare, anche se inconsapevolmente”

  20. In tal senso, che differenze ci sono (se ce ne sono) rispetto al passato?
    “in passato c’erano i manicomi, oggi no. meglio o peggio? non saprei dire”

  21. La struttura sanitaria nazionale è sufficientemente organizzata per gestire le problematiche derivanti da malattie mentali e disturbi psichici? E anche in questo caso… oggi va meglio o peggio rispetto al passato?
    Quali sono le vostre percezioni?
    “alzata di spalle. non saprei. a livello di percezione credo che a livello sanitario si possa fare molto di più, ma non solo per gestire le problematiche derivanti da malattie mentali e disturbi psichici”

  22. Come nasce questo libro?
    Da quale idea? Da quale esigenza?

    Eccomi.
    Questo libro ha un gestazione lunga. Copre quasi vent’anni. Il titolo originario era “Amore di Donna” che, dopo averci lavorato un anno con Marco Vicentini e la Redazione di MZ, ci è sembrato poco ‘dichiarativo’, rispetto agli intenti del romanzo; quantomeno, ne riduceva gli aspetti (trattandosi il protagonista di un travestito, questo titolo avrebbe ristretto la percepibilità delle altre caratteristiche…)
    Questo testo parte da una cifra autobiografica, travalicandola, trasformando una materia che avevo tra le mani, addosso, e facendola (spero, almeno) diventare universale, qualcosa che poteva interessare più lettori possibili. QUanto autobiografica? Beh, posso dire che ci sono elementi dell’infanzia contadina che mi appartegono, ma che non sono mai stato internato in un ospedale psichiatrico giudiziario (in quello giudiziario no).
    Gli OPG ancora oggi non beneficiano della post basaglia, la legge che abolì i manicomi. E’ dall’anno scorso che i 6 Opg nazionali, ad esclusione di quello vicino mantova, sono passati sotto l’egida del ministero della salute. Ma solo per le cure. Il resto, tutto il resto, è ancora sotto il ministero della giustizia (poca la grazia, in questi casi). La reclusione, l’internamento, l’impossibilità di uscire da un ‘dentro’, da un ‘fuori’ sono temi che ho affrontato anche in “acqua storta”, sono temi che mi stanno a cuore. L’esigenza, l’urgenza riguarda proprio questo: la possibilità di essere autentici, non solo rappresentazioni di se stessi; ma per farlo occorre mettere in gioco tutto, tutto quello che si prova, si crede di provare, annullandosi quasi, una sorta di delete semantico, per poi ripartire con una costruione di sé, quanto più vicina alla propria “rerum natura”. Gioia, la protaginista, questo tenta di fare. Per certi versi, per altri ambiti emozianali e razionali, la trovo molto affine…

  23. Questo post potrebbe essere collegato all’altro in cui si ricorda la scomparsa di Alda Merini.
    Alda Merini passò 15 anni della sua vita in manicomio, e fu costretta a subire 37 elettroshock.

  24. ecco letizia – ciao e grazie di essere intervenuta – sai cos’è?
    i farmaci hanno ‘zittito’ i manicomi (va bene ospedale psichiatrici). non senti urla, non senti niente, perché è più facile con uno psicofarmaco tenere a bada una persona, anche se ha solo bisogno di parlare, di essere ascoltata. tutta l’erba un fascio, insomma.
    e quell’obbrobrio dei letti di contenzione poi… nell’opg aversa, dal primo gennaio di quest’anno, sono stati aboliti (speriamo gli altri 4 opg lo seguano…).

    Sai pure cosa? Se entri in opg, ti sospendono la pena. Perché, in teoria, dovresti essere curato prima, in quanto non ‘intendi’ il reato. In pratica, invece, è un parcheggio per gente che non si sa gestire. E uno lì dentro ci potrebbe stare anni, anche se ha rubato una gallina….

  25. grazie a morena, a nino, a gianni per le belle parole avute nei riguardi pozzoromolo

    pozzoromolo, come luogo, ha una bella storiella sotto. si dice infatti che c’era un pozzo, un demne in questo pozzo che custodiva tesori, e chi scendeva per prelevarli non ne risaliva più. quei pochoi che sono riusciti a venir fuori sono diventati folli. questo me lo raccontava mia nonna. in realtà, alcune fonti sostengono il pozzo era quello di pozzeravolo (altra località vicino nola, napoli); mia nonna era convinta invece che il pozzo fosse sotto la sua casa… Vabbeè, ve lo dicevo così, come curiosità.

  26. ecco, grazia anche a anna e a simontta bumbi.
    qualche mese fa ho presentato il libro di simonetta, “io sto con le tartarughe”, parla della depressione, di farmaci, di ospedali, di come viene affrontato il percorso di ‘guarigione’. il libro di simonetta è un’esperienza.

    lei dice: “viaggio per ospedali e medici da un decennio, e forse un passo avanti è stato fatto, infatti ora se ne parla di più e i malati si ammazzano da soli, mentre prima.”

    io dico: avanti, un passo alla volta.

  27. Scusate se rispondo ‘a come viene’, spazionado dal romanzo, ai temi trattati, a considerazioni personali… Spero non vi disperdiate in questo mio confuso ‘girovagare’ 🙂

    Teresa Ferri dice
    “Tomi e tomi di teorie letterarie, da Aristotele in poi, ci hanno insegnato che non importa il COSA venga rappresentato dalla scrittura, ma il COME. Quindi non posso che augurare a “Pozzoromolo” che venga preso in considerazione per la maniera in cui viene articolata linguisticamente e stilisticamente la narrazione, per la forza espressiva dei personaggi, e non per i contenuti immediatamente percepibili in una lettura sotto l’ombrellone.”

    Quanto sono d’accordo. Tra l’altro, considerato quello che insegna la prof. Ferri all’università di urbino, beh, sono doppiamente d’accordo :))
    Teresa (insieme a nino velotti) mi ha insegnato tanto, a livello di scrittura (e non solo). L’uso dei registri narrativi… In pozzoromolo ce ne sono 4… 🙂 Mi viene in mente una telefonata con Teresa che mi ha messo una serie di ‘pulcettine’ nelle orecchie…. SOno stato tre giorni a riguardami termine per termine mentre il buon Marco aspettava il file definitivo… 🙂 No, questo lo dico me aneddoto. Non è certo questo, quando si parla di “registri narrativi”

  28. Leggo questo interessante post e constato che la tematica di questo libro presentato qui da Massimo coincide con quello trattato sul forum di facoltà di Lettere in questi giorni: l’identità (sessuale, psichica); in realtà l’identità è qualcosa di complesso non facile da definire.
    Il termine travestio, in senso generico, ruota attorno a vari significati che sfociano, vuoi o non vuoi, in condizioni di sofferenza, contraddizione, o semplicemente di continua ricerca.

    Per cui travestito diviene sinonimo di trans, nel senso che in entrambi i casi si attua un passaggio e si resta sospesi, o forse sono solo i pregiudizi della gente a pensare che ci sia l’assenza di una certezza e una fase di sospensione. Non potrebbero il travestito e il trans rappresentare un terzo genere? la storia letteraria (ma anche quella generale) ci dice che molti grandi filosofi e intellettuali riconoscevano l’ermafrodito. Bene androgino è colui che cerca in altre forme (abiti o parti del corpo) l’adeguarsi della propria interiorità.

    Qui c’è il link che crea il collegamento con il forum di Lettere:

    http://www.flett.unict.it/internals/forum/viewtopic.php?f=4&t=889

    Complimenti alla’utore per il bel libro che spero di leggere presto.

  29. Questo mi pare un post molto interessante, soprattutto per le tematiche proposte. Tanti auguri da parte mia a Meridiano Zero e a L.R. Carrino per il libro.

  30. Conto di intervenire di nuovo di sera o nei prossimi giorni. Qui mi preme dire che la malattia mentale è una delle cose che mi angoscia di più. La sola idea di perdere il controllo di me stessa ed essere alla mercé di altri mi terrorizza e mi angoscia.

  31. Come sono percepiti, oggi, la malattia mentale e i disturbi psichici nella nostra società?………

    Secondo me esiste parecchia confusione riguardo all’identificazione della malattia.Certamente l’approccio alla cura è passato da un’impostazione esclusivamente o principalmente psichiatrica ad una che sappia affrontare e comprendere la persona nella sua indentità di essere umano.Perciò dagli addetti ai lavori il modo di percepire l’individuo e il suo malessere emotivo,relazionale e psichico è sicuramente migliorato e di ciò- ma non sono un’esperta- possiamo solo esserne felici.Non credo che giovi particolarmente alla comprensione della malattia la terminologia di cui facciamo uso quotidianamente:disagio,disturbo,disordine e/o malattia,non conoscendone bene i parametri di riferimento.Una maggiore e corretta informazione sarebbe necessaria soprattutto per i familiari di persone che soffrono,per aiutarli a acquisire strumenti per capire,ma soprattutto per riconoscere i primi segni di un cambiamento di chi ci vive accanto e che spesso non siamo in grado di interpretare in tempo.
    Non so quanto le strutture sanitarie oggi siano in grado di mantenere questo tipo di relazione con le famiglie,e di apportare un corretto metodo educativo,auspicabile perchè no, anche nelle scuole.Mi chiedo quante volte segni di disadattamento passati sotto lo sguardo indifferente degli altri si siano poi trasformati in vere e proprie malattie.
    Se potessimo essere tutti un pò più attenti,meno distratti,più pronti a cogliere il disagio,la parola mancata,il buio in attesa,il velo dell’incomunicabilità e della solitudine forzata dolorosa.Fossimo capaci di carpire il segreto di chi tenta di afferrare l’inafferabile,di chi soffoca nell’inesprimibile,ma siamo sempre ciechi e sordi,drizziamo le antenne quando “follia” fa rima con genio e cretività,ma non sempre purtroppo i mali dell’anima riescono a risolversi nell’espressione artistica del dono.Restano più spesso muti,inespressi e soli,emarginati.Potremmo provare ad accogliere anche ciò che non comprendiamo,sentendo,percependo,magari lenendo una ferita con un gesto di apertura.gettare ponti fra diverse dimensioni,consci che l’equilibrio è per tutti qualcosa in perenne movimento sul filo della vita.

  32. I miei migliori auguri al libro di Carrino.
    un grazie a Massimo per i temi così delicati che ci offre.Ho tentato di rispondere alle varie domande a modo mio,ma vado via con ulteriori quesiti interiori.Che fosse questo l’obiettivo più importante per noi?
    un caro saluto a tutti

  33. sono grato per questo post e per la possibilità di riflettere su tematiche così importanti attraverso la letteratura. ringrazio maugeri per gli stimoli che fornisce con le sue instancabili domande. anche da parte mia tanti auguri a meridiano zero e a ‘pozzoromolo’ che, a questo punto, sono molto curioso di leggere.

  34. Io ho letto Pozzoromolo. Sono giovane per cui non posso fare un confronto rispetto al passato, anche perchè io nel periodo della legge Basaglia non era nè nato nè probabilmente i miei genitori avevano in mente di concepirmi.

    Credo che oggi le persone “con disturbi” vengano considerate un pericolo, poichè il fatto che il loro modo di comportarsi possa andare al di là della “normalità” che conosciamo attraverso gesti che possono offenderci o mettere in imbarazzo (nei casi più lievi) o possono addirittura ferirci, portarci alla morte (nei casi più gravi) ci fa paura. Abbiamo paura che la loro “pazzia” sia più forte di qualsiasi nostro controllo “razionale”, di qualsiasi calcolo possibile per “tenerli a bada”. E proprio per questo secondo me li si allontana e gli si dà dei medicinali : perchè troviamo che la chimica sia molto più forte dei nostri comportamenti, gesti, linguaggi e sia più forte della nostra pazienza.

    Inoltre credo che sia idea comune che un medico possa guarire un cancro diffuso in tutto il corpo piuttosto che guarire una malattia mentale. Quindi finchè “non è guarito” deve restare là.
    Secondo me la differenza sta nella concezione di questo “guarire”: guarire una ferita è aspettare che si rimargina, guarire una malattia mentale non è credere che il cervello diventi come quello di una persona “normale”. Non ho gli studi appropriati per dirlo ma credo che sia impossibile una cosa del genere: tutti i pensieri, i vissuti e quei meccanismi che permettono di “non essere normali” sono dentro, non fuori al cervello. Per cui come si fa a togliere tutti questi meccanismi da dentro il cervello? (forse per questo avevano pensato all’elettroshock?)
    Non sono venuto a risolvere il problema con questo commento però credo che il libro Pozzoromolo sia un esempio di “soluzione”. Perchè il libro è un esempio di CONDIVISIONE. Non comprendere, non accettare. Ma immettersi in queste storie, riuscire a impersonificarsi per dire “cavolo, ma davvero è così?”. Questo secondo me cambia anche il modo di approcciarsi a queste persone, il modo di vederle e soprattutto permetterebbe di avere meno timore e di non considerarle un pericolo. Ovviamente, non vuol essere un discorso tutto rose e fiori. Ci sono professionisti che si occupano di loro e devono fare il loro mestiere, hanno i loro studi e sanno come rapportarsi rispetto a queste malattie, ma loro hanno letto altri libri, hanno fatto altri studi. A noi, “gente comune” che non facciamo i medici, un libro come questo può cambiarci la visione di vivere con tanti altri. Quando ho letto il libro non ho letto solo un bel libro di qualche centinaio di pagine in cui un travestito ha tante storie diverse, tutte un po’ particolari, avvicenti, come in un noir. Ho letto la possibilità di non dovermi sentire costantemente minacciato da persone con queste malattie. Tra l’altro la bellezza del libro è che non è stato fatto attraverso delle spiegazioni logiche, cercando di parlarmi da persona razionale che fa un elenco di punti e quindi mi dà una via per “convivere”. No, io entro dentro la persona, io sento le cose che sente lui, io mentre leggo sono Gioia, ma lo sono veramente, manca poco che vada a truccarmi. Perchè voglio sentire come non posso sentirmi e “condividere” il momento anche se è su un foglio di carta.

  35. come sono percepiti, oggi, la malattia mentale e i disturbi psichici nella nostra società? In tal senso, che differenze ci sono (se ce ne sono) rispetto al passato?
    La struttura sanitaria nazionale è sufficientemente organizzata per gestire le problematiche derivanti da malattie mentali e disturbi psichici? E anche in questo caso… oggi va meglio o peggio rispetto al passato?
    ———-
    Non so dirti, caro Massimo, so che i vecchi manicomi erano dei lager (sarebbe bello riscoprire alcune denunce che fece medicina democratica, anni fa), so che oggi il matto barbone rischia un gomito spezzato o un tso (trattamento sanitario obbligatorio) mentre il matto in famiglia fa ammattire… la famiglia appunto, perché nessuno ti dà una mano.

    Una domanda per l’autore: com’è nata l’idea, da dove arriva lo spunto?
    e buona giornata
    remo bassini
    (qui dopo lunga latitanza)

  36. Solo per dirvi che vi leggo con estremo interesse. Avete toccato un argomento nevralgico,almneo per me. Grazie.Leggerò il romanzo di L.Carrino

  37. Vivo in un piccolo paese tra la provincia di Napoli e quella di Avellino e capita spesso di incontrare per strada persone giovani o meno giovani con evidenti problemi psichici,persone spesso abbandonate al loro destino perchè vagano con lo sguardo perso,sembrano senza dimora, e come accade per ogni altra forma di diversità c’è timore e diffidenza nei loro confronti..So che le strutture sanitarie possono fare ben poco per loro,per cui sono le famiglie che debbono occuparsene, ma mi chiedo come possano fare queste ultime,tenendo conto della ingestibilità
    di chi soffre gravi patologie mentali.In altri casi ci sono famiglie che tendono a nascondere quanto più possono,anche con se stessi,che qualche loro figlio o nipote o genitore ha disturbi del genere,non aiutando il malato a rapportarsi e integrarsi;insomma c’è dalle mie parti,da quel che vedo,un rifiuto verso questo problema,a discapito soprattutto dell’ammalato.Pozzoromolo mi ha commosso,c’è una umanità violata,una richiesta di affetto e di comprensione mai ascoltata..sono questi i drammi che ti segnano per sempre.

  38. Post e argomenti interessantissimi: la piccola editoria, con Meridiano Zero, il libro di Carrino con i temi forti e delicati che affronta.
    Credo che Carrino sia stato coraggioso a scrivere questo romanzo, a mettersi nei panni di un personaggio così particolare.
    Vorrei chiedere a Luigi Carrino questo: hai mai pensato che pubblicare questo libro così delicato potesse comportare dei rischi per te?

  39. Buon pomeriggio, provo a dire qualcosa sulla malattia mentale.
    Intanto a me dispiace chiamarla in questo modo, “malattia”, e me ne scuso – forse è il caso – ma è così, preferisco chiamarla “sofferenza psichica”.
    Perchè credo che la sua caratteristica principale sia il dolore – enorme – che induce in chi ne è colpito.
    E poi perchè ritengo che non tutto ciò che devia dalla cosidetta norma sia da considerarsi “malattia”. Voglio dire, in molti casi tale sofferenza (che provoca pensieri e comportamenti “strani”, fuori dall’ordinario) non ha nulla di patologico, trattandosi invece di una risposta soggettiva a una situazione/evento scatenante.

    Poichè è di mia competenza, vorrei fare cenno alla realtà dei disturbi psichici nell’ambito delle tossicodipendenze. In breve: in un numero sempre maggiore di persone con problemi di dipendenza da droghe, una volta completato il ciclo di disintossicazione, si “scopre” un disturbo psichico presumibilmente antecedente l’inizio di assunzione delle droghe.
    E si perviene all’ipotesi che la droga abbia svolto funzione di copertura, sostituendo farmaci o amplifcandone gli effetti. Nella maggior parte, si tratta di casi di doppia diagnosi. Alcune sono persone borderline. Un numero più esiguo, per fortuna, presenta una vera e propria patologia.

    A mio parere, pur riconoscendo al servizio nazionale l’impegno profuso e il tentativo di trattare le persone al meglio, ancora c’è molto da fare.
    La sensazione è che, allo stato attuale, e specie per quanto concerne il settore in cui opero, si miri soprattutto alla riduzione del danno. A cercare, cioè, di migliorare la qualità della vita della persona anche se per tempi limitati. Che la persona si faccia meno male possibile, ecco. Che è certo una buona cosa, non discuto, ma si percepisce una sorta di scoramento generale, un tentativo di rattoppare le situazioni anzichè mirare a risolverle. Dico tutto questo conscia che, proprio perchè si parla di persone e non di macchine, sia estremamente difficile riuscire a preventivare le reazioni individuali a un percorso terapeutico, che sia farmacologico (lo è nella stragrande maggioranza dei casi) o psicologico.

    Posto, intanto, e torno. Vorrei parlare anche del libro di L.R. Carrino.

  40. Rieccomi.
    Ho la fortuna di conoscere Carrino da alcuni anni, e di aver letto la precedente versione di “Pozzoromolo”, oltre che quella pubblicata, “Amore di donna”.
    Leggo spesso testi che mi inviano gli amici, ma questa è stata la prima volta in cui, pur essendomi stato chiesto un parere “tecnico”, non sono riuscita inizialmente a formularne alcuno.
    Quello che mi trovavo davanti, e soprattutto nel cuore, nella testa, era il testo più umano che io avessi mai letto, il più grondante vita vera, e dolore, e amore, e bellezza cruda, e poesia.
    C’è voluto qualche giorno, e una successiva lettura, per poter riordinare le idee e poterne parlare con una certa lucidità con l’autore (dubito, tuttavia, di essere stata di qualche utilità, visto il tumulto interiore che ancora persisteva).

    Ora ho terminato di leggere “Pozzoromolo” nella sua bella veste nuova, e di nuovo, in me, questo libro sta sedimentando.
    E’ un libro rarissimo per nitore e coraggio, per connubio tra realtà, spogliata di ogni vezzo e artificio, e poesia alta. Un libro che ha diversi registri narrativi (rischio enorme per chi scrive, questo ricorso) che si sposano e si intersecano e si ibridano a vicenda, nutrendosi l’uno dell’altro.
    Ho letto Simonetta, più in alto, e quanto dice trova in me riscontro pieno. Accostarsi a questo libro non è cosa da farsi con leggerezza, così come ci si predispone alla lettura di un romanzo qualsiasi. E’ necessario sapere che ci si andrà a invischiare in una storia che, anche quando chiuderemo il libro, continuerà a ridondarci dentro. A suonare come un diapason, perchè tocca corde intime e pure collegate al sentire comune, perchè affronta temi che, anche se non ci hanno toccati in senso diretto, riguardano ogni essere umano. L’amore, la morte, il dolore, la perdita della verginità del cuore e pure il candore che si difende a denti stretti, il tema della memoria che è buona e cattiva, a seconda dei casi, il terrore dell’abisso che ci si apre davanti nello scandagliare il pozzo della coscienza e pure l’attrazione prepotente verso il vuoto.

    Desidero ringraziare Carrino per averlo scritto, per il coraggio a denudare l’anima collettiva e individuale, per ogni piccolo cenno autobiografico e per quanto, invece, ha saputo costruire attorno a questo personaggio meraviglioso.
    Ringrazio Vicentini per averlo pubblicato e Massimo Maugeri per questo spazio di discussione e confronto.
    Buona lettura a tutti.

  41. Caro Massi,
    complimenti per aver aperto la discussione su un tema così delicato e forte, che oggi coinvolge tanto da vicino i tribunali e, in particolare, la funzione del giudice tutelare (imponendo un ripensamento e un approfondimento della figura).
    Complimenti poi alla voce commossa e vera di Luigi Carrino, alla sua lucidità poetica e sanante ( e alla sua scrittura che restituisce alla ferita la carezza di un respiro condiviso).
    Devo purtroppo dire che la figura del giudice tutelare che tanta parte ha nell’esame della malattia mentale (statuendo se vi sia necessità di un’interdizione, di una inabilitazione, di un tso o di un trattamento sanitaro in genere) è stata sempre sottovalutata dall’organizzazione degli uffici giudiziari, i quali non potendo, per carenza di organico, destinare un unico magistrato alla singola funzione della tutela, finiscono con il cumulare in un solo giudice questo delicatissimo compito sommandolo ad altri uffici di natura contenziosa (quando non anche con incarichi penali).
    Tutto questo non contribuisce alla nascita di una “mentalità” giudiziaria della tutela, vale a dire alla formazione di organi giudicanti che abbiano come vocazione e preparazione specifica:
    -l’ascolto e le tecniche di approccio con la minorità,
    -la formazione extragiudiziaria (ossia psichiatrica e umanistica),
    -il contatto con le problematiche strutturali del territorio.
    Al contrario, il cumulo di funzioni disomogenee tra loro, non fa che agevolare una tremenda assimilazione dell’uomo fragile alla pratica. Della ferita al numero di ruolo.
    La capacità di dialogo col malato, col disagio che trapela da un tremore di mano, o da un sorriso velato da una cruda malinconia, resta affidato al cuore e alla capacità del singolo organo giudicante, ma non a un percorso formativo ed educativo ad hoc.
    Vari disegni di legge prendono in esame il problema, ma frattanto non resta che la buona volontà o l’esempio di molti miei colleghi.
    Ne ricordo in particolare uno, morto quattro anni fa e ricoprente l’ufficio di giudice tutelare per trent’anni in una vecchia pretura, che ai suoi “interdetti” dedicava sempre una partita di pallone o un dolce la domenica. Che litigava con i parenti per ascoltare a oltranza l’interdicendo. E che, trovandoselo davanti e rispettando il suo pudore nel rivelarsi, faceva chiudere la porta sommessamente, lo faceva sedere accanto a lui e giocare con gli arredi d’ufficio.

  42. Di corsa che sto di fretta. Ho iniziato Pozzoromolo e, al di là dell’argomento, mi ha colpito la scrittura di Carrino , rispetto ai suoi precedenti lavori. La trovo più armoniosa, meno criptica pur essendo sempre caratterizzata dalla essenzialità estrema che la contraddistingue. Questa leggera curva che porta ad aprirsi di più nei confronti di chi legge porta il lettore a voler continuare a conoscere la storia .Quando l’avrò finito vi dirò se , per me, ne è valsa la pena 🙂

    Sandra

  43. Sul post, in basso, Ho inserito il video della nota canzone di Simone Cristicchi: “Ti regalerò una rosa”. Credo sia piuttosto in tema.
    E una rosa va alla memoria di Alda Merini. La stiamo ricordando in quest’altro post: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/11/01/la-camera-accanto-13%c2%b0-appuntamento/
    Più tardi inserirò anche qui un video dove la Merini parla del disagio psichico e della sua difficile e dura esperienza personale.

  44. Nel successivo commento (lo avevo concordato con l’interessato) inserisco il testo di una mail ricevuta da Marco Vicentini.
    Si tratta della seconda lettera pervenutami da Marco (e intervallata da una piacevolissima chiacchierata al telefono).

  45. Ciao Massimo,
    eccomi qua. Come ti dicevo al telefono, sono felice che Carrino dopo il notevole successo sia rimasto con me. E’ una grande soddisfazione per un editore indipendente, e piccolo di fronte ai colossi dell’editoria, che un autore decida di restare. Vuol dire che anche lui apprezza quello splendido rapporto autore-editore che stiamo sviluppando e che si avvicina pericolosamente a un rapporto ideale. Ideale perché, devo dirlo, non c’è stata una sola scelta nel lavoro fatto insieme che fosse considerata giusta o non giusta da uno solo. Se c’è qualcosa che non convince uno dei due, siamo entrambi così interessati a capire se esiste davvero un problema da risolvere e a risolverlo, che le posizioni personali sono immediatamente superate da un dialogo che tende alla soddisfazione comune.
    Comunque adesso sto per pubblicare il secondo libro di Carrino, “Pozzoromolo”, il “vero” libro di Carrino. Non solo per la dimensione (piu’ del doppio del precedente “Acqua Storta”), ma anche perche’ molto spesso il secondo libro e’ quello che per tutti rapresenta la conferma o la sconfessione. Ebbene, per me questo libro e’ splendido e incarna tutta la capacita’ letteraria di Carrino, l’audacia anche di passare al di la’ di una struttura narrativa piu’ consolidata, di misurarsi con piu’ registri contemporanei, nel creare un’opera che richiede la partecipazione viva e profonda alla lettura, ma che può toccare veramente le corde più intime del lettore e ripagarlo generosamente, con la sua densità, dello sforzo iniziale.
    Io ci sto puntando tutto, stampandone piu’ del prenotato, mandandone in libreria piu’ del richiesto (non l’ho mai fatto in dodici anni, e spero che i librai mi diano quel tanto di fiducia da accettare la mia scommessa), ma sono sicuro che – anche se potra’ non piacere – nessuno dira’ che non e’ un libro che sia valso la pensa di leggere.
    Tratta temi gravi e importanti, quello dell’identita’ sessuale e della malattia mentale, tramite la storia di un giovane travestito che e’ rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario ante-legge Basaglia, e li tratta con la sapienza e delicatezza del poeta che sa quando affondare la lama oppure accarezzare con il suo respiro.
    Non sono un illuso, pero’. So benissimo che se nessuno ne parla, il libro puo’ essere bello quanto si vuole, ma lo sapranno in pochi. Spero tanto che si riesca a innescare un passaparola che ritengo sarebbe uno dei piu’ giustificati e ragionevoli della storia della letteratura degli ultimi anni.

    Un caro saluto

    Marco Vicentini
    12 ottobre 2009

  46. A me è piaciuta molto questa lettera di Marco Vicentini. La testimonianza di un rapporto “gomito a gomito” tra editore e autore… e della voglia dell’editore di scendere in campo in prima persona per sostenere questa “scommessa” (rivolta anche ai librai).

  47. Gioia immagino sia la terza bambina (o seconda, dipende dai punti di vista) della Città di K di A.Kristof. ciò non significa che se la Città di K esistesse si potrebbe dire questo e quest’altro. Significa che la Città di K se fosse il manicomio di K potrebbe essere questa. Come scrissi a Carrino, dubito di poter contribuire in maniera sensata o interessante.
    Mi ci voglio provare, se non altro perché- se non parli di quello che ti colpisce- di cos’altro parli allora? Il livello della scrittura è alto ma non altissimo come in altre occasioni. Scelta, dunque, non forza di cose. Ma quello che risalta è l’essere riuscito- e questo non è poco, anzi è quasi tutto- a mantenere intatta una tensione palpabile non nella trama- chissenefregherebbe in fondo, una volta fuori dal riparo degli ombrelloni- ma nella lingua, spinta probabilmente a un discreto livello di autenticità, se fa l’effetto che fa. Carrino non è un pornografo, né un impressionista, è uno scrittore: ragion per cui la puzza, la pesantezza come di un quintale di carne morta e congelata, la morbosità di questo libro, della sua lingua, non ci sarebbero senza di lui: sono completamente addebitabili a lui, intendo. Comprate e leggetene tutti. (non sapevo come chiuderla)

  48. @Marco Vicentini. Complimenti di cuore. Persone come lei fanno ben sperare per il futuro. In questo periodo dove è in gioco la democrazia e la pluralità d’informazione, lei rappresenta una boccata di ossigeno. Conosco scrittori che hanno pubblicato con le più grosse case editrici e hanno subito esperienze mortificanti. Mai un contatto umano, zero promozione del libro. Si sono sentiti una piccola rotella insignificante all’interno di una mastodontica catena di montaggio. So quanto è difficile per un piccolo editore trovare spazio e imporre il proprio marchio, perchè anch’io lavoro nel settore. I grossi editori tendono a egemonizzare il mercato, hanno catene di librerie proprie e non fanno entrare la concorrenza. Stesso problema hanno i piccoli librai indipendenti, qui in Sicilia in particolare è un disastro. Stanno chiudendo quasi tutti. Le faccio i migliori auguri, e che l’entusiasmo la sorregga sempre.

  49. sono in onda con Massimo adesso. Dopo intervengo per rispondere a Lauretta. Scusate ma oggi ho avuto una giornata infernale che non mi ha lasciato il tempo di avvicinarmi a intervenire…

  50. Bravissimo Marco Vicentini, la sto ascoltando mentre dice che – da editore – un libro deve amarlo.
    Ecco …credo che l’editoria (e gli scrittori) abbiano bisogno di un innamoramento. Di una scommessa. Di un volo tra le braccia del sogno.
    Con tutto il cuore buon lavoro.

  51. Bravissimi,Massimo e Vicentini.Che dono per noi tutti,ascoltare che esiste qualcuno che mette ancora tanta passione nel lavoro e coraggio,tanto coraggio come quello che ha Marco Vicentini e che mi auguro abbiano altre piccole case editrici per continuare ad esistere e resistere accanto ai grandi.
    una vera commozione ascoltare le parole di un brano del libro,grazie.

  52. Ringrazio Marco Vicentini per esser stato presente nello spazio radio di Letteratitudine (su Radio Hinterland). Ringrazio come sempre Luca Corte, conduttore di “Nu poets”, per l’ospitalità e per tenere il microfono acceso da Milano.
    E ringrazio tutti voi che ci avete ascoltato in diretta (in FM, nel milanese) o su Internet.
    Da domani avrete modo di ascoltare (o riascoltare) la puntata in podcast cliccando qui:
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/

  53. E’ un’atmosfera particolare,il silenzio della sera,la casa stanca,i pensieri che scivolano via,e un suono jazz carico di magia che unisce all’unisono tutte le parole e il piacere di condividere un momento,tanti di noi ,distanti e vicini,attorno a delle voci amiche.
    grazie davero,e buonanotte .
    I miei complimenti anche per le scelte musicali ottime a Luca Corte.

  54. Desideravo ringraziare gli altri intervenuti: Simonetta Bumbi, Anna, Teresa Ferri, Gianni, Nino Velotti, Morena Fanti, Letizia, Filippo, Sabina Corsaro, Francesca Giulia, Margherita, Aurelio, Riccardo, Remo Bassini (grande Remo! Bentornato!), Manuela, Armando Fusco, Lauretta Calandri, Silvia, Simona, Sandra, Francesco Ghezzi, Salvo Zappulla.
    Grazie. Grazie a tutti voi.
    Il successo di questa discussione è merito vostro.

  55. Eh Massimo certo che lo so. E me lo tengo stretto. Sai, a sentire Marco Vicentini che parla così di me, sapendo la sua competenza, quanto è rigoroso, preciso… mi emoziona. Certo, certo che ho avuto contatti da due case editrici più grandi. E certo che mi piacerebbe avere quanti più lettori è possibile. Ma io scrivo, questo faccio, questo voglio fare. E il suo modo, questo luogo di lavorare, questa famiglia che è Meridiano Zero, professionale e accogliente, è la casa che voglio per le mie parole.
    Uno scrittore, Massimo, ha bisogno di tutto questo per produrre (almeno tentare) qualcosa di buono.

  56. “Pozzoromolo” di L.R. Carrino
    Meridiano zero, 2009
    pp.288, 15,00 euro
    ******************
    ******************

    “ Se nell’OPG tu fai qualcosa di troppo, un grido di troppo, un pensiero di troppo, un movimento di troppo, un bacio di troppo, un respiro di troppo, allora ti mettono a dormire, ti mettono sulla panchina piena di grazia e di immobilità, con la bava che ti cola dalla bocca”. E Gioia, che nella sua vita si è sempre sentita “troppo”, in quel corpo nato uomo e non riconosciuto neanche a se stessa, e si è sentita “di troppo” – mai la persona giusta, mai la persona desiderata e amata -, si chiude in un silenzio che trova parole solo nella scrittura. E con la sua scrittura, raccolta in forma di diario, tra i pensieri della sua vita, in un salto continuo tra presente e passato, scopriamo la sua terribile storia.
    L’uscita del secondo romanzo può generare ansia nello scrittore e aspettative deluse nei lettori, soprattutto se il primo è stato un successo (Acqua storta, Meridiano Zero, 2008), ma L.R. Carrino con questo libro, Pozzoromolo, uscito in ottobre 2009, non delude e si conferma scrittore di classe. Il suo linguaggio è denso e avvolgente, vera poesia travestita da prosa: “questo pomeriggio mi ha fatto le ore come asole dell’attesa”, “nel buio incandescente che ci mangia la vita a scintille, a piccoli sorsi di fuoco, un fondo del mio corpo si mette nel letto e cova l’ombra del tuo profilo”, “certe volte, nel pomeriggio, la malinconia sotto la quercia, tutta quanta nel palmo della mano, me la metto in tasca e mi alzo”. Ed è con questo linguaggio che Carrino ci racconta la storia di Gioia, “l’amore dalle unghie laccate, i capelli biondi, l’ombretto verde, mentre la notte proietta luci bugiarde sulla parete” e ci accompagna in un viaggio della mente, nei ricordi e nelle ossessioni che popolano l’anima della protagonista. Lei non sa perché è rinchiusa nel’OPG [Ospedale Psichiatrico Giudiziario], non rammenta quali colpe ha commesso.
    Raccontare il disagio non è facile. Il disagio mentale abita stanze diverse e indossa abiti mai uguali. Lo scrittore dovrebbe sempre parlare di ciò che sa. Ma non è forse vero che in ogni storia, in ogni storia “vera” che racconti la vita, esistono i sentimenti? Ed è con i sentimenti che Carrino ci affascina e ci tieni legati alle sue parole.
    Gioia ha sempre cercato l’amore, iniziando dal suo difficile rapporto con quella madre che usciva e non le diceva quando tornava, da quella madre che parlava di lei come di un peso, ma era sempre presente nei suoi pensieri e sbucava nelle foto con le sue unghie viola. E poi il padre, e dopo di lui, ogni uomo che ha conosciuto.
    Gioia si sente “un’anima chiusa a chiave nella mia cella”, e da lì, da quella cella, inizia il suo cercarsi, il suo volere capire perché si trova lì e cosa ha fatto.
    Ma cosa ha fatto veramente Gioia, se non cercare di farsi amare? E gli altri cosa le hanno fatto?
    Dai ricordi, che emergono in forma di frammenti incontrollati e spesso contraddittori, esce la storia di una vita che è stata ostile e malvagia nei suoi confronti, e che, nonostante questo, non riesce a demolire la sua estrema purezza, fino a farle dire: “Io non so perché sono qui, io non ne sento la ragione”.
    È in un luogo che sente estraneo, tra gente con cui non vuole parlare. Riesce a sentirsi bene solo quando si trova nel parco che è all’interno dell’OPG: “Il parco è un luogo che mi appartiene, al quale sento di appartenere”. Ed è nel parco che Gioia trova la grande “mamma quercia” dove si reca per trovare sollievo dai troppi pensieri che la divorano, quelle “vespe” che le pungono lo stomaco e che “finiranno per fare un nido nella mia pancia”.
    Un personaggio molto complesso, questo di Gioia, anche se di sé afferma: “Non sono così complicata. Io sono semplice, tanto semplice da sembrare una tragedia del poco.”, ma anche un personaggio struggente che scrive, mostrando il conflitto che le cambia e le tormenta il corpo rendendolo “doppio” e diviso dalla sua stessa carne: “Non è ancora giorno, mi viene una paura che quasi mi voglio bene da solo”.
    Un personaggio che Carrino ha raccontato in modo così coinvolgente e che consegna ai suoi lettori come un regalo prezioso. Se Gioia non è stata amata finora, da questo momento sarà amata da ogni lettore che si addentrerà nella sua anima.

    Morena Fanti
    19 ottobre 2009

  57. Alda Merini. Chi era con me, l’altra sera, ha visto la mia reazione. Due volte, in questi ultimi 5 anni, sono andato davanti casa sua, senza mai avere il coraggio di bussare. Per anni ho avuto il numero di telefono di casa sua, una volta sola ho chiamato per sentire la sua voce. La Terra Santa, per me, quelle 40 poesie buttate nel mondo con un grido, mi hanno mangiato il sonno.

    a pag. 65 di Pozzoromolo, scrivo così:
    Come se la notte, dalla finestra della stanza, entrasse con un vento leggero e gelido, con un’aria di neve. Come se la notte avesse lo stesso sudore, odore di un’altra notte. Come se mi sedessi sul davanzale e
    ascoltassi il suono dell’aria e fosse una parola d’amore, l’ultimo
    inganno della sera al giorno che viene, il battesimo del sole. Come
    se ci fosse un’altra stanza e fosse questa, e un’altra notte e fosse
    questa, come se fosse la stessa stanza e gli stessi muri, come le
    mura di Gerico di Alda Merini. Come se ci fosse una misera stanza,
    un vuoto che non serve a nessuno dove io posso approdare,
    come se vi pregassi per farmi restare.
    Lasciatemi andare. Ho sete. Ho sonno. Ho sete. Nella mia vita mai
    sono riuscita a sapere come fioriscono le rose di Gerico. Ci andrò
    un giorno, fra un mese, dieci anni, e dall’inferno guarderò anch’io
    stupita le mura di Gerico antica.
    Come se cadendo avessi pensato di poter allungare un braccio e
    chiudere la finestra, prima di cadere.
    Cadendo, ho pensato che potevo allungare un braccio e chiudere
    la finestra, prima di andare giù definitivamente.
    L’ho lasciata aperta.

  58. Grazie Massimo. Il rapporto tra me e Marco è quello che desidera ogni scrittore col suo editore. Io, per fortuna, ce l’ho. Mi sento protetto, amato, guidato, compreso.

    Scendo un momento a comprare sigarette; poi torno, mi leggo le domande, e rispondo molto volentieri (giornata infernale anche per questa di oggi)

    l.

  59. A proposito di Alda Merini, Luigi… ho aggiornato il post inserendo un nuovo video (uno di quelli inseriti ne “la camera accanto”).
    Salendo su e cliccando potrai (potrete) ri-ascoltare la sua voce.

  60. In attesa del tuo ritorno, caro Luigi, inserisco – di seguito – il brano di “Pozzoromolo” che ho letto poco fa in radio (e che potremo risentire da domani in podcast)

  61. 17 febbraio, prima di dormire

    Luca se ne sta nel suo angolo, uno stecchetto di zucchero filato rosa nella mano. La presenza di mio fratello nella stanza mi fa compagnia, mi tiene sveglia. In tutti questi anni non ho mai avuto paura di Luca. Anche questa notte il cerchio intorno al tavolo della stanza, ma sento le mie gambe svanire, sento qualcosa che mi fa sentire.
    Tornano tutte. Tornano sempre. Fra poco, tutte insieme, le ombre della mia stanza.
    Questo è l’acme, il picco di tutto quello che riesco a raccontare. Ci sono più di vent’anni che mi separano da quello che è accaduto, non riesco a fare un passo, non posso camminare, l’ho già detto?
    Prima di spegnere le luci Anna mi ha dato la buonanotte, ho pensato per un momento fosse mia madre, ho pensato che una madre non l’ho mai avuta, una madre come si deve. Ho pensato che l’unica persona che mi ha voluto veramente bene sei stato tu Mario e, ti prego, lascia in pace mio fratello, non ti ha fatto nulla, ridagli lo zucchero filato.
    Il dottor Mancuso oggi mi ha detto che non è così, non mi hai voluto bene, non c’è nessun amore che giustifichi quello che tu mi hai fatto. Ma forse l’ha detto mentre faceva finta di ascoltarmi.
    Se nell’OPG tu fai qualcosa di troppo, un grido di troppo, un pensiero di troppo, un movimento di troppo, un bacio di troppo, un respiro di troppo, allora ti mettono a dormire, ti mettono sulla panchina piena di grazia e di immobilità, con la bava che ti cola dalla bocca. Non riesci a trattenere la saliva nella bocca, non ci pensi al fatto che devi chiuderla, la bocca, per non fare uscire la bava. Se tu fai tu, se tu fai quello che sei, quello che ti senti, quello che la testa ti dice, allora diventi troppo, troppo tempo da perdere per parlarti, ascoltarti, o solo per starti vicino. Se tu sei troppo allora ti mettono nel letto legata, piena di mostri nelle vene, piena di calma seduta nelle vene, piena di niente nelle braccia, nel corpo, nelle gambe. L’unica cosa che senti è la pena per come ti hanno ridotta, non ti riconosci più nemmeno la faccia quando la guardi allo specchio del bagno. Perché ci vai in bagno. Per cercare di vomitare, di pisciare, di espellere tutti i mostri che ti hanno messo dentro.
    Anna dice che è necessario, in questo modo stiamo tutti tranquilli, più sicuri. È meglio rispetto a prima, a tanti anni fa, quando non si usavano gli psicofarmaci. Prima era un continuo lamento, anche di notte, questo dice Anna. Nelle celle chiuse, legati ai letti pieni di feci e di urine. Deliri. Bestemmie. Urla. Prima, prima dei farmaci buoni. Ma prima che diventassimo tutti uguali, senza pietà, avevamo ancora una dignità, un valore, un valore malato ma un valore. Potevi essere un’assassina, una puttana, una vittima, una drogata, ma quello che pensavi lo sapevi, lo capivi, ti cresceva nello stomaco e lo maledivi, certo, però ti sentivi in qualche modo presente sulla faccia della Terra. Adesso la paura di non riuscire nemmeno riconoscere il male che ho, mi mette seduta sulla panchina, mi mette dormita nel letto, mi mette pranzata zitta zitta, mi mette cenata buona buona, mi mette calmata bella bella. Col tempo che passi qui, col tempo, impari che nessuno è veramente disposto ad ascoltarti. Siamo mucche pazze da contenere nel recinto, lontano dalle altre bestie, siamo le mosche da scacciare dal tavolo apparecchiato per la festa degli uomini. Col tempo, non parli più. Anche se non serve a niente morire di silenzio, capisci pure che non vale a niente parlare. Se lo fai è solo per compiacere il tuo dottore, per non insospettirlo. Per non deludere le sue aspettative gli fai capire che sei pazza sì, ma che le sue cure, il suo lavoro, stanno dando dei frutti.
    Il dottor Mancuso è vecchio, è stanco, è altezzoso, è qui da molti anni, non ha molta voglia si sentirmi, non sente più nessuno. Lo incontro una volta ogni mese e mezzo. Ci sono tanti pazienti qui ma solo quattro medici. Non ha voglia di sentirsi i fatti di tutti quanti. Non c’è nessun amore che giustifichi quello che lui ti ha fatto, risponde in automatico, me ne accorgo, lo fa anche con me. Allora lo faccio anch’io, gli rispondo che non mi piace il congiuntivo. L’unico tempo che mi posso permettere è il presente, il modo indicativo, non posso fare altro. Lui alza la testa dal suo monitor e mi guarda. Lo so che sta guardando una Gioia qualunque. Mi risponde che sono sbagliata, che penso in modo sbagliato. Non è una bella cosa da dire, non è una cosa da dire a un paziente nelle mie condizioni, questo anch’io sono riuscita a impararlo.
    A volte penso che io non dovevo nascere, non dovevo venire al mondo. A volte penso che il dottore abbia ragione, che sono tutta un errore. Altre volte, invece, mi sale una rabbia che mi fa tremare i polsi, avrei solo voglia di alzarmi, dargli uno schiaffo, uscire dalla stanza senza salutarlo, andarmene via, oltre il muro. Invece dico certo, forse ha ragione lei, dottore.

  62. Il futuro della piccola editoria.
    Lo vedo piuttosto difficile. Gli spazi di vendita si restringono e subiscono l’assalto dei grossi gruppi. Gli spazi per l’informazione non commerciale (le pagine culturali dei giornali) si restringono e subiscono l’assalto dei grossi gruppi. Gli spazi su Internet stanno affondando nelle sabbie mobili dell’eccesso di informazione e dell’assenza di filtri. Insomma sempre piu’ difficile.
    Guardate la situazione della musica. I punti vendita indipendenti sono spariti e restano solo le catene, oltre a Internet. Oppure la situazione del cinema: i cinema indipendenti sono spariti e le multisala hanno il dominio del mercato. Tutto questo ha un riflesso sulle case di produzione musicale o cinematografica indipendenti.
    Temo che per la piccola editoria indipendente si prospetti un panorama simile…

  63. hai mai pensato che pubblicare questo libro così delicato potesse comportare dei rischi per te? Lauretta Calandri

    intanto voglio dire che, una volta scritta la prima versione, io non riuscivo più a rimetterci le mani. sono passati 15 anni quasi prima di riuscire, l’anno scorso, a rimettere le mani su questo materiale. la versione precedente (silvia e teresa l’avevano letta) era forse più più ‘catartica’, per certi versi, e meno efficace di questa, meno comprensibile, soffriva di tutte le ‘ingenuità’ di una prima prova sulla lunga distanza. non riuscivo a rilavoralo, pur rendendomi conto del suo limite. in certi casi ci vuole distanza. acqua storta l’ho scritto in pochissimo tempo, ma l’avevo tuto in testa, tutto pensato pagina per pagina. qesto qua ce l’avevo pagina per pagina, e non riuscivo a togliermelo dalla testa, ‘togliermelo’ in senso emotivo, per rilavorarlo.

    ma è così. a volte bisogna solo saper aspettare il momento giusto. per non correre ‘rischi’ ulteriori di restare appunto invischiati nella stessa rete che si è costruito. mi è andata bene lauretta :), almeno per quanto attiene la rilavorazione…

  64. però Luigi Romolo è rimasto.
    Perché, secondo te?
    (Poi lo chiederemo anche a lui).

    in parte ho già risposto. ma voglio dire un’altra cosa: come scrittore ‘giovane’ sono famelico, leggo molti italiani, contemporanei, per farmi un’idea di qual è il mood generale, di cosa parlano i miei colleghi. ebbene, è rarissimo imbattersi in una voce originale (mia mile opinione, sia chiaro), qualcosa che mi faccia saltare dal divano, che mi sbatta le parole in faccia. giorgio vasta e alessio arena, citati anche in pozzoromolo; i loro romanzi (“il tempo materiale” e “l’infanzia delle cose”, rispettivamente), per motivi diversi, mi sono piaciuti molto.

    dove voglio andare a parare?
    che il problema, a mio avviso, non è degli autori. secondo, in percentuale maggiore, la responsabilità è degli editori. e sopratutto quelli medio-grandi. si tende a schiacciarci tutti nell’aspettativa del ‘lettore’, ovvero quello che per il marketing è la definizione di ”il lettore’, a farci tutti uguali.

    Per ovvie ragioni non faccio nomi. Ma io, su richiesta esplcita, ho mandato un testo a una grande casa editrice (dopo averne parlato con Marco che, da gran signore, mi ha lasciato libero di farlo, nonostante il testo fosse sotto contratto). La risposta è stata, in sostanza, “magnifica scrittura, ma tu hai scritto acqua storta…”; come a dire: “cosa vorresti fare’ cambiare tutto già al secondo libro?”

    Ecco, dal momento che non ho nessuna voglia (né urgenza, ora) di scrivere “fuoco dritto” (versione carta carbone dell’acqua storta), questo è stato uno dei motivi per restare a MZ. Ma uno, ce ne sono tanti altri.

    Oggi non ci permettono più i fare letteratura (provarci, dico, a farla). Oggi si fa la fiction della letteratura. Si fa ‘scrittura’, che è un’altra cosa, un punto di partenza ella letteratura.

    Io non ho, ben inteso, la pretesa di farla. Ma, accidenti, almeno provarci!
    E Meridiano Zero mi dà questa possibilità.

    Va da sè, anche, che ssendo un sistema che si autoalimenta, non è che ci siano molti autori bravi in giro. Colti, certo, quanti ne volete. Ma? Dov’è l’evento? Quel soffio vitale che tanto ci fa trepidare davanti a una pagina della, che so, della Morante?

  65. caro luigi avevo letto ma per la fretta ti ho posto un quesito in modo troppo frettoloso (ero al giornale, ora, invece, cazzeggio davanti al pc).
    hai spiegato com’è nata l’idea, in generale, del libro.
    sai, ho avuto esperienze personali anche io, diciamo familiari, poi lavorative, poi letterarie (ho conosciuto pino roveredo, che in manicomio c’è stato per davvero) ma mi è sempre mancato… lo spunto di partenza, diciamo il lampo.
    io quando e se scrivo ho bisogno di qualcosa, mi può bastare un’idea, una frase, un’immagine.
    io avrei voluto scrivere sull’argomento del disagio, diciamo che ho materiale e un minimo (ma minimo) di infarinatura (due esemi delle balle di psicologia). però mi è mancata l’idea, lo spunto da cui tutto, poi, si dipana.
    lo stesso pino roveredo mi raccontò che il bellissimo incipit di “Mandami a dire” (dolce tesoro mio, come stai, anche oggi ti ho cercata al telefono, ma tu non c’eri…) gli arrivò all’improvviso: all’improvviso rivide la vecchietta che per anni, in manicomio, vedeva da lontano…
    ecco ero curioso se c’era stato un solo spunto di partenza e uno solo.
    a volte può essere l’incipit a volte no.
    a volte un libro non ha questo punto-spunto di partenza, e magari questo è il caso tuo.
    (interessante quel che hai scritto sui nuovi autori, interessante e condivisibile, ma forse un po’ troppo crudele: perché il panorama di ciò che esce e soprattutto di ciò che non esce, che giace impubblicato, ci sfugge: non si può leggere tutto).
    ciao carrino, ti leggo e poi ti dico.
    ciao massimo e un saluto a tutti.

  66. Vi scrivo un po’ in fretta . Ho giusto buttato un occhio ai commenti, ma non come si deve. Non resisto dal dire che questo libro è superbo. Di una scrittura straordinaria che riesce a miscelare il significato più profondo della parola napoletana restituendo ai lettori un dipinto.
    La storia c’è tutta. L’argomento è sempre molto forte.
    Colgo l’occasione per un saluto a Marco e per i complimenti più sinceri a Carrino di cui avevo letto “Acquastorta”. Al più presto lo recensirò sulla mia pagina in cui tento di dare spazio alla qualità, al di là delle dimensioni degli editori.
    Buona giornata e un abbraccio a Massimo

  67. Ho letto il post ed i commenti. Rimango ammirato dalla profondità della discussione e dalla varietà degli interventi. Auguro tanta fortuna a Meridiano Zero, a Carrino ed a Letteratitudine.

  68. sulle domande.
    malattia mentale e disturbi psichici hanno sempre fatto paura e dato fastidio. è qualcosa che non si vede, ma aleggia. scuote, disturba.
    le società civili sisono organizzate per gestire il problema al meglio. certo, si può sempre migliorare.

  69. sugli psicofarmaci.
    non lo so. probabilmente in alcuni casi si consumano degli abusi, ma la mia sensazione personale è che abbiano contribuito notevolmente ad alleviare i disturbi, con gli inevitabili ‘contro’. ma è solo una mia sensazione. non sono un’esperta.
    mi piacerebbe conoscere il parere degli esperti. immagino che anche tra gli esperti ci siano pareri discordanti.

  70. vivo accanto ad un uomo con cosidetti disagi mentali, l’ho sposato molti anni fa per la sua genialità, per la sua sregolatezza e vitalità esterna che mi attraeva, forse perchè io ho sempre vissuto timidamente ed interiormente la vita. da qualche anno ho conosciuto un’altra faccia della sua natura, quella oltre i limiti, quella dei deliri, della depressione, dei ricoveri, delle urla e del dolore. gli sto accanto ma non lo riconosco più. abbiamo due figli che hanno conosciuto troppo presto la crudeltà di una patologia che non fa parte di una tipica famiglia “sana”, dove un padre può gestirsi se non con psicofarmaci e personalità falsificata. lo hanno odiato, amato, ne hanno avuto paura e pena, insomma niente di naturale in un rapporto tra padre e figli, in cui l’unico pensiero è stato ed è la sua salute mentale e fisica. gli esperti mi hanno accompagnata ma solo se andavo io a chiedere loro aiuto, e abbandonata invece quando, stanca e disperata, in certi periodi, non ce l’ho fatta a presentarmi a visite, a raccontare i lati bipolari di un uomo che non voleva farsi aiutare o che voleva farla finita con la vita. siamo soli, noi, familiari accanto a chi soffre, quasi dovessimo addossarci, sbracciandoci come si può, la sfortuna di amare una persona che perde il senso della realtà.

  71. sento di ringraziarti per aver raccontato la tua esperienza, barbara. tutta la mi solidarietà. ti faccio i migliori auguri.

  72. “siamo soli, noi, familiari accanto a chi soffre, quasi dovessimo addossarci, sbracciandoci come si può, la sfortuna di amare una persona che perde il senso della realtà.”
    Spero che tu possa sempre trovare la forza.
    Grazie anche da parte mia Barbara.

  73. leggo le parole di barbara, e mi si fa il cuore come una nocciolina.
    è tutto vero. ‘siamo soli, noi, familiari, accanto a chi soffre’.
    eppure, ti garantisco barbara che la tua presenza è una fortuna per chi soffre, avere qualcuno.
    quasi la totalità gli internati dell’opg non hanno più una famiglia, sono dimenticati dal mondo, esclusi, accantonati, eliminati. è per questo che alcuni di loro, quando vengono rilasciati, la considerano una pena ulteriore: non c’è nessuno ad aspettarli, fuori. e allora, questi, ritornano spontanemente nell’opg, si fanno di nuovo ricoverare, o pregano il direttore, il magistrato, di lasciarli lì dove sono, lì dove una parvenza di famiglia sembrano avercela.

    grazie barbara per la tua testimonianza. un abbraccio.

  74. remo sì.
    un giorno di ventidue anni fa, un ragazzo mai visto mi ferma per strada, ero a stuttgart, in germania. da lontano avevo capito, o almeno intuito, dalla sua camminata, che proprio bene non stava.
    mi ha chiesto una sigaretta, mi ha chiesto di accendere, e poi mi ha chiesto “anche tu hai paura del buio, vero?” ho cercato di catturare, nel mio libro, quel meccanismo di inferenza che aveva spinto questo ragazzo a farmi quella domanda e non un’altra.
    qualche gg dopo, sono stato ricoverato.

  75. Per L.R. Carrino.
    Una domanda. Anche se il libro è stato pubblicato da poco le sue aspettative sono state attese o disattese?
    Ne approfitto per farle i complimenti. Ho letto il brano pubblicato da Massimo Maugeri.

  76. Leo, francamente non so. Anche perché, prima dell’uscita avevo delle aspettative. Tre giorni dopo ne avevo delle altre. Oggi, altre ancora.
    Non so risponderle. Bisognerebbe capire da che punto di vista.
    So di aver scritto un buon libro, questo sì. E mi piacerebbe che se ne accorgesse un gran numero di persone. Timidamente, vedo che qualcuno, parlo della critica, si sta sbilanciando.
    I lettori, i commenti che mi hanno lasciato su facebook, sono molto positivi. Ma poi mi dico anche: “in effetti, perché perdere tempo per dire qualcosa di negativo se un libro non ti è piaciuto?”.
    Non lo, in sostanza. E’ ancora presto. Aspetto un paio di mesi prima di fare un minimo di bilancio…

  77. Ricevo puntualmente la newsletter di Meridiano zero e resto sempre colpita da autori e trame che non seguono meccanismi di marketing, con testarda e ammirevole tenacia.
    Continuate così, perché la piccola e media editoria è indice di pluralismo e polifonia…

  78. ellerre c., ^__-

    volevo farti una domandina
    ma l’ho dimenticata…
    anzi no (m’è tornata in mente bella come era)
    sei mai stato ad anversa?

    piesse: bel post-o, questo
    (& non il solito b. done)
    complimenti al tenutario

  79. leggo la vita di barbara, e le parole di gino. e ci sto da cani, mentre penso a quanti sanno di queste realtà, ma tutto ciò che resta è sempre e solo una pacca sulla spalla. ora sono coscente, ma non dimentico no. non dimentico la solitudine sola, e solo lei a farmi compagnia, mentre ero la condanna di chi amavo, e mi sentivo condannata in primis da loro, oltre che dall’altra io. io sto di qua, di qua dalla barricata, ma la scritta non lo so dove sta. io spero che questo libro possa aprire le menti e fare male dentro, poi magari staranno zitti, ma intanto il seme c’è entrato, è questo, quello che conta. io spero anche che gino non cambi mai, che continui a scavarsi e a farci male, anche se so che gli sto augurando di soffrire ancora, ma lui sa, con quanto amore, condivido il suo dolore.
    vi seguo, e mi complimento con il padrone di casa.
    simonetta

  80. mi sono letta tutti gli interventi, e perciò ho deciso di non dire nulla. tutto quello che mi viene in mente è stupido e inutile, e quello che invece mi viene “nella pancia” è troppo difficile da dire.
    solo, vorrei ringraziare e abbracciare idealmente tutti quanti, e scusarmi – con simonetta, ad esempio – se faccio parte di quelli della “pacca sulla spalla” e basta. è che non ci riesco. scusami, per le pacche sulle spalle, per la solitudine, e per le condanne, perchè anche se non a te, di certo lo avrò fatto a qualcun altro.
    Luigi, credo proprio che leggerò il tuo libro, e complimenti per la scrittura e per il coraggio.

  81. @ Letizia e Antonio
    Grazie a voi. Appena Luca Corte di Radio Hinterland predisporrà l’mp3, inserirò la puntata di ieri in podcast… così avrete la possibilità di ascoltarla (o di ri-ascoltarla).

  82. Un saluto affettuoso all’amica Stefania Nardini, a Vale, Maria Lucia, Giorgia, ecc.
    Un caldo benvenuto a Leo C., B. Rillo, Melina Tarantini.
    Sempre grazie a tutti voi.
    Se queste discussioni “funzionano” è solo merito vostro.

  83. @ Barbara
    Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza. Come dice giustamente Simonetta (grazie a te, cara!), e poi Giorgia, di fronte a dolori di portata immane il rischio è di non riuscire ad andare oltre a “una pacca sulla spalla”. Lo so.
    Per quanto mi riguarda, sono grato. A Luigi e a tutti voi.
    Attraverso le pagine visionarie e dolenti di Luigi il dolore prende corpo e rimbalza su vite vere, non solo immaginate. Ma tutto questo (e parlo per me) non passa invano… mi aiuta a riflettere, ad affondare le mani nel mistero dell’esistenza.
    Grazie. In particolare a te, Barbara. E a Simonetta.

  84. Ora… Luigi… lo chiedo sia a te, sia a Marco… tu mi avevi inviato un altro brano del tuo libro.
    Se mi autorizzate sarei lieto di pubblicarlo qui, tra i commenti.
    Che ne dite?

  85. l.r. carrino,
    ad a(n)versa il 3 aprile, peccato essì sì sì me non c’ero…
    …(tra i contemporanei) antonio lobo antunes è un autore che ha contagiato la tua scrittura? (ne ho avuto il sospetto leggendo acqua storta)

    baibai

  86. antonio lobo antunes?
    ma lo sai, devo confessare che non l’ho mai letto (in realtà, manco lo conosco). Però, curiosando, ha un titolo “in culo al mondo” che mi ha incuriosito.

    Hai trovato analogie?

  87. anal-ogie…O_O…in culo al mondo…
    sì, per le voci “da sott’acqua”, per il disperato legame padre-figlio figlio-famiglia… (non necessariamente in “in culo al mondo”)

  88. certo (ma ad una condizione:vale a dire “passami un titolo per queste notti insonni” ^__^
    …la trilogia di ben-fica (ovvero: trattato delle passioni dell’anima, l’ordine naturale delle cose e la morte di carlos gardel) & che farò quando tutto brucia?

    gudnait

  89. ho visto (ed ascoltato) il buc-treiler
    non hai *paura* ad usare la parola (cicatrice) amore?
    però, ammetto che ammiro il tuo *indagare squarci*

    vabbè vado, altrimenti sfregio un’altra tela
    ché neanche le copie d’autore comprano più
    le signore ingiojellate… O_°

  90. Non so se può essere utile ai fini della discussione. Comunque provo a fornire qualche dato sugli OPG.

  91. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) sono un istituto italiano che, a metà degli anni 70, ha sostituito i precedenti manicomi criminali.
    A maggio 2007, contenevano un totale di 1.266 internati. Sono strutture giudiziarie dipendenti dall’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.
    Dal 1950 al 2000 gli internati sono passati da 1.925 a 1.156.

  92. Il ricovero in Opg è trattato dall’articolo 222 del Codice Penale, su cui si è più volte espressa la Corte Costituzionale; importante la sentenza 253/2003 con cui è stata sancita l’illegittimità costituzionale della parte dell’articolo che «non consente al giudice […] di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale». Analoga la sentenza 367 del 29 novembre 2004 che ha sancito l’illegittimità costituzionale di parte dell’art. 206.

  93. Infine qualche piccolo dato sugli OPG.
    ^^^^^^^^

    Attualmente in Italia esistono sei Opg (dati 2001):
    – OPG di Aversa: 188 internati (Campania – Caserta)
    – OPG di Barcellona Pozzo di Gotto: 213 internati (Sicilia – Messina)
    – OPG di Castiglione delle Stiviere: 209 internati (Lombardia – Mantova)
    – OPG di Montelupo Fiorentino: 243 internati (Toscana – Firenze)
    – OPG di Napoli: 197 internati (Campania – Napoli)
    – OPG di Reggio Emilia: 232 internati (Emilia Romagna – Reggio Emilia)

  94. Nella mia vita professionale di giornalista mi è capitato di entrare nei manicomi, di conoscere persone che si sono battute, come il mio caro amico Sergio Piro , per cambiare quei luoghi dove comandavano solo il dolore e l’abnegazione. Ricordo le foto di D’Alessandro scattate prima della riforma. E ricordo quel bel racconto di Garcia Marquez nella raccolta “Racconti ramighi” che si intotala “Sono venuta solo per telefonare”. Non c’è alcuna attenzione per il dolore causato dalla malattia mentale. Anzi sento nell’aria un desiderio di riproporre ghetti della follia, tanto bene spiegati da Focault, perchè è più “comodo” lavarsi le mani emarginando usando anche forme nuove di coercizione. La follia i media ce la raccontano nelle brutte storie di cronaca nera. E mai nessuno si pone la domanda: Ma quella persona, alla quale viene riconosciuto un disagio o una malattia mentale, prima dell'”efferato” delitto aveva ricevuto un aiuto?
    Ricordo un giovane, tanti anni fa quando lavoravo in redazione, che mi venne a trovare (era un semplice lettore) per dirmi che stava male. Mi attivai. Dalla sua città avrebbe dovuto prendere un treno per raggiungere la persona che gli avevo trovato, uno pischiatra. Quel treno non lo prese mai.
    Qualche giorno dopo la collega che seguiva la cronaca nera parlava di un delitto. Di un tizio che aveva ucciso la fidanzata. Guardai le foto che dovevano andare in tipografia. Era lui: Era quel ragazzo.
    Mi sentii umanamente sconfitta. E qualche volta ci penso. Credo sia ancora in un manicomio giudiziario. Non aveva preso quel treno.

  95. cara stefania, il suo post qui sopra mi ha fatto venire i brividi. è bellissimo e terribile al tempo stesso. grazie per averlo scritto.

  96. Gentile Stefania, mi pare che il giovane protagonista del suo aneddoto abbia ricevuto un aiuto proprio da parte sua, ma l’abbia rifiutato per poi commettere l'”efferato” delitto.
    Trovo che sia davvero un argomento duro e controverso. Difficile persino farsi delle opinioni.

  97. Per L.R. Carrino.
    L’ho già ringraziata per aver risposto alla precedente domanda. Ne pongo altre che vanno nella stessa direzione.
    Cosa si aspetta da questo libro? Ha un sogno nel cassetto? Qual è la cosa più bella che potrebbe capitare o che spera possa capitare, secondo lei?
    Mi scusi se possono sembrarle domande strane. Gliele pongo perché mi ha sempre incuriosito il rapporto tra l’artista e la propria opera.

  98. @luigi
    senti, credo che tu non abbia conosciuto me a quella presentazione… ma forse la mia “alter ego” Georgia con la “e”… però sarebbe davvero una bella coincidenza, l’ennesima. Io e lei ci siamo conosciute per caso, grazie ad un libro (il mio), e le nostre vite da allora si sono incrociate in maniera irreversibile.
    perciò, se hai conosciuto lei, allora in fondo hai conosciuto anche un po’ me…. 🙂

  99. Sconvolgente quello che racconta la Nardini, grazie per averlo postato qui… scontato dire che “grazie” sembra stupido nei confronti di mali e sofferenze così forti, come quelle di Simonetta e di chi ha avuto il coraggio grande e la fiducia di provare a raccontarci dei problemi così forti.
    Un po’ come a scuola, quando noi insegnanti siamo impotenti di fronte a certi gesti dei ragazzi…

  100. Ho aggiornato i podcast, con la puntata del 03 novembre 2009
    Ospite della puntata, Marco Vicentini: editore della Meridiano Zero. Temi della puntata: la piccola editoria, tra presente e futuro; il romanzo “Pozzoromolo” (Meridiano Zero) di L.R. Carrino. Per ascoltare la puntata, cliccare di seguito.
    La trovate qui: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/letteratitudine-radio-hinterland/
    Per fare prima potete ascoltarla direttamente cliccando qui http://www.plettro.org/podcast/quarta.mp3

  101. 10 agosto

    Fermati stanotte, un po’ di più, resta. Voglio raccontarti una storia. Ti ricordi quando cantavo sempre quella canzone, Singapore Singapore? Non te l’ho mai detto, a cinque anni avevo deciso di andare nella città di Singapore. Non ci sarebbero stati santi, un giorno sarei andato in questa città. Che fosse una città me l’ero fatto spiegare dal commesso del negozio di dischi. Da solo ero sceso dal primo piano di corso Buenos Aires 158. Affianco al ristorante cinese, c’era questo negozio che suonava tutte le mattine questa musica. Con Luca, i primi mesi che stavamo a Milano, dalla finestra riuscivo a vedere gli ultimi due piani del palazzo di fronte. Lì per me ci abitava Clara, l’amica di Heidi, o almeno questo pensavo.
    Dalla finestra aperta entrava anche questa musica e io avevo deciso, senza pensarci più di tanto, di scendere in strada. La portinaia, vedendomi passare, mi aveva chiesto stupita dove vai? Io compito avevo risposto a fare la spesa. Svoltato l’angolo, mi ero infilato di corsa nel negozio di dischi, da dove aveva origine la mia musica. Andai diretto verso la cassa, sapevo che lì c’era qualcuno che poteva aiutarmi. La mamma, tutte le volte che voleva qualcosa, si rivolgeva sempre al signore dietro il bancone. In un italiano storpio a voce alta chiesi voglio Singapore, un mangiadischi giallo, chi la canta, che cos’è Singapore?
    Forse tu non lo ricordi, ma a sei anni, qualche mese dopo la sortita al negozio di dischi, mi sono perso in un grande mercato di Milano, uno di quei mercati permanenti. Eravamo da soli, io e te, tu stavi valutando una maglietta di ciniglia a basso costo. Io sento la canzone, non so da dove arriva, la voglio raggiungere, la voglio comprare. Mi muovo, vado verso la musica. Ne sono rapito, canto e mi allontano da te. Mi immobilizzo nei pressi di un tavolo, con un grosso pentolone di alluminio, da dove usciva lo zucchero filato. Voglio sentire la canzone e voglio lo zucchero filato.

    Perché sorridi così? Sembra un ghigno, uno sberleffo, sarcasmo. Ti dispiace se finisco di raccontare la storia del mercato? Ma forse te l’ho già raccontata, mi pare. Mi viene in mente che eravamo sotto il pergolato, dopo cena, eri arrivato da Roma e mi avevi portato delle caramelle gommose tutte colorate. Mi ascoltavi un po’ infastidito. Forse volevi andartene ancora, non avevi voglia di sentire le storie di un bambino. Forse no, era solo l’oscurità imminente che ci divideva.
    Lo sai, non riesco a ragionare nel buio straordinario che ci unisce, e poi, alla fine della notte, il buio si porta via tutte le mani e tutti gli occhi.
    Questa dannata vespa! E di notte, poi. Cosa ti stavo dicendo? Singapore, vado a Singapore e vi lascio al vostro dolore, io non ce la faccio a guardarvi, mi si spezza il cuore.

    Ecco, nel mercato, vado dove Singapore arriva più forte, mi allontano da te mentre tu stai comprando una maglia. Mi fermo davanti al tavolo con il pentolone dello zucchero filato. Voglio sentire la mia canzone e voglio lo zucchero filato. Mi volto e non ti vedo più, mi sono perso.
    La cosa più naturale del mondo per un figlio che non trova suo padre al mercato, è chiamare o urlare, piangere semmai. Ho pensato che c’era troppo rumore, troppo chiasso, troppi bambini. Ho pensato che se avessi chiamato a squarciagola, se avessi pianto, mi sarei confuso con gli altri bambini, non avresti potuto ritrovarmi. Sai cosa ho fatto? Ho cantato Singapore. Sarò l’unico bambino a cantare la canzone, ho pensato. Se sente Singapore mi riconoscerà, e mi ritroverà.
    Una donna che vendeva mele cotte candite mi ha preso in braccio, ha pregato la venditrice di castagne di badarle il posto, mi ha portato da un tizio. Dall’altoparlante è uscita una voce gracchiante, ha parlato di me, dei miei pantaloni, delle mie scarpe, dei miei capelli, della mia età, del colore dei miei occhi.
    Dopo pochi secondi arrivi tu. Mi dai uno schiaffo, mi afferri, ringrazi Dio e la signora che mi ha ritrovato. Mi dici andiamo a casa, fetente. Mi prendi in braccio, mi tieni stretto, mi fai male ma è un dolore dolce. Sento nel tuo abbraccio tutto lo spavento che hai provato, mi appoggi la testa sulla tua spalla tenendoci sopra la tua mano, cammini veloce verso la macchina. Arrivati alla macchina mi metti a terra, ti sento arrabbiato. All’improvviso ti metti a piangere.
    Alzo la testa e hai gli occhi come Bobby quando il nonno lo rimprovera perché si è fatto scappare il mallardo. Ti vedo e ho la certezza che saresti morto all’istante se non mi avessi ritrovato. Non ti chiedo di comprarmi lo zucchero filato, perché mi sento un bambino cattivo e ho fatto piangere il mio papà.

    Voglio dirti, stanotte, che è stato quello sguardo che mi ha dato, in tutti questi anni, la forza di avere fede in te nonostante tutto.
    Non c’è luce qui. È tardi, te ne devi andare. Le ombre, la notte, vengono a farmi un saluto. La tua ombra si accorcia, sta per scomparire. Per favore aspetta un momento, aspetta solo un altro momento prima di andare via. Fermati stanotte, un po’ di più.
    La storia di Singapore, te l’ho raccontata perché, perché voglio dirti che ti ho mentito. Tu eri il crisma, papà. Piccolo mietitore d’anima, hai trebbiato la mia infanzia senza nemmeno ungere la falce, hai ignorato che il tabacco non si falcia ma si coglie foglia dopo foglia, e ogni foglia ha la sua ragione di verde.
    Sono rimasto in piedi, da quel giorno al mercato, davanti a te, nella camera ardente della nostra infanzia a veglia dei nostri abbracci mutilati.
    Sono rimasto, papà. Fiero e impettito, vestito bene, un ometto con le braccia incrociate e un vago senso di attesa, col desiderio prima o poi di trovare il coraggio per riuscire a dirti sì certo, certo che te ne ho voluto tanto anch’io.

  102. Massimo,
    un encomio a Marco Vicentini lo voglio rivolgere anch’io.
    Il marchio padovano “Meridiano Zero” si è imposto nel mondo editoriale non solo italiano credo per la ferrea volontà dell’editore Vicentini a cercare strade nuove, non ancora battute, facendo leva sulla sua “smisurata” passione per i libri, specie di genere (all’inizio). Ha avuto il coraggio degli avventurieri che non demordono dal proseguire nelle loro imprese neanche quando si imbattono in un ostacolo a detta di tutti insormontabile.
    Un altro encomio lo voglio rivolgere a Luigi R. Carrino per aver affrontato una delle tematiche che si cerca purtroppo di lasciare nel dimenticatoio perché estranee alla cultura dell’efficienza, della competizione, del consumo, benché la loro drammaticità diventi sempre più pressante. Purtroppo, ripeto. Giacché i disagi psichici o le patologie mentali stanno aumentando vertiginosamente in ogni ceto sociale, nelle città alienanti come nelle campagne, al contrario delle strutture che dovrebbero consentire ai sofferenti non gravissimi, chiaro, il loro graduale reinserimento nella vita lavorativa o di relazione.
    Sì, qualcosa si è fatto – rispetto al passato prossimo – con le comunità terapeutiche residenziali o no, e con altri centri riabilitativi, ma penso manchino a tuttoggi strutture diverse, capaci non solo di ospitare il malato per un periodo di tempo più o meno lungo (senza imbottirlo magari di farmaci per fargli passare il dolore atroce, la disperazione, le reazioni violente), ma anche di “rigenerarlo”, ridandogli quella dignità, quelle chance che il mondo gli nega più o meno ipocritamente. Non è facile: la realtà è dura, crudele, ma se finalmente si cominciasse a cambiare la propria mentalità verso il sofferente e la sua patologia – sopprimendo anzitutto i pregiudizi – certi stigmi abietti verrebbero sepolti o perderebbero di valore.
    Un saluto cordiale, A. B.

  103. Permettetemi di dare atto a Massimo di aver sempre concesso un ampio spazio alla piccola editoria. Anche il tema della patologia mentale è ritornato più volte su queste pagine. Forse non è un caso. Ci vuole un pò di follia per uscire o essere espulsi dalla massa. Il dolore è grande per chi ha in famiglia una persona psichicamente labile e sono molto aggressive quelle terribili percentuali che si permettono di fornire un metro per la malattia. Esistono infiniti problemi di ordine pratico, esiste la responsabilità del sostentamento materiale e delle cure, esiste la responsabilità del tempo loro concesso. Questo tipo di patologie non concede alcuno spazio alla cultura dell’efficienza alla quale faceva giusto riferimento Ausilio Bertoli.
    Scriverne è un dovere. Saperlo fare è un privilegio per chi lo fa e per chi legge.
    Complimenti a Massimo, a Vicentini ed a Carrino perchè dimostrano di avere quella giusta dose di follia necessaria per affrontare un simile cimento.
    Grande cosa è la follia per gli uomini se possono non chiamarla tale.
    Un abbraccio a tutti.

  104. grazie a tutti per l’attenzione. considero questo spazio un luogo sano e aperto dove sentirsi accolti.

  105. Come al solito sono in arretrato. In arretrato sui libri da leggere (intere pile stazionano sul mio comodino) sulle cose da fare, in arretrato sempre sulla lettura di questo blog. Arrivo in ritardissimo quando il dibattito è praticamente giunto al termine, ammesso che un dibattito di questo genere possa mai avere fine.
    Non ho avuto il tempo di leggere tutti i post quindi probabilmente dico qualcosa che è già stata detta, ma poichè lo scopo non è dire sempre e comunque qualcosa di originale ma partecipare con il cuore a una discussione intensa ed entrare in contatto con la gente interessante che la anima, mi permetto lo stesso di dire la mia.
    Ho iniziato a scrivere un romanzo che ha come protagonista il padre di un ragazzo affetto da un grave disturbo della personalità: il disturbo schizotipico. L’idea, o meglio lo spunto a iniziarlo (perchè l’idea ce la portiamo dentro per anni) me l’ha dato un casuale e strano incontro al supermercato sotto casa. Un padre dal volto scavato e rassegnato, solcato da una profonda sofferenza in compagnia di un figlio sulla trentina, evidentemente “strano” se questo è un aggettivo utilizzabile.
    Un giovane uomo dall’aspetto infantile, decisamente sovrappeso di aspetto e abbigliamento bizzarro e di modi e linguaggio affettati.
    La scena mi ha colpito alquanto e mi ha lasciato un profondo senso di smarrimento davanti a ciò che non capivo.
    Non ho avuto pace fino a che, studiando e cercando e parlando con addetti ai lavori non ho capito di cosa poteva trattarsi.
    Ho cominciato a scrivere sperando di poter trasmettere con la dovuta efficacia ma anche con rispettosa delicatezza quanto mi aveva così profondamente colpito.
    Ma un’altra questione mi piacerebbe sollevare ed è quella che riguarda una condizione assai meno palese, almeno nell’esteriorità, ma non per questo meno dolorosa.
    La condizione delle migliaia di persone che soffrono di depressione. Una malattia che spesso non viene riconosciuta e accettata proprio dalle persone più care. Non porta sintomi riconoscibili e ben identificabili come un colpo di tosse o un rialzo pressorio. Una malattia che affonda le sue radici nella parte più profonda dell’essere umano prosciugandolo e succhiandone la linfa vitale.
    Un disturbo che impedisce di godere di qualunque cosa, che rende difficile il risveglio la mattina e angosciante il calare della sera.
    E questo spesso senza un’apparente causa scatenante, il che rende la persona che ne soffre ancora più fragile perchè si sente in balia di eventi non controllabili.
    Cosa ne pensate? Avete mai sofferto di depressione anche in maniera transitoria? avete mai cercato di combattere quella di un amico?

  106. Brava Mavie…
    la depressione è il cancro dell’anima, un nemico subdolo che succhia la tua energia vitale… aiutare chi ne soffre è sperimentare l’impotenza, spesso. Affacciarsi su un pozzo nel quale non è difficile cadere.

  107. Un giorno qualcuno ha scritto su un muro che costeggiava una via principale di città, accanto ad un cancello chiuso di un manicomio: I PAZZI SONO FUORI, NON SONO DENTRO

  108. Rossella, è il punto di vista dominante che fa detenere le chiavi di quel cancello.
    La nostra cultura che si sta rivelando sempre più sensibile a rapporti di forza più che a rapporti di sostegno. Tuttavia chi può stabilire se siamo in presenza di una “malattia” o di un modo di manifestarsi dell’essere umano (Focault) ?

  109. Buona domenica a tutti.
    @giorgia :), scusami 🙂
    @eventounico, grazie per i tuoi interventi.
    @ leo
    Cosa si aspetta da questo libro? Ha un sogno nel cassetto? Qual è la cosa più bella che potrebbe capitare o che spera possa capitare, secondo lei?
    penso che questo libro abbia gambe e braccia, una bocca, stomaco, occhi. andrà da solo. mi piacerebbe venisse letto da più lettori possibili, mi piacrebbe che ‘lo conquistaste’ (come dice un recensore), perché è un libro spavaldo, vi guarda dalla copertina e vi sfida: vuole essere letto. questo è quello che piacerebbe accadesse. dai commenti dei lettori vedo che un po’ sta succedendo. questo mi rende felice.
    forse io sono una di quelle persona che viene ‘sognata’ dai sogni suoi. c’è un film da fare (tratto da acqua storta). ecco, il sogno è “spero che si faccia”.

    l.

  110. @L.R.Carrino

    Non ho ancora letto il libro, non ne ho avuo l’opportunità, ma spero di “conquistarlo” presto perchè ciò che ho finalmente avuto l’opportunità di leggere in questo blog mi ha appasionato.
    Sinceramente auguri per i tuoi sogni

  111. Arrivo per ultima. Ho letto Pozzoromolo e ne sono rimasta profondamente colpita. Credo, anche questa volta, di aver insultato Luigi. Gli ho rimproverato di avermi fatto soffrire ancora. Ma questa volta è andata peggio, a differenza della precedente, ha usato un’arma micidiale. La poesia. Le parole giuste per dire le ha prese da lì. Per questo mi sembrava di procedere veloce su una strada poco minata, e invece, sono finita nel gorgo. Mi sono fatta male. Ancora una volta. E’ libero Luigi. Lo è, almeno, nella parola scritta. E Marco lo ha lasciato libero. E ha fatto bene. E’ fragile e forte. Maniacale e intimo. Ridondante, quando serve. E avaro, perché non vuole compiacere a tutti costi. Io gli voglio bene. Attraverso le parole dei suoi libri. Non mi importa quanto di lui ci sia, e quanta storia degli altri. Gli riconosco infatti, una buona dose di invenzione. Perché lui racconta storie. Non scrive trattati flaccidi e stopposi. Storie di vita. Non solo la vita della protagonista, ma le tante vite delle comparse (siamo tutti più comparse che primi attori). E’ il coro che ha un valore, il coro impietoso, che come tutti i cori quando diventano branco, distrugge la delicatezza delle anime trasparenti. Branco fatto da individualismi corrotti, sporchi e pieni di frustrazione. Dirlo con la poesia, del suo essere poeta, è stata la vera sfida.
    Chi fosse a Milano il 24 Novembre, venga a sentirlo parlare. Luigi, per cortesia, dai le coordinate giuste dell’incontro. Io ci sarò. Con affetto. E con amore per la tue parole.
    Elisabetta

  112. Elisabetta! 🙂 Grazie.
    Vero, Marco mi ha lasciato libero. Se posso fare un paragone, mi ha lasciato come un bambino che ancora non cammina, su un letto largo. E nel momento in cui mic apitava di volermi buttare dal letto, lui alzava il riparo, come una culla insomma.

    L’evento a Milano, sì
    presso MACCHINA DEI SOGNI
    Caffetteria Degli Atellani
    Via della Moscova 28 – Milano – http://www.atellani.it
    MM2 Linea Verde – Fermata Moscova
    Linee urbane: 3, 4, 12, 14, 41, 43, 51, 61, 94

    Con molto orgoglio per me, Elisabetta Bucciarelli presenta Pozzoromolo.
    l.

  113. Moltissimi interventi! E non ce laccio a leggerli tutti:(
    Magari ci ritorno – spero intanto di non dire cose già dette.
    Vado per punti che mi affiorano.
    1. il libro mi sembra interessante, come esperienza narrativa. Il disagio mentale è un vertice narrativo e filosofico vertiginoso, per le cose che ci permette di vedere. Ho solo sempre questo problema: che nove volte su dieci, chi sale su questo vertice porta ilo suo sguardo dal centro, e ce lo mette sopra, reinventa cioè una follia con la sintassi della non follia, con la parola della centralità. Un po’ come quando si parla di abusi sessuali sui minori nei film, e la vittima di incesto dice: oh quel brutto orco che mostro quanto lo odio! Malidetto! E se ne va incazzatissima et emancipata. La linearità desiderata, la coerenza promessa e mantenuta. Ma le vittime di incesto hanno tutt un altro modo di ritrarre la questione e spesso non hanno orchi a cui riferire alcunchè, l’attrito con il reale è una pena ai loro occhi, completamente scollegata. Invece nelle narrazioni c’è sempre questa conseguenzialità, così come nel ritratto del disagio mentale c’è la consapevolezza costante, e letteraria ed estetica, di un dolore. Mentre il dramma è altro. Non lo so, io credo che la narrazione dell’esperienza mentale sia una sfida davvero terribile quanto utile da affrontare, ma che dovrebbe essere prima affrontata su un piano del sentimento e liberandosi dal sogno di poterla narrare con le proprie parole.
    2. Sulla percezione del disagio mentale. Secondo me ci sono piani diversi e contesti sociali diversi. Ci sono i luoghi dove la “sbornia foucoult “non è arrivata, e sarebbe da prescrivere “Storia della Follia nell’età classica” alle scuole medie a tutti. Poi ci sono zone di umbriachi di Foucoult, ai quali urge una disintossicazione. Quanto è estetica questa rappresentazione del pazzo come eversivo, quanto è in un certo senso deresponsabilizzante. Quanto è graziosa quella faccenda dei medici cattivacci che cristallizzano il potere sul corpo. Tanto che ce frega a noi? Mica che è un problema nostro! Quello che voglio dire, è che la ritrattistica estetica della malattia è sempre un’arma a doppio taglio – da una parte sensibilizza – dall’altra, paradossalmente, deresponsabilizza.
    3. Naturalmente tanti auguri all’autore – l’importante è che abbia cercato di lavorare con onestà.

  114. Un ulteriore saluto a Lugi Carrino e a Elisabetta Bucciarelli (che sarà presto di nuovo “protagonista” – qui a Letteratitudine – con il suo nuovo romanzo).

  115. Gentile Zauberei,
    i dubbi tuoi sono più che leciti. “il dramma è altro”, tu dici. Li condivido i tuoi dubbi, sai? Questo romanzo, vent’anni qasi di gestazione, rifugge da tutta un’estica (come la chiami tu) del dolore.
    Questo libro non ammicca ma esistere. Non narra ma dice. Questo è il massimo che ho potuto fare. Per me, in primis. E per qelli che lo leggeranno.
    Saluti.

  116. @luigi
    figurati…. 🙂
    poi magari un giorno ci conosciamo davvero, mi piacerebbe. se viene dalle mie parti a presentare il libro (puglia) fammi sapere.
    ho letto il brano pubblicato sopra. sulla storia non posso esprimere un parere, perchè non l’ho letta (ma cercherò di farlo quanto prima), però la scrittura mi piace molto.
    quanto al problema dell'”estetica del dolore”, è vero, a volte è un’arma a doppio taglio. Però bisognerebbe sapere fino in fondo le ragioni dell’autore, come e perchè ha scritto. Magari a volte quella che sembra “estetica” all esterno (per chi legge) non lo è all’interno (per chi scrive). Forse spostare l’attenzione sul piano estetico, la deresponzabilizzazione di cui parlava zauberei è più facile per i primi che per i secondi.
    Forse a volte non è possibile comunicare davvero, fino in fondo.

  117. Credo che l’esigenza di rappresentare il dolore sia insito in quello di fare letteratura, per il semplice fatto che il dolore è una delle più importanti dimensioni dell’essere umano. Non solo il dolore dericante dal disagio psichico, ma ogni tipo di dolore.

  118. Auguri a Carrino ed a Vicentini. Complimenti per la bella e stimolante discussione. Ho letto tutti i commenti, traendone spunti di riflessione.
    p.s correggo un refuso apparso nel precedente post
    dericante = derivante

  119. DEDICATO A VINCENT, PABLO, AMEDEO, JACKSON E A TUTTI QUELLI CHE HANNO PERMESSO DI FARLI DIVENTARE VAN GOH, MODIGLIANI, PICASSO, POLLOCK, ETC.

    Scrivere di follia non mi è possibile, non ho studiato psichiatria né conosco i metodi di questa scienza che indaga ed agisce sui meccanismi della psiche. So solo che questo campo prevede ali di farfalla ed una conoscenza che non può permettersi di muoversi come un elefante in un negozio di porcellane, il terreno è estremamente delicato, controverso, richiede tempo, pazienza, studio specifico, non si gioca né si fanno esperimenti con le problematiche psicologiche, gli “addetti ai lavori” sanno come applicare metodi terapeutici.
    (Grazie alla psicoanalisi, se non altro poiché ha separato i campi e non ha aumentato l’ulteriore confusione riguardo l’anima e le sue esperienze. Ha sottolineato, in primo luogo, quanto sia importante la giusta canalizzazione della libido, distinguendo quindi con lucidità le esperienze mistiche religiose dall’eccesso di componenti erotiche, utili in altri settori.)
    A grandi linee l’atteggiamento degli psicoanalisti mi piace molto in quanto è scevro di giudizi moraleggianti. A maggior ragione sui modi di manifestarsi degli individui.
    Saltino sui pittori.
    Se vi parlo delle bizzarrie di alcuni pittori famosi penserete che appartengono alla categoria dei malati di mente? Oppure penserete che ad un artista tutto è permesso per via di quel “genio e sregolatezza” che permette loro di oltrepassare ordini precostituiti?
    Dipende anche dal sostegno ricevuto.
    Permettetemi di scrivere che accanto ai grandi pittori di cui farò breve accenno, ci sono state grandi donne o persone forti ed importanti che, tacitamente, hanno permesso alla loro creatività di esprimersi, nonostante questi artisti fossero spesso “fuori di testa”.
    Ricordiamoci che Modigliani fu sorretto prima da sua madre e poi dalla sua compagna (suicida per amore), Picasso sposò ben sette donne che non furono solo le sue muse ispiratrici, Van Gogh ebbe un fratello amorevole che leggeva le sue lettere e gli inviava i soldi per acquistare i colori, Pollock fu amato da una donna che rinunciò a dipingere pur di sostenerlo psicologicamente con una vita equilibrata e che lui amò a suo modo; Paul Klee fu mantenuto per molti anni da una moglie più grande che, dando lezioni di piano, gli permise la carriera di pittore e che egli amò con riconoscenza e devozione.
    Per concludere il genio si esprime a modo suo e questo ci sta bene, ma la “ragionevolezza dell’amore” non solo nei confronti degli artisti ma dell’arte in generale, ha permesso loro di sopravvivere a sé stessi. Laddove questo aiuto non è intervenuto o non è stato presente a causa del soggetto difficile, o non è stato sufficiente, o ancora non è stato adeguato nel metodo, il pazzo ha ucciso l’artista.
    Ciao.

  120. Il pazzo ha ucciso l’artista. Frase forte ma condivisibile. E’ vero Rossella ,in alcuni casi avviene.

  121. @rossella
    scusa se mi permetto ma vorrei fare una piccola precisazione.
    van gogh si uccise a 37 anni, in quel caso l’amore non è bastato. forse avrebbe preferito essere meno artista e un po’ più felice.

    picasso non aveva alcun problema di malattia mentale. semmai, era talmente str…. da far diventare pazzi gli altri. grande artista, ma molto meno grande uomo.
    anche per quanto riguarda modigliani, parlerei più di una “sregolatezza” indotta da uno stile di vita (peraltro abbastanza di moda in quegli anni) che di una vera e propria patologia.

    la “ragionevolezza dell’amore” può bastare a sorreggere il genio, là dove c’è, ma non credo putroppo che basti a sconfiggere la malattia e il dolore che da essa deriva. questo mi sembra doveroso verso quelle persone che nonostante tutto il loro amore non sono riuscite e non riescono in tale impresa.

    un saluto

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