Dicembre 21, 2024

160 thoughts on “PRESTO TI SVEGLIERAI. Incontro con Francesco Costa

  1. Ringrazio pure Antonella per il suo pezzo (già pubblicato su “Il Mattino”). Ancora non è al corrente che è finito qui a Letteratitudine… ma lo sparà presto!
    🙂

  2. Ripropongo le domande:
    In quali circostanze potreste uccidere qualcuno?
    Conoscete qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

    Provate a rispondere, via…

  3. Dimenticavo…
    Francesco Costa è (caldamente) invitato a partecipare alla discussione.
    Dimmi, caro Francesco:
    In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?
    Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?

  4. Grazie, amici cari, per il vostro affettuoso interesse e per l’ospitalità di cui mi fate l’onore. Vediamo, cercherò di rispondere alle prime domande che mi vedo porre. No, non potrei uccidere qualcuno se non per legittima difesa (avete presente la bionda Grace Kelly che dà di piglio a un paio di gigantesche e lucenti forbici per trafiggere il tizio che l’ha aggredita da dietro con l’intenzione di strangolarla?), è un vero tabu per me (tutto il romanzo s’impernia sulla difficoltà che Laura vive all’idea di dover uccidere e sulla disinvoltura con cui gli altri accettano intorno a lei l’ipotesi di poterlo fare. Mi ha sempre affascinato la naturalezza con cui, stando ai giornali, c’è chi uccide e poi va a farsi la pizza con gli amici che non si accorgono di niente. Come si fa? In quanto alla Cucinotta, vedendola spesso dal vivo, non so dire se è in persona è meglio che in TV. Posso dire che è una donna bella, dinamica e generosa. Attendo altri quesiti. E grazie alla Riccioli, alias Miss Lucy Steele, e alla Cilento per le loro splendide recensioni.

  5. @Costa. Un mio amico usava dire: “Uccidere è mestiere. Me-stie-re”. Però forse lui non fa testo, in quanto di professione faceva il killer. Complimenti per il libro e la carriera. Io questo suo romanzo non l’ho ancora letto, ma lo farò quanto prima. La Simona mi ha fatto una testa così: “E’ straordinario! Ha un senso dell’umorismo eccezionale!” E se lo dice la Simona…

  6. Ciao Francesco! Grazie a te…
    Spiego il riferimento… Francesco ed io condividiamo la passione per Jane Austen (film e libri…), tanto è vero che spesso ci chiediamo: “Che farebbe Jane? E Jane che ne direbbe?”… Dato il mio nome, sono stata soprannominata Lucy Steele, personaggio di “Ragione e sentimento”. Credo che Francesco abbia trovato in Jane un riferimento per la sua scrittura ironica, i ritratti in punta di penna, lo sguardo disincantato eppure amabile sulle cose.

  7. In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?
    Io condivido appieno il motto di Kant che la protagonista del romanzo fa sua regola di vita: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Non saprei uccidere deliberatamente qualcuno e spesso mi sento proprio come la povera Laura. Presto mi sveglierò?
    Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?
    Un sogno macchiato di sangue diventa un incubo. Alla lunga distanza credo che sia così.
    Già Francesco ha commesso un omicidio: ha fatto morire mia sorella dalle risate…

  8. Ed Eccoci finalmente al bellissimo libro di Francesco Costa, raro gioiello di brillantezza e di umorismo, sosfisticato esempio di commedia “nera”, di cui in Italia fatico a rintracciare altri amabili esempi. Davvero, leggete tutti questo romanzo. Non lo abbandonerete più, e lo regalerete, come sta accadendo a me. E’ un consiglio che mi sento di offrirvi, dal mio piccolissimo e personale punto di vista. Leggetelo. Non solo per la finezza della scrittura, per l’acume dell’introspezione e per l’abbondanza delle battute, ma soprattutto per quel ritmo serrato – non vi abbandonerà più, dall’inizio alla fine, e nel mio caso è stato persino responsabile di due lunghissime notti insonni – che diventa una sorta di ricamo interiore, di monologo immaginifico – una cadenza lunga che ci si porta dentro anche dopo aver chiuso le pagine e aver riposto il volume. E’ come una risacca la letteratura. La senti dentro. La senti crescere dentro. Io credo che questo accada essenzialmente per i grandi libri. Mi è accaduto per Cent’anni di solitudine. Mi accade per Joyce Carol Oates. E ora per “Presto ti sveglierai”, sebbene attraverso registri e motivazioni differenti. Per libri insomma che, al di là del contenuto, premono dentro, con una sorta di urgenza linguistica, storica, esistenziale, una forza musicale, sinonimi di un ritmo interno dello scrittore, che deve essere quello che ti acciuffa per i capelli e ti trascina davanti al computer per ore, pomeriggi, notti, mesi, finché la tua storia si stacca da te per andare incontro al mondo, per divenire la storia del mondo. E in quel mondo ci sei pure tu. Quel mondo sei tu. E’ questo che fanno gli scrittori, quando sono tali. Incidono dentro di te. Seminano impronte. Aprono cassetti che poi vai a colmare col tuo dolore e col sorriso. Il romanzo di Francesco Costa apre infiniti cassetti, appellandosi alla disponibilità del lettore. Al suo bisogno d’incanto. Di struggimento. Ma pure di messa in discussione e di indagine della crisi. E’ un libro che sotto la briosità dell’umorismo nasconde voragini di dolore puro e carne viva, e uno sguardo attento e radicale sul mondo contemporaneo e questo difficile paese. C’è una satira sagace ma pure dolente della difficile realtà politica che viviamo, c’è il racconto dell’intolleranza nei confronti dei campi nomadi, c’è il problema (ormai internazionale) dell’urgenza rifiuti in Campania, e c’è Napoli, da sempre “femmina” di taverna e “principessa” decaduta, altera e popolana insieme, questa Napoli di cui sentiamo gli umori, i suoni, l’inquietudine, una Napoli-teatro, la Napoli-laboratorio che mette in scena gli shakespeariani attori di sempre, per l’epopea più immane che si conosca: il perimetro dell’animo umano. E’ questo che interessa allo scrittore, in fin dei conti. Ed è quello che dovrebbe riguardare chiunque scrive: il problema dell’animo umano. Della sua complessità. Della sua fragilità. Non stupisce affatto che i suoi principali riferimenti siano Virginia Woolf e Jane Austen. O Henry James. Scrittori da sempre attenti all’animo umano. Al suo mistero. Alla sua geografia. “Presto ti sveglierai” vi farà compiere questo grande viaggio, che prevede soste di stupore, di fantasia, disillusione, ribellione, presa di coscienza. E poi nuovi affondi. E ancora discese ai limiti del cuore. A ognuna di queste stazioni lo scrittore vi accompagnerà strabiliandovi, prendedovi per mano col suo stile puntuale, incalzante, incisivo, poetico. Mai piatto. Davvero tante felicitazioni a Francesco e tanti auguri per un romanzo che lascerà un’impronta di sicuro valore.

  9. Vorrei salutare la cara Antonella Cilento (e naturalmente P.) e complimentarmi per la sua recensione puntuale e da “napoletana doc”. Per me è un onore essere associata in questo post a persone come Antonella e Francesco, che stimo come scrittori e ancor prima come persone. Di Simo non dico…
    🙂

  10. Vi posto una pagina in cui Francesco lancia i suoi ironici strali sulla pseudoletteratura che circola oggidì…
    Laura ha una figlia, Gemma, che vuole sfondare come scrittrice su suggerimento di MIriam, l’imbonistrice televisiva…

    “Miriam mi ha già trovato l’editore e giura che, conciata così, diventerò subito famosa. Basta che dica d’aver messo il velo per rendere omaggio a una cultura diversa dalla nostra. Pare che qui uno scrittore acquisti visibilità solo se spara stronzate prive di senso. Mi sembra un sogno, mamma, e quanto ci scommetti che Rebecca la porca sarà in testa alle classifiche per sei mesi?”

  11. Ragazzi, sono lieto che si sia colto il mix (che desideravo particolarmente equilibrato) fra l’umorismo travolgente delle costruzioni lessicali e delle invenzioni visive sovratono (l’omino d’acqua, il ragazzo che si crede Gesù, il poliziotto cionco, la figlia che cambia aspetto a ogni scena, il doppio corteo contro i nomadi) con la malinconia di fondo all’idea di languire in una nazione allo sbando che fa di qualsiasi tragedia un Carnevale e fa sentire ogni persona onesta un fesso. Vi ringrazio e, of course, vi amo appassionatamente, Francesco Costa

  12. Che bello!!
    “Miriam è la quintessenza dello sfasciume televisivo che ha inquinato le intelligenze e le coscienze di tutta Italia e conduce l’ennesimo reality, volto ad indagare sulle fantasie omicide che infettano anche gli animi più insospettabili, come quello di Laura.”
    Questa ingenuona si chiama come me!!!
    Voglio leggere al più presto il libro…..
    un carissimo saluto a tutti!
    🙂

  13. Caro Francesco,
    Presto ti sveglierai è un titolo che sa di mistico, una specie di monito che vuol ricondurre l’uomo ad esser tale, spogliarlo da maschere e vestizioni di perenni carnevali.
    Sono certa che ti piacerà osservare pulcinella o arlecchino nei loro tipici costumi: ha il volto coperto, alla cintola appende i sacchetti con i soldi, ha scarpe leggere che non lasciano le orme sul terreno, in modo tale che neppure il popolo dopo anni di governo si accorge dei furti perpetrati. Si muove saltellando, zizzagando.
    Mantenendo le natiche ben visibili, mentre sussurra all’orecchio quel che neppure intende o conosce, solo perché si annoia o perché si diverte a diffondere trame inventate, questo jolly nel gioco delle carte può stare accanto a tutti, pronto a dare una mano per fregare l’avversario e pronto ad essere ripescato nel mazzo in aiuto dell’avversario stesso. Banderuola mercenaria.
    Nei tarocchi è il matto, senza testa e senza ragione, piccolo demone.
    Che ognuno inizi a cercare questa maschera dove ritiene più opportuno! Sicuramente le pagine dei giornali dedicate alla politica sono un ottimo carro da martedì grasso, ma la corruzione di arlecchino non sdegna neppure più, si subisce passivamente.
    Tutto quello che avrebbe dovuto essere moralmente perseguibile è mutato nel suo contrario, per cui l’onesto è considerato un fesso, il lestofante uno che la sa lunga, il corrotto uno che ci sa fare col sistema, in barba alla legalità i diritti più ovvi sono divenuti privilegi.
    Il comportamento di pulcinella diventa un fatto scontato (interiormente tutti la pensano così) e passivamente si ingoiano i loro errori. Basta vedere i risultati.
    Insomma sopra la maschera di pulcinella si sono indossate altre maschere, iscritti al partito, padri di famiglia, figli multiparties, maestri pseudo spirituali, auree intellettuali, professori, i mezzi non mancano per riuscire a gabbare, prediche, moniti, consigli, le ricette per “cambiare le vostre vite in meglio” sono state propinate con formule soporifere, dai palchi o dai confessionali che importa, in cambio della vostra dedizione, ma non c’è dolore peggiore di svegliarsi ed accorgersi proprio di questo, della menzogna di chi vende sogni avendo abilmente fatto credere il contrario e quasi sempre suo malgrado. Che cosa voglio dire? Le prime menzogne sono quelle che si raccontano a sé stessi ma, se permetti, un conto è autofregarsi, un altro conto è fregare le vite altrui.

    Tenera e ignara colei che ha recitato il mantra sotto un manto di stelle.

  14. Tenera e ignara è colei che ha recitato il mantra sotto un manto di stelle, ma non così sprovveduta come qualcuno s’è illuso che lei fosse. Laura è fregata dal suo bisogno di aver fiducia in quelli che ama, dalla necessità di ritenere gente di valore quella a cui accorda il proprio affetto, ma è immune per sua fortuna da un morbo che in Italia contagia folle oceaniche: lo spasmodico desiderio di piacere a tutti, la ricerca furibonda di consensi a tutti i costi e l’opinione che si esista solo se c’è un altro a guardarti. E’ questa la forza di Laura: a lei non interessa esibirsi o diventare famosa o apparire sui teleschermi. Si contenterebbe di essere innamorata a vita. Come potrà attraversare la città sommersa dai rifiuti senza contaminarsi a sua volta? In quanto a Miriam Ravasio, mi perdoni: c’è un segreto di natura scaramantica dietro la scelta dei nomi che appongo ai miei personaggi. Miriam mi pareva sufficientemente misterioso, distante, imperscrutabile da essere affidato a una diva della TV che nella storia svolge un po’ il ruolo del Padreterno (o quello di Satana, a scelta) e decide quali anime si salveranno e quali finiranno dannate. Baci a Rossella e scuse a Miriam, Francesco Costa

  15. Quasi trent’anni di cronaca nera tra omicidi, incidenti e disgrazie varie. Ho parlato con vivi che poi sarebbero stati assassinati, con parenti di morti e con assassini. E’ la vita, anzi, è la morte. Che altro non è che la naturale evoluzione della vita. Certo, morire di vecchiaia o tra le cosce di Wanda la strappamutanne è un conto, morire con una palla di 38 in testa è un altro.
    Giusto giorni fa parlavo con un pentito. Ricordavamo l’omicidio di Tizio che io attribuii erroneamente a Caio. Il pentito mi disse: “e no, no, no! non mettere in giro questa bugia! Tizio lo ammazzai io. Era seduto, gli ho messo la canna della pistola in testa e….PO’!…tanti saluti”.
    Orgoglio d’assassino che ci tiene a chiarire che l’infame lo ammazzò lui. Ci mancherebbe!
    C’è una logica in tutto ciò? Sì, c’è. Anche se a noi sfugge…più o meno.

  16. Cara Maria Lucia, grazie delle tue parole sempre dolcissime. Sei unica. Io credo che ogni scrittore sia potenzialmente un creatore ma pure un assassino, nel senso che attraverso la parola può decidere il destino di un personaggio e pareggiare i conti con la vita. Nei romanzi possiamo tradurre e cristallizzare alcuni luoghi del “nostro” inconscio. Sì, sono tante le persone che vorrei uccidere. Ma proprio tante. Letterariamente parlando, s’intende. Vorrei uccidere chi frena l’entusiasmo degli altri o anche solo chi lo appanna, come alito su un bicchiere. Vorrei uccidere chi non ha la forza per obbedire all’imperativo di un sogno (non è retorica, mi si creda). O chi ha paura dell’ignoto, del lasciarsi andare senza un paracadute. Vorrei uccidere chi deve sempre guastare il lato bello delle cose, insinuando il tarlo della disillusione. Vorrei uccidere chi non ti consente di esprimere il tuo dolore senza farsi beffa di te. Vorrei uccidere chi non rispetta l’altro nel suo bisogno d’incanto. Chi non sa accoglierlo. Chi vede nell’altro una minaccia al suo mediocre torpore. Io credo che ci siano ferite assai peggiori delle mutilazioni fisiche, e sono quelle che vanno a intaccare l’interiore, che ci fanno franare dentro. Siamo animali sognatori. E la protagonista del romanzo di Francesco Costa lo è per eccellenza. In senso assoluto. Ma come tutti i sognatori si trova a fronteggiare un orizzonte squallido, buio, fatto di finzioni, di convenzionalità, di codici che si rivelano inintelleggibili e aridi. Una volta apprezzai moltissimo una definizione di Aldo Busi, che io ritengo un autentico genio. In quell’occasione lui disse che la motivazione che lo aveva reso un artista era la RABBIA. La sua rabbia. Tutta la rabbia che aveva accumulato nella vita. Tutti i morsi presi e non ancora restituiti. Ecco, io credo che la scrittura ci offra questa grande possibilità. Evitando tanti delitti nella vita reale. Approfittiamone: onestamente, chi di noi non ne farebbe fuori almeno dieci?

  17. @ Francesco:
    mi riconosco in Laura, ma… facciamo che è un segreto
    Ci ritorno dopo la lettura. Ciao, miriam

  18. Miriam… TU sei esattamente il contrario di quel personaggio che Francesco ha reso perfettamente odiosa e assolutamente detestabile…
    🙂
    Luigi: credo che tu abbia ragione per un aspetto che ritengo fondamentale in letteratura e in generale nell’arte. Il loro essere compensazione e risarcimento. Risarcimento delle ferite e degli inganni della vita. Lo scrittore però non può e non deve cedere – come nella vita – alla tentazione di farsi giustiziere di se stesso o altrui. Il suo compito è semmai quello di accendere un lumicino nel buio cammino verso la verità. I conti verranno pareggiati, i debiti verranno saldati e forse rimessi in altro, alto loco.
    Però vuoi mettere la soddisfazione di ammazzare su carta chi ti sta sulle scatole?
    🙂
    Per quanto riguarda la rabbia, credo che l’arte aiuti ad incanalarla in senso positivo anziché distruttivo. Ah se Hitler avesse fatto il pittore!

  19. Brava Rossella… Laura smette di autoingannarsi e le cadono i prosciutti dagli occhi a proposito di coloro che amava e stimava. Triste non è chi recita il mantra, ma chi si beffa di chi lo recita, chi non rispetta i sogni altrui e li manipola per proprio tornaconto. Padre Dante mise questi tizi – e fece bene – nei bassifondi del suo Inferno!

  20. Enrico, non so se l’assassinio sia mestiere, arte, vocazione, destino. Trovarcisi faccia a faccia credo sia da rabbrividire. E’ come affacciarsi al pozzo oscuro dell’umanità, scrutare nelle sue cantine segrete. Spero che i miasmi di quel pozzo nero non spengano il tuo lumicino di indagatore e di essere umano.
    Laura sa di essere diversa. Vuole essere diversa dal marciume che la circonda. E con ironia e sentimento – non sentimentalismo – ci riesce. Non ha smania di apparire, non svende la sua anima al tubo catodico come certi assassini divenuti testimonial per campagne pubblicitarie armate da copywriters scoscienziati…

  21. Cara Maria Lucia, Adolf Hitler avrebbe voluto fare il pittore, ma i suoi quadri non ebbero successo ed ecco che in lui si scatenò la furia di chi si sente un fallito. A volte vorrei dire ai critici di essere indulgenti nelle loro recensioni, perchè potrebbe ronzare in giro qualche altro Hitler che, stroncato brutalmente, avrebbe buon gioco a divorare il mondo con la sua rabbia. Io non ci credo tanto al potere salvifico della rabbia. Quando mi arrabbio, sto male: dico e faccio cose di cui mi pento. Io credo al potere liberatorio della risata. Al fatto che l’umorismo e l’autoironia siano il contrassegno della più squisita civiltà. Avete mai notato che i fanatici, i terroristi, gli ideologi non sanno ridere perchè sono del tutto sprovvisti di senso dell’umorismo e un’ombra di barbarie accompagna chi si prende troppo sul serio? Guai a chi non capisce che la vita è teatro e che bisogna esser pronti a smettere le maschere che indossiamo per passare il tempo! A Miriam dico che Laura siamo tutti noi: è la parte sana di un paese che è sull’orlo di un baratro. Rappresenta gente che lavora per quattro soldi, che passa cultura agli studenti, che si contenta di fare il proprio dovere, che si ritrae di fronte alla distruttività. Affascinante l’intervento di Enrico Gregori che ha incontrato sia assassini che assassinati in questo mondo di ombre che inseguono ombre. E’ un intervento che ti riempie la testa di immagini. Che innesca riflessioni a catena. A che cosa aggrapparci per sorridere? Alla mia Laura basta un albero. Goderne l’ombra la fortifica. Potrebbe dire “più conosco gli uomini e più amo gli alberi”, forse, anche se di esseri umani affascinanti ne esistono ancora. Un saluto, Francesco Costa

  22. @ Francesco Costa
    Dici:
    “Io credo al potere liberatorio della risata. Al fatto che l’umorismo e l’autoironia siano il contrassegno della più squisita civiltà”.
    Parole sante! Sono totalmente d’accordo! E fai bene a sottolineare, in riferimento al detto “Più conosco gli uomini più amo gli animali”, che di essere umani affascinanti in giro se ne trovano ancora (e tanti, aggiungo io, basta saper guardare, con un sorriso), perchè la frase in questione è davvero lugubre e arrogante.
    Mi hai fatto venire la voglia di leggere il tuo libro, al quale auguro vita infinita,
    Gaetano

  23. Un saluto all’amico Luigi La Rosa che, nel suo primo commento, ha scritto un’ulteriore bellissima recensione.
    Un grazie speciale a Maria Lucia (oggi niente mare, eh?).

  24. @ Francesco Costa
    Tu sei uno scrittore poliedrico.
    A tuo avviso, nella scrittura, la poliedricità è più un rischio o un’opportunità?
    Te lo chiedo anche rispetto alle ferree e, talvolta, assurde leggi del mercato editoriale.

  25. Grazie per l’augurio di vita infinita che fai al mio libro, Gaetano caro, e vi invito a rileggere l’intervento di Luigi La Rosa che, ove ce ne fosse bisogno, conferma di essere un individuo eccezionale. Attacca chi demolisce l’entusiasmo altrui. E in effetti l’entusiasmo non andrebbe mai fiaccato perchè è la forza che ci spinge in avanti, che ci perdonare i torti di chi non ha compreso il nostro amore e fa fiorire progetti nel nostro cervello. La radice etimologica di entusiasmo è d’altronde nel greco antico “respiro di Dio” e davvero chi è un entusiasta si sente un po’ Dio perchè non vede ostacoli sul suo cammino. Malgrado tutto, sono un entusiasta. Per come sono fatto, non potrei essere arrivato al 6° romanzo se non fossi stato un entusiasta, anche perchè l’ambiente editoriale italiano potrebbe anche sembrare un acquitrino nel quale devi stare attento a dove metti i piedi. Sì, sono un entusiasta e ne ringrazio la sorte. La protagonista del mio libro, invece, più che un’entusiasta è una mite. Laura è una donna dolcissima che, come le eroine delle Metamorfosi di Ovidio, vorrebbe tramutarsi in un arbusto per sfuggire agli orrori del mondo. Al momento di far vedere di che pasta è fatta, però, anche la povera Laura è una che sa farsi rispettare. Le ho prestato la mia capacità di saper operare al momento opportuno qualche taglio necessario per poi andare avanti senza voltarmi indietro. Ogni tanto fa bene svegliarsi dal torpore in cui ti gettano le abitudini e le false certezze. Vita infinita al mio libro: ma che bella immagine, Gaetano. Grazie di cuore, Francesco Costa

  26. Caro Massimo, mi chiedi se la poliedricità è un rischio o un’opportunità. Confuso su tante cose, ho al riguardo (stranamente) un’opinione abbastanza precisa. A ben leggere gli autori che hanno reso grande l’arte del narrare, si vede che ognuno di loro ha raccontato in fondo sempre la stessa storia, ha cucinato in salse diverse sempre lo stesso tema, si è dibattuto con oscillanti variazioni di tono sempre nella medesima ossessione. Io racconto per esempio sempre la stessa faccenda (un sognatore o una sognatrice, messi in difficoltà da un mondo difficile, sormontano ostacoli ciclopici e recuperano una loro idea di felicità), ma impostandola su registri narrativi sempre diversi anche perchè lancio continuamente sfide a me stesso: il grande romanzo psicologico (“La volpe a tre zampe”), il romanzo storico (“L’imbroglio nel lenzuolo”), l’affondo liberatorio nelle inibizioni e nelle nevrosi (“Non vedrò mai Calcutta” e “Se piango, picchiami”), la commedia satirica (“Il dovere dell’ospitalità”), la commedia nera o black comedy (“Presto ti sveglierai”). La poliedricità è un’opportunità, altro che storie, perchè ti permette di riproporre il tuo daimon in forme sempre differenti e sedurre il lettore con la solita storia modificata da continue distorsioni prospettiche. E’ vero che, prima del lettore, si deve sedurre un editore e questa è impresa titanica, ma prima o poi (batti e ribatti) l’incontro giusto alle fine lo si dovrebbe fare, a meno che non sia abbia un kharma di sconfitta e avvilimento di particolare crudezza. Per riassumere, un un unico tema orchestrato su diverse chiavi di racconto e poi sottoposto a mille travestimenti o invenzioni. Inventare è respirare. Francesco Costa

  27. Caro Massimo, grazie a te di questo magnifico spazio che ci offri, consentendoci di interrogarci su libri e autori che amiamo, o che in molti casi non conosciamo ancora e vogliamo scoprire. Io penso sempre con grande ansia e affetto alla fatica che tu devi metterci, a quanto ti costerà tutto questo. Grazie di renderlo possibile. Ci sono cose che sono invisibili, ma senza le quali il mondo si fermerebbe. Accadono sotto la pelle del vivere. Nessuno sembra farci caso. Nessuno le vede. Ma ci sono. Eccome se ci sono. Se penso ai “lampionai”, mestiere ormai scomparso, dotato di una sua pirandelliana magia… A molti sarà parso normale uscire la sera, avventurandosi per le strade, e ritrovare sul proprio percorso la luce tremolante dei lampioni. La luce elettrica sarebbe venuta successivamente. Tuttavia quel chiarore doveva apparire come qualcosa di scontato, di ordinario, come per noi la luce del sole o della luna. Era uno splendore dettato da un sacrificio costante, quotidiano, rotondo. Un sacrificio d’amore. Quanti avranno pensato, anche solo un attimo, a tutte quelle persone che hanno continuato ad accendere quei lampioni, o a spegnerli, mentre tutti facevano altro, mentre gli altri dormivano, partivano, morivano, facevano l’amore? Quanti li avranno ringraziati? Ecco, talvolta tutto questo e la tua attività mi fa pensare a quel tipo di dedizione, oggi rara. Pertanto, grazie davvero. Il successo del tuo blog è la conseguenza naturale e meritata di un simile impegno. Un caro abbraccio

  28. Caro Francesco, grazie dei tuoi complimenti. Sicuramente non merito tanto. Ma sono comunque felice che tu abbia apprezzato il mio messaggio dell’entusiasmo. Io credo che la felicità sia qualcosa di artigianale, che vada costruita come l’arte, un pezzetto alla volta, un giorno dopo l’altro. Ci sono tante cadute, tanti apparenti fallimenti. Né mancano i momenti di crisi o di sconforto. Tutto questo è fisiologico. Perché aggravare allora le cose con il nostro squallido umore? Sì, decisamente, chi uccide l’entusiasmo degli altri non ha diritto a essere definito umano. Forse non lo è davvero. E’ come certa gente che ti sconsiglia di seguire la sua stessa strada, per paura che tu possa diventare migliore, o per il classico timore dell’allievo che supera il maestro. Io sono per le sfide, per il crederci. Ed è l’atteggiamento che ho sempre adoperato coi miei allievi in tutti i laboratori di scrittura. Mai scoraggiare, ma chiarire. E correggere insieme, per crescere insieme. Per me l’atteggiamento di chi ti influenza – nel bene o nel male – diventa un serio discriminante. In fin dei conti, che cosa si rischia a sognare?

  29. Ma che begli orizzonti di riflessione si stanno aprendo in questo post…
    Hai fatto bene, Francesco, a parlare della mitezza, una delle virtù che salva il mondo. E grazie per le etimologie suggestive. Entusiasmo come respiro di Dio. Quando siamo disillusi invece è come se ci mancasse il respiro… In “Heaven out of hell”, bellissima canzone di Elisa, si dice “Are you breathing half the air?” (Stai respirando a metà? Cioè, stai vivendo a metà? Chi non è entusiasta vive una vita a mezzo servizio… L’unico modo è tirar fuori il paradiso dall’inferno – Heaven out of hell – , cioè credere in una felicità possibile).
    A Massi: io sono a Militello da mia sorella e mi sto spupazzando il mio carissimo nipotino che oggi festeggia l’onomastico. Paolo, il santo del libro e della spada, del fuoco della parola…

  30. Ho letto proprio di recente il romanzo di Francesco Costa, e ne sono rimasto estremamente colpito. Lo scrittore ci trascina all’interno di un mondo di finzioni, di inganni, dove tutto – anche il vivere, e il morire appunto – diventa occasione di fiction. La sua è una denuncia attenta e attualissima del mondo televisivo che banalizza tutto. Ho divorato il romanzo divertendomi, ridendo ma pure riflettendo, come sempre mi capita con i libri di Francesco Costa. Spero che questo romanzo abbia davvero tanta fortuna, e faccio all’autore e amico Francesco i miei più sinceri auguri di tanto successo…Saluto con affetto anche Maria Lucia e Simona

  31. Caro Luigi, ti ringrazio per tutto quello che hai reso possibile con la tua presenza nelle nostre vite. Senza di te, niente Antonella, niente Francesco, niente Lia, forse niente Massimo… e le nostre storie avrebbero preso pieghe diverse. La scrittura è il filo invisibile che ci unisce e tu meriti l’appellativo di “uomo dei fili”, perché hai collegato le vite di allievi romani, catanesi, siracusani, alla tua e a quella di tanti scrittori. Non perdere l’entusiamo e bando alle ipocondrie!
    Grazie sempre anche a te, Massi, che sconosci invidia e arrivismo e dai spazio e attenzione ad ognuno di noi come se fosse unico…
    Ora basta se no prendo i kleenex!
    🙂

  32. Alessio, ciao caro! Un bacio da Militello da me e Paoletto!
    Intervieni più spesso, sei delizioso!
    🙂
    Sembriamo quelli che si fanno i complimenti fra di loro, ma siamo sinceri…

  33. Maria Lucia cara, grazie a voi. Stiamo compiendo un percorso stupendo, tutti insieme. Stiamo crescendo insieme. E continueremo a farlo sempre. Ma le lacrime no. Meglio di no. Un bacio al mitico nipotino

  34. Facciamo i critici seri. La poliedricità è una ricchezza. Vero è che uno scrittore racconta sempre la stessa storia in mille modi diversi: la lingua batte dove il dente duole. Ipocondrie, fobie, snodi dolenti, cuori pulsanti ruotano sempre attorno allo stesso nucleo poetico che viene trasfigurato in scrittura. Non posso dare se non ciò che ho. Siamo insinceri quando affrontiamo tematiche e generi che non ci appartengono perché estranei al nostro nodo vitale e poetico. Ma la poliedricità è sorgente fecondissima per un autore perché gli permette di esplorare e donare il proprio mondo interiore seguendo sentieri diversi che però si incontrano sempre allo stesso punto, come acade all’acqua di un fiume che si disperde per colline pianure secche steppe e si ritrova arricchita di limi e sali e pietre e pesci e piante alla foce. E dov’è la foce? Negli occhi e nella mente e nel cuore di chi legge.

  35. @ Maria Lucia
    Per te Laura è odiosa e detestabile, per l’autore è invece una creatura dolcissima a cui, per compassione o amore o per una proiezione di identità, presta la sua forza e forse le “palle” per non soccombere (vado a tentoni,non ho ancora letto il libro). Laura deve vivere (così mi sembra); e a me questa Laura è simpatica. Quanta energia sprechiamo in insulsassigini mascherate di cose belle da vedere, vivere, leggere! Ore e ore rubate all’incanto che potrebbe circondarci; solo che, per i più, sembra non esserci mai, oppure si trova sempre da qualche altra parte. A scuola a volte provo un senso di sfinimento e di impotenza, che al termine delle mie ore mi fa correre fuori, con le mani ancora sporche di colore , all’auto. Via al più presto, per conservare intatto il piacere della lezione, delle cose fatte evitandomi l’impoverimento, la liofilizzazione del senso, che incombe fra burocrazia e insensibilità, di chi c’è ma non vede mai!!!!! Distratti e mai fermi, come i villi.

  36. Generare, conservare e distruggere sono le caratteristiche della nostra esistenza.
    In esse si forma il cerchio della vita umana, consistente nello rispecchiarsi in queste attività, alla ricerca di una soluzione che ci aiuti a superare le difficoltà che incontriamo.
    L’uccisione procura, almeno per un attimo e anche solo al suo pensiero, un equilibrio psichico non irrilevante.
    Accade a volta, che sia una buona educazione come istruzione non basti a limitarla al solo pensiero.
    Esistono quindi casi particolari ed estremi che spingono l’essere a compiere l’atto dell’uccisione.
    Uccidendo si assuma un qualcosa dell’essere che si uccide, nel bene come nel male; liberandoci della sua presenza fisica, assumiamo una parte non irrilevante della sua spiritualità.
    Purtroppo ce ne accorgiamo solo dopo aver compiuto l’atto atroce, che assuma così il valore di un’autocondanna, perché dimostra la propria debolezza, sia di carattere come di educazione ed istruzione, incapace di contenere e infine superare il motivo che ci ha costretto ad uccidere.
    Chi uccide per professione, si nasconde per tutta la sua vita dietro un’identità che lo autorizza a uccidere senza provare rimorso alcuno, all’infuori dei primi casi nei quali ogni essere umano civilizzato prova una forma di rimorso a compiere l’atto distruttore.
    Il vangelo c’insegna di sopportare ogni offesa ricevuta e ci aiuta nell’intento, sempre arduo e difficile, perché comporta, almeno apparentemente, l’annullamento della propria personalità terrena nella forma da noi generalmente intesa, offrendoci in cambio la salvezza finale ed eterna. Chi ci crede, sarà salvato e onorato degnamente. Il problema risiede quindi nel credere e conservare la fede per tutta la vita.
    Dalla chimica impariamo che nulla va perso, che ogni fusione crea un qualcosa di nuovo e forse migliore; così penso che sia anche con il conservare bene, il rifiutare di vendicare un’offesa ricevuta e con lo uccidere un ritenuto avversario, anche quando poi si rivelerebbe una delle tante forme d’incomprensione umana.
    Tutto si riduce quindi all’incomprensione, derivante dalla limitatezza propria e degli altri e nella quale navighiamo durante tutta la vita.
    Chissà, se un giorno riusciremo a liberarci di lei e finalmente chiarire l’equivoco della nostra dimensione.
    Me lo auguro per il nostro bene comune, sia quindi dell’uccisore, come dell’ucciso.
    Cari saluti e perdonate la mia divagazione sul tema, che io però ritengo così vasto da poterla comprendere, eccome.
    Lorenzo

  37. Bell’intervento, Lorenzo Russo, ed è noto infatti che gli antropofagi praticano il cannibalismo non solo per sfamarsi, ma anche per introiettare il coraggio e altre virtù delle loro vittime. Non è inquietante, però, che in piena civiltà mediatica il delitto rimane un modo fin troppo diffuso di superare, come lei giustamente dice, la limitatezza individuale? Ce ne sarebbero altri, di modi, come l’amore, il gioco, l’arte. Il tema del mio romanzo è proprio questo: a Laura si chiede di commettere un omicidio in cambio di un oggettivo vantaggio per la sua vita, ma lei non è imbarbarita come quasi tutti quelli che la conoscono. Per lei non è un passo facile da compiere. Sente che, macchiandosi le mani di sangue, andrebbe verso il buio, verso una sorta di tenebra, dalla quale non tornerebbe indietro mai più. Scusi tutti questi paroloni, e ricordi che il libro (nel caso lo leggesse) si prefigge innanzitutto di strapparle qualche risata. Il dramma si rimpiatta fra le righe, la superficie è quella brillante di una commedia. Una commedia sul delitto. Grazie del suo meditato intervento, Francesco Costa

  38. Presto vi sveglierete.
    Scusate, ma la parola amore è composta da alfa privativo+ mors (morte).
    In effetti inconsciamente (hai presente i sogni che si fanno la notte nel letto quando si dorme) pistole e coltelli hanno lasciato il posto ad un atteggiamento di eliminazione del prossimo e c’è una bella differenza tra la forza interiore che richiede alti gradi di tolleranza e la forza della fiera che azzanna nella ricerca disperata di togliersi dalle scatole chi lo irretisce.

  39. Cara Miriam, no: io trovo detestabile la Miriam del libro tua omonima alla quale tu non assomigli. Lei è la conduttrice di un reality (Raccontalo a Miriam) in cui gli “ospiti” devono manifestare il desiderio di accoppare qualcuno. Odiosa, vero? Rifatta, conduttrice ammaliatrice senza scrupoli né principi…
    Invece Laura ha tutta la mia simpatia e solidarietà, perché è l’unica vera in un mondo finto, perché crede ancora nella legge morale scritta nel nostro cuore e nella legge d’amore scritta nelle stelle, perché odia le apparenze, perché pur esseno considerata “fessa” troverà la forza di reagire… Laura è tutti noi, quando cadiamo vittime della disillusione, quando veniamo irrisi perché sognatori e onesti in un mondo di furbi e prepotenti cinici approfittatori.

  40. Quando parlavo dei prosciutti che cadono dagli occhi di Laura volevo dire che la protagonista del romanzo cresce (Bildungsroman, romanzo di formazione sono quasi tutte le storie: il personaggio in uscita non è uguale a com’era in entrata) anche perché, scontrandosi con la realtà, deve farci i conti. Maturerà ma quasto non vuol dire che rinnegherà l’innata onestà e i suoi sogni, tutt’altro. Forse avrà imparato a difenderli e, forse, a realizzarli. Ma vi posto qualche riga.

    “Attorno a lei sono tutti saturi d’odio. Sbeffeggiano chi si gode la vita con niente: ecco perché deve camuffare la propria bontà. E’ come un agente segreto, una resistente clandestina, una combattente per la sopravvivenza dei sentimenti costruttivi, da difendere come fossero una specie animale a rischio d’estinzione, e questo semplicemente perché intende svolgere con onestà il lavoro per il quale è pagata, e colmare d’amore le persone a lei care. A pensarla come lei son rimasti quattro gatti e con quest’aria che tira finirà che si dovranno nascondere nelle catacombe”.

  41. Laura recita il mantra di Kant e la rispetto per questo. Disprezzabile è chi si approfitta – Miriam l’imbonitrice e poi scoprirete chi, non vi tolgo il piacere della lettura – dell’ingenuità altrui, chi calpesta i sogni semplici degli altri per puro spirito del dileggio o per tornaconto…

  42. @ Luigi e Maria Lucia
    Caro Luigi, hai scritto: “Caro Massimo, grazie a te di questo magnifico spazio che ci offri, consentendoci di interrogarci su libri e autori che amiamo, o che in molti casi non conosciamo ancora e vogliamo scoprire. Io penso sempre con grande ansia e affetto alla fatica che tu devi metterci, a quanto ti costerà tutto questo. Grazie di renderlo possibile.”
    Grazie a te, caro Luigi. È vero, un po’ di fatica c’è… ma è fatica da “dietro le quinte” più che altro (prendere contatti, rispondere alle numerose mail). Però, come dico sempre, senza il vostro sostegno e senza i vostri contributi questo spazio non varrebbe nulla. Sarebbe uno spazio morto.
    Dunque, meriti e ringraziamenti vanno solo a voi, non a me.
    (Bellissima la metafora dei lampionai).
    —-
    Cara Maria Lucia, hai scritto: “Grazie sempre anche a te, Massi, che sconosci invidia e arrivismo e dai spazio e attenzione ad ognuno di noi come se fosse unico…”
    Io penso che ognuno di noi è unico (davvero, senza retorica) e che da soli non si va da nessuna parte.
    Grazie a te, Mari.

  43. Povera Antonella, senti cosa scrive il Maugger:
    ”Ringrazio pure Antonella per il suo pezzo (già pubblicato su “Il Mattino”). Ancora non è al corrente che è finito qui a Letteratitudine… ma lo sparà presto!”

    Hai letto bene come me? ”lo spara”’… lo spara’!

  44. Lo saprà… spiritosone (era evidente).
    Anzi, lo sa già… visto che ci siamo sentiti ieri. E dovrebbe intervenire oggi (ciao Antonella!!! E grazie).
    Buona giornata a tutti.

  45. Altra domanda per Francesco…
    Hai pubblicato con “Baldini Castoldi Dalai”, “Rizzoli”, “Marsilio” (oltre che “Salani”… e probabilmente ne dimentico qualcuno).
    Tra i suddetti editori… con chi ti sei trovato meglio (magari escludendo “Salani”)?

  46. @Franceschino…è vero che spesso si scrive sempre del nostro daimon vestendolo con parole diverse.
    Ed è bello che proprio intabarrandolo di voci differenti, il daimon si trasformi, e da creatura divenga creatore, da sogno che ci abita sogno che ci insegna.
    Che vorticoso miscuglio di pagine e respiro è la nostra vita quando scriviamo! Che nodo, che pietosissimo intreccio!
    Quante volte la parola ci ha preceduti, quante accompagnati. E quante volte ci ha consolati, ci ha rubato alla disfatta.
    Quante volte, Franceschino, ci ha salvati.
    Ecco perché sono d’accordo con Luigi.
    Sì, la parola sventa omicidi.Sventa attentati. Sventa la tentazione di rifarci sugli altri. Dei sorrisi mancati. Delle mani inutilmente tese. Dell’amore dimenticato.
    La scrittura lo riesuma e lo richiama. Ripopola i nostri cimiteri. E’ asilo dell’inespresso. Del non detto. Dell’impossibilità.
    “Presto ti sveglierai” evoca sì un feroce complotto contro i sognatori.
    Ma prima del risveglio…grazie, Franceschino. Per le risate. E per avercele offerte con la leggerezza di un abilissimo giocoliere che lancia birilli in aria e li fa volteggiare. Volano, i birilli, volano. E disegnano scene di destini, di incontri, di perdite.
    Le nostre vite. Ma rese lucide come perle sonanti, tonde, affilate dall’incanto delle parole. Le tue.

  47. @ Massi…e grazie anche a te. Perchè anche tu offri la possibilità di incontri. Con la parola. Con le voci. Col nostro daimon.
    Perchè scrivendo qui, scriviamo ogni giorno un frammento di un grande libro. Pagina dopo pagina lo incidiamo delle nostre vite. Dei nostri sogni. Dei nostri desideri.
    Una commedia umana che vive in tempo reale, respira all’unisono, azzera le distanze.
    Un volume di intrecci e idee, questo tuo blog, dove scrivere si è fatto sguardo, contaminazione, destino.

  48. Simona carissima, il pudore m’impedisce perfino di ringraziarti per le belle parole che mi dedichi. In quanto alla domanda di Massimo sui rapporti con gli editori, è presto detto: ho pubblicato il primo e il secondo libro con Baldini & Castoldi e, pur non avendo con Dalai un rapporto ottimale, non ne ho un ricordo esclusivamente negativo perchè intanto era il primo editore (e il primo amore non si scorda mai) e poi sono stato tradotto in Germania, in Grecia e in Spagna. Con il terzo libro sono approdato a Mondadori: esperienza terrificante! In un anno ho ricevuto solo due brevi telefonate da Franchini e poi il silenzio assoluto: un libro buttato nella spazzatura. E ci avevo lavorato tanto! E molti lo considerano il mio romanzo più intenso. Con il quarto libro passo a Marsilio e lì sento all’istante che non scatta una sintonia con Cesare De Michelis: mi tratta puntualmente con freddezza e distacco, impiegando in media la bellezza di 45 giorni per rispondere a un mio email. Sento di essergli stato antipatico a prima vista, e sa come far precipitare uno scrittore nell’angoscia. Nessuna iniziativa per il lancio del libro: un paio di recensioni su testate minori e poi il vuoto. Passo a Rizzoli con il quinto libro: va un po’ meglio, ottengo un minimo di attenzione in più, ma affogo in un mare di promesse non mantenute e poi non è esaltante il rapporto con il direttore editoriale (al mondo le affinità elettive, per dirla con Goethe, sono alla base dell’evoluzione) e così passo con il sesto libro (“Presto ti sveglierai”) alla Salani. Per la prima volta mi sento compreso. Lo scambio con l’editore è continuo e proficuo. Si lotta fianco a fianco. Mi si definisce “miniera di idee” e “cavallo di razza” a una riunione con i venditori (mai fatta in precedenza una riunione con i venditori: nessuno mi aveva detto che se ne organizzano parecchie l’anno per presentare gli scrittori ai venditori). Sul piano umano nasce una reciproca simpatia. Apprendo che si decide di ripubblicare il mio secondo romanzo, “L’imbroglio nel lenzuolo”, quello da cui è stato tratto un film con Maria Grazia Cucinotta e Geraldine Chaplin. E siamo arrivati a oggi: ecco com’è andata. Prima sono stato trattato con indifferenza, e in qualche caso con disprezzo, e adesso mi sento seguito. Posso lavorare ai progetti futuri con relativa serenità. Il mercato editoriale è in Italia sovraffollato e inquinato: il problema è, come dice un detto napoletano, quello di trovare la scarpa per il tuo piede, e cioè l’editore che fa per te. Ed è una ricerca che può durare molti anni, durante i quali lo scrittore deve restare produttivo, creativo, intraprendente, variare le proprie proposte ma lasciando trapelare un riconoscibile mondo interiore, e… avere fede nella Provvidenza, perchè nella vita la fortuna gioca un ruolo fondamentale (un Van Gogh è oggi inestimabile, ma il poveretto si tagliò prima un orecchio e poi si suicidò perchè nessuno si curava di lui, e mi pare che in vita non abbia venduto neanche un quadro). Io sono stato tenace e ho affinato il mio talento. Avendo un ottimo editore, adesso devo trovare un pubblico. Spero che “Presto ti sveglierai” entri nella classifica dei libri più venduti. Ha tutti i numeri per riuscirci. Il momento presente, però, non è dei più felici: i librai sostengono che non si vende un bel niente. Meglio non pensarci: io sono già tuffato nei libri futuri. E’ la migliore medicina. Grazie, Francesco Costa

  49. Appartengo alla categoria di persone che non sarebbe capace di uccidere se non per legittima difesa, mia o di persone care. Poi…non mi toccate i bambini, forse la difesa dei piccoli potrebbe portarmi a uccidere qualcuno. Ma rimanendo nel possibilismo dico che no, non ucciderei nessuno.
    E non conosco nessuno che mi abbia confessato di voler far fuori qualcuno. Ma questo, che appartiene comunque alle pulsioni primitive dell’uomo, non è un pensiero che si rivela. A patto che non si pratichi l’omicidio come mestiere. E in quel caso, come sottolineava Enrico, orgoglio di assassino…
    Complimenti a Francesco Costa per un libro che, dalle recensioni (a proposito, complimenti anche alle due “recensore”!) e dall’intervista (grande Simona!) promette bene in termini sì di ironia, ma anche di riflessione su argomenti che non passano mai di moda.
    Saluti a tutti.

  50. L’esperienza portata da Francesco Costa in tema di editoria è terrificante e insieme illuminante. Si pensa di poter dormire sogni tranquilli una volta arrivati alla Mondadori o alla Baldini&Castoldi e invece si è ancora all’inizio. Si diventa una piccola rotellina di un sistema elefantiaco e spesso l’autore per avere una recensione deve muoversi in proprio dando il libro in lettura ad amici giornalisti. Tutto ciò lo ritengo frustrante. A volte è meglio pubblicare con una media casa editrice (che abbia una distribuzione seria) e si coccola i propri autori. Sono d’accordo con Luigi quando afferma che la scrittura è sogno, è proiettarsi oltre il quotidiano, è entusiasmo e gioia di vivere. Guai a uccidere quell’entusiamo in una persona che vuole spendere la propria vita all’insegna della scrittura, indipendentemente dalle sue doti artistiche. Nei salotti di Simona si respira aria salubre, solidarietà, cameratismo, non c’è rivalità, invidia tra le persone. E già questo è un traguardo straordinario, la scrittura, l’amore per la letteratura lega un gruppo di amici quasi in una sorta di fratellanza. A Francesco desiderei chiedere: quanto è importante nell’arte e nella vita la capacità di ironia e di autoironia, saper ridere di se stessi anche nei momenti difficili? Non mi pare attualmente ci siano molti scrittori in giro in grado di esercitare questa nobile arte.

    PS (Silvia Leonardi la strozzerei volentiei, non chiedetemi il motivo.)

  51. Ho fatto qualche errorino dovuto alla fretta: sogni tranquilli= sonni tranquilli- desiderei= desidererei, ecc ecc.

  52. Ciao a tutti, e ben ritrovati (ma vi tengo costantemente d’occhio, anche senza intervenire).
    Ho il piacere di essere tra i lettori di Francesco, esempio piuttosto raro di scrittore straordinario e uomo estremamente piacevole. Avendo avuto la fortuna recente di incontrarlo, credo sia la sintesi di una nuova onda della scrittura della mia città. In questo romanzo, diverso e contiguo alla sua precedente produzione, ti citofona alle due di notte e ti trascina per un tragitto noto e misterioso: trascinandoti comincia a raccontare e tu, che credevi solo di leggere un libro, ti ritrovi in medias res, su un vagoncino di montagne russe al buio e circondato da compagni strani e normalissimi.
    Ho amato “La volpe a tre zampe”, romanzo e film, dal profondo dell’anima. Mi sento come un insegnante che nel suo cuore ha dato un dieci e che, dopo aver temuto la seconda prova, è felice di ritrovare la conferma del primo giudizio.
    Tanto dovrei scrivere sul potere salvifico dell’umorismo, sull’autoironia e sull’analisi della borghesia napoletana, confinante col proletariato senza mai avere il coraggio di ammetterlo, e sui valori strapazzati e lisi che ha. Ma siccome ho l’onore di presentare Francesco alla HDE di Napoli il giorno 11 luglio (siete tutti invitati), qualcosa la trattengo.
    Un forte abbraccio.

  53. Caro Salvo, alla domanda che la mia Laura si vede porre (“In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?”) vedo che hai già risposto spontaneamente: in qualunque circostanza, evidentemente, purchè la vittima sia la povera Silvia Leonardi. Scherzo, ovviamente. Tornando al rapporto con gli editori, è come in amore: bisogna cercare l’anima gemella. E di solito non la si trova nelle alte sfere: nei grandi gruppi editoriali si sfonda soltanto se puntano sul tuo libro fin dall’inizio (e infatti lo si vede dal fatto che le recensino precedono, e non seguono, l’uscita del volume in libreria. In quanto al valore terapeutico dell’ironia e dell’autoironia, che dire? Chi mi conosce, sa che sono un ottimo commensale: amo ridere e far ridere. Amici come Luigi La Rosa, per esempio, e anche altri, sanno quanto rido anche delle mie difficoltà nelle taverne o nei ristoranti cinesi di Trastevere, e che serate fatate trascorriamo in questo quartiere unico al mondo, fra le piazze e i vicoli rischiarati dalle lanterne. Ridere è salvifico, anche perchè siamo tutti di passaggio, e in fondo recitiamo in una tragicommedia di cui ci sfugge il senso. Come dice Shakespeare, la vita è una favola narrata da un ubriaco, e allora perchè prendersela? In fondo puoi cambiare te stesso più che il mondo. Afferriamo al volo l’attimo, piuttosto, e abbeveriamoci alla coppa dell’esistenza senza inacidirci. Alla prossima, Francesco Costa

  54. @Salvo…
    Grazie Salvuccio! …Quando con Luigi abbiamo iniziato la nostra “impresa” (un salotto letterario all’insegna della lettura e della scrittura) anche senza dircelo – solo guardandoci riflessi allo specchio – ci siamo detti : una famiglia. Volevamo una famiglia.
    Ma una famigla d’elezione. Di scelte dell’anima e del desiderio. Una famiglia per certi versi zoppicante come le nostre vite. E imperfetta, come le nostre vite. Ma necessaria. In cui scrivere, e leggere,e raccontarci, era indispensabile.
    Da allora la scrittura è condivisione.
    Da allora è piangerci e riderci addosso.
    E’ sogno ma anche vita vera che si sovrappongono in miasmi del cuore, delle parole, e poi di nuovo delle parole e del cuore.
    Un continuo rimando. Un infinito rincorrersi. Un’assillante e feroce appartenenza.
    Per questa famiglia sono stati sventati molti omicidi….! Perchè quando la parola è sublimata dall’altro ( per la sua debolezza, per il suo destino, per l’assoluta somiglianza col nostro), è davvero comunicazione.
    Ed è anche di più. E’ trasposizione. Di me su te. E ancora di te su me.
    Noi viviamo così i nostri “salotti”, perchè siamo tutti dei reduci.
    E sappiamo a quale zattera aggrapparci.

  55. Cara Simo, hai perfettamente ragione. Anzi, proprio a questo proposito, vorrei citare una cosa che mi ripete spesso Francesco, che può testimoniarlo. Non solo tra chi scrive si crea una sorta di famiglia – tenendo conto del fatto che il mio concetto di famiglia non è mai stato solo e tecnicamente “naturale”, ma assolutamente affettivo. La nostra famiglia non sono le persone che ci ritroviamo accanto per nascita o per parentela biologica (almeno, non solo quelle), ma quelle che affettivamente ci andiamo a scegliere nell’intricata matassa del mondo, quelle che sentiamo di amare, quelle con cui vogliamo (o non possiamo non) condividere delle cose necessarie alla nostra vita -, non solo tra gli scrittori attuali, dicevo, si tessono trame di affetto e di complicità, ma la cosa più affascinante è sentirsi parenti di scrittori già morti, lontani di secoli, geograficamente irraggiungibili, ma che aprendo una pagina tornano miracolosamente a sussurrarci all’orecchio la loro malinconia. E’ un contatto magico, che ci fa sentire lontani parenti di Virginia Woolf, di Marguerite Yourcenar, di Omero, o di Marcel Proust. Shakespeare: non sorrideva, non sognava, non soffriva esattamente come noi? Quel contatto con la sua arte lo abbiamo voluto, lo abbiamo coltivato, condiviso. Ce ne siamo presi cura come del germoglio di una pianta. Non è fantastico tutto questo?

  56. @ancora Simo (Salvuccio?) Non ti prendere troppe confidenze. Salvuccio mi può chiamare solo Sergio Sozi (e in via eccezionale anche Didò).

  57. Due righe affettuose a Maurizio de Giovanni che l’11 luglio presenterà il mio libro a Napoli insieme al comune amico Nando Vitali, del che ringrazio entrambi. Sto leggendo il primo dei suoi due libri ambientati nella Napoli del 1931 e devo ancora tamponare il sangue che sgorga dalla ferita che involontariamente l’amabilissimo de Giovanni mi ha inflitto. Il fatto è che ho appena consegnato alla mia agente un noir ambientato nella Napoli del 1924 che prevede di inaugurare una serie con un personaggio fisso, e mi ha steso scoprire che c’era già una serie di polizieschi ambientati nello stesso volgere di anni a Napoli. Colgo fortunatamente differenze di stile e di animus (quello di Maurizio è meravigliosamente compassionevole, il mio noir è invece la cosa più crudele che ho scritto), e anche di ambientazione (il mio libro sfiora Napoli, ma s’incentra su Pozzuoli e Baia e intorno all’isolotto di Nisida) e va da sè che dovrò parlare all’editore di questa combinazione, ma il peggio è passato e la ferita sta rimarginando. L’amico Vitali dice che certe idee sono nell’aria e che Napoli è un posto in cui il passato torna di continuo a galla per tormentarci. Il problema, in ogni caso, non è di Maurizio che ha già pubblicato parte della sua serie presso la Fandango (e con meritato successo): il problema è mio che rischio di aver lavorato a vuoto. Non importa. Sto lavorando anche ad altri progetti, per fortuna, ed è questo uno dei casi in cui potrei dire all’amico Zappulla che si può e anzi si deve ridere su se stessi. E poi se sono stato trafitto dall’amico Maurizio che certo non intendeva farmi soffrire, in cambio ho conosciuto in lui una persona affabile e gentile, e pronta al sorriso, e questo pareggia il conto. Arrivederci all’11, Maurizio caro, e intanto vado avanti con il tuo Ricciardi che di te deve avere non poco, mi sa. Un abbraccio, Francesco

  58. Mio carissimo Francesco e miei carissimi, credo che a parità di idee, personaggi e trame ancora preferirei leggere te, per la scrittura lieve e profondissima tuttavia che in questi giorni mi sta facendo compagnia. Sarei felice invece se tu persistessi nel progetto, più attenzione c’è su luoghi e periodi storici meglio è. Abbiamo solo sfiorato l’argomento, ma credo fortemente a una scrittura non onanistica e quindi plurale, e come mi hai scritto nella bellissima dedica che rileggo spesso, siamo una squadra.
    Adorerei far parte di un progetto comune, anche in più comparti del raccontare. Non mollare alcun tuo progetto, tantomeno per colpa mia: non me lo saprei perdonare. Passiamo più tempo insieme, invece; la mia vita quotidiana migliorerebbe di gran lunga. Mi dispiace dei chilometri che non ti consentiranno di essere oggi vicino a me per la presentazione del secondo romanzo; la tua copia però ti aspetta l’undici, non hai scampo.
    Ti abbraccio anch’io, e a presto.

  59. Non ho letto il libro, non conoscevo Francesco Costa. Noto che ultimamente da Napoli sorgono penne di grandissimo talento (sorgono alla mia ribalta, che gli altri se ne erano gia’ accorti da un pezzo) e ne sono felice perche’ quella citta’ merita voci grandi. Non c’entra molto, ma colgo l’occasione per fare IN BOCCA AL LUPO al nostro amico Maurizio de Giovanni che oggi a Napoli presenta la seconda stagione del commissario Ricciardi: LA CONDANNA DEL SANGUE. E con il sangue torniamo a bomba. Io credo che chiunque possa diventare un assassino e quindi gli assassini mi affascinano. Purtroppo nella mia carriera di giornalista non ho avuto modo di intervistarne, a parte la brigatista Anna Laura Braghetti (ma lei non ha materialmente premuto un grilletto). Mi piacerebbe parlare con le assassine di Nadia Roccia (quelle che strangolarono la loro compagna di scuola e ancora non si e’ capito il perche’). Eppure un perche’, assurdo, maligno o forse solo crudelmente banale deve esserci. Mi piacerebbe conoscerlo, scavarlo, capirlo. Ho letto in questi giorni “Il pittore di battaglie” di Arturo Perez-Reverte e riguardo alla capacita’ o meno di uccidere o comunque di fare del male anche semplicemente non agendo e’ un testo che consiglio caldamente.
    Laura

  60. Ti chiamo Francesco Costa poichè il tuo nome è anche il tuo destino. Senza diminutivi, senza diminuzioni.
    Ho guardato la tua foto: una fronte alta e illuminata, occhi che guardano diretti senza sfottere, un sorriso appena accennato di chi non regala pietismi e conosce bene la realtà in cui vive.
    Ho letto le tue risposte, mai oliose, mai eccessivamente salottiere, acute, in conclusione di un uomo che ha lottato per emergere e che, come la tua Laura, si è coperto le spalle con il manto di stelle, nel rispetto di quel che non conosci e che non osi giudicare, profondamente umano con il nostro sud e con esso tollerante, eh si per essere ironico bisogna avere la capacità alchemica di trasformare la sofferenza ed il male in qualcosa da guardare con distacco, in modo tale da evidenziarne i tratti salienti e far riflettere il prossimo con leggerezza. Ma tale capacità non è dei superbi.

  61. Grazie alla piccola Laura, e a Lory che condivide e sicuramente sorride. Ma perché non riesco a liberarmi del senso di angoscia, quando devo presentare qualcosa? Eppure alla soglia della terza età dovrei essere guarito. Dovreste vedere Francesco, invece, a suo agio come un pesce nel mare anche di fronte a domande spinose. Questi, sono scrittori…

  62. Buona presentazione, Maurizio caro, e divertiti con i tuoi sostenitori. Non aver paura di niente perchè ti presenti sorridente, bello e in pace con te stesso. E sai parlare, oltre a saper scrivere. Pensa che, pur invisibile, stasera sono lì accanto a voi. A Roma si boccheggia per il caldo, ma ti auguro per stasera una gradevole frescura e un clima umano pieno di armonia. Siamo una squadra forte, ne sono realmente convinto, e mi affascina calcolare il numero elevato di voci che sorgono da Napoli e dai suoi dintorni per raccontare le sue difficoltà. Non c’è in Italia una città che vanti un eguale afflusso di scrittrici e di scrittori altrettanto agguerriti e con così tanto da dire. Si vede che i guai producono visioni e che l’eccessivo benessere anestetizza l’immaginazione. Sarà per questo che, con tutti i rifiuti e i delitti e le malversazioni, ecco che Napoli continua a raccontarsi e, attraverso i suoi scrittori, chiede attenzione. Ancora buona presentazione, Maurizio caro, e un bacione da Francesco Costa

  63. Uh, ma che bello! Quanta umanità! E quanta poesia! Quest’ultimo intervento è di una delicatezza unica, caro Francesco. (Avevo iniziato con il lei). Se permetti veniamo pure noi siciliani, anche se solo idealmente, tutti in gruppo. Noleggiamo un autobus. Alla guida si mette la Simo, così anche se passa con il rosso le viene perdonato. Luigi La Rosa siede in prima fila e continua a parlare di letteratura, chè è un piacere starlo ad ascoltare; Maria Lucia decanta le bellezze del paesaggio e fa un po’ da guida. Massimo paga per tutti alle fermate negli autogrill. Il resto della compagnia rimane in religioso silenzio e ogni tanto qualcuno trattiene un’imprecazione per le frenate brusche della Simo. Tutti mentalmente recitano il rosario e si raccomandano al Padreterno, perchè per arrivare in tempo il nostro autista tocca i 160. Alla fine si fa una gran festa perchè a sorpresa arrivano anche gli amici del nord. L’amore per i libri ci unisce alla presentazione di Maurizio.

  64. Arrivo tardissimo su tutto e saluto tutti gli amici.
    Mi è sembrato di capire che Francesco Costa (che saluto) abbia narrato un noir napoletano con una forte caratterizzazione umoristico-satirica: vivaddio e viva Costa!
    Corro alla presentazione da Feltrinelli del nuovo “Ricciardi” di Maurizio dG (pena la soppressione della mia foto da sotto il vetro della sua scrivania), sarò costretto a comprare anche il libro di F. Costa e, presto sarò io a svegliarmi, senza soldi (tranviere sono).
    Auguri a Francesco Costa.

  65. Si, può anche essere interessante sapere quanti tra le persone “normali” (esclusi quindi i serial killer, quelli di professione, camorristi e mafiosi vari, psicopatitici violenti, ecc.) possano in tutta fede dichiararsi capaci o incapaci ad uccidere qualcuno.
    Qui, nel libro, il caso è limite: una sorta di ricatto mi pare di capire; una vita in cambio di un altra. Facile rispondere, sia si che no, sulla carta, di fronte ad un caso ipotetico che in realtà non ci coinvolge (e pensiamo che realmente non debba coinvolgerci mai). Io naturalmente mi dichiaro incapace; per motivi etici, morali, perchè mi farebbe orrore anche tirare il collo ad una gallina e quindi non mi ci vedo neanche lontanamente a sparare a un cristiano. Ma ha qualche valore la mia dichiarazione “programmatica”?
    La realtà è diversa. Spesso è dominata dal caso e nel caso può accadere di tutto. Spesso tra le persone apparentemente più “normali” per qualche ragione può scattare la molla della follia, del panico, anche per molto meno di un ricatto. La cronaca non sarebbe così piena di liti (per gelosia, per questioni condominiali, per ragioni di traffico o per altri oscuri ma banali motivi) che finiscono col morto. Una brava persona, sembrava incapace di ammazzare una mosca, dice il vicino intervistato il giorno dopo! Tra il dire e il fare….
    Follia momentanea? (mi viene in mente un film di alcuni anni fa: “Un Giorno di ordinaria follia” con Michael Douglas).
    E i soldati in guerra? (o non è forse follia anche questa?)

  66. Salve (e Salvuzzo) gente!
    Ancora non ho avuto il tempo di legger niente, ma saluto Antonella e chiedo a Costa: all’editore Salani piacerebbe pubblicare un racconto lungo fanta-pseudobiografico-umoristico di un’ottantina di pagine che venda 45 copie?
    Saluti Cari e Ringraziamenti Anticipati
    Sergio Sozi
    P.S.
    Piu’ tardi interverro’ con piu’ attenzione.

  67. Rileggo quel che ho postato poco fa, e faccio un’ultima considerazione.
    Forse la capacità di riderne, l’ironia ed il distacco (che ne è presupposto), sono le armi più potenti a disposizione per non cadere prede anche noi di quella follia.

  68. A Sergio Sozi rispondo che “tentar non nuoce” e che può pure far approdare il suo racconto di 80 pagine negli uffici della Salani dove presumo che sarà letto con la debita attenzione, a Francesco Di Domenico rispondo invece che il mio libro costa appena 13 euro e che sono soldi ben spesi perchè sono certo di farlo ridere a crepapelle (e parlando di temi serissimi) e a Carlo S. che sono lieto di sapere che l’inclinaazione all’omicidio non è fra le sue peculiarità. Anche Laura, la protagonista del mio romanzo, non farebbe del male a una mosca, ma quando si vive in una città popolata da gente fuori di testa e all’interno di una nazione che va allo sbando, le cose si complicano non poco. Quando l’aria è resa mefitica da montagne di rifiuti e intorno a te accoppano due persone al giorno, non puoi avere la certezza di restarne fuori. Laura fa l’insegnante e mena una vita opaca ma tranquilla, eppure la si tira dentro un gioco diabolico in cui le si offrono solo due possibilità: uccidere (e salvare così la vita al marito) oppure non uccidere (e rimanere vedova). Che fare? Un colpo di scena finale chiude in modo risolutivo la faccenda e la povera Laura non sarà mai più quella di prima. Forse il vero assassino è lo scrittore che fa nascere i suoi personaggi per farne morire alcuni. Scrivere è in un certo senso partorire e in un altro senso è uccidere. Altro non posso dirvi se non che vi ringrazio per i vostri stimolantissimi interventi. Francesco Costa

  69. Rieccomi qui… mi sono svegliata!
    Mi fa piacere che la discussione proceda così amabilmente: grazie a tutti per gli interventi!

    Forse la capacità di riderne, l’ironia ed il distacco (che ne è presupposto), sono le armi più potenti a disposizione per non cadere prede anche noi di quella follia. Così ha scritto Carlo. Verissimo. Le guerre le dittature le follie quotidiane non accadrebbero se si spargesse ironia a cannonate!
    Ieri sera ho visto il film “Oxford murders” tratto dal romanzo “La serie di Oxford”, un giallo logico-matematico sulla possibilità del delitto perfetto depurato dalle caratteristiche emotive e casuali. Si citavano addirittura Fibonacci e Wittgenstein… Il classico giallo geometrico. Anche lì, spunti interessanti. Ma noi esseri umani in quanto tali siamo imperfetti e il delitto è forse un modo dell’imperfezione.
    Simo e Luigi: se continuate così piango per davvero…
    A Maurizio Di Giovanni: ma quasi quasi giorno 11 luglio… Mi conforta sapere che anche autori “scafati” si emozionino alle presentazioni. Vuol dire che sei un essere umano vero e non un pennivendolo.
    Francesco, Rossella ha fatto di te un ritratto in cui credo tu ti riconosca… Ammiro la tua perseveranza che denota fede nella scrittura, nel talento che ti è stato donato. Ammiro anche il tuo non esserti inacidito per via degli inevitabili momenti angoscianti nella carriera di uno scrittore. E credo che se tu vendessi milioni di copie rimarresti sempre semplice, amante della vita e della compagnia come sei adesso.
    OFF TOPIC: ovvero non ci scoppa niente ma ve la posto perché me l’hanno spedita e mi piace.

    «E’ normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti» Paolo Borsellino.

  70. @Francesco Costa
    fin dal mio inizio ho appreso con piacere che in questo blog di Massimo, che saluto vivamente, sia usa corrispondere come appartenenti ad una grande famiglia.
    Non essendo onnipotente e neppure famoso, ma un semplice meditatore autodidatta dilettante, facciamo pure uso di questa benevola usanza che ci rende più vicini, anche quando dovessimo contraddirci animatamente.
    Sono io che devo ringraziarti della risposta, che mi consola nell’apprendere che non sono solo nei miei pensieri.
    È vero, l’umanità è a mio modesto parere un’unità suddivisa in più esemplari per il riuscire di un piano tuttora sconosciuto.
    L’uccidere rappresenta quindi un atto processuale di questo piano e va, sotto questo punto di vista, riconosciuto e accettato.
    Uccidere è una forma di potere il quale, nella sua ancora reggente primitività, è difficile contrapporre. D’altra parte, senza di lui il mondo finirebbe nel caos.
    Intelligenti e costruttivi come siamo, ne proviamo giustamente orrore e facciamo di tutto per evitarlo, fino al momento della rivelazione di essere ancora deboli e limitati, per cui si continua qua e là ad uccidere, e ancora di più; segno che lo svolgimento di questo piano necessita più tentativi di fusioni, separazioni e rifusioni e distruzioni. Sarebbe come affermare che avrebbe bisogno di più cognizioni e tempo.
    Sempre come personaggi intelligenti e costruttivi, riusciamo a presentarcelo con diverse forme, tra le quali credo che la tua sia la più consolabile e quindi sopportabile, perché le toglie una gran parte della sua tragicità, trasportandola fuori di noi.
    La comicità, alla quale seguono poi le risate, è un mezzo di velare l’intensità della tragicità e paura dell’accaduto mostruoso, che viene così camuffato e reso meno nocivo.
    Di certo, leggerò il tuo libro, perché interessante, e analizzerò fino a quando e quanto la risata possa influire sul nostro animo timoroso.
    Saluti.
    Lorenzo

  71. Non esiste l’assassino, bensì una tipologia di assassini.
    A volte ci si meraviglia, per esempio, del fatto che uno che ammazza la moglie torni in libertà dopo poco tempo. La vita umana è un bene supremo, ovvio. Ma la legge fa altre considerazioni.
    Uno che uccide la moglie non ha alcuna intenzione di diventare un assassino. L’unica persona da uccidere è la moglie. Morta la moglie, “morto” il suo essere assassino. Questo vale anche per le liti tra condomini che finiscono in tragedia a causa della cosiddetta esplosione d’ira.
    Discorso diverso per i pluriomicidi, per i killer professionisti o per quelli che, all’interno di organizzazioni criminali, hanno il compito di “eliminatori”.
    Ci sono dei distinguo sulla pericolosità sociale e la legge ne tiene conto.
    Se passasse di qui il magistrato Simona Locaiono potrebbe essere senza dubbio più esaustiva di me anche perché ci sono elementi come la premeditazione, i futili motivi etc che hanno comunque un importante ruolo processuale

  72. I miei complimenti e ringraziamenti a Francesco Costa (per il suggerimento che mi ha dato e soprattutto perche’ c’e’ qualcosa in me che mi dice che e’ un autore talentuoso: vivo all’estero, caro Costa, a Lubiana, e dunque e’ per me difficile trovare i tuoi libri, ma prima o poi ti leggero’!), alla simpaticissima e spigliata intervista di Simona e alla perfetta ”coppia recensoria” Marilu’ Ricci-Antonella Cilento.

    A Salvo: secondo me tu questo libro devi comprarlo ”a mezzi” con Dido’: poco piu’ di sei euro a testa e ve lo passate. Magari me lo mandate quassu’, eh?
    Abbracci
    Sergio

  73. Cara Antonella,
    scrivi: ”I problemi di Laura sarebbero molto comuni: un marito che si è stancato di lei e non l’ama più con la stessa passione, una figlia adolescente assai stramba, che passa da una moda all’altra e da un’identità all’altra senza troppi imbarazzi (ora bonzo meditativo, ora autrice di Rebecca la porca, non celata satira dei romanzetti trash di giovanissimi autori analfabeti), una collega di scuola bellissima e con casa a Posillipo, amante di suo marito. Tuttavia le cose si complicano (…)”.

    Ebbene, posso scherzare un po’ con te? Ecco: e se quelli che hai elencato per Laura sarebbero dei problemi ”molto comuni” che attendono solo di diventare piu’ pesanti, quali sarebbero allora i problemi veramente gravi oltre i quali c’e’ solo l’ultima ratio?
    Bacioni
    Sergio

  74. @ Simo
    Hai scritto:
    Massi…e grazie anche a te. Perchè anche tu offri la possibilità di incontri. Con la parola. Con le voci. Col nostro daimon.
    Perchè scrivendo qui, scriviamo ogni giorno un frammento di un grande libro. Pagina dopo pagina lo incidiamo delle nostre vite. Dei nostri sogni. Dei nostri desideri.
    Una commedia umana che vive in tempo reale, respira all’unisono, azzera le distanze.
    Un volume di intrecci e idee, questo tuo blog, dove scrivere si è fatto sguardo, contaminazione, destino.


    Non mi fare arrossire, dài…
    🙂
    Però questa tua frase (perchè scrivendo qui, scriviamo ogni giorno un frammento di un grande libro) è come minimo preconica.

  75. @ Francesco Costa (di nuovo)
    Hai scritto: “riguardo al rapporto con gli editori, è come in amore: bisogna cercare l’anima gemella”.

    Domanda: ma esiste l’anima gemella (o è solo un mito)?
    Che ne dici? Che ne dite?

    P.s. Francesco… e se il protagonista del tuo noir in attesa di pubblicazione uccidesse il commissario Ricciardi?
    Ci hai pensato?
    🙂

  76. @ Enrico
    Chi è Simona Locaiono?
    Scherzi a parte… nel tuo commento precedente fai differenza tra assassini “per caso” (o una tantum) e assassini di professione.
    La differenza c’è, sì…

  77. Ed io auguro la Buonanotte a Maugger e al caro Maurizio de Giovanni, che dovrebbe farsi vivo piu’ spesso. Ciao, Maurizio.

  78. Pero’ Maugger:
    ”@ Enrico
    Chi è Simona Locaiono?”…
    Da che pulpito viene la predica contro i refusi? Da chi, come te, coniuga il verbo ”sparare” cosi’: io sparai, tu sparasti, egli SPARA’… (Ma Maugger questo lo SPARA’ di sicuro, eccome se lo spara’!)
    Eh eh eh…
    Buonanotte

  79. Ho trovato le parole giuste per portare qui un commento tutto mio. Solo che l’ha scritto Silvia Leonardi. Eccolo:
    ”Appartengo alla categoria di persone che non sarebbe capace di uccidere se non per legittima difesa, mia o di persone care. Poi…non mi toccate i bambini, forse la difesa dei piccoli potrebbe portarmi a uccidere qualcuno. Ma rimanendo nel possibilismo dico che no, non ucciderei nessuno.”
    Sergio

  80. Avendo scritto “Presto ti sveglierai”, mi sono svegliato piuttosto presto (ah, che umorismo sottile, che squisito sense of humour, ah, ah, ah) e mi chiedo se c’è chi vuole entrare nello specifico del libro avendolo magari letto negli ultimi due o tre giorni. Sono lieto di sapere che nessuno di voi è incline all’omicidio, ma dovreste sapere che i romanzieri invece lo sono, e soprattutto nei confronti di quelli che non leggono i loro libri. La dolce Miriam, per esempio, lo ha per caso letto e può fornirmi un’impressione su tale lettura, in cambio delle scuse che le porgo per aver chiamato con il suo nome un personaggio negativo? Le prometto però che, prima o poi, in uno dei miei prossimi libri ci sarà una Miriam di estrema simpatia, dato che nei miei romanzi si ritrovano, gira e rigira, sempre gli stessi nomi. Anche a Napoli, durante una presentazione, mi si è presentato un ragazzo per un autografo che mi ha detto in tono sofferente: “Io mi chiamo Stefano. Perchè ha dato il mio nome a un personaggio così squallido?” “Perchè ai personaggi bisogna pur dare un nome” ho ribattuto io e, per consolarlo, ho aggiunto: “Presto inventerò uno Stefano che tutti vorrebbero per amico”. Alla prossima, Francesco Costa

  81. Allora, caro Francesco, come minimo devi inventare una dea da chiamare Maria Lucia (o Lucy!)…
    🙂
    Salve a tutti i nuovi commentatori…
    Sergio, in effetti i problemi nel libro di Francesco ci sono, seppur trattati con l’ironia che lo contraddistingue. Gli zingari, accettati da chi non ha il campo nomadi a ridosso delle case e discriminati da chi se ne sorbisce il lezzo; la scuola, ridotta ad una parvenza di istituzione educativa; la volgarità, meschinità, prepotenza dilaganti… Laura è afflitta non solo da problemi personali – la figlia proteiforme, il marito che la disprezza e la ignora e la cornifica alegramente, ma con un suo fondo di sconfitta e fallimento per le proprie speranze di successo disattese, il giardino come baluardo di gentilezza e civiltà assediato da vicine pettegole e minacciato dai suoi familiari stessi, dalla speculazione edilizia, dai miasmi del traffico selvaggio – ma vive il tormento del mite, oserei dire del giusto, che si scontra contro la sentina di male di questo mondo.
    Uh… come sono melodrammatica!
    Alleggeriamo – ma mica tanto – con le parole di Francesco…

  82. Stefano e Laura.
    “S’è fatto cinico, in accordo del resto a quasi tutta la nazione: a volte le sembra di andare alla deriva in un paese in cui nessuno crede a quel che fa, e quasi mai è quel che dice d’essere”…
    “All’inizio Stefano non era così scorbutico: era anzi pazzamente innamorato di lei. E’ assai peggiorato, e s’è fatto pure alquanto becero. Un po’ come la televisione italiana: tenendosi stretti sera dopo sera, è finita che si sono involgariti insieme”…

  83. @Massi:…sì, l’anima gemella esiste.
    Ma in dimensioni dell’anima e del desiderio. Nell’universo trasversale in cui incrociare l’altro da sè, l’origine e la fine, lo specchio.
    E può accadere con sbalzo di tempi e di secoli, con anticipo o ritardo. Può accadere con nostalgia.
    Ma può accadere.
    Solo che la dimensione umana è frettolosa. E’ imperfetta.Si accontenta. Si accartoccia su illusioni che sembrano – e non sono.
    Spesso è solo quando ci si risveglia (parafrasando Francesco col suo “Presto ti sveglierai”…) che si comincia a sognare veramente.

  84. L’anima gemella è un mito perlomeno risalente a Platone: le due metà della mela, l’essere umano che prima era un’unità e poi fu tagliato in due per invidia e/o timore da parte di Giove, con le due metà che da allora si cercano affannosamente… Non so. Io parlerei di affinità elettive. Questo accade per l’amore, l’amicizia, i libri. Gli editori.
    Credo che sia un quid inspiegabile che ci spinge come una forza di attrazione, come una legge fisica ignota, verso qualcuno o qualcosa che in modo sottile e misterioso ci è affine, simile… Da Adamo ed Eva è così.
    Nel libro di Francesco vedrete che anche Laura… ma non anticipiamo nulla!

  85. Oh, Simo! Sob…
    Potremmo dire che l’amore è l’anima che si risveglia dal torpore delle illusioni? La verità che ci rivela a noi stessi?
    Spesso cerchiamo i nostri riflessi in specchi deformi. In mezze verità. Ma come diceva Paolo, adesso conosciamo in maniera imperfetta. Un giorno conosceremo come siamo conosciuti, e saremo amati come amiamo.
    Questo mondo è la terra del riflesso deforme, delle speranze zoppe, della metà che inseguiamo disperatamente e che forse ci ha preceduti, ci ha attesi invano o ancora è nel grembo dei secoli a venire.
    Per ingannare l’attesa, ci accontentiamo. O scriviamo.

  86. @ Enrico: la criminologia e le teorie del Lombroso spiegano (attraverso la dottrina biologica e sociale) che ci sono tipologie di soggetti omicidi e tipologie di reati per ciascuna personalità delittuosa.
    In efetti l’esperienza pratica delle aule giudiziarie dimostra che l’omicida “dissociato” differisce da quello plurimo o stabilmente inserito in strutture delittuose di tipo familiare o sociale, per motivazioni e storia personale, anche se entrambe le categorie affondano il mistero della colpa nel vorticoso abisso che ci caratterizza tutti: l’instabile equilibrio tra bene e male che ondeggia nelle nostre coscienze.
    Studi criminologici spiegano che la spinta estreriore a delinquere è spesso latente in noi per tutta la vita, e che a scatenarla può essere un avvenimento banale per altri ma che per il reo è “caratterizzante della sua situazione psicologica”.
    L’elemento caratterizzante è una ferita. Uno sqarcio. Una disarmonia che, sottoposta a stimoli, esplode.
    In campo prettamente giudiziario e di applicazione della pena è ovvio, poi, che questa viene graduata attraverso un esame delle aggravanti e delle attenuanti che servono – appunto – a modulare la colpa sulla scorta dell’effettiva incidenza degli elementi estreni su quello interno.
    Ma rimane comunque difficilissimo ( e pietosamente disperato) lo sforzo del processo di rappresentare e risarcire per intero un’ umanità che cade o che viene travolta.
    E che spesso non ha gli strumenti per redimersi.

  87. Da Caino in poi, l’omicidio ci interessa, inter-esse. Esserci dentro. Perché riguarda tutti noi quel pozzo oscuro da cui esalano i miasmi di un delitto. In tutti noi, non mi ricordo chi l’ha detto, convivono un omicida, un suicida e un santo. Sta a noi – al senso del limite, che per alcuni è un distintivo della specie umana che riflette ed è di ragione munita al contrario della natura, che è essenzialmente espansione selvaggia? – temperare queste istanze che premono dal nostro fondo oscuro – l’Es di Freud, quel calderone di istinti ribollenti? – ed evitare di strozzare mogli marito capuffici presidi vicini… il nostro prossimo!
    Enrico distingue tra gli assassini della domenica, quelli che non sono pericolosi socialmente, e gli erasers, gli eliminatori alla Totò Riina (‘u verru, il porco. “E mi fa male vedere un uomo come un animale”, canta Battiato in quel capolavoro che è “Povera patria”)… Ma è affascinante affacciarsi a quel pozzo dell’animo umano e tentare di capire cos’è che spinge un uomo ad eliminare un suo simile.

  88. Questo post e quello sulla Del Giudice hanno molte cose in comune, tra cui il concetto di assassinio.
    Le domande
    In quali circostanze potresti uccidere qualcuno?
    Conosci qualcuno che sarebbe disposto ad uccidere pur di realizzare i propri sogni?
    andrebbero bene anche applicate al terrorismo e ai suoi ideali

  89. Sentite un po’ il pessimismo che dilaga dalle pagine di Francesco, temperato, è vero, dal sorriso, ma puntuale e spietato.

    “Indovinarenno mai i posteri quanto può esser stata demenziale una conversazione standard tra esponenti del ceto medio agli albori del Terzo Millennio? Vi si frangono rimasugli dell’eroico Sessantotto ed echi di rampantismo, con scampoli di filosofia New Age, e la voglia testarda di sembrare migliori di ciò che si è, quando in realtà si è quasi tutti delle putride carogne”…

  90. Sì, Lucio. C’è chi uccide per realizzare, per rendere cioè reali, i propri sogni. O i propri incubi, che è un po’ la stessa cosa.
    Protect me from what I want, proteggimi da ciò che desidero, recita una preghiera protestante.

  91. Laura dice:
    “All’ideologia preferisco un ideale…”.
    “Voglio dire che l’ideale ognuno se lo sceglie come gli pare, c’è chi vuole fare il prete e chi vuole inventare vaccini per debellare nuove malattie, e ciò sottende uno sforzo creativo, mentre l’ideologia va bene per gente priva d’immaginazione. Si pensano pensieri già pensati, si masticano parole già masticate, s’imparano a memoria un po’ di frasi fatte, e così pure l’ultimo fesso si crede un Padreterno, ma io dico che se si deve ridurre la vita a una litania, tanto vale continuare a recitare il rosario nelle chiese”…

  92. ..potrei..chi già lo ha fatto, perché non si uccide solo fisicamente..

    Mi sento un pesce fuor d’acqua qui, forse perché nessuno di voi mi fa pensare ‘potrei’ 🙂

    Buona giornata
    Rina

  93. Grazie a tutti per la bella presentazione, i suggerimenti e le argomentazioni. Vorrei solo dire due cose. Una, dalla mia esperienza: l’anima gemella? Dio ce ne scampi e liberi: quando si è allegri si va subito oltre le righe e si diventa pazzi agli occhi estranei; quando l’animo si fa triste, si cade subito nella tragedia e ci si suiciderebbe, se solo si avesse una pistola. Infine, non c’è bisogno di dialogare e di convincersi, e si vive (perdonate l’esagerazione) come con il proprio cane. Allora? Secondo me, è meglio essere diversi e, possibilmente, complementari: c’è sempre spazio di arricchimento, sempreché ci sia, oltre l’amore, la stima e la curiosità. Due: Costa cita, come tanti altri, tra i must, l’onnipresente Yourcenar: a me sembra (per dirla come Fantozzi) una boiata pazzesca come la corazzata Potemkin. Forse perché non sono mai riuscito a superare le prime pagine delle Memorie di Adriano e, dell’Opera al nero ricordo solo una frase: ‘Non siamo fatti per dimenarci tra le ruote come gli scoiattoli’ .
    Decisamente più bella quella frase, non ricordo se del Buccimpero o del Gregoriano: ‘Due scoiattoli fuori di testa che giocano a ping pong’. Qualcuno vuole pazientemente darmi qualche motivo per riprenderla?

  94. Oh no, Gianmario, ti prego di ripensarci – sulla Yourcenar, sull’anima gemella non mi permetto, anche perché in parte concordo con te. Io parlavo di affinità elettive, non di cercare la nostra fotocopia!
    Leggi “Il colpo di grazia”, che è smilzo e si legge presto, ma contiene tante verità sull’amore, la morte, la guerra e le misteriose ambiguità dell’animo umano. Vi si parla anche dell’impulso ad uccidere, cosa che non è off topic in questo post. Se vai sul mio blog troverai la vita della Yourcenar e la quanrta di copertina. http://www.marialuciariccioli.splinder.com
    Io adoro “Memorie di Adriano”. Ho letto anche “L’opera al nero”, ma rimango fedele al primo. La Yourcenar ha la capacità straordinaria di ricreare mondi perduti e di rendere i suoi personaggi uomini e donne attuali pur non snaturando quello che sono stati. Straordinaria.
    E tu, uccideresti? E perché?

  95. Gianmario,
    ”Due scoiattoli…” No. Non e’ il mio stile. Sicuramente questa e’ creazione gregoriana.

  96. Anima gemella, mele spaccate da Giove… Va bene, ho inteso: qui la si mette in melodramma. Allora cito un sonetto di Ariosto, innamorato deluso:

    Pensai che ad ambi avesse teso Amore,
    E voi legar dovesse a un laccio meco;
    Ma a me sol prese, e lascio’ andar voi sciolta.

    (Da ”Opere minori”, Salani, Firenze 1964, Sonetto II)

  97. Cara Marilu’,
    e come e’ possibile? Secondo me e’ un Capolavoro eccelso e inarrivabile, ma temo che Gianmario mi consideri troppo Buccimpero da accettare e miei imbonimenti. Provaci tu, dai…

  98. Si è scritto tanto sulla mela divisa in due dal dio Giove, perché geloso e timoroso, come sul concetto platonico seguito anche oggi.
    Perché non pensare che con la divisione non altro fu creato che la nostra capacità, seppur ancora limitata, di analizzare ed elaborare un qualcosa che prima non era accertabile.
    È nella nostra limitatezza, biologica e quindi anche percettiva, che abbiamo da fare con l’opposto del desiderato, considerato, conosciuto, sconosciuto, eliminato e così via.
    Non so se alla fine del processo evolutivo ci aspetti il nulla, così come fu prima del divenire del Creato come ancor oggi è.
    Quella massa inerme, e di prima vista spenta, potrebbe aver compreso il desiderato paradiso, come il nulla assoluto.
    Con l’esplosione, fu data vita a tante dimensioni, ognuna delle quali con le proprie caratteristiche e vite. Viviamo la nostra e speriamo in bene.
    Saluti a tutti.
    Lorenzo

  99. Interessanti i nuovi commenti. Soprattutto quelli sull’anima gemella.
    Dovremmo aprire un post a parte.
    Esistono le anime gemelle? Se, come ha ricordato Maria Lucia, il loro incontro consiste nel riunificare le due metà di una stessa mela la probabilità che ciò avvenga è talmente bassa che si avvicina all’impossibilità.
    Diciamo così: ogni volta che l’improbabile incontro avviene, una nuova stella si accende in cielo.

  100. Non esistono le anime gemelle, ma esistono quelle che si amano: se esser gemelli e’ una chimera, amarsi e’ una possibilita’ reale ed anche una realta’ esistente. Conosco tanta gente che si ama. E conosco me, fra queste tante formiche. Altro che ”uccidere”: dare la morte e’ sempre una follia, pur con tutte le giustificazioni immaginabili o autentiche; ma amare NON E’ una follia, e’ tornare dentro alla nostra VERA realta’ umana.

  101. Allora mi permetto di fare una domanda ”imbarazzante” al nostro lucido, disponibilissimo e bravo Francesco Costa:
    secondo te potremo migliorare l’Italia, sic stantibus rebus?

  102. Anzi, due domande magari (pardon e grazie anticipatamente):
    Accoppare qualcuno per salvare una persona che si ama, ossia soggiacendo ad un ricatto simile a quello descritto nel tuo romanzo, e’ cosa ”amorevolmente corretta” o ”eticamente corretta”, o ”eticamente ingiusta”, o…?
    Grazie
    Saluti Cari
    Sozi

  103. A Maria Lucia dico che il mio lavoro di sceneggiatore non è stato il successo che avrei voluto: è un mestiere che dipende troppo dagli incontri che si fanno. Negli Stati Uniti è una professione molto rispettata. L’aspetto migliore della mia esperienza è quello di aver potuto scrivere ruoli per attrici belle e simpatiche, come Monica Bellucci, Maria Grazia Cucinotta, Claudia Koll, Angela Finocchiaro, Anne Parillaud, Geraldine Chaplin, Chiara Caselli e altre. Mi piacere scrivere ruoli femminili, ma non ho mai visto niente da me sceneggiato che non mi sembrasse orrendo. Non mi lamento, però, perchè quel fallimento ha aperto le porte alla mia carriera di scrittore e dei miei sei romanzi vado molto orgoglioso. A Sergio rispondo invece che l’Italia potrebbe migliorare se ognuno di noi tenesse pulito il suo paesaggio interiore, ma io vedo intorno a noi tanta di quella gente ottenebrata da una distorta idea del reale e di se stessi che rifugiarmi nella scrittura è uno dei pochi sollievi a me concessi. Viviamo in un contesto in cui chi è onesto è considerato un imbecille. Dover accoppare qualcuno per salvare una persona che si ama significa essere sottoposti a un ricatto squallidissimo. Soggiacervi (il che è possibile se si tratta di salvare un figlio o qualcuno a cui ti senti molto legato) rimane una resa umiliante a forze distruttive e ha poco di esaltante sul piano etico. Sono contrario alla pena di morte e credo che non l’augurerei neanche a chi privasse della vita una persona a me cara. Se dovessi uccidere per salvare qualcuno che amo, e l’ipotesi mi suona comunque fantascientifica, credo che in ogni caso non troverei pace per il resto dei miei giorni. Mi isolerei in un paesaggio non urbano (borghi costieri, montagna, foreste) e non vorrei vedere più nessuno. Non mi costerebbe neanche tanto perchè sono comunque incline alla contemplazione e, entro certi limiti, alla solitudine. Un trauma di quella portata mi spingerebbe a ritrovare il me stesso che diffida degli altri. Non parlerei più. Non capisco come certi assassini (terroristi o anche criminali comuni) si piazzino davanti a una telecamera a cercare di giustificare o di far digerire agli altri i propri delitti. Si vede che ognuno è fatto a modo suo. Dio, ma siamo andati sul serioso! In ogni caso non vedo niente di bello nell’uccidere: ricordiamoci che i medici devono giurare di curare al meglio chiunque, anche un nuovo Hitler. La vita vuole la vita. Tanto, la morte è lì che attende. Che bisogno c’è di renderle le cose più semplici? Sperando di non averti ammorbato, ti auguro ogni bene, Francesco Costa

  104. Caro Francesco,
    penso sia superfluo risponderti. Era da tempo che non sentivo qualcuno parlare come te: con gli occhi dritti in faccia che rispecchiano i miei. Grazie. Di cuore.
    Sergio Sozi

  105. Le tragicommedie mi piacciono un mondo. E più fanno ridere, meglio è……
    Francesco Costa, indovina quale sarà il prossimo libro che leggerò?
    Smile

  106. Cara Elektra, si tratta per caso di una black comedy ambientata nel caos della Napoli di oggi, fra camorristi ed emergenza rifiuti, e cortei contro i nomadi, in cui boccheggia una certa Laura, insegnante di storia dell’arte, nella quale si può identificare chiunque di noi abbia ancora un po’ di sale in zucca e tremi all’idea che l’intero paese vada allo sbando? Sì? Ho indovinato? Il titolo è per caso “Presto ti sveglierai”? Nel caso avessi indovinato, come faccio a farti avere una mia dedica? Farò presto un viaggio in Sicilia e chissà che non ci s’incontri, se vivi in quella stupenda isola, altrimenti lasceremo fare al caso… Grazie, comunque. Francesco Costa

  107. CVedo che gli spunti di discussione aperti dal libro di Francesco sono tanti e variegati e che il dibattito è godibilissimo.
    Francesco, grazie della tua risposta alla mia domanda sul lavoro di sceneggiatore. Se può consolarti, quando ho letto il libro di Gabriel Garcia Marquez “Come si scrive un racconto”, una delle parti che mi incuriosirono era quella in cui parla del suo lavoro di sceneggiatore per registi ed attori anche importanti. Marquez, pur non rinnegando quel tipo di lavoro ed anzi sottolineando come lo avesse fatto crescere anche come narratore, diceva le stesse cose che scrivevi tu poc’anzi: di non aver trovato sullo schermo, cioè, se non il pallido riflesso di quanto come sceneggiatore aveva immaginato e scritto. Concludeva affermando che regista e sceneggiatore dovrebbero essere la stessa persona o quantomeno lavorare in sintonia totale. Il mondo interiore di chi scrive una storia immaginandone la resa filmica è infatti totalmente diverso da quello di chi la dirige materialmente, senza contare le complicazioni dovute allla produzione, alla gestione del cast e così via…
    Marquez diceva di aver imparato tanto dalla sua esperienza di montatore, perché chi si occupa del montaggio “stacca”, taglia le scene, dà senso e ritmo al girato e il suo lavoro può avvicinarsi, pur essendo strettamente tecnico e forse proprio per questo, al lavoro di chi scrive. Anche la Mazzucco, nella splendida postfazione alla riedizione del suo primo romanzo, “Il bacio della Medusa”, parla della sua “gavetta” come soggettista e sceneggiatrice, rilevando proprio la fatica silenziosa e misconosciuta, almeno in Italia, di chi fa questo mestiere.
    Ciao Elektra! Leggi Francesco e non te ne pentirai!
    ML

  108. Sergio,
    e come hai ragione.
    L’amore ci aiuta a superare i limiti imposti da un qualcosa da scoprire e cercare di migliorare.
    Ci può anche distruggere, quando siamo impreparati al suo incontro, ma una propria fine nell’amore è più dolce e gradita di una lotta per il proprio tornaconto. Questo è romanticismo.
    Ciao, Lorenzo

  109. Mary Lucy, per la Yourcenar seguirò il tuo consiglio. L’omicidio: per me è qualcosa che va al di là del mondo apparente, come la tragedia; il nome deriva da tragoi, i caproni in greco, che venivano immolati dopo essere stati portati in processione; un momento atemporale, di sospensione, tragica appunto, nell’imminenza della morte. La morte fa parte della vita. Si muore e continua la vita degli altri, come sempre. Si uccide e chi uccide muore anche lui, ma restando in vita. Esce da ogni categoria. Non fa più parte della vita senza far parte della morte. E’ una tragedia duplice che resterà per sempre in sospeso, al di fuori di tutto, insanabile.

  110. Caro Massimo, m’informo e studio la collega e concittadina Del Giudice, esplorando lo spazio a lei riservato. Saluti, Francesco Costa

  111. Sto leggendo solo ora il libro di Francesco Costa: sorprendente. Lo leggo immaginando la protagonista con il viso di Margherita Bui, perché Laura è una “Olga” ripresa nella sua dimensione sociale: Napoli, la scuola, lo straniamento universale. Sono a metà…poi ci ritorno
    🙂

  112. Cara Miriam, anch’io vedo Margherita Buy nei panni della mia Laura per quel tanto di stralunato e indifeso (ma anche per i suoi tempi comici) che esala il suo sguardo. Sono lieto che il libro ti piaccia: votami, allora, e fammi votare al sondaggio per il libro campano dell’anno indetto dal Corriere del Mezzogiorno che mi vede in testa (affiancato alla pari al collega Michele Serio che pubblica con Flaccovio, prestigioso editore palermitano). Cara Miriam, anche se ho dato il tuo nome a un personaggio che può definirsi negativo, aspetta una scena che si svolge nella cucina di una villa di Posillipo: lì Miriam dirà cose acute e del tutto condivisibili. Anche i miei personaggi negativi devono dirne una giusta, altrimenti sarebbe troppo facile. Non mi piacciono le macchiette. A chi mi chiedeva se conosco Antonella Del Giudice, posso rispondere che è una gran donna. L’ho incontrata ieri sera a una presentazione napoletana di “Presto ti sveglierai” in una deliziosa galleria d’arte chiamata “hde” e sita in piazzetta Nilo 7. Generosa, disponibile, sorridente, ha ascoltato fino alla fine le relazioni dei miei due paladini, Nando Vitali e Maurizio de Giovanni, e poi è venuta a salutarmi e a farsi fare una dedica al libro. Se tutti i miei colleghi fossero così, le patrie lettere sarebbero un Eden, ma è pur vero che gli scrittori simpatici e affabili sono certamente più numerosi di quelli scostanti e malmostosi. Grazie, Antonella. Grazie di cuore. Baci a Maria Lucia e a Miriam, Francesco Costa

  113. Caro Francesco, ero stato proprio io a chiederti se conoscevi Antonella Del Giudice.
    Sono lieto che vi siate potuti incontrare in occasione della presentazione del nuovo romanzo del buon Maurizio i Giovanni.
    Piccolo il mondo, eh?
    Soprattutto quello partenopeo.
    🙂

  114. Caro Francesco, conoscerti personalmente è stato un piacere ed una sorpresa. Spesso rifuggo dal conoscere gli autori dei libri che mi piacciono, temendo delusioni( è accaduto) perchè non sempre i libri assomigliano a chi li scrive. Con te è stato diverso. I miei migliori auguri per il tuo romanzo che ho finito di leggere , superando l’imbarazzo del confronto con Laura, che – ci ho pensato- ha delle analogie con quella che sono stata, non con quello che sono ora. Io mi sono svegliata; da poco, ma mi sono svegliata. Laura c’è, si tocca, è vera e il tuo romanzo è tra i migliori romanzi italiani che ho letto negli ultimi mesi. Complimenti! (Giuro senza invidia, ma con la sincera ammirazione da chi si ritiene non altri che un’artigiana della parola) Antonella del Giudice

  115. Ma Laura non si è svegliata! Il suo non era un sonno e la sua vita non era un sogno: Laura è forte delle sue convinzioni e ha solo preso atto di essere sola. Solissima,sempre, come capita agli “artisti” e a chi conserva lo stupore della vita e della sua immensità, del suo mistero.
    Ho finito il libro con gusto e piacere. Posso solo dire che Napoli è un dettaglio e anzi la contestualizzazione forse lo penalizza un po’, così come penalizzante è definire questo romanzo un noir all’italiana. Mentre mi scorrevano sotto gli occhi le ultime righe, pensavo a quella serie televisiva (divertente e forse superata) Sex and the city che ci rimanda a queste donne, sembre in bilico fra l’indifferenza e una crisi di nervi. Presto ti sveglierai , potrebbe funzionare come una storia nuova e vedrei Laura come una riedizione al femminile di Fonzie: una Fonzarella stralunata ma saldissima nelle sue scarpe incerte e con i tacchi alti.
    Miriam è una parte di Laura, e forse il suo risveglio è proprio questo, ma la sua parte genuina non cede, non lascia il posto all’onda, con la barchetta vira più in là, ma remi e vele sono ancora nel suo purissimo stile.
    Francesco Costa: bravo! Mi sono piaciuti anche i cammei che rappresentano gli studenti “bravi” che assimilano senza intralci etici e morali. Queste giovani che dai 15 anni ai 20 non si innamorano, ma prendono voti, i 9 e i 10! Complimenti.
    Visto che il mio nome è stato “maltrattato” perché non rimedi partecipando al gioco che presto verrà lanciato qui, su Iperspazio? Le immagini scritte, una guida alla lettura dell’Arte contemporanea. Si tratta di scrivere un racconto breve sulla suggestione delle immagini che verranno postate. Ti aspetto.
    Saluti e baci, Miriam

  116. dimenticavo…
    ora Laura è un po’ meno sola e soprattutto solca il mare sulla barca della Speranza…
    Sto ancora sorridendo
    🙂

  117. Cara Miriam, quando affidi un personaggio all’attenzione altrui ti viene un tremito, lo stesso di quando accompagni un bambino al suo primo giorno di scuola e devi mollarlo fra maestre e compagni di classe. Piacerà? Se la caverà? Ora so davvero che Laura non è sola: è amata, mi arrivano decine di email da parte di gente che l’ha adottata, che la comprende, e io posso finalmente lasciarla al suo destino per pensare a dar vita ai personaggi dei miei prossimi romanzi. Sulla barca della Speranza ci siamo un po’ tutti noi… Baci e a presto, Francesco Costa
    PS. E per dirla con l’impagabile Gemma: “Salva a papà! Salva a papà! Salva a papà!”

  118. Salve! Siamo Simona e Maria Lucia da Tusa in compagnia di Francesco Costa allo stage di scrittura creativa di Luigi La Rosa (La Letteratura del Mare).
    Francesco vi manda i suoi saluti. Ci sta intrattenendo molto piacevolmente… e ci sta facendo fare quattro risate con il suo humour latino-germanico-ostrogoto.
    Volevamo segnalarvi che su “Famiglia Cristiana” del 27 luglio 2008 è uscita una recensione molto lusinghiera sul libro di Francesco e così pure sull’ultimo numero di “Gioia”… Li abbiamo sfogliati proprio qui a pelo d’onda.
    Costa riferisce: “Benché ferito ad una coscia, non si sa bene se per impeti passionali di un’ammiratrice o per la piastra artistica del letto d’albergo (L’Atelier su Mare di Antonio Presti, meraviglioso!), sono molto contento dell’attenzione di un critico della levaturadi Fulvio Panzeri che ha avuto la bontà di segnalare “Presto ti sveglierai” su un giornale di così vasta tiratura”.
    Francesco, cosa hai provato leggendoti?

  119. Leggere una recensione favorevole a un proprio libro procura sensazioni di indicibile benessere tenendo soprattutto conto che i critici letterari sono diventati in Italia una specie del tutto inafferrabile… e la cui attenzione è sempre più difficile ottenere.
    Tranquillizziamo i fans e gli amici per la mia gamba… Non ricordo come e quando e chi mi abbia graffiato profondamente sulla coscia, ma sono in via di guarigione. Mi auguro soltanto che alla recensione di Panzeri ne seguano presto altre!!!
    Simona e Maria Lucia commentano: “Visto che traffici letterari anche in vacanza?”… Baci a tutti e buona guarigione a Massimo!

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