Mentre sono ancora in corso le polemiche sul “negazionismo“, e il “giorno della memoria” volge al termine, vi propongo una discussione su un argomento di natura letterario-editoriale che considero piuttosto spinoso e che ha per protagonista Céline.
Vi riporto l’incipit di un articolo di Cristina Taglietti pubblicato sul Corriere della Sera del 10 dicembre 2008:
“Torna in Francia il Céline impubblicabile, quello dei pamphlet antisemiti, scritti dal 1937 al ’41 e rinnegati in vita dallo stesso autore. “Les éditions de La Reconquête”, casa editrice nata nel 2006 sotto l’egida di Léon Bloy che pubblica testi ultrareligiosi e classici del collaborazionismo francese come Léon Degrelle e Lucien Rebatet, ufficialmente registrata in Paraguay, ha tirato 5.010 copie di “Les beaux draps”, ultimo dei quattro pamphlet (gli altri sono “Bagatelle pour un massacre”, “L’ école des cadavres” e “Mea culpa”), accompagnato da una introduzione di Robert Brasillach su «Céline profeta». Il ritorno, sessantasette anni dopo la sua comparsa nelle “Nouvelles Éditions Françaises”, di un testo alla cui riedizione si sono sempre opposti la vedova dello scrittore, Lucette Destouches (che detiene i diritti) e il suo avvocato François Gibault (biografo dell’ autore di “Viaggio al termine della notte”) ha suscitato in Francia un dibattito che ha diviso la cultura.
Propongo di avviare una discussione anche qui.
Sul caso in questione Alessandro Piperno (lo scopriamo dal suddetto articolo della Taglietti) sostiene che “un testo come questo andrebbe pubblicato con un briciolo di responsabilità contestualizzandolo storicamente. Personalmente (aggiunge Piperno) non c’è quasi nulla che reputi impubblicabile, ma non c’è figura che mi ripugna di più del fanatico ideologizzato, a cui mi sembra sia indirizzato questo genere di operazione. Mi disgusta l’uso che in un certo sottobosco estremista viene fatto di Céline e di altri autori politicamente scorretti”. Moravia – ci ricorda la Taglietti – “in un elzeviro sul «Corriere», all’epoca della pubblicazione in Italia, nell’81, lo bollò come libro infame oltre che noioso e malscritto”, mentre per Giulio Ferroni “dopo molti anni, i documenti degli scrittori, se non sono stati distrutti, possono essere pubblicati”. Erri De Luca, pur considerando Céline “una persona spregevole”, dichiara di essere “favorevole a qualunque tipo di pubblicazione (non posso permettermi di essere contrario a nessuna parola scritta)”. Per Massimo Onofri, invece, “il rifiuto di Céline non è di ordine moralistico, ma si basa sul fatto che la debolezza del pensiero che innerva i suoi romanzi, la sua ideologia così povera, piccina, che allinea tutti i luoghi comuni del più becero antisemitismo non possano produrre grandi libri. La cattiva ideologia non è un reato contro la morale ma contro la letteratura stessa”.
E voi… cosa ne pensate? Provo a porre qualche domanda…
Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?
La “cattiva ideologia” deve trovare spazio in letteratura?
Un testo disconosciuto dallo stesso autore, è di per sé censurabile?
E fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore?
A voi le risposte…
Di seguito potrete leggere l’intero articolo di Cristina Taglietti.
Massimo Maugeri
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CÉLINE antisemita? Va pubblicato
di Cristina Taglietti
Torna in Francia il Céline impubblicabile, quello dei pamphlet antisemiti, scritti dal 1937 al ‘ 41 e rinnegati in vita dallo stesso autore. Les éditions de La Reconquête, casa editrice nata nel 2006 sotto l’ egida di Léon Bloy che pubblica testi ultrareligiosi e classici del collaborazionismo francese come Léon Degrelle e Lucien Rebatet, ufficialmente registrata in Paraguay, ha tirato 5.010 copie di Les beaux draps, ultimo dei quattro pamphlet (gli altri sono Bagatelle pour un massacre, L’ école des cadavres e Mea culpa), accompagnato da una introduzione di Robert Brasillach su «Céline profeta». Il ritorno, sessantasette anni dopo la sua comparsa nelle Nouvelles Éditions Françaises, di un testo alla cui riedizione si sono sempre opposti la vedova dello scrittore, Lucette Destouches (che detiene i diritti) e il suo avvocato François Gibault (biografo dell’ autore di Viaggio al termine della notte) ha suscitato in Francia un dibattito che ha diviso la cultura. Che prima o poi i taccuini incriminati sarebbero stati ripubblicati era dato abbastanza per scontato, ma ha sottolineato Pierre Assouline, giornalista e scrittore, nel suo blog «La République des livres», ci si aspettava che uscissero all’ interno di una «grossa Pléiade Céline». Ed è proprio questo, in fondo, il nocciolo della questione, che riguarda non solo Céline ma tutti quelli che Giovanni Raboni definì i Grandi Reprobi della letteratura: Pound, innanzi tutto, e poi «collaborazionisti effettivi o presunti» come Hamsun, La Rochelle, Brasillach, o tedeschi indiziati di un’ adesione un po’ troppo convinta al nazismo (anche se poi ritirata), come Jünger o Gottfried Benn. «Il punto è che un testo come questo andrebbe pubblicato con un briciolo di responsabilità – dice Alessandro Piperno – contestualizzandolo storicamente. Personalmente non c’ è quasi nulla che reputi impubblicabile, ma non c’ è figura che mi ripugna di più del fanatico ideologizzato, a cui mi sembra sia indirizzato questo genere di operazione. Mi disgusta l’ uso che in un certo sottobosco estremista viene fatto di Céline e di altri autori politicamente scorretti». Piperno non ha letto Les beaux draps, ma ha letto («in fotocopia in francese perché non si trova più nelle librerie») il primo dei pamphlet filonazisti di Céline, Bagatelle per un massacro, che ha definito «un libro schifoso, tanto più perché è scritto con raffinatezza». Moravia in un elzeviro sul «Corriere», all’ epoca della pubblicazione in Italia, nell’ 81, lo bollò come libro infame oltre che noioso e malscritto, mentre il critico Pier Vincenzo Mengaldo nel suo Giudizi di valore parla di «delirante teppismo antisemita», di «gonfio fiume di stupidità perché Céline non impreca soltanto, tenta anche di argomentare». Tuttavia, dice Piperno, «basta leggere la Storia dell’ antisemitismo di Léon Poliakov per rendersi conto che il 90 per cento degli scrittori occidentali da Shakespeare in poi erano antisemiti. Allora non si potrebbe più leggere Voltaire, Balzac, neppure i feuilleton dove l’ ebreo interpretava sempre la parte del bieco figuro… Se ci mettessimo a giudicare i reprobi non leggeremmo neppure Sade, Tolstoj, Baudelaire, tutti in contrasto con le nostre convinzioni liberali. D’ altronde è molto difficile che un grande libro contenga grandi valori morali perché la caratteristica del genio è di rappresentare l’ umanità nella sua dimensione più profonda e quindi anche le grandi miserie e meschinità». Sul fatto che conti soprattutto il contesto della pubblicazione è d’ accordo anche il critico Giulio Ferroni secondo cui è fondamentale che un testo come quello di Céline non venga strumentalizzato ideologicamente ma venga «fatto giocare contro se stesso». Il fatto che poi un testo venga pubblicato anche se disconosciuto dalla stesso autore non è di per sé censurabile. «Dopo molti anni, i documenti degli scrittori, se non sono stati distrutti, possono essere pubblicati». Il «pentimento» dello scrittore non conta molto per Erri De Luca. «Quell’ errore rimane, non è più riparabile, come non è riparabile l’ adesione di Günter Grass alle Waffen SS. Tuttavia Céline è l’ autore di un grandioso libro, capace di raccontare come pochi altri l’ esperienza di quella generazione, Viaggio al termine della notte, anche se le sue opinioni, il suo comportamento lo hanno squalificato ai nostri sensi. Personalmente lo considero una persona spregevole, ma purtroppo sono favorevole a qualunque tipo di pubblicazione, non posso permettermi di essere contrario a nessuna parola scritta». Anche Massimo Onofri parte dal presupposto che si possa, anzi si debba, pubblicare tutto. Però, dice, «anche su questa celebrazione dello stile di Céline metto un punto interrogativo. Ci sono almeno venti scrittori, suoi coetanei, più significativi di lui. Il rifiuto di Céline non è di ordine moralistico, ma si basa sul fatto che la debolezza del pensiero che innerva i suoi romanzi, la sua ideologia così povera, piccina, che allinea tutti i luoghi comuni del più becero antisemitismo non possano produrre grandi libri. La cattiva ideologia non è un reato contro la morale ma contro la letteratura stessa».
Cristina Taglietti
Il Corriere della Sera del 10 dicembre 2008, pag. 41
Come ho scritto sul post, questo mi pare un argomento piuttosto “spinoso”.
Il punto della questione è il seguente: è giusto affermare che tutto deve essere pubblicato?
Vi invito a leggere con attenzione il post e l’articolo di Cristina Taglietti.
Vi ripropongo le mie domande nei commenti che seguono…
Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?
La “cattiva ideologia” deve trovare spazio in letteratura?
Un testo disconosciuto dallo stesso autore, è di per sé censurabile?
E fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore?
Spero che la discussione possa suscitare il vostro interesse.
Per il momento vi saluto e vi auguro buonanotte.
Credo di dire una cosa ovvia e banale, ma che costituisce anche l’unico limite alla pubblicazione da ritenersi OGGI un limite vero e chiaro: in Italia esiste una serie di Leggi che definiscono quali sono i reati relativi alle opere diffuse a mezzo stampa o simili mezzi di comunicazione sociale. Ecco: queste Leggi siano anche le leggi dell’editoria. E se non sono chiare, che siano rese piu’ chiare dai legislatori.
Celine, poi, non mi interessa in genere come autore. Tuttavia, se i pamphlet sono stati oggi pubblicati e diffusi in Europa contro le decisioni degli aventi diritto (discendenti di Celine o suoi parenti detentori dei Diritti d’Autore), a costoro spetta fare causa in Tribunale. Punto.
Sergio Sozi
P.S.
Cio’ vale a dire: finche’ un’opera letteraria non sia condannata da un Tribunale italiano per aver commesso dei reati – apologie varie, eccetera – ogni opera e’ legittima dunque pubblicabile e ristampabile. Se il giudice ne ordinasse il ritiro, allora va considerata illegale e oltraggiosa.
P.P.S.S.
Sin da ieri questo argomento e’ all’oggetto anche di altri blog letterari, fra i quali anche Lankelot, dove si sta sviluppando un’interessante discussione.
L’opinione documentata e giurisprudenziale di Simona Lo Iacono sarebbe, dunque, ora, importantissima da conoscere.
Simona Lo Iacono,
saresti tanto generosa, come tuo solito, da spiegarci i termini di legge in proposito? Credo che ben pochi – me compreso – sappiano quali siano i dispositivi di legge della Repubblica in proposito.
Grazie, cara
Sergio
Testi ideologici che inneggiano o istigano all’odio, sia esso raziale, di casta, di genere, o di quant’altro, secondo me non andrebbero pubblicati. E comunque esistono secondo me limiti etici alla pubblicazione che andrebbero rispettati (oltre alla volontà dell’autore e degli aventi diritto, nel caso specifico di Céline). Limite etico non posto dalla morale dominante, ma da quella forma di rispetto universale che si deve agli altri; penso alla dichiarazione dei diritti umani, “Ogni uomo é uguale..”, eccetera.
La cattiva ideologia (sempre basandosi sul diritto universale a essere rispettati dagli altri e rispettare gli altri), non dovrebbe trovare spazio in nessun luogo della cultura, tantomeno nella letteratura.
Il fatto che un autore rinneghi un suo testo é di per sè una buona cosa, per lui, ma il fatto di averlo comunque scritto difficilmente ci permette di separarlo da esso.
Quell’antica massima liberale per cui non si è d’accordo con quel che si dice ma ci si batte affinché tutti possano avere libertà di espressione.
No, non esiste – secondo me – un limite etico alla libertà d’espressione, nell’arte e nella letteratura in primis. Un conto è biasimare un ministro della Repubblica, o un parlamentare che in virtù del loro ruolo devono porre attenzione all’esprimere le proprie opinioni. Uno scrittore no, un uomo libero neppure. Certo, il reato di apologia… ma non è il caso di un pamphlet. Ho sempre molta paura delle censure, quelle etiche poi non ne parliamo: domani ci potrebbero dire che non è etico avere un’idea diversa dal capo del governo: ne avrebbero tutte le ragioni. L’essenza democratica e liberale consiste nell’accettare sempre la libertà d’espressione, anche quando ai nostri occhi non è etica (e qui, ritorna la domanda di qual è e chi decide l’etica), o è politicamente scorretta.
Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?
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No, non deve esserci limite o la letteratura cessa la sua funzione. L’Iliade -per dire- non è affatto etica, dal nostro moderno punto di vista, ma io preferirei continuasse a essere pubblicata.
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La “cattiva ideologia” deve trovare spazio in letteratura?
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Sì. Ogni ideologia censoria è cattiva ideologia e va censurata.
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Un testo disconosciuto dallo stesso autore, è di per sé censurabile?
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Sì. Penso che la proprietà intellettuale di un testo appartenga allo scrittore, che dovrebbe poter avere il diritto -se è in tempo- di “richiamarlo”. Agli eredi invece questa facoltà andrebbe negata.
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E fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore?
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Fino al punto in cui lo si desidera. Un testo vivrebbe comunque una vita propria.
Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?
La libertà di espressione non credo possa e debba essere censurata. Anche io credo a quella massima liberale, però vero è anche che la mia libertà cessa dove inizia quella degli altri. Mettetevi nei panni di un ebreo, magari di uno scampato ai campi, che passa da Roma (quartiere Prati, l’ho sentito oggi in radio durante la deliziosa trasmissione di Enrica Bonaccorti) e vede che è stata aperta una libreria con gadgets hitleriani e libri negazionisti. Da inorridire.
Io credo che la volontà dello scrittore debba essere rispettata. Quando ci sono gli eredi è più difficile. Se un testo esiste, poi, eredi o no qualcuno prima o poi lo pubblicherà.
Per quanto concerne sia Céline che altri, la vera soluzione è pubblicare il libro ma con un apparato tale da contestualizzarlo, rendere chiara l’operazione editoriale, facendone così una pubblicazione dal valore storico ed educativo.
Umberto Eco ha fatto un lavoro del genere con delle recensioni semiserie di libri passati, scritte come se fossero stati pubblicati oggi (per dire: il Cantico dei Cantici, l’Ulisse di Joyce…): l’ironia dell’operazione sta nel fatto che Eco usa le parole di critici scandalizzati o che travisarono completamente l’opera quando uscì.
La “cattiva ideologia” deve trovare spazio in letteratura?
Allora dovrebbero sparire dalla circolazione quelle pletore di libri del realismo socialista e via ideologizzando… Pubblicare sì, ma che la critica faccia sentire la propria voce.
Un testo disconosciuto dallo stesso autore, è di per sé censurabile?
Ripeto: rispettiamo la volontà dell’autore. Però credo che una volta morto e trasscorsi degli anni dopo la sua morte, gli scritti diventino di dominio pubblico. Con la rete, poi, neanche il manoscritto segreto della Divina Commedia potrebbe scampare alla pubblicazione…
E fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore?
Per un certo tempo camminano insieme, poi il corpo mortale dell’autore e quello immateriale della sua opera prendono cammini diversi. Oggi l’aedo forse mai esistito, forse collage di pleiadi di colleghi chiamato Omero, è davvero indispensabile per godere dei suoi poemi? Tutti i nostri classici continuano a vivere nelle nostre riletture e riscritture… I loro autori sono degni di tutto il rispetto possibile, ma è come se fossero i padri di creature che camminano su zampette di carta, lontane dalla cuccia di carta su cui erano nati.
Che le Leggi della Repubblica Italiana siano il nostro Vangelo. Le Leggi che capiscano di dover costituire una ”via mediana” fra il sentire individuale e quello collettivo, naturalmente. quelle faziose vadano cambiate da noi tutti cittadini votanti. Il resto l’ho gia’ detto nel primo intervento a questo post.
In questo caso: se Celine stesso ha incaricato i posteri di assolvere all’amministrazione dei suoi scritti, i discendenti hanno la stessa validita’ legale di Celine stesso. Giustissimo, direi.
Credo di dire una cosa ovvia e banale, ma che costituisce anche l’unico limite alla pubblicazione da ritenersi OGGI un limite vero e chiaro: in Italia (in Francia non so) esiste una serie di Leggi che definiscono quali sono i reati relativi alle opere diffuse a mezzo stampa o simili mezzi di comunicazione sociale. Ecco: queste Leggi siano anche le leggi dell’editoria. E se non sono chiare, che siano rese piu’ chiare dai legislatori.
Celine, poi, non mi interessa in genere come autore. Tuttavia, se i pamphlet sono stati oggi pubblicati e diffusi in Europa contro le decisioni degli aventi diritto (discendenti di Celine o suoi parenti detentori dei Diritti d’Autore perche’ nominati tali da Celine stesso in vita), a costoro spetta fare causa in Tribunale. Punto.
Sergio Sozi
P.S.
Cio’ vale a dire: finche’ un’opera letteraria non sia condannata da un Tribunale italiano per aver commesso dei reati – apologie varie, eccetera – ogni opera e’ legittima dunque pubblicabile e ristampabile. Se il giudice ne ordinasse il ritiro, allora va considerata illegale e oltraggiosa.
Simona Lo Iacono potrebbe aiutarci a saperne di piu’ in proposito.
Sono d’accordo con Fernado Coratelli e con gli altri sulla libertà d’espressione. Se non fosse così dovrebbero oscurare tante reti televisive, impedire la navigazione in rete, impedire la pubblicazione di certi tipi “giallo” che sembrano istigazione a delinquere, ecc…
La censura ci dà sempre l’idea della dittatura: da un lato i detentori dei valori, dall’altro i sovvertitori; da un lato i buoni dall’altro i cattivi…..
dimenticando che i cattivi bisogna conoscerli per combatterli.
Alla seconda domanda rispondo con una domanda: “Qual è la buona letteratura ? Quella alleata con il potere come fu quella di Celine a suo tempo o quella riletta dopo quando l’ombrello del potere è stato chiuso?
La disconferma di un testo da parte del suo autore va letta come un testo disconfermato presupponendo che chi legge abbia la maturità per leggere Celine….. Se non possiede una maturità storica ed umana troverà in molti altri testi il conforto alla sua “cattiva ideologia”.
(Dal punto di vista giuridico lascio la parola ai giudici.)
Dietro la scrittura c’è sempre uno che pensa, che ha una sua visione del mondo,una sua weltanschauung.
Chi legge è portato ad interrogarsi ed a scoprire la visione di colui che pensa dietro le parole e questo permette di condividere o prendere le distanze da chi scrive.mela mondì
L’argomento è interessante..come sempre, grazie massimo. E per rispondere mi sono posta una domanda: è legittimo che io scriva un testo in cui cerco di dimostrare o “argomentare” che gli uomini e le donne con gli occhi azzurri sono pericolosi ed inferiori intellettivamente e moralmente? Francamente, la mia prima risposta è no, perché in nome del liberalismo, la mia libertà finisce sempre quando comincia quella di un altro….in secondo luogo perché le parole, una volta scritte, non sono più neutre, ma vengono lette ed influenzano i pensieri ed i comportamenti anche di un’intera generazione…possono cioé essere o diventare “cattive maestre” .
Infine, credo che sia l’amore per l’umanità e non il suo contrario, il fine di ogni buon scrittore….trasgredire dunque sì, ma con moderazione!!!
I problemi non sono tanto le opere razziste di Celine, ma ben altri e secondo me sono sostanzialmente due:
1) Deve esistere la censura?
Dico subito di no, perché poi i limiti per determinare se un lavoro debba essere o meno permesso o proibito sono alquanto vaghi e danno al censore, oltre che una responsabilità, un potere eccessivo. Se si vuol essere chiari, una qualsiasi limitazione della libertà di pensiero è puramente accademica, perché proibire una pubblicazione non impedisce che ciò che è in essa non possa essere divulgato in altro modo, come è accaduto per le opere di Solgenitsin, circolate nell’ex URSS in copie ciclostilate. Quindi, la censura, oltre che essere liberticida, non serve a nulla.
2) Un’opera che è contro i più fondamentali diritti umani può essere pubblicata e diffusa?
Fermo restando la mia opposizione alla censura, la pubblicazione un’opera del genere può servire a comprendere molte cose. Il suo insuccesso dimostrerebbe che il pubblico dei lettori è maturo e capisce ciò che è bene e ciò che è male. Un suo eventuale gradimento sarebbe sintomatico di una società confusa, oppure immatura ed è allora lì che devono agire le istituzioni perché gli individui possano raggiungere un livello culturale e morale degno di un popolo civile.
Insomma, se si teme che un’opera possa influenzare negativamente i lettori, la colpa non è dell’opera, ma dei lettori stessi e di quei governanti che non sono stati capaci, o non hanno voluto educare alla libertà, alla democrazia, ai diritti umani il proprio popolo.
Da ultimo.
E fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore?
Ritengo che ogni autore scriva quel che pensa e quindi sia riflesso nei suoi libri il suo modo di vedere.
Mi riuscerebbe difficile pensare a Celine che scrive pamphlet antisemiti e invece in privato è contrario a qualsiasi forma di razzismo. Un conto è che un autore possa essere antipatico nonostante le sue eccellenti opere e un altro è che scriva in un modo e poi nella vita sia completamente all’opposto.
Ho letto “Viaggio al termine della notte” qualche anno fa. Credo che sia uno dei libri più belli mai scritti. Ritengo che la prosa (?) di Céline in quel libro sia molto bella. E’ un libro che parla della follia umana, della guerra, ma non solo. Il protagonista è molto umano. Così come altri personaggi del libro. Forse non sono reali, a cominciare da lui, forse in parte sì. E’ e rimane un grande scrittore.
Non ho mai letto gli scritti antisemiti. Non mi interessano, anche e soprattutto ritenendoli, in quanto antisemiti (avendo letto un poco la biografia dello scrittore), contrari alla mia etica, al mio pensiero, alla logica direi.
Ma come al solito, me ne vengo fuori con la mia provocazione.
Da dove nasce l’esigenza di porsi la questione di pubblicare o no i libri di Céline? Mi spiego meglio. Crediamo che i suoi testi possano essere equiparati agli striscioni nazisti di una curva? Alle parole strampalate e infami di un alto prelato? Ai cori delle teste rapate di Forza Nuova?
Queste cose, a mio avviso, possono benissimo essere contrastate, al di là delle leggi, con una logica che riporti un’opinione contraria e soprattutto “più forte”, “più umana”, “più vera”.
Oserei dire che queste tesi, espresse da questi soggetti (ultras, preti strambi, manovalanza politica di scarto), si annullino da sole.
Giusto per il semplice fatto che chi le esprime è proprio quel soggetto specifico lì. Il cui valore intellettuale, e morale, a mio avviso è quasi nullo.
Con Céline è diverso, forse. Certo non è dio in terra, e meno male, ma non è neanche un capo ultras facinoroso.
Le sue parole sono trite e noiose? E allora, io credo, ci saranno opinioni specularmente contrarie e giuste in grado di neutralizzarle sul piano storico, intellettuale, filosofico, umano. O no?
Mi viene da pensare al rifiuto, iniziale, di pubblicare Primo Levi. Forse che quella società, quella che decise all’inizio di non pubblicare Primo Levi, sia molto simile alla nostra?
Quando una società è forte, compatta intorno ad un nucleo di verità condivisa, quando è pregna di morale, non ha da temere nulla.
E’ quando una società non ha questa solidità intrinseca che, forse, si teme il confronto.
Dovremmo quindi chiederci, ma la nostra società, oggi, ha o avrebbe la stessa, se non maggiore, forza morale per negare Céline, sbugiardarlo e metterlo in ridicolo, come è giusto che sia? Io sinceramente sarei un poco dubbioso. Nonostante le migliaia di testimonianza ancora vive, nonostante le foto, i filmati, i libri, i viaggi nei campi di sterminio, si può dire che la nostra società si sia definitivamente lavata da una bruttura simile come l’antisemitismo?
Non vorrei che, vista la caratura del personaggio Céline, e la poco resistenza da noi offerta al propagarsi di idee disumane (cribbio, esistono storici revisionisti: questi scrivono libri e propagano tesi!), il problema se pubblicare o meno Céline diventi il problema su come “difenderci” dal mostro che torna. Negandolo o affrontandolo.
Mi pare ovvio che le due strade siano molto diverse una dall’altra.
Saramago mi pare, qualche tempo fa, abbia fatto un’uscita sugli ebrei che dire infelice mi pare un eufemismo. Si è dimostrata da tutte le parti riprovazione per le sue parole, ma se basta un conflitto attuale (seppur tremendo, siamo intesi) per far sì che si torni sulle proprie posizioni e si accusi il popolo ebraico di “usare” la shoah come alibi per un vittimismo che gli permetta di fare quel che vuole, allora diventa difficile mettere in un angolo Saramago (e Céline) con il cappello d’asino sulla fronte e ridergli dietro. Non so, è che temo sinceramente queste cose:
a) il passare del tempo, invano, in grado di cancellare e non rafforzare la memoria. Attendo con preoccupazione tremenda il giorno della morte dell’ultimo testimone vivente dei campi di sterminio.
b) la voglia sempre maggiore e universale di violenza come “valvola di sfogo” e la susseguente ricerca di un capro espiatorio perfetto (se gli ebrei lo sono stati più di una volta in passato, perché non ripetere la stessa scelta?).
c) la poca, pochissima, capacità di analizzare la storia e trarne conclusioni sensate: e questo perché la storia, forse, non si insegna (e non si impara) come si deve.
Detto questo, comunque, io pubblicherei i libri di Céline: ma per ognuno di essi, almeno dieci di senso e parere totalmente opposto, e obiettivamente più vero.
Un saluto a tutti
@Sergio Sozi: d’accordo sulle Leggi che stabiliscano il pubblicabile dal non.L’ethos é l’habitus mentale che appartiene al ciascuno e può essere condiviso o meno. Si tratta di responsabilità. Vuoi veicolare cose belle o brutte, utili o inutili, a favore dell’uomo o a sfavore?
@Salvo Zappulla: ho perso la tua mail, venerdì 30 h. 17,30 palazzo Impellizzeri ,converserò col filosofo Sergio Givone, docente di estetica all’univ. di Firenze. Ti aspetto. Lucia arsì
E’ vero che la forza delle parole è tale da poter offendere altri o da poterli glorificare, ma credo che tutto debba essere pubblicato perchè il silenzio o la censura non possa arrecare maggiore danno delle parole più dannose. Avrei paura a dare strumenti per valutare limite etico e cattiva ideologia, a chi o quale giudizio dovremmo affidarci?Lasciamo che i libri vadano in giro stimolando loro stessi le critiche necessarie e la capacità di distinguere fra buona o cattiva letteratura e che l’unico limite se lo dia chi lascia su carta il proprio pensiero in parole.Il libro che hai generato è sicuramente tuo figlio, ma quanto di esso ancora ti appartiene una volta che cammina da solo nel mondo?
Io avrei timore a mettere un bavaglio all’arte come alla letteratura in nome di un limite etico, che mi auguro faccia parte del mio sguardo di lettore sul mondo quando scelgo e fruisco di ciò che il mondo sa offrirmi.
celine non lo conosco bene,ma quando circolava a casa di mia madre “viaggio al termine della notte” per istinto non l’ho mai letto,oggi forse mi piacerebbe saperne di più.
cari saluti
Caro Sergio,
la legislazione sull’editoria non elenca divieti e limiti espressi alla pubblicazione dei libri, anche perchè il nostro sistema costituzionale dichiara espressamente la libera manifestazione del pensiero (art 21 cost).
Pertanto il controllo sul contenuto dei libri (in passato “la censura”) è affidato al potere giudiziario su denunzia, ossia allorchè il contenuto di un testo sia in aperta violazione con i principi democratici che ispirano il nostro ordinamento. Si tratta quindi di un vaglio successivo alla pubblicazione dell’opera.
La questione dei limiti “etici” alla pubblicazione è di difficilissima soluzione perchè risente dei contesti storici di riferimento e soprattutto dei valori dominanti la cultura, valori in ebollizione ed evoluzione, come tali affioranti tra le pieghe della società con diversa forza e condivisione a seconda delle varie epoche storiche.
Ciò che , infatti, poteva essere considerato immorale cinquant’anni fa oggi perde agli occhi della comunità il suo disvalore (pensiamo alle evluzioni in tema di rapporti familiari e sessualità).
Ti riporto di seguito una breve storia “giuridica” dell’evoluzione della “censura in Italia” dall’epoca fascista ai giorni nostri, così sarà più semplice cogliere in che modo si è approdati all’attuale sistema di controllo giudiziario “successivo”.
Un abbraccio
Simo
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Dopo la gestione di epoca liberale — che conosce alcune durezze negli anni 1915-20 — la censura sui libri è usata, durante e dopo il fascismo, più come mezzo di gestione del potere che, come succedeva con L’indice cattolico dei libri proibiti, come sistema di controllo e di indirizzo delle coscienze: serve per imporre e rendere palesi scelte politiche, per delimitare l’azione di intellettuali (o industriali, gli editori) non allineati o, viceversa, per dare segnali e indicazioni a quelli «amici».
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Per questo il fascismo continuerà sempre a ribadire di non aver praticato la censura, anche se si trattava di un’affermazione falsa.
Il 3 aprile 1934 Mussolini emana una circolare che dà ordine ai prefetti di vagliare in anticipo tutti i libri in uscita nella propria provincia: dodici anni dopo la presa del potere, la censura preventiva diviene realtà, ma solo grazie a una circolare. Se lo ritiene necessario, il prefetto può sequestrare opere pubblicate. Nel sistema di controllo è inserito l’ufficio stampa del duce, quello stesso che di lì a qualche anno si sarebbe trasformato in ministero della Cultura Popolare. All’origine della circolare è il romanzetto di un’autrice che, sotto lo pseudonimo di Mura, aveva pubblicato Sambadù amore negro: storia di amore e sesso tra un’italiana e un nero africano. Mussolini ha deciso che la politica razziale di un’Italia che sta per invadere l’Etiopia non può permettersi di pubblicare testi inneggianti agli incroci razziali e in questo modo allerta prefetti e questori, e con loro editori e scrittori. In seguito, la Cultura Popolare allestisce appositi uffici che controllano i libri sia italiani sia stranieri, anche tradotti (per le traduzioni la censura è sistematica a partire dall’aprile 1938). Il controllo diviene così capillare e preventivo.
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Dal 1938 la censura accompagna esplicitamente le scelte razziste, e non solo perché vengono eliminati i libri di autori ebrei, ma anche perché viene resa sempre più attenta e scrupolosa la verifica dei contenuti in relazione ai temi più vari (famigia, sesso, potere) che potevano comunque confliggere con una seria politica razzista. Soprattutto dal 1939 entrano in vigore divieti sul trattamento ostile delle questioni tedesche e naziste.
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Nel dopoguerra il governo Badoglio (dicembre 1943), elimina il ministero della Cultura Popolare. È applicato un nuovo tipo di censura, quella militare degli Alleati, che stila nuovi elenchi di libri vietati, di cancellazioni (in particolare le apologie del fascismo distribuite in molti testi scolastici) e, fino all’ottobre 1945, esercita un controllo preventivo. Il principio liberale si impone comunque, in via definitiva, con l’articolo 21 della nuova Costituzione: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria». A quel punto la stampa del nostro paese era libera e il controllo, successivo alla pubblicazione, era riservato ai tribunali.
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Ha così fine la censura governativa e inizia quella operata attraverso il potere giudiziario. La normativa fascista sul controllo dei contenuti, finalizzata a esaltare la «dignità di razza», si trasforma invece nell’intelaiatura di una nuova normativa contro l’osceno e l’immorale. La legge chiave su questo argomento (31 maggio 1946) è politicamente forte, perché firmata dal primo ministro democristiano A. De Gasperi e dal guardasigilli comunista P. Togliatti. Accanto a essa, conta soprattutto la normativa sul vilipendio delle istituzioni (compresa la religione cattolica) e quella sul falso in atto pubblico.
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In realtà dopo la guerra ci vorrà un po’ di tempo perché le procure e i tribunali intervengano a pieno ritmo, in particolare contro le pubblicazioni oscene: nel 1946, ad esempio, Mondadori traduce L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence; ma il sequestro sopraggiunge solo un mese dopo l’uscita, quando la tiratura è ormai venduta per intero.
Nel successivo decennio si apre una stagione di frequenti sequestri, più evidente forse nel campo cinematografico che librario. Tra l’altro, bisogna ricordare che fino alla fine degli anni Sessanta è in vigore la normativa che impone di depositare alla dogana gli elenchi di tutti i libri stranieri importati, che alla fine arrivano alla Presidenza del Consiglio. Il controllo è dunque pressoché totale. Tra i testi colpiti: Le chiavi di San Pietro di R. Peyrefitte (1960); II ponte della Ghisolfa (1960) e L’Arialda (1961) di G. Testori; La noia di A. Moravia (1961); per oltraggio al pudore e vilipendio della rehgione persino i Canti della nuova Resistenza spagnola editi da Einaudi e curati da S. Liberovici, M. Straniero e M. Galante Garrone (1963), che vengono anche condannati a due mesi di detenzione. Nel 1962 è la volta di un «immorale» catalogo di quadri e incisioni di G. Grosz; nel 1966 di Tropico del Cancro di H. Miller (come già di Plexus nel 1958) e di La ragazza di nome Giulio di M. Milani. Finiscono nel mirino perfino classici come Boccaccio, Sade, l’Aretino.
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La dichiarazione, da parte cattolica, che l’Indice dei libri proibiti non ha più corso segna nel 1966 una svolta importante e riduce le denunce alle procure: è uno dei risultati del clima conciliare. I cambiamenti nel mondo cattolico hanno gran peso sull’evoluzione della censura; in sostanza, l’ultimo capitolo della sua storia italiana viene scritto tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977, quando sono sequestrati, a seguito di una denuncia, Porci con le ali di M. Lombardo Radice e L Ravera e, subito dopo, Paura di volare di E. Jong. I tempi sono cambiati, la legge sul divorzio (1974) ha introdotto un modello di famiglia più libera, la coscienza collettiva non stima più censurabili modelli di comportamento prima considerati osceni.
Resta in piedi – naturalmente – ogni contenuto che , inneggiando a pratiche oggettivamente assimilabili a tipologie criminose, si trasformi in una sorta di “apologia” e di “istigazione” a delinquere.
Non ho letto il libro di Céline ed è azzardato poterlo giudicare con cognizione di causa. Tenendo salva la libertà di espressione, tento di
parafrasare a modo mio, la citazione di Massimo Onofri:-
“La cattiva ideologia oltre ad essere un reato contro la morale è un danno anche per la Letteratura”. Si pensi all’immane massacro degli ebrei derivato da un errata ideologia.
Inoltre lo scrittore deve tener conto dell’influsso negativo o positivo che le sue pagine avranno nei lettori più giovani e influenzabili.
L’autore per primo dovrebbe avere il senso del limite, dettato dall’interiore coscienza. Si pensi ai molti scrittori russi, che sono stati – sale e luce – per molti di noi e hanno diffuso i doni ricevuti (ossia la loro profonda conoscenza sapienzale) in fecondi doni per lo spirito di tutti.
Spero di poter ritornare su tale argomento per spiegarmi meglio.
Un corale abbracco.
Tessy
Condivido appieno la posizione di Renzo Montagnoli: “se si teme che un’opera possa influenzare negativamente i lettori, la colpa non è dell’opera, ma dei lettori stessi e di quei governanti che non sono stati capaci, o non hanno voluto educare alla libertà, alla democrazia, ai diritti umani il proprio popolo”.
E ricordo a Sergio Sozi che, per fortuna, le leggi NON sono la verità rivelata. Quindi se qualcosa è proibito per legge non vuol dire che si è dalla parte del giusto tout court – ricordarsi sempre che le “leggi razziali” nazionalsocialiste e fasciste erano “Leggi”. E alla domanda posta a Kelsen (giurista e filosofo del diritto: “Nel caso in cui a un legislatore impazzito salti in mente di dare l’ordine che ogni domenica siano fucilati dieci uomini per un qualsiasi motivo, per esempio perché hanno i capelli rossi, anche questo andrebbe considerato diritto e legge?” Egli rispose di essere un giurista e non un moralista.
Attenzione a non essere prigionieri del principio di legalità. Nascono così i sistemi totalitari.
Propongo un’angolazione diversa.
Escludendo il caso Celine, che per quanto mi riguarda è caso piuttosto raro.
Voglio dire: un buono scrittore esattamente che cos’è: un cretino con talento estetico per le decorazioni o un talento intellettuale che accompagna all’estetica del linguaggio un’estetica del concetto?
La mia idea è che nel novanta percento dei casi alla cattiva idelogia si accompagna la pessima letteratura.
Sono una donna di sinistra – parecchio di sinsitra – ma mi capitano due cose: se trovo uno scrittore di destra interessante lo qualifico come tale. Se trovo una persona di destra estremamente intelligente ottiene la mia stima. Per fare un esempio, riconosco a Buttafuoco un notevole talento. Mi piace la pasta del suo linguaggio e apprezzo la complessità di una visione del mondo sofisticata. Per alcune dichiarazioni io sono allegramente censoria: non vedo perchè se Curcio deve fasse vent’anni de carcere, non se li debba fare un editore che fa i soldi con analoga istigazione al reato Non vedo perchè se Goebbels è una merda, lo sia di meno uno che scrive cose antisemite e che sono apologia di razzismo. . Ma in una prospettiva democratica e liberale, il cui bello è proprio sopportare lo scacco interno di tenere al limite le posizioni che la negano io da editore mi devo chiedere è questo un libro che vale? E’ questo un libro che arriva nella vertigine di un concetto?
Quando l’ideologia è cattiva è sempre orizzontale, è sempre ferina. Insomma irta di cazzate ma non certo di Letteratura.
@Zauberei: meno male che hai lasciato un 10% di possibilità e fra queste rientra certamente Ezra Pound, la cui vicenda è ancora più nota di quella di Celine. Se non lo avessero passato per pazzo, finiva sulla sedia elettrica. E non tanto per un discorso razzista, ma per il sostegno incondizionato al fascismo, circostanza tanto più grave ove si consideri che durante la Repubblica di Salò compose due canti, direttamente in italiano, di solidarietà con il fascismo.
Ora, la qualità letteraria di Pound mi sembra indubitabile, ma c’è da dire che Pound, più che fascista, era soggiogato da alcune idee sociali, le poche, del fascismo stesso, idee che in sè ritroviamo anche in altre ideologie politiche e comunque mai realizzate.
sono d’accordo con Romagnoli, tutto va pubblicato, anche le scempiaggini – e’ poi il lettore a valutare, seguire o condannare – ogni pubblicazioe puo’ servire a capire molte cose – poi se qualcosa scatena gli eventi non e’ colpa del lettore ma dei nostri governanti incapaci – che non ci guidano verso le conclusioni giuste – –
anzi, a mio avviso quando si vieta una lettura o meglio la si sconsiglia – sicuramente viene la curiosita’ di leggere di persona, di capire il perche’ –
e’ interessante scoprire il perche’ di tanti comportamenti – anche se riguardano singole persone, possiamo comunque provare a capire le intenzioni della loro mente –
vorrei scrivere di piu’ ma sono al lavoro e non posso abusare del mio tempo….saluti a tutti anna di mauro
Sono d’accordo anch’io con Romagnoli, ma non trovo il suo commento…
Non ci può essere alcun limite alla pubblicazione di un’opera d’arte. Sono un po’ stupito di sentire difese di criteri restrittivi che hanno un solo nome: censura. Criticare aspramente Celine è cosa ben diversa dal non pubblicarlo. Se poi gli eredi non hanno autorizzato la pubblicazione è questione legale che centra poco con la letteratura.
benissimo, è quello che dicevo anch’io,zittire è sempre più dannoso del parlare,meglio nutrire la coscienza collettiva a scegliere criticamente,ma senza imbavagliare niente e nessuno.
che carino l’involontario “anagramma” di renzo Montagnoli in Romagnoli,ih ih.
@ Franco Romanò e Francesca Giulia: esatto. L’introduzione della censura farebbe danni assai maggiori di quelli prodotti da un’opera esecrabile.
mi correggo….sono dacordo con Montagnoli !!!!!!! pardone moi !!!!!
non credo sia un anagramma,forse una contrazione del nome e cognome insieme,ma perdonate è un altro discorso.
saluti
Sulla censura rimango in dubbio – credo che quel che po’ che c’è mi vada bene. Ma la domanda di Massimo è posta solo in termini giuridici? non credo. In termini giuridici la risposta può anche essere facile. Ma il modo di relazionarsi in termini editoriali al proprio contesto poltico mi sembra importante. E credo che di volta in volta a voja a parlare la scelta si fa determinata da tante cose.
Sicchè apprezzo il commento di Piperno quando protesta contro la divizzazione dell’intellettuale cattivo, a scopi meramente commerciali e che con il sacro fuoco dell’informazione e l’autocoscienza hanno poco a che spartire.
Per il resto per un Celine, e se volete per Pound ci sono nove scrittori altrettanto interessanti e meno stronzi. Ahò per me non rimane un caso.
@Anna di Mauro: scusami tu, ma ho inteso immettere una pausa distensiva.
Condivido la distinzione tra etica e diritto sollevata da Fernando Coratelli e sottolineata da Zauberei.
Colgo l’occasione per specificare in quale ambito si muove il giudizio dei tribunali in caso di denuncia di un testo.
L’art 21 Cost recita che : “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure….
…..Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprime violazioni”.
Dunque l’unico metro di valutazione che il tribunale può adottare per reprimere la diffusione di un’opera è la “violazione al buon costume”.
Cosa si intende oggi per “buon costume”?
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Bisogna premettere che la definizione è “giuridica” e non “etica”, pertanto ancorata solo a dati normativi e che essa ha subito evoluzioni normative.
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Infatti erano considerati violativi del buon costume un gruppo di reati raccolti nel libro secondo, sotto il titolo IX intitolato ai reati contro la moralità pubblica e il buon costume. Tale titolo comprendeva due distinte categorie di reati, che riguardano rispettivamente i ‘delitti contro la libertà sessuale’ e quelli che concernono l’offesa al pudore e all’onore sessuale. I reati previsti dal legislatore sotto la rubrica in oggetto erano quelli di violenza carnale, atti di libidine violenta, ratto a fine di matrimonio, ratto a fine di libidine, ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma, a fine di libidine o di matrimonio, seduzione con promessa di matrimonio, atti osceni, pubblicazioni e spettacoli osceni, corruzione di minorenni, tratta di donne e di minori commessa all’estero.
Con l’introduzione della legge n.66 del 1996 relativa ai delitti contro la libertà sessuale, le norme che disciplinavano i reati di violenza carnale, atti di libidine violenta e ratto sono state abrogate e sono state create le nuove fattispecie della violenza sessuale, degli atti sessuali contro i minorenni, della corruzione di minorenne ecc. Tali reati, inseriti nel codice penale nell’ambito del titolo XII agli artt. 609 bis – 609 decies, non sono però più classificati tra i reati contro la moralità pubblica e il buon costume, ma contro quelli che colpiscono la libertà personale.
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In seguito alla riforma della normativa sulla violenza sessuale, pertanto, la fattispecie più significativa residua all’interno dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume è quella relativa agli atti osceni.
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Ciò posto devo specificare che neanche in ambito giudiziario, pur sussistendo l’ancoraggio al sistema normativo sopra delineato, è facile dare sempre una risposta convincente alle questioni relative a libri “contrari al buon costume”.
E non lo è perchè il limite tra creatività e rappresentazione della realtà umana è molto labile.
E perchè spesso la vera opera d’arte non giudica. Interpreta.
Insomma, secondo la maggioranza degli intervenuti é lecito (quasi doveroso) pubblicare tutto, in nome della libertà di espressione. Ma quando l’opera in questione argomenta in favore di, e promuove, comportamenti e ideologie razziste (universalmente inaccettabili, non in base all’opinione di un censore o di un capo di governo), ritengo che una certa forma di “limitazione etica”, per rispetto delle potenziali vittime dell’ideologia espressa, possa e debba essere accettata.
Poi é chiaro che la pubblicazione di un’opera “censurabile” dal punto di vista etico può anche ottenere il risultato positivo di fare discutere sull’argomento, e la discussione, si sa, é il sale delle società libere.
Certe opere si dovrebbe pubblicare solo contestualizzandole, magari facendole precedere o seguire da prefazioni o postfazioni volte a stigmatizzarle e a evidenziarne i pericoli ideologici.
Salve a tutti, concordo pienamente col pensiero di Massimo Burioni. Non ho mai creduto in queste forme di permissivismo intellettuale per cui uno scrittore può “dire” tutto e il suo contrario, soprattutto quando questo suo messaggio si rivela razzista, deresponsabilizzato, nemico dell’uomo stesso e contrario al rispetto di qualsiasi umanità. Si è troppo giocato con le mode del “politicamente scorretto”, e spesso ne è venuto fuori solo un qualunquismo inutile, squallido, offensivo. Rispetto chi la pensa diversamente da me, ma il mio parere è NO. Assolutamente. No a Celine, no alla sua rabbia, no alla violenza della sua scrittura. E non parlo solo perché si tratta di uno scrittore che non amo in alcun modo: ne scrivo in termini di pura riflessione intellettuale. Ci sono limiti che non possono essere oltrepassati. Altrimenti poi inutile stupirsi dei lager, delle deportazioni, di tutte le forme di violenza sistematica dell’uomo contro il proprio simile. Davanti alla possibilità di fraintendimenti criminosi, preferisco che alcune pagine vengano inghiottite dalla notte dei tempi e della storia. Del resto, non ci si lamenta che troppa roba continua a invadere gli scaffali delle nostre librerie? Cominciamo allora da tutto quello che ci offende, che ci umilia, che pone delle barriere profonde alla nostra capacità di esseri pensanti. Grazie come sempre a Massimo Maugeri per lo spazio che ci offre e per l’impegno continuo che riversa in questo blog. Un caro saluto a tutti…
Concordo con Luigi La Rosa che ha il coraggio di esprimersi andando controcorrente.A chi serve pubblicare testi dannosi?A cosa serve?Se si decide che un testo è……. “sbagliato” bisogna assumersi la responsabilità di NON pubblicarlo.non dico che bisogna istituire un indice dei libri proibiti, ma nemmeno possiamo assicurare pari dignità a qualunque testo
Grazie, cara Martina. Grazie del suo messaggio. Secondo me non è questione di coraggio, ma di libero pensiero. Mi piace sapere che un libro m’insegna qualcosa: mi piace sperarlo. O che quantomeno mi trasmette delle emozioni. Lascia in me il suo segno. E’ quello che dico a ogni lezione ai ragazzi delle scuole con cui mi confronto. Qualcuno potrebbe pur sempre obiettare che è una questione di libera scelta, e che io potrei anche non leggere il libro in questione. Benissimo. Ma io mi chiedo, francamente: con la gravissima crisi editoriale, e la difficoltà a trovare opere interessanti nel vasto oceano della mediocrità contemporanea, perché sprecare un’occasione d’incontro con l’opera d’arte ritrovandosi tra le mani qualcosa che inneggia se non alla violenza comunque al razzismo? Sottoscrivo alla lettera il commento di Cristina Taglietti: la cattiva ideologia non è un reato contro la morale ma contro la letteratura stessa…
Non è questione di crisi o non di crisi, ma il problema è etico e pratico. Tutte le volte che si è introdotta la censura c’è stato un regresso culturale; altrimenti ritorniamo ai famosi libri all’indice della chiesa cattolica.
Certo il problema è etico e pratico, ma non è di facile soluzione. In un’ipotesi e nell’altra c’è un grave rovescio della medaglia. L’es. classico della c.d. coperta troppo corta rende l’idea
Luigi La Rosa
Come dire ti sono solidale nel sentimento, però propongo unna precisazione – se decidiamo di metterci in una prospettiva editoriale e non giuridica.
La differenza può stare nella scelta documentaristica e nella rifessione storica.Nella possibilità di avere una cornice di senso. Per altro non è sempre facile questa cosa, e qualche volta secondo me non ne vale manco la pena. Ma in questo senso, pubblicare Celine non è la stessa cosa di pubblicare un’opera prima di uno scrittore vivo e vegeto che inneggia all’arsura degli zingari e di fatto è tanto amichetto di Cota o Bossi, perchè nel primo caso c’è storia dell’ideologia cattiva, nel secondo c’è l’ideologia applicata che si serve del medium libro. Il fatto che Mein Kampf o Celine ci siano in una biblioteca, in una scuola è fondamentale perchè ogni tanto viene qualcuno e dice – ih gli ebrei – sti esagerati! fanno le vittime.
Allo stesso tempo chi decide di dare i propri quatrini a che un libro sia pubblicato, immagino che due quiz se li debba fare sull’impatto che questo testo – il discorso vale anche per il testo cinematografico e televisivo e anzi direi vale molto di più – avrà su chi ne fruisce.
Ora l’è vero che siamo in democrazia, ma democraticamente posso decidere a cosa affiancare il mio nome, quali responsabilità voglio avere e se avere le mani zozze o pulite. Non credo che a pubblicare un autore contemporaneo antisemita, o un autore contemporaneo che concettualizza la lotta armata, magari scrive benino – dubito che sia strabiliante io mi senta porprio eticamente tranquillo. Ma forse semplicemente per me niente vale di meno della mia coscienza e il mio insindacabile modo di esercitare la professione di editore. Che anche questo è democrazia, e se io ci metto i quatrini miei nessuno mi deve costringere a pubblicare tutto.
nel restante 44% restano tracce di ostilità
Antisemiti, in Italia sono il 12 per cento
Il 56% è estraneo ai pregiudizi contro gli ebrei
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Il 27 gennaio si celebra il giorno della Memoria. Ma quanto è diffuso oggi l’antisemitismo in Italia? La risposta dipende da ciò che si intende per ostilità antiebraica.
Essa può mostrarsi come il classico odio xenofobo verso una minoranza diversa sotto il profilo religioso, etnico o culturale.
Oppure può prendere le sembianze, tipicamente moderne, di fobia verso un gruppo ritenuto potente e dai legami di fedeltà ambigui. Infine, il pregiudizio può legarsi alle nuove componenti dell’identità ebraica: Israele e la memoria della Shoah. Si tratta di tre tipologie storiche, ciascuna sviluppatasi in un preciso periodo. Oggi queste tre forme convivono, mescolandosi tra loro.
Una ricerca condotta dal Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano) mostra un quadro molto complesso. Il 56% degli italiani può essere considerato relativamente estraneo ai pregiudizi contro gli ebrei. Tra costoro, il 12% (in misura più che proporzionale laureati, con pochi preconcetti anche rispetto ad altre minoranze, non collocati politicamente e con un giudizio sostanzialmente benevolo nei confronti di Israele) respinge tutti gli stereotipi con forza. Il 43% (per lo più con una conoscenza scarsa degli ebrei e pertanto restii ad esprimere un giudizio su questioni di cui hanno poca cognizione) non prende alcuna posizione. Il restante 44% della popolazione mostra invece qualche pregiudizio o atteggiamento ostile agli ebrei. Esso si può scomporre in quattro sottogruppi.
Il primo (10%) condivide gli stereotipi antiebraici «classici»: ad esempio, gli ebrei non «sono italiani fino in fondo», «non ci si può mai fidare del tutto di loro» e «sotto sotto sono sempre vissuti alle spalle degli altri», respingendo però i pregiudizi contingenti (verso Israele e Shoah). Tra costoro troviamo in misura più che proporzionale persone di destra (+8%), legate alle tradizioni religiose (+13%), con forti pregiudizi nei confronti delle altre minoranze (+15%). Un altro gruppo (11% della popolazione, con un’accentuazione al Nord-ovest), approva invece solamente gli stereotipi «moderni», mentre respinge quelli «classici» e «contingenti». Per costoro, «gli ebrei sono ricchi e potenti», «controllano e muovono la politica, i media e la finanza» ed inoltre «sono più fedeli a Israele piuttosto che al Paese in cui sono nati».
Un terzo gruppo (12%) è caratterizzato da convinzioni «contingenti» («tutti gli ebrei strumentalizzano la Shoah per giustificare la politica di Israele», «parlano troppo delle loro tragedie trascurando quelle degli altri», «gli ebrei si comportano da nazisti con i palestinesi»), ma non concorda con i pregiudizi classici. Qui troviamo una presenza più che proporzionale di persone di sinistra (+9%), laiche (+16%), laureate (+7%), ovviamente con un atteggiamento fortemente ostile allo Stato d’Israele (+20%). In questo caso, però (ma, in parte, anche nei due precedenti), la condivisione di solo alcuni — e ben definiti — degli stereotipi e dei convincimenti descritti sin qui induce a ritenere che non ci si trovi di fronte a una ideologia antiebraica vera e propria: il termine antisemitismo appare qui sproporzionato.
I veri «antisemiti» sono invece coloro (12% degli italiani) che condividono tutte le tipologie di stereotipi sopra elencati, da quelli «classici» a quelli «contingenti». Tra costoro si registra una presenza più che proporzionale sia delle persone di estrema destra, sia di quelle di estrema sinistra: in quest’ultimo settore politico il 23% mostra un atteggiamento chiaramente antisemita.
Resta il fatto che il pregiudizio antiebraico è multiforme e trasversale, ciò che rende difficoltosa una lettura del fenomeno. È vero ad esempio che oggi un atteggiamento di matrice xenofoba riguarda gli ebrei in maniera decisamente inferiore rispetto ad altre minoranze (rom, islamici, extracomunitari ecc). È altrettanto vero, però, che il calo «dell’antiebraismo xenofobo» rischia di essere ampiamente rimpiazzato dalla nascita di tutta una serie di nuovi stereotipi, che poco hanno a che fare con la xenofobia, ma che non per questo devono venir tenuti in minor considerazione.
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Renato Mannheimer
(Ha collaborato Leone Hassan)
CORRIERE DELLA SERA – 26 gennaio 2009
Caro Renzo, capisco perfettamente il suo pensiero ma non riesco a condividerlo nel caso specifico di Celine. La letteratura è anche valore, è anche messaggio, scelta di condivisione. E laddove i valori di questa condivisione sono “disvalori” oggettivi, o comunque pretese razziste contro l’altro, in cosa un libro mi dovrebbe mai arricchire? Da quali punti di vista? Se non si fanno delle dovute differenze, qualsiasi motto inneggiante alla violenza potrebbe pretendere diritto di ascolto. E non credo che francamente tutto quanto possa essere messo nello stesso calderone. Che poi la censura costituisca un regresso, credo che nessuno possa negarlo. Ma non si può pretendere che certe scritture non provochino indignazione in chi ancora crede in certi valori culturali…
A far la differenza fra delle leggi censorie e dunque liberticide (vedi fascismo italiano e comunismo russo) e le leggi della nostra attuale Repubblica esiste un criterio fondamentale: il consenso popolare espresso liberamente mediante elezioni ricorrenti obbligatoriamente ogni cinque anni (durata massima di una Legislatura).
Di conseguenza i Deputati, Senatori e relativi Governi hanno da parte nostra, di volta in volta, la delega anche a ratificare le leggi che stabiliscano cosa e’ dannoso per la morale e le morali e l’etica e le etiche collettive presenti in Italia. Questa interpretazione e’ difficile proprio perche’ deve stabilire una ”via mediana” fra l’opinione dei singoli cittadini e quella della collettivita’ italiana. In soldoni quel che avviene e’ questo: qualsiasi libro puo’ esser pubblicato (l’ho gia’ detto nei primi interventi) e solo dopo l’uscita il libro puo’ essere incriminato per dei reati ed eventualmente ritirato dal commercio dopo apposita sentenza tribunalizia. Questo procedere mi sembra giusto e taglia la testa al toro. Facciamo un esempio per ora astratto: il pamphlet di Celine esce in Italia e l’editore viene denunciato dal rappresentante legale di una comunita’ ebraica per alcuni reati (mettiamo uno di quei reati che Simona Lo Iacono cosi’ precisa: ”Resta in piedi – naturalmente – ogni contenuto che , inneggiando a pratiche oggettivamente assimilabili a tipologie criminose, si trasformi in una sorta di “apologia” e di “istigazione” a delinquere”). Ecco: si svolge il processo e se il giudice decide che istigazione e/o apologia c’era chiaramente nel testo, il testo va ritirato dal commercio.
Non per niente alcune vignette e articoli di riviste satiriche che sconfinavano nell’oltraggio, la contumelia e la diffamazione, vennero condannati in Tribunale negli anni Settanta e Ottanta.
Ma cio’, tutto cio’, non toglie che se un editore ed un autore vogliono assieme rischiare pubblicando un saggio antisemita o antiislamico o antiqualcos’altro che vada oltre l’anti- e divenga ”sparate a costui o a questo tipo di gente” son liberi di farlo, rischiando appunto l’ovvia denuncia e la conseguente probabile censura.
Il resto mi sembra di secondaria importanza, perche’ in un Paese democratico – e il nostro lo e’ dopotutto – ad operare scelte censorie spetta solo ed esclusivamente ai Tribunali della Repubblica, non al cittadino (cittadino scrittore, cittadino editore e cittadino lettore), il quale ha comunque la liberta’ di accettare o rifiutare qualsiasi prodotto d’ordine culturale (al lettore basta non comprare il libro ignorandolo, all’editore rifiutarne la pubblicazione e all’autore tenerselo nel cassetto. Ma queste ultime sono scelte individuali non obbligatorie).
Trovo interessante il tema toccato da Zauberei: quello della memoria. Ecco, forse soltanto in tal senso sarebbe possibile – e condivido con lei – accettare in una biblioteca un testo dichiaratamente xenofobo o razzista o ideologicamente scorretto: nel senso di rammentare ai giorni che fuggono un orrore che ci si augura possa non tornare più. Io capisco benissimo le riflessioni che sono state messe in campo, e le apprezzo enormemente, ma ho sinceramente troppa paura di quel che sempre più accade verso l’altro, considerato diverso per fede religiosa, politica, sessuale, e per chissà quali altre presunte ragioni. Assistiamo ormai a un crescendo pressoché costante di razzismo, che il tentativo stesso di arginare talvolta rischia di amplificare. Dobbiamo cominciare a capire che la diversità è ricchezza, in qualsiasi forma si manifesti e si esprima. E non parlo per retorica o per facili luoghi comuni. La differenza è la sola possibilità di crescita che abbiamo. Null’altro. Forse, è per questo che mi augurerei di trovare biblioteche contenenti parole di questo tipo: libri che mi facessero sentire la forza del pensiero, del rispetto, dell’amore per l’altro in tutti i suoi perimetri esistenziali. La mia non è una presa di posizione, assolutamente. Forse, una speranza. La speranza che la violenza possa almeno essere allontanata dal solo territorio ancora libero che ci rimane: la Letteratura.
P.S.
In caso di sentenze tribunalizie ”morbide” o ”di parte”, e’ previsto il diritto al ricorso presso altro Tribunale, mi sembra, oltre alla ”legittima suspicione”, che e’ un’altra, differente, garanzia. Mi pare che dunque il discorso, ora, dovrebbe limitarsi ad entrare nel campo dell’arte: e’ arte quella di un pamphlet scopertamente apologetico del razzismo o inneggiante alla rivoluzione violenta contro lo Stato attuale? Secondo me no, e’ un manifesto politico, ideologico, e come tale va considerato. Dunque Pound lasciamolo in pace, che era un grande poeta, libero in altri luoghi di aderire al fascismo (perche’ non lo fece, nemmeno in questi altri luoghi, in forma di istigazione alla violenza ma con semplice trasporto ideale, politico si’ ma non violento, dunque stando nei limiti delle proprie opinioni e non sconfinando nella barbarie), e il Celine di questi pamphlet invece includiamolo nel novero dei pamphlet che sono in realta’ un’apologia dell’antiebraismo violento. Ma questa resta la mia opinione personale. Ai giudici italiani spetta l’ultima parola, non certo a me.
Luigi La Rosa,
personalmente concordo con Lei. E metto in pratica tale mia concordanza non leggendo ne’ tantomeno acquistando i libri che considero incivili, violenti, in finale: stupidi. La buona Letteratura la ”facciamo” noi rifiutando gente come Celine, che se resta inascoltata (quando istiga e non narra, beninteso) e’ come se non esistesse.
Salutoni Cari
Sergio Sozi
Caro Luigi La Rosa non condivido l’idea di uno Stato etico, di leggi morali. Quando la finiremo di avere lo Stato come il buon padre di famiglia che deve insegnare a noi pecoroni quel che è giusto e quel che no? Un testo è sempre pubblicabile, se non lo fosse contraddiceremmo il dettato dell’articolo 21 della Costituzione italiana. MAI un testo è impubblicabile per ragioni ideologiche – può esserlo perché è scritto “‘na chiavica”, questo sì – deontologia editoriale. Ma un editore che decida di assumersi un rischio d’impresa e pubblicare un testo è libero di pubblicare quello che vuole. Se così non fosse, vorrebbe dire che preventivamente c’è un giudizio. Ora, come dice bene Sozi, se un libro, un testo, un’opinione ferisce o colpisce la sua sensibilità o quella di chicchessia, esistono luoghi atti a discuterne: i tribunali. Però solo dopo che un testo è pubblicato. Prima non ci sono giudici.
Secondo me “prevenire è il fascismo della cura”.
Caro Fernando Coratelli, nemmeno io condivido l’idea di uno Stato etico, assolutamente, ma reclamo la possibilità di indignarmi onestamente davanti a un testo che ritengo offensivo. Quel che vale per Celine vale per tanti altri casi. Guai se questo non fosse ammesso in una democrazia. O se tutti dovessimo sorbirci l’intolleranza di turno giacché convalidata dalla morte o dalla celebrità dello scrittore in questione. Chiaramente, ciascuno legga quel che più preferisce e lo faccia secondo gli schemi e i modelli propri. Io non pretendo che il mio parere diventi Parere di Stato, stavo solo esprimendo una personale opinione. Ma la mia opinione, tuttavia, tale rimane: contraria a qualunque letteratura che emargina, che istiga, che disprezza, che non rispetta l’altro. Mi spiace se è una posizione scomoda o apparentemente controcorrente. Se io fossi un editore, un testo simile non lo pubblicherei mai. Ma non pretendo che questa diventi assolutamente una ragione di Stato, ci mancherebbe. Grazie a Sergio Sozi per la condivisione di risentimento, fermo restando che la mia non era in alcun modo una condanna di quanti amano Celine. Cari saluti
Perfettamente d’accordo, signor Coratelli. Oltretutto, per quanto riguarda il pubblico minorenne i responsabili di quel che vedono o leggono sono i genitori o altri detentori della patria potestas. Sarebbe ora che si desse la responsabilita’ a chi ce l’ha per legge e che chi ce l’ha per legge (noi adulti) la amministrasse com’e’ suo obbligo. Inoltre lo Stato ”etico” lo e’ gia’ cosi’ com’e’ oggi: mica una Repubblica si basa sul nulla, no? Tutto cio’ che e’ collettivo ha un’etica – giusta o sbagliata che sia, ma ce l’ha per forza anche il nostro Stato attuale.
@fernando; non hai tutti i torti, anche perché se si vuol sapere cosa “dice” un libro bisogna prima leggerlo. Ma il problema sulla pubblicabilità o meno se lo deve porre l’editore, in quanto corresponsabile, con l’autore, del contenuto del libro. Diciamo che si tratta di attuare una specie di autocensura per evitare problemi giuridici.
Caro Luigi La Rosa,
ho detto in altro mio intervento (vedasi sopra) quanto penso del Celine pamphlettista, e il fatto che lui stesso abbia rinnegato personalmente certi suoi eccessi ci fa capire che dopotutto, anche se preso da precedente fanatismo, l’autore francese aveva sempre un briciolo di coscienza vivente dentro di se’. A noi spetta dunque, hic et nunc, capire il disvalore di quelle opere che lui stesso ammetteva esser sbagliate. Ricordo pero’ un tale Toni Negri che tali abiure non mi sembra le abbia mai fatte. Eeeh… ve lo ricordate Toni Negri?
Be’: se ve lo ricordate ricordatevi anche che l’equidistanza (ovvero: l’uguale condanna etica e/o morale) da tutti i pensatori radicali d’ogni tipo e provenienza spetta a noi. E allo Stato se tali pensatori sconfinano nell’apologia diretta ed oggettiva. Tutti. Di Destra e di Sinistra.
Dunque, sig. Massimo Burioni, io leggerei i suoi propositi come un amichevole suggerimento all’editoria italiana e agli autori stessi. E in tal maniera lo condivido.
Cordialmente
Sozi
@Luigi La Rosa, la sua opinione è sacra, proprio per quello che io stesso poco fa affermavo. Lei è e deve essere liberissimo di potere esprimere la sua opinione, così come ha il dovere di assumersene la responsabilità.
E’ naturale che un editore deve avere la piena libertà di decidere se pubblicare o no un testo (se lei fosse un editore non lo farebbe, rispettabilissima decisione, per inciso – se io fossi un editore un testo razzista o che ineggiasse a stermini o similis NON lo pubblicherei), e solidale con l’autore, nel caso lo pubblicasse, se ne assume le responsabilità davanti agli uomini e alla Storia.
Beh, di conseguenza, ho risposto anche a Massimo Buroni. 😉
@ Sergio Sozi, sull’eticità, la collettività ecc. della nostra Repubblica ci sarebbe molto da discutere, ma questo credo esuli dalla discussione che ci ha proposto Massimo Maugeri. Perciò la rinvierei a altra occasione o in caso a amabile discussione privata fra noi.
credo esista un impubblicabile oggettivo, ossia ciò che è reato, istigazione a reato o apologia di reato. c’è poi un impubblicabile soggettivo. per me (ad esempio) non avrebbe da esser pubblicato il libro di una velina che ci racconta la sua vita. fermo restando che, magari, l’editore ci avrebbe i suoi tornaconti.
in quest’ottica, come sostiene piperno, va bene pubblicare celine negazionista ma con opportune precisazioni che contestualizzano lo scritto
E allora, per evitare confusione:
un’opera d’arte è di per sè – da un punto di vista giuridco – sempre pubblicabile, poichè sarebbe del tutto contrario al principio della libera manifestazione del pensiero attuare un controllo “preventivo” (ferme restando quindi le scelte editoriali, sia motivate da ragioni commerciali che morali).
Quando però il libro è pubblicato e avviene una denunzia nei suoi confronti i dati normativi di riferimento sono:
-il buon costume
– l’assetto democratico dello stato.
–
Poichè la nostra costituzione si basa sul principio di eguaglianza e sull’impossibilità di creare distinzioni legate al sesso, alla razza, alla religione, un ricorso avanzato contro un libro dichiaratamente a favore di diseguaglianze (di razza, sesso, religione) sarebbe in contrasto con i principi su cui si basa la Repubblica, e non solo contro l’etica.
Fermo restando, come dicevo prima, che nel campo del “buon costume” il metro di giudizio è labilissimo, come dimostrato dal caso di “porci con le ali” di L. Ravera che fu oggetto di condanna giudiziaria e che poi, grazie alla ridondanza della condanna e al successo di pubblico fu “ripensato”.
Quindi per rispondere alla domanda di Massimo:
Sì, in realtà da un punto di vista strettamente giuridico è giusto dire che tutto può essere pubblicato.
E tuttavia allorchè l’etica assurga anche a valore costituzionale la repressione è assicurata in fase successiva, onde evitare compressioni al diritto di manifestazione del pensiero.
Grazie Simona per la consulenza precisa e puntuale.
Su quel “buon costume”, beh, prima o poi si riuscirà a restringerne il campo di applicazione, o a abrogare quel dettato così vago e moralista.
Pensate che bello sarebbe stato se qualcuno avesse vietato a Piperno di pubblicare il suo orribile libro d’esordio… non credo che gli avrebbero dato dell’antisemita… Tutt’al più dell’antidorrico… Scusate il perfido gioco di parole.
:)))
Gordiano lupi
Le cose brutte non andrebbero pubblicate, ma è una battaglia persa. Mondadori chiuderrebbe…
Gordiano Lupi
chiuderebbe, mi è scappata una r
Sul caso in questione Alessandro Piperno (lo scopriamo dal suddetto articolo della Taglietti) sostiene che “un testo come questo andrebbe pubblicato con un briciolo di responsabilità contestualizzandolo storicamente. Personalmente (aggiunge Piperno) non c’è quasi nulla che reputi impubblicabile, ma non c’è figura che mi ripugna di più del fanatico ideologizzato, a cui mi sembra sia indirizzato questo genere di operazione. Mi disgusta l’uso che in un certo sottobosco estremista viene fatto di Céline e di altri autori politicamente scorretti”.
E il libro di Piperno? Chi è il responsabile di aver pubblicato CON LE PEGGIORI INTENZIONI? In questa Italia asservita ai potenti, credo di essere stato uno dei pochi ad avere avuto il coraggio di stroncarlo, sul libro NEMICI MIEI (Stampa Alternativa) e in un sacco di riviste.
Gordiano Lupi
Se in libreria troviamo Sade (e lo troviamo) vuol dire che passa di tutto. Peggio di Sade non credo sia nemmeno Hitler (dal punto di vista “filosofico” e teorico, intendo). Quindi se in libreria può starci Sade, allora possono veramente starci tutti o quasi, penso.
e se gli editori si autoregolamentassero?
intendo dire, se ci fosse una libera commissione interna all’editoria che vagliasse i testi a rischi concedendo o negando apposita autorizzazione previa pubblicazione?
Quesiti interessanti e sfrucugliosi, il che farebbe pensare che tutto sommato gli editori paraguaiani (!) avrebbero avuto ragione nel pubblicare il testo: mi chiedo perché 5010 copie e soprattutto per chi sarebbero le dieci copie…
Ho letto tutti i commenti, precisi e acuti, ai quali posso aggiungere oltre ai miei anche una esperienza personale:
Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?
No. E’ la LIBERTA’ che permette a ogni editore di pubblicare ciò che lui e solo lui decide di pubblicare. Però… non dimentichiamo che successivamente alla pubblicazione, egli può essere perseguito penalmente e civilmente, con il risultato che il testo oggetto della contesa avrebbe ulteriori spazi e pubblicità; l’editore condannato magari rifonde ECONOMICAMENTE i danni, di sicuro non riesce a cancellare i danni culturali che ha provocato, ma di fatto anche un colpevole di omicidio una volta scontata la pena è riabilitato, ma la sua vittima resta al cimitero… Secondo però: finalmente in Italia una legge sul finanziamento all’editoria!! e se l’opera finanziata è ritenuta dopo la pubblicazione passibile di ritiro dal commercio? oppure semplicemente è un libro negazionista? oppure inneggia allo stupro delle donne? oppure… Se i limiti sono il buon costume e l’assetto democratico dello stato…
La “cattiva ideologia” deve trovare spazio in letteratura?
Vale come sopra: u libro è bello se è venduto, dice sempre un mio collega; buono, cattivo, bello, brutto, sano, insano, educativo, censurabile, sono tutti giudizi successivi alla pubblicazione… e poi che imperativo in questa domanda “deve trovare posto…” mi suona come retorica fascista sessant’anni dopo…
Un testo disconosciuto dallo stesso autore, è di per sé censurabile?
Cosa vuol dire disconosciuto: “non l’ho scritto io?” oppure “quello che ho scritto sono tutte stupidaggini, scusate”
Vediamola al contrario dal presente contesto: Céline scrive un libro antinazista, contro le leggi razziali, si fa tre anni di carcere duro e l’esilio; dopo cinque anni chiede all’editore di ritirare il testo sostenendo di essersi sbagliato e di aver scritto forzatamente il contenuto e di essere completamente di idee opposte: In questo caso è censurabile?
Il problema vero è che solo in una dittatura qualcosa è censurabile, in democrazia si può essere o non essere d’accordo, punto.
E fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore?
La risposta è, nella pratica, contenuta nel contratto di Cessione dei diritti d’autore sulla propria opera: un autore nel momento in cui firmi il predetto contratto, in Italia, per ventanni ne perde il controllo… il possesso. A livello filosofico, bisogna vedere che tipo di testo è: per farla breve se è un testo, sia esso narrativa sia saggio, che esprime una opinione su qualcosa – un momento storico, una tipologia di rapporti sociale, una teoria metafisica, oppure un messaggio etico – è imprescindibile dall’autore ma è anche imprescindibile dal contesto sociopoliticaleconomireligiogeografico! Eggià, ho pure messo geografico, così viaggiamo un po’ e apriamo le nostre menti a nuove culture ( forse perchè nuove e non conosciute censurabili?)
Ciò detto, mi pare evidente che tolti i vincoli di legge che la sig.ra Lo Iacono ha evidenziato sia censurabile solo l’idea che qualcosa sia censurabile.
E a chi non è d’accordo, olio di ricino!
Scherzi a parte, faccio l’editore per mia sfortuna e credo che sia un mestiere come tanti: ho più responsabilità io nel pubblicare un libro o un maestro nell’educare un bambino? Io o un medico ? Io oppure l’autista di un autobus?
Adesso vi racconto la mia esperienza:
riceviamo circa cinquanta manoscritti al mese, ovviamente non li leggiamo tutti, ma alcune volte mi capita di prenderne uno e leggerlo… come hobby! Prendo in questo caso il manoscritto, un giallo che parla di terrorismo nazionale di cui prende le parti, anzi ne difende il “valore” di “libertà al sitema”.
Premetto che non amo molto chi in un testo di narrativa si schiera fortemente, e va al di là della narrazione confondendo l’intrattenimento con la predica, e quella volta quel manoscritto mi aveva fatto veramente imbufalire! Telefonai personalmente all’autore dicendogli che poteva sicuramente impiegare meglio il suo tempo ( sto usando un eufemismo, sono un po’ fiammiferino): lui per tutta risposta mi disse che era solo la mia opinione, che non mi chiamavo Arnoldo né Edilio, e soprattutto che aveva già trovato chi glielo pubblicava…
Io sono democratico… quel giorno lo sarei stato un po’ di meno.
Mi sono consolato col fatto che quelle boiate che lessi non arrrivarono mai tanto lontano.
Ma ci basta?
Tutto dovrebbe poter essere pubblicato, anche la merda. Senza ombra di dubbio. Non dico solo Celine, ma anche Mein Kampf dovrebbe essere disponibile e facilmente consultabile in quanto “documento storico”.
Ma tutti (autore, editore, diffusore, venditore) dovrebbero essere ritenuti responsabili (e pagarne le conseguenze) di fronte ai giudizi di condanna derivanti da denunce da parte di eventuali parti lese, anche associazioni in molti casi, per calunnia, falso storico, istigazione a delinquere, apologie di reato e così via. Con una magistratura veloce nel giudicare tali casi. Con una pena certa ed efficace in caso di condanna.
Credo sia già così (sulla carta), o almeno in buona parte dovrebbe essere già così. Nei fatti però …..
Bravo Carlo, Mein Kampf, a mio parere, è un libro da leggere per la sua lucidità di analisi e interesse storico ed è praticamente introvabile (ipercensurato) senza essere particolarmente negativo. Per il resto, sono d’accordo con La Rosa: non si dovrebbe coltivare tutto quello che è gratuitamente violento, di istigazione all’odio e di esaltazione di quanto di peggio ci può essere nell’umanità.
A volte anche autori riconosciuti hanno lasciato opere negative e inutili: vedi gli elenchi di coiti nei diari di Leautaud e perfino le masturbazioni di Mann o le defecazioni e la rabbia nel Pasolini delle 120 giornate di Sodoma. Non c’è bisogno di comunicare agli altri lo squallore della propria esistenza. Esiste un criterio per stabilire la negatività di un’opera? Sì, quando la negatività non è accompagnata da ironia, autoironia o erotismo. La rabbia che taluni coltivano si trasforma in volontà di autodistruzione e annientamento con loro dell’umanità intera. Pertanto, teniamo pure le cose valide ma buttiamo nel cesso (loro luogo elettivo) le schifezze, visto che non hanno avuto la forza di mitigare le loro inclinazioni bestiali e operare delle scelte di pensiero, come ognuno normalmente fa.
Anni fa ho letto Viaggio al termine della notte e Morte a credito, il primo è finito addirittura nello scaffale dei libri più amati. Il fatto che Celine sia stato antisemita ed abbia scritto pamphlets antisemiti certamente non mi farà levare Viaggio al termine della notte da quello scaffale. E so anche che non leggerò mai quei libelli deliranti. E penso anche che bisogna inserire l’antisemitismo in un contesto storico, voglio dire cioè che sarebbe ipocrita scandalizzarsi del fatto che un Celine fosse antisemita, in un’epoca in cui l’antisemitismo era un pensiero dominante nella società.
La censura dei libri è sempre fuori luogo, altrimenti, come altri hanno fatto giustamente notare, non pochi sarebbero i libri, anche capolavori della letteratura, a cadere sotto la mannaia della censura. Censura di per sé è una parola talmente odiosa, e poi chi decide chi deve censurare.
E poi vi pare che in un periodo in cui a leggere siamo sempre meno, c’è l’urgenza di censurare anche i libri?
@Giovanni
Rispondo “a caldo” senza aver letto tutto il post né conoscere Céline( so che “Viaggio al termine della notte” è molto bello).
Non credo, Giovanni, che nel caso dell’antisemitismo si possa proprio parlare di “contestualizzazione storica”, perché un intellettuale, anche se non è “engagé”, ha il dovere di prendere posizione di fronte a queste cose: se non lo fanno loro, i “FARI”, di guidare verso la verità, chi lo dovrebbe fare? La grandezza di Dante cosa sarebbe se non avesse espresso, nella divina forma che ha scelto, giudizi sulla sua epoca?
E’ vero: esiste “L’ art pour l’art”, ma Gautier non aveva sotto gli occhi l’olocausto, né il mito della razza ariana per cui doversi preoccupare di “prendere le distanze”.
Ricordo che la nostra professoressa di letteratura francese modermna e contemporanea ci aveva dato una composizione sui CALLIGRAMMES di Guillaume Apollinaire: lì si poneva il problema di questo grande poeta( e io nel mio scaffale ho ALCOOLS e nessuno me lo fa togliere) che si era arruolato volontario nella prima Guerra Mondiale e si era anche preso una pallottola in testa. Amava la guerra? Da certi calligrammi si direbbe di sì, ma in certe altre poesie in cui rimpiange i suoi compagni morti, forse no.
Ognuno nel suo scaffale tiene quello che gli piace; però se si va a frugare nella vita di uno scrittore e si trovano cose che non ci piacciono, beh, non possiamo dire che ci piacciono.
Torniamo alla differenziazione tra l'”io” che scrive e l'”io” della persona.
Io, ho letto Mein Kampf diversi anni fa per una pura curiosità. Come si sa fu scritto prima dell’ascesa al potere di Hitler. Ebbene lì c’è tutto quello che sarebbe accaduto dopo e quindi la meraviglia di Churchill sul comportamento di quest’uomo è del tutto fuori luogo. E’ stato aiutato a salire al potere credendo di avere fra le mani un succube e invece il giocattolo è sfuggito al loro controllo. Cosa intendo dire con questo?
Se fosse stata proibita ai suoi tempi la pubblicazione del Mein Kampf questi signori, e fra questi c’è tutto il fior fiore del capitalismo occidentale, avrebbero potuto facilmente giustificare una scelta errata, ma il libro era di dominio pubblico e anzi sono state proprio quelle idee che hanno consentito a Hitler di ottenere appoggi e vantaggi da Inghilterra e Stati Uniti.
Comprendo, pertanto, perchè ora sia di difficile reperibilità.
A parte questo, il testo è puramente farneticante e riprende vaghi concetti della Società Thule, nata precedentemente al Mein Kampf e in cui invece erano ben definite le caratteristiche della superiorità della razza ariana, con un acceso nazionalismo e un accentuato antisemitismo.
Grazie ancora a coloro che hanno citato i miei interventi. Leggo soltanto adesso, prima ero fuori. Sì, concordiamo tutti nel ritenere la censura qualcosa di odioso. E su questo siamo d’accordo, mi sembra. Poi, da editori, però, ciascuno di noi dovrebbe avere il diritto di esprimere la scelta o meno di pubblicare qualsiasi testo gli venga sottoposto. E’ questo il punto. La possibilità di farlo o meno. Che deve restare sacrosanta in una democrazia. Io a questa faccio riferimento. Personalmente, fatico a trovare bellezza in un testo razzista. Verso chiunque si rivolga tale razzismo. Qualsiasi sia il bersaglio. Tutto qui. Non sono affatto d’accordo con chi sopra faceva un confronto con De Sade. Il sesso – anche le sue manifestazioni estreme, anche la pornografia – è cosa diversa rispetto alla manifestazione sistematica di tesi razziste o disumane. Il sesso è benedizione, in tutte le sue forme. E’ libertà. E’ espressione del corpo. Io leggo De Sade con immenso piacere, così come adoro Pasolini, anche il più estremo. Il Poeta della strada e di Roma. Ma Céline è qualcosa di diverso. Nonostante il “Viaggio” sia cosa differente rispetto ai pamphlet di cui ci stiamo occupando qui. Sempre a mio personalissimo – e ristrettissimo – parere. Grazie a tutti del dibattito meraviglioso e dello scambio di opinioni che è rimasto sempre civile, aperto, e soprattutto illuminato dalle delucidazioni della grande Simona. A presto, un saluto a tutti…
Noto, a far un bilancio, che come al solito almeno la meta’ di quanto propongo o affermo non viene reputata degna di risposta. E che ci si ripete invece su altre cose gia’ dette e ridette. Eeeh… la fretta della modernita’…
Ma una cosa mi sta a cuore, quindi non la lascio cadere nell’oblio, ripetendola a mia volta: vi ricordate Toni Negri? Chi fu costui negli anni Settanta-Ottanta? Vi ricordate Erri De Luca e Lotta Continua? Io li ricordo entrambi perche’ avevo Metropolis e Lotta Continua sotto il braccio, qualche mattina dell’80, mentre entravo al Liceo Classico di Foligno…
ebbene: De Luca ha da poco ammesso di esser stato un estremista (un po’ alla Celine); Negri… eehhh…
… e’ diventato ”Antonio”… Antonio Negri, rispettato intellettuale esule in Francia. Ammirabile Autonomia… operaia.
Mai smentita, mi sembra. Ma spero che qualcuno mi contraddica. Lo spero vivamente.
Luigi La Rosa,
caro, scusa, ma l’hai visto il film ”Salo’ o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini? Ad amare quella pellicola ce ne vuole di fegato, direi – con Gianmario del quale condivido il pensiero espresso poco sopra.
Inoltre, Luigi, ti citerei: ”Il sesso è benedizione, in tutte le sue forme. E’ libertà. E’ espressione del corpo” per risponderti su questo punto, il sesso, che reputo difficile.
Be’: anche il sesso puo’ essere violento e diseducativo, se unito a thanatos; dunque puo’ diventare una perversione, ossia il contrario di quel che dici tu – e che dico anch’io che DOVREBBE essere per noi tutti. Anche il sesso puo’ essere distorto e deviare la gioventu’, violentarla psicologicamente, metterla a disagio. Non sempre e’ santo e bello, gioioso. Vedi Pasolini e il ”Sodoma…”; vedi De Sade. Vedi la prostituzione e la droga che spesso ne son collegate per eliminare la sensibilita’ corporea e spirituale di chi si rende oggetto di perversioni – proprie e soprattutto altrui, mi riferisco alle ”attrici” porno e alle prostitute, che spesso non amano questo mestiere. Lo amano i pervertiti, invece, loro si’.
Naturalmente non mi riferisco a te, Luigi!
E riporto quel che ha detto Carlo, il quale di fatto ripete la mia posizione, che mi sembra la piu’ oggettiva allo stato attuale dell’Italia:
”Tutto dovrebbe poter essere pubblicato, anche la merda. Senza ombra di dubbio. Non dico solo Celine, ma anche Mein Kampf dovrebbe essere disponibile e facilmente consultabile in quanto “documento storico”.
Ma tutti (autore, editore, diffusore, venditore) dovrebbero essere ritenuti responsabili (e pagarne le conseguenze) di fronte ai giudizi di condanna derivanti da denunce da parte di eventuali parti lese, anche associazioni in molti casi, per calunnia, falso storico, istigazione a delinquere, apologie di reato e così via. Con una magistratura veloce nel giudicare tali casi. Con una pena certa ed efficace in caso di condanna.
Credo sia già così (sulla carta), o almeno in buona parte dovrebbe essere già così. Nei fatti però …..”
–
Gia’, Carlo… dici: ”Nei fatti pero’…”. Questi ”fatti” dipendono dal lassismo e dal far male il proprio lavoro, dalle conoscenze personali e dal malcostume dell’ ”Italia degli italiani”, che si estendono al Potere. Faccio un esempio personale, se ti interessa:
insegnavo, qualche anno fa, nella citta’ umbra in cui vivevo; un giorno notai a un duecento metri dalla scuola elementare, dove c’era un gran passaggio di bambini di sei, sette anni d’eta’, un’edicola che aveva un ”muro” intero ben esposto di pubblicazioni porno con fotografie piuttosto esplicite. Pregai l’edicolante di nasconderle un pochino: orecchio da mercante. Allora telefonai alla Polizia Municipale e segnalai il caso. Dopo un mese mi arriva una lettera dalla Polizia Municipale che mi dice: sopralluogo effettuato e nessuna pubblicazione pornografica trovata esposta. Invece c’erano, perche’ ogni mattina io compravo il giornale li’. Tutto era restato uguale a prima. Allora? O qualcuno avviso’ l’edicolante o il vigile era uno che non sapeva fare il suo lavoro, cioe’ non rispettava la legge. E non rispettava i bambini, come l’edicolante porco.
Cari amici,
grazie mille per i numerosissimi commenti pervenuti.
Putroppo riesco a connettermi solo adesso ed è proprio difficile che riesca a leggerli tutti adesso… ma lo farò con calma nei prossimi giorni.
Spero che mi scuserete.
Dò il benvenuto a chi interviene per la prima volta (per esempio Roberto Forno della casa editrice “L’ambaradan”).
In ogni caso mi pare di poter dire che l’argomento che ho proposto è di quelli che fanno discutere.
Ancora grazie a tutti.
Tornerò a intervenire domani dopo aver letto i commenti.
Per il momento vi auguro la buonanotte.
Sergio, io non ho capito nulla di questo post. Non potrei risponderti.
Vorrei solo rispondere a una delle domande iniziali di Massimo:
“un testo disconosciuto dal suo stesso autore, è di per sé censurabile?”
Se lo ha “rinnegato” l’autore stesso, perché non rispettare la sua volontà?
@Sergio
Una riga per dirti: ci siamo spostate sul LIBERO BLOG.
Per le traduzioni, dico. Le tue le aspetto sempre.
Carissimi saluti.
Buonanotte:)
Sì, caro Sergio, malcostume, lassismo, ma soprattutto ritardi e inefficacia di sentenze di colpevolezza (che rinforzano il menefreghismo).
Quanto a Celine io ho il “Viaggio” da diversi anni, ma rimando sempre la sua lettura. Non so perchè ma al momento di iniziarlo mi faccio sempre prendere dall’idea di cominciarne un altro. Ma prima o poi verrà anche il suo giorno. Magari mi piacerà anche molto, chissà.
I suoi pamphlet antisemiti invece oggi non mi interessano, ma se dovessi cercare di capire Celine (specialmente se poi il “Viaggio” mi entusiasmasse , come ha entusiasmato molti che l’hanno letto) e la sua opera credo mi sarebbero indispensabili anche quelli, e mi interesserebbe allora conoscerli, indipendentemente dalle farneticazioni che possano contenere.
Per poi magari dire “non ne valeva la pena”.
Cara Roberta,
in soldoni sto dicendo che, secondo me, lo Stato DEVE permettere che venga pubblicato di tutto ma poi DOPO, su denuncia dei cittadini o per iniziativa della Magistratura stessa, deve condannare l’apologia e l’istigazione alla violenza in tutte le sue forme: la pornografia violenta, la politica violenta, la violenza fine a se stessa. E nel giudicare questo, noi cittadini e i magistrati stessi non devono far distinzione fra apologie di Destra e apologie di Sinistra, come spesso invece accade. Slogan come ”Se vedi nero spara a vista, o e’ un prete o e’ un fascista” o ”schiaccia la zecca (il comunista)” non devono mancare di denuncia e pubblica condanna. La pornografia brutale non va fatta passare per arte o provocazione. Questo dicevo e dico.
@Roberta
Dici: ““un testo disconosciuto dal suo stesso autore, è di per sé censurabile?”
Se lo ha “rinnegato” l’autore stesso, perché non rispettare la sua volontà?
Ti rispondo: le volontà di Kafka erano quelle che la sua opera andasse distrutta. Io ringrazio Dio che Max Brod (semmai colpevole d’altro) non le abbia rispettate!
Carlo,
io il ”Viaggio” l’ho iniziato eabbandonato dopo sei sette pagine. La lingua – in traduzione – non mi piaceva. io preferisco altri registri, che alternino lemmi colti, poetici, dialettali a quelli letterari – che devono restare la maggioranza. Invece Celine e’ piu’ nel versante del ”parlato”, l’idioletto e affini, ecco. Non mi interessa manco come narratore, figurati quando manda al rogo gli ebrei, poveraccio. Un caso gonfiato, Celine. Troppo. Basta, ora, no?
E anche Virgilio voleva far distruggere l’Eneide da Tucca e Vario. Va be’: pero’ il testo di Celine e’ cosa diversa: e’ gia’ stato pubblicato, perche’ farne una riedizione? Bah… affari di giudici ed eredi. L’opera c’e’ comunque, resta.
Resta ma io non la compro, l’opera di Celine, perche’ non mi piace per niente. Manco se mi pagasse l’editore.
@sergio sozi
“io il ”Viaggio” l’ho iniziato e abbandonato dopo sei sette pagine […] Un caso gonfiato, Celine”
complimenti per il fiuto, tu non riconosceresti un capolavoro neanche se ti mordesse il culo (cit)
Caro Massimo,
alla domanda se debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi, rispondo che non ci debbono essere limiti, dal momento che l’eticità letteraria si fonda non solo sui presupposti della libertà personale di espressione e opinione, ma anche della conoscenza dell’opinione altrui. Qualora ci fossero limiti, ci troveremo di fronte a una arbitrarietà di tipo dogmatico o autoritario, spesso dittatoriale.
Alla seconda domanda, rispondo che alla “cattiva ideologia” si è sempre dato spazio in letterratura, tranne che negli Stati in cui la “cattiva ideologia” era al potere. Del resto, la “cattiva ideologia” può benissimo annidarsi – come si annida – nell’ideologia considerata buona o, a volte, “inderogabile” da chi la sostiene e la diffonde. Si pensi – ancora – ai dogmatismi di varia natura. Ho reso l’idea?
Alla terza domanda dico che – qualora un testo venisse disconosciuto dal suo autore – non lo si dovrà affatto censurare. Chi scrive o espone in pubblico le proprie idee, espone anche – e soprattutto – il suo pensiero, che può variare nel tempo e per le ragioni diverse. La letteratura è zeppa di casi simili. Se il testo venisse censurato, sarebbe “minata” l’essenza prima della letteratura, che tutto deve registrare, proporre e prospettare, essendo – riconosciutamente – la palestra della Libertà (forse l’unica rimasta).
Alla domana: fino a che punto è possibile separare un testo dal suo autore? rispondo che non si dovrebbe mai separare un testo dal suo autore. Ripeto: non si dovrebbe mai. Convinto che – nella gran parte dei casi – chi scrive tenda a recuperare, esplicitamente o velatamente, i momenti essenziali del proprio vissuto, esponendoli magari ironicamente, oppure esorcizzandoli o sublimandoli, o cercando di comprenderli attraverso una ricognizione interiore implacabile. Oppure, rimuovendoli.
Difatti, sono dell’idea che per comprendere appieno un’opera letteraria, o per gustarla in profondità, ma davvero in profondità, si renda indispensabile conoscere – altrettanto profondamente – la vita dell’autore e l’ambiente in cui è vissuto e ha operato.
Riguardo, infine, ai pareri espressi nell’articolo di Cristina Taglietti sul Corriere, non ho nulla da obiettare sulle osservazioni – riguardo ai testi antisemitici di Céline (francamente da me non amato) di Giulio Ferroni, Massimo Onofri, Alessandro Piperno ed Erri De Luca.
Cordialmente, Ausilio Bertoli
Egr. Garufi,
prima di tutto moderiamo i termini che io con Lei non ci sono andato a spasso a braccetto, mi pare. Poi una sentenza detta cosi’ non dice niente, mentre io prima – ma Lei non lo ha letto, quel che ho scritto prima – ho spiegato perche’ il ”Viaggio” di Celine non mi interessa. Replichi a tono, per favore, ma senza offendere, altrimenti il dialogo finisce qui.
ma quando maugeri pone la domanda Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?, si riferisci a limiti imposti dalla legge?
non credo, altrimenti si parlerebbe di limiti legali e non di limiti etici
se il limite non è legale ma solo etico, allora dovremmo porci altre domande. cos’è l’etica? chi stabilisce i confini dell’etica? tali confini sono statici o mutevoli? che differenza c’è tra etica individualmente intesa ed etica collettiva?
poi oggetto della discussione sono i pamphlet antisemiti di céline, non il “viaggio”, giusto? perché “il viaggio” è una cosa, i pamphlet altre. grazie a chi risponderà alle mie domande
Da un punto di vista letterario, “Viaggio al termine della notte”, che è anche il primo romanzo di Céline, è notevole per un nuovo stupefacente stile che sembra riflettere un discorso controverso ma che, d’altra parte, include diversi elementi acquisiti e che avrebbe esercitato una considerevole influenza sulla letteratura francese successiva. Cèline fa ampio uso di ellissi, iperboli e parole gergali. Il romanzo godette di successo popolare e una larga approvazione da parte della critica quando fu pubblicato, nell’ottobre del 1932. Albert Thibaudet, forse il più grande critico entre-deux-guerres, disse che nel gennaio del 1933 era ancora un comune argomento di conversazione durante le serate.
Kurt Vonnegut citò Viaggio come una delle sue influenze nel Palm Sunday, e le disavventure di Bardamu sembrano aver avuto influenza anche nell’opera Comma 22 di Joseph Heller. Charles Bukowski fa riferimento al Viaggio in alcuni dei suoi romanzi e brevi storie e impiega le tecniche di prosa mutuate da Cèline. Bukowski una volta disse che “Viaggio al termine della notte è uno dei più bei libri scritti negli ultimi duemila anni”.
La canzone dei Doors End of the night trae spunto dal lavoro di Céline e Jim Morrison aveva letto il libro, forse su uno dei tetti della città di Venice in California, durante uno dei suoi viaggi sotto l’effetto di droghe.
Fabio,
Domande sensatissime, caro Fabio.
Solo che secondo me infine non si puo’ far altro che andar a parare sul fronte legale, poiche’ la Legge comprende l’etica piu’ largamente accettata dai cittadini di una Nazione – ma cio’ non toglie che vi siano molte altre etiche in ciascuna Nazione, ovviamente.
In ogni caso vorrei provare a risponderti per come posso e sento.
–
Ecco: io considero l’etica secondo parametri nazionali e storici – congiuntamente. E senza prendere qui ed ora in considerazione – solo per motivi di spazio – le minoranze (oltre che semplificando i termini per i medesimi motivi), limiterei il discorso all’Italia.
L’etica italiana del 2009 e’ dunque, a mio avviso, il risultato delle fasi storiche sedimentatesi finora in Italia. TUTTO E’ ETICO ricordiamocelo, questo va a mo’ di premessa, ovvero NIENTE E’ ESENTE DA UN CONTENUTO ETICO: qualsiasi comportamento sociale di un cittadino, intendo, e’ espressione di un atteggiamento (anche) etico – cio’ sta a dire che noi non siamo etici solo quando pensiamo silenziosamente e quando proviamo delle emozioni, ma appena agiamo ecco che diventiamo simultaneamente degli ”esternatori” di una nostra forma mentis d’ordine etico.
–
LA LETTERATURA
Un’opera d’arte e’ dunque SEMPRE portatrice – insieme ad altri significati e intenti – di valori etici, ed anche quando un’opera critica un’etica lo fa per affermarne un’altra, consciamente o inconsciamente da parte del suo autore. Ne consegue che non esistono libri ”neutri”: un libro al minimo si pone ”dalla parte etica del singolo scrittore”, al massimo viene scritto dall’autore per affermare valori da lui condivisi con altri singoli o movimenti, partiti politici o associazioni, correnti eccetera. ”Realismo”, dunque, e’ per me parola vuota, insensata, poiche’ considera fondante, per un’opera d’arte, un’oggettivita’ inesistente.
Cio’ non toglie che pero’ uno scrittore possa tentare (riuscendoci in larga parte se e’ un bravo scrittore) un approccio EQUIDISTANTE dalle tematiche etiche che egli affronta e riferisce nell’opera. L’equidistanza dell’autore dalle ”passioni etiche” umane QUANDO ESSE NELLA REALTA’ STORICA ENTRINO IN CONFLITTO FRA LORO e’ infatti sinonimo di maturita’ e deve dare l’avvio ad un approfondimento conoscitivo dell’animo umano, teso ad analizzare le rivendicazioni sociali e politiche proponendone una lettura di carattere filosofico e ontologico, nonche’ finalistico. Anche se neppure tal equidistanza pone l’autore al riparo dall’essere comunque se stesso mentre scrive e osserva, cio’ diviene utile per il lettore in quanto lo aiuta a considerare in maniera approfondita la natura degli eventi e degli atti che lo attorniano. In questo caso il libro assolve anche ad una funzione ”disvelativa” della realta’, o meglio ”tenta” un’azione disvelativa poiche’ mette tutti gli elementi in mano al lettore perche’ il lettore possa capire quali siano le tesi etiche prese in esame dall’autore.
Ora, cio’ detto, la domanda di un autore deve essere, fra le altre sue, anche, per esempio, la seguente: ”Cosa voglio affermare, se parlo del ’68 visto con gli occhi di un personaggio che e’ diciottenne in quell’anno?” Voglio affermare e confortare l’identita’ etica di QUEL diciottenne o di ALCUNI diciottenni, o di TUTTI i diciottenni; oppure invece affermo la giustezza di TUTTE le etiche che si scontravano in Italia nel ’68, o la giustezza di ALCUNE etiche di allora, o la giustezza di UNA etica in gioco e l’errore di un’altra? Oppure voglio affermare LA MIA personale etica maturata nel 2009 – anno in cui ho scritto il libro?
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ED ORA VENIAMO A CELINE
Celine scrisse e pubblico’ quei pamphlet tra il 1937 ed il ’41 ed essi erano indiscutibilmente tesi piu’ a divulgare un’etica in voga allora presso una parte di cittadinanza francese (ed europea) che a compiere un’analisi equidistante tentando di capire a cosa avrebbe portato l’affermarsi presso la cittadinanza (e dunque anche presso la politica) di un’etica di discriminazione razziale (…)
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Adesso ho da fare; stasera completero’ il discorso, caro Fabio. A piu’ tardi, pardon.
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Gentile Fabio, l’etica (il termine deriva dal greco ἦθος, ossia “condotta”, “carattere”, “consuetudine”) è quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati. Si può anche definire l’etica come la ricerca di uno o più criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà; essa è inoltre una considerazione razionale, dei limiti entro cui la libertà umana si può estendere. In questa accezione ristretta viene spesso considerata sinonimo di filosofia morale: in quest’ottica essa ha come oggetto i valori morali che determinano il comportamento dell’uomo.
Ma l’etica si occupa anche della determinazione di quello che può essere definito come il senso (talvolta indicato con il maiuscolo Il Senso), il significato profondo etico-esistenziale (eventuale) della vita del singolo e del cosmo tutto.
Anche per questo motivo è consuetudine differenziare i termini ‘etica’ e ‘morale’. Un altro motivo è che, sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, si preferisce l’uso del termine ‘morale’ per indicare l’assieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano. Si preferisce riservare la parola ‘etica’ per riferirsi all’intento razionale (cioè filosofico) di fondare la morale intesa come disciplina.
L’etica può essere descrittiva se descrive il comportamento umano, mentre è normativa (o prescrittiva) se fornisce indicazioni. In ogni caso l’indagine verte sul significato delle teorie etiche.
Può essere anche soggettiva, quando si occupa del soggetto che agisce, indipendentemente da azioni od intenzioni, ed oggettiva, quando l’azione è relazionata ai valori comuni ed alle istituzioni.
Non credo che i confini dell’etica possano essere “statici”.
Albert Schweitzer, Premio Nobel per la pace 1952, disse: « Il primo passo nell’evoluzione dell’etica è un senso di solidarietà con altri esseri umani ».
Secondo me un libro che va contro il senso di solidarietà con altri esseri umani non determina una evoluzione dell’etica, ma una sua involuzione.
(SEGUE dal commento delle ore 3,14 pm)
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Celine, nei pamphlet all’oggetto, divulgava pertanto un’idea etico-morale molto in voga in quegli anni. Sono oggi passati pero’ sessant’anni e nel corso di questi la condotta etica sociale maggioritaria della Francia e dell’Italia e’ cambiata. Si e’ affermata in queste Nazioni un’etica repubblicana basata su valori quali la solidarieta’, l’equiparazione – nel sentire comune e in quello giurisprudenziale-legislativo – delle differenze sociali sul piano del rispetto e del comune diritto alla cittadinanza all’espressione e al lavoro, con l’intento di salvaguardare tali differenze togliendo loro delle pericolose valenze che potessero inficiarne l’esistenza ai fini del benessere dei cittadini tutti e dunque del benessere della societa’ intera di queste Nazioni. E quel Celine apologetico e’ diventato del tutto contrapposto a tali fondamenti, nonche’ inattuale persino agli occhi delle attuali correnti piu’ radicali e massimalistiche. Se dunque la liberta’ garantita dalla Costituzione italiana e francese prevede la legittimita’ della ripubblicazione di quei volumi, la liberta’ ci permette di non leggerli, di ignorarli e considerarli offensivi, quindi anche di chiedere un intervento da parte della Magistratura – o anche di considerare del tutto giustificabile, solo posteriormente alla pubblicazione, un’iniziativa in prima persona della Magistratura con le conseguenze che lascio immaginare a tutti (ritiro dal commercio o pubblica condanna di forte carica simbolica).
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LO STATO COME MEDIATORE SIMBOLICO
% (SEGUE DOPO)
Mah! Alla fine il potere più grande lo detiene il lettore. Basta decidere di lasciare sugli scaffali certi libri e il gioco è fatto. La grossa mole di invenduti scoraggerà la pubblicazione futura.
Ma porre limiti alla possibilità di pubblicare no. Assolutamente no.
(SEGUE DAL COMMENTO DELLE ORE 4,36 PM)
Viaggio al termine della notte è un bellissimo romanzo. I libri vanno pubblicati tutti, sempre, anche quello di Hitler, Mussolini, Pinochet… Se si comincia a censurare si arriva ai roghi. basta il libero arbitrio dei lettori ed è meglio leggere, conoscere, che no! Banale ma vero. MS
Scusatemi per errore ho premuto il tasto invio.
Segue qui sotto, dunque, la terza parte del mio commento.
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LO STATO COME MEDIATORE SIMBOLICO
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Data dunque per scontata la liberta’ e piena legittimita’ di censura tribunalizia post-pubblicazione di un qualsiasi libro che venga indicato (dagli organi statali inquirenti o dai cittadini stessi) come offensivo o lesivo sia del pubblico pudore che della dignita’ di uno o piu’ cittadini italiani e/o viventi e/o operanti in Italia, e/o venga reputato anche oltraggioso verso una o piu’ delle leggi vigenti in Italia al momento della pubblicazione, il problema etico persiste per via di quella ”brutta bestia” chiamata ”interpretazione della lingua scritta”.
Mi spieghero’: ad intendere estensivamente i concetti concernenti la lesione dell’onorabilita’ e dell’integrita’ del cittadino, anche una sola parolaccia scritta nero su bianco potrebbe provocare la censura ed il ritiro dell’opera; invece, ad intendere restrittivamente tali concetti etici, un autore, con un uso della lingua volutamente ambiguo e furbescamente retorico, ossia mediante una lingua attenta a rendere sottintesi dei concetti in sostanza del tutto offensivi ma mai espliciti, potrebbe far passare per candidi colombi perfino i piu’ agguerriti falchi da combattimento – cosi’ scansando le proprie sostanziali responsabilita’ civili.
L’interpretazione della lingua e’ il punto sul quale le Istituzioni, infatti, dovrebbero maggiormente concentrarsi – cosi’ come noi cittadini all’atto di acquistare un qualsiasi libro – munendosi di delle competenze in materia di retorica e linguistica atte a disinnescare le possibili ”bombe sociali” contenute in alcuni libelli che non sembrano mai tali nonostante tutti sappiano quanto in realta’ essi lo siano.
E’ fondamentale, pertanto, a livello linguistico, individuare i simboli-chiave in base ai quali un libro e’ offensivo e violento pur avendo una ”faccia d’angelo” o, al contrario, pur usando un turpiloquio esplicito, sia in realta’ ”inoffensivo” (nel senso di ”non offensivo”).
I simboli sono basilari perche’, devo specificare, essi portano direttamente al significato, partendo dal significante.
Se dunque lo Stato e i suoi organi e rappresentanti, oltre che noi tutti cittadini, fossimo in grado di capire questo con queste competenze linguistiche, si compirebbe il passo decisivo: il denudamento del libro, ovvero l’esplicitazione dei suoi significati profondi e/o sottintesi. Quindi sarebbe possibile giudicare un’opera e i motivi per cui e’ stata pubblicata e diffusa. Dopodicio’, mentre ogni singolo sarebbe in grado di decidere coscienziosamente se condividere tali significati e dunque acquistare e/o leggere tale opera o non condividerli, quindi rifiutare l’opera, lo Stato (ovvero il Giudice che lo rappresenta davanti ai cittadini tutti) potrebbe comparare il messaggio etico del libro con quelli fondativi della Repubblica.
Questo e’ il nocciolo e anche l’ultimo passo della mia riflessione:
COSA E’ LO STATO ITALIANO REPUBBLICANO ODIERNO, DA UN PUNTO DI VISTA ETICO?
Vediamolo. A mio avviso e’ un mediatore simbolico che agisce in nome di principi etici generici e anche, a volte, contraddittori, ma indiscutibilmente armonizzati all’interno della Carta Costituzionale del 1948 (e successive modificazioni). Quasi tutti i costituzionalisti di tutto il mondo la indicano oggi come una delle maggiormente avanzate ed esaurienti in fatto di equilibrio fra diritti e doveri dei cittadini. La Carta venne redatta da tutti gli schieramenti politici, eccetto quello fascista, e dunque il suo fondamento filosofico morale era composto dai seguenti elementi:
1) Centralita’ (anche etica) delle Istituzioni Repubblicane nella vita del Paese;
2) Fine dichiarato di ottenere il benessere fisico e spirituale di tutti i cittadini presenti nel Paese, sia per iniziativa delle Istituzioni che per iniziativa dei cittadini;
3) Pari legittimita’ di esternazione nel Paese di tutte le idee e ideologie politiche e di tutte le fedi religiose, nonche’ legittimita’ per i cittadini nel loro organizzarsi in movimenti e Partiti ispirati a tali fedi e idee o ideologie (con l’esclusione del Partito Fascista, la cui ricostituzione e’ vietata); tali diritti vengono parimenti garantiti alle filosofie laiche o anche prettamente ateistiche;
4) Particolare attenzione nei confronti della religione cattolica in quanto tradizionalmente presente nel Paese – ma cio’ non esclude che le altre fedi possano organizzarsi e conquistare democraticamente dei fedeli, ottenendo anche dei seggi in Parlamento;
5) Esclusione netta dei mezzi coercitivi o violenti o dell’istigazione all’uso di tali mezzi per qualsiasi fine, tra i quali l’ottenimento (estorsione) dei consensi politici o religiosi di qualsiasi natura. La violenza e’ proibita, in Italia, eccetto quella della Forza Pubblica e solo quando strettamente necessaria per l’applicazione delle Leggi della Repubblica – in primis per la salvaguardia delle vittime della violenza altrui.
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Fin qui i punti essenziali, direi (non tutti, magari, pardon).
Ora, questa Costituzione, la NOSTRA COSTITUZIONE, comporta una serie di dati di fatto eticamente forti:
1) Fare arte e cultura, significa manifestare intenti costruttivi del benessere fisico e spirituale collettivo;
2) Il detto evangelico ”Non fare agli altri cio’ che non vuoi sia fatto a te” trova la sua ”piattaforma-senso” nell’ideale repubblicano dell’operare affinche’ si lotti (anche tramite operazioni critiche ed autocritiche) per trovare armonia e felicita’, gioia, nel vivere in Italia;
3) Chiunque ricerchi tramite una critica, un’autocritica o un ideale o fede qualsiasi, malevolenti, di indirizzare la Patria al male comune, al malessere e al disagio psicologico e/o spirituale e/o fisico, e’ persona non gradita – fatto salvo, entro certi limiti, il diritto di indirizzare contro se stessi tali finalita’ controproducenti e malvagie.
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E questo, tutto questo, e’ esplicitamente un sistema valoriale di retaggio umanistico in senso storico – parlo dell’Umanesimo italiano tre-quattro-cinquecentesco – le cui fondamenta sono unite a degli elementi provenienti da filosofie ispirate al cristianesimo (Gioberti), al marxismo e affini pensatori d’area socialista (Togliatti, Nenni), al liberalismo inglese ottocentesco e al repubblicanesimo mazziniano, oltre che agli ideali del Garibaldi, del Cavour, del Rosmini ecc. A fare la vera forza della Costituzione, la NOSTRA Costituzione, pero’, e’ indiscutibilmente la sua autoctona natura desunta dall’Umanesimo trecentesco, quattrocentesco e cinquecentesco (Marsilio da Padova, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, il Petrarca stesso, col ”patrocinio spirituale” sovente sottinteso di Cicerone, ecc.).
Un sistema di valori, dunque, il nostro, che ricerca la bellezza e l’armonia collettiva, sociale, ed individuale senza opprimere i due capisaldi uno e molteplicita’. Solo noi cittadini, ora, dobbiamo capire di averli dentro di noi, tali precetti repubblicani, tali canoni di valutazione delle opere d’arte (opere che noi italiani vediamo come mai disgiunte dal sogno privato e parimenti dal sogno pubblico; dunque opere d’arte compiute, ”belle”, solo quando osmotiche fra queste due condizioni).
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Salutoni
Sergio Sozi
@Sergio: hai lavorato giorno e notte per scrivere questa dissertazione, oppure era un articolo che avevi preparato tempo fa?
Cari amici, perdonate se non sono intervenuto granché in questo post… ma sono giorni di fuoco, questi.
Ringrazio Massimo per l’invito. Secondo me l’opinione di Piperno è condivisibile. Sono d’accordo per una pubblicazione come questa, ma contestualizzata. Non mi andrebbe bene, per essere precisi, solamente leggere il pensiero di un Brasillach. Vorrei metterci anche questo, naturalmente, magari alla fine del libro. Ma un’introduzione severa e che prenda le distanze non solamente dall’ideologia (questo è ovvio) ma anche da una possibile contestualizzazione dell’opera nella nostra realtà odierna.
In tale modo, il libro sarebbe un documento anche letterario, che sarebbe il corollario a una serie di romanzo straordinari che ha cambiato la letteratura del 900. Non sono molto d’accordo con Onofri.
Non m’interessa il pensiero politico debole dello scrittore francese. M’interessa l’uso che fa dell’infinitamente piccolo (la sua storia personale) all’interno di un uso nuovo della discorsività romanzesca. Con Céline il romanzo fa un salto in avanti notevole, questo è quello che penso.
Con le dovute cautele, insomma, un testo minore e terribile come quello può essere pubblicato.
Si pubblicano migliaia di scempiaggini falsamente innocue; questa almeno è parte arrugginita e infame di una catena letteraria di eccezionale livello.
In ogni caso ringrazio tutti per i vostri interventi.
Questo è uno dei classici argomenti che fa davvero discutere (sto facendo girare il link di questo post ad altri amici chiedendo il loro intervento).
Franz Krauspenhaar ha già raccolto il mio invito. (E così Mariano Sabatini). Grazie mille.
Devo dire che – in effetti – quando ho domandato “Ritenete che debba esserci un “limite etico” alla pubblicazione di testi?” non pensavo a limitazioni di ordine normativo.
Ma ringrazio Sergio per aver sollecitato la nostra Simona Lo Iacono. E Simona per non essersi risparmiata (come sempre) nel fornire il suo contributo tecnico.
@Sergio: l’analisi è corretta, direi ineccepibile ed è talmente vero che c’è chi tenta di modificare i valori portati dal dettato costituzionale. Non voglio innescare una polemica politica, ma devo purtroppo rilevare che quelle linee guida non sembrano essere in sintonia con il senso etico corrente, alquanto svilito. Non è trascorso molto tempo dall’entrata in vigore della nostra Costituzione e purtroppo la maggior parte di noi italiani non la conosce nei suoi valori fondamentali, anzi la considera una carta vecchia ammuffita. Eppure è stata fatta per noi, una specie di tavole di Mosè dove risaltano quelli che sono i principi di un’umanità tesa a percorrere insieme e in armonia la lunga strada della vita.
Ti ringrazio per aver ben delineato il sistema di valori umanistici a cui i padri costituenti si sono uniformati.
Grazie ancora a tutti.
Purtroppo devo chiudere qui (ma tornerò domani per dire la mia).
Questo è uno di quei dibattiti che potrebbe finire su “Letteratitudine, il libro, vol. II, 2008-2010”
Renzo Montagnoli,
Grazie a te, Renzo. No: ho scritto tutto all’impronta oggi pomeriggio, fra un lavoretto casalingo e un altro d’altro tipo. Lo si vede anche dal fatto che sono inesauriente (non dico inesaustivo, che’ manco pretenderei di esserlo) e visibilmente incompleto nell’affrontare molte tematiche derivanti da quel che (parzialmente) analizzo. Pero’ l’ho scritto adesso.
Krauspenhaar,
concordo con Lei. Pero’ mi sembra ovvio che qualche critico letterario possa storcere il naso, se intervistato. I pamphlet non hanno, mi pare, alcun valore letterario-artistico, giusto? Se il critico valuta anche – o preponderantemente – l’artisticita’ di un testo, puo’ anche dire che non andrebbe pubblicato.
Onofri, infatti, riporta la Taglietti: ”…parte dal presupposto che si possa, anzi si debba, pubblicare tutto. Però, dice, «anche su questa celebrazione dello stile di Céline metto un punto interrogativo. Ci sono almeno venti scrittori, suoi coetanei, più significativi di lui. Il rifiuto di Céline non è di ordine moralistico, ma si basa sul fatto che la debolezza del pensiero che innerva i suoi romanzi, la sua ideologia così povera, piccina, che allinea tutti i luoghi comuni del più becero antisemitismo non possano produrre grandi libri. La cattiva ideologia non è un reato contro la morale ma contro la letteratura stessa».
Onofri, vediamo, contesta Celine su tutta la linea: stile e significato. Mi sembra legittimo, anche se forse eccessivo. Comunque professionale.
Ringrazio la sig.ra Annamaria Pace per aver specificato i sensi del lemma ”etica”.
Ho dimenticato di citare, fra i padri della Costituente, Piero Calamandrei (Partito d’Azione) e l’influenza del liberale italiano per eccellenza Piero Gobetti. I due Pieri: uno vivente e l’altro no.
E Gramsci e Salvemini, pertanto.
E mo’ la pianto. Scusatemi tutti e tornate a Celine.
‘Notte amici miei
Sozi
Ultimissima nota. La sig.ra Pace ha esattamente definito l’etica come, principalmente ma non unicamente ”quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati”.
Quando io ho parlato, dunque, sopra, di ”passioni etiche”, era chiaro che le consideravo nel momento in cui esse, unendosi indebitamente alle passioni umane, si dirigessero piu’ verso l’aspetto morale, quindi prescrittivo, piuttosto che restare nel campo d’azione della ”supervisione” fra le moralita’ possibili e/o esistenti.
Massimo m’ha chiesto un opinione che sarà breve e poco circostanziata perché ho letto poco Celine. Ho provato a leggere il Voyage in francese perché mi sembrava inutile leggerlo in traduzione. Ne ho lette una cinquantina di pagine ma non mi ha coinvolto né convinto.
Ho provato a leggere altro in traduzione ma mi è sembrato di sprecare tempo.
Non nego che il fascismo e l’antisemitismo di Celine abbiano contribuito a concedergli una mia poca fiducia ma credo, ripeto dal poco che ho letto, che come scrittore non abbia luogo tra i grandi del secolo. Non faccio questioni ideologiche – o non solo questioni ideologiche. Amo alla follia Pound che era fascista e non antisemita. Ma soprattutto era uno scrittore eccelso e ha indirizzato non solo la poesia ma anche la prosa del ‘900 verso sentieri che altrimenti non sarebbero stati percorsi. Jungher, altro scrittore che amo alla follia, lo disprezzava profondamente. Lo considerava laido e raccapricciante, avendolo frequentato in alcune cene di collaborazionisti durante l’occupazione nazista di Parigi.
In complesso nutro per lui una solida antipatia, che mi porta a non dedicargli tempo. Amo le persone che vogliono il bene, amo gli scrittori che ragionano sulle origini del male e non quelli che si rotolano sulle conseguenze che ne derivano. Troppo vomito, troppa bile: puzza.
Ribadendo la mia posizione per cui non esiste una eticità oggettiva statica, ma solo soggettiva (che comprende una evoluzione culturale, storica e sempre dinamica), e ribadendo che in una democrazia liberale quale siamo non esiste alcuna limitazione preventiva all’espressione del proprio pensiero, concordo – nel caso in questione – con Franz Krauspenhaar per il disinteresse del “pensiero politico debole dello scrittore francese” e sarei curioso di potere leggere i pamhlet in questione. D’altronde come molti ho avuto modo di leggere “Il principe” di Machiavelli, e se rapportato ai giorni nostri (e alla “odierna eticità” [?]) anche in quel testo potremmo trovare passi abominevoli – ma spero che nessuno voglia potere censurare “Il principe” (che pure tanti danni continua a fare sul pensiero liberale italiano).
Detto questo, pongo una domanda a Sozi, poiché non mi è chiaro se per lui tutti i pamphlet non hanno dignità letterario-artistico o solo quelli di Céline in questione. Nel primo caso (cioè tutti i pamphlet non avrebbero valore lettarario) dissento da questa posizione che trovo davvero bislacca. Nel secondo caso, non avendo avuto modo mai di leggere i famigerati pamphlet celiniani, invece non saprei ribattere.
grazie per le rsisposte
@ Filippo Tuena:
“Amo le persone che vogliono il bene, amo gli scrittori che ragionano sulle origini del male e non quelli che si rotolano sulle conseguenze che ne derivano. Troppo vomito, troppa bile: puzza.”
e vaiiiii!!!
🙂
Molto meglio Flaiano in Tempi di uccidere, che Viaggio al termine della notte (belle le prime 100 pagine , perchè esperienza, poi è solo un rivoltamento nella noia più laida)
Argomento spinoso, ma: la censura è un vaso di Pandora che una volta aperto è difficile richiudere. In generale il mio limite personale è la diffamazione, per la quale esistono appositi rimedi di legge.
Per il resto vale tutto, salvo poi sperare che l’occhio del lettore sappia fare una cernita delle opinioni.
Questo è uno di quei post che lasceranno una traccia, oltre che nella storia (già importante) di Letteratitudine, anche nelle anime di chi scrive. Nei primi valori (la voglia di raccontare e di esprimersi, l’essere publicati, l’essere letti, il successo) ho l’impressione che l’etica di quello che si scrive non sia sufficientemente spesso presente. Sposterei perciò un po’ l’angolazione, ponendomi il problema di quanto conti il valore morale di quello che si scrive proprio dal punto di vista dello scrittore.
Credo che una stessa frase abbia valore differente se pronunciata a Zelig o in un discorso al Senato. La letteratura è un concetto troppo ampio, per poter decidere (in sede legislativa o nei salotti) cos’è che ci si può mettere dentro.
Mi batto come un leone per difendere la narrativa e la poesia: pur nella piena consapevolezza che possono fare enormi danni sociali, e la storia insegna. Ma si deve lasciare allo scrittore la libertà piena di raccontare. Di raccontare. Col tono del racconto, proponendo una realtà “altra” nella quale il lettore si potrà riconoscere o no, o solo in parte, non avendo mai la giustificazione morale piena a trasportarne nella vita reale gli elementi.
Altra cosa è il cattivo maestro, altra cosa è il precetto morale proposto proprio come indicazione etica.
Per cui, a mio sommesso avviso, una cosa è il Céline del Viaggio e altra è quello dei pamphlets; una cosa è il Pound narratore e poeta, altra è l’ideologia dell’uomo.
Non mi pongo il problema della posizione ideologica di Von Karajan quando lo ascolto, né di che uomo fosse Maradona quando lo vedevo giocare al calcio. Un mio limite, probabilmente. Non vorrei essere governato da Bisio, ma quando lo sento mi diverto assai.
Un saluto a tutti, col solito, immenso affetto.
Se un testo è bello, non vedo ragioni per non pubblicarlo.
Se un testo è interessante, non vedo ragioni per non pubblicarlo.
Ci possono essere testi eticamente schifosi, ma interessanti. Ad esempio le varie carte céliniane, per l’appunto.
Non mi pare ci siano testi eticamente schifosi, ma belli. Potranno essere problematici, inquietanti, paradossali: ma se sono belli non mi pare possano essere eticamente schifosi.
La censura può produrre effetti paradossali. Se certi scritti di Céline fossero normalmente pubblicati come sue carte (così come, di tanti scrittori, si pubblicano addirittura carte private), non ci sarebbe tanto chiasso (tanta pubblicità) attorno alla loro pubblicazione.
Mi pare.
Giusto, giustissimo secondo me.
Al di là delle enunciazioni di principi e delle farneticazioni (ma ne vedo più sui giornali che nei libri, in verità), occhio a voler impedire i modelli.
Penso a McCarthy (Cormack, intendo) e ad Harris del silenzio degli innocenti: gli “eroi” che propongono sono forse positivi? E che vogliamo fare, eliminarli? E ancora: se l’esito della guerra fosse stato diverso, e magari dei campi e delle camere a gas nessuno avesse saputo nulla, i testi di Céline sarebbero stati odiosi come a tutti noi appaiono oggi? Il criterio per me è e rimane uno: la bellezza. Nessuno mi chiede di condividere il principio etico, e se anche me lo si chiede, la mia risposta è un fermo no. Ma leggere, voglio leggere. E anche quello che mi pare.
@ Mozzi
è vero “La censura può produrre effetti paradossali”, dal fascino alla militanza…
Fernando Coratelli,
vorrei risponderLe in breve quando mi si rivolge cosi’: ”Pongo una domanda a Sozi, poiché non mi è chiaro se per lui tutti i pamphlet non hanno dignità letterario-artistico o solo quelli di Céline in questione.”
Forse non sono stato chiaro e me ne scuso, caro Coratelli. Preciso dunque qui che parlavo esclusivamente di Celine. I saggi, i pamphlet e i libelli, per quanto veementi, possono contenere, in linea di massima, anche delle osservazioni interessanti e degli aspetti artistici – mi sovviene Magris, il cui stile, ondeggiante fra la narrativa e la saggistica, impreziosisce entrambi gli aspetti.
Cordialmente
Sozi
Filippo Tuena,
sante parole. Ho provato le Sue stesse emozioni.
Giulio Mozzi,
va bene; pero’ in questo caso (Celine) l’autore stesso aveva ”ripudiato” quei testi e per giunta gli attuali detentori dei Diritti (persone nominate da Celine) non volevano affatto la pubblicazione dei pamphlet. Rispettare questa decisione sarebbe stato doveroso da parte dell’editore. Non averle rispettate spero abbia delle conseguenze legali, visto che anche il parassitismo editoriale sulla pelle dei morti mi pare fenomeno e comportamento insopportabile ed ignobile – spesso anche venale. Rispettiamo la volonta’ dei morti. Non tutto va consegnato all’insaziabile – e torbida – curiosita’ dei viventi.
Maurizio de Giovanni,
”si deve lasciare allo scrittore la libertà piena di raccontare. Di raccontare. Col tono del racconto, proponendo una realtà “altra” nella quale il lettore si potrà riconoscere o no, o solo in parte, non avendo mai la giustificazione morale piena a trasportarne nella vita reale gli elementi.”
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Concordo: la responsabilita’ ultima resta del cittadino-lettore (e spettatore), guai a giustificare il folle che applichi nella realta’ la finzione di un’opera letteraria. Non possiamo prendercela con lo scrittore. Pero’ in certi casi si travalica la narrazione e si va verso il chiaro e diretto incitamento del fanatismo. Esempio: certi striscioni da stadio… che fare? La polizia giustamente li vede sugli spalti e li sequestra o li fa togliere. Se un libro diventa striscione e slogan, diventa dunque amovibile, almeno a tutela dei minorenni che hanno libero accesso e libero acquisto in libreria. Forse in casi estremi si potrebbe ricorrere – come provvedimento post-pubblicazione – al divieto ai minori. E’ un’idea bislacca forse, ma esiste anche nel cinema dopotutto. Ed in tv nessuno si sognerebbe di mandare in onda un film porno alle diciassette.
Alajmo,
concordo appieno. Diffamazione e anche altri articoli di legge relativi all’onorabilita’ dei cittadini, tutti i cittadini di ogni idea sesso, lingua, fede o classe sociale.
A tutti noi pongo un quesito un po’ paradossale e provocatorio ma credo utile:
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Se per ipotesi (verosimile) una societa’ non avesse piu’ dei criteri etici ampiamente condivisi ma comunque dominasse maggioritariamente tra il popolo un sentimento di tranquilla tolleranza di aberrazioni come la pedofilia, la misoginia, l’omofobia, il razzismo, l’assassinio, la violenza come metodo sistematico di relazione sociale, cosa dovrebbero fare i Parlamentari: imporre delle regole etiche contrarie ai desideri della maggioranza dei cittadini o adeguare le leggi a tali principi?
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Nota:
trent’anni fa nessuno avrebbe fatto vedere ad un bambino di dieci anni un incontro di catch in tv.
Noto con piacere come l’orientamento generale sia contro una censura preventiva. Dl resto, censurare vuol dire limitare la libertà, con tutte le conseguenze del caso. Attribuire a una persona o a un organismo il potere di permettere o impedire la pubblicazione dei libri è quanto di peggio ci possa essere, è rientrare nelle logiche di un regime totalitario per decidere quale opera debba essere letta dai suoi cittadini (e ovviamente sono sempre opere non critiche, direttamente o indirettamente, del regime stesso).
Chi presiede, però, al governo di uno stato dovrebbe avere il compito di formare una coscienza critica dei propri cittadini, promuovendo e agevolando la cultura a tutti i livelli.
In questo modo sarà il mercato dei lettori a sanzionare l’insuccesso di opere di bassa qualità e con finalità contrarie ai diritti umani.
La cultura è conoscenza e la conoscenza è maturità.
@Sergio: con le leggi combini ben poco, ma è con l’esempio che puoi ottenere molto.
Sergio, se per ipotesi( inverosimile) la società avesse quei criteri etici aberranti condivisi, si dovrebbero allora imporre regole etiche contrarie ai desideri della maggioranza dei cittadini. Però, come scrive Renzo, “con le leggi combini ben poco”…. Nondimeno, deve esistere un codice che, se infranto, comporta una condanna.
Tu scrivi a proposito di Céline:
” l’autore stesso aveva ”ripudiato” quei testi”+
“Rispettare questa decisione sarebbe stato doveroso da parte dell’editore”+
“Rispettiamo la volonta’ dei morti. Non tutto va consegnato all’insaziabile – e torbida – curiosita’ dei viventi”.
A me sembra giusto. E penso che quei pamphlets se ne dovessero stare dove l’autore aveva deciso che stessero. Per il loro contenuto, dico.
Se poi, come altri hanno scritto qui, si scoprono testi mai scoperti di autori che non esistono più e questi testi sono opere d’arte, in più il loro contenuto non offende nessuno, si possono pubblicare anche se l’autore era contrario. Dipende proprio da quello che c’è scritto, a prescindere dalla contestualizzazione storica.
Alessandro Piperno scrive:
“non c’è quasi nulla che reputi impubblicabile, ma non c’è figura che mi ripugna di più del fanatico ideologizzato a cui mi sembra sia indirizzato questo genere di operazione”. Infatti quei contenuti sono pericolosi per l’uso che certi lettori potrebbero farne; se il lettori fossero tutti “illuminati”, infatti, forse non ci si porrebbe il problema; ma in un epoca in cui qualsiasi idiota della televisione diventa un “modello da imitare”, c’è da stare più attenti. Del resto, anche durante il nazismo certi sapevano e certi “seguivano” senza sapere, senza coscienza.
Vai a formarle, le coscienze…
un’epoca
Caro Massimo, come vedi rispondo all’appello e ti ringrazio per le sollecitazioni intellettuali che Letteratitudine offre. l’argomento, mai come in questo caso, è spinoso e si rischia di essere fraintesi.
Io aborro le censure. La discriminante perchè un testo sia letto o meno è sempre, a mio avviso, la qualità letteraria.
Leggere Celine, come leggere Pound, o come sprofondare in Heidegger, o in Evola, è una esperienza. Irrinunciabile per chi ama percorsi letterari e filosofici ai confini della notte. Io di Celine leggo anche la nota della spesa se la pubblicano. questo è ben lungi dal condividere i suoi anatemi, che sono talmente estremi, nella lingua e nella sostanza, che di per sè non possono essere presi che come il grido dell’uomo post umano, che sdogana la modernità, mette in berlina il futuro, pone dubbi sul passato. E’ il re che passa nudo tra la gente credendo di indossare vestiti stupendi, e che stupendi sono ai suoi occhi di visionario, o e il bambino che punta il dito e denuncia:” il re è nudo “? …..Non si esce da eline mondi, come non si esce puliti dalla vita.
Il male non è pubblicare Celine e le sue invettive folli ma letterariamente ineffabili. Celine rinuncia -io credo- con profonda consapevolezza e dolore ai paludamenti illuministici, e indossa la maschera tragica di Jago, di Giuda, di Satana per bestemmiare e scandalizzare. Ancora! a cinquant’anni dalla sua morte!ma signori: è LETTERATURA. che mi importa che non sia politicamente corretta? Segna e Resta. Tra tanti stenterelli della lingua, così attenti a dir la cosa giusta al momento giusto, Celine salta fuori e sbeffeggia col suo ghigno e la sua crudeltà. Non c’è intento di pedagogizzare il lettore, ma solo passione e follia e altissimo dettato poetico. Il libretto pedante di un saccente rivoluzionario, scritto con sciattezza intellettuale e fraudolenza ideologica, quello si, è da censurare, eticamente ed esteticamente. e ce e sono tanti, Ne ho letti tanti io di codesti libretti per scrivere L’Acquario dei cattivi…Ma Celine, la sua dolente avventura umana, la sua lingua vibrante, il suo dettato narrativo perverso e scintillante…no. Magari fossero in tanti a leggerlo… Il male è che i più guardano Ilgrandefratello e L’isola deifamosi…questo è il vero male. Non Celine.
concordo con il dubbio espresso dal Sozi,sulla reale conoscenza da parte del signor Luigi la Rosa dell’opera del ,tristemente famoso,Marchese de Sade.Pur nel rispetto di ogni opinione espressa liberamente in quanto giudizio del tutto soggettivo, e quindi opinabile o condivisibile secondo il filtro del proprio personale, e altrettanto rispettabile,giudizio,mi sono trovata con disgustato sconcerto a leggere certe dichiarazioni che mi sembrano piu’ che gravi.”Il sesso e’ sempre benedizione.Leggo de sade sempre con immenso piacere”.Non sono una bacchettona,non mi spaventano le perversioni umane,che limitazioni dovrebbero esistere tra adulti consenzienti,dichiaro con atteggiamento moralmente agnostico e corretto nei confronti dell’altrui liberta’.Ma tutto questo non ha niente a che vedere con cio’ che quell’insano di mente ha avuto il coraggio di scrivere nelle sue opere.Innanzitutto ricade,sempre secondo me,nella piena fattispecie dell’apologia di reato,in quanto ideatore e fautore di un sistema filosofico stravolto,in cui il vizio diventa virtu’,e la virtù esecrabile vizio.(!)Mi viene spontanea l’associazione con il satanismo che ideologicamente mira a dissacrare ogni cosa sacra,offendendola e insozzandola,in tutti i modi possibili.Ma qui non ci interessa,quello che vorrei segnalare e’ che in quei libri c’e’ una rassegna talmente fantasiosa ed esauriente(non esaustiva,per citare il Sozi,per la mia piena sfiducia in un possibile limite circa l’aberrazione umana),di tutti quei reati citati dalla diligente Simona Lo iacono,contro la libertà personale e sessuale, e il decoro,il senso comune del pudore,il buon costume,chiamatelo come piu’ vi piace,che un giudice potrebbe perderci la ragione e il senno.Ratto di minori a scopo di libidine,corruzione di minorenni,sequestro di persona e coercizione psicologica ad atti osceni,violenza sessuale,pedofilia nel senso piu’ aberrante della parola.Anche io non condivido le censure,preventive,ammetto la editabilita’ di ogni sozzura a mezzo stampa,tant’e’ che questi libri esistono,e da secoli,cio’ non mi scuote piu’ di tanto,sebbene speri sempre che non finiscano in mani sbagliate.quello che mi sconvolge e mi rinnova il senso di vomito di quelle letture,e’ ascoltare certi pareri così innocentemente assertivi,per giunta provenienti,a quanto mi sembra di capire,da chi opera in campo pedagocico,per cui mi rifugio anche io in quel disperato dubbio che il La Rosa non sappia di cosa sta parlando,tanto piu’ che egli dice,il sesso e’ espressione di liberta’,e la liberta’ di quei bambini,di quelle ragazze e di quelle prostitute Le sembra sia stata rispettata?
Adesso diciamo pure che il mostro di Marcinelle era un pio e santo uomo e abbiamo detto tutto.Viva la liberta’ e la democrazia,viva pure le opinioni personali sul razzismo,sul terrorismo,e quello che volete,ma su certe cose non passo e non posso esimermi dal ribadirlo con tutto il rispetto ma anche con tutta la forza di cui sono capace.
Roberta,
sono dell’avviso che:
1) I voleri di uno scrittore – in quanto cittadino come tutti e dunque detentore del diritto alla riservatezza – siano da anteporre al diritto del mondo di conoscere un’opera d’arte: se fossi stato un Tucca o un Vario avrei distrutto l’Eneide perche’ me lo aveva ordinato Virgilio.
2) Oggi siamo molto vicini al vivere in una societa’ che (soprattutto in Italia) non ha piu’ dei principi etici di natura buona condivisi. Il malcostume politico, l’arrivismo privato, la lotta per l’affermazione personale senza riguardi per nessuno, la sofferenza psicologica e le trasmissioni televisive diseducative ed altro (per es. i videogiochi) a cui vengono costretti i bambini lo dimostrano, i programmi ”popolari” come Grande Fratello ed Isola dei Famosi che guardano tutti lo sottolineano. In questa situazione di lassismo ed amoralita’, o spesso d’immoralita’ o di ”moralita’ distorte”, i legislatori, son d’accordo con te, dovrebbero andare controcorrente. Ma e’ difficile farlo: una minoranza di persone sane cosa puo’ contro una folla di drogati?
Cara Maria Gemma,
impossibile aggiungere altro alla tua descrizione. Esauriente. Di sicuro. Per fortuna in Italia abbiamo anche Umberto Eco!
Saluti Cari
Sozi
P.S.
Il termine ”sadismo” non mi sembra sia stato coniato popolarmente per motivi ”iperbolici”: era descrittivo di De Sade, gli aderiva come un guanto alla mano…
Caro Sergio,
la minoranza di persone, siccome è abituata così, continuerà a vivere secondo i principi, credo. Le trasmissioni televisive diseducative sono come i virus, secondo me. Ma non ci si può far nulla. Ognuno cerca di “cultiver son propre jardin” e con “son propre” vorrei dire anche il giardino che gli sta attorno, cioè i propri figli, i propri amici, i propri cari.
Ma vedo che mi sono molto allontanata da Céline..
Renzo,
mi dici che ”con le leggi combini ben poco, ma è con l’esempio che puoi ottenere molto”.
Be’… con entrambe le cose si combina ancor di piu’: le leggi e l’esempio. Binomio ottimo, a volte, se le leggi rappresentano il popolo ed il popolo le leggi. Raro ma accade e puo’ accadere. Non e’ fantafuturologia… pensa che solo cent’anni fa il diritto di voto alle donne sembrava cosa pazzesca e gli operai lavoravano sedici ore al giorno.
Si’, Roberta: ma il compito di un uomo di cultura e’ anche quello di avere una certa sensibilita’ verso i piu’ deboli, i bambini in primis, e dunque di contribuire acche’ ci siano delle norme legislative di tutela di essi. Poi i libri possono anche essere per adulti: ai genitori maggiorenni spetta per legge di scegliere anche le letture dei loro figli. Lo facciano. Facciamolo tutti, dunque, anche per le trasmissioni tv eccetera.
Insomma: come scrittori scriviamo per gli adulti, se cosi’ ci va, ma come cittadini di cultura lottiamo sempre per difendere minoranze e deboli. Cosi’ la vedo: double face.
Sig.ra Antonella Del Giudice,
bel pezzo, complimenti sinceri. Solo che non ne ho capito un particolare: secondo Lei Celine stesso (come uomo) e il suo grido di dolore (la sua opera) contengono in se’ una volonta’ migliorativa del mondo oppure no?
N.B.
Sia chiaro che quando esprimo in questa sede i miei pareri non lo faccio mai con intenti offensivi delle persone che ne esprimono degli altri, magari a me spiacenti. E’ un esercizio di confronto prettamente intellettuale, il mio, non diretto agli uomini in quanto individui, che reputo sacri e che rispetto sempre al di la’ delle divergenze.
A tutti noi pongo, di nuovo, un quesito un po’ paradossale e provocatorio ma credo utile:
–
Se per ipotesi (verosimile) una societa’ non avesse piu’ dei criteri etici ampiamente condivisi ma comunque dominasse maggioritariamente tra il popolo un sentimento di tranquilla tolleranza di aberrazioni come la pedofilia, la misoginia, l’omofobia, il razzismo, l’assassinio, la violenza come metodo sistematico di relazione sociale, cosa dovrebbero fare i Parlamentari: imporre delle regole etiche contrarie ai desideri della maggioranza dei cittadini o adeguare le leggi a tali principi?
–
Nota:
trent’anni fa nessuno avrebbe fatto vedere ad un bambino di dieci anni un incontro di catch in tv.
Ps: Sergio, tu hai scritto che una società così è “verosimile”; io, invece, la trovo “inverosimile”, nel senso che per fortuna non sono messi in dubbio tutti i “criteri etici ampiamente condivisi”, che ci sono ancora, nonostante la corruzione dei tempi. Dico questo perché filtrare l’osservazione della realtà vedendone solamente la sua corruzione, ci porta inevitabilmente ad avere l’atteggiamento del Savonarola e, per quanto il pessmismo sia condivisibile nella nostra epoca, io devo sempre pensare (“umanisticamente”, come dicevamo altre volte)che sia possibile l’Utopia di un mondo migliore, più benevolo, più giusto per tutti. Sì il termine Utopia già ci dice che è impossibile trovare quel “luogo” (= NON LUOGO, giusto?) quindi dovrebbe essere impossibile credere in qualcosa che non potrà mai avverarsi; nondimeno bisogna crederci. Lo dico a me stessa per “combattere” lo sconforto che mi deriva dall’osservazione dei piccoli avvenimenti quotidiani.
Sui Pamphlets di Céline: non li paragonerei all’Isola dei Famosi( che non ritengo sia meno perniciosa di quelli), dicendo, come dice Antonella, che è pur sempre letteratura. Sarei portata a leggerli, a questo punto, ma me ne guardo bene dal prenderli in considerazione, poichè, leggendo ciò che è stato detto dagli altri su questi scritti, essi sono ben lontani dalla mia idea pacifista del convivere su questa terra. Non se ne avrà a male lo scrittore, immagino; sia perchè non dovrebbe importargli granchè di esser letto da una persona qualsiasi, sia perchè aveva detto da qualche parte che non piacevano neppure a lui.
Sergio, tu scrivi : “come cittadini di cultura lottiamo sempre per difendere minoranze e deboli” = certo questo è sacrosanto. Anch’io ho sempre simpatizzato per gli scrittori “engagés”, è ovvio. A partire da Dante. Poi molti altri e Dickens, Hugo, Zola ecc..
Mi sembra di ricordare che( se non ricordo male, ma potrei) il figlio di Thomas Mann si sia suicidato; e che si sia suicidato perchè, come altri intellettuali tedeschi dell’epoca, non aveva accettato di lasciare la Germania senza combattere. Suo padre era scappato negli Stati Uniti; lui era rimasto. Anche Stephan Zweig si era ucciso. Molti intellettuali tedeschi e registi hanno raccontato il “senso di colpa” di chi non si è ribellato all’orrore.
Questi sono gli intellettuali di cui abbiamo bisogno, secondo me.
@Sergio: con unica risposta riscontro le tue domande. Il politico, eletto dai cittadini, dovrebbe rappresentare i loro interessi, ma non quelli particolari, ma in un’accezione più ampia quelli dell’intera nazione. Deve essere in grado di proporre indirizzi volti a un miglioramento sotto tutti gli aspetti della collettività di cui lo stesso fa parte. E’ quindi necessario che le leggi che fa, anche se non si identificano con le esigenze del popolo, siano da lui condivise e che alle stesse per primo adempia.
Ti faccio un esempio paradossale: Tipo Tapo governa una nazione di cannibali, comprende che è sbagliato mangiare carne umana e allora inizia un processo di modifica delle abitudini di un popolo spiegandogli il perchè l’antropofagia è sbagliata e lui per primo non si ciba più di carne umana. Al termine di questo iter, che può essere più o meno breve o lungo, emana una legge che sanziona chi mangia carne umana. Insomma, per modificare un modus vivendi, bisogna far capire prima che è sbagliato. Una legge sanzionatoria senza questo concetto propedeutico sarebbe del tutto vana.
Chi governa è il capo, la guida ed è lui che deve dare l’esempio, è lui che deve avere la sensibilità di capire i problemi del suo popolo e, ovviamente, di cercare di risolverli.
C’è in giro una diffusa amoralità? Il capo deve fare in modo, e non è cosa facile, di far capire al suo popolo che esistono valori intangibili, che la moralità è meglio dell’amoralità o dell’immoralità.
Come? Anche con il suo esempio, il suo modo di vivere.
Se non fa una cosa del genere, è e resterà sempre un semplice rappresentante di un popolo e non la sua guida.
Cara Roberta,
credo che la Del Giudice intendesse paragonare il ”Viaggio al termine della notte” di Celine con l’Isola dei Famosi, cosi’ volendo, mediante contrasto, porre in risalto la assurda banalita’ e annichilente stupidita’ delle trasmissioni della fattispecie con un’opera letteraria come il ”Viaggio” – la quale, volens aut nolens, sempre un’opera di una certa profondita’ resta, quindi e’ migliore della cretineria assoluta e televisiva.
Spero di aver ben interpretato la sig.ra Del Giudice.
Roberta,
Si’, ”engages” ma meglio se come uomini e cittadini, intendevo dire: come scrittori possono anche non esserlo. A me la letteratura impegnata di oggi non piace affatto. E’ apologia e non narrazione. Dante e’ un altro paio di maniche: in Lui c’e’ tutto e piu’ di tutto.
Renzo,
bene, il tuo discorso non fa una piega. Solo che il dilemma resta: il politico che tu dici, nel vietare il cannibalismo, non rappresentera’ piu’ il volere del suo popolo ma i suoi PERSONALI convicimenti. Insomma sei come me dell’avviso che i politici debbano essere in possesso di delle verita’ ulteriori e superiori rispetto a quelle del popolo che lo elegge. Il filosofo al potere di Platone. Ma, in democrazia, verrebbe rieletto? Ai tempi di Platone la democrazia era un concetto molto elitario e soprattutto classistico – il dieci per cento dei Greci aveva diritto di voto… oggi… eh…
@Sergio: in democrazia? Perchè c’è una democrazia? Nella migliore delle ipotesi vedo un’oligarchia.
Pensavo parlasse dei Pamphlets: mi scuso con lei, se ho frainteso.
Sergio, l’uomo deve coincidere con lo scrittore, secondo te?
Un uomo degnissimo potrebbe non produrre opere d’arte e un uomo indegno potrebbe produrne, invece, di bellissime?
Purtroppo forse sì. Dico forse.
Certo è che i veri grandi scrittori mai restano lontani dal prendere posizione, mai sono “ignavi”.
Anche lo scrittore più(erroneamente)”accusato” di essere lontano dalla realtà del suo tempo come Marcel Proust, dedica intere pagine all'”AFFAIRE DREYFUS”( guarda caso la vicenda riguardava un ebreo accusato di tradimento nei confronti della Francia) prendendo così palesemente posizione a favore di Dreyfus. Perchè è impossibile per un intellettuale di tal sorta non essere così. Eppure lui insisteva sulla differenza tra l’uomo e lo scrittore. Ma, pur essendo lui un Marcel diverso dal Marcel protagonista, intanto il protagonista è “dreyfusardo”. E questo si può anche leggere così: Proust di fronte a un fenomeno così orrendo come l’antisemitismo nazista, avrebbe trovato il modo di dissociarsene pur scrivendo un’opera memorabile espressione del suo impareggiabile genio.
@Sergio: sì oggi tutti hanno il diritto al voto, come nei regimi totalitari, ma c’è scelta? Cambia qualche cosa se voto per l’uno o per l’altro?
Ps: il che differenzia Proust da Céline e sancisce la superiorità del primo( sempre secondo me).
caro Massimo, Quando un autore è importante, nel bene o nel male, credo che vada pubblicato, anche se sgradevole, anche se “immorale”. Gli scandali sono la pietra di paragone, servono a ridefinire i confini, a decidere da che parte stiamo.La letteratura è anche questo, scandalo e provocazione. Non credo che oggi sia semplice tacciare un confine tra il Morale e l’Immorale e sulla costruzione di un’etica penso che litigeremmo tutti. Perciò è giusto leggere ed è giusto giudicare, avendone gli strumenti.Anzi, forse è proprio il confronto con posizioni estreme che può in parte fondare un’etica condivisa. ma porre dei limiti a priori non ha senso, ciò che viene proibito esercita un’attrazione anche maggiore. E no, non è possibile separare un autore da quello che ha scritto perchè un uatore è quello che ha scritto
Consapevolmente, amici miei cari, ho finora eluso la parola-chiave: UOMO. Fin qui abbiam discorso senza prendere in esame il nocciolo di tutta questo: cos’e’ l’uomo e cos’e’ la Natura. Questo e’ l’ ”ubi consistam” dell’intera faccenda. Vogliamo affrontarlo?
Roberta,
un conto e’ dedicare una parte di un libro mastodontico come la ”Ricerca…” ad un impegno civile e politico, un conto e’ scrivere dei romanzi ideologici, interamente ideologici, intendo. Comunque secondo me ogni uomo fa delle cose nella propria professione e ne fa delle altre, a volte diverse, quando si esprime politicamente. Pero’ preferisco la gente coerente. Ma non posso pretenderlo: sono uomini come me.
Renzo,
non: questa non e’ una mera ”oligarchia” ma un’ ”oligarchia popolare”: spetta a noi tutti unirci in movimenti e Partiti politici, se non lo facciamo, se siamo disuniti ed egoisti, non possiamo prendercela con chi forma dei Partiti e va al potere. E’ la nostra niziativa a mancare, non la loro. Muoviamoci, se vogliamo: la Costituzione ce lo concede e possiamo materialmente farlo.
Sig.ra Salemi,
come io mi sento solo una parte di me quando lavoro, credo che anche uno scrittore possa essere solo ”una parte di se”’ quando lavora, ovvero scrive libri.
Proibire non si dovrebbe mai niente. Al contrario è sempre meglio incoraggiare chiunque a scrivere i suoi pensieri e progetti.
Solo una società che sostiene questi principi è libera e aperta al progredire.
Da qui, si dovrebbe fare molto di più per educarla e ispirarla ai sentimenti della convivenza e tolleranza.
Ogni restrizione produce una reazione al contrario e frena il processo delle ricognizioni individuali così necessari anche al bene comune.
È infine dalle immagini e notizie astruse e peccaminose che l’individuo impara a distinguere tra il bene e il male.
Opporsi a loro significa temere il confronto, fatto inevitabile per ognuno che desideri imparare a distinguere e poi selezionare.
Il livello armonioso dei pensieri e delle azioni è una meta da raggiungere per primo attraverso la loro conoscenza, dopo attraverso la loro distinzione e infine la presa di posizione, da sostenere nel rispetto di quelle degli altri che la giudicano diversamente.
La mutazione rappresenta il motore delle nostre percezioni. Ogni identificazione concepita incomincia nel tempo a svanire per essere sostituita da una nuova da concepire, così che l’energia che ce le fa conoscere si alimenta sempre di nuovo mantenendo in vita il processo identificatore, senza il quale non sappiamo neanche chi siamo e perché viviamo.
Ogni scritto, immagine che ci disturba e offende rappresenta un’occasione di intervenire con le proprie idee e concetti in un confronto pacifico e sereno con lo scopo di influenzarci reciprocamente e quando necessario modificarli.
Accanto alla libertà d’espressione è necessario istruire ed educare l’individuo, affinché egli stesso sia indotto di propria forza a regolarsi, ispirandosi a ideali e concetti più sani per se stesso e la comunità.
Penso che solo così si possa raggiungere un buon livello di maturità nella società, a incominciare a riflettere sul senso del lavorare solo per fare profitto, invece che per riconoscersi nei valori che garantiscano una convivenza sociale migliore.
Saluti.
Lorenzo
Inoltre mi piace riportare un tratto importante, significativo, di quanto da Lei detto, sig.ra Salemi: ”Sulla costruzione di un’etica penso che litigheremmo tutti”.
Cio’ conforta la mia tesi: meglio la Costituzione. Quella e’ la nostra etica condivisa.
Ciao, caro Lorenzo,
benvenuto! In teoria hai detto il massimo. Resta l’applicazione (dalla teoria alla prassi). La realta’ infatti e’ dominata dai prepotenti non dai migliori: come potrebbero i migliori, i sublimi, i pensatori, gli indifesi sensibili ed intelligenti, gli onesti, andare al potere o, ammesso che ve ne sia qualcuno (e vi e’) rimanere al potere?
Poi ti inviterei a dire cosa siano per te l’uomo e la Natura.
Ciao, bello
@Sergio: credi sia possibile? Sulla carta sì, ma in pratica no.
P.S. per Lorenzo
dici che proibire e’ proibito (slogan sessantottino) pero’ io proibirei un film pornografico in onda alle 17 o un horror alla stessa ora, e tu? credo di si’. Ecco: questa e’ una proibizione. Ma doverosa. si deve correre ai ripari, dico, ma solo dopo che i buoi siano scappati dalla stalla… almeno dopo, se non possiamo fermarli prima. E non possiamo, e’ ovvio ed e’ giusto. Ma dopo almeno cerchiamoli, ‘sti buoi – e mi riferisco alla pubblicazione delle opere brutte e malvagie: dopo la pubblicazione diamo loro un freno.
Vi ringrazio tutti per i numerosi commenti. Come ho scritto in premessa, questo è un tema spinoso. Ma credo che un confronto sereno (come quello che sta avvenendo qui) sia sempre utile.
Per me è utilissimo.
Ho letto con attenzione i vostri commenti – tutti – e mi hanno aiutato a riflettere.
Renzo,
anche in pratica e’ possibile: cento cittadini si uniscono e fanno un partitello, fanno colletta e portano a conoscenza della gente il proprio programma, eccetera. Se non ci muoviamo, non e’ colpa dei politici, ma nostra, solo nostra. Di ognuno di noi.
Un ringraziamento particolare agli amici che sono intervenuti dietro mia specifica sollecitazione: Mariano Sabatini, Franz Krauspenhaar, Filippo Tuena, Roberto Alajmo, Maurizio de Giovanni, Giulio Mozzi, Antonella Del Giudice, Roselina Salemi.
Grazie a voi e a tutti gli altri.
Nei prossimi giorni proverò a “tirare le somme” di questa discussione.
Per il momento provo a incentivarla ponendo ulteriori domande.
@Lorenzo: “Penso che solo così si possa raggiungere un buon livello di maturità nella società, a incominciare a riflettere sul senso del lavorare solo per fare profitto, invece che per riconoscersi nei valori che garantiscano una convivenza sociale migliore.”
Concordo pienamente, ma è soprattutto questo periodo che ci accomuna ulteriormente. Il dio profitto è quanto di più pernicioso ci possa essere e in ossequio a lui, per raggiungerlo, qualsiasi mezzo è buono. E’ questa la vera tragedia, la fonte di tutto il malessere di una società che i politici si ostinano a definire prospera e felice, nonostante la larghissima diffusione di paradisi artificiali come l’alcolismo e la droga siano chiari sintomi del contrario.
@ Sergio: è vero quel che dici, ma ho avuto un’esperienza, per fortuna indiretta, che contrasta con questa libertà che è solo sulla carta.
È molto difficile immaginare un divieto preventivo alla pubblicazione di libri (anche qualora superassero palesemente limiti etici condivisi).
Ma immaginando che ciò possa essere possibile, e considerando che un libro “vietato”, in un modo o nell’altro, circolerebbe comunque…
la teorica imposizione di un divieto di pubblicazione, potenzierebbe o depotenzierebbe il libro incriminato e i suoi contenuti?
Per ora vi saluto e vi auguro buonanotte.
@ caro Sergio,
sono mancato di qualche giorno perché troppo preso dai commenti, compresi i miei, sulla brava SIMONA, tantissimi e tutti meritati, da aver avuto bisogno di riposo.
Dammi un po’ di tempo per risponderti, mica è semplice la tua domanda.
A presto, allora.
Lorenzo
@ Simona
la cicogna ha fatto una sosta breve da me e si è preso un qualcosa che penso possa rallegrarti.
Mi ha assicurato di arrivare nella mitica Siracusa il più presto possibile.
Saluti cari
Lorenzo
@ Sergio+ Lorenzerrimo+ Renzo
mi piacerebbe moltissimo approfondire sull’ UOMO e la NATURA, ma non posso.
Vi leggerò domani:)
Buonanotte, carissimi.
@Massimo: la teorica imposizione di un divieto di pubblicazione, potenzierebbe o depotenzierebbe il libro incriminato e i suoi contenuti?
La potenzierebbe: non c’è nulla di più interessante di ciò che è proibito.
Lorenzerrimo e Roberta,
attendo le vostre opinioni. Io di sassolini nell’acqua ne ho lanciati tanti. A voi dire, appunto, la vostra, amici!
–
Maugger,
l’unico limite che reputerei auspicabile – e SOLO in casi estremi – sarebbe quello, che si autoimponesse l’editore insieme all’autore, di un eventuale divieto ai minori di un libro ”eticamente sensibile”. Per quanto riguarda i rimedi post-pubblicazione, auspicherei un tempestivo ritiro dal commercio del libro. Anche a costo di farlo diventare ”il bel maledetto” e ”l’eroe negativo”, il ”bel tenebroso”.
Ma rimedi censori antecedenti la pubblicazione no, mai. No. solo un’autoregolamentazione, con relativo codice magari da stilare, da parte degli editori per vietare ai minori la roba per gli adulti. questo sarebbe indice di maturita’.
Questo per non interrompere la dialettica scrittore-lettore, come quella affine oratore-ascoltatore: uno dice qualcosa e dopo l’altro risponde, non prima che la parola dello scrittore e/o dell’oratore sia di pubblico dominio. Dopo, pero’, le conseguenze restino tutte, le sanzioni eccetera. (Da questo discorso va eccettuata la roba dichiaratamente orrida, violenta e pornografica, certo, che va censurata prima della resa pubblica o messa in spazi inaccedibili ai minori, ma cio’ riguarda soprattutto le immagini, non le parole).
inaccessibili, non inaccedibili… ohibo’, scusatemi!
Maugger, ancora,
ed ora rispondo esplicitamente alla tua esplicita ultima domanda: se la gente sapesse di avere delle brave persone a fare i divieti di pubblicazione, il divieto verrebbe osservato e il libro non venderebbe una copia (anzi una ”copia illegale”, visto che NON sarebbe stato pubblicato, no?); se la gente pensasse che i legislatori fossero degli ipocriti, il libro prima o poi uscirebbe clandestinamente e farebbe la fortuna dell’editore e dell’autore. Tre milioni di fotocopie e copie in una settimana.
Gentile Sozi, no io non credo che nemmeno con una parola Celine intendesse migliorare il mondo. Io non credo che lo scrittore abbia questo compito. E che non debba coltivare nemmeno tale ambizione. Il dolore è dolore. Non migliora, non peggiora le cose ma fa acquisire coscienza delle stesse. Quando la crudeltà della vita e la vanità di tale crudeltà si esprimono con una forza letteraria come quella di Celine ( o di Artaud o di Bekett, tanto per dire un paio di nomi imprescindibili)questo è già di per sè un fatto. Non mi piace la letteratura pedagogica, mi annoiano scrittori, pure importanti, che intendono proporre “il messaggio”. E penso che corrompa di più una televisione insulsa e volgare piuttosto che una lettura maledetta, fosse de Sade piuttosto che Boris Vian. Grazie Massimo dello spazio e buonanotte a tutti.
Vorrei esprimere le mie perplessità ad Antonella del Giudice quando afferma che Céline non intendeva migliorare il mondo. Secondo me, qualsiasi scrittore intende miglioralo, il mondo. Magari in cuor suo, senza darlo a vedere. Usando testi denigratori del mondo in generale o del proprio mondo. Altrimenti non farebbe lo scrittore, né aspirerebbe a diventarlo. La scrittura nasce comunque da una frustrazione imperiosa, sgorgata dall’inconscio, dal momento che i sentimenti, specie “letterari”, nascono dall’inconscio. Sia dall’inconscio sia dai geni (Madre Natura).
Sgorga dall’inconscio, a volte con l’avallo di Madre Natura, anche nel caso lo scrittore (o l’aspirante scrittore) si cimentasse con la scrittura semplicemente per fare soldi, ossia senza nessun desiderio di mandare messaggi, oppure per un mero impulso esibizionistico o vanaglorioso, o – perché no? – per battere depressioni o nostalgie o malinconie o la noia, o per un impulso di aggressività verso se stesso e il prossimo. O per conquistare delle persone o cose di cui si è infatuato, oppure per lasciare nel mondo un segno di sé, vale a dire per acquisire una qualche forma d’immortalità. A mio giudizio, beninteso.
Con simpatia, Ausilio Bertoli
Cara Del Giudice,
grazie per la risposta. Allora credo che sia del tutto legittimo da parte mia la naturale antipatia, nonche’ la profonda antipatia, che provo per Celine, oltre che per gli autori da Lei citati. Ognuno dalla sua parte. Pero’ attenzione: io non sto con la letteratura ”pedagogica”, bensi’ con quella profonda ma fatta per dare amore alla gente, ai lettori, a se stessi. La Letteratura bella e della Bellezza. E comunque neanche dare amore agli altri e’ cosa facile, anzi, lo reputo piu’ difficile che esprimere egoisticamente, o almeno egocentricamente, il proprio malessere a chi magari invece, come i lettori, potrebbe vivere meglio di uno scrittore – il quale dopotutto e’ pur sempre un privilegiato se riesce a vivere della propria arte. E molti ci riescono, ricambiando questa grazia divina col trasmettere solo le proprie sofferenze agli uomini. Grazie di nuovo: Lei conferma appieno i miei convincimenti profondi ed il mio disgusto per Celine, Artaud e anche Vian. Elenco condivisibile… in negativo.
Sozi
P.S.
Sottolineo solo una cosa: i lati brutti della vita qualsiasi persona di normale sensibilita’ ed intelligenza li vede e sa. Abbiamo bisogno invece di trovare l’amore per la vita, cosa che gli egoisti e i piccini si guardano bene dal darci – scrittori o intellettuali, spazzini o operai e’ lo stesso. L’amore se lo tengono per se’ solo i poveracci nell’anima. Compresi gli autori citati.
Insomma: la bruttezza e’ sotto gli occhi di tutti; solo i veri artisti riescono a farci vedere anche la bellezza. E il bene. Solo i grandi sono capaci di amarci scrivendo e parlando, alcuni solo vivendo – piu’ bravi ancora, sono questi ultimi. L’amore e’ la cosa piu’ ardua del mondo, non il rimasticare e risputare ovvieta’ malefiche che tutti sentono, purtroppo, nell’anima. Non sopporto gli artisti maledetti – anche perche’ di solito, almeno dal Novecento in qua, i ”maledetti” sono quelli che campano bene colla scrittura, coi film, coi quadri assurdi, brutti e controproducenti… alla faccia degli altri che invece faticano ad emergere perche’ la gente ottusa non capisce che l’amore e’ l’arma vincente, ossia la non-arma, per vivere con onore e Bellezza.
Dunque, per me, meglio il telegiornale di chi mi dice, in 400 pagine, che la vita e’ brutta e l’uomo egoista: grazie, ero fesso, non lo sapevo prima! Almeno il telegiornale non pretende l’intellettualismo – e dice cose realmente successe.
E dietro a tutto cio’ una sola parola: nichilismo – che ne riporta alla mente un’altra – scetticismo – e si abbraccia con queste altre: disperazione, materialismo, atomismo, grettezza, necrofilia, aridita’, cecita’, e il Nulla direttamente. Gli occhi invece sono un bene – al quale solo per amor degli dei e’ concesso rinunciare, si vedano gli aedi ciechi omerici, ciechi che ci vedono meglio di tutti noi. Eeeeh… che piccino il Novecento: ha portato agli allori della gente che avrebbe dovuto fare la schiava, in altre ere. Gente scappata dalla Patria per non finire in galera. Gente che che ora vediamo col foulard e l’espressione da giudice morale, salomonica. Mentre gli studenti del Duemila, grazie al (nocivo, malato) precedente dell’ossequio novecentesco per i ”maledetti”, considerano noioso Leopardi e pedante Manzoni, e considerano anche troppo difficili e ”datati” Dante e Petrarca – i quali scrivevano per amore, nonostante esprimessero anche la propria solitudine e angustia, il proprio isolamento (vorrei vedere: Dante era stato condannato ingiustamente a morte!). Dare amore quando si sta male e’ veramente cosa ammirevole: a fare come Celine, Artaud, Vian e anche Beckett – aggiungo in parte Tondelli e Pasolini – e’ cosa facile, ovvia: scaricarsi della soma. soma-tos: peso, dicono i Greci. Se la tengano in groppa, gli uomini e, se sono nobili, provino a scordarsela e a scrivere sonetti come Petrarca. E a soffrire in silenzio, che gia’ le abbiamo le nostre sofferenze.
Rileggendo i post, mi ha colpito l’affermazione di Giulio Mozzi: “Non mi pare ci siano testi eticamente schifosi, ma belli. Potranno essere problematici, inquietanti, paradossali: ma se sono belli non mi pare possano essere eticamente schifosi”.
Sarà anche vero, ma penso che certi testi “eticamente schifosi” siano non belli ma solo eticamente schifosi. E perché schifosi attirano, interessano, inquietano certi lettori. Ma quei testi non chiamateli belli.
E’ la regola, in fondo, che si applica anche agli umani.
Difatti, certi uomini (o donne) sono fisicamente ed eticamente (moralmente) schifosi e piacciono eccome! a certuni. Ma solo a certuni, che magari non amano il bello. Il bello è soggettivo fin che si vuole, ma si configura in determinati canoni accettati in una data cultura. In altre parole, il bello è una costruzione estetica ed etica condivisa e condivisibile in un contesto sociale alquanto esteso.
Ciao, Ausilio Bertoli
(Soma-tos significherebbe in greco antico letteralmente ”corpo” pero’ corpo nel senso di peso, vita, considerando la concezione antica, preciso. Ecco perche’ diciamo la ”soma” dell’asino).
Mia personale interpretazione, poiche’ tecnicamente la parola ”soma” viene dal greco ”sagma”: ”carico”. Ma visto che Celine e’ libero di insultare, anch’io lo sono di fantasiare coi lemmi.
Caro Bertoli,
non ho capito bene il suo concetto. Vorrebbe precisare, per favore?
Grazie
Caro Massimo scusa se intervengo solo ora ma un viaggio picaresco oltralpe e una febbre pre-alpe mi hanno impedito di intervenire. Ovvero, non tanto di intervenire, ma di postare una mia riflessione e soprattutto seguire l’andamento della discussione. Devo dire che come al solito riesci a far comunicare posizioni molto distanti senza che volino forbici e coltelli ( da vero moderatore) anche se devo dire che non so cosa pensare quando per esempio sergio sozi dice di provare disgusto per Boris Vian, Beckett, Pasolini… Non so cosa pensare ma in me provoca un sentimento di tristezza, di pacata rabbia. Bisognava trovare un’altra parola, sergio, diversa da disgusto, non so…
Mi sento quindi vicino alle posizioni espresse da Antonella, per esempio, che confortano un’idea di letteratura da cui alcuni scrittori intervenuti, come Franz, Giulio, attingono a piene mani. Ovvero non mettere paletti, di ordine etico o estetico alla propria ricerca e confrontarsi anche con la parte più odiosa dell’umanità, il male, il potere ecc.
Mi limito allora a copiaincollare un brano di uno scrittore francese che ho avuto la fortuna di frequentare e purtroppo morto da poco, che pubblicai su NI. Philippe Muray ha avuto il merito oltre che di portare una riflessione assolutamente critica sulla diffusione della Pensée unique, in europa, anche quello di aver contribuito alla Céline renaissance degli anni ottanta e novanta. L’ho sempre considerato come un manifesto, per carità discutibile, criticabile, a cui dire per l’appunto, NO. Un abbraccio
Effeffe
A Gamba Tesa/ Philippe Muray
La letteratura da dormire in piedi
di
Philippe Muray
(trad.Francesco Forlani)
A che pro meditare sullo stato attuale del romanzo se non si ha nella testa l’universo preciso, il mondo concreto, la situazione generale di cui è contemporaneo? Se non si ha all’orecchio, tanto per cominciare, il rumore di fondo del gran vento ammorbidente che soffia su di noi, un vento carico di bontà, di favori, di carità caramellosa e d’umanità, un tornado perpetuo d’incoraggiamento alla compassione bene in mostra, al semplicismo, all’infantilismo, alla solidarietà di superficie, ai propositi vuoti e devoti?
Come pensare al romanzo, a quest’arte della circospezione, della diffidenza, del dubbio, della libertà, della critica in atto e della rivelazione dei retroscena del tutto, senza avere in mente, come una collezione di marionette più o meno spaventose, buffe, terrorizzanti tutte le figure moderne della vigilanza risentita , dell’etica furbetta e accigliata, della buona coscienza senza frontiere, della cultura canonizzata, dell’effusione, dell’indignazione di paccottiglie e della denuncia senza alcun rischio? Senza sapere in cosa stia bollendo la nostra epoca?
Tutte queste lacrime di coccodrillo. Tutta questa estinzione organizzata dei benché minimi antagonismi. Questo depennamento delle ultime differenze (confusione dei sessi, delle generazioni, della realtà e dell’immaginario, dell’originale e della copia). Questo angelismo filosofico. Questa proliferazione di leggi ridicole e vessatorie. Questa incitazione all’assopimento nella gioia rassegnata. Questo scorrere fangoso di vita quotidiana asfissiata di festività.
Questa propaganda a favore della Comunicazione fiabesca e delle trans- frontiere per riavvicinare i popoli e diffondere la democrazia su tutto il pianeta. Questo zelo purificatore “degli ultimi uomini”, come li chiamava Nietzsche ( sono dieci anni che si riscrivono le vite degli artisti o degli scrittori nell’ottica del proprio giudizio o della loro decontaminazione: Picasso, Miller, Heidegger, Hemingway, sono già stati passati al martello pneumatico, gli altri seguiranno, li si sbarcherà tutti senza miasmi, senza peccati retroattivi, senza cattivi pensieri mal riposti, al gran banchetto degli spettri dell’anno 2000.) Queste zaffate deliranti ( Telethon, Sidathon, ecc.) divenute unico metodo di governo. Questa spartizione euforica delle rovine e che chiamano patrimonio (Matisse, Shakespeare o Baudelaire sono cose che non devono avere più senso se non alla sola condizione di essere distribuite, lottizzate e offerte a tutti). Questo riassorbimento paziente, minuzioso, del benchè minimo residuo di negatività (disobbedienza, sovranità, disaccordo, non solidarietà). Questo annegamento di ogni dissenso e disarmonia nel pathos, nell’enfasi, nell’ampollosità, nell’emozione ostentata, nella gran pompa inconsistente e bigotta. Questo riordino tetro del territorio. Questa occupazione senza fine, da parte delle immagini, del tempo libero, della cultura, delle feste, della libidine ormai senza impiego delle masse.
Per migliorare il quadro, aggiungiamo noi che mai la letteratura, regione tra le altre del lazzaretto turistico chiamato cultura, è stata così incoraggiata, accarezzata in tutti i suoi aspetti, come la specie in via d’estinzione quale giustamente essa è. E’ qualcosa di carino, inoffensivo, decorativo, la letteratura.. Non fa male a nessuno. Non è che un colore in mezzo a tanti altri sulla ricca tavolozza dell’approvazione del mondo così come lo si vede mentre si formatta . E’ una località da visitare se non si ha meglio da fare.
Questione inutile, ovviamente, quella di insistere sul NO essenziale che più o meno, abilmente camuffato, è alla base di nove su dieci delle grandi opere del passato. Del resto l’abbiamo dimenticato quel NO, non possiamo nemmeno più capirlo, non ne troveremo l’equivalente nella nostra lingua, noi l’abbiamo ritradotto in un vibrante SI .
Al di là di quel SI, quale salvezza? Nessuna. Gli scrittori di oggi del resto, lo sanno bene. Meglio allora fare quadrato. D’accordo. Per generare una stella danzante, come ancora si esprimeva Nietzsche, bisogna avere un caos dentro di sé. Ma noi, abbiamo ancora bisogno di stelle che danzano? No di certo.. Allora possiamo senza alcun rimorso cancellare gli ultimi caos, neutralizzare i conflitti e decretare l’armonia ( o almeno lavorarci). Chi criticare del resto? Di chi ridere? Contro chi battersi o almeno esercitare la propria libertà di spirito e d’immaginazione? Contro i nostri benefattori? i nostri migliori amici? I nani da giardino del pianeta informatico? I robottini elettrodomestici usciti dall’Ena (Ecole nationale d’administration,ndr)? Insorgeremo contro i padroni che hanno lo stesso spessore dei rettangolini plastificati nelle nostre carte di credito elettroniche?
Avanti allora, con le belle storie del tempo andato, le confessioni lacrimose, i racconti storici, le denunce delle vittime ideali, i dolci viennesi, i feuilleton intellettuali, le considerazioni distinte, il mito, l’insipidezza generale, i cenni culturali interminabili scambiati da personaggi incaricati di corsi in qualche università, affrancati dunque da ogni preoccupazione materiale come del resto da ogni necessità romanzesca.
Avanti allora, con l’ accompagnare, aiutare, assecondare la grande opera della società così come ha deciso di cantarsela.
Il mondo era fatto, credeva Mallarmé, per finire in un libro; i libri, ormai, sono pubblicati per finire nel torpore: torpore critico (i pietosi critici di professione si sono riconvertiti come tutti al turismo, i loro articoli sono dépliant da tour-operator con indicazione delle località da vedere ignorando le altre). Torpore contemplativo. Torpore acquirente, non acquirente, sempre meno acquirente. Torpore di chi legge, torpore di chi scrive, poco importa:torpore sempre di chi approva. Nelle loro crociate contro gli individui, i poteri d’un tempo ( la chiesa, il partito, la famiglia, l’esercito, la scuola) dovettero respingere mille attacchi, rivolte, proteste. ma la benevolente Macchina di condizionamento d’oggi non attira, lei, che degli elogi (o almeno dei silenzi). Mai si erano visti gli individui collaborare alla propria perdita (alla liquidazione della loro negatività vitale) con così tanto entusiasmo.
Che cos’è questo fine secolo, sul piano del discorso multiplo che lo avvolge e protegge? La storia del ritorno del mondo alla poesia, e non parlo qui della grande forma poetica d’un tempo, ma di questo nuvoloso, abbellimento pubblicitario e livellante, di questo movimento di fondo, indispensabile per “habiller” la nuova animalità dominante, a cui si potrebbe senza esagerare dare il nome del poetically correct.
Cosa fa il romanzo? Imita questo allineamento. Imita questo ritorno, questo ripiegamento, questa lenta caduta che ci si sforzerà di presentare come una nuova tappa esaltante della Storia continuata o rinnovata.(à suivre)
Nota a margine del testo
di Francesco Forlani
Navigando per i blog, qualche tempo fa, ero incorso in alcune critiche a Nazione Indiana ormai diventata, agli occhi di taluni commentatori una sorta di ricettacolo di idee e autori “di destra”, e se non proprio fascisti, sicuramente reazionari. Sempre in quei giorni avevo letto, con una certa curiosità, sul blog di Georgia (che qui saluto) un testo da lei postato di Alain Finkielkraut. Testo come molti altri di questo autore, estremamente intelligente. Nei commenti è partita così una caccia alle streghe degna della migliore tradizione maccartista su : uno) Come mai il Foglio lo ospitasse spesso sulle proprie pagine 2) Di che “parte politica” era realmente l’intellettuale in questione? 3) Come difendersi dai reazionari d’oggi soprattutto se comunisti (maoisti in questo caso) un tempo?
In Francia (vd. a questi indirizzi:
http://www.vigile.net/ds-michaud/docs3/03-1-3-libe-reparation.html
http://www.france-amerique.com/infos/dossier/Paysage%20Culturel/dossier5.htm
in Francia dicevo, un libro prima, e un dibattito poi, soprattutto sulla rete e nei blog, aveva sollevato le vesti di questa nuova impostura intellettuale d’oltralpe, definita pensiero conformista, accusando tra gli altri Gauchet, Finkielkraut, Taguieff, Manent, Yonnet, Muray, Michéa, Debray, Trigano, Ferry, Besançon. La vera impostura a parer mio era stata quella di metterli tutti insieme essendo taluni veramente distanti se non molto critici con gli altri. Quello che so e che posso dire con certezza è che almeno tre degli intellettuali presi di mira li conosco abbastanza bene da sentire con loro non solo una certa affinità ma soprattutto l’esperienza, da lettore, d’un vero pensiero critico. Uno, Jean-Claude Michéa, per averne tradotto, insieme ad Alessandra Mosca, L’insegnamento dell’Ignoranza, il secondo, scomparso recentemente, Philippe Muray e il terzo, Alain Finkielkraut per la collaborazione alla stessa rivista, l’Atelier du Roman,cui partecipano, tra l’altro, gli indiani Massimo Rizzante e Andrea Inglese.
Il testo che precede questa nota, a firma di Philippe Muray viene appunto da lì, l’Atelier du Roman, e sarà pubblicato su Sud. E’ la prima parte di quello che si potrebbe, serenamente, definire, un invito , anzi una spinta, a riflettere. Se poi pensiero critico significa essere reazionari, mah, allora pazienza! Abbiamo visto la canzone Imagine fare da sottofondo musicale a una pubblicità di una banca e Che Guevara usato come uomo immagine di una compagnia aerea. Veramente rivoluzionari i pubblicitari, n’est ce pas?
Per Sergio Sozi. Ci sono due questioni distinte:
1. Se sia o non sia opportuno pubblicare certi testi con certi contenuti;
2. Se chi li ha pubblicati abbia rispettate le regole sul diritto d’autore eccetera.
Della prima questione, mi pare, stiamo parlando. Della seconda deciderà un tribunale (presumo).
Céline aveva ripudiati quei testi: che importanza ha? Anche Virgilio voleva che l’ “Eneide” non fosse pubblicata. E un duecento pagine buone della “Ricerca del tempo perduto”, pubblicate in tutte le edizioni, erano state cancellate da Proust. Eccetera.
Per Ausilio Bertoli. Scrivi: “Mi ha colpito l’affermazione di Giulio Mozzi: ‘Non mi pare ci siano testi eticamente schifosi, ma belli. Potranno essere problematici, inquietanti, paradossali: ma se sono belli non mi pare possano essere eticamente schifosi’. Sarà anche vero, ma penso che certi testi ‘eticamente schifosi’ siano non belli ma solo eticamente schifosi. E perché schifosi attirano, interessano, inquietano certi lettori. Ma quei testi non chiamateli belli”. Dove mi pare che Ausilio Bertoli intenda dichiarare un disaccordo con me, e tuttavia esprime la mia stessa opinione. Mistero!
E’ una questione delicata, soprattutto per quanto riguarda la volontà dell’autore non più in vita di non pubblicare più una certa opera.
L’altra questione, quella etica, mi pare diversa, perché può riguardare testi pubblicabili mentre l’autore è ancora in vita.
Per quanto riguarda la prima, ritengo che, dato che l’opera di un autore ormai considerabile “classico” come Celine appartiene alla storia della letteratura, sia possibile pubblicare un testo disconosciuto, ma solo come operazione appunto storica, per mostrare un’evoluzione letteraria, e quindi facendo delle chiare precisazioni che contestualizzino il testo stesso.
Per la seconda questione, a mio modo di vedere vale il limite posto anche per questo luogo di discussione: non pubblicherei testi che siano offensivi, lesivi verso altre persone, che calpestino il rispetto verso le loro convinzioni religiose, politiche, morali. Mi rendo conto che in alcuni casi, come quello di Celine, questa natura offensiva può comunque rientrare nel grande discorso letterario. A questo punto diventa indispensabile stabilire dei parametri “letterari”, che non credo siano oggettivamente facili da stabilire. Nel dubbio non pubblicherei.
Bianca Garavelli
Il fatto è che il Male esiste. Alcun anime se ne lasciano attraversare per renderlo artisticamente. Segnalo, ad uso di chi vorrebbe avvicinarsi a Celine con una sorta di manuale per l’uso, la bellissima post fazione di Gianni Celati al COLLOQUI CON IL PROFESSOR Y, pamphlet scritto da Celine cinquant’anni fa circa, ma che, per lo stile e la sostanza, potrebbe esser stato scritto stamattina. E ricordare quanto Celine, e altri come lui,( Caravaggio, Kantor, Pound,Nietzke, Caccioppoli- e apposta cito interpreti di diverse branchie dello scibile umano) abbiano umanamente pagato la loro folle genialità.
@ Sergio
Perché “ce l’hai” anche con Artaud?
Più tardi vorrei “cogliere” i sassolini che hai buttato… ma non so esattamente perché vuoi approfondire i due concetti “uomo e natura”.
Mi sa che in questo post continuo a brancolare nel buio…e me ne dovrei stare lontano.
Caro Sergio,
cosa rispondere alla tua domanda? La vita è un enigma, ogni risposta contiene un’altra domanda.
Vedo rispecchiarsi nella nostra realtà il principio delle cause e degli effetti, così che non si arriverà mai a una soluzione definitiva. Il motore delle nostre percezioni è, come ho già espresso, la mutazione;: in essa vedo l’inganno nel quale rimaniamo anche quando crediamo di poter risolvere qualcosa nel meglio.
Da qui, forse, è sorto il concetto della punizione divina per colpe compiute dai nostri avi dei quali non abbiamo nessuna identificazione utile, essendo il fatto riferito dalla Bibbia accaduto troppo tempo addietro.
Qualora fosse vero, mi chiedo che colpa abbiamo quando i nostri geni impiegano troppo tempo nelle loro mutare per il nostro meglio.
Certo è che una condotta di vita basata sull’impegno serio e continuo potrebbe accorciare il loro progredire e quindi anche il nostro.
La pratica odierna ci mostra un vivere senza speranza di miglioramento, altrimenti non sarebbe possibile trasmettere film pornografici in un’ora dove i giovani e piccoli li possono guardare. In Austria è proibito.
Nonostante tutto credo che anche i piccoli e i giovani possano essere educati all’impegno serio, quando i genitori e per loro gli insegnanti e le istituzioni pubbliche addette all’educazione e istruzione possano accompagnarli costantemente indicando loro il senso superfluo della pornografia per chi sia integrato nella società e quindi non soggetto a stimoli sessuali distruggenti: diventerebbe così una realtà buona realizzabile attraverso la decisione individuale.
La libera decisione, presa per propria forza, otterrebbe di certo risultati migliori senza costrizioni alcune.
Ciò che manca alla società moderna occidentale è il riferimento base alla serietà in ogni sua attività e progettazione. Il dio del denaro, come ha espresso bene Renzo, è quello della dannazione e chiusura a ogni sentimento liberatorio.
Io credo nel superamento del male attraverso il confronto con esso, mai schivandolo. È un credo che causerà anche delle vittime, ma ogni metodo che applichiamo genera le sue vittime; io credo che sia l’unico capace di creare esseri liberi, cioè equilibrati.
Sul rapporto tra la natura e l’uomo esistono tanti pareri come individui che ci pensano sopra.
A volte credo che la natura sia più forte e determini infine i nostri limiti, quando essi ci potrebbero distruggere.
Altre volte credo, che sia lei il nostro male e di tutti gli esseri che la popolano. Basta osservare un leone sbranare una gazzella e così via.
Tuttavia abbiamo una coscienza che ci rende unici e con la quale potremmo progredire, ma è un processo a lungo termine e quindi non costatabile nel corso della nostra breve vita.
La natura è la nostra realtà, segna i nostri limiti ai quali si oppone la forza della sopravvivenza che ci dona l’ingegno a superare i momenti critici e distruttivi.
Il prezzo da pagare è sempre alto, se pensiamo alle tantissime vittime che rimangono sul percorso del nostro divenire.
Per questo credo che il passato debba essere conservato nel presente, che quindi anche le vittime siano presenti in tutti i superstiti che hanno il dovere di conservarle e rispettarle.
Il vincitore deve rispettare il vinto, perché la vita consiste nel vincere e perdere, e di lei siamo tutti attori e vittime.
Mi dispiace di non poterti dare una risposta più precisa e chiara. Credo che non possa esistere, se non quella che riusciamo a formulare sempre di nuovo e che quindi la vita sarà capita solo quando saremo arrivati alla nostra fine.
Saluti.
Lorenzo
Cari amici, vi ringrazio tutti per i nuovi interventi.
Lo ripeto ancora una volta: l’argomento che ho proposto è davvero “spinoso” (di quelli che può anche accendere gli animi), per cui vi sono grato per il confronto civile e rispettoso pur nella diversità di opinioni.
Lo apprezzo moltissimo.
Grazie. Grazie davvero.
@ Effeffe
Scusami Francesco, eri finito nell’antispam perché – immagino – il sistema ha ritenuto “strani” i link che hai fornito.
Ma ti ho prontamente recuperato:-)
Ne approfitto per dire ancora una volta a tutti che il sistema antispam di kataweb è imperfetto. A volte ci finisco pure io, con miei commenti.
Abbiate pazienza, dunque.
–
Mi scrivi: “Devo dire che come al solito riesci a far comunicare posizioni molto distanti senza che volino forbici e coltelli”. Io ce la metto tutta caro Francesco, perché sono convinto che quando la discussione si accende troppo si finisce con il concentrarsi su “forbici e coltelli” anziché sul proprio pensiero (eppure il confronto – anche tra voci distanti – è essenziale per la crescita comune). Ma senza la collaborazione di tutti non avrei alcuna speranza. Per questo ne approfitto, ancora una volta, per ringraziare tutti gli intervenuti.
E grazie a te per il corposo e bell’intervento.
Un saluto e un ringraziamento anche a Bianca Garavelli, appena intervenuta.
@ Sergio
Scrivi: “se la gente sapesse di avere delle brave persone a fare i divieti di pubblicazione, il divieto verrebbe osservato e il libro non venderebbe una copia”.
In una società perfetta, popolata da governanti perfetti, legislatori perfetti, cittadini perfetti… ci sarebbero scrittori perfetti con testi eticamente perfetti e non ci si porrebbe nemmeno il problema di “vietare” alcune pubblicazioni.
Ma sarebbe una società perfettamente utopica e – forse – perfettamente falsa.
–
Come ha già scritto Renzo, rispondendo alla mia domanda, la teorica imposizione di un divieto di pubblicazione finirebbe con il “potenziare” il libro incriminato e i suoi contenuti.
Questo, a mio avviso, è uno dei motivi per cui sarebbe rischioso imporre divieti di pubblicazione.
Sono d’accordo, invece, con chi ritiene opportuno “contestualizzare” certi testi (magari facendoli precedere da una prefazione).
Per Giulio Mozzi.
Nessun mistero, Giulio.
Volevo solo ribadire che – detto in parole povere, comunissime – “è bello ciò che piace”, anche se eticamente schifoso. Senonché a me non piacciono i testi eticamente schifosi, come quelli di Céline. Non mi piacciono e, di conseguenza, non li considero (né li chiamo) belli.
Tutto qui. Ciao, Ausilio Bertoli
Se sapevi gia’ la risposta ”perfetta”, Massimo, che l’hai fatta a fare la domanda?
Comunque tu, Massimo, ci chiedevi:
”È molto difficile immaginare un divieto preventivo alla pubblicazione di libri (anche qualora superassero palesemente limiti etici condivisi).
Ma immaginando che ciò possa essere possibile, e considerando che un libro “vietato”, in un modo o nell’altro, circolerebbe comunque…
la teorica imposizione di un divieto di pubblicazione, potenzierebbe o depotenzierebbe il libro incriminato e i suoi contenuti?”
–
Ed io ho risposto che la gente potrebbe rispettare tali divieti se capisse che son stati posti per il suo benessere da dei politici convinti, seri e veri, non da ipocriti. D’altronde altre leggi la gente le rispetta, no? Ecco: rispetterebbe, in questo caso, anche una censura. Stavo nel caso che tu ipotizzavi. E ho risposto come la pensavo io.
(Ovviamente parto dal presupposto che una legge qualsiasi va SEMPRE rispettata: se non ci piace dobbiamo cambiarla per mezzo dei legislatori. Ovvio. Ed anche giusto. Il principio di legalita’ e’ questo, ed in Europa in genere la gente lo sa e si regola di conseguenza.)
Dunque che c’entra il ”mondo perfetto, eccetera”? Tu hai posto un’ipotesi ed io son restato DENTRO la tua ipotesi – perche’ anche in un mondo imperfetto esistono delle leggi che la gente rispetta, pertanto ho detto ”se la censura venisse praticata… ecc…” Il resto l’ho gia’ detto prima.
Tu hai usato il periodo ipotetico (”se…”) ed io ho fatto altrettanto per risponderti (”se…”). Meglio di cosi’…
Ciao bello
Cara Antonella,
La cito, quando Lei vuol ”Ricordare quanto Celine, e altri come lui,( Caravaggio, Kantor, Pound,Nietzke, Caccioppoli- e apposta cito interpreti di diverse branchie dello scibile umano) abbiano umanamente pagato la loro folle genialità.”
–
E immagino: che costoro abbiano invece ”genialmente pagato la loro folle umanita”’? Est modus in rebus – cambiando l’ordine delle quali il risultato cambia.
Saluti Cari
Sozi
P.S.
Caravaggio era anche un assassino. Pound no, anzi una vittima completa dei suoi connazionali, un ingenuo, un vero poeta. Nietzsche uno scrittore, un ottimo saggista ”in odor di filosofia”, non un Platone di certo. Caccioppoli un matematico anarchico napoletano (il film con Cecchi lo vidi decenni fa), Kantor non lo conosco.
Lorenzo Russo,
ti voglio rassicurare sull’Italia: nessuno trasmette film pornografici alle diciassette, nella nostra Patria, io lo ponevo solo come esempio paradossale, estremo ma nel futuro purtroppo possibile – rileggi meglio i miei interventi, scusa. Pero’ mandano in onda, in Italia, gli incontri di catch di pomeriggio, questo si’. Roba da matti. E mandano a dormire i figli a mezzanotte. Altrettanto folle. Inoltre rispondo con poche parole alla tua ”risposta-domanda irrisolta”: Dio o gli Dei. Spirito. Queste sono le strade. Le mie, che credo nell’invisibili cose piu’ che nella falsa materia delle visibili.
Ciao, bello
Sergio
la teorica imposizione di un divieto di pubblicazione, potenzierebbe o depotenzierebbe il libro incriminato e i suoi contenuti?
–
Credo che non si possa generalizzare; dipende, a volte e in certi contesti l’uno, altre e in differenti contesti l’altro. E dipende anche da quali sono i contenuti in questione.
Nel caso si pubblicassero gli scritti di Céline oggetto del post, suppongo che censurati o no venderebbero circa 500 copie in tutt’Europa, o giù di lì. A me nemmeno “viaggio al termine della notte” è piaciuto, considero “minore” anche il Céline letterario.
Giulio Mozzi,
in risposta ala tua precedente saro’ chiaro: secondo me potevamo far a meno di questo Celine minore. Noi lettori, l’editore e Celine stesso. Se questi fosse stato persona migliore non li avrebbe nemmeno scritti. Perche’ questa non e’ letteratura, e’ propaganda pura e semplice. E la propaganda, come i messaggi elettorali, dovrebbe aver il buon gusto di scriverlo sopra la busta da lettere, o la copertina: ”Questo e’ un messaggio promozionale”.
Si dovrebbe aver il buon gusto. Ho dimenticato il ”si”, scusate.
Noncisiamo:
perche’ ti denomini cosi’, ora? comunque io e te ”ci siamo”: la penso come te, pur vedendo alcuni aspetti positivi di Celine. Pochi ma ci sono.
ciaociao
Sergio
Caro Francesco Forlani,
per Pasolini il mio disgusto va al suo film ”Salo’ o le…” e ”Sputero’ sulle vostre tombe” di Vian mi disgusta altrettanto. Per Beckett forse mi sono espresso male, lo ammetto: disorientamento, di fronte all’ ”Aspettando Godot” e’ il termine giusto, almeno per me. Non intendevo comunque essere offensivo, per carita’, Francesco! Esplicito pero’ si’: perche’ scrivere comporta anche almeno una responsabilita’ netta: accettare che qualcuno ti dica che gli procuri disgusto quando tu chiaramente e consapevolmente (quel Pasolini, de Sade, Vian, Celine, eccetera) provochi il disgusto. Chi provoca il disgusto e lo fa volutamente deve accettare il disgusto che ha provocato, direi, no? Ecco. Rendo onore agli intenti di quegli autori in quelle opere – preciso: nelle opere citate e in quasi tutte per quanto riguarda Celine, Vian e de Sade.
Ciao, caro
Sergio
E il mio disgusto e’ espresso e motivato al millimetro sopra. Lo riporto pero’ qui sotto per chiarezza:
Insomma: la bruttezza e’ sotto gli occhi di tutti; solo i veri artisti riescono a farci vedere anche la bellezza. E il bene. Solo i grandi sono capaci di amarci scrivendo e parlando, alcuni solo vivendo – piu’ bravi ancora, sono questi ultimi. L’amore e’ la cosa piu’ ardua del mondo, non il rimasticare e risputare ovvieta’ malefiche che tutti sentono, purtroppo, nell’anima. Non sopporto gli artisti maledetti – anche perche’ di solito, almeno dal Novecento in qua, i ”maledetti” sono quelli che campano bene colla scrittura, coi film, coi quadri assurdi, brutti e controproducenti… alla faccia degli altri che invece faticano ad emergere perche’ la gente ottusa non capisce che l’amore e’ l’arma vincente, ossia la non-arma, per vivere con onore e Bellezza.
Dunque, per me, meglio il telegiornale di chi mi dice, in 400 pagine, che la vita e’ brutta e l’uomo egoista: grazie, ero fesso, non lo sapevo prima! Almeno il telegiornale non pretende l’intellettualismo – e dice cose realmente successe.
E dietro a tutto cio’ una sola parola: nichilismo – che ne riporta alla mente un’altra – scetticismo – e si abbraccia con queste altre: disperazione, materialismo, atomismo, grettezza, necrofilia, aridita’, cecita’, e il Nulla direttamente. Gli occhi invece sono un bene – al quale solo per amor degli dei e’ concesso rinunciare, si vedano gli aedi ciechi omerici, ciechi che ci vedono meglio di tutti noi. Eeeeh… che piccino il Novecento: ha portato agli allori della gente che avrebbe dovuto fare la schiava, in altre ere. Gente scappata dalla Patria per non finire in galera. Gente che che ora vediamo col foulard e l’espressione da giudice morale, salomonica. Mentre gli studenti del Duemila, grazie al (nocivo, malato) precedente dell’ossequio novecentesco per i ”maledetti”, considerano noioso Leopardi e pedante Manzoni, e considerano anche troppo difficili e ”datati” Dante e Petrarca – i quali scrivevano per amore, nonostante esprimessero anche la propria solitudine e angustia, il proprio isolamento (vorrei vedere: Dante era stato condannato ingiustamente a morte!). Dare amore quando si sta male e’ veramente cosa ammirevole: a fare come Celine, Artaud, Vian e anche Beckett – aggiungo in parte Tondelli e Pasolini – e’ cosa facile, ovvia: scaricarsi della soma. soma-tos: peso, dicono i Greci. Se la tengano in groppa, gli uomini e, se sono nobili, provino a scordarsela e a scrivere sonetti come Petrarca. E a soffrire in silenzio, che gia’ le abbiamo le nostre sofferenze.
–
Ed e’ tutto – per ora: scusatemi per la prolissita’…
Ciao belli!
P.S.
L’it. ”Soma” viene dal gr. ”sagma”: carico. Lo sapevo ma ho giocato con la parola ”soma” e ”peso vitale”. In fondo sono sempre uno scrittore: uso la fantasia…
Per Massimo
Bello, questo post. Mi sono appassionato a leggere gli interventi e non mi riesce di smettere. Sarà per il motivo che Céline e il suo “folle” (paranoico?) impegno – letterario e ideologico – fanno riflettere sui contenuti della letteratura, sui personaggi che l’hanno prodotta e la producono, sui contesti in cui è stato e viene accolta, osannata, rifiutata o imposta, e sulla sua incidenza sia nel tessuto sociale sia nella psiche individuale.
Stavolta ti scrivo, però, soprattutto per esprimere a Sergio Sozi la mia ammirazione. Come fa a rispondere con una prontezza e un’acutezza d’analisi simile? E’ un genio del blog. Lo conosco da poco, dato che da poco mi sono avvicinato al tuo blog, ma … càspita!
Senza nulla togliere al valore di parecchi altri tuoi amici blogger (spero anche miei).
Un’ultima cosa: Noncisiamo dà risposte – peraltro condivise – di una stringatezza unica ed emblematica. Chi sarà mai? Forse un critico letterario?
Ciao, Ausilio Bertoli
@ giuseppe ausilio bertoli
Mi sa che i geni si riconoscono tra di loro, così come gli imbecilli
🙂
Comunque ribadisco che il problema è etico e pratico, ma non è di facile soluzione. In un’ipotesi e nell’altra c’è un grave rovescio della medaglia. L’es. classico della c.d. coperta troppo corta rende l’idea.
@ Massimo
In una società perfetta, popolata da governanti perfetti, legislatori perfetti, cittadini perfetti… ci sarebbero scrittori perfetti con testi eticamente perfetti e non ci si porrebbe nemmeno il problema di “vietare” alcune pubblicazioni.
Ma sarebbe una società perfettamente utopica e – forse – perfettamente falsa.
aggiungo: non riscontrabile.
Una società perfetta finirebbe di non aver bisogno di pensatori ecc.
L’essere umano vivrebbe in essa senza coscienza, essendo la coscienza a darci il senso di contraddire o approvare. Intendo che abbiamo tutti il bisogno del riscontro della imperfezione per essere stimolati ad esprimerci, approvando, disapprovando o esponendo qualcosa di diverso e proprio.
Saluti.
Lorenzo
@ Sergio
per fortuna direi. Si apprende di più nella coscienza di essere insipiente, stato che genera il buon senso dell’umiltà davanti a tutto ciò che ci sovrasta e che sembra maestoso e inimitabile, che nella presunzione di poter dare a ogni domanda una definitiva risposta.
Il porsi delle domande testimonia l’esistenza di una coscienza; la mancanza di una risposta chiara e definitiva dimostra che viviamo un’esistenza limitata e da scoprire, seppure parzialmente, soltanto attraverso una continua ricerca sana e stimolante tutti i nostri sensi ed intelligenza.
Tutto questo determina il processo della nostra esistenza che ci tiene in un movimento continuo verso il riuscirci e il rimanere indietro. Dal riuscirci può sorgere lo stimolo della presunzione, mentre nel rimanere indietro quello della rassegnazione e sottomissione, a chiunque voglia prevalere con la forza, la falsità, l’ipocrisia.
È come un giocare con l’altalena; si sale, si scende, e il gioco sembra non finire mai, fino a quando l’energia impegnata con la volontà e il desiderio di scoprirne il segreto sia consumata o sostituita da un’altra energia migliore, onde poter rimanere sul gioco.
Ho riletto con calma il tuo intervento e mi scuso della disattenzione, causata dalla mancanza di tempo per dover adempiere in fretta agli impegni di casa.
Saluti cari.
Lorenzo
Buona domenica a tutti e grazie per i nuovi commenti.
–
(l’ultimo commento di Sergio Sozi è delle 2:41 am; quello di Giuseppe Ausilio Bertoli delle 4:05 am)
p.s ma non dormite mai?:-)
@ Ste
Non capisco il senso del tuo commento delle 10:56 am. Mi pare una provocazione inutile (chiedo che non venga raccolta).
@ Lorenzo
Sono d’accordissimo con te quando dici “Una società perfetta finirebbe di non aver bisogno di pensatori ecc. L’essere umano vivrebbe in essa senza coscienza, essendo la coscienza a darci il senso di contraddire o approvare. Intendo che abbiamo tutti il bisogno del riscontro della imperfezione per essere stimolati ad esprimerci, approvando, disapprovando o esponendo qualcosa di diverso e proprio”.
@ Giuseppe Ausilio Bertoli
Sono lieto che questa discussione abbia suscitato il tuo interesse e sono certo che Sergio sarà felice dei tuoi apprezzamenti a lui rivolti.
Sergio, io non ho risposte perfette né domande perfette.
Il mio sforzo è quello di offrire uno spazio, un luogo di incontro (che tu sfrutti moltissimo, mi pare… i tuoi commenti per numero e mole superano nettamente i miei) dove poterci confrontare in maniera serena anche su temi controversi come questo. Molto spesso fungo da moderatore per dare spazio a te e agli altri, sforzandomi al massimo per evitare liti. Ma non credo che questo mi possa impedire, ogni tanto, di esprimere anche le mie idee… non trovi? La mia idea vale come quella di chiunque altro, questo è evidente… così come le mie risposte (opinabili, come quelle di tutti). Non c’è bisogno che tu le stigmatizzi come “risposte perfette”.
–
Adesso devo chiudere.
Tornerò più tardi (spero).
Similis simili gaudet, dicevano già i latini (ed è verità che accomuna, per la quantità dei simili, soprattutto gli imbecilli). E rispondo con questo all’ironia di Ste. Facile fare battute, anche fulminanti, così come raccontare barzellette. Difficile dialogare e ancor più far salire di tono il dialogo aprendo riflessioni nuove, come mi sembra abbia fatto sinora egregiamente Sozi. Quanto al discorso su Celine e simili lo ridurrei (tendo sempre a ridurre) a un problema di applicazione: come si sa, per riuscire in qualcosa bisogna applicarsi; impossibile accedere a vette di eccellenza, anche e soprattutto negli sport, senza applicazione. Il genio poi può esplicarsi in qualsivoglia direzione: a scoprire la chiave dei geroglifici come a costruire bombe, anche atomiche. Ecco, si tratta di vedere, in quale senso vogliamo andare, ci vogliamo applicare, vogliamo coltivare pensieri o attività sessuali, scrivere libri o fare come le scimmie negli zoo tutto il giorno (non è detto in senso assoluto – lo dico per Zauberei – che siamo noi migliori delle scimmie, ma loro non possono scegliere, costrette da noi, e sono iperattive con l’unico divertimento che resta loro). Concludendo: ammesso che Celine sia geniale, quantomeno ha indirizzato male la sua genialità.
@ Ste
Credo che Ste non voglia essere un mio amico, letto l’intervento. Pazienza. Dispiace perché le sue analisi non sono affatto da relegare nel dimenticatoio. Anzi.
Ma, gentile Ste, se manca il contradditorio, se c’è l’assonanza totale di idee o analisi, che senso hanno i blog essenzialmente letterari?
Spero converrà con me: solo la diversità di opinioni, anche se “pepatissime” o affatto non condivisibili (l’offesa mi sdegna) genera ulteriori confronti, nuove analisi e apre prospettive diverse.
Ho citato Sergio perché è di una prontezza, di una capacità discorsiva e di un attaccamento al blog a dir poco stupefacenti: non tiene per sé nessun commento, lo “spiffera” apertamente. Ha il coraggio che ciascun blogger dovrebbe avere, in altre parole. Secondo il mio punto di vista. Come lo ha lei. Senza fare prediche e, tanto più, senza dare al termine “genio” quel valore che gli è semanticamente proprio.
Però, ragazzi, se non si accetta qualche euforia, qualche incitamento, qualche apprezzamento …
Un saluto cordiale.
@ Massimo
A proposito di Noncisiamo e delle sue risposte concise e condivise, per me oltre ad essere un critico letterario è anche uno scrittore. Sono sulla strada buona?
Ciao, Ausilio Bertoli
De gustibus. Per ogni commento che non condivide, Sozi replica con commenti a raffica. Già solo per questi sono fastidiosi. In genere li salto perché mi danno l’idea di integralismo e prevaricazione. Però in questa discussione la penso come lui.
personalmente trovo il modo di intervenire si sergio Sozi sgarbato nei confronti del padrone di casa, e prepotente.
Laura, sono d’accordo con te.
Vi prego di scusarmi. In questo momento ho ospiti a casa e non posso seguire la discussione. Poi dovrò uscire e rientrerò solo in tarda serata.
Grazie per i nuovi interventi (abbracci a Laura, Angela, Gianmario).
–
@ Ausilio
“Noncisiamo” (alias Rex) è un commentatore storico del forum “leggere e scrivere” di Paolo Di Stefano, e da un po’ di tempo frequenta anche letteratitudine. Però non conosco la sua verà identità, per cui non posso risponderti (anche se non mi pare che pubblichi libri). Se vorrà potrà risponderti lui.
–
Please… niente litigi e provocazioni inutili.
Ancora grazie e buona serata.
Sono un po’ verbosetto, lo ammettero’: ma mica tolgo agli altri il diritto di replicare. E se parlo a Massimo cosi’ e’ solo per amicizia e sincerita’, mai per mancanza di rispetto, per carita’, scherziamo? Parlo con un intellettuale ed una persona, Massimo, che stimo al… Massimo!
E a cui voglio bene. Sinceramente e senza dubbio alcuno.
Dunque riconfermo al caro Massimo il mio inattaccabile rispetto per lui e per questo blog che gentilmente mi ospita: non pensavo di poter esser interpretato come offensivo, ma solo come uno che esprimeva qualcosa in proposito dopo che gli era stata posta una domanda. Se uno mi chiede: se ci fosse la censura tu cosa ne diresti? Io rispondo: penso che… eccetera. E non per offendere. Mai. Solo perche’ mi e’ stata posta una domanda ed ho quindi il diritto di rispondervi. Civilmente.
E saluto amichevolmente anche i miei ”non lettori concordanti”, come mi par siano Angela e laura. Alle quali specifico che io scrivo a raffica quando ho da dire qualcosa che mi viene in mente un po’ per volta: dunqu invio un commento, poi vedo che potrei integrarlo con altre cose importanti e ne invio un altro… e cosi’ via. Umano, mi pare. Non offensivo. Io non offendo mai nessuno, al limite tratto male le opere di qualcuno: ovvio: chi scrive accetti applausi e fischi – come faccio io in prima persona, mi sembra.
Salve
Sozi
Caro Giuseppe Ausilio Bertoli,
grazie di cuore per la Sua stima. Scrivo per incontrare gli uomini, per ascoltarli e dialogare, apertamente, amorevolmente, francamente. E con persone come Lei da’ gusto interagire, perche’ anche Lei non scambia la passione letteraria, sentimentale ed intellettuale, per veemenza rivolta contro la persona. Questa ultima infatti non mi appartiene per nulla.
Cordialmente
Sozi
Tutto e’ nato da un ”qui pro quo” che vorrei spiegare, a modo mio ma spero limpidamente: Massimo ha chiesto: se esistesse la censura preventiva, secondo voi il libro censurato diverrebbe un best seller? Io gli ho risposto: non lo diverrebbe nel caso che i censuratori fossero persone coerenti ed oneste, dotate di amore e sani principi rivolti alla gente che amministrano e dalla quale vengono eletti. Ora, ecco, per realizzare questo, non c’e’ alcun bisogno di avere un ”mondo perfetto”, ma solo dei politici minimamente onesti, corretti e eticamente motivati – ed essi in realta’ ESISTONO tutt’ora, anche se non lo sono tutti, ovviamente. Dunque il ”mondo perfetto” di Massimo mi sembra un discorso fuorviante dall’argomento: e dico questo perche’ ammetto la validita’ di molte altre e diverse leggi dello Stato italiano. E perche’ fra perfezione ed imperfezione totale ci sono una gran serie di sfumature che credo giusto vedere e ammettere.
Tutto cio’ cos’avrebbe a che fare con l’essere offensivi? Io ho solo detto che la perfezione non c’entrava niente col discorso. E lo ridico. Senza offendere nessuno personalmente – come prima e come sempre faccio.
Gianmario,
gia’: ammesso che Celine sia geniale. Io lo considero uno dei tanti scrittori moderni sopravvalutati solo grazie al nichilismo e al materialismo imperanti. Nichilismo e materialismo sempre esistiti nella societa’ di ogni era, ovviamente, ma solo minoritariamente; mentre oggi in maggioranza. E scherzosamente finisco con un ”O tempora, o mores!”.
Sergio
Buccimpero
« Quello in cui viviamo è il migliore dei mondi possibili. »
(Gottfried Leibniz)
–
« Nulla va considerato come un male assoluto: altrimenti Dio non sarebbe sommamente sapiente per afferrarlo con la mente, oppure non sarebbe sommamente potente per eliminarlo. »
(Gottfried Leibniz, Lettera a Magnus Wedderkopf (1671)
da wikipedia (copia.incolla a cura di Noncisiamo)
Gia’, Noncisiamo, peccato, per Leibniz, che Dio non abbia mente, essendo questa di per se’ cosa limitata e terrena – o almeno esterna a Dio, che e’ solamente sconfinato, non solo ”intelligente”. E’ oltre ogni essere, direi, con la mia limitata cervice, amico mio.
L’inafferrbailita’ di Dio.
Inafferrabilita’ – pardon.
Dio non si può cum-prehendere, cioè circoscrivere, delimitare, comprendere appunto.
E poi non solo è intelligenza smisurata, anzi è l’Intelligenza, ma è Amore e Luce, come ci dice san Giovanni nel Prologo.
La Passione di Gesù è Male assoluto – terribile, perché volontà di male contro un innocente e per di più benefattore, tant’è vero che Dante schiaffa al’Inferno più nero i traditori dei benefattori – e Bene assoluto. Per questo è misteriosa.
L’Olocausto: Male assoluto. Volontà di male contro innocenti. Misterioso il disegno che ha permesso che tutto questo accadesse.
Una cosa bella che ho sentito in questi giorni: il filo spinato dei lager è la più grande corona di spine della storia.
Chi nega
Caro Sergio,
ti ringrazio molto per le belle parole, ma mi permetto di farti notare una cosa. Avevo posto una domanda e – dopo che tu e Renzo avevate risposto – ho provato a rispondere anch’io (alla mia stessa domanda) appoggiando quella di Renzo. Subito dopo tu hai replicato: “Se sapevi gia’ la risposta ”perfetta”, Massimo, che l’hai fatta a fare la domanda?”
Vedi… una replica come quella non è di per sé offensiva, ma nasconde intenti inibitori (sicuramente involontari) del pensiero altrui e dell’altrui possibilità di replica. Da qui la mia considerazione: “non ho domande perfette, né risposte perfette… ecc. (vedi commento delle 3 pm)”
Ma non ha importanza. Rivolgiti a me come ti pare.
–
Sui commenti a “raffica”…
La questione ogni tanto ritorna. L’ultima volta – mi pare – con Rex (che però era nuovo del blog).
L’ho già detto e lo ripeto. Non ci sono limiti numerici alla possibilità di rilasciare commenti. Però bisogna sempre usare il buon senso (ed autoregolarsi).
Scrivere un numero eccessivo di commenti può in effetti essere fastidioso (e bada bene… in teoria io avrei tutto l’interesse a far sì che il numero dei commenti per post aumenti sempre più).
Ti spiego.
È come se in uno studio televisivo gli ospiti avessero i microfoni accessi e c’è uno che (a volte nei talk show accade) cerca di parlare sempre per far prevalere la propria opinione su quelle degli altri.
Oppure…
è come quando, in una grande “tavolata”, nell’ambito di una discussione, uno dei commensali – non pago di aver espresso il proprio parere una volta – comincia a parlare più degli altri e comincia a dire la sua a ogni parola detta dagli altri. Magari dice cose interessanti. Ma se esagera può diventare fastidioso.
Ora, io sono sicuro che tu sei mosso da una grande esigenza di comunicazione perché lì a Lubiana – forse – ti senti un po’ isolato. Ma se esageri con il numero dei commenti puoi dare l’impressione di un esibizionista o di un prevaricatore. O di qualcuno che vuole mettersi in mostra sempre e comunque.
Tutto qui.
Da qui la necessità di autoregolarsi.
Anticipo che domani pubblicherò un nuovo post (con il contributo di Antonella Cilento) dove affiancheremo Proust (e la Recherche) alla Ginzburg (del “lessico famigliare”). In che modo?
Lo vedrete.
Per il momento auguro a tutti buonanotte.
“Tra breve, signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l’Argentina, viva l’Austria. Non le dimenticherò.” Questa fu l’ultima frase di Adolf Heichmann prima di morire per impiccagione. Se ne andava così un protagonista della storia che non commise nessun gesto eroico, scoperta sensazionale o efferato gesto di malvagità, ma un uomo come tanti, un lavoratore, un burocrate, un serio professionista. La storia lo ha travolto rendendolo complice del suo capitolo più nero, l’olocausto. Heichmann non solo è colpevole, ma è innocente nella sua colpevolezza poiché agì in un clima in cui le sue azioni erano moralmente giuste secondo la collettività: fu una delle tante macchine che portarono avanti il nazismo convinti di fare il bene e uccidendo milioni di persone. In questo modo il male prende possesso degli individui, conformandosi alla società e agli usi e costumi e tramutandosi in bene o banalità, banalità del male.
–
Interessante riflessione, quella sulla “straordinaria banalità del male”. L’olocausto non sarebbe stato possibile senza una larga collaborazione di persone “onestissime e integerrime” (considerate tali secondo l’etica vigente in quel momento e in quel paese).
–
Io dico che il male assoluto non esiste: il male è assolutamente banale e può riguardarci tutti. Se prendiamo coscienza di ciò, forse non ne diverremo complici involontari.
La “riflessione” sopra (che, per comodità, ho tratto e ridotto velocemente da un sito) dovrebbe collegarsi al tema in questo senso: il male dell’olocausto fu in larga misura faccenda di “banale burocrazia” (e credo che ormai sia chiaro il concetto di “banalità”).
Quindi pubblicare i testi di Celine serve/servirebbe a guardarci dentro e a prendere coscienza che nessuno è immune dal male se non impara a riconoscerlo. E quindi non c’è nulla di più pericoloso e di immorale che la censura, secondo me.
E anche la necessita’ di regolarsi nell’esprimere due righette offensive dovra’ esserci pure, no? mi riferisco a chi insulta e non viene mai, qui, limitato. Inoltre un blog non e’ una tavolata: qui si puo’ scrivere anche a raffica, che’ c’e’ spazio e ordine per tutti, come i libri in unoa libreria: ognuno se lio sceglie come vuole – e in piu’, per il blog, aggiunge i suoi. Questa e’ scrittura grafica, non orale. La tavolata e’ cosa diversa: se parla uno non parla l’altro.
In ogni caso il fatto del ”mondo perfetto” non era stato posto in ballo da altri ma solo da te, Massimo. E ho detto quel che pensavo, con affetto e atteggiamento intellettuale come sempre, non personale.
Buonanotte, caro, e grazie di tutto come sempre
Sergio
P.S
Scusatemi per gli errori di battitura. Non refusi: errori di battitura.
Noncisiamo,
tu lanci i quesiti e poi sfuggi alle risposte. Comunque ti rispondo: in una condizione di democrazia come quella – nonostante certe pecche – attuale, io credo che il male non sia banale ma voluto e portabile in galera. E’ la superiorita’ della Repubblica, quella che cerco di affermare. Ma la Repubblica, ohibo’, forse e’ superiore agli italiani di oggi. Non la conoscono per niente. Ma non e’ colpa dei Padri fondatori: Parri, Mazzini, Garibaldi, Calamandrei, eccetera. E’ colpa della mancanza di Repubblica nell’animo attuale: della dissoluzione e la perversione, del basso impero sociale di oggi. Sociale basso impero, non istituzionale, caro Noncisiamo. E’ il popolo a ”non esserci”, non le leggi e i fondamenti.
Massimo, comunque, una parola per tutte, da uomo d’onore:
parlo con degli intellettuali. Lo so e mi regolo di conseguenza. Considerando sempre l’affetto per tutti e la loro capacita’ di discernere e replicare. In un mondo imperfetto. Io lo faccio con amore – e si vede: lo preciso sempre. E chi piu’ ha da dire piu’ dica. Io ho molto da dire e molto dico. Se no taccio. Con te non ero d’accordo perche’ il ”mondo perfetto” era cosa fuori argomento, che avevi proposto tu… cosa posso farci? E’ cosi. Intellettualmente cosi’: un inellettuale porta cose al dibattito, credo io, non denigra quelle degli altri. Chi denigra – e non mi riferisco a te – e’ una servetta, una lavandaia, un pettegolo. Non qui, non noi tutti a Letteratitudine.
‘Notte
Massimo, tu gli hai fatto notare quella sua espressione infelice “Se sapevi gia’ la risposta ”perfetta”, Massimo, che l’hai fatta a fare la domanda?”
Hai visto come ti ha risposto? Quello parla di “mondo perfetto” che non c’entra nulla. C’è poco da fare.
Poi, il signore, ha detto: “qui si puo’ scrivere anche a raffica”. Definitivo e senza possibilità di appello.
Massimo rassegnati. E’ così, l’ha deciso lui. Non ti rimane che andartene e lasciare il blog nelle sue mani.
–
p.s. la violenza assume molte forme
@ Laura-Angela
Sergio è una personalità spiccante del Blog. Lasciatelo fare per il suo e nostro bene. Le sue dichiarazioni e risposte ci inducono sempre a riflettere e lo facciamo accordando o indicando un’altra via o non rispondendo.
Io ho sempre avuto una risposta, anche se immagino che non lo avrà sempre soddisfatto. Non sempre ci sono risposte soddisfacenti, perché tutto sommato non siamo sapienti che di una particella della risposta definitiva nella quale sapere tutto e non avere più bisogno di porre nuove domande o richieste.
Sergio è a mio parere sincero e corretto e amichevole, tanto da correggersi da solo quando si accorge di avere esagerato con il tono. Perché voler ridurre la sua passione di scrivere su questo Blog con il suo consueto accanimento, che è quello di un letterato colto e interessato a comunicare con noi tutti.
Una volta che l’abbia riconosciuto come tale, mi rallegro sempre su ogni suo intervento e mi mancherebbe se un giorno dovesse smettere.
Saluti.
Lorenzo
Lorenzo, io credo che se Massimo che è il padrone del blog da delle indicazioni bisogna assecondarle e tenerne conto. perché siamo in casa sua, non per altro.Massimo ha invitato a limitare i commenti a raffica e Sozi ha detto chiaramente che se ne frega. Questa mi pare una forma di violenza e prepotenza, coma ha detto anche Laura. E se tu lo spalleggi, lo inciti a questa forma di prepotenza. Se poi Sozi ha voglia di scrivere con accanimento perché non apre un suo blog e prova a dargli l’autorevolezza che Massimo ha dato a letteratitudine? Dubito che ci possa riuscire.
sarà il caso di immischiarsi nel confronto tra un forumista e il “padrone”?, cara Angela? Io non credo, sono fatti loro, e cerchino loro l’equilibrio possibile, in questo che è il migliore dei blog possibili.
Chi sei tu, Angela, per immischiarti? Se Massimo vuole contenere Sergio, dispone di mezzi “padronali” più che efficaci, non temere.
Ste femmine! sempre dalla parte del padrone…
Noncisiamo, le femmine dalla parte del padrone sono quelle che frequenti tu (povere loro). Io ho risposto a Lorenzo e sei tu che ti sei immischiato. Chi sei tu?
Tu hai rispsoto a Lorenzo e io ho interrogato te: perché, non si può?
Sei tu che dici che non è il caso di immischiarsi, non io.
Hai cominciato tu, è colpa tua! Lo dirò a MASSIMO! 🙂
Noncisiamo,
tu lanci i quesiti e poi sfuggi alle risposte, dice Sergio.
–
Tu accusi immotivatamente, rispondo io. Perché intanto io non ho lanciato alcun quesito, semmai ho detto la mia. Poi la questione della “banalità del male” non mi pare che tu l’abbia compresa. La tua cieca adesione a un ente statuale quale che sia, somiglia proprio a quella banalità del male di cui parlavo. La Repubblica è un consorzio di individui che le accordano il consenso finché lo merita, non un “ente supremo”, come tu sembri credere. Per cui la Repubblica va vigilata e criticata (quando necessario) come ogni altra cosa al mondo. E se la Repubblica censura (oltre il minimo necessario) sbaglia, e si può e si deve criticarla.
Per cui ricambio l’immotivata accusa di essere sfuggente che mi hai rivolto, con una ben motivata accusa di scarsissima lucidità intellettuale, da parte tua, in questo argomento.
@Sergio
Ti propongo, con un “escamotage”, di abbandonare i discorsi storico-politico-filosofici e di raggiungerci nello spazio dedicato alla traduzione, ché ti dobbiamo chiedere qual è la differenza tra:
ANIMA- MENTE e SPIRITO in Emily Bronte.
Mica Massimo le cose te le dice per niente: Il a l’intention de te “sauver”, je crois.
@ Angela-Massimo-Noncisiamo-Sergio
intendete, per favore, il mio intervento come richiamo a non esagerare con le accuse e le difese.
Io personalmente ritengo gli interventi di Sergio a volte sì accesi, ma non offensivi, ad ogni modo interessanti e incentivanti al colloquio.
Ritengo giusto e tollerabile lasciarlo comunicare, anche se poi il suo temperamento, sollecitato dall’interesse per l’argomento, lo spinge a inviare messaggi a raffica. In essi noto l’interesse attivo di scambiare opinioni e di comunicare con noi tutti. Espleta così il suo diritto democratico di partecipazione libera al blog. Ho sempre notato, che lui stesso alla fine si era scusato, se qualcuno si fosse dimostrato offeso dal suo modo troppo acceso di intervenire.
Di più non vale la pena di dire. In quanto al padrone di casa, si conoscono e stimano abbastanza da non avere bisogno dei nostri appoggi.
Saluti a tutti.
Lorenzo
Gentile Lorenzerrimo, se non ha nulla da dire eviti quanto meno di richiamare me: primo perché non si capisce chi l’abbia delegato a fungere da socio moderatore, secondo perché non si capisce quale sarebbe l’esagerazione: lei esagera l’esagerazione, esagerando eziandìo, se m’è concesso.
Cortese Lorenzerrimo, in sintesi: posso, per favore, richiamarla a non esondare?
Va be’, gente: io non accuso ne’ accusero’ mai nessuno. Io discuto.
Ciao a tutti
Sergio
–
Lorenzo,
sei una persona molto equilibrata e ti ringrazio per avermi capito. Serve sempre secondo me l’intervento di persone come te che interpretano senza arrabbiarsi le parole di chi – come me – non scrive con rabbia ne’ con intenzione offensiva.
Ciao, caro
Sergio
Ripeto quel che dicevo al Maugger – attenzione: con stima e amicizia, non con arroganza. Bisogna sottolinearlo se no qualcuno non lo capisce solo leggendolo.
Ecco:
–
Massimo, comunque, una parola per tutte, da uomo d’onore:
parlo con degli intellettuali. Lo so e mi regolo di conseguenza. Considerando sempre l’affetto per tutti e la loro capacita’ di discernere e replicare. In un mondo imperfetto. Io lo faccio con amore – e si vede: lo preciso sempre. E chi piu’ ha da dire piu’ dica. Io ho molto da dire e molto dico. Se no taccio. Con te non ero d’accordo perche’ il ”mondo perfetto” era cosa fuori argomento, che avevi proposto tu… cosa posso farci? E’ cosi. Intellettualmente cosi’: un inellettuale porta cose al dibattito, credo io, non denigra quelle degli altri. Chi denigra – e non mi riferisco a te – e’ una servetta, una lavandaia, un pettegolo. Non qui, non noi tutti a Letteratitudine.
‘Notte
–
A questo messaggio aggiungo solo una cosa: che io non litigo con nessuno. E’ inutile tirarmi per la giacca. Io non litigo e mi si puo’ criticare come lo si vuole – senza scadere nell’insulto e nel personale in senso triviale ovviamente, come faccio io. Chi mi legge da anni lo sa.
–
Saluti affettuosi ad Angela, laura, Noncisiamo, Maugger, Lorenzo e a tutti voi.
Sergio
Poi rispondo a Noncisiamo sulla Repubblica,
saro’ cieco, forse. La mia linea comunque e’ questa: secondo me e’ ottimo, quando serva, criticare la Repubblica in nome della Repubblica stessa e dei suoi principi fondamentali. La vedo cosi’.
Criticare la Repubblica quando non agisce appunto da Repubblica. Italiana. E ben costruita su principi diversi da altre Repubbliche.
Ciao bello
Sergio
Infine, Noncisiamo, espongo in sintesi un mio principio: ce ne fossero, di persone che sappiano moderare gli animi quando gli animi intendono scatenare delle risse. Se qualcuno non fa proprie le vie mezzane, sempre un bene eccelso sia che DI PROPRIA INIZIATIVA, le persone moderate moderino, appunto, gli animi. La (manzoniana) rivolta del pane a Milano porto’ forse pane agli affamati? Inoltre in democrazia, dico decisamente, non e’ che una persona parli quando e’ interrogata come a scuola. Parla chi vuole, insomma, e meglio se cercando di calmare gli animi.
Gentile Sergio, lei rigetta gli inviti al contenimento che le vengono rivolti, poi inneggia agli inviti al contenimento in suo soccorso. Non le pare un po’ incoerente?
Poi, in linea di massima non mi pare che i suoi principi debbano essere i miei: se qualcuno si rivolge a me “richiamandomi” quando non ha alcun diritto, io gli rispondo in base ai miei principi, gentile signore. Dei suoi non mi curo. Spero sia chiaro.
Infine, Noncisiamo, espongo in sintesi un mio principio: ce ne fossero, di persone che sappiano moderare gli animi quando gli animi intendono scatenare delle risse.
–
Una domanda, se lo permette: lei intende scatenare delle risse? Perché altrimenti non capisco a chi si riferisce. Io vedo solo lei piuttosto agitato, secondo i miei principi.
Noncisiamo: qui a Letteratitudine non ci sono femmine, ma donne di prim’ordine…
🙂
A tutti: discutiamo sugli argomenti e non su noi stessi!!!
La banalità del male va bene, ma in molti casi vi furono silenzi e omissioni colpevoli e una determinata sistematica volontà di male…
Il bene comunque avrebbe bisogno di anche solo un po’ della determinazione che conosce il male…
Certo, non è il massimo tornare a casa dopo una giornata di lavoro e constatare che un dibattito così bello è scaduto così: un dibattito che comunque confluirà (opportunamento scremato) su “Letteratitudine, il libro – Vol. II” (se mai ci sarà).
Mi scuso con le migliaia di persone che leggono questo sito senza intervenire. Colpa mia. In effetti per evitare che accadano scaramucce di questo tipo dovrei stare 24 ore su 24 on line. Dato che mi è impossibile (non posso certo licenziarmi dal lavoro e abbandonare la famiglia) urge prendere altri provvedimenti (cosa che farò).
Tuttavia, anche epiloghi come questo servono.
Servono per chiarirsi… e per schiarirsi le idee.
Dunque, grazie comunque a tutti… anche per questi ultimi commenti.
@ Sergio
Evidentemente non ci capiamo. È inutile che mi copincolli pezzi di tuoi interventi. Sei liberissimo di esprimere le tue opinioni come hai sempre fatto, anche in netta opposizione a quelle di chiunque altro. Il punto é: posso esprimere anch’io le mie opinioni ogni tanto, oppure no?
Ti comunico per la terza e ultima volta la mia perplessità, nella speranza che tu la colga. Dopodiché ci rinuncio.
Io pongo domande per agevolare le discussioni.
A una di queste mie domande mi sono permesso di fornire una risposta anch’io (una risposta opinabile, come quelle di tutti).
Subito dopo tu hai scritto: Se sapevi gia’ la risposta ”perfetta”, Massimo, che l’hai fatta a fare la domanda?
Il punto è: ogni tanto posso esprimere anch’io il mio parere fornendo risposte (imperfette e opinabilissime) alle domande che pongo, oppure no?
Da quella tua espressione un po’ sferzante, che ho messo in corsivo qui sopra, sembrerebbe di no.
Non so se adesso hai capito l’origine della mia perplessità.
Sulla questione “commenti a raffica” (per l’ultima volta)
****
Ti ricopio il mio commento precedente:
–
L’ho già detto e lo ripeto. Non ci sono limiti numerici alla possibilità di rilasciare commenti. Però bisogna sempre usare il buon senso (ed autoregolarsi).
Scrivere un numero eccessivo di commenti può in effetti essere fastidioso (e bada bene… in teoria io avrei tutto l’interesse a far sì che il numero dei commenti per post aumenti sempre più).
Ti spiego.
È come se in uno studio televisivo gli ospiti avessero i microfoni accessi e c’è uno che (a volte nei talk show accade) cerca di parlare sempre per far prevalere la propria opinione su quelle degli altri.
Oppure…
è come quando, in una grande “tavolata”, nell’ambito di una discussione, uno dei commensali – non pago di aver espresso il proprio parere una volta – comincia a parlare più degli altri e comincia a dire la sua a ogni parola detta dagli altri. Magari dice cose interessanti. Ma se esagera può diventare fastidioso.
Ora, io sono sicuro che tu sei mosso da una grande esigenza di comunicazione perché lì a Lubiana – forse – ti senti un po’ isolato. Ma se esageri con il numero dei commenti puoi dare l’impressione di un esibizionista o di un prevaricatore. O di qualcuno che vuole mettersi in mostra sempre e comunque.
Tutto qui.
Da qui la necessità di autoregolarsi.
–
Caro Sergio, se ti scrivo queste cose ho le mie ragioni. E gli esempi che ti ho fatto non sono peregrini. A parte Lorenzo, Ausilio e Gianmario che ti hanno molto amichevolmente spalleggiato pubblicamente, c’è molta gente che (giusto o sbagliato che sia) vede in questi tuoi interventi continui (nei confronti di tutti) intenti prevaricatori… come se tu avessi la necessità di spadroneggiare e avere sempre e comunque l’ultima parola.
Ora, io dico, una volta che uno esprime il proprio parere (che comunque rimane lì, ben visibile) è proprio necessario ribadirlo più volte, a tutti gli intervenuti?
Bada bene, considera questo mio commento come semplice consiglio. Ripeto, non ci sono limitazioni al numero di commenti che uno può rilasciare. Ma l’uso del buon senso non può fare che bene.
Lorenzo, in riferimento ai tuoi “commenti a raffica” ha utilizzato il termine accanimento… che tuttavia richiama il termine molestia.
@ Noncisiamo
Quella tua battuta – “Ste femmine! sempre dalla parte del padrone…” – era di certo una battuta, di sicuro buttata lì per alleggerire (non ho dubbi); ma è pur sempre una battuta misogina da cui mi dissocio con decisione.
Trovo inoltre eccessiva la tua reazione nei confronti di Sergio Sozi (commento delle 4:42 pm). In generale ti invito a essere un po’ meno aggressivo.
@ Angela
Ti ringrazio, ma – credimi – me la so cavare da solo:-)
E ora, amici… rilassatevi 🙂
E concentratevi su quest’altro post dedicato alle figure di Marcel Proust e Natalia Ginzburg:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/02/03/strane-coppie-marcel-proust-natalia-ginzburg/
Naturalmente chi avesse qualcosa da dire sull’argomento del post che – vi ricordo – è “Pubblicare senza limiti? Il caso Céline” può sempre farlo.
Maria Lucia, era una battuta, te l’assicuro, Che non ci siano femmine su questo blog ne sono più che convinto.
🙂
Questo e’ un blog letterario, fatto di parole scritte, messe in fila da un computer, non da me. Cosi’ e’, cosi’ c’e’ scritto vicino alla parola ”Letteratitudine”. Non e’ un dibattito orale, questo, dunque, in cui questo ordinamento non viene fatto da nessuno – e dunque chi parla, oralmente, impedisce agli altri di parlare.
Qui invece ognuno scrive e il computer automaticamente sistema gli interventi in ordine di arrivo. Se parla Tizio quattro volte ma interviene Caio a mezza via, Caio entra FRA i messaggi di Tizio. Chi legge puo’ inoltre scartare quel che vuole e leggere a suo piacimento cio’ che vuole.
”Molestare”, inoltre, Massimo, non mi sembra il mio mestiere. Io non molesto nessuno: parlo forse per poche persone, pur volendo parlare a tutti come tutti parlano anche con me, spero. Sono lettore quanto autore. E scrivo sapendo di non essere in tivu’ o a un reality show, e leggo sapendo di non leggere interventi da idioti come a un reality show – e invece ve ne sono, qui, e spesso, lo vedi, Massimo? C’e’ gente di quel tipo che interviene e manco la nomino e manco reagisco per spirito cristiano e di pace. Il modello reality show non e’ quello di Letteratitudine, credo e spero.
Il modello di Letteratitudine, a me pare essere quello di una libreria, di un epistolario, un civile epistolario fra scrittori e gente che sappia leggere e sentire il prossimo senza scadere in dispute di tipo adolescenziale-scolastico o televisivo defilippiano. Non parlo di te, lo dico in generale.
E poi ti chiedo, sempre con affetto e stima: si puo’ dire qualcosa di intellettualmente magari sgradevole ma intenso, passionale, amorevole, consequenziale e motivato, qui, o bisogna adeguarsi sempre al primo che si sveglia e scrive ”Tu sei un violento, un imbecille” a qualcun altro che si esprime?
Io non vedo rimbrotti nei confronti di chi mi tratti da violento, per esempio. E violento e’ un termine che non mi appartiene. Forte si’. Violento no. Spero che tu lo condivida, questo mio vedere me stesso assolutamente nonviolento, tutt’altro anzi.
E ho cose da dire. Tante. Chi ne abbia di piu’ parli pure, e’ ovvio: mica lo posso ne’ tantomeno lo voglio vietare, no? Anzi le aspetto, come le aspetti credo tui, Massimo, queste osservazioni contrarie, ma motivate, serie, forti, rispettose, intelligenti. Letterarie. Da letterati.
Non due frasi: ”il signor Sozi e’ irriguardoso”: che vuol dire? Come motiva il suo darmi dell’irriguardoso tale, ipotetica, affermazione un qualsiasi commentatore?
E ancora: ”molesto”? Massimo, io sarei ”molesto”? E’ molesto, per te, uno che ti dice di essere in disaccordo con te – e lo motiva chiaramente ed intellettualmente, solo intellettualmente e spesso con vero e tangibile affetto, come faccio sempre io? Allora meglio dire esplicitamente: questo non e’ un posto di dialogo fra scrittori e lettori ma un luogo in cui si deve concordare ed intervenire brevemente, stringatamente. Chi non concorda fuori, anche se spiega e non offende. Fuori solo perche’ e’ diverso: e’ uno scrittore, e’ un intellettuale, e’ un uomo di sentimento. come fuori da Letteratitudine, dunque: fuori i ”diversi”.
Se vuoi io ci vado, fuori. Ma non certo perche’ l’abbia voluto e cercato. Io resto quel che sono e che (quasi) tutti vedono, o che almeno vedono i miei simili isolati e incolpati dalla societa’ catodica solo di saper leggere e scrivere: un intellettuale che scrive da anni e legge da quando ne aveva cinque. Niente di televisivo, in me: solo ”vecchi” modi di fare novecenteschi. O ottocenteschi. O precedenti ancora, meglio. E un codice d’onore che e’ altrettanto antico e mi spinge ad essere nobile anche nelle peggiori vicissitudini, quale questa. Io ho una parola sola: ”onore”, che per me significa dignita’ iniscalfibile di tutti (mia in primis, e’ ovvio) e anche significa concordia e fratellanza pur nella diversita’.
Ciao
Sergio
@ Noncisiamo
Quella tua battuta – “Ste femmine! sempre dalla parte del padrone…” – era di certo una battuta, di sicuro buttata lì per alleggerire (non ho dubbi); ma è pur sempre una battuta misogina da cui mi dissocio con decisione.
Trovo inoltre eccessiva la tua reazione nei confronti di Sergio Sozi (commento delle 4:42 pm). In generale ti invito a essere un po’ meno aggressivo.
Massimo Maugeri
–
D’accordo Massimo, però mi incuriosisce molto che lo scritto in questione venga percepito come aggressivo, perché davvero stavo moderandomi al massimo proprio per evitare qualche lavata di testa da te. Vabbè, la cosa è comunque interessante per me, perché dev’essere che proprio non me ne rendo conto. In ogni caso raddoppierò l’attenzione, anche se così temo di non poter proprio rispondere qualora interpellato.
Misogena quella battuta? Può darsi, anche su questo rifletterò.
P.S.
Aggiungo una cosa che mi e’ venuta in mente ora – non per ribadire e non per arroganza, non per insistere, ma solo per COMPLETARE, visto che e’ un post scriptum: non starai forse ora adottando una atteggiamento etico contemporaneo, oggi, di tipo omologatorio? Rileggiti, Massimo e dimmi: non mi stai forse discriminando perche’ sono diverso dal pensiero unico che tu tanto rigetti e condanni?
Inoltre ti prego di leggere con attenzione e profondita’ quanto scrivo, senza fretta e magari rileggendo, come faccio io prima di rispondere a te o a chicchessia.
Tuo
Sergio
Scusa, Sergio. Ma tu leggi quello che scrivo? Lo leggi? Riesci a capire o no? Lo hai letto il mio commento di Lunedì, 2 Febbraio 2009 alle 11:25 pm? Lo hai capito o fai finta di non capire?
Io ti ho fatto notare più volte (con questa quattro) quella tua impressione infelice a me rivolta: Se sapevi gia’ la risposta ”perfetta”, Massimo, che l’hai fatta a fare la domanda?
E poi ho scritto…
Il punto è: ogni tanto posso esprimere anch’io il mio parere fornendo risposte (imperfette e opinabilissime) alle domande che pongo, oppure no?
(mi vuoi rispondere, please?)
Da quella tua espressione un po’ sferzante, che ho messo in corsivo qui sopra, sembrerebbe di no.
Non so se adesso hai capito l’origine della mia perplessità.
—
Invece tu scrivi:
“E’ molesto, per te, uno che ti dice di essere in disaccordo con te – e lo motiva chiaramente ed intellettualmente, solo intellettualmente e spesso con vero e tangibile affetto, come faccio sempre io? Allora meglio dire esplicitamente: questo non e’ un posto di dialogo fra scrittori e lettori ma un luogo in cui si deve concordare ed intervenire brevemente, stringatamente. Chi non concorda fuori, anche se spiega e non offende. Fuori solo perche’ e’ diverso: e’ uno scrittore, e’ un intellettuale, e’ un uomo di sentimento. come fuori da Letteratitudine, dunque: fuori i ”diversi”.
—
Io non ho detto che sei molesto. Ti ho solo dato un consiglio (motivandolo adeguatamente): c’è molta gente che (giusto o sbagliato che sia) vede in questi tuoi interventi continui (nei confronti di tutti) intenti prevaricatori… come se tu avessi la necessità di spadroneggiare e avere sempre e comunque l’ultima parola.
Ora, io dico, una volta che uno esprime il proprio parere (che comunque rimane lì, ben visibile) è proprio necessario ribadirlo più volte, a tutti gli intervenuti?
Bada bene, considera questo mio commento come semplice consiglio. Ripeto, non ci sono limitazioni al numero di commenti che uno può rilasciare. Ma l’uso del buon senso non può fare che bene.
Lorenzo, in riferimento ai tuoi “commenti a raffica” ha utilizzato il termine accanimento… che tuttavia richiama il termine molestia.
Sì, in effetti mi sembra che ci sia un eccesso da parte tua Massimo. Te lo dico da ultimo arrivato, che già una prima volta è andato fuori in seguito a un primo malinteso. Adesso ne capita un altro e per me, come vuoi, le regole le fai tu e chi ci sta bene altrimenti cambia aria. Però non puoi tenere un blog senza accettare una critica a tua volta: così facendo impedisci il dibattito. Io non ho percepito Sergio come agressivo nei miei confronti, e sono certo che neppure lui: ci siamo scambiati delle opinioni “duramente” (tutto è relativo, ne ho viste e fatte di peggiori “forumisticamente parlando”) ma con la massima correttezza, mi pare. Doversi addirittura scusare con i lettori per uno scambio di opinioni perfettamente lecito e condotto i toni fermi ma civili, è perfino frustrante per chi cerca di “contribuire”, diciamo così. Comunque ripeto, il blog è tuo e le regole le decidi tu. Poi uno sceglie se partecipare o meno.
Noncisiamo,
Le rispondo: la Repubblica e’ il mio punto di vista – ne ho scritto abbondantemente sopra: se Lei ne ha di diversi e ritenesse giusto esprimerli, mi dica – sto qui per discutere e per crescere. Litigare e’ cosa che il mio tono espressivo non ha. Ne’ le mie intenzioni. Io sono fermo, certo. Fermo ma non ottuso, spero. Rifletto e conto fino a mille prima di rispondere, per rispetto di Lei e degli altri tutti cittadini della Repubblica. La mia Repubblica.
@ Sergio
Scrivi: “non starai forse ora adottando una atteggiamento etico contemporaneo, oggi, di tipo omologatorio? Rileggiti, Massimo e dimmi: non mi stai forse discriminando perche’ sono diverso dal pensiero unico che tu tanto rigetti e condanni?”
—
Discriminando? Discriminando
Atteggiamento etico di tipo omologatorio?
Senti, Sergio… sto cominciando a perdere la pazienza. E, credimi, è difficile che io perdi la pazienza.
Se vuoi intervenire intervieni. Se non vuoi intervenire non lo fare.
Certo, Massimo, che ovviamente tu esprimi le tue opinioni, come tutti noi! Io ho solo detto che il ”mondo perfetto” era cosa che non c’entrava nulla con la tua stessa domanda. E lo ripeto qui: hai chiesto cosa succederebbe se ci fosse la censura preventiva ed io ho risposto quel che ho risposto, restando nella TUA ipotesi. Tu dopo mi replichi dicendo ”In un mondo perfetto…” ecco: che c’entra una legge buona con un mondo perfetto, scusa? Che c’entra? Vai a rivedere quel punto e poi dimmi se non avevo ragione a dirti: ”se sapevi la risposta perfetta…”: intendevo, cosi’, dirti, Massimo: fai una domanda che parla del mondo REALE e poi mi rispondi col ”mondo perfetto”, allora o sei fuori strada tu o lo sono io, o parliamo due lingue diverse.
Ecco. Motivo intellettuale, non personale, non di incivilta’ o di arroganza.
@ Noncisiamo
Io accetto tutte le critiche. Non c’è alcun problema. Ho ingoiato insulti e offese, anche pesanti, senza battere ciglio.
Mi sforzo di offrire un terreno di confronto il più possibile sereno. Dato che non c’è moderazione a priori, cerco di evitare a monte possibili litigi (cosa difficilissima).
Il mio modo di condurre è questo.
A qualcuno non è piaciuto. Ed è andato via.
Se a te non piace sei pregato di fare altrettanto.
Se appena entro in disaccordo con te vengo indicato a dito, questo non mi sembra sia tanto democratico. Mica ti ho insultato.
@ Sergio
Ancora con il “mondo perfetto”?
Ci rinuncio.
Sergio, è due anni che siamo quasi sempre in disaccordo. Mi pare che hai sempre avuto il tuo spazio.
Buonanotte a te e a tutti.
Sergio, io le ho già risposto abbondantemente, se avesse la bontà di dare occhiata a quello che ho scritto probabilmente se ne renderà conto: ma se lei insiste a colpi di Repubblica è un dialogo fra sordi, inutile continuare. Tengo a precisare che la Repubblica è mia, a scanso di usocapioni improvvisi e imprevisti. Conferisco mandato fin da subito alla Lo Iacono per la tutela dei miei diritti.
🙂
Benissimo, caro Massimo. Più che giusto. Grazie per l’ospitalità e per l’occasione di confronto e di crescita che il tuo blog mi ha offerto.
🙂
Mi pare di esser inoltre stato garbatamente associato ad un molestatore. Cosa non piacevole. Non proprio, Massimo.
Va be’, allora ditemi chiaramente: quale precisazione vorreste da me? Ditemelo con chiarezza, per favore e io ve la daro’ seduta stante.
Grazie a te, Noncisiamo.
🙂
–
Sergio,
ho solo detto che i “commenti a raffica” vengono percepiti come molesti da tanti. Se te lo dico ho i miei motivi. È così. Fidati. Qui sopra ti ho solo dato un consiglio.
Ma ora basta… dài. È tardi e siamo stanchi. Andiamo a dormire. Domani, forse, vedremo tutto sotto un’altra luce. Se vuoi c’è un post dedicato a Proust e a Natalia Ginzburg che ti aspetta.
Auguro buonanotte a tutti.
Abbiate pazienza…
In fondo questi scambi hanno un “che” di divertente.
Be’, almeno lo spero.
😉
Massimo. Vuoi sapere, mi hai detto appena, quale sia la mia risposta a questo TUO intervento:
–
”@ Sergio
Evidentemente non ci capiamo. È inutile che mi copincolli pezzi di tuoi interventi. Sei liberissimo di esprimere le tue opinioni come hai sempre fatto, anche in netta opposizione a quelle di chiunque altro. Il punto é: posso esprimere anch’io le mie opinioni ogni tanto, oppure no?
Ti comunico per la terza e ultima volta la mia perplessità, nella speranza che tu la colga. Dopodiché ci rinuncio.
Io pongo domande per agevolare le discussioni.
A una di queste mie domande mi sono permesso di fornire una risposta anch’io (una risposta opinabile, come quelle di tutti).
Subito dopo tu hai scritto: Se sapevi gia’ la risposta ”perfetta”, Massimo, che l’hai fatta a fare la domanda?
Il punto è: ogni tanto posso esprimere anch’io il mio parere fornendo risposte (imperfette e opinabilissime) alle domande che pongo, oppure no?
Da quella tua espressione un po’ sferzante, che ho messo in corsivo qui sopra, sembrerebbe di no.
Non so se adesso hai capito l’origine della mia perplessità.”
–
Ebbene, Massimo, qual era la domanda precisa fra quelle sovrelencate? Vuoi sapere se puoi esprimere il tuo punto di vista? Si’, e’ ovvio! Mica sono io a… ma sei a casa tua, qui! Io sono l’ospite e discorro con te, con tutti, di letteratura di etica, di principi e di vita… Pero ti riferivi al mondo perfetto, qui sopra, no? Cosa vuoi da me, insomma? Io mica lo capisco. Dimmelo e, da buoni amici, ne parliamo. Ma non darmi del ”molestatore”, ti prego: perche’?
Sergio,
bastaaaaaaaaaaa… mi dichiaro sconfitto.
Ti avevo solo chiesto:
ogni tanto posso esprimere anch’io il mio parere fornendo risposte (imperfette e opinabilissime) alle domande che pongo, oppure no?
Punto (interrogativo).
Ora, per favore, la vuoi smettere di molestarmi?
🙂
Dovrei andare a dormire…
Nessuno sconfitto: discorrere serve solo a rafforzare l’amore reciproco, per me. Se no taccio. Tacerei.
‘Notte
E la Repubblica??? 🙂
In seguito a privato carteggio con Massimo Maugeri, riconosco pubblicamente di aver finalmente capito che i suoi richiami erano a fin di bene; inoltre mi dispiaccio nel caso che qualcuno possa aver male interpretato i miei ripetuti interventi, i quali erano solo ed esclusivamente rivolti a questioni d’ordine teorico ed intellettuale di carattere prettamente artistico-letterario, senza pertanto alcun riferimento personale a chicchessia – di presente o assente.
Sergio Sozi
Va bene, Sergio. Grazie mille. Davvero.
Sono sorti una serie di equivoci ora risolti.
Adesso andiamo avanti.
Note dimissorie: da pedante osservo che non mi definirei critico letterario, sia pure in incognito, se scrivessi misogenia anziché misoginia. Plaudo invece a Mary Curl, come al solito, per la sua notazione su “familiare”, bello e di suono migliore perchè già latino (ma l’uso comune tende a farlo scomparire in favore di famigliare).
@ Massimo: questa volta il Buccimpero ha dato ai rematori un ritmo indiavolato con la sua buccina, con i risultati che si son visti. I remiganti si accapigliano e non remano più, e tu, da buon Navigero, devi condurre in porto la nave; ma non rinunciare, alza la vela, potrebbe tornare uno Zefiro favorevole.
@ Buccimpero: suonare il jazz con la buccina è impresa disperata, inoltre tu sai che la tonalità in bemolle può rompere…i chitarrini. Con affetto eh.
Io? Come altri ero al remo e, abbandonandolo, mi è venuto un po’ di mal di mare!
Caro Gianmario,
eh, gia’… la partitura, qui, riproduceva delle note che non desideravo: colpa del mezzo, direi, non dell’ideatore della melodia… Cambiero’ strumento o trascrittura?
Ciao
7 febbraio, Tuttolibri : l’omino con la camicia azzurra campeggia a pag.2
Complimenti! Il giusto premio a un’ottima idea e a un gigantesco sforzo.
Penso e credo da sempre nel potere della parole.
Io stessa sono impregnata e rivestita da parole, plasmata, perchè esse circolano con il mio stesso sangue.
non bisogna porre limiti alla scrittura, alle forme d’arte, alla libertà; Tali proibizioni lenirebbero la bellezza del mondo,di fatti, in via d’estinzione.
La scrittura, in qualsiasi modo essa sia proposta, è il nostro mezzo per rimanere eterni, non-morti.
Quindi libera ARTE per libero MONDO.
@Alessandra: bastassero belle idee e begli slogan, saremmo già in Paradiso. Purtroppo (o per fortuna) anche la libertà è relativa: vale a dire che la tua libertà finisce dove comincia la mia; pertanto, ad esempio, se tu considerassi arte esprimerti come graffitara e, per giunta, non sapessi neanche disegnare ripetendo solo ossessivamente una sigla che hai in testa, rischieresti grosso ad esprimerti liberamente sui muri di casa mia.
Mary Curls c’est moi, n’est pas?
🙂
Viva Massi!
Viva Mari!:)
(@ Gianmario: la vela è alta).:)
Riporto di seguito il contributo di Daniela Marcheschi… che mi ha inviato per mail dietro mia richiesta.
Lo inserisco – a suo nome – nel commento successivo.
Riguardo a Céline, di certi libri come i suoi pamphlets antisemiti, per quanto “ben” scritti, non se ne sentiva proprio il bisogno; lo stesso autore li aveva peraltro ripudiati. Chi dice che si debba ripubblicare tutto, magari con tanto di apparati? Sono forme di misticismo: si dovrebbe pubblicare ciò che ha valore e basta; e in contesti specifici di ricostruzione storico-filologica, anche ciò che ha una particolare rilevanza documentaria: non mi pare questo il caso. Ricordiamoci che Michelangelo buttava via i suoi disegni non riusciti. L’antisemitismo (con il razzismo verso i popoli non europei) è stato d’altra parte per secoli una delle malattie più perniciose della cultura occidentale, e non sarebbe male che anche noi Italiani ne fossimo più consapevoli. Gli studi meritevoli sono recenti in tal senso e ancora troppo pochi.
Voglio insomma dire che uno degli atti fondanti della critica e della letteratura tout court è la scelta responsabile, la selezione, lo stabilire gerarchie, la chiarezza del giudizio. Ogni generazione deve ricreare la propria tradizione, ovvero scegliere ciò che del passato intende trasmettere al futuro. Qui è la nostra responsabilità. Possiamo così decidere che un autore anche notevole e le sue opere in toto non pertengono per motivate ragioni la nostra visione del futuro, oppure che solo alcuni libri di un autore ci riguardano. Questo Céline non riguarda né la mia umanità né la mia idea di letteratura, non quelle che desidererei trasmettere al futuro.
D’altronde la cultura è dibattito e negoziazione, perciò si dovrebbe discutere sempre tutto ciò che viene pubblicato. Forse, invece di protestare e basta, si dovrebbero dare ancora contributi non solo alla confutazione di idee e posizioni là espresse, ma anche alla conoscenza e allo scavo della nostra storia letteraria per essere più consapevolmente vivi e produttivi, per costruire e guardare in alto.
Daniela Marcheschi (che ringrazio per l’intervento) non ha avuto modo di leggere i precedenti commenti, ma ne abbiamo parlato un po’ per telefono. E anche lei (come praticamente tutti noi) conveniva sul fatto che è comunque impensabile imporre dei divieti di pubblicazione a priori.
Publier sans limites ? Le cas Céline
.
“Alors que les polémiques sur le «négationisme» persistent et que celle sur le «jour de la mémoire» s’apaise, je propose une discussion sur un sujet de nature littéraro-éditoriale que je considère très délicat et qui a Céline pour protagoniste.
Ci-après les premières lignes d’un article de Cristina Taglietti publié dans le Corriere della Sera, du 10 Décembre 2008: “Retour en France du Céline impubliable, celui des pamphlets antisémites, écrits de 1937 à 1941 et que l’auteur reniera par la suite (!?!). Les éditions de la Reconquête» une maison d’édition fondée en 2006 sous le patronage de Léon Bloy est officiellement enregistrée au Paraguay. Cet éditeur qui publie des textes ultrareligieux ainsi que des classiques de la collaboration française comme Léon Degrelle et Lucien Rebatet, vient de tirer 5010 exemplaires de “Les beaux draps “, dernier des quatre pamphlets (les autres étant: ” Bagatelle pour un massacre “,” L ‘école des Cadavres “et ” Mea Culpa “), enrichies d’une introduction par Robert Brasillach : “Céline prophète”. Le retour, soixante-sept ans après sa publication aux “Nouvelles Editions Françaises” d’un texte dont la veuve de l’auteur, Lucette Destouches (qui détient les droits) et son avocat François Gibault (biographe de “l’auteur de “Voyage au bout de la nuit») ont toujours interdit la réédition, a suscité en France un débat qui divise l’intelligensia.
Je vous propose de lancer, ici aussi, un débat…
Io ho il libbro di Celine’ Viaggio al termine della notte’ ma istintivamente
non l’ho mai voluto leggere, ho letto tantissimi libri, tra cui tutti i maggiori
Classici della filosofia e della economia, Eppure il libro che amo più di tutti e che mi ha fa fatto piangere è il ‘Diario di Anna Frank’ vchi vuole capire la storia del 1939-45, vuole comprendere l’anima di una adolescente e il suo mondo i suoi sogni e le sue speranze dovrebbe leggere quel libro, insegna più d tutti i trattati di storia e filosofia. In teoria tutto si potrrebbe pubblicare, ma ci sono libri che se letti da un ragazzo di 16 anni potrebbe al limite anche diventare un terrorista e incomiciare a mettere le bombe perchè sene darebbe una giustificazione.Questa è la responsabilità che dovvrebbero avere gli insegnanti soprattutto nell’Università, i quali non solo dovrebbero essere
molto preparati, ma ci dovrebbe essere un vero dialogo con gli studenti, e quindi non solo all’ Università.Lo studente impara dal professore e viceversa.LO scopo vero dell’insegnamento è abituare le persone a ragionare con la propria testa.Vi saluto :Claudio Castellani.
In teoria può essere pubbliato TUTTO,dipende dalla maturità e sensibilità di chi legge. Quando lessi il ‘Mondo come volontà e rappresentazione’ di Schopenauer, stetti malissimo e finchè non arrivai a farmi un giudizio critico su di esso non stavo in pace.Ci sono libbri che ti possono salvare e libri che ti possono anche perdere, dipende dalla sensibilità, dalla maturità e dalla preparazione che uno ha, certi lbbri vanno riletti più volte, in filosofia questo capita per essere capiti. Ma nessun libro può essere capito al 100%.Se ci stimola a ragionare e porci dei problemi, quindi ad interrogarci,è un libro che ci ha fatto bene.Un ragazzo dovvrebbe avere insegnanti bravi che capissero i suoi problemi,che a volte vanno oltre il fatto dell’insegnare, quindi il dialogo.Del resto la psicoterapia, come era intesa un tempo non si basava sul dialogo? Oggi si basa tutto sugli psicofarmaci.Questa è stata la sua morte, non che le medicine siano inutili, ma vanno date con grande oculatezza e per brevi periodi, secondo me,altrimenti diventa una specie di droga dato lo stato di dipendenza che crea, gli effetti sul metabolismo. Per un periodo di tempo sono stato male, emi davano degli psicofamaci,io come è scritto sulle confezioni leggevo il foglietto illyustrativo, in alcuni era scritto’questo farmaco può indurre al suicidio.
Litigai con una psicologa la quale sosteneva che non dovevo leggere il foglitto illustrativo., io le risposi che la casa produttrice lo riteneva un dovere da parte del malato, in quanto ad es. ci sono farmaci che danno in certi casi la morte improvvisa.Freud, che era un grande scienziato, provò la cocaina su di sè e ne regisrò tutti gli effetti che provava,alla fine arrivò alla conclusione, che è vero che aveva un effetto antifatica, o anche,mi pare analgesico, ma che a lungo andare avrebbe provocato lesioni agli organi interni.Grazie al cielo oggi non prendo più psicofamaci,
ma non c’è nessun medico che prova uno psicofamaco su di sè.Di personalita come Freud non ne nascono più, così come Pasteur, che speri
mentò il vaccino antirabbico su di sè, e oggi si sa che può provocare la paralisi alle gambe.Il libro piu bello di tutti quelli che ho letto è il Diario di Anna Frank, se un giovane vul capire cosa fu veramente la guerra del 1939-45, vissuta in prima persona da una ragazza di 15 anni chiusa in un piccolo locale con la famiglia, i suoi sentimenti, il suo mondo e le sue
speranze,io lo consiglio vivamente.Claudio Castellani .23/11/2010
Caro Claudio,
grazie per i tuoi interventi.
E sì… il Diario di Anna Frank è un libro che dovrebbero leggere tutti.