Dicembre 21, 2024

68 thoughts on “PUZZLE… UN GIOCO (“FURORE” DI JOHN STEINBECK)

  1. Per favorire la partecipazione dico questo.
    Chi vincerà… riceverà in omaggio – non appena concluso – il romanzo a quattro mani scritto da Sergio Sozi ed Enrico Gregori: il nuovo duo della letteratura italiana (nella speranza che evitino distrapparsi le pagine a vicenda).
    😉

  2. possibile che la nostra vita non è niente?
    bisogna vivere senza passato.

    mi è avanzato qualche pezzo.
    ma come te le inventi ‘ste cose?

  3. Oggi stavo impazzendo pure io.
    Alle 23.25 ho ricevuto la mail che mi avvisava di questo gioco. Alle 23.26 ho chiesto ai miei collegucci (stasera si lavora ad libitum… sob) di darmi una mano. Alle 00.08 il celenterato copywriter dell’agenzia ha emesso sentenza. So’ chi ha scritto quelle parole prima che Massimo le scombinasse!!!
    ora mi rimetto al lavoro…

  4. Posso confermare le parole di Gatt. Mi ha inviato una mail con la risposta esatta. O lei e il suo collega sono due geni, oppure hanno un bel “popò” di fortuna.

    Iozzia, impegnati di più.

  5. io ci rinucio. mi sta venendo la tachicardia. magari riprovo domani.
    ma chi sei gatt, il mago zurlì?

  6. ciao iozza… domattina (sempre che sopravviva qualcosa di me a sta nottata lavorativa) prenoto il parrucchiere e copro i capelli bianchi così non mi scambierai più per il mago zurlì!

    Massimo, solo tanta fortuna! Il copy qui presente sostiene di essere un genio… e mo’ chi lo ferma?!?

  7. Va bene, Gatt. La prossima volta che giocherò al superenalotto mi rivolgerò a te, poi mi rivolgerò al genio-copy per chiedere consiglio su come investire la vincita.
    😉
    Grazie a voi e buon lavoro.
    Io invece vado a nanna. Però, poi, Gatt… una volta svelato l’arcano torna qui, così discutiamo sul celebre libro e sul celebre autore.

  8. Con il primo, niente da fare per ora. Ho provato a ricomporre almeno il secondo puzzzzzzzzle:
    ”Sugli sgabelli superstiti le loro donne bruciavano nella memoria il loro passato e lo guardavano con occhi sognanti.”
    Bah… almeno ci ho provato.
    Domani tento con il primo anche se mi sa che qui la cosa non ”funzia”.
    Sergio

  9. Caro Massimo, tempo un’oretta e ti ho fatto tana anche sulla prima citazione. Ecco qua:
    ”Com’e’ possibile vivere senza le cose che sono la nostra vita? Spogli del nostro passato non ci riconosciamo. Fa niente, non c’e’ posto, bisogna lasciarlo, bruciarlo.”
    Sia questa che l’altra sono estratte da John Steinbeck, ”Furore” (Grapes of wroth), ed. BUR.
    Un libro eccellente, che lessi almeno dodici, tredici anni fa. Dedicai anche una poesia alle ultime drammatiche, apocalittiche anzi, sue pagine. Uno dei pochi statunitensi che mi piacciano davvero, Steinbeck.
    Sergio Sozi

  10. P.S.
    Io non ho colleghi che mi aiutino, sono solo davanti al computatore e bestemmio sottovoce il nome di un tal ****** che mi ha fatto impazzire con ‘sta (gradevole) fesseria. Pero’ mo’ basta, Massimo. Non proporcelo piu’, va bene?
    S.

  11. ERRATA CORRIGE
    Ehm… ho risistemato a dovere anche la seconda citazione:
    ”Sugli sgabelli superstiti le donne guardavano il loro passato con occhi sognanti e lo bruciavano nella loro memoria”.
    J. Steinbeck
    Sozi

  12. P.P.S.
    Cambiare post, prego, o iniziare a parlare di Steinbeck. E ora Buonanotte a tutti.
    Sergio

  13. Mi sono perso il giochino, ma su Steinbeck posso solo parlare bene.
    A me e` piaciuto piu` Uomini e Topi e Pian della tortilla rispetto a Furore.
    Anche questo pero` e` un bel libro.
    Tratta un argomento che mi ha incuriosito: le difficolta` per l`emigrazione interna negli Stati Uniti. Che un moldavo o un russo avessero problemi negli States ci sta, ma che uno dell`Oklahoma che spinto dalla necessita`, si sposti verso ovest e venga accolto a legnate dai californiani, ebbene questa e` una cosa che mi ha sorpreso abbastanza.

  14. Non mi aspettavo che il “puzzle” venisse ricomposto così presto.
    Vi ho sotto valutati.
    Bravo Sergio e brava gatt.
    Io, a esser sincero, credo che non ci sarei mai riuscito.
    Adesso non ci rimane che discutere su Steinbeck e su “Furore”, ma anche sugli altri suoi libri.
    Grazie per il commento Outworks.

  15. Massi, secondo me i tuoi giochini sono adorabili, come te del resto.
    QUesto è divertente ma difficile. Non so come hanno fatto Gatt e Sergio. Io non ce l’avrei fatta. Temo che non sarei riuscita nemmeno a ricomporre le frasi, figuriamoci a risalire al libro.
    Eppure Steinbeck lo conosco bene. Ho letto tutti i suoi libri. È un grandissimo autore.
    Smile

  16. Io mi sono sentita sotto esame. Prendo atto della mia poca memoria, Steinbeck l’ ho letto più di quarantanni fa. Mi felicito con voi giovani per la cultura e la passione per la letteratura.
    Quando però la vita ha insegnato più di quanto un cuore può contenere, anche la mente se ne sta un po’ in disparte, non tanto, solo quanto possa consentire di continuare senza impazzire.
    Discorso da vecchia?
    Forse.
    Ma vi apprezzo infinitamente.
    cri

  17. Conosco Steinbeck ma non sarei arrivato alla composizione del puzzle. Per quanto mi riguarda, comunque, il giochino è divertente. E se stavolta è stato un puzzle, Massimo sarà perfettamente in grado di inventarne altri sulla stessa linea.
    A questo punto, come ha preannunciato lo stesso Maugeri, ai vincitori andrà in premio il libro che io e Sozi scriveremo a 4 mani.
    Nel merito, per evitare discussioni, avrei pensato di suddividere il lavoro riservando a me il compito di scrivere il romanzo, lasciando a Sergio l’incombenza della punteggiatura. Lo so, oggi sono particolarmente democratico! 🙂

  18. “Massi, secondo me i tuoi giochini sono adorabili, come te del resto”, scrive Elektra.

    La mia impressione che questo blog stia diventando sempre più una sorta di pruriginosa chat si va facendo sempre più radicata. 🙂

  19. A Sergio.
    Sei stato bravo a indovinare, ma non potevi aspettare un po’ a dare la risposta? Così potevamo giocare anche noi ritardatari. Potevi fare come Gatt, no? Scrivere a Massimo per certificare la correttezza della risposta.
    Esibizionista!
    🙂

  20. Capisco. Ma stavo scherzando.
    Comunque se devo dire la verità non avrei mai potuto indovinare non avendo letto “Furore”.
    Massimo perché hai scelto proprio questo libro? E’ così bello?

  21. Suvvia Enrico, ogni tanto punzecchio Massi(mo) con affetto. Lui accetta di buon grado perché è un’amicone. Non è facile creare un clima di familiarità in un blog!
    Eppoi in un post giocoso come questo possiamo anche permetterci il lusso della leggerezza. O dobbiamo essere sempre seriosi?
    Smile

  22. A elektra:
    Propendo per l’essere sempre seriosi come me 🙂
    ps: brava per la correzione in corsa. stavo già per riempirti di contumelie. Io, a differenza di quel vanesio di Massi(mo), non sono per il consenso a tutti i costi e per l’affetto. 🙂

  23. A Enrico.
    Hai scritto: “questo blog stia diventando sempre più una sorta di pruriginosa chat”.
    Certo che tu stai dando un valido contributo in questo senso.
    Massimo non è affatto vanesio. Come ti permetti!!!
    Semmai un po’ cicisbeo, per sua stessa ammissione.
    Smile

  24. Chiedo una piccola deroga al regolamento : deisderei anche io ricevere una copia del libro scritto a 4 mani. Anche se non ho indovinato …..

  25. A elektra:
    e va bene, non avevo il coraggio di dire che vorrei per me le stesse attenzioni che riservi a massi(mo), ecco! 🙂
    A outworks:
    pazzo maniaco feticista! 🙂

  26. “Furore” è uno dei più grandi romanzi del Novecento. Lo consiglio vivamente. Sarebbe bello che qualcuno fornisse informazioni tecniche sul libro (recensioni, ecc.). Lo farei io se fossi in grado.

  27. Vado a leggere “Furore”: chi diavolo ha infilato un ignorante di successo come me in mezzo a questi sapientoni?
    (che poi non ho mai saputo chi mi ha infilato nella mailing-list di Massimone Maugeri, ma ho amiche molto infide!)

    Si è vero, sta diventando una chat afd escludendum, bisogna stare attenti, non c’è proprio bisogno di una P2 letteraria.
    Vado in bagno!

  28. Ho letto “Furore” almeno tre volte negli anni, amo rileggere i libri che ho amato, ma non avrei mai riconosciuto i brani. Ho scoperto da tempo, e riconfermato grazie a questo giochino, che la mia memoria letteraria funziona diversamente. Restano le suggestioni, ma non la sequenza delle parole.
    Comunque considero Steinbeck un caposaldo e “Furore” un libro di enorme e crudele attualità.
    Laura

  29. Che carino questo gioco! No, Massimo, non ci lamentiamo.
    Non avrei potuto indovinare perché “Furore” non l’ho mai letto.
    Ora, siccome mi pare un bel tomo, il tempo è poco, e i libri che mi piacerebbe leggere tanti, vorrei che qualcuno mi fornisse validi motivi per prendere in mano questo libro di Steinbeck e addentrarmi nella lettura. Qualcosa di un po’ più analitico di un semplice “è un libro che vale la pena leggere”.

  30. Rosa, “Furore” è la dura e cruda storia di una migrazione. Quella dei contadini dell’Oklahoma e di altre regioni degli States verso la California, vista come una sorta di paradiso terrestre. È un libro forte, che fa male. Come ha scritto Laura “un libro di enorme e crudele attualità”.
    Ne vale davvero la pena leggerlo.
    Parola di Elektra.
    Smile

  31. giusto. d’accordo con prosperi e gregori. troppe donne pro-maugeri in questo blog. non è giusto. uniamoci e ribelliamoci.
    così maugeri impara a farmi impazzire con questi giochi.
    certo che però ‘furore’ di steinbeck è davvero bello.

  32. “Furore” è un romanzo dello scrittore statunitense John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura del 1962, pubblicato nel 1939 a New York e considerato il suo capolavoro.
    La vicenda narra la storia della famiglia Joad, che costretta dalla siccità e dalla miseria deve abbandonare l’Oklahoma per tentare la fortuna all’ovest.
    Costoro intraprendono a bordo di un autocarro un lungo viaggio verso la California, terra promessa dove si dice ci siano tante opportunità di lavoro.
    A compiere il viaggio sono tre generazioni delle quali la madre, che è la vera anima del gruppo familiare, cerca positivamente di diffondere su tutti la serenità e quando il figlio Al le chiede, all’inizio del viaggio:
    « “Mamma non hai dei brutti presentimenti? Non ti fa paura, andare in un posto che non conosci?”
    Gli occhi della mamma si fecero pensosi ma dolci.
    “Paura? Un poco. Ma poco. Non voglio pensare, preferisco aspettare… Quel che ci sarà da fare lo farò…”»
    la sua risposta è calma e rassicurante.
    Fanno parte del gruppo familiare la giovane sposa Rosa Tea che è in attesa di un bambino, Tom, da poco uscito dal carcere per aver compiuto un omicidio preterintenzionale, un ex-predicatore conosciuto da Tom ed ora aggregato alla famiglia di nome Casy spesso assorto in pensieri filosofici sulla condizione umana, il babbo, lo zio John e la vecchia nonna.
    Durante il lungo ed estenuante viaggio incontrano altre famiglie di profughi e ogni tanto degli accampamenti e giungono finalmente alle soglie della California.
    « E finalmente apparvero all’orizzonte le guglie frastagliate del muro occidentale dell’Arizona… e quando venne il giorno, i Joad videro finalmente, nella sottostante pianura, il fiume Colorado… Il babbo esclamò: “Eccoci! Ci siamo! Siamo in California!”. Tutti si voltarono indietro per guardare i maestosi bastioni dell’Arizona che si lasciavano alle spalle.»
    Ma la felicità di essere giunti durerà poco perché la California non è il paese che avevano sognato ma un luogo, almeno per loro, di miseria.
    Intanto la sorte sembra accanirsi contro i Joad: Tom, per una tragica fatalità, uccide durante uno sciopero il poliziotto che aveva ucciso Casy ed è costretto a fuggire, arriva una inondazione proprio quando finalmente avevano trovato un lavoro con un discreto salario e alla fine Rosa Tea partorisce un bimbo morto. Il romanzo termina con una immagine di coraggio e solidarietà con Rosa Tea che porge il seno pieno di latte a un poveretto che sta per morire a causa della fame.
    ———————–

    Fonte: Wikipedia

  33. A Carmen:
    ma come, dopo la faticaccia che ho fatto a trascrivere e risistemare le letteracce di Massimo-Steinbeck, mi dici pure che avrei dovuto attendere? Non sia mai! L’esibizionismo e’ una filosofia di vita che non transige! (ah ah!)
    A Enrico:
    bene, grazie, troppo buono commendato’. Inizio qui con i segni d’interpunzione, sistema pure tu le parole che riterrai idonee:
    ;,., . :.
    E piantatela tutti di fare i civettuoli che senno’ i brutti come me si sentono sottovalutati!
    Sergione il Censore

  34. Ripeto: ”Furore” di Steinbeck e’ un capolavoro, un dramma greco moderno. Appena la ritrovo, vi riporto la lirica che scrissi dodici anni fa sulla scena finale del libro – quella della madre appena citata da Cicerone 3. Sara’ strano, ma ancora, a pensarci, quel che scrissi mi sembra idoneo a presentare lo spirito e la cupa ambientazione psicologico-esistenziale di quel romanzo. Gli americani, negli anni Trenta, ancora non erano propriamente ”americani”, per fortuna: possiamo sentirli ancora vicini, peccato che non ci siano piu’ da decenni, sostituiti dagli ”americani” che tristemente conosciamo oggi.
    Sergio Sozi
    Sozi

  35. Devo rimediare: conosco Steinbeck indirettamente tramite Vittorini e Pavese e il loro “mito americano”.
    A proposito di emigrazione! Vi ricordate quel bellissimo racconto di Sciascia in cui gli emigranti venivano truffati – giro della Sicilia al posto del viaggio in America – ? O il bellissimo “Nuovomondo” di Crialese? Avete letto “Vita” di Melania G. Mazzucco?

  36. Grazie a tutti per i simpatici commenti.
    Adesso vorrei che ci concentrassimo sulla figura di John Steinbeck e su “Furore” che, a mio avviso, è il suo miglior romanzo.
    Quindi invito tutti coloro che hanno ulteriori contributi da fornire a farsi avanti.
    Convinciamo gli “ignari” a leggere questo libro!

  37. Più tardi o domani aggiorno il post. Restate qui

    MariaLucia, il racconto di Sciascia che citi si chiama “Il lungo viaggio” ed è contenuto nella raccolta (bellissima!) “Il mare colore del vino”, oggi edita da Adelphi. Fu pubblicata per la prima volta nel ’73 da Einaudi, se non ricordo male.
    Ho letto “Vita” e ho visto “Nuovomondo”.
    Ci sono tanti bei libri che trattano il tema dell’emigrazione. C’e “Sull’Oceano” di De Amicis (del 1889) sull’emigrazione degli italiani – provenienti da varie regioni – in Sud America durante gli anni ottanta dell’Ottocento. C’è il bellissimo capitolo del “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi (sull’emigrazione lucana negli Stati Uniti). E potremmo continuare.
    Ma qui parliamo di “Furore”. Leggilo, MariaLucia. Sono curioso di sapere che ne pensi.

    P.s. Perdonatemi, ma sono distrutto. Aggiornerò il post domani. Vi aspetto.
    Grazie sempre.

  38. Credo di interpretare il pensiero di tutti dicendo a Sergio Sozi che se anche non trova più la lirica scritta dodici anni fa non importa. La diamo per letta. 🙂

  39. Cari amici, come potete vedere ho aggiornato il post.
    “Furore” di Steinbeck – l’avrete capito – è uno dei romanzi a cui sono più legato e che più o amato. Sperodi essere riuscito a trasmettervi un pizzico di questo “amore”, al punto da spingervi alla lettura.
    Grazie.
    Aspetto ulteriori contributi.
    Massimo

  40. L’INFANZIA E GLI STUDI

    John Steinbeck nacque il 27 febbraio 1902 nella cittadina rurale di Salinas in California. Il padre, John Ernst Steinbeck, era il tesoriere della contea di Monterey mentre la madre, Olive Hamilton Steinbeck, donna dal carattere molto determinato, era insegnante. John ebbe un’infanzia serena, insieme alle due sorelle maggiori Esther (1892) ed Elizabeth (1894) e alla sorella minore Mary (1905), crebbe sviluppando un legame affettivo molto forte con l’ambiente della valle di Salinas e della vicina costa del Pacifico dove la famiglia soleva trascorrere i fine settimana estivi.
    A 14 anni John, ragazzino timido e schivo, decise che avrebbe fatto lo scrittore e trascorse parte dell’adolescenza scrivendo racconti e poesie.
    Nel 1919 iniziò gli studi presso la Stanford University e frequentò corsi di letteratura inglese e scrittura creativa. Dal 1919 al 1925, Steinbeck interruppe spesso gli studi per svolgere lavori occasionali e temporanei venendo a contatto con un ambiente che influenzerà notevolmente i suoi romanzi. Costretto ad abbandonare definitivamente l’università alle soglie della laurea, cercò di entrare nel mondo letterario pubblicando sulle riviste e sui giornali disposti ad accoglierlo articoli, racconti e poesie e nel 1925 tentò di trasferirsi a New York che era in quel periodo il centro della vita intellettuale americana, ma l’anno successivo dovette ritornare in California.
    Steinbeck racconterà questa sua esperienza, con maturità e autoironia in Come si diventa newyorkesi.
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    GLI ESORDI
    A New York Steinbeck lavorò per un brevissimo periodo come giornalista per il quotidiano New York American. Tornato in California lavorò dal 1926 al 1928 come custode di una residenza estiva sul lago Tahoe, quest’attività gli lasciò molto tempo libero e nell’agosto del 1929 pubblicò il suo primo romanzo Cup of Gold, tradotto in Italia con il titolo “La santa Rossa”, appena due mesi prima del “giovedì nero” di Wall Street. Il 14 gennaio 1930 sposò Carol Henning e i due si trasferirono a Pacific Grove, dove vissero per qualche tempo con il sostegno economico della famiglia di John.
    Nello stesso anno Steinbeck conobbe il biologo marino e filosofo Edward Ricketts, il rapporto di amicizia e i lunghi scambi di idee con Ricketts influenzarono molto il pensiero di Steinbeck.

  41. I PRIMI ROMANZI

    “Cup of Gold” (tradotto in italiano con il titolo “La santa Rossa”)
    Unico romanzo storico dell’autore, narra la vita di Henry Morgan, un garzone di fattoria del Galles che, dopo aver ricevuto da un eremita profezie di successo, parte per le Indie Occidentali dove, in seguito a varie avventure e disavventure, diventa capitano di una nave pirata.

    Morgan compie le imprese più svariate, tra cui il saccheggio di Panama e riesce ad impossessarsi del tesoro spagnolo che vi è custodito ma non riesce a conquistare l’amore di una donna bellissima chiamata la “santa rossa”.
    Ritorna in Giamaica e si costruisce una identità di tutto rispetto come capofamiglia e governatore vivendo fino alla fine dei suoi giorni ricco e tranquillo.

    Come i due romanzi successivi (The Pastures of Heaven del 1932 (I pascoli del cielo) e To A God Unknown del 1933 (Al dio sconosciuto), La santa Rossa non ottenne particolare successo né da parte della critica né del pubblico.
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    “The Pastures of Heaven” (I pascoli del cielo)

    The Pastures of Heaven (I Pascoli del cielo) venne pubblicato nel 1932 e in esso vengono narrate alcune storie di famiglie contadine tra le quali quella dei Munroe, che portano nella bella e tranquilla valle dei “pascoli del cielo”, in California, il caos e l’infelicità per sé e per gli altri a causa di una atavica maledizione.
    Nel romanzo, che in realtà è composto da una serie di racconti unificati dal luogo e dalla presenza di alcuni personaggi che si ripresentano in ogni storia, Steinbeck riesce a cogliere le passioni e i sentimenti che si agitano in questo piccolo mondo, che riflettono quelli di una intera e varia umanità, creando un affresco vivo e realistico.
    Le storie dei personaggi, come la storia di Molly, una giovane e bella maestrina, quella del vecchio e saggio John Whiteside o del piccolo e simpatico Robbie, si intrecciano e si svolgono in un susseguirsi di avvenimenti avvincenti e commoventi.
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    “To A God Unknown” (Al dio sconosciuto)

    Come nel precedente romanzo si narra la vicenda che porta alla rovina una famiglia di contadini, gli Wayne, che si trasferiscono dal Vermont in California nella speranza di trovare terre migliori. Costoro però incontrano ogni tipo di disgrazie e per ultimo la siccità. Il capofamiglia, che ha elaborato una intensa pecezione religiosa della natura e della fertilità, decide così di compiere un sacrificio mistico alla madre-terra suicidandosi e versando nel terreno il suo sangue. A quel punto, finalmente, arriverà la pioggia.

    Il titolo, che letteralmente andrebbe tradotto A un dio sconosciuto, è una citazione dagli Atti degli Apostoli, là dove Saulo (San Paolo) va ad Atene per convertire gli ateniesi, e avendo notato che la città ha eretto un’ara per ciascun dio conosciuto e perfino un’ara dedicata “a un dio sconosciuto”, inzia la sua orazione nell’Aeropago ateniese dicendo appunto: “Ho trovato un’ara con l’iscrizione ‘al Dio sconosciuto’. Colui che voi adorate senza conoscere, io ve l’annunzio.” (Atti 17,23).

    Fonte: Wikipedia

  42. Dal mio archivio personale sono andato a pescare questa recensione di “Furore” firmata da Irene Bignardi e pubblicata su Repubblica di qualche hanno fa. Leggetela, la trovo interessante.
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    * Sognando la California: terra del latte e del miele *
    di IRENE BIGNARDI

    Di solito dei grandi romanzi si ricorda l´incipit – a partire da quello più celebre (forse) di tutti, “Chiamatemi Ismaele”, indimenticabile inizio di Moby Dick. Di “Furore” (Grapes of Wrath, letteralmente l´uva dell´ira), il capolavoro di John Steinbeck, è leggendario soprattutto il finale. Quando, al termine della terribile, dolorosa, epica traversata dell´America verso il mito di una sognata California dove tutto dovrebbe essere facile e dove tutto è miserando e difficile, Rose of Sharon, la giovane donna del clan degli Joad, che ha appena perso il suo bambino neonato, offre il latte del suo seno a uno sconosciuto, un poveraccio che sta – letteralmente, come tanti, come gli infiniti poveri di questo libro e di queste storie vere – morendo di fame.
    Tra il ritorno di Tom Joad a casa con un permesso speciale della prigione dove ha scontato quattro anni dei sette che deve fare per aver ucciso un uomo che lo ha accoltellato e, molto tempo e molte sofferenze dopo, l´arrivo nella tragica California della Depressione e il gesto da moderna pietà di Rose of Sharon, si snoda quello che a molti e per molto tempo, salvo gli inevitabili revisionismi, è sembrato il Grande Romanzo Americano – e che invece una critica eternamente insoddisfatta continua ancora a cercare.
    Furore fu pubblicato il 14 aprile del 1939, e divenne subito un caso, un successo e un simbolo. Vinse il premio Pulitzer, e fu probabilmente il testo sacro che contribuì a fare del suo autore un eroe letterario e a fargli vincere nel 1962 il Premio Nobel. Bisogna aggiungere che, in quel lontano 1939 e nell´anno successivo fu il libro più venduto (chissà se si usava già la parola bestseller, e se il senso della medesima si portava dietro la stessa volgarità intellettuale). Che ne sono stati venduti quattro milioni e mezzo di copie in edizione hardcover. Che se ne vendono centomila ogni anno in tutto il mondo. Che è stato tradotto praticamente in tutte le lingue esistenti, fino ad arrivare alla cifra record di quattordici milioni di copie. E che nel 1940, sceneggiato da Nunnally Johnson e interpretato in maniera indimenticabile da Henry Fonda, è diventato uno dei grandi film di John Ford, politicamente molto forte e impegnato – e vincitore di ben due Oscar. Il tutto, a cementare il successo di Steinbeck su ogni fronte, mentre Lewis Milestone si preparava a girare un film dal suo play-novelette, Uomini e topi.
    La storia di Furore, per chi non l´abbia mai letta o l´abbia dimenticata, è l´epopea della biblica trasmigrazione della famiglia Joad, assieme ad altre centinaia di poveracci, dall´Oklahoma attraverso il Texas Pandhanle, il New Mexico e l´Arizona, lungo le famosa Route 66 che conoscerà altre storie letterarie (Kerouac, fra gli altri), fino alla California, «il paese del latte e del miele», in cerca di un modo di vivere. Ci troveranno solo il modo di sopravvivere: paghe da fame, padroni terribili, lavori da schiavi. Sono gli anni della Grande Depressione, e, se non vogliamo ricorrere a John Ford, possiamo immaginarci i Joad con gli stessi volti dei disperati ritratti da Dorothea Lange e da Walker Evans, cotti dal sole e dal vento della Dust Bowl – come vennero soprannominate una volta per tutte, anche quando tornarono alla quasi normalità, quelle zone, dopo le spaventose siccità di quegli anni, che le aveva rese un deserto di polvere e di tempeste di sabbia – , smagriti da un regime di lavoro che non bastava neanche lontanamente a nutrirli, e non si dica a farli vivere.
    Forse Furore adesso può a qualcuno sembrare un (grande) romanzo di propaganda politica, un affresco di realismo americano improntato a una visione manichea e sinistrorsa della realtà sociale. Allora fu certamente uno choc. Osannato da una parte della critica (mentre Malcolm Cowley su The New Republic scriveva prudentemente che il romanzo apparteneva alla categoria «dei grandi libri arrabbiati» come La capanna dello zio Tom che «sollevano la gente a combattere contro ingiustizie intollerabili»), visto da taluni come un «trionfo della narrativa proletaria», esaltato come un racconto biblico ispirato al reale, Furore fu attaccato dall´altra parte con altrettanta passione. La sua denuncia era troppo forte e fu guardato come un documento di propaganda politica, non come il grande libro che era: scuole e biblioteche lo misero al bando, uomini politici lo denunciarono pubblicamente, le grandi corporations dell´agricoltura lo definirono “immorale, degradante e falso”, le istituzioni della chiesa protestante lo attaccarono.
    Attacchi che contribuirono a consolidare le insicurezze di Steinbeck. Perché dietro questo grande, roccioso romanzo, c´è la lunga e difficile storia del suo concepimento come la racconta Steinbeck nel suo diario Working Days – che venne pubblicato in concomitanza con il mezzo secolo del libro, nel 1989 – e come la riassume il suo non tanto clemente biografo Jay Parini nella sua biografia pubblicata nel 1994. E dietro l´uomo grande e bello e severo e con l´aria patriarcalmente sicura c´è un personaggio pieno di insicurezze, che non si immaginerebbero dal suo successo, dalle sue certezze morali, dalla sua storia.
    Working Days fa la storia di una gestazione difficile, di un genio che non sapeva di esserlo e che troppo spesso era tentato, addirittura, di distruggere il libro che sarebbe diventato il suo capolavoro, e che non lo amava, e che si diceva, in tono negativo, che Furore era “assolutamente il meglio che so fare”. Se la stesura del suo grande romanzo richiese a Steinbeck solo cinque mesi (anzi, cento giorni di lavoro pieno, gli altri essendo “giorni dispersivi”: amici, distrazioni e pigrizia) il processo per cui si arrivò al libro è stato molto più complesso. All´inizio ci fu una serie di articoli scritti da Steinbeck per il San Francisco News nel 1936. Poi nacque l´idea di un romanzo di grandi dimensioni, il cui titolo sarebbe dovuto essere The Oklahomans. Il terzo passo fu il progetto di una satira socio-politica, L´Affaire Lettuceberg, che fu però abbandonato. Poi si arrivò a Furore. I modelli a cui Steinbeck si ispirava erano i grandi della letteratura civile, Hemingway, Faulkner, Thomas Wolfe, Dos Passos, Caldwell, e Melville per quanto riguardava i capitoli introduttivi. L´atmosfera e i tempi erano quelli della battaglia condotta dalla amministrazione di Roosevelt per controllare e smorzare la situazione esplosiva e prerivoluzionaria dei contadini impoveriti dalla crisi, dai ricatti delle banche, dai disastri atmosferici. Ma nella composizione del libro entra anche la presenza e l´amicizia di Tom Collins, la “coscienza” di Furore, la persona che aveva aperto e rivelato a Steinbeck il mondo del lavoro dei braccianti lavoratori a giornata organizzati dalla Resettlement Administration (e Collins fu anche colui che collaborò con Ford sul set del film come “consulente tecnico”).
    “Senza Tom”, scrisse Steinbeck, “non avrei potuto cogliere tutti i particolari, e i particolari sono tutto”, come sa chi ha letto l´altro grande libro sui contadini poveri di quegli anni, Sia lode ora a uomini di fama, di James Agee e Walker Evans, la versione testimoniale e sociologica di Furore, che, come Furore ma in forma di inchiesta, indaga la tragica condizione dei contadini bianchi senza terra. Ma è vero anche che Steinbeck Furore non l´avrebbe potuto scrivere senza Carol, sua moglie (per tredici anni), che del romanzo seguì ogni riga, lo batté a macchina, lo difese, lo sostenne. E a cui Furore è dedicato. “A Carol, che ha voluto questo libro”, con la sua passione, la sua epica potenza, la sua sonorità biblica, la sua dolente umanità.
    Furore e il suo successo e le polemiche che seguirono rappresentarono per Steinbeck una prova che lo lasciò stremato e diverso. Non si accontentò più della piccola stanza in cui gli piaceva e in cui era abituato a lavorare. Cambiò casa, scelse residenze sempre più grandiose, ebbe una seconda moglie, e poi una terza. I libri che scrisse erano, inutile dirlo, belli – La valle dell´Eden, La luna è tramontata – ma meno sanguigni e importanti (e anch´essi ebbero un destino cinematografico: prima La luna è tramontata, del 1943, con la sua nobile storia sulla resistenza norvegese contro il nazismo, nel 1955 La valle dell´Eden con l´esordio di James Dean). C´era stata Pearl Harbour, l´entrata in guerra degli Usa, una crisi della sinistra che convertì molti al patriottismo e coinvolse anche personalità come Welles e Chaplin. Fatto sta che, con gli anni, la visione politica di John Steinbeck cominciò ad appannarsi – tanto che l´ex uomo di sinistra, visto ormai da qualcuno come un “falco”, finì nel 1967 per sostenere la guerra del Vietnam, dove si era recato in veste di grande inviato giornalistico (le sue corrispondenze da Saigon sono state raccolte in un libro edito da Leonardo, C´era una volta la guerra): e per le sue posizioni, sorprendenti almeno per i suoi più fedeli lettori, si giocò una parte della sua popolarità. Lo scrittore laureato dal Nobel era sempre un grande, ma molto diverso dal generoso, appassionato, estremo cantore dei diseredati Okies di Furore.

  43. Non so se ve ne siete accorti.
    Qualcuno di voi mi ha chiesto di inserire in primo piano sul post (motivo: esigenze di “migliore leggibilità”) l’articolo di Irene Bignardi.
    Detto, fatto!
    Il post è aggiornato.
    Leggetelo quest’articolo. È davvero molto interessante.

    P.s. il prossimo post sarà dedicato alle riviste (e a una in particolare).

  44. Rosa Fazzi, ma poi ti sei convinta?
    Dai, se non riesci a rischiare 10 euro te lo spedisco io il libro. In omaggio.
    Smile

  45. Elektra, in verità ho acquistato il libro sabato mattina. Scherzavo quando dicevo che non eri stata sufficientemente convincente.
    Gli ulteriori aggiornamenti di Massimo nonmi hanno di certo fatta pentire dell’acquisto. Leggerò presto e vi farò sapere.
    Rosa.

  46. Concludo il “lavoro” lasciato colpevolmente incompleto.
    Cicerone 3
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    L’ETA’ DEL SUCCESSO
    I primi successi arrivarono solo nel 1935 con la pubblicazione di Tortilla Flat (Pian della Tortilla).

    Pian della Tortilla venne subito acquistato da Hollywood per quattromila dollari circa e da quel momento inizia per lo scrittore la fama e il benessere. Lo stesso presidente Roosevelt dimostra grande ammirazione per lo scrittore che diventerà suo amico e spesso ospite della Casa Bianca.

    Il romanzo prende il nome dal Piano della Tortilla che è un quartiere di vecchie baracche a Monterey, dove vivono i paisanos, ultimi discendenti dei californiani di sangue spagnolo che vivono di mille espedienti, amanti del bere e del mangiare, della vita tranquilla e oziosa.

    Le vicende raccontate sono quelle di un’alleanza tra sette paisanos e cinque cani che si svolgono con il ritmo di un’antica storia cavalleresca e termina in modo tragico con la morte del capo gruppo, Dany.

    Il romanzo, scritto nel periodo della Depressione, vuole essere una violenta satira della falsa rispettabilità borghese; da esso venne tratto nel 1942 il film Gente allegra con la regia di Victor Fleming e come interpreti Spencer Tracy , Hedy Lamarr, John Garfield, Frank Morgan.

    Nell’ottobre del 1936 venne pubblicato il romanzo In Dubious Battle (In incerta battaglia) che tratta di uno sciopero dei lavoratori stagionali nell’agricoltura.

    In seguito Steinbeck ottenne l’incarico dal San Francisco News di scrivere una serie di articoli (intitolata poi The Harvest Gipsy) sulle condizioni di vita degli immigranti trasferitisi dall’Oklahoma alla California.
    Utilizzando il materiale raccolto per la redazione degli articoli scrisse il romanzo Of Mice and Men (Uomini e topi) dal quale trasse l’omonima opera teatrale rappresentata per la prima volta il 23 novembre dello stesso anno a New York.

    Of Mice and Men (Uomini e topi)

    In questo breve romanzo, da molti giudicato il suo capolavoro, Steinbeck riprende il tema sociale del problema della ricerca di un lavoro stabile e di una vita sicura, nonché quello della protesta contro lo sfruttamento del povero e dell’irregolare da parte di un mondo retrivo.
    In verità il romanzo è anche la parabola di un destino tirannico che tiene le sue vittime al di qua della felicità, senza permettere loro di emanciparsi o di accedere al successo. Il romanzo ha le cadenze di una tragedia e, benché sia scritta in modo narrativo, sembra suddivisa in atti teatrali (forse l’autore meditava fin dall’inizio una sua trasposizione per le scene, come in effetti avvenne). L’azione è tutta ambientata in una fattoria dove lavorano e vivono in dure condizioni alcuni braccianti salariati raccoglitori di orzo, fra i quali George, il protagonista, e il suo amico Lennie, dotato dal destino di una forza erculea ma affetto da un ritardo mentale. Lennie, consapevole della propria inferiorità mentale, affida il suo futuro a George, con il quale condivide il sogno di poter un giorno comprare una fattoria. Altri protagonisti di questo romanzo-tragedia sono il negro Crooks, il vecchio Candy, il padrone, Curley, il figlio del padrone, e sua moglie, una donna dal fisico provocante e dall’animo insoddisfatto che è al centro dei desideri di tutti i maschi della fattoria e che finisce per attirare, trgicamente, anche le attenzioni di Lennie.
    In questo piccolo mondo chiuso e violento si intrecciano gelosie, sogni e speranze. Ma le speranze si frantumano quando George scopre che il suo amico Lennie, nel rivolgere effusioni e carezze alla moglie del padrone, inconsapevole della propria forza fisica, l’ha ammazzata spezzandole il collo. George per pietà sottrarre Lennie alla vendetta degli uomini e alla giustizia sommaria che ne sarebbe stata fatta, dopo che la morte della donna è stata scoperta uccide il suo amico sparandogli un colpo di pistola alla testa.


    The Grapes of Wrath (tradotto in italiano con il titolo Furore)
    Dopo una raccolta di racconti brevi pubblicata nel 1938 uscirà nel 1939 il suo romanzo più celebre, The Grapes of Wrath (Furore).

    Nonostante il successo il romanzo subì un violento attacco politico a causa delle descrizioni dei conflitti fra lavoratori stagionali e proprietari terrieri, per il linguaggio considerato volgare e l’orientamento giudicato eccessivamente “di sinistra”.
    Steinbeck pur simpatizzando per la sinistra era un convinto sostenitore del New Deal di Franklin D. Roosevelt.
    Nonostante le critiche il romanzo fu premiato nel 1940 con il Premio Pulitzer.
    Da Furore John Ford trasse, nel 1940, il famoso film omonimo interpretato da Henry Fonda.

    Fino a Furore il tema di fondo dei libri di Steinbeck è la California con la vita e i costumi degli abitanti della valle di Salinas che vengono rievocati con commozione o ironia ma sempre con un semplice realismo dove la denuncia sociale, non è come negli altri scrittori realisti del periodo della Depressione un’accusa senza speranza di un’America in rovina, ma è sempre ispirata da un umanitarismo sereno.
    Come scrive Alfred Kazin “il dono di Steinbeck non consisteva tanto in una risorsa letteraria quanto in una visione della vita profondamente armoniosa e pacifica. In un periodo di esaurimento per tanti scrittori migliori di lui, egli si era immedesimato nella vita della vallata di Salinas, trovando un certo equilibrio spirituale nel far la cronaca dei cicli di vita dei coltivatori della vallata, dei suoi mistici, dei suoi avventurieri, studiando i suoi processi di sviluppo, immergendovisi con interesse affettuoso ed intimo per le vicende umane dal punto di vista biologico. Steinbeck si identifica talmente con la vita della sua vallata nativa, da ritrarne una comprensiva visione prospettica della natura animale della vita umana e un mezzo di riconciliazione con la gente come tale”..

    Il titolo, The Grapes of Wrath, che significa letteralmente I frutti dell’ira, è una citazione biblica, come lo è anche Al dio sconosciuto (vedi sopra).

    GUERRA E DOPOGUERRA
    Dopo il grande successo ottenuto con Furore, Steinbeck continuò a scrivere e a viaggiare fino al 1942 quando, separatosi dalla moglie, lasciò la California per trasferirsi a New York dove convisse con la cantante Gwyndolyn Conger che sposò nel 1943
    Aveva intanto girato, nel 1940, un documentario sulle condizioni di vita nelle aree rurali del Messico, The Forgotten Village e preso parte ad una spedizione marina a bordo del” Western Flyer”, organizzata da Edward Ricketts, nel Golfo di California che verrà poi descritta nel libro scritto in collaborazione con l’amico, “The Sea of Cortez”, che verrà pubblicato nel 1941.

    L’amicizia tra Ricketts e Steinbeck

    Steinbeck conobbe Ed Ricketts nell’ottobre del 1930 a Carmel, presso la villa di un amico, e nel brano del libro “About Ed Ricketts” egli narra del loro incontro ambientandolo in uno studio dentistico.
    Affini per carattere ed interessi, strinsero subito una forte amicizia e condivisero idee ed esperienze.

    L’influenza che Ricketts ebbe sugli scritti e sul pensiero di Steinbeck fu grande e come scriverà Jackson Benson[2]nella sua biografia, i temi principali affrontati negli scritti di Steinbeck ” furono sviluppati e nutriti dalla ricca fonte del loro reciproco e comune entusiasmo nell’approfondire teorie e le loro implicazioni.”
    Il periodo, tra il 1930 e il 1941, che vide Steinbeck e Ricketts insieme fu senza dubbio per lo scrittore uno tra i più produttivi dal punto di vista letterario.

    Ricketts ispirò a Steinbeck il personaggio di “Doc” nel romanzo Cannery Row (Vicolo Cannery) e Sweet Thursday (Quel fantastico lunedì), di “Doc Burton” in In Dubius Battle (In incerta battaglia), la figura di “Casy” in The Grapes of Wrath(Furore) e del “Dottor Winter” in The moon is Down(La luna è tramontata).

    Si deve a Steinbeck la parte di narrativa di Sea of Cortez e più tardi il breve e commovente saggio a carattere biografico About Ed Ricketts scritta nell’introduzione all’edizione Viking pubblicata come The Log from the Sea of Cortez nel 1951. Steinbeck rivide il saggio filosofico di Ricketts “Essay on Non-Teleological Thinking”, e lo inserì come il capitolo “Easter Sunday” di “The Log from the Sea of Cortez”, pubblicato con il mome dello stesso Steinbeck.

    “The Log from the Sea of Cortez” del 1951 differisce da ” The Sea of Cortez” del 1941 per l’omissione del catalogo filogenetico scritto da Ricketts , per la scomparsa del nome dell’autore e per il saggio About Ed Ricketts inserito nell’introduzione.
    In edizioni successive a quella dell’editore Living, venne però rimesso in copertina il nome di Ricketts.


    The Moon Is Down (La luna è tramontata)


    Nel 1942, era nel frattempo scoppiata la guerra, Steinbeck scrisse La luna è tramontata, un romanzo sull’occupazione nazista in Norvegia che rappresenta un fatto nuovo nella narrativa steinbeckiana. La vicenda è ambientata in un piccolo villaggio norvegese sconvolto all’improvviso dall’arrivo delle truppe di occupazione naziste. Dopo un primo momento di disorientamento, tuttavia, il bisogno di libertà spinge i pacifici contadini a organizzarsi in una resistenza armata, mentre il sindaco Orden accetta di morire pur di non ostacolarla.

    Nel 1943 trascorse sei mesi, dal 21 giugno al 10 dicembre, sul fronte europeo come inviato speciale del “New York Herald Tribune” e ne rimase sconvolto. Gli articoli scritti in quell’occasione verranno in seguito raccolti in volume e pubblicati nel 1958 con il titolo Le su impressioni e le sue esperienze saranno raccolte nel 1958 Once there was a War (C’era una volta una guerra) dove narra, nello stesso modo partecipe usato nei romanzi, la vita dei soldati, senza soffermarsi su episodi di eroismi ma raccontando il disperato quotidiano tentativo di sopravvivere ai pericoli.

    Nel 1944 la famiglia si trasferì a Monterey dove nacque il primo figlio, Thom e nel 1946 il secondo, John IV.
    Nel 1947, su incarico del New York Herald Tribune, fece un viaggio in Russia insieme al fotografo Robert Capa.

    The Wayward Bus (La corriera stravagante)

    Sempre nel 1947 pubblicò un nuovo romanzo che si rifaceva allo stile fantasioso e allegro del picaresco Pian della Tortilla dal titolo The Wayward Bus (La corriera stravagante), storia di un autobus guidato da un conduttore mezzo irlandese e mezzo messicano sotto la protezione dell’Immacolata Vergine di Guadalupe che rimane bloccato con i suoi passeggeri nella verde vallata californiana.

    Nel 1948, anno funestato dalla morte di Ricketts, pubblicò un diario di viaggio, A Russian Journal e Divorziò da Gwyndolyn Conger per sposare, nel 1950, Elaine Anderson Scott.

    GLI ULTIMI ANNI
    Negli anni successivi alla guerra Steinbeck faticò a replicare il successo del periodo precedente, i suoi romanzi Cannery Row e Sweet Thursday furono criticati da alcuni che vi ravvedevano una replica di Tortilla Flat.
    L’America era profondamente cambiata e la sua visione pacifista e naturalista della realtà si rivela ai più superata.

    East of Eden (La valle dell’Eden)

    Dopo un periodo di viaggi in Europa e in Africa, scrive ancora racconti, sceneggiature e romanzi finché nel 1952 pubblicò il romanzo East of Eden (La valle dell’Eden) che fu nuovamente un successo.

    Dal romanzo venne tratto da Elia Kazan, nel 1955, un famoso film dal titolo omonimo interpretato da James Dean

    Dello stesso anno è la sceneggiatura di Viva Zapata!, film diretto da Elia Kazan con Marlon Brando nel ruolo di protagonista.

    A partire dal 1955 Steinbeck visse con la moglie a Long Island pur continuando a viaggiare.

    The Winter of Our Discontent( L’inverno del nostro scontento)
    Nel 1961 scrive L’inverno del nostro scontento che è la storia del fallimento di un’esistenza e un atto d’accusa amaro conto l’America contemporanea.

    La storia si svolge in una cittadina di provincia dove il protagonista, Ethan Allen Hawley, discendente a un’antica stirpe di pirati, trascorre la vita tra la famiglia e il negozio di drogheria dove fa il commesso.
    Insoddisfatto per la vita che fa e influenzato dal mito americano del successo, vuole conquistare la ricchezza e progetta una rapina perfetta. Ma la rapina non riesce ed Ethan, non sopportando il fallimento e la squallida monotonia della vita quotidiana, si uccide.


    Travels With Charley in Search of America (Viaggio con Charley)

    Nel 1960, Steinbeck, in epoca di economia consumistica, si rimette in strada sopra un’auto-roulotte, che chiama Ronzinante attrezzata con tutti i ritrovati moderni per farla assomigliare il più possibile a una sua abitazione, e compie un viaggio attraversando gli Stati Uniti insieme al suo cane Charley.

    Charley è un barboncino francese, ammalato di prostatite, che risponde ai comandi solamente in francese e ha i modi di un vecchio gentiluomo. Charley non è solamente un compagno di viaggio ma l’ascoltatore dei monologhi del padrone che, quando è sera o nelle pause di attesa, gli parla dei suoi scrittori preferiti, come Sinclair Lewis e Thomas Wolfe.

    Nel libro, che venne pubblicato nel 1962 con il titolo di Travels With Charley (Viaggio con Charley) si sentono, sia all’inizio che alla fine, gli influssi di Moby Dick e di Palme selvagge di William Faulkner.

    Nello stesso anno venne conferito allo scrittore il Premio Nobel per la letteratura.
    Morì il 20 dicembre del 1968 e sue ceneri sono sepolte al Garden of Memories cemetery di Salinas.

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    Fonte: WIKIPEDIA

  47. Accolgo, con molto ritardo, l’invito di Massimo a parlare di “Furore”. Lo faccio perché è uno dei miei libri preferiti, insieme a “Il piccolo campo” (1933) di Erskine Caldwell, letto molti, molti anni fa. Sia l’uno che l’altro uscirono negli anni 60/70 nei “gloriosi” Oscar Mondadori con traduzioni eccellenti. Non posso farne una recensione, sono davvero troppo gli anni passati, ma ricordo il piacere della lettura (anche il disagio, per essere sincera) e, ricordo anche, la punizione che mi ha procurato. Mia madre mi ha chiamato più volte, non ricordo per fa cosa, e io l’ho assolutamente ignorata: dovevo continuare a leggere.
    Leggendo romanzi di quel periodo, credo, sia importante ricordare la situazione politica, sociale ed economica del momento e, non dimenticare che il maccartismo era alle porte.

    Giulio Giorello, scrive su “Furore”

    “Quale vino fermenterà dai «grappoli dell’ira? Non diversamente da Joyce o da Pound, John Steinbeck (1902 – 1968) ha riscritto l’Odissea. Ma quando sfoglio le pagine di quello che in Italia è noto come Furore, risento le ballate «arrabbiate» di Woody Guthrie o di Cisco Houston: la ribellione dei disperati non è che l’altra faccia della solidarietà. Un seno per gli oppressi: dopo che il bimbo che aspettava è nato morto, Rosa Tea dona il suo latte al primo affamato che incontra. Non c’è nessun «paradiso» da «riconquistare», ma c’è sempre una «santarossa» per chi, pirata o vagabondo non si accontenta della rassegnazione.”

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