La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri)” è dedicata al volume “Quei bravi ragazzi del Circeo” di Massimo Lugli e Antonio Del Greco (Newton Compton)
In libreria dal 24 marzo
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A «Libri come. Festa del libro e della lettura» Massimo Lugli e Antonio Del Greco, la coppia bestseller del thriller italiano, presentano «Quei bravi ragazzi del Circeo» con Giancarlo De Cataldo (Newton Compton Editori, pagine 288, 12,90 euro, 5,99 e-book). Il romanzo scioccante di una delle pagine più nere della storia criminale italiana. L’incontro sabato 25 marzo a Roma presso la Sala Studio 2 dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, alle ore 17,00.
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La scheda del libro: Quei bravi ragazzi del Circeo di Massimo Lugli e Antonio Del Greco (Newton Compton)
1975. Roma e l’Italia intera sono sconvolte dalla notizia di un crimine talmente efferato da essere inconcepibile. In un piccolo comune della provincia di Latina, tre giovani di buona famiglia hanno rapito e torturato per un giorno e una notte due ragazze, uccidendone una e causando gravi ferite all’altra prima di essere arrestati. Chi sono questi tre aguzzini, e come sono potuti arrivare a commettere un atto così crudele? La verità ha le sue radici nella tormentata vita sociale degli anni Settanta, in cui il culto della violenza e l’ideologia neofascista allungano i loro tentacoli anche negli ambienti più insospettabili… Con la maestria che li ha consacrati nell’olimpo degli scrittori noir italiani, Massimo Lugli e Antonio Del Greco ripercorrono i traumatici eventi del massacro del Circeo, raccontando i pregressi dei colpevoli, lo svolgersi dei fatti e le conseguenze di uno dei crimini più tristemente celebri della storia italiana.
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Il “tandem letterario tra Massimo Lugli e Antonio Del Greco
MASSIMO. Scrivere un romanzo sul massacro del Circeo è stata una vera sfida, considerando tutta la produzione letteraria e cinematografica su quella storia atroce, dal romanzo di Edoardo Albinati che ha vinto lo Strega (chapeau) al film di Stefano Mordini, fino alla serie tv su Amazon Plus. Insomma, una vicenda di nera su cui si è ricamato, fantasticato, speculato per quasi quarant’anni. A questo punto, prima di affrontare un argomento simile, qualsiasi autore ha il dovere di porsi qualche domanda: che cosa ho da dire che non è stato già detto? Da che ottica posso affrontare la storia? Quale visione originale potrei fornire ai miei lettori? La risposta ce la siamo data a vicenda durante una di quelle interminabili chiacchierate che precedono ogni nostra avventura letteraria. E credo che, fin dall’inizio, siamo stati d’accordo su alcuni punti fermi.
ANTONIO. Già, visto che entrambi abbiamo vissuto quel periodo su fronti diversi ma, come dire, contigui: il giornalismo e la polizia. Nel 1975 non ero in servizio a Roma ma, pochi anni dopo, ho avuto modo di seguire tutte le indagini sulla latitanza di Andrea Ghira che, come sappiamo, è finita solo nel 2005, trent’anni esatti dopo il massacro. La prima cosa che abbiamo stabilito è che al primo posto dovesse esserci il contesto storico in cui è avvenuta la tragedia. Siamo nel pieno degli anni Settanta, le piazze sono incandescenti, le manifestazioni sono sempre più violente, gli scontri tra “rossi” e “neri” sono all’ordine del giorno. Molti ragazzi, spesso giovanissimi, cominciano a impugnare le armi o a pensare di farlo: è il preludio degli Anni di piombo, ormai alle porte. Le Brigate Rosse hanno firmato le prime azioni nelle fabbriche del nord mentre diversi militanti di estrema destra iniziano ad organizzarsi, spesso in combutta con la criminalità comune. A Roma la Mala è in fase di transizione: il regno della gang dei Marsigliesi inizia il suo declino mentre quelli che diventeranno i “bravi ragazzi” della Banda della Magliana osservano e imparano, in attesa del loro turno. Insomma, anni al calor bianco, con una violenza che si respirava nell’aria e un clima sociale e politico tesissimo. Secondo il mio parere di poliziotto, la ferocia indescrivibile che aleggia sulla vicenda del Circeo è frutto di quel contesto: classismo, maschilismo, disprezzo per le donne. Sono tutte componenti tipiche di alcuni personaggi dell’epoca. Lo stupro spesso era concepito come una vera e propria azione di guerra; ricordo l’aggressione all’attrice Franca Rame, due anni prima a Milano: una sorta di spedizione punitiva che ha ancora, dopo tanto tempo, molti lati da chiarire. Era un periodo veramente terribile per noi poliziotti.
MASSIMO. Anche per noi cronisti. E non a caso il romanzo inizia con una delle tante dimostrazioni di piazza degenerate in scontri, tafferugli tra militanti di destra e di sinistra e cariche della polizia. E a questo punto, secondo me, è venuto il momento di presentare uno dei protagonisti del romanzo: il vicequestore Fortunato Achei. Se qualche lettore è in grado di recepire alcune assonanze col nome di uno degli autori…beh, noi non diamo altri indizi. Comunque, è un poliziotto un po’ particolare: cocciuto, testardo, disilluso, poco incline a certi giochetti di potere molto frequenti in polizia a quel tempo. Uno sbirro sui generis che, credo, non rientra nel classico stereotipo fin troppo inflazionato nella letteratura noir italiana. Non è uno sciupafemmine, non è un gastronomo, non si fa le canne, non ha poteri extrasensoriali: è uno sbirro vero, che fa il suo lavoro e che…
ANTONIO….nelle prime pagine si becca una sassata alla spalla. E il dolore della ferita lo accompagnerà fino a pagina 285, la fine del libro. Venire feriti in servizio, all’epoca, era frequentissimo e i funzionari si facevano un dovere di tornare in ufficio prima della fine della convalescenza, di farsi vedere massicci e incavolati anche con un braccio al collo o la febbre. Funzionava così. Fortunato Achei non è preso, come facciamo spesso, da un personaggio vero, da alcuni investigatori realmente esistiti ma riassume le caratteristiche di molti che ricoprivano ruoli investigativi in polizia. E sarà lui, alla fine, a arrestare due degli stupratori-assassini e a dirigere l’inchiesta sul latitante che non fu mai preso. Abbiamo deciso di cambiare i nomi dei protagonisti, vittime e carnefici, e anticipare di un mese lo svolgimento degli eventi reali; due modi di sottolineare che si tratta comunque di un’opera di fantasia, non di una ricostruzione puntuale dei fatti. La sostanza è rimasta invariata. Ma c’è un altro personaggio di cui forse vuole parlare il mio coautore.
MASSIMO. Esattamente, socio. Si tratta di Fabio Corsi, giornalista di “Paese Sera” che, nella terza parte del romanzo, ritroviamo a “Repubblica”. Ricorda qualcuno? Ma stavolta non si tratta di un mio alter ego come Marco Corvino: le caratteristiche in comune sono quasi esclusivamente professionali. Anche in questo romanzo, come negli altri sei che abbiamo scritto a quattro mani, abbiamo voluto presentare un’indagine su un fatto di cronaca nera nella doppia ottica del poliziotto e del cronista che, a quel tempo, lavoravano spesso in sintonia. Sicuramente molto più di oggi visto che ormai il rapporto con le “fonti” è affidato agli uffici stampa. Corsi e Achei si conoscono, si prendono le misure con un tantino di diffidenza, finiscono per apprezzarsi e stimarsi a vicenda e diventare amici. Le loro carriere scorreranno su binari paralleli fino alla pensione. Beh, è quello che è accaduto a noi due e dalle nostre esperienze è nata questa stimolante collaborazione letteraria. Il nostro metodo di lavoro è ormai consolidato. Dopo aver abbozzato uno schema di trama ci incontriamo e ci sentiamo per decidere come andare avanti passo dopo passo. Io scrivo un testo che Antonio passa al vaglio, corregge, controlla e mi rinvia con le sue osservazioni. Poi andiamo avanti. Può sembrare farraginoso ma in realtà siamo velocissimi. Adesso ci vediamo soprattutto tra quattro mura ma all’inizio ci incontravamo spesso in strada o in un bar. Se qualcuno avesse registrato le nostre conversazioni probabilmente saremmo finiti sotto inchiesta: questo lo ammazziamo, questo si suicida, il furto lo organizziamo così, quella spia la facciamo tacere per sempre…c’è chi è stato arrestato per molto meno. Scherzi a parte, la trama è divisa in tre parti e l’ultima è ambientata nel 2005, l’anno in cui il destino chiude i giochi.
ANTONIO. Proprio così. A trent’anni dal massacro del Circeo il nome di Izzo (Francesco Itri nel romanzo) torna in prima pagina per il duplice omicidio di Verrazzano: altre due donne uccise per pura perversione omicida. Pochi mesi più tardi il corpo di Andrea Ghira (Alessandro Rami) viene scoperto in un cimitero nell’enclave spagnola di Melilla, in Marocco, dove era morto per overdose undici anni prima. Alla fine del 2005, il 30 dicembre, Donatella Colasanti (Daniela Cantali) muore di malattia. Quanto a Gianni Guido (Giuseppe Guanda), l’unico che in appello scampò all’ergastolo, ha scontato la sua pena ed è un uomo libero. Questo appuntamento col destino a tanti anni di distanza ha qualcosa di incredibile. E ci ha fornito l’occasione di paragonare le tecniche investigative di allora con quelle di oggi: dalla polizia in bianco e nero a quella a colori. Molti hanno la tendenza a paragonare le indagini di trent’anni fa (quando non esistevano i test del DNA, i tracciati telefonici, le telecamere di sicurezza, i cellulari e gran parte delle risorse operative che abbiamo attualmente) con quelle di oggi; un’ottica profondamente sbagliata. Lo fanno spesso molti giornalisti…
MASSIMO. Touché. Anche perché molti dei miei giovani colleghi non hanno la più pallida idea di cosa fosse quel periodo. E molti altri, non solo nei media, sembrano averlo dimenticato. Se il nostro romanzo ha un merito, forse, è anche quello di riportarci a quella fase complessa, disperata eppure satura di creatività e di speranze, che furono gli anni Settanta, attraverso la rievocazione del massacro di due ragazze innocenti. Due ragazze, ricordiamolo, che non erano minimamente coinvolte nei furori dell’epoca, vivevano in un quartiere popolare, non si occupavano di politica, una studiava, l’altra lavorava. Facevano la loro vita e sono state travolte incolpevolmente in un gorgo di follia assassina. È a loro che, nella postfazione del libro, rendiamo il nostro deferente e doveroso omaggio.
ANTONIO. E a Rosaria Lopez, Donatella Colasanti, Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, le due vittime del Circeo e le due di Verrazzano, abbiamo dedicato il nostro romanzo.
MASSIMO. E se questa fosse un’intervista un bravo collega, in chiusura, ci farebbe la domanda classica: progetti per il futuro? Rispondo a nome di entrambi: stiamo già lavorando. Stavolta la trama è ambientata nel 1983 e si parlerà di una ragazza di 15 anni, cittadina vaticana, misteriosamente scomparsa…Arrivederci al prossimo romanzo.
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Massimo Lugli si è occupato di cronaca nera come inviato speciale per «la Repubblica» per 40 anni. La Newton Compton ha pubblicato, tra gli altri, La legge di Lupo solitario, L’Istinto del Lupo (finalista al Premio Strega), Nelmondodimezzo. Il romanzo di Mafia capitale, la trilogia Stazione omicidi, Il giallo Pasolini, L’ultimo guerriero e Il giallo del nano della stazione. Insieme ad Antonio Del Greco ha scritto Città a mano armata, Il Canaro della Magliana, Quelli cattivi, Il giallo di via Poma, Inferno Capitale, Il baby killer della Banda della Magliana e Quei bravi ragazzi del Circeo; insieme ad Andrea Frediani, Lo chiamavano Gladiatore.
Antonio Del Greco è nato a Roma nel 1953 ed è entrato in polizia nel 1978. Dopo i primi incarichi alla questura di Milano, è stato dirigente della Omicidi. Attualmente è direttore operativo della Italpol. Insieme a Massimo Lugli ha scritto Città a mano armata, Il Canaro della Magliana, Quelli cattivi, Il giallo di via Poma, Inferno Capitale, Il baby killer della Banda della Magliana e Quei bravi ragazzi del Circeo.
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