Novembre 21, 2024

8 thoughts on “QUEL DIAVOLACCIO DELLA LETTERATURA DI CONSUMO

  1. ‘Sta storia della letteratura di consumo, ti dico la verità, mi ha stancata. Sempre a dare addosso ai libri che vendono di più… Ma basta. E poi a me Moccia sta simpatico. Per quanto riguarda le veline, invece, non ce le vedo proprio a cimentarsi con i libri, soprattutto se li devono scrivere loro. Troppo impegnate a mostrar le coscie. ciao.

  2. Ce ne fossero autori come Montefoschi! Il problema è che l’ignoranza dilaga, cari miei. D’altro canto, come si può pretendere che un popolo di guardatori di reality show legga Montefoschi anziché Moccia e Muccino?

  3. Non ho letto né Moccia, né Muccino, ma Camilleri e Hornby. Anche qualche Palaniuk e Philip Roth. Sono tutti autori di successo, ma se un autore vende è di consumo? Io credo che ci sia spazio per tutti, come per la musica: posso ascoltare Lucio Dalla e Frank Zappa indiferentemente a seconda dei momenti, persino Cremonini senza per questo vergognarmi. E’ un problema di propaganda: Cremonini e Dalla ce lo propinano ovunque, Zappa no, ma anche noi non lo andiamo a cercare, perché siamo pigri e aspettiamo che la mamma ci faccia trovare la pappa pronta.

  4. Sono d’accordo con gcanc e piuttosto in disaccordo con spartacus. Cosa propone di fare, spartacus, per ricondurre sulla retta via il popolo dei reality show? Creare dei campi di concentramento letterari dove obbligare alla lettura (educativa) dei Montefoschi e degli altri “veri” libri?

  5. No Elektra. Io non propongo nulla di tutto ciò. Il mio era soltanto un lamento solitario urlato al vento.

  6. La letteratura di consumo non è una questione attuale. Già nel Settecento e nell’Ottocento esistevano i cosiddetti libri “di consumo”. Basta pensare al feuilleton francese (Dumas padre, G. Sand, Eugene Sue etc…). Il fenomeno è legato alla legge fondamentale del mercato editoriale: vendere, vendere, vendere. In fondo, c’è da chiedersi questo: all’editore, che gliene importa se il romanzo è “di consumo” e qualitativamente non elevato? Quale è il primo problema che si pone l’editore (così come lo scrittore, ma soprattutto il primo)? “Questo libro venderà?” si chiede. Se la risposta è “Sì”, allora lo pubblicherà.
    C’è, però, um’altra importante questione, e cioè che l’Italia è uno dei paesi, in Europa, in cui si legge di meno. Il mercato editoriale è determinato dalla domanda, oltre che dalla offerta: se i lettori vogliono quel tipo di libri, gli editori non fanno altro che accontentarli. In fondo, non dobbiamo meravigliarci se oggi un libro di Moccia vende di più di un libro di Eco, eppure sappiamo benissimo quale dei due, qualitativamente, vale di più.
    Questa decandenza, tra l’altro, non si riscontra solamente nell’ambito letterario, ma anche nel cinema e nella musica. Il cinema di oggi (a parte quello italiano) si fonda quasi essenzialmente sugli effetti speciali, mentre la musica vede il trionfo del pop e del rap. E lo stesso dicasi per la televisione, dove vediamo gente che mette in mostra quasi con orgoglio la propria ignoranza (mi riferisco alla “Pupa e il secchion”). Ma esisterebbero i reality show se nessuno li seguisse? Esisterebbero il pop e il rap se nessuno comprasse quei dischi? Esisterebbero i film “di Natale” di Vanzina, che ogni anno propongono le stesse gag, se la gente non corresse a guardarli?
    Cosa fare, allora, per risolvere questo “problema”? Anche se si pubblicassero libri di alto valore letterario, non ci illudiamo: non venderebbero come quelli di consumo. La gente non vuole leggere libri impegnativi; la gente vuole rilassarsi, divagarsi, trovare un’alternativa alla realtà. E il libro, il romanzo di consumo, sono il solo stratagemma per accontentare l’esiguo popolo di lettori (rispetto al resto delle singole nazioni europee) che vantiamo in Italia.

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