Dicembre 3, 2024

142 thoughts on “RACCONTAMI LA NOTTE IN CUI SONO NATO di Paolo Di Paolo

  1. Come ho già accennato questo post è strutturato in due parti.
    La prima parte è dedicata al libro.
    E prendendo spunto dal libro e dal fatto di cronaca a cui è ispirato vi pongo le domande che seguono…

  2. Qual è il prezzo dell’esistenza?
    È possibile rinunciare alla propria?
    È possibile dare un prezzo a ciò che siamo stati?
    E come fare?
    Qual è il momento esatto in cui una vita inizia?
    Dove abbiamo cominciato a essere chi davvero siamo?

  3. La seconda parte del post si basa sull’analisi del libro offertaci da Andrea Di Consoli, ma anche su una sorta di urlo di dolore che – in un certo senso – Andrea rivolge al lettore italiano.

  4. Secondo voi… ha ragione Andrea quando scrive la seguente frase?
    “Siamo nell’epoca dell’uguaglianza: un libro vale l’altro, tutti gli scrittori sono scriventi, nessuno è diverso dall’altro. Tutti uguali, tutti nello stesso brodo, tutti più o meno falliti. E se non hai l’approvazione della massa (non dal popolo, che è altra cosa, e che pure c’è, sia anche a livello di elite, ormai) vuol dire che non vali niente.”

  5. Non ho letto il libro, mi spiace (ma d’altronde neanche Di Paolo credo abbia letto i miei; scherzo ovviamente) ma condivido del tutto la riflessione della seconda parte dell’articolo. Aggiungo che ormai capita spesso di sentirsi rispondere dagli editori che: non è il libro a non interessare ma l’età dell’autore. Cioè avere più di trent’anni è diventato un handicap per chi scrive.
    Comunque l’approvazione delle ‘masse’ non mi ha mai fatto un buon effetto…

  6. Andrea Di Consoli mi piace: e’ un vero letterato che non la manda a dire, che crede in quello che fa – ossia nella Letteratura considerata QUALE E’, cioe’ un insieme di forme, registri e stili tutti pariteticamente degni di esser presi in considerazione dall’editoria quanto tutti sottoponibili all’onesto ”setaccio” col quale una critica seria dovrebbe vagliarli – vagliarli senza la spada di Damocle del ”romanzo” sopra il capo, ovviamente. La disamina di Di Consoli insomma e’ soltanto seria, si’: solamente seria, normale, ovvia, non ”bruciante” o ”polemica”. La sua e’ una voce che ricorda all’editore – e nondimeno al critico – che il suo compito e’ culturale, non commerciale.
    Da sottoscrivere in pieno e col lapis rosso, caro Di Consoli. Siamo sulla stessa strada.
    Grazie
    Sergio Sozi

  7. P.S.
    Ed anche l’ossequio per la ”ggioventu”’ reso da quest’epoca di morti viventi la dice lunga sul tasso intellettivo-vitalistico medio girante per la Penisola. Solo un Paese catatonico ammira i ggiovani solo in quanto ggiovani e non per quel che fanno di buono.

  8. Caro Massimo,
    a rileggere il pezzo, credo proprio di essere stato tenero con l’attuale situazione. Siamo tornati a un neo-neorealismo enfatico di natura mediatica. Mai, prima, s’era vista così tanta fame (da parte del pubblico adulto) nei confronti dei giovani, qualsiasi cosa dicano. Tutto questo, com’è evidente, è il sintomo di una cosa orribile, ovvero che la Tradizione, la Maturità, l’Esperienza vengono ormai percepiti come cose vecchie, cose da temere. Io, personalmente, riconosco solo gli scrittori con caratura “novecentesca” (come il giovane Di Paolo); scrittori, cioè, seri, studiosi, complessi, che non si costruiscono e non si fanno costruire dal circo mediatico, che maciulla tutto, prima o poi, e massacra con l’oblio (ma questo i giovani non lo sanno) chiunque vi si accosti. Ripeto, amo l’Italia e la sua storia. Mi fanno pena, però i troppi ottusi che parlano a sproposito di cultura.
    Andrea Di Consoli

  9. La disamina di Andrea Di Consoli è troppo appassionata? è pungente? tocca un po’ tutti, lettori e scrittori, o presunti tali… ma è VERA. L’editoria è una città selvaggia; i “ggiovani” vengono anche sfruttati come categoria, universo speciale e a parte, da certi scrittori… ma c’è chi li legge, dunque tutto ciò paga. Si pubblica qualsiasi cosa, oggi, ma non tutto è oro. Sentir parlare in termini entusiastici del libro di un ragazzo così giovane fa venir voglia di andare subito in libreria a cercarlo.

  10. “Siamo nell’epoca dell’uguaglianza: un libro vale l’altro, tutti gli scrittori sono scriventi, nessuno è diverso dall’altro. Tutti uguali, tutti nello stesso brodo, tutti più o meno falliti. E se non hai l’approvazione della massa (non dal popolo, che è altra cosa, e che pure c’è, sia anche a livello di elite, ormai) vuol dire che non vali niente.” Sì, in questo Andrea Di Consoli ha perfettamente ragione, a mio modestissimo avviso. Mi occupo da anni di letteratura, soprattutto di poesia, non come autrice, per carità. Di dilettanti allo sbaraglio sono pieni i cassetti di tutte le redazioni, ma come lettore abbastanza consapevole (spero) di poeti. Chi grida , chi si fa vedere in TV, chi sbandiera se stesso, si fa ascoltare, almeno per qualche mese. Chi vale davvero viene osteggiato dagli stessi poeti o aspiranti tali, timorosi di essere soppiantati da qualità che non possiedono. Così nella narrativa, dove autori di nicchia bravissimi vengono pressoché ignorati, perché non sgomitano, perché non riempiono i libri di scene erotiche e di parolacce, perché scrivono “bene”. E questo sembra essere un delitto, come l’altro, quello dell’età. Tra poco publicheranno libri i bambini di seconda media. E quello sarà un tristissimo giorno.

  11. sono d’accordo con sozi, ringrazio rossitto e gli altri, e mi piace molto ciò che ha scritto Desi. Perché Desi (stamattina mi sono svegliato con la voglia di dire le cose che penso) dice qualcosa di vero su questo esporsi, su questo svegliarsi una mattina di qualcuno, e dire: “Io sono la scrittura, io sono la novità. Oppure: io sono la speranza, il Profeta”. Chi invece lavora nell’ombra (beninteso, senza credersi Dio) viene totalmente ignorato. Il vero problema è il deficit di attenzione e di cura che riusciamo a dare alle cose che accadono: purtroopo vediamo solo ciò che abbaglia e luccica.
    Andrea Di Consoli

  12. @ Cinzia
    Scrivi: “avere più di trent’anni è diventato un handicap per chi scrive”.

    Probabilmente hai ragione. Meno male che io ho appena vent’anni.
    Sì… magari!
    🙂

  13. “Qual è il prezzo dell’esistenza?
    È possibile rinunciare alla propria?”
    molti lo fanno: per costrizione altrui o perché non sanno in quale altro modo agire.
    “È possibile dare un prezzo a ciò che siamo stati?
    E come fare?”
    ci sono persone che tutti i giorni fanno questo, in ogni situazione e anche in ogni ceto sociale.
    “Qual è il momento esatto in cui una vita inizia?
    Dove abbiamo cominciato a essere chi davvero siamo?”
    la vita inizia ogni istante e noi non siamo mai chi siamo, perché siamo esseri sempre in movimento, ogni istante ‘in divenire’, in possibile trasformazione.
    Quindi, e parlo per me sola, la mia vita è mia e non la cedo. E io sono chi sono (nel bene o nel male non importa) proprio perché ho vissuto questa vita. Ma anche viceversa.

  14. Mi piacerebbe che il post si sviluppasse anche attorno al libro di Paolo Di Paolo. I temi che tratta mi sembrano davvero interessanti.

    Qual è il prezzo dell’esistenza?
    È possibile rinunciare alla propria

    (ecc. ecc.)

  15. @ Paolo Di Paolo
    Caro Paolo, perché non inserisci tra i commenti qualche brano estratto dal tuo libro? Così ne diamo un assaggio ai nostri amici.
    Pensi possa essere possibile?

  16. e sono d’accordissimo con Andrea Di Consoli. Ho letto con grande interesse e partecipazione le sue parole. Diamo troppa importanza al clamore, alle luci e ai lustrini, ma la letteratura, quella vera, cammina silenziosamente e ha ombre. Dovremmo ricordarcene.

  17. @ Massimo. Grazie a te, caro. E’ sempre un piacere essere qui. Gli argomenti che proponi sono sempre interessanti e gli interventi altrettanto.
    Anch’io vorrei qualche estratto dal libro di Di Paolo.

  18. Caro Massimo,
    per invertire la tendenza ci vogliono alcune cose di base. Anzitutto, un’idea contemplativa del sapere (non tutto questo “azionismo” e volontarismo, per cui lo scrittore sembra o un politico, o un esagitato opinion-maker: o un dj). Lo scrittore vero, per sua natura, è un po’ isolato, riflette, studia, rimugina, ama i luoghi e le cose laterali, le cose marginali, scova libri non letti dagli altri, coglie particolari che agli altri sfuggono. Ecco, caro Massimo, è un’idea di esistenza che qui è in discussione. Bisogna capire questo: che spesso la verità non è né nel clamore, né nel bagliore, ma in un’attitudine poetica, in un modo di vivere che è, appunto, da scrittore. Il successo mediatico distrae. Nella mia vita di giornalista mi è capitato per esempio di conoscere uomini politici. Ebbene, tutti i politici sono perennemente di stratti, attaccati alle agenzie, appesi a un telefonino. Si perdono tutto: ogni particolare. La mia idea è che uno scrittore sia tutto l’opposto di un politico. (Continua…)
    Andrea Di Consoli

  19. Ho letto il libro di Paolo Di Paolo. La scrittura fluida. Letteraria. Ondeggiante.
    Che si interroga.
    Uscire da se stessi può esigere il pagamento di un prezzo. Ma anche la conquista di una sponda. Di una terra promessa. Ritrovata.
    La conquista è dare un valore alle cose.
    Scoprire che lo avevano anche prima. Quando le davamo per scontate. Assimilate. Così intrise di noi e della nostra storia da non appartenerci.
    Invece proprio spogliandosi Lucien ricorda. Ricrea. Si immette nell’affioro di ogni vera crescita: quella che porta a essere, semplicemnte essere, noi. Ma sapendolo.
    Quando questa confidenza con se stessi viene assaporata, il mistero di ogni nascita si svela. E la prima domanda – “raccontami la notte in cui sono nato”- è già una risposta: iniziare a esistere, in un modo, un qualsiasi modo, è una storia che ricomincia sempre.

  20. Caro Andrea,
    mi piace molto questa tua frase: “Lo scrittore vero, per sua natura, è un po’ isolato, riflette, studia, rimugina, ama i luoghi e le cose laterali, le cose marginali, scova libri non letti dagli altri, coglie particolari che agli altri sfuggono.”
    Mi piace, anche perché va nella stessa direzione di un progetto letterario che penso di avviare nei prossimi mesi.

  21. @ Simona
    Grazie per il tuo commento, Simo. Bello. 🙂
    Visto che hai letto il libro ti chiedo – se puoi – di darmi una mano a coordinare la parte del post ad esso dedicato.
    Per esempio… cosa domanderesti a Paolo Di Paolo?

  22. @ Andrea Di Consoli
    “… un’idea contemplativa del sapere…”. Parole molto belle, che trovano risonanza in me.

  23. @Massi…con piacere.
    A Paolo Di Paolo vorrei chiedere quanta parte ha avuto nell’elaborazione del libro la letteratura di Melville.
    C’è un bellissimo riferimento a Bartleby lo scrivano.Alle sue perplessità. Al suo tirarsi indietro per principio. Senza giustificazione apparente.
    Anche Lucien si fa da parte. Si tiene lontano da inviti. Appuntamenti con coetanei. Scaramucce amorose.
    E’ un osservatore. Uno che che dice spesso :”Preferisco di no”….proprio come Bartleby.
    Ma mentre Bartleby chiude la propria vcenda umana senza riuscire ad aprirsi a un’alternativa, a un cambiamento, Lucien supera l’immobilità iniziale. La paralisi di tanta insicurezza adolescenziale.
    Credo che la differenza stia nel fatto che il personaggio di Melville è “scrivano”, mentre Lucien, come Paolo, è “scrittore”.
    L’uno copia lettere di altri. L’altro crea. Trasforma e trasfigura.
    E’ così, Paolo?

  24. Caro Andrea,
    la faccenda è ben più grave di come la poni tu (?!), noi viviamo l’epoca dell’uguaglianza emozionale che va molto al di là del “comunismo capitalistico” al quale accenni. Basta frequentare i blog con motivata partecipazione per accorgersi, che l’ emozione non riconosciuta non solo viene respinta, ma diventa connotazione particolare, a cui guardare con ostilità. Noi viviamo l’epoca dell’emozione condivisa, del luogo comune del momento che veste l’anima con T-shirts a buon mercato, ma di marca!
    Ho inserito il libro, nell’elenco degli acquisti del mio sistema bibliotecario. Riferirò i commenti dei lettori…anzi, come è più corretto dire, degli utenti. Ti fa pensare qualcosa?
    Ciao, Miriam
    faccina solare, qui il tempo è buissimo! 🙂

  25. Grazie per il post e per le discussioni; è molto interessante e impegnativo ciò che scrive Andrea Di Consoli. Sottopongo a lui e a tutti questo brano di Gianni Celati, trovato nel bellissimo numero della rivista Riga a lui dedicato e appena pubblicato. «Sono una maggioranza – spiega Celati – i nuovi scrittori che concepiscono i libri come assalti militari, con un modo di parlare e pensare simili a quello dei marines di Bush: We came here to make our job [Siamo venuti qui per fare il nostro lavoro] – come se il contesto morale del loro lavoro fosse fuori discussione. La stessa idea extramorale del making our job ce l’hanno gli esperti delle case editrici, e i nuovi autori – marines della letteratura ufficiale, letteratura d’assalto in stile americanistico». A me i marines della letteratura fanno paura; mi fa paura la loro assenza di inquietudine. A voi?

  26. cara Simona, amo molto il racconto di Melville; amo l’ironia sotterranea che c’è dentro. Bartleby rinuncia? Sta un passo indietro rispetto alla vita? Forse hai ragione. Ma la storia di qualunque scrittore autentico passa per la strana ritrosia di Bartleby. E scrivere non sempre significa superarla…

  27. Paolo,
    il problema è che i marines si mettono la tuta mimetica…
    sto in lettura, a presto

  28. Salve a tutti…
    Intanto un saluto a Paolo Di Paolo che ho avuto il piacere di ascoltare e conoscere a Catania in occasione della presentazione proprio di questo libro. A Siracusa invece lo ospiteremo – siciliani di Letteratitudine, accorrete! – giorno 22 ottobre alle 18.30 presso il Biblios cafè. Io e Simona Lo Iacono insieme al gruppo di scrittura di Luigi La Rosa faremo un po’ da padrone di casa per accoglierlo al meglio. Paolo Di Paolo non solo parlerà del suo libro ma illustrerà l’interessante progetto di Giulio Perrone: i circoli di lettura.
    Per chi fosse interessato ad approfondire rimando al mio blog (scusate la pausa promozionale!):
    http://marialuciariccioli.splinder.com/

    E qui mi aggancio al post di Andrea Di Consoli. Bravissimo: ha condensato molte delle riflessioni che sono circolate in questo blog. La massa purtroppo regna sovrana e la si fa regnare perché se ne stia chiusa a casa a vedere le partite le talpe le isole le fattorie i balli delle ributtanti e i concorsi per veline invece che rendersi conto dello sfasciume nazionale.
    Da quando la cultura è diventata nazionalpopolare nel senso deteriore si accarezzano i gusti medio-bassi e il livellamento avviene sempre in un solo senso: quello discendente. Certe fiction in cui recitano cani d’attori valgono meno delle performance di attori come Rex e Rin Tin Tin.
    Gli editori vogliono il libro che si vende, che piace, senza rendersi conto che a volte basta il passaparola o il testo che coglie miracolosamente l’air du temps pur non essendo megapubblicizzato perché strategie di marketing e calcoli che non hanno niente di culturale dietro ma solo il profitto saltino.
    E’ tempo che si torni alle stroncature, ai giudizi di valore. Oggi va bene tutto, tutto è capolavoro, tutto è rappresentativo di tutto e quindi si riduce a niente.
    Anche a scuola è così: si accetta tutto, si presentano contenuti appiattiti in cui tutto equivale a tutto e si riduce a zero.
    Il critico letterario è una figura da museo…

  29. a un certo punto, al protagonista, deciso a vendere la propria esistenza, appare un fantasma: il fantasma di Perec. “E allora di chi sono questi occhi? Di un fantasma, naturalmente, dice il fantasma di Perec. Ma io non credo ai fantasmi, non credo ai sogni e neppure ai fantasmi. Tu credi di non credere a molte cose, risponde il fantasma di Perec. Tu credi che lasciare la propria vita a qualcuno sia lasciare un lavoro, una macchina, una casa? una rubrica telefonica? Eh no, ragazzo, ti tocca lasciare su questa strada parecchie altre cose. Ma io ho lasciato tutto, mi difendo. Mi dispiace ma non è vero, mi interrompe lui. Questa è una farsa, tu non sei nudo e non sei solo. Dovrai dire addio a molte altre cose di te, prima di esserlo davvero. Ma come? domando, non basta aver abbandonato fotografie, ritagli di giornale, libri? non basta forse avere raccontato di me, fino a sentire la gola secca? Avere presentato a Filippo, qui presente e dormiente, i miei amici, le ragazze di cui sono stato innamorato, perfino i vari Armandi e i Petrinelli che non mi possono soffrire, genitori e nonni, viali e strade? […] Ha un ghigno severo sulle labbra, il fantasma di Perec: non basta, scandisce, non basta. Devi buttar via tutto ciò che tu chiami il resto. Ecco, appunto, signor Perec, ma io non ho nessun resto, è proprio qui il problema. Io scrivo per un giornale, leggo libri, ho il cuore sgonfio. Sa come si dice? deficit dell’attività di contrazione, impedimento al riempimento del cuore. Va’ là, il tuo cuore è pieno, sostiene il fantasma di Perec, il tuo cuore è pieno – e sparisce in un ronzio. Buonanotte, interviene all’improvviso il fantasma di Magritte, piacere, sono il fantasma di Magritte. Senta, io non credo ai fantasmi, mi ribello, e non ho mai sopportato chi dice di credere alle apparizioni e ai sogni, chi sente le voci, chi vede gli spiriti.
    Accosto l’auto all’altezza del passo di Forca d’Acero. C’è soltanto una piccola fila di luci fioche, che segnala l’ingresso del bar-ristorante, in questa stagione aperto solo di domenica. Mi passo le mani sul viso, come a svegliarmi. Filippo pare in letargo, non si accorge di niente. Io mi guardo attorno – e ricordo: mattine d’inverno tra Natale e capodanno, scendevi dalla macchina e cominciavi a tremare dal freddo. Saltellavamo intirizziti e la neve era alta e soffice. Allora ci fermavamo a mangiare pane e salsiccia e poi avevamo voglia di bere del cioccolato caldo. Oppure: domeniche d’estate, arieggiate, trasparenti, con tutto quel vociare attorno e quel movimento sembrava un quadro impressionista, e io guardavo gli altri e sentivo amor di patria.

    All’epoca, facevo un giornale domestico, lo impaginavo al computer. Si chiamava “il Menù”. Ero direttore, redattore, grafico. Usciva soltanto quand’ero in vacanza da scuola. Chiedevo a mia madre cosa avrebbe preparato per la cena, mettevo in pagina le pietanze – d’estate c’erano sempre fagiolini, pomodori, mozzarella – e quello era il cuore di ogni numero. Poi, c’erano le altre notizie, qualche storia a puntate, disegni, caricature – e i miei editoriali patriottici. Fornivo spesso fitti elenchi di ragioni per riconoscermi italiano, chi sa più perché. Saprei trovarne ancora, adesso? Vediamo, mi dico – e provo a concentrarmi.
    la bandiera tricolore che ho tenuto per anni accanto al letto
    le biciclette, a sciami, sulla piazza di Pesaro, che mi era sembrata così bella e ariosa
    Ma ci vuole anche un po’ di luce, interviene di nuovo il fantasma di Magritte, e qualche nuvola, e dei campanelli.
    allora dico la luce bianca delle mattine di capodanno, e io che davanti al televisorino in salotto, con una cannuccia, dirigevo il concerto
    le Quattro Stagioni di Vivaldi (le mettevo in sottofondo al pranzo in cui festeggiavamo la promozione di giugno)
    le domeniche, la messa alle dieci, il catechismo, la catechista Valeria, e suor Luigina
    una ricerca scolastica su Camillo Benso Conte di Cavour, alle medie, a casa di Alberto (con una strana, sudaticcia tensione nell’aria)
    il sapore delle melanzane sulla brace, la pizza del sabato fatta in casa
    la Fiat Panda 750 Young
    la spiaggia di Sabaudia
    Scalfaro e Andreotti incontrati a Santa Maria del Popolo, una mattina presto
    l’inno suonato alla festa della scuola
    Italia 90, Notti magiche – e luglio 2006
    la foto dei miei nonni da giovani
    C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, il vento nei film di Fellini
    la voce di Mina e di Lucio Battisti
    Proust che cammina per Venezia e fa dire al Narratore: “Tornavo a piedi per piccole calli, fermavo qualche ragazza del popolo come forse aveva fatto Albertine, e mi sarebbe piaciuto che lei fosse con me”. Un personaggio di Sartre che in un racconto dice alla ragazza Lulù: “Voglio fare la tua felicità, andremo in giro in barca, in automobile, andremo in Italia e ti darò tutto quel che vorrai”

    Napoli, un ristorante sul mare, l’odore di pesce fresco, Roma il giorno di ferragosto, vuota e infuocata, la casa di Manzoni a Milano (ho sfiorato con la mano il suo scrittoio), la nave di D’Annunzio nell’immenso giardino del Vittoriale, Lungarno, la finestra di Verga, lassù in alto, a Catania
    Sapore di mare e Sapore di mare 2, Fantozzi
    Pasolini. Totò.
    i paesaggisti italiani dell’Ottocento
    le versioni di latino e Dante, il lunedì alla sesta ora
    Falcone e Borsellino
    la luce dell’estate nell’Avventura di Antonioni
    gli intercity della notte (l’odore di sporco, le facce stanche; svegliarsi nel cuore della notte senza sapere che ora sia, e quale piccola stazione)
    le piazze di Torino, i portici di Via Po. Genova e Giorgio Caproni
    padre Carletti che spiega le guerre d’indipendenza
    Tutto questo che prezzo ha? domanda sornione il fantasma di Perec. A quanto bisogna venderla un’emozione, uno sguardo, una musica ascoltata, e un odore? un dolore? Vediamo. Lo sai che sorridevi, in braccio ai tuoi giovani genitori, il giorno del battesimo – tra venti giorni sarebbe stato il tuo primo Natale. Tua madre aveva un abito rosso ed era molto bella. A quanto lo vendi quel piccolo sdentato sorriso? Sarei curioso di sapere poi a quanto vendi i castelli di sabbia su una spiaggia al Gargano, si chiamava Lido del Sole, ma tu non puoi ricordarlo: però eri felice. E resta da vendere una neve alta, di marzo, che aveva sommerso macchine e copriva i portoni, era arrivata di notte, fitta e insistente, e la mattina il cielo era grigio e pieno di vento. Tu calzi un paio di piccoli doposci azzurri, avresti voglia di toglierti i guanti e conoscere la consistenza della neve. Poi sarebbe arrivata l’estate: ti tocca dirmi quanto costa la maglietta rossa con cui stai affacciato a un balcone e fissi il mare. Sulla spiaggia gli ombrelloni sono ancora pochi, forse è mattina presto, forse è giugno. Tu ricordi? Poi un’altra neve, era arrivata perfino a St. Mary, quella neve costa parecchio, non è tornata più, era così strana e irreale, restava impigliata ai rami spogli, seppelliva i viali e il giardino, deve essere stato un inverno molto freddo, ti chiedevi dove erano andati a rintanarsi i gatti, e se i gatti battono i denti. Poi facciamola breve, non voglio star qui a chiederti troppo, ma di quest’ombra sì, ti voglio proprio chiedere: è una strana ombra mattutina, stai facendo colazione in una casa che non è la tua, hai una grossa tazza davanti e sembri tutto concentrato a osservare il latte, ti piace guardare le cose, ti piace sapere come cambiano se cambia la luce, anche il latte, l’acqua, la terra e la sabbia, la cacca dei cavalli. Le cose che non ci sono più, che prezzo hanno? Dovresti dirmi di questo altissimo cedro e del colore grigioazzurro dei suoi rami: mi piace la tua piccola tuta del sabato pomeriggio, quando si può già trascorrerlo in giardino, chiacchierando con sé stessi o girando in tondo il garage in sella alla bicicletta. Ti stai annoiando? Lo so, forse ti stai annoiando, ma dovevi pensarci prima, queste non sono cose da fare all’ultimo momento – dare un prezzo alla ruggine sulla ringhiera del ponte sul lago di Barrea; hai cinque anni e ti racconti molte storie in testa, sugli aironi, sugli altri uccelli e i fiori. Anche sugli indiani. Dove finiscono le persone sconosciute che restano impigliate per caso nelle nostre fotografie? Te lo chiedi mai che vita hanno avuto? da quell’istante in poi, che erano là, a un passo da noi, in quello stesso spicchio d’estate. Di quella dei tuoi sei anni, restano da vendere le prime bracciate in acqua, e la mano di tua madre che ti sostiene, mamma-sirena. Qui rischia di spuntare l’alba e siamo ancora a dare un prezzo alle nuvole scure sopra Parigi, minacciose e distratte – lasciano filtrare ogni tanto un raggio bianco, che fa brillare le strane architetture fatate di Disneyland. Vanno prezzati quei panini, Lucien, te li ricordi quei panini tondi, spessi, al prosciutto cotto? Lasciavano sulla lingua un sapore dolciastro.”

  30. Innanzitutto un caro saluto a Paolo Di Paolo, che ho avuto il piacere di conoscere a Catania in occasione della presentazione proprio di questo libro. Ciò che colpisce di lui è l’estrema maturità stilistica, la padronanza della lingua, la profondità di certe riflessioni che farebbero sospettare una penna più matura.
    Amici siciliani di Letteratitudine, accorrete! Messaggio promozionale… Paolo Di Paolo sarà a Siracusa il 22 ottobre alle 18.30 presso il Biblios cafè. Parlerà naturalmente del suo libro – ma vi consiglio anche quello che ho letto io, “Come un’isola”, che è un viaggio a ritroso nella memoria personale e a caccia delle tracce emozionali della figura di Lalla Romano – , ma pure dell’interessante progetto culturale di Giulio Perrone Editore: i circoli di lettura. Date un’occhiata al mio blog per saperne di più:
    http://marialuciariccioli.splinder.com/

  31. @Paolo…
    condivido ll tuo parallelo tra Bartleby e, in generae, la figura dello scrittore. Non sei l’unico a intuirla.Una parte della critica ritiene che questo racconto sia una metafora non solo di Melville ma di ogni artista che si attenga al motto di Montaigne “Je m’abstiens”, che – in sostanza – dica NO ai compromessi con la società.
    Io credo che Bartleby si sia chiuso nel suo guscio per sopravvivere. Agli assalti della vita. Al tempo. All’ipotesi del rifiuto.
    E Lucien?

  32. Riprovo…
    Un caro saluto a Paolo Di Paolo, che ho avuto il piacere di conoscere a Catania in occasione della presentazione proprio di questo libro…
    Stupisce in lui la maturità stilistica, la padronanza espressiva, la profondità di certe riflessioni che farebbero sospettare una penna decisamente più matura.
    Messaggio promozionale: lo avremo a Siracusa il 22 ottobre alle 18.30 al Biblios cafè… Io e Simona Lo Iacono faremo un po’ da padrone di casa per accoglierlo al meglio insieme al gruppo di scrittura di Luigi La Rosa…
    Amici siculi di Letteratitudine, accorrete! Per chi volesse saperne di più rimando – spot! – al mio blog…
    http://marialuciariccioli.splinder.com/

    Paolo Di Paolo naturalmente parlerà del suo libro ma affonterà anche un argomento interessante, cioè i circoli di lettura, l’ultimo progetto dell’editore Giulio Perrone.

  33. Scusate la logorrea ma credo che il problema si sia risolto.
    Torniamo al post.
    Vi consiglio anche “Come un’isola”, il primo libro che ho letto di Di Paolo. Anche qui un viaggio nella memoria individuale per poi ricercare e tentare di rivivere le figure di chi ci ha lasciato, siano esse la nostra prof d’Italiano o la poetessa Lalla Romano.

    A quanto venderemmo le nostre interrogazioni, le gite scolastiche, le uscite con gli amici, gli amori? Le nostre letture, la musica, tutto ciò che è consapevolmente o meno parte di noi?
    E’ vero allora che il tutto non è la somma delle parti. Noi non siamo la somma di tutti gli istanti che abbiamo vissuto o delle esperienze fatte. La nostra vita è nostra ma al contempo ci trascende perché è relazione con noi stessi e gli altri e il passato e il futuro. Siamo una cellula di un corpo immenso che senza di noi è privo di qualcosa e che vive perché noi siamo in relazione – scambio, rapporto, anche conflitto – con milioni di altre cellule. E con la storia che ci ha preceduti, che ci ha plasmati senza che noi possiamo sapere come.

  34. massimo maugeri, tu dici che sei d’accordo con di consoli quando dice che lo scrittore vero, per sua natura, è un po’ isolato, riflette, studia, rimugina, ecc.
    non sono d’accordo.
    quest’immagine dello scrittore non credi che sia un pò usurata? oggi servono scrittori che escono allo scoperto, non scrittori tappati in casa a rimuginare. ce n’ è anche troppa di gente che rimugina.

  35. Faccio una piccola incursione solo per ringraziare Massimo dello spazio dato al libro di Paolo che sono orgoglioso di aver pubblicato e ad Andrea per il pezzo splendido che avevo avuto già occasione di leggere.

    Sono peraltro d’accordo sul fatto che si pubblica troppo e spesso senza criterio. Lo dico da editore (assumendomene quindi la mia dose di responsabilità) e da editore spero che questa crisi di cui tanto si parla e che tocca anche il mercato del libro riporti al centro le cose davvero importanti: la lettura, la passione, i libri e le idee che hanno sempre contraddistinto i grandi scrittori, i grandi editori, i grandi giornalisti.

    Credo inoltre che spazi di dialogo come questo, gestiti in modo intelligente e mai fuori tono, siano sempre più rari. Quindi grandi complimenti e in bocca al lupo a Massimo Maugeri per il lavoro che fa con tanto impegno.

  36. Qual è il prezzo dell’esistenza?
    Impagabile… non siamo padroni neanche di uno dei nostri capelli.
    È possibile rinunciare alla propria?
    Si rinuncia autodistruggendosi o rinunciando al proprio progetto di vita, lasciandosi trascinare dall’inerzia della corrente senza opporvi le nostre capacità, la nostra progettualità, il nostro esserci non da vegetali ma consapevolmente.
    È possibile dare un prezzo a ciò che siamo stati?
    Chi potrebbe ricomprare anche un singolo ricordo per riviverlo? C’era un bellissimo racconto di Buzzati in cui un uomo scopriva una fossa piena di casse, i giorni perduti (quello in cui aveva perso per egoismo il fratello, l’altro in cui aveva perduto la ragazza che amava). Avrebbe dato di tutto per tenerne almeno uno, ma queste casse venivano portate via per sempre…
    Qual è il momento esatto in cui una vita inizia?
    Inizia comunque, anche contro la nostra volontà. Si tratta solo di consapevolezza. Forse la vera vita inizia quando iniziamo a premere noi i bottoni della nostra vita. Ma poi è davvero così? Il nostro posto nel mondo, la nostra “missione”. Forse la vita inizia proprio quando iniziamo a capire che siamo qui per un motivo, che le redini della nostra vita e la responsabilità relativa sono nostre. O forse inizia quando iniziamo a pensare per nostro conto, ad avere pensieri idee gusti che sono veramente nostri e non frutto di imitazione passiva.

  37. inserisco un’altra nota polemica. si parla di lettori ottusi? ma dove sono i lettori? non vi accorgete che i lettori sono sempre più gli stessi scrittori?
    ho ragione o no?

  38. Volevo rispondere a Mark che lo scrittore è come il vero cristiano: è nel mondo ma non è DEL mondo. Il mondo gli appartiene ma non appartiene al mondo, almeno non totalmente. Lo scrittore vero assimila la cultura del suo tempo e la rielabora personalmente. Se crede in un progetto è capace di sacrificarvi energie, tempo, salute. Per riflettere il mondo nella propria opera rimuginare è necessario. Leopardi era attaccato al suo tavolino come un rematore al banco di voga, eppure spirito e intelletto suoi avevano una lucidità che uomini mondani e presi dal flusso della vita “normale” potevano solo sognare.
    Oggi è pure così: se uno vuole essere veramente scrittore e non un pugno di sillabe su una copertina deve gettarsi nel flusso del mondo ma non lasciarsene trascinare passivamente. Non vendere la propria vita ma darle il giusto valore. Credo che sia questo uno dei messaggi del libro di Paolo Di Paolo.

  39. Mark ha ragione, in un certo senso. Spesso gli scrittori “se la cantano e se la suonano”. Bisogna rompere il cerchio e cercare di diffondere la lettura e la scrittura come “vizi” benefici che possono migliorare la nostra vita e aiutarci a capire il mondo in cui ci troviamo a vivere.
    I blog, i siti letterari, sono tutte iniziative volte – a parte i tentativi strumentali di autopromozione – a mettere in contatto persone con gli stessi interessi e passioni e possibilmente a “catturare” gente magari incuriosita ma che si ritiene spesso a torto lontana dal mondo della letteratura.

  40. Saluto Gulio Perrone (che a Roma sta facendo un eccellente lavoro editoriale, che nei prossimi anni sarà di riferimento) e Paolo, il quale libro amo molto. Scrivo questo messaggio prima di partire (sarò assente, fuori dal mondo, per due giorni). Vorrei dire qualcosa a Mark. In sintesi: dalla metà degli anni 90 gli scrittori italiani sono usciti allo scoperto raccontando la realtà (la rappresentò bene Patrie impure curata da Benedetta Centovalli). Però attenzione: lo scrittore non è un guru, non è uno che indica la strada alla società, e, soprattutto, non è un poliziotto che sbatte in galera i cattivi. Stare ai margini non significa essere disimpegnati. A me, per esempio, dice molte più cose sull’uomo la lirica greca che non i tanti reportage reboanti sulla realtà del male. Lo scrittore ama il bello, le sfumature, il confine tremendo tra un pensiero e il suo opposto. Lo scrittore vive di contraddizioni, proprio perché mette continuamente in disucssione tutto. Se lo scrittore diventa uno che esce fuori, ecco, il rischio è che semplifichi tutto (lì il bene, l il male). Troppo facile. E comunque non sono anime belle gli scrittori che parlano di cose apparentemente laterali: un fiore, un’agonia, uno stupore, un bacio, o una confusione esistenziale. Di Paolo, tra l’altro, lo ha detto assai bene citando la bella frase di Celati. Lo scrittore non è un soldato, per il semplice moitico che il soldato non crede mai all’univocità di un bersaglio. Il bene e il male, la lingua, la tradizione, l’amore, ecc., non sono cose che si possano risolvere con un banale “impegno”. IMpegno di che? Dire che i mafiosi sono cattivi e che lo sfruttamento è squallido? E ci vuole la letteratura per questo? No, lo scrittore ha un destino più amaro, più doloroso. E, last but not least, lo scrittore è tanto più in sintonia con il “noi” quanto più riesce a vivere la solitudine, l’io, le suggestioni, ecc. Il rischio, sennò, è diventare un fenomeno da baraccone: da Festival della letteratura, o da Matrix.
    Andrea Di Consoli

  41. Non si tratta, com’è evidente, di autoreferenzialità. Petrarca era autoreferenziale? E Callimaco? No. Secondo me, poi, non è neanche un discorso snob. Di Paolo, per esempio, lavora anche per la televisione (cosa che per esempio a volte faccio anche io). Dipende come si fa, appunto. Una cosa è fare dei lavori in sintonia con il tuo percorso, lavori sobri, onesti. Altra cosa è entrare con i piedi nelle case delle persone e dire, come disse a suo tempo Scurati, che Vespa sarebbe stato ucciso dal suo protagonista. Ecco, in quel caso ci trovammo di fronte a qualcosa di mostruoso. Altro che uscire allo scoperto! Era impegno quello? troppo facile dire, come fanno tutti questi scrittori engagè: Tu sei un mostro! Lo scrittore, come mi disse una volta Doninelli, è uno che di fronte al male, semmai, s’ingonicchia, perché quel male gli appartiene.
    (E adesso parto, sennò mia moglie si arrabbia, lì, con le valigie in mano).
    Andrea Di Consoli

  42. Comunicato
    Mercoledì 22 Ottobre 2008 Paolo Di Paolo sarà ospite alla libreria caffetteria Biblios Café di Siracusa per presentare il suo romanzo “Raccontami la notte in cui sono nato” Ed. Giulio Perrone Editore.
    Durante l’incontro sarà presentata l’iniziative dell’editore Giulio Perrone “I circoli di lettura”.
    per informazioni
    Biblios Café Via del Consiglio Reginale, 11 Siracusa Tel/fax : 093121491

    Grazie per l’attenzione

  43. Di Consoli ha fatto benissimo a lanciare quest’urlo di dolore, perchè purtroppo ormai la quasi totalità dei libri pubblicati in un anno ha poco a che fare con la cultura. Non mancano gli autori capaci di saper dire qualche cosa di nuovo e di profondo, quello che manca purtroppo è un livello culturale adeguato dei lettori. La cosa più sorprendente è che spesso e volentieri fra i laureati si trovano gli amanti delle letture frivole, da passatempo. Fin per carità, anche questi libri d’evasione hanno la loro funzione, ma leggere solo quelli denota un’evidente incapacità di accrescimento. Sono proprio le opere che ti impongono di spremere le meningi quelle che portano cultura, perchè tutte le altre si riducono a parole messe insieme, a volte quasi a casaccio.
    Si cercano scrittori giovani, perchè la massa dei giovani lettori può trovarsi in sintonia con quello che viene loro proposto, mentre è meno facile che possa essere appetito da un lettore più avanti negli anni.
    Si arriva così a prodotti editoriali di puro consumo, ben confezionati esternamente e vuoti internamente.
    I motivi poi per cui soprattutto le giovani leve dimostrano carenze culturali sono diversi e alcuni di questi sono chiaramente finalizzati a preparare un popolo di impreparati non in grado di fare esami critici, l’ideale per essere sottomessi senza problemi a beneficio dei governanti di turno.

  44. Le domande che hai posto sono attualissime.
    Sono punti interrogativi individuali e collettivi.
    Così come il singolo la società si sente malata, fluttua in un area di smarrimento, intervengono risposte psicologiche perchè chiedersi da che momento in poi siamo diventati veri e da che punto in poi la nostra vita è diventata autentica non è semplice. Implica l’Essere.
    Il segnale che si individua come psichiatrico è comunque nel momento di passaggio che ognuno compie, qualore avesso desiderato una vita diversa, abbandonato vecchi contenuti per nuove forme.
    Oggi il segnale più preoccupante è la perdita di identità e la mancata realizzazione di nuove forme in cui la propria vita possa riconoscersi, oppure nuove e fittizie identità che non hanno colmato il vuoto precedente ma peggiorato le generale situazione. Insomma avere e dare un idea immaginaria di sè stessi è e porta a risultati pazzeschi, la grassa che vuole essere magra, la casalinga l’attrice dell’ultima serie televisiva, uno stipendio da fame che rincorre status symbol come il macchinone o marchi impossibili, (l’ho già scritto ma lo riscrivo) emancipazioni autistiche di un esercito di donne mai realmente emancipate, capi di governo che fanno terra bruciata di ciò che lo ha preceduto con in testa neppure un minimo di programma concreto sul da farsi, esempi ce ne sono a go go.
    Tutto questo è l’artefice della sofferenza, in un certo ci si sente svendere la propria vita, presi in giro o traditi nella fiducia è lo stesso, ma il tempo è profondamente etico, ridà indietro quel che è stato tolto, ripristina la verità, soprattutto quando il nostro desiderio non era quello di annientamento ma di annullamento. C’è una bella differenza fra la distruzione e la creatività. O no?
    Occhio ragazzi.

  45. Caro Andrea Di Consoli,
    piu’ leggo i tuoi interventi e piu’ sono convinto che avrei potuto scriverli io – e spesso LI HO scritti io, poiche’ dicevo e dico tutt’ora le medesime cose! Il minimo che io possa fare e’ pertanto cercare di divulgare al massimo questo ”post” su Letteratitudine, sperando che non passi inascoltata la voce di uno dei pochissimi scrittori che hanno le idee chiare e giuste, sia sulla situazione che soprattutto sul da farsi per migliorarla.
    Nuove congratulazioni
    Sozi

  46. P.S.
    Sul sito Italialibri e’ presente una mia postfazione – pubblicata in Slovenia nel 2005 quale breve storia, commento e analisi del racconto italiano moderno – avente la funzione di concludere una antologia di racconti italiani del periodo 1989-2003 (il volume s’intitola ”Papir in meso”, Ljubljana 2005), in cui non mancavo di denunciare la situazione italiana, nella quale praticamente non esistono riviste di racconti, l’editoria e’ sorda all’arte dei novellieri e la prosa breve e’ tagliata fuori dai quotidiani.

  47. P.P.S.
    E questo precisato sperando che gli amici del periodico ”Inchiostro” (rivista dedicata ai novellisti esordienti) non se la prendano a male. Io alludo alle riviste dedicate IN GENERE ai racconti. Riviste che non esistono, in Italia.

  48. Ultima particolarita’ simpatica: il libro curato da Benedetta Centovalli, ”Patrie impure”, citato da Di Consoli, mi fece scoprire un autore che stimo molto: il ferrarese Diego Marani – il cui racconto ”Il patriota”, presente in quella antologia, venne tradotto in sloveno col titolo di ”Domoljub” da mia moglie Veronika. Oggi, nel 2008, di Marani abbiamo appena tradotto anche ”Nuova grammatica finlandese” e questo ottimo romanzo rappresenta l’Italia nella splendida collana ”EUroman” della casa editrice lubianese Modrijan – si tratta di 27 romanzi, uno per ogni Nazione dell’Unione Europea.

  49. Questo passo di Di Consoli, per concludere (scusatemi il bombardamento di messaggi!) e’ veramente illuminante e va ripetuto:
    ”Allora, senza farla troppo lunga, si abbia di nuovo il coraggio di parlare di Letteratura; sì, di qualcosa di riconoscibile, di superiore (qualcosa che ha una millenaria tradizione alle spalle). Pure, non si sottovaluti il fatto che scrittori come Paolo Di Paolo sono in primis critici e studiosi, a differenza degli scriventi di massa, che di solito non leggono niente di niente, se non quelli che ritengono “competitor”. Non basta la vita, per scrivere; non basta guardare la televisione, per scrivere; e, soprattutto, è umiliante farsi riscrivere il libro da un editor.”
    Sante parole!

  50. Chi è lo scrittore? Uno che conosce la storia della letteratura da Jacopo da Lentini fino ai giorni nostri? Non credo. Ci sono fior di docenti universitari in grado di dare lezioni di letteratura, fare conferenze lunghe mezza giornata, però non hanno creatività, non hanno il dono dell’affabulazione, in altri termini non hanno nulla da raccontare. Quindi io distinguerei le due cose. Lo scrittore è uno che ha dentro l’anima visioni da tirar fuori. Naturalmente deve conoscere i mezzi per trasmetterle su un foglio bianco, deve possedere gli strumenti del mestiere, così come un muratore deve conoscere i propri per costruire una casa. Ci sono carteggi di Verga zeppi di errori grammaticali, forse questo gli ha impedito di diventare un grande scrittore? Vittorini aveva un diploma di perito tecnico, Sciascia era maestro di scuola elementare. E altri esempi si potrebbero fare. Poi sulle mode, sulle tendenze che fanno mercato, sui divi televisivi che pubblicano libri per le masse, si potrebbe discutere all’infinito, ma siamo su un altro campo, non stiamo parlando di letteratura e in fondo le case editrici sono aziende che a fine anno devono far quadrare il bilancio.

  51. Ignoranti di tutto il mondo coalizzatevi, formate un sindacato, eleggettemi vostro presidente, e non lasciatevi intimorire da Sergio.

  52. @ Miriam
    Cara Miriam, grazie per aver inserito questo libro nell’elenco degli acquisti del tuo sistema bibliotecario. Anche questo è un contributo all’incentivazione della lettura e della cultura.

    Ma davvero esistono blog così orwelliani capaci di imporre “l’uguaglianza emozionale”? Agghiacciante!
    Però il problema può essere facilmente risolto. Basta non frequentare i suddetti blog (del resto, per fortuna, la scelta in rete è molto ampia). Abbiamo così poco tempo… perché perderlo in posti dove non ne vale la pena?

  53. Grazie Simo. Se Letteratitudine può essere considerato un buon rifugio è solo grazie agli amici che, con il loro contributo, mi aiutano a portare avanti il progetto.

  54. @ Mark
    Grazie per il tuo intervento. Sei riuscito a ravvivare il dibattito senza essere offensivo o irrispettoso. Tutt’altro, direi.
    Per questo ti ringrazio.

    Sul primo punto ti hanno già risposto Andrea e Maria Lucia.
    Nel secondo commento scrivi: “ma dove sono i lettori? non vi accorgete che i lettori sono sempre più gli stessi scrittori?”.
    Ecco… credo che tu abbia ragione.
    Ma non accade solo in Italia, sai?
    Hai descritto (lo cito come esempio) una delle ossessioni dichiarate da Jonathan Franzen, noto (e ancora giovane) autore americano.
    Franzen prefigura uno scenario in cui gli scrittori finiranno con il leggersi le opere tra loro (ne ha parlato pubblicamente con Zadie Smith e il compianto David Foster Wallace).
    È un po’ quello che già accade da noi con le recensioni sui giornali e gli inserti letterari. Li leggono solo (o quasi) gli addetti ai lavori.
    Uno degli obiettivi di questo umile blog, nel suo piccolo, è quello di favorire il ritorno alla lettura e accrescere l’interesse intorno ai libri.
    So per certo che c’è tanta gente (lettori-non-scrittori) che ci legge con interesse senza intervenire nei dibattiti.

  55. @ Giulio Perrone
    Caro Giulio, sono io che ringrazio te: per essere intervenuto, per l’ottimo progetto editoriale che stai portando avanti (con grandi risultati, nonostante i tempi siano tutt’altro che facili) e per l’incoraggiamento che mi dài.
    Grazie.

  56. @ Rossella
    Hai scritto: “Oggi il segnale più preoccupante è la perdita di identità e la mancata realizzazione di nuove forme in cui la propria vita possa riconoscersi, oppure nuove e fittizie identità che non hanno colmato il vuoto precedente ma peggiorato le generale situazione.”

    Sono molto d’accordo con questa tua frase.
    Indovina perché?
    🙂

  57. A parte gli scherzi…
    Quello che dice Andrea (e che ha sottolineato Sergio) è sacrosanto.
    Come si fa ad essere scrittori se prima non si è… lettori?
    E qui ritorno a Mark: uno scrittore deve essere necessariamente un lettore forte.
    E ha perfettamente ragione Andrea quando scrive: “Non basta la vita, per scrivere; non basta guardare la televisione, per scrivere”.
    Giustissimo!
    Però ha ragione anche Salvo Zappulla.
    Non basta leggere da mane a sera, non basta tuffarsi sui testi e studiare fino a bruciarsi gli occhi per scrivere in maniera convincente ed efficace.
    La creatività e la fantasia, il “guizzo artistico” – per quanto si possano affinare, per quanto necessitino di strumenti di base – o ce li hai… o non ce li hai.

  58. Mi è capitato di leggere testi così autoreferenziali, così pregni di citazioni, così autocelebrativi e fini a se stessi… da risultare disgustosi.
    Ecco, quei testi – a mio avviso – meriterebbero di finire nello stesso cestino di quelli stigmatizzati (a buon ragione) dal nostro Andrea.

  59. Ciao, Salvuzzo,
    secondo me la creativita’ e la fantasia, Di Consoli le considerava ovvie, dati che non c’e’ bisogno di specificare. Da specificare, invece, c’e’ oggi zrgentemente la necessita’ di avere dei letterati seri, che studino e leggano la Letteratura. La vena artistica e’ cosa basilare… mica serve dirlo nero su bianco, no, che uno scrittore deve avere una propria genialita’? Lo si da’ per scontato.
    Ciabbello
    Sergio

  60. Si’, Massimo, va bene. Ma oggi il ”nemico pubblico numero uno” non e’ la prosa ampollosa e vuota di un accademico di tipo settecentesco, ma la scrittura furbamente commerciale, il ”copione cinematografico travestito da romanzo”, lo stile piatto e televisivo, il linguggio anonimo, la robetta fatta per non far sforzare le meningi (e la sensibilita’) a nessuno. Il libro usa e getta.
    Ciao, caro
    Sergio

  61. Ancora al caro Salvuzzo,
    ho dimenticato di dirti che i conti delle aziende editoriali sono cosa di cui un artista si deve disinteressare. Affari privati degli editori – e dello Stato se decidesse, come sarebbe auspicabile, di finanziare gli operatori culturali.
    Comunque sia, chi scrive e’ un autore, chi pubblica e’ un affarista. Ognuno al posto suo: niente confusioni fra arte e denaro. Infatti gli Stati evoluti d’Europa finanziano i libri difficili, non quelli facili, proprio per compensare i rischi di capitale degli editori e la produzione di opere di alta qualita’ da parte degli autori, no?
    ‘Notte
    Sergio

  62. P.S.
    Devo precisare la questione finanziamenti pubblici all’editoria impegnata. Ecco… il motivo dell’arretratezza italiana davanti a Francia e Germania e’, in buona parte, che di politici semianalfabeti ed arroganti come i nostri ce ne sono pochi nell’Europa di serie ”A”, credo. La serie ”B” invece, cioe’ lo Stato italiano (fatto di gente che non legge), da’ i soldi solo a chi ce li ha gia’.

  63. Ho letto con attenzione tutti i commenti e in particolare quelli di Sergio Sozi, che mi sembrano più mirati nell’individuazione dei motivi del problema. Non è che gli altri siano in disaccordo con il mio pensiero, ma quelli di Sozi sono frutto di un’analisi a tutto campo e da cui scaturisce quello che già sappiamo e che abbiamo quasi il timore di evidenziare: la mancanza di una coscienza culturale. E’ come se di colpo fosse stato spazzato via il nostro passato per vivere un presente in apparenza gratificante, ma nella sostanza del tutto vuoto. Non dimentichiamo al riguardo che i giovani lettori, ciè il grande mercato, sono vittime di due problemi che ormai sono imperanti: la diffusione della droga e l’alcolismo.
    E’ evidente che ricorrere ai paradisi artificiali non è sinonimo di bella vita, ma è il frutto di una presenza senza il substrato indispensabile del nostro passato. In ciò concordo in toto con Rossella.
    La mercificazione spinta di qualsiasi cosa si traduce inevitabilmente nella cancellazione di ogni valore, limitando al massimo profitto il senso della vita.
    E nel mondo di tutti i giorni il frutto marcio si può notare (del resto non troverebbe spiegazione l’attuale crisi finanziaria, determinata soprattutto dal mercato indecoroso e delinquenziale dei titoli spazzatura americani, una sorta di gioco delle tre campanelle).
    L’uomo di oggi deve tornare in possesso della sua identità, attraverso un apprendimento culturale del proprio passato. Si devono tornare a leggere i grandi classici, si deve riscrivere anche la storia del nostro paese, troppo a lungo frutto di compromessi politici che hanno portato a una visione incompleta e distorta del passato.
    Per vivere il presente, per prospettare il futuro, dobbiamo sapere da dove veniamo.

  64. Cari tutti,
    cosa dovrebbe succedere nel 2011? Anno, sembra in cui tutti i giochi e le strategie per internet arriveranno ad una sorta di conclusione? Voi lo sapete? Ho ascoltato a strappi Radio Radicale, afferrando al volo concetti pensieri. Si parlava di Internet, dei miliardi e miliardi di pagine che costituiscono già da ora la nostra Memoria collettiva e mondiale. Si parlava di produzione letteraria, di libri, di parole; quei pensieri, grandi i minimi, che anche il più sperduto degli uomini deposita nell’archivio globale del sapere. L’uomo deve comprendere che la Civiltà contadina, dopo 10.000 anni è finita; noi viviamo, con tutto il nostro turbamento, la nascita di una nuova civiltà, di cui, nonostante i nostri grandi mezzi, sappiamo poco ma, soprattutto siamo incapaci di formulare ipotesi. Si dibatteva più o meno come qui, da noi, su questo post. E le domande che venivano proposte erano queste: regolare internet per salvare la memoria del passato dividendo il “sapere” svelto dal “sapere” lento? O, e qui riprendo le considerazioni di Rossella, coniugare i due saperi perché, oggi più che mai, occorre distinguere fra annientamento e annullamento, e cioè fra creazione e distinzione?
    Segue…

  65. Io propendo per la coniugazione, come unica possibilità contro l’annientamento. La produzione delle parole è immensa e inarrestabile; ne abbiamo facoltà, ne abbiamo i mezzi e con diritto scriviamo (e continueremo a farlo) per ogni bisogno : Amore, Denaro, Salute (queste tre parole comprendono tutto ). E questa produzione crescerà in modo esponenziale, prima, invadendo il mercato con un’offerta sempre più ampia; poi si frammenterà dividendosi in microcosmi: particelle ad uso e consumo di una ristretta cerchia di amici che saranno contemporaneamente lettori-autori-critici. Quello sarà il momento dell’annientamento; perché la creazione, anche individuale, nasce da un pensiero in movimento che dal confronto fra presente e passato, si rigenera e si riformula, ponendo domande .”Si dipinge con la testa e non con le mani” , sosteneva convinto Michelangelo. La tecnica s’impara, la si apprende anche da soli ed è solo questione di tempo, invece, il pensiero no. Da solo, il pensiero si consuma e poi muore. Il pensiero ha bisogno di cure, attenzioni, di carezze e di cazzotti.
    Un pensiero forte fa anche stile narrativo. E allora coniughiamoci in internet con azioni nuove…come quella del post precedente, Le Aziende (in) Visibili. Per chiudere sorridendo: dieci, cento, mille Minghetti.
    Buonadomenica.
    🙂

  66. Caro Andrea, leggerò al più presto il libro di Paolo di Paolo certa che, se lo consigli tu, non ci resterò male, come spesso accade, leggendo ” i libri di cui si parla”, che poi, considerando quanto hai speso, ti chiedi se non era meglio comprare cioccolata che almeno stimola le endorfine.
    In effetti non è lo scrittore, il poeta, che nella Scrittura – nota con la S maiuscola, quella dove ti arrovelli su ogni parola – svende la sua vita, il suo corpo, pezzo per pezzo, e si fa male, scrivendo come se si amputasse , ma non ne può fare a meno rispondendo a una urgenza imprescindibile? Una vita all’asta mi interessa, il titolo mi ricorda un ORFEO In PARADISO, credo fosse Santucci, spero di non sbagliare. Domani, dunque, avrò Di Paolo sul mio comodino. Ormai io rileggo quasi solo classici, non potendone più di fiction che scimmiottano la vita e sculettano per atteggiarsi a letteratura. E per quanto riguarda i “ggiovani” li trovo – fatte le debite eccezioni- così conformisti nella smania di piacere, nella vanità di apparire a tutti i costi, perchè non SEI Se NON PARLI ALLA TELEVISIONE E NON TI FANNO LA FOTO SUL GIORNALE, così scontati, mutuando – senza sapere di farlo, per ignoranza – frasi e tic di chi fu grande e se lo poteva permettere – Baudelaire, Rimbaud, Pasolini: insomma sono tediata da questi “ggiovani” così tremendamente vecchi, che non sanno quanto tempo e quanta fatica costi diventare davvero GIOVANI.
    E sai quel’è la cosa peggiore? Che la cattiva editoria, la pessima televisione, i film di Vanzina, fanno scuola alla vita e abbiamo una società, degli individui che somigliano sempre più ai protagonisti inverosimili di questi prodotti sottoculturali. Persino nel linguaggio, imbarbarito, scopiazzato dai balbettamenti dei mocciosi mocciani; ci sono ragazzine – credimi – che costringono quei poveracci pustolosi e ormonalmente intasati dei loro morosi a scrivere frasi idiote sui muri della scuola – è l’odierna prova d’amore. Viene da ridere, ma poi, a ben pensarci: se di ciò non piangi di che pianger suoli?
    Cordialmente, a presto

  67. Esser SOLA nel tenere dritta la RAGIONE in periodi dove l’ ISTINTO SI è TOTALENTE COLLETTIVIZZATO è quasi una lotta alla sopravvivenza.
    Renzo Montagnoli ha scritto di tenersi ben saldo sui tre principi del passato presente e futuro, Antonella del Giudice avverte l’appiattimento culturale di generazioni che tramutano il loro tempo in tempo vuoto, mentre la cultura di massa degli adulti che dovrebbero sostenerli li inebetisce con la tecnologia, spegnendo in loro ogni forma di creatività.
    Mi rifaccio al tratto di moda che ci appartiene tutti quanti. e che tutti quanti hanno nei loro armadi : il XX secolo è per antonomasia il secolo dei blue jeans.
    Il blue jeans se lo guardi da dietro non ti fa riconoscere il maschio dalla femmina, il contestatario dal contestato, la destra ideologica dalla sinistra, però adesso che ci penso nessuno ha mai stampato la carta di identità su una chiappa, è una mia idea, che bello!!
    Ciao e occhio alla chiappa!!
    Rossella

  68. per Massimo
    Non so la tua, ma la mia esperienza è abbastanza difficile in nome di una vita ben spesa.
    Prima di dedicarmi a settori artistici lavoravo in una multinazionale, una delle sette sorelle petrolifere che dettano legge sul pianeta. Quindi comprenderai che non è stato affatto facile abbandonare un posto sicuro ben retribuito ed imbarcarmi in un percorso già di per sè molto difficile, territorio regionale molto problematico, tempi generali non proprio sereni!!!
    Che il Cielo mi aiuti!!
    Ciao

  69. Qualcuno ha scritto: cos’é la cultura?Renzo Montagnoli ha bene risposto:dobbiamo sapere da dove veniamo.La cultura, a mio avviso, é oc-cultus, ossia quanto é coltivato e conservato nascostamente nei meandri della memoria.Se le esperienze- il greco Alcmane dice: esperienza,principio di saggezza-mancano o si eclissano, perdiamo la bussola.Quindi ciò che é esperito, diventa ragione comune e insegnamento.Svendere pezzi della propria identità ha il senso della perdita della Memoria che significa conoscenz. Platone docet: conoscere é ricordare. I confronto con Menti che hanno lasciato traccia per millenni ha un senso:svegliare energie, intrattenersi con il “daimon”personale, liberarsi da lacci e luccicori dei media,il cui interesse é quello di rallentare i lprocesso di individuazione.Io non venderei un attimo di ciò che é stato, specie se l’evento era doloroso, da cui sono uscita trasformata e forse migliorata. Lucia Arsì

  70. @ Sergio (e a tutti)
    Sono convinto che per rompere il circolo vizioso sia necessario puntare sui giovanissimi. E per giovanissimi intendo i ragazzi tra i dodici e i diciotto anni. Credo che sia nell’ambito di questa fascia di età che si decida il destino di lettore o non-lettore. Dice bene Renzo (come ribadisce Lucia): tornare al passato, ri-scoprire chi siamo e da dove veniamo. E scoprire il piacere della Lettura. Quella con la elle maiuscola. Quei classici che molti di noi hanno amato e che continuano ad amare.
    Per questo ho voluto aprire all’interno di questo blog la rubrica “Ritorno ai classici” (affidandola a Sergio).

  71. E proprio per puntare ai giovanissimi avevo aperto una rubrica intitolata “Gioventù librante”.
    Ecco, vorrei rilanciare questa rubrica coinvolgendo le scuole (dal Nord al Sud del paese), i docenti di lettere e gli alunni.
    Ho in testa un’idea… ve la illustrerò a tempo debito.
    In questo contesto mi premeva sottolineare l’importanza dell’educazione alla lettura di qualità. Credo che l’educazione alla Lettura possa creare un’esigenza, e che l’esigenza possa tramutarsi in bisogno.
    E il bisogno, alla lunga, può influenzare (e magari correggere) certe politiche editoriali distorte.
    Perché i “ggiovani” possano tornare a essere soltanto giovani…

  72. Antonella Del Giudice,
    grazie per aver ricordato il bel libro di Luigi Santucci, ”Orfeo in Paradiso” (Premio Campiello 1967): io lo lessi un paio di anni fa e mi piacque abbastanza (non e’ un capolavoro ma un buon libro sul destino dell’uomo e la sua memoria).
    Massimo, Montagnoli e tutti,
    sono felice del fatto che l’Italia resti un Paese che, pur sembrando eccessivamente scordereccio, in fondo e nella sostanza resta legato (in senso positivo, ossia affettivo, tecnico-letterario, culturale, sociale e storico) al proprio passato plurimillenario. Se anche l’Italia finisse totalmente nelle grinfie della tigre postmoderna, che rimescola e rimescolando annulla il passato, sarebbe una grave offesa per noi stessi e nondimeno per i nostri attuali compagni dell’Unione Europea, che sulla memoria italiana fanno il giusto affidamento in quanto padri dell’Europa civile e culturale.

  73. P.S.
    Insomma: coltivando e rinvigorendo le nostre tradizioni evitiamo di far la figura dei padri un po’ troppo rincoglioniti. E’ un elisir di lunga ”speranza di vita” per noi stessi e per l’UE tutta.

  74. Lucia Arsi’,
    perfettamente d’accordo. Ottima sintesi dell’indispensabilita’, per noi tutti, della triade Ponos-Mnemosine-Athena.

  75. Sono felice che in questo sito scorrazzi Antonella del Giudice, una eccellente scrittrice, che è stata anche discussa qui con il suo nuovo romanzo, “L’acquario dei cattivi” (Alet). Ovviamente condivido tutto. Pensa un po’, Antonella: Santucci ce l’ho qui vicino a me, ed è da qualche giorno che mi dico: devo assolutamente leggerlo. Che coincidenze. Hai ragione su tutto. Faccio una piccola chiosa: il cosiddetto trash può anche risultare bello quando hai degli anticorpi e gli strumenti giusti (io, per esempio, mi sono visto l’altra sera “Serenata calibro 9” di Mario Merola, e mi sono divertito). Ma appunto: una cosa è fare il tamarro quando è solo un divertissement, una citazione della tamaraggine; altra cosa è nutrirsi di tamarraggine e basta, e credere che quella spazzatura sia cultura.
    Andrea Di Consoli

    p.s. leggete il romanzo di Antonella. anche il precedente, “L’ultima papessa”. E’ una eccellente scrittrice, anche se se ne sta in disparte nella sua chiara e dolente e lussuriosa (linguisticamente) Napoli…

  76. Caro Di Consoli,
    a proposito di tamarraggine: io sono un grande estimatore di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia – che non reputo affatto ”tamarri” ma onesti professionisti del ”teatro dei pupi” formato cinematografico anni Settanta (e Ingrassia anche molto di piu’). Allievi anche di Toto’, direi, (per certi aspetti della mimica facciale di Franco). Pero’ molti discordano e li vedono col sorrisetto ironico. Tu come la pensi?
    Ciao
    Sergio Sozi

  77. Ciao a tutti… vedo che il dibattito prosegue intensamente.
    Seguiamo ambedue gli spunti – il libro di Paolo Di Paolo e le riflessioni di Andrea Di Consoli.
    Miriam: hai fatto bene a proporre il libro al sistema bibliotecario, visto che Paolo Di Paolo è prima di tutto un grande lettore, quello che si chiama lettore forte, è un critico e poi uno scrittore. Da solide basi come queste – lettura e studio – potrà la sua narrativa avere ossa e muscoli e nervi.
    I blog e gli scrittori: Di Consoli ha ragione nel dire che il vero scrittore deve essere più dentro di sé e ai massimi sistemi del reale e del pensiero che fuori di sé. L’impegno, l’engagement non basta. Però chi ama la letteratura e la cultura è come chi è innamorato: non può non darlo a vedere. I blog, specie i salotti come quello di Massimo, in cui ci si confronta e si cresce – quanto cammino in questi anni! – sono modi, mezzi, strumenti utilissimi.
    Resto come Di Consoli dell’idea che i lirici greci ci raccontano il bene il male le pieghe misteriose della vita meglio dei reports psico-socio-politici…

  78. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono stati gli ultimi eredi, secondo me, della commedia dell’arte. Il vero trash secondo me è la monnezza che ci viene propinata ogni ora del giorno e della notte, spesso facendoci pagare anche il canone…
    W nunc et semper Totò che all’epoca sua veniva snobbato…

  79. A Renzo Montagnoli,
    grazie per la condivisione. Io personalmente ritengo questa affermazione di Di Consoli una delle sue piu’ calzanti: ”Mai, prima, s’era vista così tanta fame (da parte del pubblico adulto) nei confronti dei giovani, qualsiasi cosa dicano. Tutto questo, com’è evidente, è il sintomo di una cosa orribile, ovvero che la Tradizione, la Maturità, l’Esperienza vengono ormai percepiti come cose vecchie, cose da temere. Io, personalmente, riconosco solo gli scrittori con caratura “novecentesca” (come il giovane Di Paolo); scrittori, cioè, seri, studiosi, complessi, che non si costruiscono e non si fanno costruire dal circo mediatico”.
    Solo che aggiungerei un particolare, a completare il quadro, un particolare di tipo motivazionale, una leva dalla quale prende l’avvio quanto detto da Andrea: la pigrizia intellettiva, minimo comune denominatore novimillenario del nostro Paese dei Balocchi Catodici (be’… diciamo ”Paese che per fortuna e’ anche altro”, grazie a Dio, ma nel quale bisogna sempre lottare con le unghie e coi denti per non far sparire questo ”altro”).

  80. Ciao, o bella Marilu’!
    sono entusiasta della tua condivisione: mia figlia Laura ride a squarciagola con Franco e Ciccio – quanto me. Insomma ridiamo insieme. Senza sentirci sciocchi. E dopo aver letto insieme qualcosa di Alcmane, Omero o Virgilio. Le dodici fatiche di Ercole, pero’, affascinano me e la mia Laura all’acme dell’incanto mitologico. Che tu sappia, Franco e Ciccio hanno fatto qualche parodia su pellicola di Ercole? Vorrei evitarle le grezzate ”colossali” americane…
    Abbraccioni
    Sergio

  81. Non so, Sergio… prova a cercare su Internet la filmografia di Franco e Ciccio… che hanno lasciato un’eredità in certi binomi di comici siciliani, come Toti e Totino, che ripetono i loro sketches.
    Mi sento cretina quando assisto a certe vanzinate, quando tento di andare a pagina 2 dei libri di Moccia – che le mie alunne divorano, con mio disappunto e mio scoraggiamento sulla mia capacità di vaccinarle contro il vuoto pneumatico – , quando assisto a programmi con “la bella e brava e simpatica”, isole e talpe e amici e balli di debuttanti…
    Poi guardo Totò e mi sento contenta di essere italiana e – non vi sembri eccessivo, ma un film, una musica, un libro fanno anche questo – di essere al mondo.
    Vi posto questa meraviglia di Borges perché non ce la faccio a tenermela per me:

    Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
    Chi è contento che sulla terra esista la musica.
    Chi scopre con piacere una etimologia.
    Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
    Il ceramista che premedita un colore e una forma.
    Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
    Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
    Chi accarezza un animale addormentato.
    Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
    Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
    Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
    Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

    I giusti, Jorge Luis Borges

  82. Lucia Arsì ci ha deliziati alla galleria Roma (a Siracusa, dove sta esponendo il pittore Floriddia) parlando di pathos, passio, dolor, poena, desiderium, culpa. Parole che vengono da lontano ma che ci appartengono e ci strutturano.
    Non potremo avere futuro se non studiando il passato, vaccinandoci di cultura conro questo presente mediocre. E se non condividendo passioni, sentimenti, cultura.

  83. È il vento che porta le voci,
    sommessi mormorii,
    quasi salti di ruscelli,
    una nenia lontana
    che invoca un ricordo,
    che non placa la sete di gole
    serrate dalla polvere del tempo.
    Erano genti che calcavano
    quest’umida terra,
    una brughiera coperta d’erica.
    Erano uomini vissuti prima di noi,
    il seme di queste piante
    che troppo presto dimenticano le radici
    e vogliono correre verso il nulla.
    Non uomini,
    oggi,
    ma spettri.

  84. Caro Sozi, purtroppo l’affermazione di Di Consoli che hai citato è tremendamente vera. A volte ho l’impressione di vivere in un mondo costituito prevalentemente da pazzi e mi viene anche il dubbio che sia impossibile e che il matto sia io, ma nel vedere sovvertiti i valori fondamentali di una società che possa essere ritenuta civile concludo che, se pazzo non sono. prima o poi mi ci faranno diventare.

  85. Gentile Maria Lucia Riccioli, concordo in pieno: Ciccio, Franchi e Totò ultimi grandi interpreti della Commedia dell’Arte italiana, Pupi – come intuì Pasolini- di carne e sangue, comicità che – a guardarla attentamente oggi – è genuinamente jonesca.
    Caro Andrea, confesso che quando Merola canta Guapparia o Zappatore, mi diverto di scoprirmi commossa, e non me ne vergogno:al fondo di chi non sia aberrato da snobismi intellettualoidi, ma veramente incuriosito dalla vita e dunque dall’arte, c’è il piacere di stupirsi di sè stessi, alla larga da censori presuntuosi e non colti, ma euriditi- Ciò che davvero offende è la paccottaglia di palestrati e veline che rissano, parlano – scevri dalle più elementari cognizioni di grammatica o sintassi- senza dire niente, magari imbottigliati in situazioni false mimando la vita, come scimmie da circo di periferia. Ciò che annoia sono i brutti teleromanzi, sceneggiati con sciattume, scopiazzati dai peggiori telefilm americani che hanno però una dinamica e una velocità di montaggio che i prodotti nostrani ignorano. Insomma: la Cocacola italiana fa schifo, quella americana fa male ma si beve d’un fiato. Merola è icona di Gomorra, ma almeno è genuino, è quello che è, e anche chi si è letto tutto Nietzsche e Joyce si può onestamente e francamente divertire, con barthesiana consapevolezza . Ma “Lacrime napulitane” l’hai visto? Merita.
    Caro Maugeri, grazie sempre dell’occasione di parola che Letteratitudine offre.
    Un saluto a tutti.
    Vado alla Feltrinelli a prendere libro di Paolo di Paolo.

  86. scusate sono arrivato molto tardi ma volevo fare i complimenti a massimo per il post davvero interessante ( tanto per cambiare) e dire a Di Consoli che condivido in pieno quello che ha scritto… so di essere generico ma oramai è tardi e molto è stato detto!
    p.s. solo una cosa: è vero che molte cose considerate minori, sono state poi riabilitate, ma non è sempre così!… cercare del buono ad ogni costo, da qualsiasi prodotto, per non sembrare “quelli con la puzza sotto il naso” a mio parere rischia di essere comunque un errore. Le critiche se non sono gratuite e in malafede, se sono esercitate con “onestà intellettuale”( caratteristica oramai non più richiesta, purtroppo) sono necessarie, altrimenti si corre il rischio di commettere l’errore contrario: prima si criticava aspramente quello che non si capiva ora si elogia e si accetta tutto proprio per non correre il rischio di essere smentiti poi, ma così passa ogni cosa, bella, brutta, interessante e non ecc. ecc. senza distinzioni… ma allora la funzione della critica , serve ancora a qualcosa?
    stefano

  87. @ Stefano:
    ciao, condivido il tuo pensiero e, scherzosamente aggiungo, che commentare una “stronzata” è più doloroso che scriverla.
    🙂
    Comunque, parlando seriamente, ti segnalo dall’inserto del Sole 24, di domenica scorsa, un articolo proprio sui temi che hai affrontato. Ne aveo già riportato uno stralcio in un altro post, ma te lo riporto e lo dedico anche al RICCIOLO MARILU’:
    ” Che cosa possono dire oggi critici e recensori a chi legge romanzi e poesie? Perfino gli addetti ai lavori vivono nell’ansia intermittente che la Letteratura non agisca, non cambi il mondo, ma costituisca oggi più di prima un mondo parallelo riservato a minoranze intellettuali marginali e impotenti, giovani senza lavoro e vecchi in cerca di consolazione. ”
    Un caro saluto e che ognuno, arbitrariamente decida a che categoria appartenere: giovani saggi o vecchi sconsolati.
    ciao ciao

  88. @sergio sozi
    non mi preoccupa la figura dei”padri troppo rincoglioniti”, dato che, suppongo, tutti siamo”nostalgici del futuro”, mentre con il passato viviamo un rapporto di rispettoso confronto. lucia arsì

  89. @renzo montagnoli
    ” …é il vento che porta le voci…”,un linguaggio al femminile,profondamente discusso dalla filosofa Adriana Cavarero” ..a più voci” che, tornando a Levinas,esalta il dire e non il detto, evidenza l’atto del parlare al di là di quel che dicono. Visione e parola si confondono e, mentre l’uomo sta nel pensatoio socratico, la donna canta il già e il sarà.Del resto la vera poesia é un “agere cultuale”, un attimo mistico che prescinde dal genere.Complimenti per la parola poetica rivolta all’anthropos, oggi sostituito dall’ombra.

  90. @Lucia Arsi.
    Discutere di questo argomento non poteva che farmi piacere, visto che ho scritto una silloge al riguardo intitolata Canti celtici ed edita nel 2007, da cui è tratta la poesia a riferimento e che si intitola Il mormorio del vento.
    Va da sé che la lettura dei classici costituisce una base indispensabileper una cultura che si radichi nell’individuo ed effettivamente non riesco a comprendere come sia possibile scrivere senza aver prima letto, riletto, approfondito opere di autori che sono stati i pilastri della letteratura; c’è anche da dire che per quel scrivono non pochi “scrivani” attuali le cognizioni letterarie appaiono purtroppo superflue.

  91. A Di Consoli volevo dire che ha purtroppo ragione nel dire che i giovani oggi sono carne da macello. Passi Fazi che pubblica Melissa P., ma quando Einaudi sta al gioco e pubblica il suo primo libro fantasy – un fantasy Einaudi! – scritto da Chiara Strazzulla, siciliana di 17 anni, un po’ mi preoccupo.
    Molti concorsi letterari sono under 30 o 25…
    Come dire: cerchiamo il più ggiovane poeta, romanziere, ballerino, pittore… mostro che ci faccia stupire e poi lo getteremo via come monnezza, tanto vanno di moda le ecoballe…
    I ragazzi di oggi sono i NO FUTURE, i Peter Pan che rifiutano il passato, vivono in un piatto e disperato presente grazie agli adulti che li coccolano per poi vendere loro droghe chimiche, droghe chiamate consumismo e mancanza di futuro…

  92. Ha ragione Maria Lucia Riccioli e non è che gli editori vadano tanto per il sottile, perchè cercheranno di scendere ancor di più con l’età e poi magari pubblicheranno il lavoro di disabili, ma non perchè questo sarà valido, ma perchè quello che fa notizia è un’opera realizzata da un diverso, emarginandolo così ancor di più, dando valore commerciale alla sua disgrazia e non alla sua capacità.
    Viviamo in un mondo privo del tutto di senso etico e non c’è più limite per il peggio, per scavarci un buco senza fondo.

  93. Desideravo ringraziare Maria Lucia, Antonella Del Giudice e Stefano per i complimenti a me rivolti.
    Ma io ci tengo a ricordare che Letteratitudine esiste solo grazie a voi. E ai vostri contibuti.

  94. Grazie ad Andrea Di Consoli per la lucidità con cui ha descritto la situazione generazionale dell’editoria italiana. A parita di notorietà, se sei giovani ha certamente punti in più per pubblicare- rispetto ad una persona più matura.E questo perchè sei più plasmabile, stai più sentire, non difendi il tuo punto di vista, ti fai più facilmente assimilare in una sistema editoriale che vende libri come se fossero saponette? Chissà.
    Non smetto di credere che la scrittura, oltre ad essere una concreta finzione, è anche vita vissuta, esperienza, sangue e inchiostro.
    E’ tempo e luogo, è dire il mondo e avere un’idea di mondo.
    Leggo poco i fenomeni commerciali che fanno impazzire le classifiche. Continuo a scartabellare nei cataloghi dei remanders, nelle bancarelle dei libri usati, dove fanno la polvere autori come la Ginzburg, Chaim Potok, Malamud, per non parlare di Gadda, SolinasDonghi, Anna Banti, Pirandello e chi più ne ha.
    Le trovate letterarie hanno vita breve, comunque. Un libro, che con la sua lettura ci rapisce e ci converte, come per me è stato La luna e i falò di Pavese, resta certamente in noi per sempre.
    Complimentia Paolo Di Paolo e a te, Massimo, per l’opportunità che ci dai.
    emilia cirillo

  95. Grazie di cuore, cara Emilia. E in bocca al lupo per i tuoi futuri scritti.
    Mi è piaciuto il riferimento ai libri trovati nelle bancarelle.
    Ne parlavo per telefono proprio con Andrea…

  96. Ed anche tu, Marilu’, vai doverosamente citata:

    ”Resto come Di Consoli dell’idea che i lirici greci ci raccontano il bene il male le pieghe misteriose della vita meglio dei reports psico-socio-politici…”

    Caro Renzo (Montagnoli),

    non preoccuparti: ALMENO parlando di Letteratura, i pazzi/scemi dell’attuale maggioranza (ATTUALE non vuol dire ETERNA, fidati, ma duratura solo finche’ dura questa situazione storica!) si riconoscono a menadito gia’ solo a valutare sotto un profilo tecnico-grammatical-sintattico un periodo: chi scrive frasi corte e riempie di punti fermi un romanzo e’ uno di costoro; chi prova a costruire periodi complessi – con proposizioni coordinate e subordinate – e si perde per strada i/il soggetti/o appartiene a sua volta al numero dei pazzi-scemi (i quali sono per forza anche ignoranti). Chi scrive racconti ”fluidi” e usa parole alla portata di tutti anche. Gli sperimentalisti AUTENTICI che queste infrazioni le fanno apposta per motivi teorici sono ben riconoscibili perche’ DICONO COSE IMPORTANTI ED ORIGINALI – a differenza dei finti sperimantalisti che si lasciano sfuggire degli strafalcioni involontari, fatti per pura ignoranza delle regole dell’italiano.
    Tranquillo, Renzo: lo stesso parametro si puo’ applicare alla moralita’ di una persona: le persone serie e coscienziose sono quelle che sentono parlano ed agiscono seriamente nella quotidianita’ – proprio come gli scrittori veri sono quelli che scrivono bene sempre, anche una cartolina postale, e parlano bene sempre, non solo quando sono relatori ad un congresso (e quando vogliono, beninteso, se ne fregano delle regole SOLO perche’ le conoscono a menadito e le possono superare).

  97. a Simona. Lucien pensava di essere rimasto un passo indietro rispetto alla vita, ma forse sbagliava. Era il suo modo di starci dentro – ritrosie comprese. Lo capisce quando mette il naso nel passato e scopre che, in qualunque modo la si viva, un’esistenza è sempre incredibilmente densa.

  98. Paolo, sto leggendo Balzac: Lucien de Rubempré c’entra qualcosa col tuo Lucien? Ricordo anche che uno dei dolori più grandi di Wilde – veramente! – fu la morte di Lucien de Rubempré… Un personaggio di carta si fa carne e sangue perché PARLA di noi, DE TE FABULA NARRATUR…

  99. ciao a tutti!
    Siamo qui riuniti, io , Maria Lucia e Paolo Di Paolo che presto presenteremo al biblios caffè!
    Maria Lucia: dopo uno dei meravigliosi pranzetti di Simona, letteralmente trangugiato perché Paolo aveva un impegno universitario, ci apprestiamo a preparare una degna presentazione. Siamo state diligenti: abbiamo letto il libro, abbiamo decifrato le criptocitazioni… con l’approvazione di Paolo! E tra un po’ andremo al Biblios. Ha appena citofonato Salvo Zappulla col suo inseparabile amico e musicista Aurelio Caliri, gloria siracusana per la poesia e la musica siciliana…
    Simona: spinta dal mio inarrestabile spirito materno, ho avuto cura che Paolo mangiasse, bevesse, si lavasse le mani e ripetesse a memoria tutto “Raccontami la notte in cui sono nato” dall’inizio alla fine.
    Ora mi sento serena e pronta a presentare questo figlioletto al pubblico siracusano – cuore di mamma! – .
    Maria Lucia: chi non vorrebbe mamma Simo che avesse cura di lui?
    In effetti Paolo Di Paolo ha un curriculum impressionante ma riesce a scatenare gli istinti materni più o meno latenti grazie al suo aspetto da bimbo. Poi quando inizia a fare il critico letterario rimani a bocca aperta!

  100. intanto… sopraffatto dalla calorosa accoglienza (la luce e la temperatura sono di una giornata estiva!), mi appresto a raccontare Raccontami (dopo appunto averlo ripetuto a memoria a pranzo!). Simona e Maria Lucia sono impagabili, per entusiasmo e generosità… aggiornamenti più tardi. (in sicilia mi sento sempre a casa)

  101. Sono arrivato insieme ad Aurelio Caliri a casa di Simona, la quale causando danni irreparabili e irrimediabili alla mia dieta – sempre molto elastica – mi ha fatto assaggiare alcune paste di mandorla.
    Ho conosciuto Paolo Di Paolo… E’ una persona simpaticissima, colta e alla mano. Stasera dopo la presentazione saprò dirvi di più.
    Non è una minaccia…
    Letteratitudine reality show on line…
    Salvo Zappulla onde evitare equivoci. Maria Lucia dattilografa…

  102. Attendiamo dunque la ”Trimurti” Salvuzzo-Marilu’-Di Paolo e il loro reportage con vera ansia – e preoccupazione per la panza di Salvo.

  103. Gran bella serata qui al Biblios caffè di Siracusa. Il locale era stracolmo, c’era tutta la Siracusa bene e la Siracusa male (rappresentata da me ed Aurelio, gli unici senza un centesimo in tasca). la Simo e Maria Lucia, in grandissima forma, hanno parlato a braccio più di due ore incantando la platea. Il libro di Paolo è stato sviscerato in tutti i suoi particolari, tanto che io e Aurelio, ( ne avevamo preso una copia, metà per uno) lo abbiamo restituito pretendendo indietro i soldi dal titolare della libreria. Lo hanno presentato così bene le Nostre, che ci siamo detti: “Che lo compriamo a fare? E come se lo avessimo letto”.

  104. Grazie Salvo!
    Ma bisogna sottolineare anche la grande disinvoltura e preparazione di Paolo, che ha sovrapposto all’io narrante – Lucien – la propria voce.
    Una rinarrazione del testo, con spunti, ricordi, letture e qualche rivelazione…Sì, il Lucien di “Raccontami…” prende a prestito il nome dal Lucien di Balzac de “Le illusioni perdute”…e sì, lo sguardo dello scrivano di Melville è solo un modo per guardare meglio dentro di sè, e nelle cose. E nel rimando da esse alla nostra identità.
    Percorsi, libri nascosti tra le pieghe delle parole , cuori che sanno amare anche chi ci lascia e citazioni evangeliche (il “noli me tangere” dell’epigrafe che apre il libro). Un viaggio e un ritorno, con un finale e intrigante invito alla lettura…
    Paolo ha illustrato il progetto di Giulio Perrone (i circoli di lettura) coinvolgendo i tanti studenti presenti col sogno di vivere i libri come mondi, i sogni come libri, la realtà come una pagina da riempire….

  105. Ma quanto siete attivi!!!
    Ho letto tutti i vostri resoconti, ma quello di Maria Lucia è riuscito a trasmettermi, nitidamente l’immagine di Simona che “ha avuto cura che Paolo mangiasse, bevesse, si lavasse le mani e ripetesse a memoria tutto “Raccontami la notte in cui sono nato” dall’inizio alla fine.” Riuscivo a vederla benissimo la Simo; come a Roma quando mi mise sul treno e rimase lì a sorridermi e a salutarmi fino a partenza, effettivamente avvenuta.
    Un bacio a voi tutti (un bacio a testa)
    🙂
    Ciao Simò!

  106. Grazie mille per il bel resoconto, ragazzi.
    Mi dispiace di non esser potuto essere dei vostri, ma rimedierò presto.
    Davvero…
    Non lo dico tanto per dire, eh…
    Comunque il profumino del pranzetto di Simona arrivava fino a Catania.
    🙂

  107. Paolo Di Paolo sicuramente avrà bisogno di un po’ di tregua dopo le “cure” di noi siculi!
    Miriam: sì, in effetti tu sei testimone della sollecitudine di mamma Simo…
    Salvo: grazie dell’espressione “in splendida forma”… italiana?
    Torniamo seri: spero che Di Paolo torni a Roma contento del bel riscontro siracusano al Biblios – platea attenta, interessata, composta anche da studenti “intruppati” dall’attivissima Lucia Arsì. Spero anche che i circoli di lettura siano un successo, ma di quelli veri: un gruppo di persone che si riuniscono per parlare di libri.
    Sergio: la Trimurti te salutat…
    Massi, mancavi solo tu: kissazzi!!!

  108. cari tutti, l’esperienza siracusana è stata molto bella. L’arrivo a Catania, la nostalgia di Sicilia; Simona che mi guida per Siracusa – e la luce bianca e calda di piazza Duomo, la meraviglia della fonte Aretusa che non ricordavo più. Poi pranzo epocale a base di pesce consumato ahimè in fretta, causa lezione su letteratura e viaggio da tenere agli studenti di un master; e infine, la presentazione di Raccontami. Le parole di Simona e Maria Lucia mi hanno davvero lusingato. E soprattutto mi hanno dato l’impressione che il senso del libro fosse stato compreso appieno: il senso di una ricerca di sé che comporta pericoli e trasformazioni anche dolorose. C’era un pubblico numeroso, attento, partecipe. I volti dell’Italia che legge! Cosa potevo volere di più? In serata, pizza storico-letteraria con Maria Lucia: abbiamo spaziato da Saviano a Piero Gobetti, da Vittorio Foa alla Mazzucco… E le pizze erano anche buone.

  109. Ho conosciuto Paolo Di Paolo.Ho percepito la sua bellezza interiore, che traspariva dalla necessità di dire la parte assegnatagli dal suo daimon.”nominare”ossia raccontare timori e tremori durante il viaggio esperenziale che lo porterà( ritengo che sia presto, data l’età) ad errare tra gli errori della lunga notte della vita.E la luce? la sua scrittura. La sua verità?mero tentativo.Ri-velare ha il senso sottile di ri-mettere il velo,ossia re-iniziare il viaggio. E il cerchio non si chiude mai.Il dire poietico del Nostro si é rivelato paideutico per i tanti giovani studenti(e per i tanti non più studenti), quel meriggio pallido e assorto, al Biblios café,ove l’anima di quel uogo artistico gioiva e ammiccava all’inganno esistenziale.Grazie all’Autore, un bacione a Simona e a Maria Lucia che hanno regalato ai presenti stille pure di acqua di pura fonte.Grazie di cuore. Lucia Arsì

  110. La storia della beat generation non sarebbe come la conosciamo se non ci fosse stata Lalla Romano. E’ stata il faro italiano che ha rischiarato l’oscurità della nostra ignoranza

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