Nuova puntata delle “recensioni incrociate” di Letteratitudine. Gli scrittori/ospiti coinvolti sono Marino Magliani e Stefania Nardini.
I libri oggetto delle recensioni sono “La tana degli Alberibelli” (di Marino Magliani) e “Gli scheletri di via Duomo” (di Stefania Nardini).
Due libri diversi, ma che hanno tratti in comune…
La Liguria di Magliani a confronto con la Campania della Nardini; un incrocio tra Napoli e una città della costa ligure; due noir, due romanzi incentrati sull’indagine e sulla ricerca della verità.
E proprio la ricerca della “verità” – basata sull’indagine, ma non solo – potrebbe essere uno dei temi che lega i due libri…
Così vi domando:
quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura)?
spesso la verità è sfuggente, multiforme, difficilmente individuabile… ma esistono situazioni oltre le quali la verità assume una veste univoca e incontrovertibile?
Di seguito potrete leggere le recensioni incrociate dei due scrittori/ospiti di questa puntata.
Vi chiedo di interagire con Marino Magliani e Stefania Nardini, che parteciperanno alla discussione. Che ciascuno di voi – se vi va – faccia il giornalista culturale e ponga delle domande per scoprire (insieme) cosa offrono questi due libri. Chi ha già avuto modo di leggerli è pure invitato a esprimere la propria opinione.
Massimo Maugeri
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La tana degli Alberibelli – Marino Magliani – Longanesi, 2009 – euro 18 – p. 329
MAGLIANI, LA FORZA DEL ROMANZO MEDITERRANEO
di Stefania Nardini
Bella e misteriosa.
Azzurra da far sognare, verde per darti il senso della vita. Terra di confine, di streghe, di gente con la faccia bruciata dal sole. Di mare, un mare che ne inghiotte il mistero. E’ la Liguria di Marino Magliani che torna con il suo nuovo romanzo: “La Tana degli Alberibelli” (ed. Longanesi). Romanzo “ad alta definizione” di questo narratore che ha fatto della scrittura il suo viaggio, il suo percorso, con lo spirito di chi non vuole sottrarsi alla realtà fermandosi su cio’ che è poesia dell’esistente.
Magliani ci racconta una bella storia. Una storia il cui protagonista è un giovane olandese, ufficialmente archeologo alla ricerca di un oggetto abbandonato dai disertori nella battaglia di Marengo, in realtà un investigatore inviato da un ufficio antifrode per avere informazione sui fondi dirottati su un porto turistico che si preannuncia il più grande del Mediterraneo.
E Magliani mette nelle mani del protagonista, nel suo duplice ruolo, passato e presente di un Ponente Ligure dove riaffiora il “non detto” (aspetto questo che troviamo anche nel suo precedente romanzo “Quella notte a Dolcedo”) della Storia. Una storia in cui la verità è rimasta spesso sepolta tra i rovi di queste montagne dove la guerra è stata povertà, morte, ma anche esplosione di miserie umane che sono ancora oggi nella memoria. Magliani non esita a rivisitare la metamorfosi di quelli che furono i partigiani, con i loro nomi di battaglia, con i loro nomi di protagonisti “eccellenti” quando poi la guerra divenne un ricordo. Come in un’operazione chirurgica estrae pezzi di memoria che ricostruiscono l’identità. E lo fa mettendo insieme il dato storico e una penetrante osservazione sul particolare, su cio’ che meglio arricchisce l’atmosfera ruvida e al tempo stesso dolce.
E’ un romanzo che parla del mare “La Tana degli Alberibelli”, di un mare visto dalla prospettiva dei villaggi arroccati sulla roccia. Un osservatorio da cui è possibile immaginare un futuro imminente legato a grandi interessi economici, in cui in nome della speculazione si sta per compiere lo scempio. Santaleula non è solo l’idea di realizzare il grande porto. Ma l’uso della più bieca persecuzione a colpi di ordinanze e carte bollate, per eliminare tutto cio’ che puo’ “interferire”. E’ cio’ che scoprirà il giovane Jean Martin, giunto in terra ligure dopo la misteriosa morte dell’agente suo collega con il quale manteneva segretamente i contatti, è l’intreccio tra passato e presente, tra gli strani segni lasciati da un partigiano cattolico in una grotta e mai decifrati, e gli “avvertimenti” che riceve quotidianamente mentre è pedinato da una Volvo bianca.
Un noir. Anche. Ma soprattutto un libro in cui la vera denuncia è in un disperato grido per salvare la ricchezza umana di questa terra, al di là di quell’apparente immagine sorniona di villaggi dove il tempo sembra scivolare senza lasciare traccia. Una ricchezza che Magliani mostra attraverso la forza della natura, delle parole, ricorrendo, senza esitazioni, a Francesco Biamonti di “Vento Largo”.
Un romanzo mediterraneo, che a tratti ci riporta a Braudel, come alla Marsiglia di Izzo , mantenendo un sua fisionomia precisa, nuova , che ne fa un testo maturo, saldamente collocato nello stile e nei contenuti.
Marino Magliani ha scritto una vera lettera d’amore alla sua terra. Mettendoci, come si fa con un’amata, la passione, l’amarezza, e una ribelle dolcezza.
E questa è una grande novità. Cercare in letteratura la verità senza rinunciare alla bellezza.
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Gli scheletri di via Duomo – Stefania Nardini – Pironti, 2008 – euro 10 – p. 111
QUANDO GLI SCHELETRI NON SONO NELL’ARMADIO
di Marino Magliani
In tempi in cui diventa ormai un genere parlare della Napoli quotidiana e di usare tutti gli ingredienti di cui si sa, una scrittrice, una giornalista, come si suol dire, prestata alla letteratura, decide di consegnarci squarci di una Napoli appena trascorsa eppure lontanissima. E non le basta, la morte sulla quale indaga l’io narrante, un giovane cronista del Mattino, é addirittura archeologica. Si tratta di due scheletri ritrovati nell’intercapedine di un palazzo che ha conosciuto momenti migliori. Il palazzo si trova in via Duomo al civico 214 e dá il titolo al libro. Gli scheletri di Via Duomo.
L’autrice é Stefania Nardini, che ha pubblicato lavori con Newton Compton e questo é il suo secondo romanzo con l’editore Tullio Pironti, un buon editore, storico, al quale si sono legati grandi nomi della narrativa italiana e internazionale e del giornalismo. L’altro romanzo della Nardini é Matrioska ed é stato addirittura tradotto in Ucraina, cosa piú unica che rara nella narrativa italiana contemporranea.
Leggendo questo romanzo pensavo a Morte annunciata di Marquez, non perché ci assomigli ( anche se in quest’aria di Napoli andata e lontana, a tratti magica, qualcosa di latinoamericano si riesca a respirare ), ma per la perfezione della costruzione, per come entrambi gli autori, Marquez e la Nardini riescano a ubbidire e a stupire il lettore nello stesso tempo. Per come a parlare siano i colori e i respiri, e per come passo passo le ipotesi sappiano ridare vita e rimettere carne intorno agli scheletri di Via Duomo.
Il professor Improta, come sempre attentissimo lettore, recensendo questo libro ha fatto notare che in questa indagine, la polizia non gioca un ruolo. Ed é vero, si direbbe di piú una questione privata, iniziata chissá quando e mai interrotta, un rapporto senza mediazioni, tra il giornalismo e la cittá di Napoli.
Alla fine questa diventa la ricerca di un giornalista che aveva capito che indagando su due scheletri si poteva indagare sul cadavere di una cittá.
Ed ecco una nuova puntata delle “recensioni incrociate” di Letteratitudine: lo spazio dove due autori si mettono pubblicamente a confronto “incrociando” le impressioni sui loro rispettivi libri.
Ospiti di questa puntata sono: Stefania Nardini e Marino Magliani
Stefania Nardini, giornalista e scrittrice, vive tra l’Umbria e la Francia. Ha pubblicato “Roma nascosta” (Newton Compton, 1984) e “Matrioska” (Pironti, 2001). “Matrioska” è stato il rprimo romanzo di una scrittrice italiana a essere tradotto in Ucraina.
Ha fondato con Giulio Mozzi «Vibrisselibri». Cura la pagina libri «Scritture & pensieri» per il quotidiano dell’Italia centrale «Corriere Nazionale».
Marino Magliani è nato a Dolcedo (Imperia ) nel 1960. Ha vissuto a lungo in Spagna e Sud America, da una ventina d’anni si é stabilito sulla costa olandese. Traduttore e narratore, é autore del romanzo storico “L’estate dopo Marengo” ( Philobiblon ). Per l’editore Sironi sono usciti “Quattro giorni per non morire”, da cui Transeuropa ha tratto una graphic novel, e “Il collezionista di tempo”. Per Longanesi ha pubblicato “Quella notte a Dolcedo”.
Suoi racconti sono apparsi su molte riviste, tra cui “Nuovi argomenti” e “Ombrone”, e antologie ( Guanda, No Reply ).
Alcuni suoi lavori sono stati tradotti in olandese. Collabora con rivista di viaggi culturali “Alibi per essere altrove”.
Dò il mio personale benvenuto a Letteratitudine a Stefania e a Marino, due autori che si conoscono e che si stimano reciprocamente.
Come ho scritto sul post, i libri oggetto dell’ “incrocio”, pur essendo diversi presentano tratti in comune…
E qui abbiamola possibilità di mettere a confronto la Liguria di Magliani con la Campania della Nardini (che, preciso, è nata a Roma… anche se le sue città del cuore sono Napoli e Marsiglia).
Un incrocio tra Napoli e una città della costa ligure; due noir, due romanzi incentrati sull’indagine e sulla ricerca della verità.
Come tema per un dibattito collaterale ho pensato a quello della ricerca della “verità” (quella basata sull’indagine, ma non solo… dunque possiamo parlarne anche più in generale).
Così vi domando:
quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura)?
Spesso la verità è sfuggente, multiforme, difficilmente individuabile… ma esistono situazioni oltre le quali la verità assume una veste univoca e incontrovertibile?
Come ho già scritto sul post vi chiedo di interagire con Marino Magliani e Stefania Nardini, che parteciperanno alla discussione.
Che ciascuno di voi – se vi va – faccia il giornalista culturale e ponga delle domande per scoprire (insieme) cosa offrono questi due libri. Chi ha già avuto modo di leggerli è pure invitato a esprimere la propria opinione.
Per il momento sono costretto a chiudere qui. Il dibattito proseguirà per qualche giorno.
Ne approfitto per augurare a tutti una serena notte.
Innanzitutto un caro saluto a Massimo, che ringrazio per queste recensioni, e a Stefania e a Marino.
Poi un grande in bocca al lupo a Stefania e a Marino e a questi loro lavori, che non ho ancora letto ma spero di poter leggere presto.
E intanto noto anche un’altra cosa che li accomuna, sul versante esistenziale: entrambi vivono “lontani” dall’Italia, eppure l’Italia è viva nei loro libri.
Saluto Stefania e Giorgio e Massimo, che ringrazio molto per aver messo
a nostra disposizione questo spazio. Effettivamente, in entrambi i nostri libri, Gli scheletri di via duomo e La Tana degli alberibelli, c’é la ricerca di una veritá sepolta, un’intercapedine e una galleria carsica, hanno nascosto per molto tempo delle morti archeologiche.
I due protagonisti si trovano a indagare in due diverse giungle, ecco certamente le geografie lontane delle due storie, quella metropolitana, criminale e colorata, quasi latinoamericana come la vedo nella mia recensione, della Napoli dell’altro secolo, e le terrazze liguri del Ponente, arse e piene di rovi in cui si muove l’io narrante della Tana.
ma esiste “una” verità o una percezione fideistica della verità ? Jean Martin di Magliani ed il cronista Fiorillo di Nardini sono a caccia di una verità: ma la loro ricerca è la dimostrazione di quanto sia evanescente, contraddittoria, ambigua la verità nella quale si imbattono
Ragazzi, chissà perché provo più emozione qui che a fare una presentazione. I motivi sono molti. Massimo al quale voglio bene e stimo molto, Giorgio che ringrazio, e Marino che rientra nella rosa di quei scrittori amici che stimo profondamente perché sono quel che scrivono. Si siamo lontani, Marino in Olanda, io in Francia. Ma forse prorio questa collocazione geografica “aiuta” a mettere a fuoco le nostre storie di persone e la nostra Storia. E le nostre storie sono fatte di quel “non detto”, di quell'”omesso”, di quello strizzar d’occhio che quando eravamo ragazzi significava “meglio cambiare discorso”. Ecco io voglio parlare del libro di Marino e della ricerca della verità. A volte é fin troppo facile utilizzare fatti di cronaca per cercare la verità. E lo dico da vecchia cronista che ha fatto il mestiere sul campo. Invece in letteratura é un’operazione che richiede, quando si scrive un libro come “La Tana”, un percorso, un desiderio di fare chiarezza anche con qualche fantasma che ci si porta dietro. Ecco Marino, come ho detto nella mia nota, senza partigianeria, ha cercato, prima nei rovi di Docedo, oggi nella “Tana”, quello che non si é mai detto. E lui ha scritto, ha raccontato una storia che é intrisa di tutto il mistero Mediterraneo.
Cosa dire del mio libro e della verità? Qui c’é la verità che cerca un cronista. Anche se Jean Martin in qualche modo assomiglia al mio personaggio. Ma é un impatto diverso. Per me l’avventura é stata Napoli.
La vicenda l’occasione per raccontare una Napoli che in molti non conoscono. Dunque il desiderio di rendere” pubblica” l’immagine di una città complessa che va studiata nel suo fascino e nella sua spietatezza.
Marino invece si immette nei sentieri di una terra splendida che i segreti li nasconde in profondità….
La veritá, secondo me, Fiorillo la cerca metodicamente, a volte con eccessi di zelo professionale, un cronista che si sostituisce alla polizia
per buona parte della storia. Fiorillo rincorre il tempo, deve scrivere il pezzo e quindi, quasi ogni giorno deve avere un pezzo di veritá da pubblicare sul giornale e quasi ogni giorno succederá qualcosa per cui la veritá, quella che lui, separatamente dal mondo cerca, si allontanerá. Ian Martin deve fare l’opposto, deve attendere, degli ordini dai suoi datori di lavoro, un agenzia antifrode europea, ordini che non arrivano.
Per gran parte della storia, il motore della storia é l’attesa. Per gran parte della storia, come dicevo, Fiorillo correrá contro il tempo.
Infatti il cronista corre. Jean Martin aspetta.
Mi viene in mente che forse é questa la differenza tra letteratura e giornalismo.
Questa del tempo, dunque secondo me, a parte la geografia, é l’altra differenza delle due trame. Naturalmente, per Jan martin che attende
c’é piú spazio per i tempi morti che nelle pagine e nelle giornate di Fiorillo. Jan Martin riesce ad avere un’intimitá, pensare alle sue ossessioni, in Fiorillo, come in ogni eroe moderno, é il tempo stesso a
diventare la sua ossessione.
del resto credo solo una vera cronista poteva davvero descrivere la frenesia, asfisiante, non solo della metropoli, ma propria del lavoro del giornalista come si respira in via duomo.
Si sono incrociate le nostre idee e i nostri commenti Stefania, molto simili peraltro nella sostanza, e peró devo dire che sono a cui, senza questo spazio, non avrei pensato.
due autori che sanno come inchiodare l’attenzione del lettore, che riconciliano con la scrittura, sempre più spesso ostaggio del primo venuto, grazie anche a trovate come l’autopubblicazione, sponsorizzata a tappeto da grandi quotidiani nazionali. mi chiedo poi se Magliani non abbia dato parecchio fastidio a qualcuno con quest’ultima uscita.
un caldo augurio a Marino e Stefania e un abbraccio a Massimo.
fabrizio
Grazie Fabry,
mi fa proprio piacere questo tuo saluto e questo tuo intervento.
Sai cosa penso del “Fastidio” di Marino. Marino ha toccato due aspetti il “non detto” e il reale, cioé cio’ che sta accadendo in Liguria. E certo che crea fastidio… Ma lui, credo abbia scelto, da persona consapevole. E di questo bisogna dargliene atto
Un bacione Fabrizio
Piccola cosa: il mio personaggio non ha un nome. E’ il “cronista”. Invece il suo collega si chiama Fiorillo. E’ facile sbagliarsi. E forse iolo avrei dovuto “battezzare”. Ma non mipiaceva. Perché il cronista non ha un nome, é un cronista.
Un saluto e auguri a entrambi, che spesso incontro da Bartolomeo. Belle persone e bravi scrittori. Perchè non ci scriviamo in privato? Dopotutto, Marino, siamo colleghi di autostop. E lei, Stefania, è una splendida donna.
Una domanda per Stefania Nardini e Marino Magliani.
Qual è stata l”esigenza che vi ha spinto a scrivere questi libri?
E poi quest’altra.
Come è nata l’idea?
Certo Felice, possiamo scrivermi in privato, tra colleghi di autostop… Ho un sito a mio nome e ci sono i contatti, se hai problemi, dia Bart che Francesco Sasso ti passano i miei contatti.
Complimenti ai due autori. Mi pare un incrocio ben assortito e riuscito.
La mia domanda è questa, partendo dal presupposto che abbiate già fatto presentazioni pubbliche. Che tipo di riscontro hanno avuto i vostri libri tra i lettori?
– quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura)?
a volte un limite potrebbe nascere da un proprio preconcetto; altre volte dai preconcetti altrui. I preconcetti sono grossi ostacoli per la ricerca della verità.
Grazie Felice per ilo complimento.
@Mary per quanto mi riguarda l’idea é nata dal dolore e dall’esigenza di di raccontare il giornalismo come l’ho vissuto io. Ero stata operata di cancro (storia a lieto fine per fortuna) e mi ritrovai a convivere con un tubo di drenaggio che mi provocava un forte dolore. Che fare? Mi chiesi. Decisi di regalarmi un piacere, meglio di un calmante. Scrivere. Ispirandomi a un fatto di cronaca di cui era stato protagonista, da cronista, mio marito. Quella storia mi piaceva. Ci vedevo tutta la napoletanità del mondo. Volevo fare un regalo a una delle città che più amo
Cara Stefania, la ringrazio per la bellissima risposta.
Il riscontro l’ho vissuto sul piano dell’impatto umano. Molti amici giornalisti che ho ritrovato dopo anni, persone che hanno trovato pezzi della loro storia in una via di Napolipiuttosto che di Roma.
La verità. Cercare la verità significa non avere pregiudizi. Sentirsi veramente liberi. Anche se poi si scopre che non c’é una verità assoluta.
Eccomi, Mary. Una grossa parte di questo ” tomanzo ” l’avevo scritta una quindicina di anni fa, si trattava di una storia su piú piani, un po’ troppo slegati, a blocchi. Uno di questi diventó il romanzo storico L’estate dopo Marengo, altri blocchi si separarono come si sfilaccia una cosa in mare
col tempo. Alla fine a forza di togliere blocchi era rimasta una carcassa,
una pura impalcatura e l’anno scorso decisi di rinforzarla. Ma la vera esigenza di farne un romanzo di denuncia ambientale é venuta fuori
vedendo cos’hanno fatto in questi anni alle coste liguri. L’hanno
” portificate ” e non la finiscono, migliaia di posti barca e alberghi a 5 sul mare, e appartamenti e campi da golf sulla riva. Pezzi di territorio pubblico che sono passati a lobby. Questo uno scrittore doveva dirlo.
L’idea Mary, anche qui debbo separare. L’idea del romanzo a blocchi che raccontasse l’entroterra nei suoi tempo, napoleonico, guerra civile e
presente ( che era il 1992-93 ) nacque dal desiderio di raccontare il tradimento. La Liguria, quelle delle vallate alte, é una terra che, come dire, si presta molto alla macchia, costoni, ombre, e luci, che nascondono e sorprendono, é l’habitat dei braccati, ma anche la loro fine. Volevo raccontare queto tipo di condizione.
L’idea, antichissima, mi era venuta da Baudelaire, dal suo lavoro sull’hascisc. Sapevo che l’hascisc in Europa, quello che usava Baudelaire
a Parigi, l’avevano iniziato a portare veterani della Campagna di Egitto.
E volli raccontare quel passaggio. Infatti il libro iniziava proprio dopo la battaglia di Abukir, 1800, e dal ritorno in Europa di alcuni chasseur che
portavano con sé una grossa scorta di hascisc. Nella Tana, di quella storia é rimasto solo la ricerca che compie l’archeologo Jan martin per scoprire un mestolino con cui quasi un paio di secoli prima, un paio di disertori della battaglia Marengo, rifugiatosi appunto nelle gallerie della Tana degli Alberibelli, bevevano i loro infusi di menta e hascisc.
L’idea di fondere assieme a quella storia il romanzo sul porto mi é venuta invece una volta che sono andato sul molo di Porto Maurizio e ho
visto coi miei occhi cosa succedeva a quella che era la spiaggia dove da ragazzo facevo il bagno.
Grazie, Marino. Non ci sono problemi.
Stefania, mi scuso per aver esagerato nella richiesta. Spero non si sia offesa.
A Marco, forse delle mie storie, giá fin dall’inizio, quando uscivano per piccole sigle editoriali, interessano quel microcosmo ligure fatto di terrarre e costoni da cui si vede il mare, ma anche di zone ombrose, di fondovalle, di zone in perenne desiderio, diceva Biamonti. Ma anche
il favore del lettore che tra tanti, belli e necessari romanzi mondo, sia
attratto da mondi che stanno scomparendo, nei miei romanzi ci sono
muli, asini, e anche stalle vuote. Come nelle cose di Vincenzo Pardini, autore con cui mi sento molto in sintonia.
Scusa la banalitá della mia risposta Marco, ma i limiti della veritá sono
immensi.
Felice assolutamente. Rigurado la mia mail sono su FB o se non l’ha Bart.
Ecco cosa mi piace molto di Marino: il coraggio, da scrittore, di denunciare. Ma di denunciare rimmetendo assieme i pezzi di una grande storia. Il miracolo della letteratura. E insisto “mediterranea”
Innanzitutto saluto Marino e Stefania e mi auguro di incontrarli il 17 p.v. qui in Riviera. Dei loro due romanzi, che ho apprezzato molto, ho già scritto e quindi evito di ripetermi, vorrei, invece, allacciarmi a quanto è stato postato. Condivido ciò che Stefania dice del protagonista del suo romanzo, al quale giustamente non ha dato un nome: non è un cronista, ma il cronista, da lei seguito con amore e attenzione nel suo percorso obbligato di formazione. Ha ragione anche Centofanti quando dice che il romanzo di Marino ha dato fastidio a qualcuno, come risulta da una recensione piena di acrimonia. Per quanto riguarda invece la domanda iniziale sulla verità, nella vita e nella letteratura, io credo che essa sia sfuggente, ambigua e irraggiungibile. Del resto non esiste, a mio avviso, una verità assoluta ma tante verità relative ai tempi e ai luoghi, alla condizione di chi la cerca e alla situazione in cui egli si muove. Ciò non toglie però che la ricerca, senza preconcetti, della verità o delle verità sia fondamentale per sentirsi vivi e per dare un senso alla nostra vita, nella consapevolezza comunque che non conta tanto il traguardo o il risultato raggiunto quanto la tensione verso quel traguardo e quel risultato.
Ho seguito la discussione con molto interesse. Bella. Complimenti ai due autori per i loro libri. Spero di avere la possibilità di tornare in serata.
Complimenti per le affascinanti presentazioni di entrambi i libri e per la schiettezza dei due autori. Mi pare di capire che ambedue siete anche giornalisti, e quindi con un occhio attento alla realtà, alla cronaca. La scrittura come espressione della coscienza, riportata al contesto soggettivo dell’ambiente che ci circonda e vediamo manipolato. Finzione e realtà in un’opera letteraria scorrono e si fondono nell’ interesse della stessa opera. La verità si sovrappone alla menzogna e viceversa, permettono di tradurre e arricchire il vissuto. La scrittura assume un ruolo inquisitorio, indaga e tenta di sciogliere i nodi e gli intrecci dell’esistenza tentando di neutralizzarli, aiutandosi con la forza della conoscenza e la magia dell’immaginazione. Non mi sorprende che qualcuno si sia risentito a leggere il libro di Marino, se tocca argomenti e interessi politici. Auguri a tutti e due. E continuate a scrivere sempre con lo stesso impeto.
Non ho letto il libro di Magliani e quindi non posso pronunciarmi. In quanto a “Gli scheletri di via Duomo” l’ho trovato piacevole per la trama e le atmosfere in cui si dipana. Lo stile è ottimo. I miei complimenti all’autrice.
Lory
Grazie Francesco, Martina, Salvo e Lory. Quando anche un libro puó dare fastidio, ci si dovrebbe comunque occupare del libro. Purtroppo, nel mio caso, la critica da bar, cui accennava il professor Improta, si é occupata quasi solo dell’autore. Certo é un libro che fa a pezzi un certo progetto politico di cementificazione delle coste, ma per far a pezzi il libro, anche i critici da bar dovrebbero almeno leggerlo.
@ Magliani e Nardini
Complimenti per i vostri libri.
Provo a porre due domande nella speranza che non siano troppo stupide.
Qual è la cosa che avete apprezzato di più nel libro dell’altro?
Quali sono gli elementi che li accomunano di più?
E in cosa sono assolutamente diversi?
Le domande erano tre, scusate
Anche io ringrazio, e rispondo a Salvo Zappulla specificando che Marino Magliani non é giornalista. Il che gli rende ancor più merito come scrittoredi talento dotato di coraggio e sensibilità.
Sui critici da bar : direi che fanno parte dell’Italia da bar. Che neanche in una stroncatura “strumentale” ricorre ai principi basilari della professionalità. Ma chiudo qui perché preferisco parlare dei nostri lavori.
E’ vero, come dice Francesco Improta, che la ricerca della verità aiuta a sentirsi vivi. Che poi la verità faccia male a qualcuno….! Direi che é inevitabile, come é accaduto a Marino
Ecco Mario provo a risponderle.
Del libro di Marino ho apprezzato la narrazione, l’intreccio della storia, il coraggio di togliere certi scheletri, questa volta non quelli di via Duomo:-), dall’armadio. E poi come ho detto nella recensione il coraggio di denunciare attraverso la letteratura
Certo sono accomunati da una ricerca della verità , ma secondo me hanno entrambi i testi, sia pure nella sostanziale differenza, il sapore di due realtà del Mediterraneo.
Diversi? Siamo due persone diverse. Marino é uno scrittore al cento per cento, io ho una formazione giornalistica. Mi piace raccontare e per questo ho scelto un nuovo percorso esitenziale. Naturalmente il vissuto di chi scrive emerge nella scrittura.
non ho letto i libri, però essendo stato (grazie a massimo) per ben due volte protagonista di recensioni incorciate, so bene che questo post ha più che altro l’intenzione di stimolare una discussione. a naso, quindi, se la napoli (o la campania tutta) di stefania la sento abbastanza vicina a me, altrettanto non posso dire della liguria di marino. è una regione per qualche verso “misteriosa”, difficile da penetrare ma che (essendoci stato per qualche giorno) riserva sorprese impensabili.
nel mentre, complimenti a entrambi gli autori
Stefania e Marino, ero giornalista e scrittore, poi ho fatto una scelta: ora sono solo scrittore. In un mio romanzo, ho riportato questa frase: il giornalista si occupa dei fatti altrui, lo scrittore dei propri. Più o meno così. Cosa ne pensate: troppo riduttivo e basta?
Cari amici vi ringrazio tutti per i vostri commenti.
Ringrazio in particolare Stefania Nardini e Marino Magliani per i loro numerosi e validi interventi.
Per fornire ulteriori informazioni sui due libri riporto di seguito le rispettive schede.
da GLI SCHELETRI DI VIA DUOMO
–
“Questo è un libro delizioso per tre motivi. Il primo motivo, naturalmente, si identifica con il “giallo” intrinseco del racconto di Stefania Nardini: la storia che il protagonista, un cronista di “nera” del “Mattino” di parecchi anni fa, racconta con infernale abilità, a pezzi e bocconi, arrivando alla rivelazione della verità soltanto nelle ultimissime righe del romanzo ma attraverso una serie incessante di indagini, di illazioni, di cantonate, di intuizioni, di scoperte che sembrano dover culminare in una colossale delusione e che invece, quasi casualmente o se preferite miracolosamente, si traducono nella convincente ricostruzione finale di un duplice delitto che sta dietro al ritrovamento dei famosi “scheletri di via Duomo”, una grande strada napoletana, non a caso vicinissima a quella ancora più famosa, anzi famigerata, che è Forcella. Ma è il terzo motivo che rende il libro delizioso: la scrittura. Stefania scrive con la dinamite e impagina a modo suo, strapazzando il periodo ma esaltando la sintassi e la lingua, anche se questo suo racconto sembra tradotto dal dialetto napoletano.” (dalla Prefazione di Antonio Ghirelli)
da LA TANA DEGLI ALBERIBELLI
–
La città di Santaleula vista dal mare sembra un galleggiante che appare e scompare e che qualche pescecane sta per divorare. Siamo in Liguria, nelle Terre di Ponente. È qui che un Bureau antifrode europeo ha mandato un suo agente, Jan Martin Van der Linden, a investigare sui fondi dirottati per costruire un porto turistico, che si annuncia il più grande del Mediterraneo. Un raffinato sistema di scatole cinesi che copre manovre finanziarie illecite. Un boccone che fa gola a molti. Dopo la morte dell’agente con cui Jan Martin comunicava in segreto, l’ordine è: attendere e continuare il lavoro che gli serve da copertura, la ricerca di un oggetto abbandonato da due disertori nella battaglia di Marengo. Ma Jan Martin non obbedisce e scoprirà invece che l’area carsica in cui sta compiendo le sue ricerche nasconde ben altri segreti. Nella Tana degli Alberibelli, un partigiano cattolico di nome Iliev, prima di essere ucciso, ha lasciato strani segni che nessuno finora è riuscito a decifrare. Ma cosa c’entra tutto questo con il porto turistico e il suo collega morto? E chi è la donna misteriosa di cui parlano i vecchi in paese? Intanto qualcuno lo segue a bordo di una Volvo bianca, mentre fotografie compromettenti spariscono e una piccola testa di legno viene lasciata davanti alla sua porta. Anche un giornalista che indagava prima di lui è stato seguito e poi ucciso. La faccenda si complica.
@ Stefania Nardini e Marino Magliani
Sarebbe bello se poteste indicare tra i commenti qualche brano estrapolato dai vostri libri.
È possibile?
Adesso devo chiudere.
Auguro buon pomeriggio a tutti.
@ Mario. In via duomo ho amato molto la costruzione e la lingua ben sorvegliata, e le pagine piena di colori e immagini, come, dissi, certi
romanzi sudamericani. Sui punti Mario, ho detto sopra, il lavoro sul tempo separa queste due storie, mentre il fatto che ci sia qualcosa di sotterraneo, di una morte archeologica, le unisce.
Grazie Enrico, buona serata.
A Massimo ho chiesto di scegliere un brano dell’estratto del libro che gli
amici Bartolomeo Di Monaco e Francesco Marotta hanno pubblicato sui
loro blog.
Grazie anche a Massimo naturalmente.
Non pensavo di essere uscito fuori tema. Scusate.
No, Felice, é che mi era scappata la tua, e spero non me ne siano scappate altre. La tua definizione é molto sensata e la faccio mia. Ho ricevuto la tua mail, ti risponderó prestissimo, domani presenteró il romanzo nella libreria Bonardi, con Carlo Canella. Durante il viaggio, su un battello che va dala costa attraverso un canale nel porto di amsterdam, son sicuro che guarderó questa terra e quest’acqua, e mi verrá voglia di scrivere dei reportage, raccontare l’Olanda, con un taglio da giornalista. Prima o poi vorrei davvero farlo.
Spero di aver ben compreso. Ecco un brano. Spero non sia troppo lungo
Napoli da sempre convive con la morte.
La minaccia del Vesuvio, i terremoti, le carestie, le epidemie, hanno segnato profondamente la vita della città, a tal punto che la morte è devozione, comunicazione, speranza contro il male.
Basti pensare al culto dei morti. All’usanza di aprire le tombe e le nicchie, per pulire le ossa dei defunti, o semplicemente rinfrescarne gli abiti con cui vennero sepolti.
La morte a Napoli è perfino un messaggio di speranza espresso nella devozione alle anime. Nell’accettazione di “presenze” che, sia pure prive di vita, sono parte della città.
E via Duomo, vuoi per la cattedrale dove ogni anno si rinnova il miracolo del sangue di San Gennaro, vuoi per la vicinanza alla cappella del principe di Sansevero, il misterioso personaggio che con geniale follia trasformava la morte in bellezza (molte delle sculture esposte nell’omonima cappella sono una mescolanza di resti umani e diavolerie alchimistiche), è nel cuore del mistero.
Infatti c’è ancora chi, nelle notti di luna piena, vede l’ombra del principe senza testa. O chi, come accade ancora al Cimitero delle Fontanelle alla Sanità, ha “adottato” i resti di cadaveri senza nome a cui dedicare una preghiera, accendere un lumino, per agevolarne il passaggio dal Purgatorio al Paradiso.
Ma torniamo a via Duomo.
È la strada che sta sopra a tutto. Sopra, cioè, al groviglio di vicoli, piazze e insenature che si snodano tra i vecchi quartieri.
A far aprire via Duomo ci pensò Garibaldi verso la fine del 1860, eliminando vicoli e vicoletti, creando così un’arteria non grande, ma definita.
La strada è molto frequentata da tutti quelli che sono alle prese con matrimoni, battesimi, cresime. Negozi di confetti, bomboniere, abiti da cerimonia: il regno della festa. Dove a buon mercato c’è tutto ciò che fa “festa”. Dalle coroncine per le damigelle, alla parure per la comare.
La strada è collegata a via Foria, e arriva dritta dritta a Forcella per terminare poi ai Quattro Palazzi, che è la prima piazza del Rettifilo ed è dedicata a Nicola Amore, grande sindaco di Napoli nell’Ottocento.
E chi non conosce Forcella, magari solo per sentito dire?
L’epopea di Forcella è nel pullulare di storie, fatti, leggende, personaggi.
Forcella è Napoli. E nelle sue vene scorre il sangue di un illecito che è invenzione, genio quotidiano, crudeltà, passione.
Il palazzo in questione, il civico 214 di via Duomo, è una costruzione ottocentesca.
Quattro piani, con un bel cortile interno e gli appartamenti che girano tutt’attorno.
Nel 1971 era abitato da quattro famiglie: i Rizzo al primo piano, il geometra Gargiulo al terzo, gli Esposito al quarto, il portiere in basso.
Un palazzo d’epoca. Ma che negli anni Settanta era solo vecchio. E pure puzzolente.
Ma aveva resistito.
Pure ai bombardamenti del quarantatré aveva resistito.
Abitare a via Duomo, all’epoca, non era un lusso. Ci abitava la povera gente o i vecchi proprietari. Le locazioni avevano prezzi abbordabili.
La borghesia napoletana si stava trasferendo al Vomero, ai quartieri moderni. E la nuova edilizia vomitava mattoni: palazzi di sette o otto piani, dotati di ascensore. Altro che paniere con la corda per tirare la spesa!
Ormai le “mani sulla città”, come aveva raccontato Francesco Rosi nel suo film, ce le avevano messe da un pezzo, e Napoli si stava trasformando in un Giano bifronte.
A resistere erano i vecchi quartieri, dove l’unica lingua era il dialetto. Un dialetto vivo, colorato, complice, parlato con inconsapevole spessore filologico.
Al Vomero si stava imponendo il televisionese, perché il nuovo faceva più chic.
Via Duomo sta a due passi da Forcella. Regno del contrabbando delle “bionde”, prima che gli scafi blu venissero sgominati.
Spesso ci facevo un salto anch’io per comprare le sigarette
Le cassette di legno con su esposti pacchetti vuoti di Marlboro, Kent, Chesterfield, componevano una sorta di scacchiere in tutta l’area del quartiere. Naturalmente di sigarette neanche l’ombra. Solo i pacchetti vuoti, per un senso di decenza in nome di una legalità apparente. Un finanziere in zona poteva sempre capitare…
Le “bionde” in realtà erano ovunque. Sotto i letti nelle case, nelle carrozzine delle creature, nei reggiseni delle donne, nelle pancere “a tasca” che quelle più grasse riempivano di merce.
Tutta roba che arrivava via mare. Perché a Napoli il mare non è solo quel meraviglioso lembo di Mediterraneo che cantano i poeti, ma un testimone di segreti. Segreti e misteri. Fatti e fattacci che giacciono nella memoria dei suoi fondali.
Il mare…
«Me l’ha ammazzato il mare…», diceva sempre donna Angelina quando andavo a trovarla per sapere come se la passavano a Forcella.
Angelina aveva quarant’anni, anche se ne dimostrava di più. Era piuttosto robusta, aveva i capelli nerissimi e un paio di occhiali da sole enormi che le coprivano metà del viso. Indossava una quantità industriale di gioielli. Sembrava la Madonna di Pompei! L’avevo conosciuta il giorno in cui venne celebrato il funerale di suo marito. Morto, appunto, in mare.
Era successo che una portaerei americana, la Saratoga, era ormeggiata nel golfo di Napoli. Nel cuore della notte tre contrabbandieri di Forcella, tra cui Giovanni, il marito di Angelina, vennero fatti fuori a colpi di pistola.
Avevano versato a un americano l’anticipo per un carico di whisky. Al momento di recuperare la merce sotto la nave, il marine sparò e lo arrestarono. Anzi rischiò la sedia elettrica nel suo paese.
Dopo l’ultimo saluto alle tre vittime in un affollato funerale in cui Angelina urlava stringendo a sé i figli, si pose un problema: il contrabbando del whisky era in crisi. Pur trattandosi di un’attività “collaterale”, portava comunque soldi.
Ma JB, Ballantines, Johnny Walker presto riconquistarono la piazza. Solo le bottiglie però. Dentro non erano che alcol, a sua volta riciclato dal contrabbando, zucchero e colorante.
Andava così!
Donna Angelina, dunque, era rimasta vedova in quella circostanza. Con tre figli a carico. E, ovviamente, non aveva una pensione per vivere. E neanche un lavoro vero. Infatti era stata presa a carico dal quartiere, dalle “famiglie”. E lei si era messa a commerciare in biancheria per la casa. Con i vari aiuti aveva messo su un negozietto a Forcella dove vendeva la merce a prezzi a dir poco competitivi. Naturalmente la bottega aveva altre funzioni…
La signora mi aveva preso a simpatia, e dopo quel giorno che la incontrai mentre urlava la sua rabbia per l’uccisione del marito, tornai a trovarla nella speranza che mi dicesse qualcosa in più. In realtà, pur rispettando tutti i suoi codici, mi aveva fatto capire qual era realmente la geografia della camorra. Tanto sapeva che certe cose non l’avrei potute scrivere!
Era una donna furba, intelligente, e le faceva piacere poter contare su una conoscenza al giornale della città, magari per un trafiletto su una nascita. Angelina non mi chiese mai nulla. Mi chiamò giusto il giorno dell’inaugurazione del negozio.
Ci andai.
@Stefania Nardini. Gran bella scrittura, forte e pregnante. L’ambiente mi ricorda anche quello della mia Sicilia. La precarietà, il degrado, l’esigenza di arrangiarsi in qualche maniera, lecita o illecita. In fondo tra le due regioni non c’è molta differenza. Mi piacciono molto le prime righe dedicate alla morte e al culto della morte. Questo senso di fatalità dinanzi ai grandi eventi nefasti (il Vesuvio, le carestie, le epidemie ecc) ecc) e trasformarlo in un desiderio di rinascita, di purificazione.
“La morte a Napoli è perfino un messaggio di speranza…” Da consigliare a molti nostri amici che frequentano il blog, nel caso volessero affrettarsi a compiere il sospirato trapasso, così diamo una rinfrescata a Letteratitudine.
Il confronto che mi viene spontaneo è con Camilleri e “Il cane di terracotta”, per la verità archeologica che si viene intrecciando con quella attuale.
La verità nascosta verrà alla luce prima o poi, come ci assicura il Vangelo e come dimostra ogni giorno la storia.
Gli uomini non sono altro che scavatori di verità sepolte, talpe cieche che aspirano alla luce.
La Tana degli Alberibelli.
incipit.
Al largo della costa ligure, 19 febbraio 2008
La citta’ spariva dalla vista, inghiottita dai flutti, e riemergeva dopo qualche istante.
La sovrastava il vecchio borgo, resti gialli di mura di cinta e una ragnatela di palazzi moderni, qualche palma sbattuta, un convento pieno di logge.
L’uomo chiuso nella mantellina remava verso levante, controvento, guardando davanti a se´, la cima del molo. L’appuntamento era lassu’, sull’ultima panchina. Ma non si era fidato. Per questo era sul gozzo.
Appena le onde gli rotolarono al fianco, lascio’ i remi, s’abbasso’ il cappuccio e prese il binocolo nello zainetto. Per guardare meglio si era alzato. Si asciugo’ la faccia e punto’ l’imboccatura del molo. I soliti pensionati passeggiavano a ridosso. Oltre, il muraglione spartivento era deserto. Anche dalle parti del faro e tra gli scogli, era tutto tranquillo. Con il binocolo seguı’ orizzontalmente l’intera struttura fino alla panchina in cima. La’ noto’ una figura. Era certamente lui. Sentı’ il sudore colare caldo lungo la schiena, le braccia e il volto si rilassarono, si risedette sul banco del gozzo e attese. Dopo un po’ guardo’ l’ora, cerco’ il cellulare e chiamo’ di nuovo.
« Sto arrivando. Scendo ora la scalinata di Santaleula… Mi bastano pochi minuti, ripeto: indosso un giubbotto nero e un cappellino rosso della Ferrari.»
« Sono gia’ qui », fu la risposta.
« In cima? »
« Vedi solo me. »
« Bene. »
Spense e riprese il binocolo. La figura s’era alzata dalla panchina e s’era rivolta alla costa. Dalla citta’ si levavano rumori di traffico, sirene. Sul molo e sul mare, non giungeva quasi nulla.
Santaleula. La citta’ col porto turistico che sarebbe diventato il piu’ grande del Mediterraneo. Gli occhi ci avrebbero fatto l’abitudine, come si impara a collegare a una bocca un sigaro, una barba a una faccia. Controllo’ di nuovo l’imboccatura del molo. I rimbalzi rendevano instabili anche le mani. ”Ora deve arrivare…”
Perse il punto d’imboccatura e, quando lo ritrovo’, vide che era apparso qualcuno. Andatura da giovane. Era risalito per la scaletta e avanzava sul muraglione spartivento, vestito di scuro. Di che colore fosse il cappello, ne´ se l’aveva in testa, non poteva dirlo, ma era lui. Non poteva che essere lui. Non era un giorno da passeggiate sul molo.
L’aveva convinto solo un paio di giorni prima, l’aveva conosciuto a Sanremo, al casino’. Duecento euro al momento piu’ le spese e duemila a lavoro fatto. La consegna di foto di corna. Gli aveva fornito gli indumenti per farsi riconoscere. Il giovanotto aveva accettato, s’era provato il cappellino fin da subito, senza fare domande. Assieme ai duecento aveva preso la busta delle foto e l’aveva tastata. Prima di sera sarebbe tornato al casino’. Adesso, camminava ben visibile, sul muraglione, cappellino in testa e giubbotto nero.
L’uomo sulla barca non aveva piu’ dubbi. Mancava ancora una cosa, la piu’ importante, fra poco avrebbe verificato anche quella.
E, se non era una trappola, avrebbe remato ancora un po’ e accostato. Poi si sarebbe fatto vivo con una seconda telefonata… Il binocolo slitto’ in cima. La persona dalle parti della panchina attendeva. Forse a questo punto aveva riconosciuto il cappellino rosso.
”Sì, a questo punto ha visto che stai arrivando…”
Guardo’ verso l’imboccatura del molo… Tutto tranquillo. Si rilasso’, si chino’ a riempire d’acqua salata l’incavo della mano e si bagno’ la faccia fin dentro le narici. Poi prese a remare, avvicinandosi ancora un po’ agli scogli. Ora ne distingueva a occhio nudo il colore e le scalette, i lampioni… Il colore di un cappello no.
Binocolo. Imboccatura… Un movimento. Una macchina s’era fermata alla sbarra. Erano scesi in tre. Potevano essere operai del porto.
Si accorse che succedeva dell’altro anche dalle parti del faro, un paio di persone, sbucate fuori come dal nulla dagli scogli, andavano incontro al passeggiatore solitario. I tre all’inizio avevano allungato il passo, le distanze si accorciavano. Il passeggiatore venne fermato all’altezza di una scaletta, e fatto scendere tra gli scogli…
L’uomo sul gozzo non ci guardava da tempo, aveva invertito la rotta, tirato i remi in barca e acceso il motore. Non punto’ subito la costa, il piano a cui aveva pensato in caso di fuga, prevedeva di oltrepassare l’ansa della Foce e guadagnare la spiaggia di ciottoli sotto l’Aurelia. La’ aveva lasciato la moto.
Con una mano, senza abbandonare il timone, prese il telefono e chiamo’.
« Mi aspettavano. » Non aggiunse altro.
Un rumore alle sue spalle. Aumentava e copriva tutto. Mollo’ il timone, tolse la pistola dallo zainetto pieno di fogli, l’appesantı’ con un pezzo di tubo di ferro che era sugli assi e lo getto’ in mare. Lo zainetto sparı’ nei flutti. Aggiusto’ la rotta verso la costa, puntando definitivamente la Foce e le palme delle Ratteghe.
A mezz’aria, l’elicottero viro’ e seguı’ la rotta dei gabbiani che penetravano la vallata.
Cara Stefania, grazie per il tuo bellissimo brano.
E grazie anche a te, Marino.
Bellissimo anche il tuo.
@ Stefania e Marino
Vivete prevalentemente all’estero, anche se tornate spesso in Italia. Tu, Stefania, vivi in Francia; mentre Marino vive in Olanda.
Per quale motivo avete scelto di vivere in un altro Paese?
È più facile raccontare l’Italia e propri luoghi osservandoli a distanza, o vivendoci dentro? Quali sono, a vostro avviso, i pro e i contro?
Una dozzina di anni fa lasciai il mio giornale dimettendomi. Scelta ponderata. Convinta. La professione della quale sono stata innamorata non mi interessava più. Lascio a voi immaginare perché. Sono una donna che adora la libertà. Andai prima a vivere in Umbria,dove ho un casale, poi non stavo più bene. Non stavo più bene in Italia. Stavano cambiando molte cose che avevano un’influenza nefasta nei rapporti umani. Me ne andai con la mia famiglia a Marsiglia, perché mi arrivo’ la “chiamata” da Izzo. E laggiù ho lavorato intensamente ad una sua biografia che é ancora inedita. A Marsiglia ho riscoperto valori, situazioni, occasioni che in Italia non trovo più. Ho vissuto quattro anni, tornando raramente in Italia. Avevo solo mia madre che mi legava. Che mi saluto’ con il suo sguardo una notte di Natale a Marsiglia dove era venuta per le feste. Pochi giorni dopo se ne ando’ anche Babette la mamma di Jean Claude….
Poi c’é stato un periodo di rientro per questioni legate alla famiglia. Ora sono vicino Nizza. Per una questione di collegamenti con l’Italia dove ho un giovanissimo figlio che fa il cronista.
Ed ho scoperto una nuova dimensione. Il tornare solo per stare con gli amici più cari, e fare un pieno di incazzature che smaltisco poi a distanza scrivendo, o attraverso forme di partecipazioni che offre la rete.
L’Italia mi fa soffrire. Proprio perché é il mio paese, perché la amo.
Un giorno, era da tanto che mancavo, ho sentito il bisogno di trascorrere un’ora davanti a un dipinto del Martini.
Ma stare lontana mi fa bene. In particolare adesso. Ho vissuto un esperienza di impatto con l’Italia, anzi con la sanità italiana. E’ stato terribile! Non il mio problema. Perché so difendermi, ma vedere come ancora viene affrontata una malattia come il cancro. In particolare quello che miete vittime tra le donne. Il cancro al seno.
Ho imparato tanto. E la distanza,mai come ora mi aiuta ad elaborare. Infatti é questo il mio prossimo progetto di scrittura, a parte un lavoro molto interesante che sto facendo con un caro amico, anzi amico sia mio che di Marino, Franz.
Ecco io la mia Italia ce l’ho con quel pugno di amici via Skype, o via mail. Amici carissimi come Marino, Massimo Maugeri, Betta Bucciarelli, Remo Bassini ed altri con i quali mi sento comunità.
Mi scuso se sono stata lunga. Ma credo che l’andare via faccia parte di un percosro. L’Italia, stare dentro l’Italia, significa in questo momento avere il privilegio di abitare nel paese più bello del mondo assistendo a un declino e a un silenzio incomprensibili.
Grazie
Bellissimi entrambi i brani e dolorosa, sfuggente, ardua, la ricerca della verità.
In questi due libri l’archeologia sembra una metafora del disseppellimento, dello scavo sotto le macerie e la polvere. Sotto il tempo.
Credo che la ricerca della verità sia sempre un viaggio nel tempo.
E credo che ne subisca l’arrotolarsi senza traccia, a meno che non sia raccontato.
La ricerca della verità incontra l’ostacolo della memoria, sia nella vita che in letteratura. Ma anche il limite del senso, del significato di ogni scoperta, dell’origine da cui nasce una domanda.
L’unica verità incontrovertibile penso sia quella a cui si approda partendo da una necessità, o da uno sguardo umile sulla storia e sul mondo.
La verità credo si offra a chi la cerca senza mentire a se stesso.
—
Complimenti ad entrambi!
Vivo in Olanda perché un giorno mi sono stancato di girare, avevo vissuto parecchi anni tra Sudamerica e Spagna, e di tornare in Italia non ne avevo voglia, ci avevo provato, ma non funzionava. Anzi forse neanche, non ci avevo neanche provato, non a fermarmici del tutto comunque. Son fuori di casa da quando avevo 8-9 anni e dicono che quando vai di casa da bambino non torni piú.
Quanto allo scrivere é semplice, io in italia non scrivo mai una riga, é da qui, dalle dune e da questa costa che guardo l’Italia e la racconto, ora
la tengo d’occhio come in un binocolo ora come in un binocolo
all’incontrario.
I pro e i contro sono che da lontano vedi le cose attraverso parecchi
( troppi? ) filtri.
Belle e invitanti le due recensioni incrociate.
Quella di Marino rende pienamente conto dell’atmosfera del libro di Stefania, che ho letto, apprezzato e fatto leggere. Quella di Stefania mi chiama a leggere al più presto il libro di Marino, che ancora non ho visto ma, ne sono certa, apprezzerò.
Conosco poco Napoli, e Stefania mi ha aiutato a scoprirne un volto ricco di chiaroscuri, nei quali soltanto può nascondersi la verità. Conosco invece abbastanza bene la Liguria, che ho frequentato sin da bambina e dove ritorno sempre volentieri: sarò felice di conoscerne nuovi volti sotto la guida di Marino.
Grazie a tutti e due e grazie anche a Massimo che ci offre il piacere di leggervi.
Barbara
Cara Stefania, immagino tu sappia come tanti italiani in questo momento si riconoscano nelle tue parole – tanti, non tutti e nemmeno i più. Stare in Italia in questo momento è come vivere uno di quegli Spleen di Baudelaire, quello in cui il cielo pesa come un coperchio sull’anima gemente.
@Stefania: sono d’accordissimo su quello che dici nelle ultime righe riguardo all’Italia: avendo vissuto diversi anni all’estero, per motivi di studio, di famiglia e di lavoro, in un arco di tempo che va dalla fine degli anni ’80 a oggi, ma mantenendo sempre le radici, gli affetti e una casa in Italia, ho potuto sperimentare come davvero l’Italia sia, rispetto ad altri paesi, più ricca di risorse (naturali, artistiche, umane, intellettuali), ma anche quanto, e sempre più negli ultimi anni, queste risorse siano sprecate: beni naturali distrutti, beni artistici non valorizzati, risorse intellettuali costrette alla fuga (con molte grazie dagli altri paesi che si ritrovano ricercatori belli e formati senza aver speso una lira!). La lista potrebbe essere lunga… Ai miei studenti (universitari) dico di andare fuori (sapendo che avranno molte più opportunità); mi auguro di non dover fare altrettanto con i miei figli, ora adolescenti.
Barbara
Grazie di cuore a tutti voi, e sai Barbara, ti dico da madre che non sono affato priva di preoccupazioni. Per questo é importante la letteratura. In un mondo in cui la superficialità o gli eccessi mediatici sono la “formazione”, mai come in questa fase la letteratura svolge un ruolo importantissimo. Il libro di Marino é un esempio in tal senso. E devo dire che da questo punto di vista la rete é una grande opportunità. Lo dimostra questa chiacchierata che ci apre a esperienze, storie. Poi Marino mi racconterai quando sei andato via? Cosi’ piccolo… . Infatti nelle tue parole si avverte un vissuto. E cio’ conferma le cose che ci siamo detti.
Le domande di Maugeri sono da un milione di dollari.
Mi fermo a questa: esistono situazioni oltre le quali la verità assume una veste univoca e incontrovertibile?
La verità può assumere una veste univoca e incontrovertibile sono se relazionata a parametri di riferimento, che tuttavia cambiano da scoietà a società, da tempo a tempo, da cultura a cultura.
Dunque la risposta potrebbe essere sì, oppure no.
Gran bella domanda.
Complimenti agli autori per i due libri presentati. Ho letto e apprezzato i brani selezionati. Ottima iniziativa questa delle recensioni incrociate.
Grazie a Simona, Barbara, e Attilio e scusate se dimentico sempre qualcuno. Oggi purtroppo non riusciró a collegarmi alla rete perché impegnato in una lettura pubblica, ma rimarrá Stefania, col suo entusiasmo e la sua onestá di narratrice e persona umana.
buona giornata.
Mi ha colpito la grazia, l’eleganza e l’amicia con cui i due autori si sono avvicendati inquesto bellissimo scambio organizzato da questo grande demiurgo che è l’uomo con la camicia celeste. 🙂 Vi ringrazio. Conto di leggere entrambi i vostri libri.
pardon per il refuso……
@ marino magliani, stefani nardini
avete qualche aneddoto particolare da raccontare su questi vostri libri e sulle loro presentazioni? aneddoti divertenti, soprattutto.
sono una cacciatrice di aneddoti letterari.
grazie
Grazie ancora a tutti;
Si l’anneddoto c’é stato. A Napoli, Libreria Guida, presentazione del libro. Molti colleghi giornalisti e i relatori: Ghirelli, Forlani , Del Gaudio Pellegrino.
Una ragazza legge un brano. E sviene.
Acqua, soccorsi e si riprende con una risata.
Il giorno prima avevano arrestato il latitante Iovine, noto capo dei Casalesi. Chi ha fatto cronaca in quelle zone come la sottoscritta ed i colleghi in sala ogni tanto se la sono vista brutta in quelle zone. Dunque certi nomi fanno scattare le antenne.
Interviene una signora. Con tono provocatorio, direi arrabbiata. Rivolta a me: “Io mi chiamo Iovine. Lei conosce Iovine?”
Silenzio. Sguardi che si incrociano. I colleghi cronisti mi guardano terrorizzati.
Io rispondo con tono sicuro: “Si”. E lei: “allora sa bene chi era mio padre finito su tutti i rotocalchi come Jack lo squartatore! Per colpa vostra. Di voi cronisti. Una vita rovinata per quel morto a Via Duomo. Lei signora Nardini queste cose doveva dirle!”. Silenzio, sguardi, non si capiva.
“In quel palazzo che dice lei c’era il morto…”.
Dico alla signora: “Ma lei il libro lo ha letto?”. “No – risponde – pero’ l’ho sfogliato adesso e son qui per dire la verità”.Ecco a proposito di verità….
La signora racconta che dieci anni prima della scoperta degli scheletri ci fu un altro fatto analogo in via Duomo, e lei sosteneva che era lo stesso palazzo stesso numero civico.
A un certo punto chiedo al mio editore, che forse per questioni anagrafiche poteva ricordare quell’episodio:”Tullio ma ne sai nulla di questa storia?”. Lui: “Stefané. Mi sono scordato di raccontartela, sarà per laprossima volta!”.
Qualcuno presente in sala ha giocato i numeri al lotto.
bellissimo aneddoto, stefania. grazie
Quando, quasi naturalmente, il mio romanzo, da essere una storia sul paesaggio e sulla resistenza é diventato un romanzo di denuncia, mi sono dovuto inventare detective, ho incontrato politici, imprenditori, pescatori, giornalisti, ho preso appunti, ricevuto fotocopie, telefonate, prendevo mille precauzioni, era una cosa nuova per me, abituato a non spartire con nessuno se non con gli amici di lettere, come Stefania e qualcun altro, i miei laboratori narrativi. Ecco, allora in quel momento mi sono reso perfettamente conto che presto la Tana poteva essere giudicato positivamente o molto meno, ma non avrebbe perso la forza del suo urlo. Era la prima volta che pensavo qualcosa del genere dei miei libri. La sentivo una cosa strana. Ora un po’ mi ci sono abituato, anche al gelo di quasi tutta la stampa ligure, devo dire, regolarmente allineata.
I romanzi che urlano sono quelli veri, col sangue dentro. Grazie Marino.
E’ vero che i romanzi che urlano sono quelli veri. Perché vengono dal profondo dell’anima. Sulla stampa ligure allineata…. fosse solo quella Marino! Ma il tuo romanzo é appena uscito e sono sicurissima che avrà l’accoglienza che merita.
Rispondo alla domanda di Massimo:
“Quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura)?”
Forse non ci sono “limiti”, nel senso che chi ricerca la verità, la trova. Nel caso dei due scrittori delle recensioni incrociate, Marino Magliani e Stefania Nardini, mi sembra che sia una verità che riguarda lo scoprire gli autori di omicidi ( ma non ho letto i romanzi, magari mi sbaglio); e, nel caso del romanzo ambientato in Liguria, la verità riguarda anche altre “amare scoperte”. Ogni scrittore ricerca la sua, oppure utilizza la scrittura per far scoprire verità a chi legge.
Entrambi vivono all’estero e da lì, forse, è più facile capire molte cose dell”Italia ed esserne delusi+al tempo stesso averne la nostalgia.
Capisco il discorso sulla Francia, perché ho vissuto là e mi chiedo ancora cosa fosse quello strano sentimento che mi spingeva irrimediabilmente a tornare. (devo dire che lo capisco sempre meno).
Ciò che è difficile, e in questo è un bene che gli scrittori descrivano realtà particolari (Napoli, la Liguuria), è raccontare l’Italia agli altri europei: ci provi, ma non ti capiscono.
Stefania che bella la storia dello scheletro allo stesso numero, non me l’hai mica raccontata! Un saluto anche a Marino. Sono a metà del suo libro e lo finirò presto. Stefania sa già che ho letto il suo e ne ho anche detto. Appena in video torno a segnalare qui. E ripasso certo dopo aver terminato Marino che è uno scrittore di razza. Ciao Massimo, come sempre interessante da queste parti ;o)
Elisabetta
E’ vero Roberta che spesso raccontare l’Italia agli europei non é facile. Esistono stereotipi, informazione che arriva male, inizitive culturali di cui dovrebbero farsi carico le ambasciate che non aiutano alla comprensione.
In Europa, l’avrai sperimentato, non c’é un circuito di comuinicazione vero. A cominciare dai trasporti per arrivare alla traduzione di libri.
In tal senso c’é molto da fare. Basti pensare che in Francia non conoscono De André, pero’ la Pausini si.
La verità? Se Marino cerca la verità sulla storia e sul presente, io cerco la verità nell’anima di una città contraddittoria come Napoli. O per lo meno ci ho provato.
Grazie
quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura)?
Spesso la verità è sfuggente, multiforme, difficilmente individuabile… ma esistono situazioni oltre le quali la verità assume una veste univoca e incontrovertibile?
Postato Martedì, 31 Marzo 2009 alle 10:08 pm da Massimo Maugeri
Il primo limite risiede in noi stessi. Nella ricerca sincera troviamo il primo ostacolo in noi, sia quando crediamo, di essere abbastanza aperti, sensibili e preparati alla verità che ci interessa, e sia quando alla fine ci accontentiamo del trovato, invece che riconoscere di non essere adibiti al trovarla.
Verità, che cos’è, se non un punto dove i nostri tanti pensieri possano coordinare tra di loro, quando non riusciamo a sortirli, eliminando quelli che non servono a niente e addirittura nocciono alla ricerca.
La ricerca alla verità ci occupa per tutta la vita e quando crediamo di averla trovata ci fugge sempre di nuovo ed è bene così, perché essa non esiste nel suo valore assoluto.
Il mondo viene percepito solo nella sua mutazione anche per riuscire a superare il male, che altrimenti rimarrebbe sempre dominante; mutando il tutto si alternano anche le verità che ci hanno guidato, esse non servono più e faremmo sempre bene a ricercarle, perché proprio nella continua ricerca sentiamo di vivere per un senso giusto nel quale impariamo a conoscere noi stessi, sia nel bene come nel male.
La verità è solamente una tappa sul percorso delle riconoscenze umane; anche lei ha due volti, uno che ci dà ragione e l’altro che ce la nega, di modo che la presunzione di sapere sempre tutto e agire sempre giustamente non abbia il sopravvento e ci indichi la strada del compromesso, dove tutti valgono qualcosa senza eccedere.
Credo che esista una situazione, nella quale la verità è univoca, ed è quella, dove il non sostenerla comporterebbe un tradire la propria identificazione senza la quale saremmo servi della volontà altrui.
La verità sana è quella che riconosce anche quelle degli altri e solo nel confronto pacifico e chiarificatore cerca di modificarle, senza escludere di essere anche lei modificata.
Saluti
Lorenzo
@ Massimo-Nardini Stefania-Robertina
Credo che il primo grande limite risieda in noi stessi. Nella ricerca sincera troviamo il primo ostacolo in noi, sia quando crediamo, di essere abbastanza aperti, sensibili e preparati alla verità che ci interessa, e sia quando alla fine ci accontentiamo del trovato, invece che riconoscere di non essere adibiti al trovarla.
Verità, che cos’è, se non un punto dove i nostri tanti pensieri possano coordinare tra di loro, quando non riusciamo a sortirli, eliminando quelli che non servono a niente e addirittura nocciono alla ricerca.
La ricerca alla verità ci occupa per tutta la vita e quando crediamo di averla trovata ci fugge sempre di nuovo ed è bene così, perché essa non esiste nel suo valore assoluto.
Il mondo viene percepito solo nella sua mutazione anche per riuscire a superare il male, che altrimenti rimarrebbe sempre dominante; mutando il tutto si alternano anche le verità che ci hanno guidato, esse non servono più e faremmo sempre bene a ricercarle, perché proprio nella continua ricerca sentiamo di vivere per un senso giusto nel quale impariamo a conoscere noi stessi, sia nel bene come nel male.
La verità è solamente una tappa sul percorso delle riconoscenze umane; anche lei ha due volti, uno che ci dà ragione e l’altro che ce la nega, di modo che la presunzione di sapere sempre tutto e agire sempre giustamente non abbia il sopravvento e ci indichi la strada del compromesso, dove tutti valgono qualcosa senza eccedere.
Credo che esista una situazione, nella quale la verità è univoca, ed è quella, dove il non sostenerla comporterebbe un tradire la propria identificazione senza la quale saremmo servi della volontà altrui.
La verità sana è quella che riconosce anche quelle degli altri e solo nel confronto pacifico e chiarificatore cerca di modificarle, senza escludere di essere anche lei modificata.
Saluti
Lorenzo
Credo che il primo limite risiede in noi stessi. Nella ricerca sincera troviamo il primo ostacolo in noi, sia quando crediamo, di essere abbastanza aperti, sensibili e preparati alla verità che ci interessa, e sia quando alla fine ci accontentiamo del trovato, invece che riconoscere di non essere adibiti al trovarla.
Verità, che cos’è, se non un punto dove i nostri tanti pensieri possano coordinare tra di loro, quando non riusciamo a sortirli, eliminando quelli che non servono a niente e addirittura nocciono alla ricerca.
La ricerca alla verità ci occupa per tutta la vita e quando crediamo di averla trovata ci fugge sempre di nuovo ed è bene così, perché essa non esiste nel suo valore assoluto.
Il mondo viene percepito solo nella sua mutazione anche per riuscire a superare il male, che altrimenti rimarrebbe sempre dominante; mutando il tutto si alternano anche le verità che ci hanno guidato, esse non servono più e faremmo sempre bene a ricercarle, perché proprio nella continua ricerca sentiamo di vivere per un senso giusto nel quale impariamo a conoscere noi stessi, sia nel bene come nel male.
La verità è solamente una tappa sul percorso delle riconoscenze umane; anche lei ha due volti, uno che ci dà ragione e l’altro che ce la nega, di modo che la presunzione di sapere sempre tutto e agire sempre giustamente non abbia il sopravvento e ci indichi la strada del compromesso, dove tutti valgono qualcosa senza eccedere.
Credo che esista una situazione, nella quale la verità è univoca, ed è quella, dove il non sostenerla comporterebbe un tradire la propria identificazione senza la quale saremmo servi della volontà altrui.
La verità sana è quella che riconosce anche quelle degli altri e solo nel confronto pacifico e chiarificatore cerca di modificarle, senza escludere di essere anche lei modificata.
Saluti
Lorenzo
@Stefania Nardini
Grazie a voi, che dialogate con noi. lo trovo molto bello da parte vostra.
La cosa più “buffa” che mi capitava di dover spiegare ai miei amici francesi era: le carcasse delle macchine buttate nell’aperta campagna. In realtà, volevo “spiegare” quello che dell’Italia fa male anche a me, ma anche in questo caso mi era impossibile “spiegare” la presenza di quei ferri vecchi tra i fiori.
Cari saluti.
Cari amici, grazie ancora per tutti i nuovi commenti pervenuti.
Grazie anche, e soprattutto, a Stefania Nardini e Marino Magliani che ci hanno raccontato degli anedotti molto interessanti.
Cara Stefania, caro Marino: ancora un paio di domande per voi…
– quando avete iniziato a scrivere i vostri rispettivi romanzi?
– quantotempo avete impiegato per scriverli?
e poi…
– avete scritto in maniera continua (per es. ogni giorno) o in maniera spezzettata?
– scrivete preferibilmente la mattina, la sera o quando capita?
infine…
state lavorando a nuovi romanzi?
Se sì, vi piacerebbe parlarcene?
Per chi volesse cimentarsi con le risposte (e non loavesse ancora fatto) ripropongo le domande del post:
– quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura)?
– spesso la verità è sfuggente, multiforme, difficilmente individuabile… ma esistono situazioni oltre le quali la verità assume una veste univoca e incontrovertibile?
Vi ringrazio ancora una volta e auguro una serena notte a tutti.
@ Lorenzo
Alcuni tuoi commenti erano finiti nell’antispam. Scusami, ma a volte capita anche con i miei (il sistema di protezione è imperfetto e ogni tanto impazzisce). In ogni caso li ho recuperati e sono qui sopra.
Di nuovo buonanotte a tutti…
Qualche riga per parlare d’una traduzione insolita.
Antonio Tabucchi pubblica nel 1991, scrivendolo in portoghese, “Requiem. Uma alucinaçao”, presso “Quetzal Editores” di Lisbona. Nel 1992 Sergio Vecchio traduce “Requiem” dal portoghese all’italiano (“perchè non potevo tradurre me stesso” dice più o meno Tabucchi in un incontro pubblico) per l’editore Feltrinelli. Questo breve romanzo visionario (“Un’allucinazione”) descrive il definitivo commiato dello scrittore dal Poeta, da Pessoa.
Trascrivo l’incipit dal bellissimo volume che possiedo (la sesta edizione del 1999 pubblicata da “Quetzal Editores”) che ha in copertina il particolare d’un dipinto di Henri Rousseau, “La Charmeuse de Serpents”.
Purtroppo non sono in grado di riprodurre alcuni caratteri grafici della lingua portoghese.
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“Pensei: o gajo nunca mais chega. E depois pensei: nao posso chamar-lhe ‘gajo’, é um grande poeta, talvez o major poeta do século vinte, morreu hà muitos anos, tenho de o tratar com respeito, ou melhor, com respeitinho. Mas entretanto começava a aborrecer-me, o sol dardejava, o sol de fim de Julho, e pensei ainda: estou de férias, estava tao bem là em Azeitao, na quinta dos meus amigos, porque é que aceitei este encontro aqui no cais?, tudo isto é aburdo.”
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Ops! Chiedo scusa! Ho compiuto un errore di invio… Il mio commento precedente era destinato alla sezione “sulla traduzione”. Massimo, puoi anche cancellarlo se vuoi, io nel frattempo provo a trasferirlo nellla sezione giusta.
Anche se per errore ilparlare di Pessoa mi fa bene all’anima. Conosco quel paese ed ho in comune molti tratti della mi a”follia”. Dunque l’errore é stato il benvenuto.
Tento di rispondere a Massimo.
Gli “Scheletri” l’ho scritto in due mesi. Ma ho raccontato prima la situazione…
Ho scritto notte e giorno. Senza tregua.
Quando scrivo? Lo sa Dio! E’ inutile avere un’immagine da intellettuale a tempo pieno. Intanto non mi ci sento, e poi ho la casa, la spesa, un figlio, un marito… Voi direte:e iltuo femminismo? Ho uno spirto praitco che mi viene dalla militanza politica. E questo mi fotte. Pero’ mio figlio ha preso di me. Sarebbe stato meglio fare la parte di quella che non sa fare nulla! Invece io mentre cucino sto su internet, rispondo a Massimo, faccio una pagina. E finché é la cucina va bene. E’ tutto il resto…. Non ho orari. Non potrei averne. Ho pensieri… E questo mi fa stare vicina alla realtà. Se no come capirei gli altri?
Sì sto lavorando, come forse ho detto a un lavoro con Franz Krahuspenar,
unacosa che ci diverte molto.E spero piaccia. Ho ancora Izzo nel mio cassetto.Ma sto immaginando un romanzo sulle donne e il cancro al seno.
L’ho in testa. Devo concludere l’elaborazione.
Massimo, io non credo nella verità assoluta. Troppe verità che sembravano assolute si sono dimostrate deludenti.
Vedi, io credo che la verità sia un principio etico, rispetto al quale bisogna anche essere attenti. A volte la “verità” mi fa paura. In nome della cosidetta “verità” sono stati commessi crimini terribili.
La verità di cui parlo io, ma credo anche Marino, fa parte della giustizia, non quella della magistratura, ma della giustizia nel senso di ristabilire le parti, i ruoli. Urlare l’ingiusto. E questo é cio’ che emerge molto dalla “Tana” di Marino.
Leggetelo questo libro, mi dareteragione!
Io non sono capace a parlare di me. Che dire? “Gli scheletri” e la verità?
Voglio concludere dicendo la verità ai lettori. Mi ero abbastanza “rotta” anche di Saviano etc.. Non si puo’ giudicare una realtà come Napoli senza andare, capire. Come uso dire io ” sporcandosi le mani”. Bene con gli scheletri ho tentato di spiegare la città. La logica , la memoria. Il modo di essere. Che é meraviglioso e orribile. Struggente e fetente.
Ma spero di aver dato un cointributo a capire.
Tutto il resto é invenzione, io sono una giornalista prestata alla letteratura, e con molta umiltà voglio solo raccontare delle storie
Grazie buona notte
@ Massimo
Domanda: Quali sono i principali limiti della ricerca della verità (nella vita e in letteratura?)
– Il limite principale è l’ignoranza. Più si cerca di arrivare alla risposta ultima, cioè alla verità, più ci si imbatte nella propria ignoranza.
Ma è dalla percezione della propria ignoranza e, quindi, dall’impossibilità di giungere alla verità, che sorge un desiderio anche ossessivo di conoscere più cose possibili, di studiare il più possibile ogni aspetto dello scibile umano, ogni disciplina dello scibile umano: dalla filosofia all’astronomia, alla biologia, alla psicologia per dire. Con molta umiltà, perché se una persona (ritenuta magari coltissima) non si giudica ignorante, non è che una persona boriosa e supponente, che guarda i propri simili con la “puzza sotto il naso” come si usa dire. Una persona, in altre parole, che in nome della “verità” arriva ad ammazzare o ad annichilire i propri simili e le loro opere, incentrate magari sulla ricerca della verità. Nella vita come in letteratura.
@ Marino Magliani
Non ho letto “La tana degli Alberibelli”, finora, ma vorrei chiederti se Francesco Biamonti, ovvero il “coltivatore di mimose” e il poeta del vento largo, delle parole e della notte, del silenzio, abbia esercitato su di te un fascino tale da farti assimilare molto della sua straordinaria prosa intrisa di poesia. So che Rigoni Stern, suo grande amico, ne parlava entusiasticamente. D’altronde, Rigoni Stern è il poeta della montagna, e soprattutto dell’Altopiano dei Sette Comune, la sua “patria”, mentre Biamonti è il poeta del mare e della Liguria di Ponente. Come un “poeta” ligure del mare era anche Vittorio G. Rossi, i cui viaggi e le cui opere, dimmi se sbaglio, stanno ahimè scivolando in un oblìo immeritato.
@ Stefania Nardini
Non ho ancora letto “Gli scheletri di via Duomo”. Ho letto nel post, però, che Antonio Ghirelli ha scritto che il tuo racconto sembra tradotto dal dialetto napoletano.
Detto sottovoce, in modo che Ghirelli non senta: se i napoletani venissero a sapere che la loro lingua è stata definita “dialetto”, salvati cielo! Eh? … Ma, nel tuo noir, le tipiche, “forti” espressioni napoletane sono state davvero trascurate o hanno perduto il colore?
Grazie, e buona giornata! Ausilio Bertoli
Bella discussione. Ho letto con molto interesse. Non saprei che aggiungere, scrivo solo per ringraziare.
Scusate l’assenza.
@ Giuseppe Ausilio. Biamonti mi ha semplicemente insegnato a riguardare la mia terra attraverso luce e ombra e a riconoscere in quella
luce la presenza del mare. Sí, erano amici con Rigoni Stern, parlvano dei
tordi che zirlano, di cose e mondi scomparsi. Quando vado in Italia vado sempre alemo una volta al paese natale di Biamonti, San Biagio della Cima, gli faccio una visita. Ho un rimprovero, non averlo conosciuto in vita, ma mi restano le sue pagine. Con Transeuropa é appena uscito il romanzo di autore esordiente, ottantenne, amico di Biamonti fin da giovani, Elio Lanteri che secondo me ha scritto uno dei piú bei romanzi
liguri degli ultimi anni. Occupandomi di quel libro mi sembrava di essere
lí con Biamonti e di parlare anche noi di ulivi minerali.
E ora le domande di Massimo.
La Tana ha genesi agli inizi degli anni novanta, ci lavorai un paio d’anni e poi estrassi da quella storia un blocco che diventó un romanzo, L’estate dopo Marengo. L’anno scorso ripresi La Tana e lavorai su cosa aveva combinato il tempo. Mi spiego. Agli inizi dei Novanta, i partigiani della Tana erano arzilli vecchietti che compivano da soli le indagini descritte,
nel 2008, diciamo che i superstiti di quel gruppo, erano troppo stanchi per indagare in prima persona. Certamente avrei potuto raccontare ancora quella storia datata anni novanta, per il filone resistenza non cambiava nulla, ma si perdeva l’attualitá dell’indagine sul porto.
Tra tutto dunque ho lavorato sicuramente tre anni alla Tana, a identificarla, visitarla, e uscirne…
Scrivo, come dicevo, sempre e solo in Olanda, dedicando qualche ora al
giorno alla scrittura, anche sabato e domenica.
Sto lavorando a un romanzo che sará, credo per un po’, tolta una vagonata di racconti, l’ultima cosa ligure. Ho provato a lasciare in ogni modo, nei miei libri, con Quella notte a Dolcedo, cercando la fuga attraverso l’interno, attraverso i rovi, con La Tana attraverso i suoi fenomeni carsici, il prossimo, anche se sa di proclamo, capisco perfettamente, spero di lasciare la Liguria attraverso l’unico modo possibile. Le parole.
Condivido il giudizio di Marino sul libro La ballata della piccola piazza di Elio Lanteri; si tratta di una rivelazione, un’epifania, oserei dire, per la sacralità che permea il suo paesaggio e la sua scrittura. Così come è vero che Lanteri abbia risentito del lirismo arido di Biamonti, di cui era amico di vecchia data. Va osservato inoltre – e in questo modo vorrei rispondere anche ad Ausilio – che Biamonti, pur avendo parlato nei suoi romanzi di mare e pur avendo scelto come protagonisti dei marinai, non aveva una vera dimestichezza con il mare; lo guardava da lontano, d’inverno ne contemplava il delirio, ma più spesso gli voltava le spalle guardando verso l’entroterra, la campagna; anche se come dice giustamente Marino riusciva a cgliere nei cambiamenti della luce, la presenza del mare. Il mare per lui, almeno nei primi romanzi, è catarsi, possibilità e occasione di purificazione, poi con Attesa sul mare si accorge che anche sul mare è planato l’angelo del mare e nell’ultimo suo romanzo compiuto parla soltanto di terra, quasi volesse tornare a mettere radici, spegnendo con la luce (il romanzo s’intitola Le parole la notte) anche la sua illusione precedente. Lo stesso discorso vale per Lanteri che tende sempre verso “i campi alti sopra il cielo e per l’ultimo romanzo di Marino che è un romanzo di terra e non di acqua.
Due romanzi, comunque, molto belli così come intrigante e affascinante è il romanzo della Nardini, a me particolarmente caro perché oltretutto mi porta lontano, nella mia città natia e in una stagione della mia vita ricca di sogni e di speranze, purtroppo in gran parte frustrati e vanificati.
Ancora grazie a tutti per i nuovi commenti.
Il mio più sentito benvenuto a chi è intervenuto per la prima volta qui (grazie per aver scritto).
Ulteriori ringraziamenti a Marino e Stefania anche per questi ulteriori interventi.
A Stefania uno specialissimo in bocca al lupo per ciò che sa (forza, Stefy).
Naturalmente la discussione – se volete – rimane aperta…
Prima di chiudere volevo segnalarvi che Stefania Nardini – al momento – è impossibilitata a connettersi sul web. Ci siamo sentiti per telefono e vi saluta. E ne ha approfittato per comunicare una bella notizia appena appresa: la seconda edizione a “Gli scheletri di via Duomo”.
un abbraccio a Stefania, per tutte le buone notizie. e un caro saluto e
grazie al professor Francesco Improta, e a quanti ho potuto conoscere attraverso questo dibattito.
A Massimo maugeri, che spero di incontrare a Torino, un complimento
per questo posto.
marino.
Caro Marino, grazie ancora a te e a Stefania.
È stato bello avervi qui. Vi auguro il meglio per le vostre vite e per le vostre future attività letterarie.
Alla Prossima!:-)
Alberto Pezzini (avvocato e critico letterario) mi ha inviato un “contributo” su Marino Magliani.
Lo inserisco di seguito…
Pranzare con Marino Magliani vuole dire parlare di tutto. Di libri, del sole che sale su dal mare, di noi in generale. Pensate che lui, d’inverno, conduce una vita appartata. Sta in casa tutto il giorno, perduto tra i libri che legge e quelli da scrivere. L’unico contatto sociale è la palestra dove va almeno una volta al giorno per tenere la linea. In effetti è bello tondo anche perché non disdegna mai il cibo. Mangiamo da Andrea, alla Cuvea, un ristorante semplice dove puoi incontrare il mondo. A me piace perché ci vanno i ricchi ed i poveri, gli illetterati e quelli sempre pronti a tirarsela, nonché i tiracoglioni come me.
– Cosa fa Marino Magliani in questo periodo ?
– Vivo.
– Ehh ?
– Devi sapere che in Olanda sto chiuso in casa. Vado a passeggiare sulla spiaggia dove il mare è brusco, gonfio. Ma quando scendo in Liguria ( sta a Prelà NdR), ho bisogno di vivere.
Mentre lo dice mima perfino la mossa e sembra che debba inghiottire dell’aria. Anzi fa la mossa di mangiarla. Quest’uomo, ormai nordico per elezione, ha bisogno di mangiare del salino nostrano. E’ rimasto un ligure nelle midolla.
– Stai scrivendo ?
In quel momento esce dalla porta Marco Andracco con signora. Da quando si è ritirato dalla politica è diventato più disteso, e sua moglie ancora più luminosa.
– Sto scrivendo delle traduzioni. Uno spagnolo simile al nostro Campana. Morto in manicomio nel 1937. Un libro di racconti per Transeuropa con Vincenzo Pardini.
Mi guarda mangiare con gusto una mousse alla fragola. Si era schermito un poco davanti alla porzione di strudel fatto in casa. Poi si mangia anche una mousse pure lui.
C’è anche – uscirà per il Salone del Libro di Torino – la pubblicazione di una graphic novel tratta da Quattro giorni per non morire dove la sceneggiatura è di Andrea Nardi. I disegni sono belli, mi dice, ma la copertina non gli piace.
Il bello di Marino è che nei suoi occhi azzurri vedi scorrere un sacco di vite. Quella dell’uomo che è stato prima, a spasso tra Spagna ed Olanda, e quella dello scrittore di oggi. Tenete presente che non sembra uno scrittore. E’ rimasto un ligure antico. Gira in corriera e motorino che lascia alla stazione per poi andare a Prelà. Quindi si porta appresso, ciondolante, il casco ed uno zaino dove tiene la giacca a vento.
– Non pensi che ci siano troppi libri in giro ?
– E certo. Come si fa a leggere tanti libri. E quanti passano inosservati, sotto silenzio.
L’ultima volta che gli ho tirato in ballo Biamonti l’ho visto in imbarazzo. Mi ha confessato che questa parentela sempre citata lo mette in difficoltà. Però più invecchia, più trovo che gli assomigli, a Francesco. Con gli stessi occhi di mare e perduti in un mare al quale non vogliono rinunciare. Questo non l’ho detto oggi, a lui.
Ma se lo può leggere qui.
Marino Magliani sarà al Salone del Libro a presentare il suo ultimo libro, La tana degli alberibelli edito per Longanesi.
– Marino, perché aiuti sempre gli altri, gli scrittori in erba ?
– Perché la solidarietà è l’anima di una vita. Se posso chiedere dei denari per i miei libri, e le mie opere lo faccio, naturalmente. Ma mai agli amici.
E con questo, con il suo cappello da uomo di fatica, mi abbraccia forte e se ne va. Come se partisse per il mare. O per la campagna. Felice.